Corso di Laurea magistrale in Economia e Gestione delle Arti e delle attività culturali

Tesi di Laurea

Graffiti Writing e : il nuovo capitolo dell’arte contemporanea.

Analisi storico-artistica di un movimento rivoluzionario, in Italia e nel mondo.

Relatore Ch. Prof. Nico Stringa Correlatore Prof. Stefania Portinari Laureando Giulia Corvatta Matricola 835014

Anno Accademico 2013/2014

INDICE

INTRODUZIONE Pag. 4

1. IL WRITING AMERICANO Pag. 8

1.1 La nascita del Graffiti Writing. Gli anni Sessanta e la prima generazione Pag. 10

1.2 New York e la seconda generazione Pag. 12

1.3. Nascono gli stili Pag. 17

1.4 La lotta contro la MTA Pag. 21

1.5 La terza generazione e il Syntetic period Pag. 23

1.6 Le unions e le prime mostre Pag. 24

1.7 Gli anni Ottanta Pag. 26

1.8 Gli artisti Pag. 31

1.8.1 Futura 2000 Pag. 31

1.8.2 George “Lee” Quinones Pag. 32

1.8.3 Lady Pink Pag. 34

1.8.4 Rammellzee e il Panzerismo Iconoclasta Pag. 34

1.8.5 Martha Cooper, Henry Chalfant e Pag. 36

1.8.6 Gli “Outsider”. Haring, Basquiat e gli altri “big”. Pag. 38

2. DAL GRAFFITISMO ALLA STREET ART Pag. 48

2.1 Graffitismo vs Street Art Pag. 49

2.2 Art Pag. 58

2.1.1 Pag. 61

2.1.2 C215 Pag. 62

2.3 Poster Art Pag. 65

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2.3.1 Pag. 68

2.3.2 JR Pag. 73

2.4 Pag. 76

2.5 A mano libera Pag. 78

2.5.1 Gli Italiani Pag. 79

2.6 Altri esempi di Street Art Pag. 83

2.6.1 Street Art brasiliana Pag. 83

2.6.2 Le installazioni Pag. 86

3. LA STREET ART ENTRA NEI MUSEI E NEI VARI MERCATI Pag. 98

3.1 Il fenomeno Pag. 100

3.2 Le gallerie, le mostre, i musei Pag. 105

3.3 La brandizzazione della Street Art Pag. 109

4. IL MOVIMENTO IN ITALIA Pag. 117

4.1 La legislazione in Italia Pag. 117

4.2 Nascita e diffusione del Graffiti Writing in Italia. I treni e le fanzine Pag. 120

4.3 I luoghi Pag. 123

4.3.1 Milano Pag. 124

4.3.2 Bologna Pag. 128

4.3.3 Roma Pag. 132

4.3.4 Il resto d’Italia Pag. 135

4.3.4.1 Rimini, pilastro del Graffiti Writing italiano Pag. 136

4.4 Le manifestazioni di Arte Urbana in Italia Pag. 141

CONCLUSIONI Pag. 153

BIBLIOGRAFIA Pag. 157

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INTRODUZIONE

Il 14 febbraio 2008, un’opera di Banksy, Keep it spotless (2007, vernice spray su tela, cm 214 x 305), viene venduta da Sotheby's New York a 1.870.000 $, a sette volte la stima.1 Mai prima d’ora uno street artist aveva raggiunto valori così alti. In Italia, opere di Street Art sono presenti nelle collezioni permanenti di musei come il MACRO (Museo d’arte contemporanea) di Roma o il Museo del Novecento di Milano. Il Graffiti Writing, invece, è ormai presente nei manuali di storia dell’arte. Questi due movimenti, appartenenti alla grande famiglia della cosidetta “Arte Urbana”, termine con la quale si indica ogni tipo di intervento artistico realizzato nel tessuto urbano, sono le correnti artistiche più rappresentative del periodo a cavallo tra i due secoli. Sviluppatisi sul finire del Novecento, Graffiti Writing e Street Art, stanno dominando i primi decenni degli anni Duemila e possono essere considerate le forme artistico-espressive più attuali dell’arte contemporanea. Questa tesi verte sull’analisi storico-artistica dei due movimenti, ripercorrendo la loro storia, le evoluzioni stilistiche e le tecniche, attraverso anche i loro protagonisti e le principali esperienze curatoriali atte allo sviluppo e la diffusione di queste espressioni artistiche. Inizialmente si analizzerà il Graffiti Writing, movimento controverso e radicale, odiato o amato, che non prevede vie di mezzo. Il Graffiti Writing è un fenomeno che nasce nelle culture underground, si tratta di un movimento fortemente indipendente e semi-clandestino. Nel corso degli anni sono stati evidenziati diversi nomi per cercare di etichettare o quanto meno inquadrare all’interno di un ambito artistico questo movimento così sfuggente. Il termine “graffiti” è stato menzionato per la prima volta dai giornalisti americani, con un’accezione dispregiativa, in riguardo alle prime tag sparse per la città di New York. Gli storici dell’arte più tradizionali definiscono questa corrente: “Graffitismo”2, termine utilizzato poichè il supporto viene considerato come punto focale del movimento. Infatti: “la materialità artificiale della città costituisce per l’uomo di oggi, altrettanto artificiale, ciò che la pietra naturale ha costituito agli albori della civiltà: una “tabula” su

1 http://www.arteconomy24.ilsole24ore.com/quotazioni/artisti.php?id=565 2 Si veda come riferimento: Alinovi F., (da un progetto di), Arte di Frontiera: New York graffiti, catalogo a cura di Marilena Pasquali e Roberto Daolio, Milano, G. Mazzotta, 1984; Barilli R., L’arte contemporanea, Milano, Feltrinelli Editore, 2007; Bonito Oliva A. (a cura di), American Graffiti, Roma, Panepinto arte, 1998. 4 cui esprimersi. Ed anche l’enigmaticità degli antichi segni somiglia all’enigmaticità di quelli presenti.”3 Il termine risulta accettabile per le prime analisi su questo fenomeno, in riferimento alla scena newyorchese degli anni Ottanta, sebbene si vedrà in seguito come molti artisti attribuiti al Graffitismo, in realtà non hanno nulla a che vedere con i giovani che lavorano sul tessuto urbano. Al giorno d’oggi questo termine risulta ormai riduttivo e leggermente passatista. Associato a “Graffitismo” talvolta è possibile trovare anche l’espressione “Graffiti Art”. Questa definizione risulta ancora meno corretta della prima, poichè gli iniziatori del movimento non erano interessati al mondo dell’arte e decisamente non si ritenevano artisti. Il fenomeno, infatti, è iniziato come forma espressiva di comunicazione e solo successivamente è approdato nella sfera artistica. Meglio allora utilizzare il termine “Writing”, termine scelto dagli stessi protagonisti (i writer appunto) che esplicita la cifra caratteristica del movimento, ossia la scrittura. In questa tesi verrà utilizzato il termine “Graffiti Writing”4 perchè si è voluto accorpare il termine accademico a quello di uso corrente e tenere in considerazione, così, tutta la storia del movimento, dagli inizi degli anni Settanta a oggi. Il Graffiti Writing verrà analizzato ripercorrendo le sue origini, approfondendo quindi la scena americana, in particolare quella newyorchese. Nel primo capitolo si ripercorrerà la sua storia, dalle origini negli anni Sessanta, all’assalto dei vagoni della metropolitana negli anni Settanta, fino ad arrivare al riconoscimento da parte del mondo artistico negli anni Ottanta. Verranno in seguito esaminati i principali esponenti di questo movimento. Con l’avvento del nuovo millennio si impongono nello spazio urbano nuove forme artistiche. La Street Art in tutte le sue declinazioni diventa padrona indiscussa delle strade. Il Graffiti Writing e la Street Art diventano le espressioni artistiche più diffuse in tutto il pianeta: risulta quasi impossibile, infatti, trovare delle città urbanizzate totalmente prive di qualche forma di Arte Urbana. Edifici abbandonati, muri periferici, facciate di palazzi, segnali stradali..nell’Arte Urbana, tutto il tessuto cittadino viene considerato come una candida tela su cui dipingere, riuscendo anche nell’intento di trasformare i non-luoghi in luoghi5. Verranno in seguito approfonditi i principali sotto-generi della Street Art con i loro rispettivi artisti più rappresentativi: Stencil Art, ossia una delle prime espressioni di Street Art, con il suo pioniere

3 Balderi I, Senigalliesi L., (a cura di), Graffiti Metropolitani – Arte sui muri delle città, con testi di A. Abruzzese, G. Dorfles, D. Origlia, Costa & Nolan, Genova, 1990, p. 11. 4 Termine utilizzato anche in Mininno A., Graffiti writing: origini, significati, tecniche e protagonisti in Italia, Milano, Mondadori, 2008. 5 Per il concetto di non-luogo si rimanda a Augé M., Nonluoghi: introduzione a una antropologia della surmodernità, Milano, Elèuthera, 2009. 5

Blek le Rat e con una delle sue figure più attuali, C215; Poster Art, tecnica preferita dei due tra i più brillanti street artist degli anni Duemila, ossia, Shepard Fairey e JR; poi ancora Sticker Art e le opere di pittura murale a mano libera, con un’attenzione particolare agli italiani Blu e Ericailcane; infine si esporranno gli altri principali esempi di Street Art, come quelli della tradizione brasiliana o le installazioni. Dopo aver descritto le peculiarità tecnico-stilistiche e la concezione artistico-culturale su cui si fondano i movimenti del Graffiti Writing e della Street Art, si analizzerà l’influenza che questi movimenti hanno avuto nel mondo dell’arte, in particolare sull’andamento delle quotazioni di mercato, sulla nascita di gallerie specializzate e sulla tendenza a realizzare mostre e manifestazioni specifiche per lo sviluppo e la diffusione di queste espressioni artistiche. A questo scopo, sarà necessario approfondire la figura di Banksy, uno dei più – se non il più – conosciuti street artist a livello mondiale. Con l’avvento di Bansky e dei suoi trasgressivi interventi, tutti i media hanno iniziato ad interessarsi di Graffiti Writing e di Street Art: i giornali pubblicano articoli sui due movimenti, nascono siti internet specializzati per la diffusione e per la tutela delle opere di arte urbana e vengono anche realizzati numerosi documentari6. Il Graffiti Writing e la Street Art si espandono in maniera tale che invadono anche altri settori e altri mercati. Il campo che più viene influenzato dalle culture underground è quello della moda e alcuni street artist decidono così di reinventarsi imprenditori ottenendo successi travolgenti. Ne sono un esempio le esperienze di Obey Clothing e Eckō unltd. L’ultima sezione della tesi sarà dedicata al movimento del Graffiti Writing e della Street Art in Italia. Nel territorio italiano, come in tutto il mondo, il Graffiti Writing è il movimento che si sviluppa prima rispetto alla Street Art. Il Graffiti Writing americano, dopo aver viaggiato in Europa, approda in Italia sul finire degli anni Ottanta e si espande a macchia d’olio in tutte le principali città italiane. Lo stile americano, già contagiato dalle influenze europee, trova in Italia un terreno molto fertile e si evolve in uno stile nazionale del tutto peculiare. Milano, Bologna e Roma sono i centri con più fermento, dove si sviluppano i primi stili ed emergono i primi writer. Dieci anni più tardi si accostano al Graffiti Writing le prime opere di Street Art e in poco tempo gli street artist nostrani raggiungono le vette della Street Art mondiale, dimostrando uno stile unico, che unisce innovazione e tradizione. Artisti come Lucamaleonte, Orticanoodles, Ozmo e Sten & Lex sono invitati a partecipare nei festival di Arte Urbana più importanti a livello internazionale e sono inseriti nei principali volumi specializzati in Street Art.

6 Interessante a questo proposito è il film di Banksy del 2010: Exit Through the Gift Shop. Si tratta di un mockumentary, ossia un film realizzato con uno stile finto-documentaristico, sulla Street Art. Nel film appaiono anche gli artisti Shepard Fairey, Invader e lo stesso Banksy. 6

Negli ultimi anni le amministrazioni locali italiane hanno rivalutato l’importanza dell’Arte Urbana all’interno dell’ambito cittadino e hanno iniziato a incentivare manifestazioni di Graffiti Writing e Street Art, per la riqualificazione e lo sviluppo di aree urbane. Il Graffiti Writing e la Street Art sono i movimenti artistici più influenti degli ultimi trent’anni. Hanno influenzato il mondo dell’arte e molte altre sfere del nostro vivere quotidiano. L’obiettivo di questa tesi è proprio quello di dimostrare che possono essere considerati a pieno titolo le correnti artistiche caratterizzanti degli inizi del nuovo millennio.

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CAPITOLO 1. IL GRAFFITI WRITING AMERICANO

“I didn’t go out premeditating to inspire anyone. I don’t blow my own horn, but, in retrospect i guess i’d have to say that we did inspire people. We started something without the slightest notion that it would get to this point. We didn’t realize the baby that we bore”.7 Lee 163D!

I graffiti contemporanei sono un grande paradosso. Come superficie per l’esecuzione di queste espressioni artistiche viene utilizzato un supporto resistente e duraturo, eppure il graffito contemporaneo è effimero, transitorio, poichè a causa della sua accessibilità o della sua illegalità, può scomparire anche dopo un breve lasso di tempo, cancellato o coperto. Inoltre i graffiti sono eredi di una grande tradizione di decorazione parietale, ma sono spesso soggetto di fraintendimenti: arte pubblica per alcuni, mero vandalismo per altri; un sentimento idiosincratico verso i graffiti accomuna i cittadini e inizialmente anche il mondo dell’arte. Ma tutto ciò ai creatori di queste opere non importa. La loro produzione è un punto di rottura nell’ordine urbano, sociale e artistico. Gli stessi writer (ossia coloro che verrebbero apostrofati, dai non addetti ai lavori, come “graffitisti” o “graffitari”), inizialmente, non la considerano arte, ma una disciplina, che possiede una storia, prevede uno studio e delle regole e pretende passione e costanza. Il risultato è un’espressione comunicativa realizzata all’aperto, sui muri, attraverso segni grafici ed componenti figurative. Questi elementi estetici, evolvendosi, traducono la manifestazione comunicativa in una forma artistica. Il Graffiti Writing, ossia la pratica di dipingere sui muri, solitamente con la bomboletta spray o con dei pennarelli, è un’espressione artistico-culturale democratica e proletaria, contestata e allo stesso tempo lodata. Per tutte queste caratteristiche, si può definire un’arte dinamica e viva.

“Il graffito è contro l’arte, quella ufficialmente conosciuta come tale. È contro Thanatos, quel fantasma di morte che aleggia sull’opera d’arte tradizionale, il quadro, la scultura, l’affresco, destinati a durare e a distribuire godimenti, raffinate estesie, al pubblico, nei secoli. Il graffito non è il surgelato dell’opera da museo, da galleria, da collezione o da esposizione. Se pensiamo che una gran parte della comunicazione artistica ufficiale è uccisa nella misura in cui viene imbalsamata per una eterna sopravvivenza di conservazione, è chiaro che il graffito murale non si preoccupa di vita lunga o breve, e può dare il massimo di sè nell’attimo fuggente, non nel mortifero “attimo fermati perchè sei bello”. La sua

7 “Non uscivo con l’intenzione di dare l’ispirazione a qualcuno. Non per menarmela, ma retrospettivamente mi sembra di dover dire che abbiamo ispirato diverse persone. Abbiamo dato inizio a una cosa senza aver la minima idea di dove sarebbe arrivata. Non ci rendevamo conto di che razza di bambino avessimo generato.” Lee 163D! in Style: writing from the underground: (r)evolutions of aerosol linguistics, Stampa alternativa/Nuovi equilibri, Viterbo, 1996, p. 14. 8

accessibilità totale senza orari è contro il godimento ad ore fisse del museo, è contro quella eutanasia dell’arte che è la museificazione.”8

Questo concetto è già caro anche al filosofo John Dewey (1859-1952), il quale, nel suo saggio del 1934 L’Arte come esperienza, afferma che l’arte non deve essere segregata in un mondo appartato, fuori dalle condizioni di esperienza umane, entro le quali invece questa è nata, poichè l’opera d’arte è il modo in cui il prodotto opera con e nell’esperienza.9 Il Graffiti Writing è un fenomeno che nasce spontaneo, in strada. Si tratta di un processo messo in atto da gruppi di ragazzini, una guerrilla urbana evoluta poi in tendenza artistica. Una linea sottile divide il Graffiti Writing tra fenomeno di strada e processo artistico e non sono mai mancate le disquisizioni su quale fosse il suo ambito di appartenenza. Come asserisce anche Barilli:

“Nasceva anche il problema connesso di stabilire dove, in tutto ciò, si fermasse la pressione del fenomeno popolare, immediato e spontaneo, ovvero il graffitismo che una folla di operatori anonimi vergava ogni giorno sui vagoni della metropolitana o sugli immobili cittadini; e dove invece iniziasse a manifestarsi un processo di scelta, di sfruttamento abile e intelligente da parte di chi, malgrado tutto, aveva mangiato la foglia.”10

La città di New York è la culla di questo fenomeno. In questa città il Graffiti Writing è cresciuto, è maturato e si è arricchito. Achille Bonito Oliva precisa l’importanza di New York come incubatrice del movimento:

”Il graffitismo è un fenomeno antropologicamente autentico, sincrono alla realtà urbana americana, in particolare quella di New York, in quanto effetto di una realtà multirazziale, ma anche di una memoria culturale, legata all’Europa e ai linguaggi delle avanguardie storiche. La sintesi delle arti, parola, musica, danza, architettura, scenografia, movimento, già teorizzate da Kandinskij e Marinetti, assume un senso nuovo nel contesto urbano di New York, dirompente.”11

In una città caratterizzata dal melting-pot di razze, culture e tradizioni, il Graffiti Writing si appropria inconsciamente delle varie correnti artistiche, creando così qualcosa di pre-esistente, ma completamente nuovo nel contesto, rivoluzionato. Dall’Europa verrà assorbito l’Informale,

8 Origlia D., in Graffiti Metropolitani – Arte sui muri delle città, con testi di Abruzzese A., Dorfles G., Origlia D., Genova, Costa & Nolan, 1990, p. 26. 9 Dewey J., L’Arte come esperienza, Firenze, La Nuova Italia editrice, 1966. 10 Barilli R., “Il Graffitismo dal passato al futuro”, in Barbero L. M., Iovane G. (a cura di), Pittura dura. Dai graffiti alla Street Art, Milano, Electa, 1999, p.13. 11 Bonito Oliva A., “Il ragazzo raggiante”, in Gruen J., Mercurio G., Panepinto M., Keith Haring, Milano, Electa, 2001, p. 31. 9

Dubuffet sopra tutti, dal Messico si imparerà la cultura e la tecnica murale e sarà forte l’influenza degli espressionisti astratti americani. In questo crogiolo di stili si sviluppa un movimento nuovo, dirompente, con una sua propria cultura, per poi diventare, in pochi anni, un fenomeno globale.

1.1 La nascita del Graffiti Writing. Gli anni Sessanta e la prima generazione

The Faith of Graffiti è il titolo di un libro pubblicato nel 1974, che raccoglie una serie di saggi scritti da Norman Mailer, scrittore beat, uniti a fotografie di Jon Naar. Si tratta del primo volume mai dedicato alla scena del Graffiti Writing ed è tuttora considerato un elemento di studio essenziale per un’iniziazione a questa cultura. Il nome è eloquente, poichè racchiudere il fenomeno del Graffiti Writing sotto il termine di corrente, movimento o espressione artistica sarebbe riduttivo; per i writer il graffito è una vera e propria fede. Con The Faith of Graffiti si legittima per la prima volta l’azione di questi giovani, viene riconosciuto l’impatto delle loro opere sul piano artistico e sociale e viene previsto il suo carattere di fenomeno globale:

“there was always art in a criminal act, but graffiti writers were somewhat opposite to criminals since they were living through the stages of the crime in order to commit an artistic act – what a doubling of the intensity of the artist’s choice when you steal not only the cans but try for the colors you want, not only the marker and the color, but the width of the tip or the spout, and steal them in double amounts so you don’t run out in the middle of a masterpiece. […] when the cops are out of sight and a train is coming in, they whip out their stash of paint from its hiding place, conceal it on their bodies, get on the cars to ride to the end of the line, where in some deserted midnight yard they will find their natural canvas which is of 12 course that metal of New York, […] metal as a surface on which to paint is even better than stone.”

Il Graffiti Writing si sviluppa negli Stati Uniti sul finire degli anni Sessanta. Fino ad allora ci si limitava a scritte a sfondo politico – ad esempio contro la guerra in Vietnam – o comunque inerenti ad un ambito socio-antropologico. Per la prima volta, verso la fine degli anni Sessanta e ancor più

12 “C’era sempre arte in un atto criminale, ma i writer erano in qualche modo l’opposto di criminali, dal momento che commettevano crimini allo scopo di compiere un atto artistico. L’intensità è raddoppiata quando rubi non solo le bombolette, ma scegli anche i colori che vuoi, non solo i pennarelli e i colori, ma anche la larghezza della punta o dello spruzzo, e ne rubi in doppia quantità, così da non rischiare di esaurirli nel bel mezzo di un masterpiece. […] Quando i poliziotti sono lontani e un treno si sta avvicinando, loro tirano fuori le loro scorte di bombolette dai loro nascondigli, le nascondono addosso, salgono sui vagoni per arrivare in fondo alla linea, dove in qualche deposito notturno deserto troveranno la loro tela naturale, che è naturalmente quel metallo di New York, […] la cui superficie da dipingere è migliore rispetto alla pietra.” Mailer N., The Faith of Graffiti, New York, Harpercollins, 2009, pp. 11-12. (traduzione mia). 10 durante i Settanta, vi è una rottura: non si pensa più solo al contenuto, al messaggio da veicolare, ma ci si interessa principalmente alla forma. In questi anni, il graffito si tramuta in una valvola di sfogo per i giovani abitanti dei ghetti delle grandi megalopoli, un mezzo attraverso il quale rivendicare la loro libertà d’espressione. Il sociologo francese Jean Baudrillard (1929-2007), in un suo breve saggio riguardante i graffiti, paragona la città, con i suoi muri, i suoi angoli, i suoi mezzi pubblici, ad un corpo. Sul corpo si possono fare i tatuaggi e nelle società primitive i tatuaggi hanno una grande importanza rituale e simbolica; senza tatuaggi, così come senza una maschera, un corpo si mostra così com’è: nudo e inespressivo. I graffiti sono per i muri quello che i tatuaggi sono per il corpo. Tatuando i muri, i writer li liberano dalla loro architettura e li ritrasformano in una sostanza socialmente vitale, nel corpo vibrante di una città, di come era, prima di essere stigmatizzata dalle sue funzioni e istituzioni.13 Il Graffiti Writing è un fenomeno estremamente legato al territorio, innanzitutto perchè i writer considerano i muri e i treni le loro tele e le strade sono le loro gallerie. Inoltre, questo fenomeno nasce, come già asserito in precedenza, dalla strada, dal basso. Nel corso degli anni i graffiti si sono insediati nel territorio, dialogando con esso e caratterizzandone la struttura (spesso sono presenti nelle zone industriali o periferiche). Questa forma espressiva può essere quindi compresa nel genius loci di una città. Le teorie sul luogo di nascita di questi graffiti contemporanei sono diverse: alcuni ritengono che il fenomeno sia nato sulla West Coast, più precisamente a Los Angeles, da alcune gang, le quali iniziarono a marcare il loro territorio scrivendo a chiare lettere il nome della gang sui muri all’ingresso di ogni quartiere. “Per distinguersi e salvaguardare la propria identità, le gang svilupparono stili calligrafici diversi. Il primo stile a essere rielaborato fu quello legato all’alfabeto gotico, scelta dettata soprattutto dalla forte influenza messicana. Le scritte […] avevano un valore puramente intimidatorio”.14 Altre teorie fanno nascere il Graffiti Writing in Canada attraverso i monikers15, altre ancora, secondo la teoria più accettata e consolidata, nella East Coast, in particolar modo a Philadelphia. Cornbread è un nome ricorrente sui muri di Philadephia ed è considerato uno dei primi, se non il primo, writer conosciuto. [figura 1]

13 Per questo concetto si rimanda a Baudrillard J., Kool killer, ou l’insurrection par les signes, éditions Les partisans du moindre effort, 2005, p. 36. 14 Macchiavelli M., Spray art, Milano, Fabbri Editore, 1999, p. 6. 15 I monikers sono artisti che creano disegni con gessetti ad olio sui treni merci. Sono nati durante la grande Depressione degli anni Trenta e la tradizione è viva ancora oggi. In Ganz N., Graffiti World: Street Art dai cinque continenti, Milano, L’Ippocampo, 2006, p.18. 11

Come descritto nel volume Graffiti kings: New York City Mass Transit Art of the 1970es, che ripercorre tutta la storia del Graffiti Writing a New York, a metà degli anni Sessanta compaiono per la prima volta graffiti su larga scala:

“Territorial graffiti started along the boundaries of ghettos and ethnically exclusive neighborhoods. Early Philadelphia graffitists realized that public transportation vehicles would have a much larger audience than any fixed location. They spread their linear graffiti, simple line-based letters, as opposed to the more elaborate and stylized works that would soon appear in New York, along the public transportation routes, with buses and subways the favorite targets. By the late 1960s, the buses and subway trains in 16 Philadelphia were saturated with graffiti, while in New York the trend was just beginning.”

I graffiti si spostano quindi dai muri ai mezzi pubblici e il supporto diventa dinamico. I mezzi di trasporto pubblico saranno i supporti dominanti durante il periodo newyorchese. Cornbread e il suo partner Cool Earl sono i capostipiti di questo fenomeno e vengono considerati appartenenti alla prima generazione di writer, insieme ad altri giovani di New York come o . Questi writer utilizzano un lettering semplice e lineare, non sono interessati all’estetica: il loro obiettivo è quello di marcare il territorio. Il termine stesso writer infatti, significa “scrittore” ed è ciò che questi ragazzi intendono fare: scrivere il loro nome, sempre e ovunque.

1.2 New York e la seconda generazione

Nei primi anni Settanta i graffiti iniziano a invadere anche la città di New York. Si dà il via alla seconda generazione di writer. Questa seconda generazione viene descritta da Stewart così:

“The second generation of writers began hitting the subway system during the summer of 1971. The greatest number of famous writers, most of them only thirteen or fourteen years old, came from this generation. Some didn’t even start until 1972. These imaginative writers pioneered the break with

16 “I graffiti territoriali iniziarono lungo i confini dei ghetti e nei quartieri etnici. I writer di Philadelphia realizzarono che i mezzi di trasporto pubblici avrebbero avuto una maggiore visibilità e maggior audience rispetto a località fisse. Essi sparsero i loro graffiti lineari, semplici lettere basilari – l’opposto rispetto ai lavori più elaborati e stilizzati che sarebbero presto apparsi a New York – lungo le linee di trasporto pubblico, con autobus e metropolitane come target prediletti. Alla fine degli anni Sessanta gli autobus e i treni della metropolitana di Philadelphia erano saturi di graffiti, mentre a New York la tendenza stava appena cominciando.” Stewart J., Graffiti kings: New York City Mass Transit art of the 1970s, New York, Melcher Media, 2009, p.16. (trad. mia). 12

traditional graffiti. Using spray paint, they hit the outsides of the subway cars with large masterpieces and grand designs, making many of them legends and changing the meaning of graffiti.”17

Inizialmente si tratta di tag, ossia di firme, realizzate inizialmente con dei markers, dei pennarelli indelebili a punta molto larga, ripetute ossessivamente dai giovani per far conoscere il proprio nome. I writer non utilizzano il nome vero di battesimo, ma scelgono uno pseudonimo, un nome d’arte, il quale spesso viene associato ad un numero, solitamente romano, che corrisponde al numero della street, ossia della via, di appartenenza. In Graffiti kings si spiega che i nomi diventati molto popolari vengono anche venduti per cinque dollari, a patto che il nome sia seguito dal numero di discendenza. I ragazzi bianchi utilizzano solitamente il loro nome o soprannome, quelli afro- americani scelgono spesso nomi derivati dallo slang di strada, come Super Kool, Stay high, Topcat, o nomi africani. I ragazzi portoricani invece adottano nomi iper-americani, come Cola, Snake, ecc…18 Per un giovane writer il nome è tutto. Bisogna onorare il proprio nome e rispettare quello degli altri: “il nome personifica la tua esistenza e mancargli di rispetto è come un’aggressione alla tua integrità fisica. Scrivere sopra a un altro writer, specialmente sopra a uno sconosciuto può portare tutta una serie di conseguenze.”19 È essenziale acquisire uno stile unico, innovativo e soprattutto riconoscibile, poichè la tag rappresenta la propria personalità e dalla firma dipende il rispetto del gruppo e la stima degli altri writer. I ragazzi che iniziano a “taggare”, o a “colpire” (hit)20 la città, sono tutti adoloscenti, spesso di origini afro-americane o latino-americane e i motivi per cui iniziano a compiere queste azioni non hanno a che vedere con motivazioni artistiche o politiche. Taki 183, uno dei pionieri del tagging insieme a Julio 204, sulle motivazioni che lo hanno spinto a prendere il marker in mano e a iniziare a marchiare la città con il suo nome, afferma: “I was bored, and i didn’t want to get involved with

17 “La seconda generazione di writer iniziò a colpire il sistema metropolitano durante l’estate del 1971. I writer più famosi, quasi tutti tra i tredici e i quattordici anni, appartengono a questa generazione. Alcuni non iniziarono fino al 1972. Questi writer creativi furono i primi a rompere con i graffiti tradizionali. Usando le bombolette, dipingevano sulle pareti esterne dei treni larghi masterpiece e grandi disegni, diventando così delle leggende e mutando il significato di graffiti”. Stewart J., op. cit., p. 41. (trad. mia). 18 Ivi, p. 28. 19 A. vari, Style, writing from the Underground. (R)evolution of aerosol linguistic, Stampa Alternativa in Association with IGTimes, Viterbo, Nuovi Equilibri, 1996, pp. 33-34. 20 “Quando scrivevi, facevi riferimento al tuo nome come a una firma e quando mettevi il tuo nome o pensavi di metterlo in un determinato punto, questa azione diventava un colpo, stavi colpendo, non taggando come dicono ora”. Phase II in Style, writing from the Underground. (R)evolution of aerosol linguistic, cit., p. 26. 13 drugs, so i started writing my name around”21 In Spraycan art, uno dei principali libri dedicati all’argomento dell’Aerosol Art, pubblicato per la prima volta nel 1987, James Prigoff dichiara: “kids write graffiti because it’s fun. It is also an expression of the longing to be somebody in a world that is always reminding you that you’re not”.22 Proprio grazie a Taki 183, nel 1971 si inizia a parlare del fenomeno di “imbrattamento” che si sta diffondendo in maniera esponenziale nella città di New York. Il 21 luglio 1971 il “New York Times” pubblica un articolo su Taki 183 dal titolo: “Taki 183 Spawns Pen Pals”, letteralmente: “Taki 183 genera amici di penna”, nel quale si parla di Taki, di come abbia iniziato e del perché e vengono citati anche altri nomi di bomber23 operativi all’epoca, tra i quali Joe 136, Barbara 62, Eel 159, Yank 135 e Leo 136. [figura 2] Nonostante sia Taki 183 a raggiungere la notorietà, il primo vero bomber della scena newyorchese può essere considerato a pieno titolo Julio 204. Egli non gode della stessa fama di Taki 183, poiché non esce mai dal suo quartiere, è un bomber territoriale, ma è il primo ad aggiungere il numero della street dopo il nome e come ricorda anche Taki: “he was way ahead of everybody. Julio didn’t write that much, but he was so original you have to give him credit.”24 Taki 183 ritiene inoltre che Julio 204 abbia iniziato a colpire i muri già dal 196725. I primi luoghi colpiti dai writer della prima generazione sono Washington Heights (già dal 1969) a Manhattan, il Bronx e Brooklyn. Questi writer iniziano all’incirca a sedici anni e rimangono attivi fino alla fine dell’adolescenza. Quando chiedono a Taki 183 del motivo del suo abbandono della scena già attorno al 1973, egli risponde serafico solamente che “when you’re nineteen, you don’t do what you were doing at sixteen”26 Sebbene i primi supporti bombardati siano muri di scuole e parchi, molto presto si passa a quelli in movimento come autobus e camion, fino a colpire i vagoni della subway, prima internamente poi esternamente. Con centinaia di treni a disposizione e migliaia di persone che utilizzano la metropolitana ogni giorno, quest’ultima sembra il mezzo migliore per diffondere il proprio nome e poter essere notati. Da questo momento si crea un legame inossidabile tra il writer e la subway. Le

21 “Ero annoiato e non volevo essere coinvolto con le droghe, perciò iniziai a spargere il mio nome in giro”. Stewart J., op. cit., p. 20. (trad. mia). 22 “I ragazzi scrivono graffiti perchè è divertente. É anche un’espressione del desiderio di essere qualcuno in un mondo che ti ricorda sempre che non lo sei.” Chalfant H., Prigoff J., Spraycan art, London, Thames & Hudson, 1995, p.7. (trad. mia). 23 Bomber da bombing, bombardare. Così viene chiamato chi riempie la città con la propria tag. 24 “Era una spanna sopra tutti. Julio non ha scritto molto, ma era così originale, che bisogna dargli credito”. Stewart J., op. cit., p. 22. (trad. mia). 25 Ibidem. 26 “Quando hai diciannove anni, non fai le stesse cose che facevi quando ne avevi sedici.” Ivi. p.23. (trad. mia). 14 stazioni della metropolitana diventano luoghi d’incontro e di scambi di idee. Dipingere i vagoni di un treno diventa una vera e propria sfida. Come ricorda Prigoff: “A New York, i writer hanno una sorta di attaccamento mistico verso i treni […] i treni sono l’arena dove ciascuno può sfidare se stesso”.27 Nonostante il Subway Writing (ossia il Graffiti Writing praticato nelle linee metropolitane) diventi il fenomeno principale in questi anni (fenomeno nato nel 1968 e finito nel 1989, quando la Metropolitan Transit Authority lo reprime definitivamente) non si cessa comunque di scrivere anche sui muri:

“Throughout the history of New York subway graffiti, writers also did pieces on walls. They were a good place on which to practice and in periods when the “buff” was operating they presented a convenient alternative to trains, a place to keep your name up. […] Graffiti as an art form began to flourish when the writers, as they had come to be known, turned to the subways to take advantage of the high visibility, the huge potential audience, and the link with other like-minded kids throughout the city. Other writers stayed away from the trains and concentrated instead on painting in their own neighborhoods […] still others were adept at both trains and walls.”28

Nel 1971, le maggior parti delle stazioni di Manhattan, del Bronx e di Brooklyn sono sature di graffiti. Tutti i muri delle stazioni sono taggati e alcune stazioni diventano veri e propri ritrovi per i giovani writer. Questi punti d’incontro prendono il nome di Writers Corners e tra i più popolari si possono ricordare la stazione della 149th street e Astor Place, stazione dell’East Village, uno dei quartieri più attivi e prolifici per la cultura underground degli anni Ottanta. Come ricorda anche Barbero nel saggio “Say it loud” in questi luoghi

“si canonizzano, fondano e originano gli Stili: nascono ora le prime classificazioni che, con regole ferree sull’originalità e con il controllo su coloro che – biting – copiano lo stile di un altro prevedono l’esclusione per chi invade lo spazio di un altro. La metà degli anni Settanta corrisponde allora alla perdita dell’anonimato e all’acquisizione di una identità, si definiscono i ruoli, nascono i personaggi.”29

27 Chalfant H., Prigoff J., op. cit., p. 8. 28 “Durante tutta la storia del Subway Writing newyorchese, i writer facevano “pezzi” anche sui muri. I muri erano un buon posto dove far pratica e durante i periodi di “ripulitura” dei treni, rappresentavano una valida alternativa, un luogo dove continuare a far girare il proprio nome. […] I graffiti come forma d’arte iniziarono a prosperare quando i writer passarono alla metropolitana, approfittando dell’alta visibilità, del largo audience e dei contatti con gli altri ragazzi. Altri writer stavano lontani dai treni, limitandosi a dipingere murales nei loro quartieri […] Altri erano bravi sia con i treni che non i muri.” Ibid. (trad. mia). 29 Barbero L. M., “Say it loud”, in Dubuffet e l’arte dei graffiti, Barilli R. (a cura di), Milano, Mazzotta, 2002, p. 19. 15

All’inizio degli anni Settanta viene introdotto anche lo strumento che ha rivoluzionato il modo di fare tagging: si inizia ad utilizzare la bomboletta spray – possibilmente rubata– al posto dei più comuni markers. Nasce così l’Aerosol Era. Come già asserito, le tag del primo periodo sono delle semplici firme, senza decori o ornamenti, l’estetica non è una priorità. L’unico obiettivo è quello di espandere il proprio nome scrivendolo in più luoghi possibili. Il risultato è quindi un gesto rapido, sincopato. Come afferma Taki 183: “All you needed was something small, something someone would see out of the corner of their eye as they passed it.”30 Ben presto però, la situazione inizia ad evolvere. Il giovane writer è ambizioso, vuole farsi conoscere e pretende che la gente parli di lui, quindi, per ottenere notorietà e rispetto, il suo nome deve spiccare e prevalere sugli altri. Inizia così una vera e propria ricerca artistica sul lettering: “despite the very real fears of arrest, the spirit of intense competition was constantly pushing the writers to do better, larger, and different graffiti, leading to a rapid evolution in both scale and design.”31 Junior 161 è uno dei primi writer a sperimentare una scrittura in larga scala. I commenti, non sempre positivi, non tardano a venire, in primo luogo dal suo partner professionale Cay 161: “that’s just fanciness. How are you going to get your name around doing all that fancy stuff?”32 Il fenomeno del Graffiti Writing produce un’influenza sempre maggiore verso i giovani e unendosi ad altre espressioni artistiche come la musica (rap), la danza (breakdance), a un certo tipo di abbigliamento e ad un codice di comportamento sociale e linguistico, formano una vera e propria sotto-cultura. Nasce così l’Hip Hop e con esso fioriscono anche i primi gruppi di aggregazione. Le crews sono delle “bande” che nascono spontaneamente, ciascuna con regole interne, composte da almeno due persone, solitamente con una persona a capo del gruppo, scelta in base meritocratica. Per un writer la crew è considerata quasi una famiglia. La crew dipinge insieme, tant’è che non i writer non firmano più con il proprio nome, ma utilizzano il nome del proprio collettivo. Al suo interno si scambiano idee e si migliorano le capacità tecniche. Nessuno insegna ai giovani writer l’arte dei graffiti. Un aspirante writer deve mostrare il proprio potenziale, la passione e la tenacia per poter fare ingresso in una crew, così poi da poter imparare le varie tecniche osservando i writer più esperti. La prima crew a formarsi è quella degli Ex Vandals e molte altre ne seguono. Tra le più

30 “tutto quello che ti serviva era qualcosa di piccolo, qualcosa che qualcuno avrebbe visto di sfuggita con la coda dell’occhio mentre passava.” Stewart J., op. cit., p. 35. (trad. mia). 31 “nonostante la reale paura di essere arrestati, l’intenso spirito di competizione spingeva i writer a fare graffiti sempre migliori, sempre più grandi e differenti, portandoli a un’evoluzione nelle dimensioni e nel design.” Ibid. (trad. mia). 32 “sono solo scarabocchi. Come fai a diffondere il tuo nome con tutti quegli scarabocchi?” Ibid. (trad. mia). 16 rappresentative degli anni Settanta si contemplano: The Wanted club e Wild Style, fondate entrambe da Tracy 168, Rock Steady crew, istituita qualche anno dopo, nel 1977, famosa non solo come Writing crew, ma anche come crew di breakdance e musica rap e infine The Fabolous Five, i cui membri sono tra i primi a battersi per il riconoscimento dei graffiti come forma d’arte. [figura 3]

1.3. Nascono gli stili

“Non importa quanto bene dipingiate o altro, è importante lo stile. […] é necessario portare a un livello superiore il concetto di scienza e architettura della lettera in modo da capire che cosa è giusto e cosa non lo è. La forza del writing deriva fondamentalmente dalla bombola e si estende attraverso le menti di chi, tra noi, la considera una scienza.”33

Queste sono le parole di Phase II, uno dei maggiori rivoluzionari nell’ambito del Graffiti Writing. Phase II è considerato da tutti un king, ossia un maestro dello stile. Egli è uno dei primi writer ad apportare cambiamenti e migliorie alle scritte: dall’introduzione di simboli o elementi decorativi, all’invenzione di nuovi font. Si ritiene che sia proprio Phase II infatti, ad aver inventato le bubble letters (o softies), uno dei font più utilizzati ancora oggi. Con gli anni Settanta e l’avvio della seconda generazione, come già anticipato, inizia una vera e propria ricerca stilistica ed emergono nuovi stili di scrittura. Come si illustra nel volume Writing: storia, linguaggi, arte nei graffiti di strada:

“L’apparizione sulla scena di un certo numero di stili identificabili rappresentò una vera e propria rivoluzione per il mondo del writing. Tutto il movimento cominciò a muoversi verso la sperimentazione di forme e tratti che fossero inconsueti e imprevisti il più possibile, la parola d’ordine era: innovare. Esisteva solo la parola, il colore e l’evoluzione dello stile; l’educazione scolastica non era certo discriminante, contavano la creatività e l’ispirazione che si basava sulle immagini prodotte dalla cultura di massa o trovate sulla strada, ma reinterpretate soggettivamente. Il writing era sempre più simile a un gioco, una competizione di lettering, il cui centro era rappresentato dai vagoni della metropolitana.”34

In seguito ai vari articoli usciti sui giornali nell’estate del 1971 – da quello già citato su Taki del “New York Times”, a quello del “Times” dello stesso anno sul deterioramento dei monumenti e dei mezzi pubblici a causa dei graffiti – il fenomeno diventa cosa pubblica, si inizia a parlare dei writer e a conoscere i loro nomi. I writer vogliono farsi riconoscere e cercano così di uscire dal coro

33 Macchiavelli M., op. cit., p. 77. 34 Lucchetti D., Writing: storia, linguaggi, arte nei graffiti di strada, Roma, Castelvecchi, 1999, p. 22. 17 attraverso la sperimentazione. I graffiti non sono più delle semplici tag, ma diventano pieces, “pezzi”, derivanti dal termine masterpiece (capolavori). I pezzi sono grandi, colorati e complessi. Le firme risultano estremamente decorate, iniziano a comparire figure e personaggi (i puppets) e si raccontano delle storie. I graffiti diventano degli enormi affreschi creati attraverso la vernice spray. Inoltre, si inizia a competere per il titolo di king (re). Due sono i criteri necessari per poter essere incoronato king: quantità di pezzi creati e qualità degli stessi. Viene premiata quindi l’innovazione e la costanza. Se un writer ha uno stile originale, ma realizza solo pochi pezzi, non potrà mai essere incoronato king e il suo nome verrà presto dimenticato. Uno dei primi king è Lee 163D!, il quale per primo inizia a colpire l’esterno dei vagoni dei treni. Con l’avvento delle bombolette spray, l’interno dei vagoni diventa inagibile per via dei fumi. Inoltre gli interni dei vagoni sono ormai saturi di scritte, perciò l’esterno risulta una valida soluzione alternativa. Bombardando l’esterno dei vagoni si ha a disposizione molto più spazio, perciò i giovani bomber iniziano a dare sfogo alla loro creatività e a dare sfoggio delle loro velleità artistiche. Molto comune è la pratica del biting: un writer prende spunto da uno stile pre-esistente creato da un altro writer e lo rimodella, lo modifica o lo combina con altri elementi, fino a realizzarne uno nuovo. Sebbene alcuni writer non acconsentino che altre persone si approprino dei loro stili, questa pratica è accettata da molti (purchè sia palesato il modello di riferimento), anche perché la reputazione di un writer aumenta se il suo stile viene usato come modello da altri. Tra le prime novità stilistiche vi è l’introduzione di simboli tra le lettere. Uno dei primi simboli, in uso ancora oggi, è la freccia. Trattasi di uno dei simboli più popolari che indirizza, inoltre, la lettura del pezzo. Nell’ambiente dei graffiti non è semplice identificare l’ideatore di uno stile, si può avere un’idea sommaria, poiché i pezzi appaiono in gran numero nello stesso periodo. Appena si idealizza un simbolo o uno stile nuovo, questo si espande nel giro di pochi giorni. I primi ad aggiungere un freccia nel loro pezzo sono Cool Earl (il precursore di Philadelphia), Phase II, Stay High 149 e Tracy 168. Anche allo stile 3-D non è facile attribuire la paternità. L’ipotesi più accreditata è quella di Stewart (2009), il quale sostiene che All Jive 161 sia stato il primo a disegnare lettere in questo stile. La più grande innovazione, l’elemento che ha trasformato la tag in un masterpiece è però l’introduzione di una outline: si traccia una linea di contorno delle lettere, per poi riempirle con un altro colore. Le outline sono molto grandi, spesso coprono l’intera altezza o lunghezza del vagone. Quando si crea un pezzo su un vagone, si può scegliere di colpire quest’ultimo in diversi modi:

18

 WINDOW-DOWN = si crea il pezzo solo sotto i finestrini del treno;  TOP-TO-BOTTOM = si copre tutta l’altezza del vagone;  END-TO-END = si copre tutta la lunghezza del vagone;  MARRIED COUPLE = pezzo viene creato su due vagoni accostati;  WHOLE CAR = si colpisce tutto il vagone in altezza e larghezza. Pratica messa in atto dal 1974. Un whole car possiede numeri notevoli. É lungo 6 metri e alto più di 3, sono necessarie 20 bombolette e vengono impiegate almeno 8 ore di tempo.35 Un lavoro di whole car è eseguito da più di una persona, solitamente da tutta una crew.

Phase II definisce le tre caratteristiche necessarie che deve possedere un masterpiece per essere riconosciuto tale: essere in larga scala, possedere una outline e avere decorazioni tra le lettere.36 Anche in questo caso molti sono i nomi associati all’invenzione del masterpiece: Cliff 159, El Marko e Super Kool 223, tra tutti. L’evoluzione da semplice tag a masterpiece non è netta o rigorosa, ci sono molte sfumature nel mezzo. Il throw up è una evoluzione della tag. Non può definirsi masterpiece, ma è più decorato di una tag. Il gesto è veloce, vengono utilizzate lettere bubble, ossia tondeggianti, e si impiegano due colori: uno per il contorno e uno per il riempimento. Sono compiuti da bombers, il cui obiettivo è la quantità. I writer iniziano ad aggiungere ogni volta elementi diversi, sempre nuovi: dot (punti), candy stripes (striscie colorate), o clouds (nuvole). Il cloud è uno sfondo a forma di nuvola che funge da riempitivo. Innovazione significativa, poiché permette di coprire completamente gli altri nomi presenti sul vagone. Con l’avvento del masterpiece, il Graffiti Writing si fa sempre più figurativo:

“A partire da tutte queste innovazioni le firme, pur rimanendo parte fondamentale della cultura, passano in secondo piano. I writer si concentrano sull’elaborazione dei pezzi, di uno stile personale. La devastazione della scena urbana si arricchisce di colori in libertà, di schizzi frettolosi su fogli stropicciati, di genialità e ribellione. Si cerca di far sempre meglio, di stupire con cose mai viste; ogni pezzo doveva essere il più grande possibile per poter uscire fuori dai treni in corsa, farsi ammirare, vincere la distrazione della metropoli, attirare a sé tutti gli sguardi nell’attimo della sua massima gloria.”37

35 Lucchetti D., op. cit., p. 56. 36 Stewart J., op. cit., p. 62. 37 Lucchetti D., op. cit., p. 23. 19

Tutte le evoluzioni portano infine a uno degli stili più complessi e ricercati del Graffiti Writing: il . Il Wildstyle è lo stile riconosciuto dei king. Un writer non può iniziare la sua esperienza con i graffiti partendo dal Wildstyle, poiché quest’ultimo è il punto di arrivo, è l’apice della carriera di un writer. Si tratta di uno stile molto complesso: il masterpiece deve essere molto grande, colorato e le lettere sfuggenti e poco comprensibili. Il Wildstyle è frutto di una lunga ricerca artistica personale del writer. Il termine viene coniato da Tracy 168 per definire uno stile avanzato di Phase II.38

“il wild style è un selvaggio ben costruito, studiato nei minimi particolari e contemporaneamente è la libera espressione della confusione della surmodernità. […] I più banali codici semantici, regole sociali imprescindibili, vengono stravolti nel nome di una visione interiore che rifiuta tutto ciò che è stato preconfezionato da un’autorità inconoscibile. I writer non hanno interesse a farsi capire, non graffiano i muri o i vagoni dei treni utilizzando codici universalmente leggibili, semplicemente invadono le metropoli di un bisogno di espressione che intreccia il loro gioco di linee e colori in una combinazione che muta nel tempo e si muove nello spazio, per essere sempre al passo con la contemporaneità.”39

Con il Wildstyle cambia il metodo di ricezione del pezzo: un writer non viene più riconosciuto per il suo nome, ma per il suo stile e non interessa se le persone fuori dall’ambiente del Graffiti Writing non riescono a decodificare la scritta, poiché ciò che importa è che il pezzo venga recepito dai membri delle varie crews. Nel documentario Style Wars, film cult del 1982 diretto da Tony Silver e Henry Chalfant sul fenomeno del Graffiti Writing newyorchese, in un’intervista al writer Skeme, egli afferma chiaramente che quello che fa, lo fa semplicemente per sé e per gli altri writer. Esplicativa è l’affermazione di Vulcan, il writer che nel 1983 progettò la prima Hall of Fame40 di New York: “mi fermo solo quando anche io stesso non riesco più a leggermi. Solo questo è importante. Immense lettere selvagge. È tutto ciò che so fare”.41 [figura 4]

38 Macchiavelli M., op. cit., p. 47. 39 Lucchetti D., op. cit., p. 60. 40 Hall of Fame: spazio riservato ai writer dove poter dipingere liberamente. Solitamente si tratta di viadotti autostradali, muri percorrenti le ferrovie o semplicemente edifici abbandonati. Inizialmente le Hall of Fame erano organizzate illegalmente, ora spesso è proprio l’amministrazione di una città che dona legalmente gli spazi ai writer. Proprio per questo motivo la Hall of Fame ha perso il suo spirito trasgressivo iniziale ed è vista, talvolta, non più come luogo d’aggregazione innovativo e di confronto, ma come luogo di seconda categoria, usato come passatempo per perfezionare gli stili già intrapresi. 41 Macchiavelli M., op. cit., p. 78. 20

1.4 La lotta contro la MTA

“Graffiti is not an art, is a crime”, questa è una delle frasi di apertura del documentario Style Wars, pronunciate dai detective Jim McHugh e Bernie Jacobs del dipartimento della polizia dei trasporti di New York. Durante gli anni dell’esplosione del Subway Writing, la Metropolitan Transportation Authority (MTA) di New York, insieme ai vari sindaci che si sono succeduti e al dipartimento di polizia della città, hanno cercato con ogni mezzo di arginare e far cessare il fenomeno, con una lunga battaglia durata quasi vent’anni. La metropolitana di New York viaggia prevalentemente sottoterra e risale in superficie nelle zone del Bronx, del Queens e di Brooklyn; è in questi quartieri che si possono ammirare i pezzi alla luce del giorno. Le “arene”, termine evocativo che Stewart (2009) utilizza per definire i luoghi in cui i writer vanno a colpire i treni, sono principalmente le yards e i Lay-ups. I Lay-ups sono i binari centrali della subway, dove vengono depositati i treni fuori servizio (inizialmente potevano stazionare anche per tutto un weekend), mentre le yards sono i depositi veri e propri. Stewart (2009) spiega il modus operandi dei writer: I writer colpiscono i treni preferibilmente di notte e durante i fine settimana. Saltano i tornelli e percorrono la linea metropolitana fino alle rimesse, mentre per i treni non sotterranei scavalcano le recinzioni dei depositi. I viaggi sono solitamente ben coordinati e programmati. Una volta arrivati ai treni, i writer più ambiziosi lavorano a coppie o a gruppi per riuscire a produrre grandi pezzi. Ai writer più inesperti è concesso occuparsi degli sfondi o dei più comuni riempimenti. È un grande onore per un toy42 avere l’opportunità di lavorare con uno Style Master. Si può arrivare fino a quindici writer operanti contemporaneamente sullo stesso vagone. I vagoni nei depositi sono parcheggiati uno a fianco all’altro, a distanza ravvicinata. Per dipingere i vagoni, i writer solitamente pongono un piede su un vagone e l’altro su quello a fianco, oppure pongono entrambi i piedi su un vagone e si appoggiano con la schiena a quello opposto. In entrambi i casi le mani sono libere. Per raggiungere la cima dei vagoni spesso i writer salgono sulle spalle l’uno dell’altro o utilizzano addirittura delle scale. Dopo svariati minuti di lavoro i fumi delle bombolette si fanno sempre più densi, perciò è di uso comune per i writer indossare guanti o maschere anti gas. Attorno al 1970 arrivano le prime lamentele da parte dei viaggiatori e la Metropolitan Transit Authority inizia ad attuare le prime pratiche di buffing, ossia di pulizia. Si dispone di un lavaggio chimico ai vagoni, una volta alla settimana all’interno e una volta ogni tre settimane all’esterno. I risultati però non sono efficaci, la vernice dei vagoni si corrode, ma i pezzi non spariscono totalmente, così l’unico modo per eliminarli è ridipingere i treni.

42 Writer inesperto o incompetente. 21

Fino a questo periodo non esiste nessuna legge che regolamenti il fenomeno del Graffiti Writing nella subway. Se catturati, i giovani writer subiscono solamente un ammonimento e se recidivi, poiché minorenni, vengono affidati al giudice minorile. La pena è di lavare i treni e ripulirli dai propri pezzi. A questa punizione viene dato il nome: “Operazione Cleanup”. Questa blanda soluzione non porta però alcun giovamento alla pulizia dei treni, i pezzi non cessano, né diminuiscono. Il sindaco di New York John Lindsay, il 27 ottobre 1972 decide di firmare per l’approvazione della prima legge Anti-Graffiti e, sempre in quest’anno, viene formata la prima task- force anti-graffiti. Durante tutta la seconda metà di quest’anno viene attivato un programma di pulizia avanzato per tutti i treni della metropolitana. Nonostante molti pezzi siano andati perduti a seguito della pulizia, i writer non si arrendono e decidono di prendere questa ripulitura come stimolo per creare pezzi ancora migliori e ancora più imponenti. Non a caso il 1973 viene considerato il periodo d’oro della Subway Art. Sul finire del 1973, il sindaco Lindsay, alla ricerca di voti per il mandato successivo decide di fare un’ulteriore pulizia, determinato a far sì che sia quella definitiva. In questa grande e decisiva campagna di pulizia, la tattica risulta quella di coprire i pezzi con un colore blu scuro. Questo metodo funziona in parte e per un periodo seppur breve non appaiono più nuovi pezzi. Nel 1973 la città di New York spende più di 10 milioni di dollari per le opere di pulizia e ne stanzierà fino a 24 milioni con lo scopo di ridurre notevolmente il fenomeno.43 Con questa seconda grande ripulitura delle carrozze, i writer cessano di sperimentare, impegnandosi a raffinare gli stili già in uso. Nel 1974 si apre il periodo che Stewart definisce Synthetic Period: “La pulizia e la ripittura generale della fine del 1973 costituì una linea di divisione tra il periodo di formazione e il ricco periodo sintetizzato del Subway Writing.”44 La polizia dei trasporti continua a combattere i graffiti per tutti gli anni Settanta e nel 1976 viene introdotta The Anti-Graffiti Squad, formata da un piccolo gruppo di poliziotti con l’autorità anche di arrestare i giovani writer e mettere in atto strategie per limitare le azioni. Purtroppo o per fortuna però, “gli sforzi della Graffiti Squad e i nuovi approcci della MTA furono tentativi sprecati.”45 I writer sono preoccupati più per l’esiguo spazio libero rimasto sui treni che per la Graffiti Squad. Nel 1977 si inizia la pulizia dei vagoni con acidi, i quali portano più danni che benefici: gli acidi corrodono i vagoni e non puliscono completamente le pareti, inoltre causano notevoli danni alla salute degli operai che effettuano le pulizie, i quali iniziano a lamentare problemi respiratori e nel

43 Stewart J., op. cit., p. 136. 44 Ibid. 45 Ivi, p.167. 22

1985 vengono risarciti di 6,3 milioni di dollari per problemi causati all’esposizione dei fumi dei solventi46. Durante tutti gli anni Ottanta la lotta continua con i mezzi più disparati: recinzioni, utilizzo di cani da guardia, nuovi metodi di pulizia e divieto di vendita delle bombolette spray ai minorenni. La battaglia tra writer e amministrazione cittadina continua per quasi due decadi, fino al 1989, data in cui si chiude ufficialmente il periodo della Subway Art o Mass Transit Art, per trasferire i pezzi sui muri o nelle gallerie.

1.5 La terza generazione e il Syntetic period

In seguito al grande repulisti del 1972, si sviluppa la cosidetta terza generazione di writer. La terza “ondata”, i cui caratteri esemplificativi si iniziano a notare nell’estate del 1973, rappresenta l’apice del masterpiece. Nel biennio 1973-1974, i pezzi si iniziano a riempire di particolari sempre più accurati, le campiture sono precise e i lavori decisamente più maturi. In questo periodo, dai pezzi sorgono fiamme, elementi esotici e gli stili diventano sempre più sofisticati: 3D style, Cartoon Style e l’ormai consolidato Wildstyle. Il 1974 segna l’inizio quindi del Syntetic period:

“per nulla scoraggiati dalla politica della MTA i writer continuano a dipingere. […] Molte nuove leve si sono ormai aggiunte agli originari pionieri del Bronx. […] Ai pezzi iniziano ad aggiungersi elementi figurativi, come personaggi dei fumetti. […] L’elaborazione di stili nuovi subisce una battuta d’arresto: i writer sfruttano gli stili fondamentali tramandati dai pionieri e li rielaborano in chiave personale per ottenere uno stile riconoscibile. In questa fase la tecnica pittorica acquista un ruolo centrale: i writer cercano di eliminare le sbavature, di ottenere colorazioni uniformi e tratti di contorno precisi e puliti, oltre che di dipingere nel più breve tempo possibile. La maggior parte dei pezzi di questo periodo è realizzata in un intervallo che va dai quindici ai sessanta minuti.”47

Nessun nuovo stile quindi, ma perfezionamento di quelli già esistenti. I pezzi devono essere impeccabili: i colori devono essere in sintonia e la outline deve essere precisa. Durante il Syntetic period si modifica la concezione verso il Writing; i writer sono attenti alla composizione stilistica e al risultato estetico e iniziano a considerare ciò che fanno, una vera forma d’arte. La grande novità di questi anni, è l’interesse verso il mondo esterno. I writer sono cresciuti, non sono più ragazzini di dodici o tredici anni e iniziano quindi a interessarsi di attualità, politica e di

46 Mininno A., Graffiti Writing: origini, significati, tecniche e protagonisti in Italia, Milano, Mondadori, 2008, p. 23. 47 Mininno A., op. cit., p. 21. 23 argomenti di natura sociale. I pezzi di stampo politico sono rari, ma esistono; fa grande scalpore, ad esempio, il pezzo di Mico in cui compare la scritta “hang Nixon!”. [figura 5] I writer ora sono attenti a ciò che succede nel mondo, conoscono la storia dell’arte e i pezzi sono ispirati al mondo del cinema e dei fumetti. Il personaggio di Donald Duck, Paperino, è uno dei personaggi più abusati e rimane al giorno d’oggi uno dei soggetti preferiti dai writer. Inoltre, ora che hanno preso coscienza della loro arte, i writer si ritengono un plus valore per la città, sostenendo di apportare migliorie al tessuto urbano, per merito dell’esplosione di colori dei loro pezzi: “In my opinion, graffiti makes our very serious and gray city more colorful. I like free artistic expression, but i despise political and radical slogans on our walls.”48 “I do graffiti because most people in our city are like robots and i want to show them that you can do happy and colorful things in addition to just eating, sleeping and working.”49 E ancora: “If all the kids in this estate were piecing, can you imagine what a beautiful place it would be?”50

1.6 Le unions e le prime mostre

Durante la prima e la seconda generazione, dalla fine degli anni Sessanta ai primi Settanta quindi, nessuno considera i giovani writer degli artisti e nemmeno loro stessi si ritengono tali o vogliono venire etichettati sotto alcuna categoria. Nell’ottobre del 1972, uno studioso di sociologia piuttosto lungimirante, Hugo Martinez, che da tempo studia e ammira i pezzi che “decorano” tutta la rete metropolitana newyorchese, decide di entrare in contatto con alcuni giovani kings, per proporre loro di unirsi in un gruppo operante non più “en plein air”, (anche se in questo caso i lavori non avvenivano all’aperto, ma addirittura nelle viscere della città), bensì all’interno di uno studio, traslando le opere dall’acciaio delle lamiere alle tele. Lo scopo è quello di riuscire a organizzare mostre e vendere le opere. Nasce così la (UGA) e nel dicembre del 1972 si inaugura la prima mostra al City College di New York. Come puntualizza Stewart, vengono esposti non i graffiti, bensì dipinti di graffiti.51 Alla union prendono parte notevoli writer, tra i quali Lee

48 “La mia opinione è che i graffiti rendono la nostra città grigia e seria più colorata. Sono per la libertà d’espressione artistica, ma detesto gli slogan politici e radicali sui nostri muri”. Mani, in Chalfant H., Prigoff J., Spraycan art, Londra, Thames and Hudson, 1995, p. 81. (trad. mia). 49 “Faccio graffiti perchè molte persone nella mia città sono come robot e voglio mostrare loro che si possono fare molte cose colorate e felici oltre che semplicemente mangiare, dormire e lavorare”. Seco, in Chalfant H., Prigoff J., op. cit., p. 83. (trad. mia). 50 “Se tutti i ragazzi della zona facessero dei pezzi, riesci a immaginare che mondo meraviglioso sarebbe?” Goldie, in Chalfant H., Prigoff J., op. cit., p. 65. (trad. mia). 51 Stewart J., op. cit., p. 84. 24

163D! e Co-Co 144. L’impatto nell’ambiente artistico è rimarchevole. La differenza tra i pezzi creati illegamente sui vagoni della subway e le tele esposte dall’UGA però, è evidente. Le tele mancano di vitalità, creatività e dinamicità. La velocità del gesto, l’adrenalina data dalla paura di essere catturati e dal pericolo dell’azione, insieme all’unicità della visione in movimento data dal vagone in viaggio, sono elementi fondamentali e caratterizzanti del Graffiti Writing. Questi elementi sono invece annullati nella staticità della tela e della galleria. Numerosi writer quindi, decidono di continuare in maniera parallela a colpire i treni, facendo fallire così l’intento di Martinez di togliere i writer dalla strada. Nel settembre del 1973 la UGA espone alla Razor Gallery, a Soho. La mostra viene recensita da molti media e in una recensione di Peter Schjeldahl sul “New York Times” per la prima volta il Graffiti Writing viene definito una forma d’arte: “the new graffiti hit New York, inundating our buses and subways and city walls and blossoming, in the process, into something very like a real popular art form.”52 Le opere vengono vendute tra i trecento e i tremila dollari. Successive mostre vengono allestite con le opere della UGA al Museo della Scienza e dell’Industria di Chicago e al The Artists Space Gallery a New York. In seguito a questa mostra il gruppo si smembra, non essendo più riuscito a trovare, dopo la precedente dipartita di Martinez, un leader carismatico e forte per guidare il gruppo. Il gruppo dura poco, ma come dichiara anche Barbero, la UGA “è la vera antesignana della Graffiti Art. Questo suo essere collaterale ed effettivamente non nascondere un intento basilarmente “sociale”, di “legittimazione”, ma soprattutto di legalizzazione di un movimento fuorilegge, la differenzia dall’intero processo commerciale della sua evoluzione del decennio immediatamente successivo.”53 La UGA è l’apripista per emuli, proseliti e nuove unions. Nell’agosto del 1974, memore dell’attività della UGA e della conduzione di Martinez, Jack Pelsinger, un allora trentanovenne e impegnato in ambito teatrale, decide di creare una nuova union: nasce la Nation of Graffiti Artists (NOGA). La sede è un magazzino su Columbus Avenue ottenuto dall’Housing and Urban Development per un dollaro al mese. Il NOGA vuole distaccarsi dall’elitarismo della UGA e vengono così accettati tutti i writer, dai toys ai kings. In breve tempo il magazzino viene completamente decorato dai graffiti, senza lasciare uno spazio libero. Un articolo apparso su “The Village Voice” del 1975 definisce il NOGA una “Graffiti Nation without a country”. L’articolo celebra il gruppo per il suo primo compleanno e lo supporta a seguito dell’avviso di sfratto:

52 “I nuovi graffiti colpiscono New York, inondando i nostri autobus e la metropolitana e i muri della città e sbocciando, durante il processo, in qualcosa molto simile ad una forma d’arte popolare”. Stewart J., op. cit., p. 87. (trad. mia). 53 Barbero L. M., “Say it loud”, in Barilli R. (a cura di), Dubuffet e l’arte dei graffiti, Milano, Mazzotta, 2002, p. 20. 25

“The Nation of Graffiti Artists will celebrate one year old this July. They might be celebrating their birthday in the street next month, because they have gotten an eviction notice from the city to get out of their dollar-a-month storefront at 589 Columbus Avenue by June 30. Jack Pelsinger is the founding father of NOGA. A skinny, warm man of 40, Pelsinger started the storefront, with savings he had accumulated over the years by working in the legitimate theatre. He[…] hasn’t gotten money from anyone to run his storefront. Kids, dogs, canvases, musical instruments, and paint tube litter the space. The walls are covered from floor to ceiling with the efforts of the graffiti kids.”54

Pelsinger organizza svariate mostre e propone le tele dei giovani writer nelle fiere, ma, come già annunciato, non riesce a guadagnare a sufficienza (il ricavo della vendita di una tela viene spartito metà all’artista e l’altra metà trattenuta per finanziare il gruppo) e il gruppo si scioglie precocemente a causa della mancanza di fondi. Nonostante queste union abbiano vita breve, I writer sono ormai galvanizzati dalle mostre, dalle vendite e dalle numerose recensioni nei loro confronti. Iniziano ad essere consapevoli del loro nuovo status, non più di vandalo o semplice writer, ma di artista.

1.7 Gli anni Ottanta

Gli anni Ottanta vedono la consacrazione definitiva dei writer e del Graffiti Writing. Già nel decennio precedente alcuni esponenti di questa scena underground erano saliti in superficie per esporre in gallerie o mostre itineranti, ma è in questi anni che il fenomeno diventa mainstream. I nomi di alcuni artisti ottengono risonanza mondiale e il Graffiti Writing entra a far parte della cultura pop. Vengono girati film e documentari sul Graffiti Writing, lo stile urban appare sulle passerelle delle sfilate di moda e MTV, il canale televisivo che detta moda sulle giovani generazioni, manda in heavy rotation la musica rap. Malcom McLaren, poliedrico musicista, artista, produttore e perfomer, già scopritore di artisti come New York Dolls e Sex Pistols, è il primo ad inserire dei graffiti in uno dei suoi videoclip e a darne così una visibilità globale. Il pezzo Sky’s the limit del writer Bill Blast appare sullo sfondo della canzone del 1982 Buffalo Gals dell’inglese

54 “The Nation of Graffiti Artists festeggerà un anno questo luglio. Potranno festeggiare il compleanno in strada il prossimo mese, dal momento che hanno ricevuto un avviso di sfratto, dal loro magazzino affittato per un dollaro al mese al 589 Columbus Avenue, entro il 30 giugno. Jack Pelsinger è il padre fondatore del NOGA. Un uomo magro e cordiale sulla quarantina. Pelsinger ha inaugurato il magazzino con i risparmi accumulati dopo anni di lavoro in teatro. Non ha abbastanza soldi per gestire ancora l’attività. Ragazzi, cani, tele, strumenti musicali e tubetti di vernice ricoprono i pavimenti. I muri sono ricoperti dal pavimento al soffitto, dai lavori dei ragazzi”. Kuhn A., “Graffiti Nation Without a Country”, The Village Voice, 30 giugno 1975 (26), p.84. 26

McLaren, insieme a writer e a ballerini della Rock Steady Crew. In poco tempo, la cultura Hip Hop diventa una delle culture dominanti degli anni Ottanta. Il 1983 è un anno prolifico anche per l’ambito cinematografico. In quest’anno infatti vengono girati ben due film riguardanti il mondo dei graffiti: il primo è il già citato Style Wars, documentario di Henry Chalfant e Tony Silver, al cui interno fanno apparizione writer come Dondi, Skeme, Daze, Seen e Kase 2, solo per citarne alcuni; mentre l’altro è Wild Style di Charlie Ahearn. Wild Style è tuttora considerato un film cult per gli appartenenti alla cultura Hip Hop, sia per la colonna sonora che per gli artisti che vi prendono parte. Forti personalità partecipano alla realizzazione del film, tra cui gli artisti Lady Pink e Lee Quinones, Grandmaster Flash, ossia uno dei pionieri della musica Hip Hop e la gallerista Patti Astor. [figura 6] Patti Astor (ca. 1950) inizia come attrice di b-movies prima di approdare al mondo dell’arte. Da sempre interessata al mondo del Graffiti Writing, nel 1981 apre nell’East Village, a Manhattan, insieme a Bill Stelling, la Fun Gallery. La galleria, specializzata in Aerosol Art, dà il via a tutte le successive gallerie d’avanguardia dell’East Village. Tra gli artisti che espongono nella sua galleria si annoverano Jean-Michel Basquiat, Keith Haring, Lee Quinones, Dondi e Kenny Sharf. La galleria rimane un punto di riferimento per tutte le ultime novità riguardanti il mondo della Spray Art, fino alla sua chiusura nel 1985. A metà degli anni Ottanta l’East Village è considerato la Mecca del mondo artistico americano e gli affitti sono alle stelle. Patti Astor è costretta a chiudere, ma in soli quattro anni è riuscita a lasciare un’eredità cospicua e unica per il mondo dell’Aerosol Art. Gli anni Ottanta vedono anche l’ascesa del territorio del Bronx. Fino ad allora il Bronx era una delle zone più povere e dimenticate di New York:

“Il south Bronx era divenuto alla fine degli anni Settanta il simbolo della rovina metropolitana; tutto ciò che di sbagliato c’era nell’America urbana si concentrava in un’area vastissima che aveva visto la virtuale costruzione, all’inizio degli anni Cinquanta, di una comunità che tentava disperatamente di ridefinire se stessa durante il boom edilizio del dopoguerra. […] Nella parte nord-est del distretto, un complesso di palazzi di larga scala che venne ben presto assillato da problemi quali scuole povere, droga e una lunga lista di assistenza. […] Non c’era nessun programma, nessun finanziamento che fosse effettivamente in grado di fermare il degrado di questo enorme sobborgo fagocitante. La vita scorreva inqualificabile, trasgressiva, sfuggente, scivolosa.”55

Come è noto però, dai diamanti non nasce niente e così il Bronx, sotto il suo strato superficiale di degrado e precarietà, nasconde al suo interno un terreno fertile, ricco di artisti che vivono e operano

55 Lucchetti D., op. cit., p. 32. 27 nel territorio. Si tratta di un territorio vitale e in fermento e grazie anche all’aiuto di associazioni culturali (come il Bronx Council of the Arts, istituito nel 1962) o di forti personalità quali Stefan Eins, questo quartiere riesce a riscattarsi e a diventare un punto di riferimento per l’arte americana. Stefan Eins è il fondatore di Fashion Moda, situato nel South Bronx e attivo dal 1978 al 1993. Galleria, centro per le arti, spazio performativo, residenza artistica: non si può racchiudere Fashion Moda in un’unica definizione; al suo interno gli artisti lavorano, vivono in comunità ed espongono i loro lavori. Si tratta di una fucina artistica a cui chiunque può prendere parte. Eins “cerca un luogo d’avventura e assieme la possibilità, per l’arte, di incontri inediti con un pubblico diverso da quello degli abituali frequentatori delle gallerie stesse. Il contesto dell’arte è importante quanto l’atto artistico.”56 I più grandi artisti di quegli anni sono passati attraverso le mostre organizzate da Fashion Moda: Keith Haring, Jenny Holzer, Kenny Scharf e graffiti artists veri e propri come Crash, Lady Pink e Richard Hambleton. Una delle mostre più significative di Fashion Moda viene realizzata nel settembre 1980, quando viene inaugurata Graffiti Art Success for America, una mostra collettiva a cui prendono parte graffiti artists come Futura 2000, Dondi, Lady Pink, Fab Five Freddy, Zephyr e molti altri. [figura 7] Il sistema dell’arte monitora costantemente l’attività dell’organizzazione, a tal punto che nel 1982 Fashion Moda prende parte alla mostra d’arte internazionale Documenta 7, a Kassel. L’Italia non risulta indifferente a questa corrente nuova e fresca e nel 1979 la galleria La Medusa di Roma, di Carlo Bruni, cura una personale di “Lee” Quinones. Riguardo ai graffiti, Bruni afferma: “a chiunque che si occupi di pittura e che abbia sostato nel Subway di New York, vedendo sfrecciare davanti agli occhi le carrozze dipinte, non possono non essergli venuti in mente quadri come Stati d’animo, gli Addii di Boccioni.”57 Francesca Alinovi (1948-1983), ricercatrice e storica dell’arte, è la prima a portare in Italia un progetto di una mostra interamente dedicata alla scena della Graffiti Art americana. I suoi lunghi viaggi tra Bologna e New York, accompagnati dai suoi scritti incisivi e dalle sue interviste ai nuovi protagonisti dell’arte newyorchese, hanno fatto conoscere anche nel nostro territorio le nuove tendenze e un nuovo modo di creare e mostrare l’arte. La mostra da lei ideata, dal titolo: Arte di frontiera: New York Graffiti, tenutasi alla galleria comunale d’arte moderna di Bologna pochi mesi dopo la sua morte improvvisa, nei mesi di marzo e aprile 1984, ottiene un riscontro notevole. Vengono esposte opere di Cutrone, Haring, Scharf, Rammelzee, A-One, Donald Baechler, Basquiat e Futura 2000, solo per citarne alcuni. Durante il periodo della mostra, il meglio dell’arte d’avanguardia newyorchese si trova a Bologna.

56 Alinovi F., Arte di Frontiera: New York graffiti, Milano, G.Mazzotta, 1984, p. 16. 57 Poli F. (et al.), Contemporanea. Arte dal 1950 ad oggi, Milano, Mondadori arte, 2008, p. 558. 28

In uno dei suoi scritti, la Alinovi ci dona una visione particolareggiata della situazione artistica del periodo a New York, e in particolare del Bronx:

“Fashion Moda è una galleria molto poco convenzionale, e per nulla commerciale, che da tre anni vive con successo, impiantata nel più pericoloso e malfamato quartiere di NY, il South Bronx. ABC No Rio è invece uno spazio collettivo “aperto”, specializzato in openings-parties ispirati al sesso e alla morte, situato nel retrobottega di un negozio sgangherato del Lower East Side. Collectives International, a sua volta, è il nome scelto da un altro collettivo di artisti, sorto in questi mesi, che si propone di tenere i collegamenti internazionali, via lettera, tra i vari collettivi di artisti esistenti al mondo. Insomma, mentre in America come in Europa si celebra il trionfo, in arte, della tradizione e del bel quadro, ecco riemergere come un geiser impetuoso e bollente la irruente corrente dell’underground. […] L’arte del futuro spia con grandi occhi scuri spalancati sul centro dalla periferia, mescolata coi detriti e le macerie della città degradata, confusa tra i ghetti delle minoranze razziali, nutrita dal sangue caldo della negritudine in via d’espansione.”58

Molto particolare è la descrizione della Alinovi riguardante la figura dell’artista newyorchese:

“L’attuale arte d’avanguardia, più che sotterranea, è arte di frontiera; sia perché sorge, letteralmente, lungo le zone situate ai margini geografici di Manhattan (Lower East e South Bronx), sia perché, anche metaforicamente, si pone entro uno spazio intermedio tra cultura e natura, massa ed élite, bianco e nero, aggressività e ironia, immondizie e raffinatezze squisite. Questi artisti sono simultaneamente “penne nere e visi pallidi”, e sono i nuovi kids di NY: ragazzacci dall’aria sbeffeggiante e gentile, che insozzano di segni e graffiti la città ma si presentano in bella mostra anche nelle gallerie, e attraversano come bande guerriere i quartieri più luridi di New York partecipando poi come ultima fashion ai parties più eleganti. I kids sono i nuovi dominatori della scena artistica newyorkese, portatori di un’estetica dell’eterna infanzia che gioca a guardie e ladri a rischio della propria pelle e si lancia in scorribande nella città messa a ferro e fuoco, saccheggiando ogni ben di dio tra i suoi rifiuti. La metropoli si è autodegradata per eccesso e ora, come un immenso campo di terra bruciata, offre frutti spontanei dal sottosuolo: monitors, ferraglie d’auto fracassate, vetri infranti, frammenti di mobili usati, fili elettrici, valvole, spinterogeni. Natura e cultura sono, nella nuova prateria di NY, perfettamente integrate. Sono tutt’uno.”59

Molti collettivi si creano in questi anni e uno dei più produttivi e incisivi della scena artistica newyorchese è CoLab (Collaborative Projects Inc.) fondato dall’artista del Bronx John Ahearn, artista molto vicino all’ambiente della Graffiti Art. CoLab organizza numerose mostre e tutte di grande impatto, tra le più significative possono essere ricordate quelle in collaborazione con Fashion Moda, come Real Estate Show nel Lower East Side del 1980 o, dello stesso anno, il Time Square Show, nell’omonimo luogo:

58 Alinovi F., op. cit., p. 12. 59 Ivi. p. 13. 29

“Tutto iniziò con l’organizzazione della mostra che rese visibili i primi graffitisti, la Time Square Show, inventata da Tom Otterness (1952) e gestita nominalmente dal CoLab e dallo spazio alternativo Fashion Moda. L’esposizione ebbe luogo in un locale equivoco abbandonato, temporaneamente trasformato in uno spazio espositivo inusuale e illegale (eppure i fondi per la mostra provenirono in gran parte dalla National Endowements for Arts). Vi trovarono posto le opere dello stesso Otterness; i calchi policromi, allegri, affettuosi che John Ahearn coglieva senza alcun senso dell’horror dai cadaveri dei suoi compagni di quartiere; le tavole coloratissime di giovani afro-americani che si firmavano Toxic, Crash, Zephyr, Futura 2000, Rammellzee. Il loro stile avrebbe potuto dirsi un incrocio tra l’all over painting alla Pollock e le immagini dei fumetti televisivi alla Hanna e Barbera, in una sintesi di cultura alta assimilata per caso e di cultura bassa bevuta in televisione.”60

Lo scopo di questi show è quello di avvicinare l’arte alla strada, o di rappresentare quest’ultima attraverso l’arte. L’obiettivo è quello di ottenere un’interazione tra artista e gente del luogo. Infatti, molte mostre sono caratterizzate dal fatto di essere aperte a tutti, artisti e non, e chiunque ha la possibilità di esporre. Così Keith Haring ricorda The Time Square Show e alcuni dei suoi protagonisti:

“Fu un punto di svolta per il mondo dell’arte di quel periodo perché, per la prima volta, tutti i tipi di arte underground venivano esposti in un unico spazio, compresi i graffiti. Per la prima volta il mondo dell’arte riconobbe l’esistenza dell’underground. Jean-Michel Basquiat realizzò l’insegna della mostra[…], Kenny (Scharf) portò i suoi elettrodomestici […] e c’era anche Lee Quinones, uno dei migliori graffitari. Alla mostra prese parte anche Fab Five Fred, famigerato tra i graffitari per aver ricoperto da cima a fondo un treno della metropolitana con le lattine di zuppa Campbell, un ovvio riferimento a Andy Warhol. I graffiti diventavano sempre più sofisticati, ricchi di riferimento dell’arte vera che, a sua volta, iniziò a prestare molta più attenzione al mondo dei graffitari.”61

Queste mostre non lasciano indifferenti curatori e galleristi i quali cercano di assicurarsi gli artisti migliori. Il New Museum organizza una mostra dedicata ai principali collettivi promotori di questi show, la Sidney Janis Gallery organizza nel 1983 la mostra Post Graffiti e galleristi come Tony Shafrazi iniziano a trattare artisti come Baechler, Haring o Scharf.

60 Vettese A., Capire l’arte contemporanea, Torino, Umberto Allemandi & C., 2010, p. 292. 61 Gruen J., Keith Haring. La biografia, Milano, Baldini Castoldi Dalai editore, 2007, p. 90. 30

1.8 Gli artisti

“Se non ci fossero loro, la scena artistica di New York sarebbe grigia e funerea come l’ufficio finanziario di un palazzo di Wall Street.”62 La Alinovi effettua una descrizione appurata degli artisti appartenenti alla scena newyorchese degli anni Ottanta, illustrando il loro punto di partenza e quello di arrivo:

“i kids hanno coniato slangs personali che confondono i sistemi della comunicazione attuale, perché provengono loro stessi da una personale condizione di confusione naturale e culturale. Cresciuti ai margini dell’Eldorado dell’arte, escono dai ghetti della periferia, […] sono il prodotto nuovo di zecca di quello che è il terzo mondo americano: alta cultura mescolata a bassa natura, e immenso patrimonio conoscitivo mescolato a un conto zero nella banca. […] Artisti bianchi che, per via di scelta culturale, hanno deciso di accomunare la loro sorte a quella degli emarginati per condizione naturale: alla sorte cioè dei musi neri emersi dai bassifondi sotterranei dei treni e dalle rovine urbane del South Bronx. Loro ora lavorano tutti spensieratamente per le gallerie più vivaci e brillanti di New York: Fashion Moda nel South Bronx, Tony Shafrazi e la Fun Gallery di Patti Astor a Soho. E intrattengono vantaggiose relazioni commerciali anche con altre gallerie più stabilizzate: Annina Nosei e la Bonlow Gallery, sempre a Soho, e le gallerie di Barbara Gladstone e di Brooke Alexander sulla 57esima Strada. […] I neri, consacrati dal successo dei graffiti, hanno letteralmente invaso la scena artistica newyorchese e innestato processi di imprevedibili reazioni chimiche a catena nel mondo del pennello. I neri, già da tempo dominatori del campo musicale e della danza, hanno conquistato per la prima volta nella storia anche il mondo dell’arte.”63

In questo periodo, l’Aerosol Art è un movimento in grande ascesa, le gallerie calcano l’onda lanciando continuamente artisti nuovi e tutti i media si occupano di questo movimento underground e all’avanguardia. Gli artisti, tra quelli facenti parte delle scuderie dei vari galleristi e quelli operanti ancora sulle strade, sono in gran numero ed è impossibile citarli tutti. Qui di seguito si elencano alcuni dei graffiti artists più influenti e rilevanti del periodo. Non bisogna però dimenticare altri nomi significativi, tra i quali: Dondi, Zephhyr, Phase II, Vulcan, Skeme, Kase, Seen e molti altri.

1.8.1 Futura 2000

Futura 2000 (1955) è un graffiti artist proveniente dall’Upper West Side di New York, tuttora in attività. Come molti writer, con il tempo è stato capace di innovarsi e reinventarsi. Attualmente lavora come graphic designer e lavora per marchi quali Levi’s, Nike, the North Face. Artista

62 Alinovi F., op. cit., p. 28. 63 Ibid. 31 poliedrico, ha collaborato anche con grandi musicisti come The Clash e ha contribuito a far conoscere l’Aerosol Art in tutto il mondo. La figura di Futura 2000 ha una grande rilevanza artistica per il mondo dell’Aerosol Art, dal momento che, pur rimanendo all’interno di una corrente basata sul lettering, egli fu uno dei primi writer a sviluppare una ricerca sull’immagine. La sua è un’arte astratta, caratterizzata da un’assenza di figurativismo e da un cromatismo deciso. Indimenticabili i vagoni della subway di New York da lui dipinti, a sfondo futuristico e spaziale, che gli sono valsi l’appellativo di “space-age Kandinsky”:

“l’esplosione del motivo iconico avviene nel vuoto dello spazio cosmico, dove del corpo astrale che lo solcava permane solo una nuvola, uno spolverio di detriti, indistinguibili però dalla normale polvere cosmico e dallo sciame di detriti che riempiono il vuoto e il buio astrale, interrotto solo dall’accendersi sfrigolante di lampi, di scintille elettriche, nate dall’attrito che quelle residue particelle di materia, pur minime, riescono a provocare tra loro.”64

Da sempre fortemente interessato alla tecnologia, attualmente lo strumento che predilige è il computer. Nel corso degli anni ha esposto in numerose gallerie e musei quali: Fun Gallery, Tony Shafrazi gallery, Moma PS1 e Moca di Los Angeles. [figura 8]

1.8.2 George “Lee” Quinones

Conosciuto con la tag “Lee”, George Lee Quinones nasce nel 1960 a Portorico, ma cresce a New York. Inizia precocemente a colpire i treni e viene considerato molto presto un king, per via della sua prolifica operosità. Durante la sua attività sui treni, Lee si occupa quasi esclusivamente di whole cars e grazie a questa attività ottiene massimo rispetto dalla maggior parte dei writer. Egli fonda una delle più famose e cospicue crews del periodo, The Fabolous Five. Per merito del suo stile unico e innovatore rimane un esempio per molte generazioni successive di writer e tuttora viene considerato uno dei pilastri dell’Aerosol Art. Lee ottiene il ruolo di protagonista nel film Wild Style e le sue opere sono presenti nei volumi più rilevanti dedicati al Graffiti Writing come Subway Art o Spraycan Art. Lee è da sempre impegnato socialmente e le sue opere sono uno specchio di questo suo aspetto. Egli ritiene che i muri dei campi sportivi o le carrozze dei treni dipinti siano un valore aggiunto per la città e utilizza questi ultimi come veicolo di comunicazione per dialogare con essa. Memorabili

64 Barilli R., Haring, Firenze, Giunti, (Inserto redazionale di: Art e dossier, n. 162 dicembre 2000), 2000, p. 43. 32 sono alcuni vagoni apparsi in giro per New York durante le festività, come ad esempio il whole car apparso durante la giornata della festa della mamma nel 1977 con la scritta “Happy mother’s day mom”, oppure il vagone natalizio dipinto insieme a The Fabolous Five decorato con la scritta “Merry Christmas to New York”. Il pezzo più famoso di Lee è molto probabilmente il pezzo del 1976 Doomsday, il quale contiene tutte le sue caratteristiche stilistiche. All’interno del pezzo inserisce fiamme, palazzi e mostri, cifre stilistiche che caratterizzano il suo stile. Sotto il pezzo scrive:

at 1 o clock, jan 31, 1976 the two cars stood parked like silent whales. Time passed as i kept painting away. After hours of stranded painting i managed to finish the masterpiece i’ve dreamed and planned for. The piece i call Doomsday was finished on the morning of jan 32, 197665

Stewart analizza l’opera:

“rather than making his name the focus of his pieces, Lee created grand pictorial schemes, which he then signed with his name in large letters. The Doomsday cars consist of a rambling composition of tilting tenements, flames, and a threatening horned alien monster. […] He dated his creation like a formal artwork (although slightly eccentrically), and this practice was picked up by many of the better writers.”66

Lee è stato uno dei primi a considerare i graffiti una forma d’arte e da sempre si batte per la loro difesa e per il riconoscimento dei writer come artisti. La sua corrente di pensiero la si può trovare in un pezzo del 1981 in cui Howard the Duck recita una frase-inno per tutto il movimento: “Graffiti is an art and if art is a crime, let god forgive us all.”67 [figura 9]

65 All’una di notte, del 31 gennaio 1976 i due vagoni erano parcheggiati come balene silenziose. Il tempo passava mentre io continuavo a dipingere. Dopo ore di pittura arenata, finalmente sono riuscito a terminare il pezzo che avevo sognato e pianificato. Il pezzo chiamato Doomsday è stato finito la mattina del 32 gennaio 1976. (trad. mia). 66 “Invece di rendere il suo nome il focus del pezzo, Lee ha creato un grande schema pittorico e lo ha firmato con il suo nome a grandi lettere. I vagoni del pezzo Doomsday consistono in una composizione selvaggia di palazzi ondeggianti, fiamme e un minaccioso mostro alieno cornuto. […] Ha datato il pezzo come un’opera d’arte formale (seppur in maniera eccentrica) e questa pratica è stata assimilata dai migliori writer.” Stewart J., op. cit., p. 178. 67 “I Graffiti sono un’arte e se l’arte è un crimine, che Dio ci perdoni tutti”. 33

1.8.3 Lady Pink

Lady Pink (1964) originaria dell’Ecuador, ma cresciuta nel Queens, è una delle figure femminili più importanti e conosciute nel mondo dell’Aerosol Art. Nonostante i lavori di certe figure femminili siano notevoli, la presenza femminile nel mondo dell’Aerosol Art è scarna, a causa di limiti fisici e di un ambiente un po’ ostile. Agendo quasi sempre in notturna infatti, le ragazze sono più sotto il controllo delle famiglie e anche se riescono ad uscire, è molto più ostico per loro saltare da un treno all’altro, arrampicarsi o viaggiare di notte tra i binari. Lady Pink tuttavia, non si scoraggia, inizia a colpire i treni all’età di quindici anni e ben presto viene rispettata anche dai writer uomini. Prende parte a diverse crews, tra cui The Cool 5 e The Public Animals. La sua attività di bombing dei treni va dal 1979 al 1985. Espone in svariate mostre, tra le quali la già citata Graffiti Art Success a Fashion Moda nel 1980 e raggiunge il successo grazie al film Wild Style in cui ottiene la parte di co-protagonista insieme a George “Lee” Quinones. Nei suoi lavori, accosta figure psichedeliche a immagini di New York, che testimoniano lo stretto legame che accomuna l’artista alla sua città. Lady Pink collabora in diverse occasioni con la street-conceptual artist Jenny Holzer e attualmente lavora principalmente su tela, ma non mancano collaborazioni a progetti di murales. [figura 10]

1.8.4 Rammellzee e il Panzerismo Iconoclasta

Rammellzee (1960-2010), è uno dei protagonisti più eclettici del mondo della Spray Art. Inventore di uno stile personale, il “Panzerismo Iconoclasta”, la sua ricerca stilistica e artistica si concentra sulla “guerra del linguaggio”, una lotta dello stile contro i contenuti. Con un atteggiamento decisamente futurista, Rammellzee scardina le regole del linguaggio per crearne uno nuovo, libero. Come avvalora Poli: “Rammellzee concentra la propria ricerca su analisi linguistiche e calligrafiche che lo impegnano anche sul versante della performance per attuare la propria teoria delle “lettere armate” e rifondare la scienza del linguaggio su basi intuitive.”68 Così la Alinovi descrive Rammellzee dopo averlo incontrato in uno dei numerosi viaggi a New York:

“Rammellzee è caffelatte, ha venitquattro anni, alto, magro, allampanato. Rammellzee è emerso dall’oscurità delle profondità sotterranee dopo anni passati nella vertigine dei labirinti della subway. […]

68 Poli F. (a cura di), Arte contemporanea. Le ricerche internazionali dalla fine degli anni ’50 ad oggi, Milano, Electa, 2003, p. 242. 34

Ha elaborato una sofisticatissima teoria delle “lettere armate”, detta anche “panzerismo iconoclasta” o “futursimo gotico”, che rifonda su basi esclusivamente intuitive e visionarie la scienza del linguaggio. […] Mette assieme termini tecnici estrapolati dalla semiotica, dalla fisica, dalla matematica, dal conflitto nucleare, dalle strategie belliche medievali con un gergo di bassifondi strappato allo slang dei neri, delle comunità dei derelitti.”69

Si tratta insomma di un linguaggio “fosco, criptico e nebuloso”70, costituito da lettere dinamiche, contorte e ornate, che rievocano le lettere gotiche miniate. Rammellzee vuole riformare il linguaggio e per farlo inscena una vera e propria guerra, chiamando a raccolta un gruppo di “militari” a cui affida ciascuno il compito di reinventare la scrittura dell’alfabeto: così al writer A One viene affidata la A, a Koor la lettera B, a Toxic la C. Insieme questi militanti formano la Tag Master Killers, una vera e propria banda armata (in questo caso però le armi sono le bombolette spray) che colpisce in superficie per diffondere il verbo panzerista. Le lettere di Rammellzee e dei suoi seguaci esplodono su degli sfondi futuristici o surreali. Come asserisce Barilli:

“Con Rammellzee siamo portati addentro nei segreti dello spazio cosmico, ad affrontare uno spolverio di asteroidi che ci bombardano inquieti, disgreganti, pronti anche a inghiottire le lettere a caratteri cubitali come ogni altro materiale prefabbricato che l’artista è pronto a immettere in quella fornace, non si sa se per alimentarne la combustione o per tentare di spegnerla, imponendole un principio d’ordine.”71

Rammellzee vuole innalzare il Graffiti Writing a fenomeno colto, alto. Il suo stile è studiato e complesso e l’artista cerca di diffonderlo attraverso vari media e forme artistiche; Rammellzee infatti è anche scultore, perfomer e musicista. Una tecnica molto utilizzata dall’artista è il collage, poiché riesce più facilmente a scardinare le lettere e “bombardare” i vari elementi sulla tela. Rammellzee utilizza una vera e propria logica a collage

“grazie alla quale ha giustapposto i vari ordini di conoscenza creando un linguaggio ermetico, uno slanguage che dissocia le lettere dal loro significato concettuale per inserirle in un universo alternativo, in cui diventano materia capace di generare nuovi assemblaggi. Il linguaggio non si impone su un universo di significato, ma si spoglia del suo potere per favorire l’ibridazione dei linguaggi e delle diverse culture che, intrecciandosi tra loro, affollano ghetti e sobborghi.”72

69 Alinovi F., op. cit., p. 30. 70 Ibid. 71 Barilli R., Haring, cit., p. 46. 72 Lucchetti D., op. cit., p. 64. 35

In una intervista della Alinovi a Rammellzee l’artista spiega le azioni sue e del suo gruppo:

“noi ci definiamo come tag master killer perché, militarmente, scriviamo l’illeggibile. I membri della mia banda sono tre, A One, B One e C One, e io posso armarli. Loro però sono anche totalmente autonomi nell’armarsi da soli. […] Loro non sono assassini, non sono loro ad uccidere, praticano solo l’armamento. Sono le lettere ad uccidere le altre lettere. […] C’è un solo stile, ed è panzerismo iconoclasta. Non esistono altri stili in questa evoluzione della struttura della lettera.”73

La sua battaglia contro la standardizzazione del simbolismo delle lettere e i suoi piani anarchici per revisionare i codici del linguaggio, uniti a un modo di presentarsi nella società piuttosto originale (si munisce di maschere e costumi scenici) fanno di Rammellzee una delle figure più interessanti e brillanti di questo panorama artistico. Un innovatore all’interno del nuovo. [figure 11-12]

1.8.5 Martha Cooper, Henry Chalfant e Subway Art

Martha Cooper (ca. 1940) e Henry Chalfant (1940) non sono writer, ma hanno un ruolo cruciale per lo sviluppo dell’Aerosol Art negli anni Ottanta. Grazie al loro contributo, i pezzi sui treni dei writer newyorchesi fanno il giro del mondo. Entrambi sono fotografi, i quali testimoniano il lavoro dei giovani writer nella subway di New York durante gli anni Settanta-Ottanta. Nel 1984 pubblicano il volume fotografico Subway Art, ottenendo successo e consensi. Il volume è considerato ancora oggi uno dei libri fondamentali sul Graffiti Writing e uno dei viatici per poter conoscere e approfondire questo movimento. Nell’edizione del 25esimo anniversario del libro, la Cooper racconta il suo approccio con il mondo dei graffiti:

“Un giorno un ragazzo che avevo fotografato mentre faceva volare dei piccioni mi suggerì mostrandomi il suo taccuino di disegni: “perche non fotografi i graffiti?”. Spiegò che stava disegnando lo sketch del proprio nickname e mi fece vadere la trasposizione che ne aveva fatto su un muro. Fu una rivelazione. [...] Dato che avevo mostrato un forte interesse per i graffiti, si offrì di presentarmi a un king il quale era niente meno che Dondi. […] Dondi descrisse con dovizia di particolari la complicata procedura per dipingere un treno: la progettazione del pezzo, come procurarsi le vernici, l’ingresso nelle yard e l’esecuzione. Mi insegnò la terminologia dei graffiti e mi presentò ad altri writer. Più cose imparavo su questa cultura, più mi veniva voglia di documentarla fotograficamente.”74

73 Intervista per “Flash Art”, Milano, giugno 1983 (114). 74 Cooper M., Chalfant H., Subway Art, Milano, L’Ippocampo, 2009, p. 6. 36

Continua raccontando di come i graffiti siano diventati la sua passione e il suo principale obiettivo:

“Da quel momento cominciai a battere il Bronx in cerca di punti panoramici con una vista aperta sui treni. Divenne un’ossessione, al punto che mi alzavo prima dell’alba per non perdere i treni dell’ora di punta e qualche volta stavo in piedi anche cinque ore di fila su un terreno incolto del Bronx per cogliere la perfetta inquadratura, quella cioè in cui fossero presenti buone condizioni di luce, un pezzo magistrale e un interessante sfondo contestuale.”75

La Cooper e Chalfant sono subito ben accetti nell’ambiente underground del Graffiti Writing, tant’è che raccontano come spesso ricevessero messaggi in segreteria telefonica da parte dei giovani writer in cui annunciavano le coordinate dei treni appena colpiti. I fotografi sono tra i primi a documentare questo mondo ed è grazie alle loro fotografie e alla loro attività che i pezzi si sono preservati e non sono andati perduti, poiché come già ribadito, spesso i pezzi sui treni durano anche meno di ventiquattro ore. La Cooper ammette di essersi resa conto solo in un secondo momento dell’importanza della sua attività di documentazione storica:

“avevo sempre creduto che il fenomeno potesse esistere solo a New York. Alla fine degli anni Settanta la città era sull’orlo della bancarotta, con interi quartieri in disfacimento, e i depositi ferroviari sprovvisti sia di solide recinzioni, sia di un efficace servizio di sorveglianza. Ritenevo che proprio quella situazione unita al fatto che New York era al centro del mondo dell’arte, avesse creato una serie di condizioni che avevano dato origine al fenomeno dei graffiti sulla subway, e che fosse impossibile il suo ripresentarsi altrove. Immaginavo che i graffiti si sarebbero esauriti nel giro di qualche anno e che io sarei rimasta in possesso di un raro e insolito archivio fotografico. Fotografavo in un’ottica di testimonianza storica. Non mi era nemmeno passato per la testa che ai ragazzini di paesi asettici come la Svezia sarebbe venuta voglia di dipingere treni.”76

Per merito della loro attività di antropologia visiva, questa sotto-cultura viene scoperta in continente e fuori: moltissime copie del volume iniziano a circolare in Europa, fotocopiate e trasmesse tra i vari gruppi giovanili. Da questo momento, il movimento del Graffiti Writing è in estrema ascesa e la sua diffusione risulta inarrestabile. [figura 13]

75 Ibid. 76 Ibid. 37

1.8.6 Gli “Outsider”. Haring, Basquiat e gli altri “big”.

“A volte non salivo nemmeno sul primo treno: rimanevo seduto ad aspettare per vedere cosa c’era disegnato sul treno successivo. I graffiti erano la cosa più bella che avessi mai visto.”77 Una chiarificazione su personaggi quali Haring o Basquiat è necessaria, poiché non si può parlare di Graffiti Art senza nominarli, ma non è possibile nemmeno ascriverli totalmente in questo particolare fenomeno. Haring e Basquiat, cosi come Sharf o Holzer, sono artisti atipici, in un certo senso “apolidi” in riferimento al genere di appartenenza. Non sono writer, anche se hanno iniziato la loro carriera dipingendo nella subway o per strada, vedi Haring o Basquiat, ma non sono nemmeno artisti per così dire “accademici”, nonostante siano stati fin da subito inseriti nell’olimpo dell’arte. Lo stesso Basquiat si discosterà dalla corrente graffitista, pur apprezzandola e rispettandola. Kenny Scharf (1958) e Ronnie Cutrone (1948-2013), grande amico di Keith Haring il primo e collaboratore di Andy Warhol alla Factory per otto anni (1972-1980) il secondo, sono due artisti sfaccettati, che prendono ispirazione da molte fonti: decisamente pop, ma con alla base il mondo dell’Aerosol Art. Entrambi sono diventati famosi per i loro soggetti appartenenti al mondo dei fumetti, come ad esempio Felix the Cat, the Jetsons o Woody Woodpecker. Fanno parte del mondo underground della New York anni Ottanta e così li descrive la Alinovi nei suoi saggi:

“Kenny Scharf, amico di Keith Haring e autore assieme a lui di alcuni videotapes postapocalittici, dipinge piccoli eroi di fumetti anni ’50, astronavi da guerra impegnate in giochi spaziali, galassie e orbite stellari. Kenny dipinge su qualsiasi oggetto mobile, utensile, tecnologia o cosa trovata. La sua casa, nel Lower East Side è interamente ridecorata da lui. […] L’ispirazione dei kids parte sempre da matrici infantili e si basa su immagini, oggetti, persone prefabbricate, trovate nella cultura di massa o sulla strada, ma del tutto rimanipolate soggettivamente. Anche Ronnie Cutrone, dipinge sagome di indiani ed extraterrestri sottraendole alle figurine di plastica molto economiche in vendita presso i negozi di giocattoli. Sagome che si divorano cannibalescamente tra loro. Finta violenza di gocciolature di sangue colato dal tubetto rosso; crani di guerrieri irsuti come demoni; figure animalesche e selvagge bloccate in stereotipi irriconoscibili.”78

Barilli definisce la figurazione di Sharf parasurrale, con corpi fluttuanti su sfondi dai colori abbaglianti, mentre Cutrone ci rammenta che i graffiti devono considerarsi alleati naturali dell’immaginario pop79. [figura 14]

77 Keith Haring in Gruen J., op. cit., p. 64. 78 Alinovi F., op. cit., p. 24. 79 Barilli R., “Il graffitismo dal passato al futuro”, cit., p. 14. 38

La produzione e la ricerca artistica di Keith Haring (1958-1990) è vasta e complessa. La sua arte è pregna di richiami simbolici legati alla società del tempo e le sue fonti spaziano dalle calligrafie giapponesi alla ritualità di Pollock. La gestualità forte, il ritmo delle immagini e i suoi personaggi antropomorfi e zoomorfi indimenticabili, rendono Haring uno degli artisti più significativi degli anni Ottanta. Ci limiteremo qui a parlare del suo legame con i graffiti. Haring è forse il nome più famoso associato al fenomeno del Graffiti Writing, anche se non appartiene al movimento dell’Aerosol Art. Egli conosce la storia dell’arte, ha studiato Dubuffet e Klee e ammira Pollock, Tobey e tutto l’espressionismo astratto americano. Una volta arrivato a New York, nel 1978, si interessa ai giovani writer e inizia anche lui a operare nella subway. In particolare, si impegna a riempire gli spazi rimasti vuoti dalle affissioni pubblicitarie all’interno delle stazioni della metropolitana. Come dichiara nella sua biografia:

“quasi subito dopo il mio arrivo a New York, nel 1978, i graffiti che vedevo in strada e in metropolitana iniziarono a interessarmi, a intrigarmi e ad affascinarmi. Spesso prendevo la metropolitana per andare a visitare musei e gallerie d’arte e iniziai a notare non solo i grandi graffiti che ricoprivano l’esterno dei vagoni ma anche le incredibili calligrafie all’interno delle vetture, che mi ricordavano sia ciò che avevo studiato a proposito della calligrafia cinese e giapponese sia il flusso di coscienza tra la mente e la mano di artisti come Dubuffet, Mark Tobey e Alechinsky.”80

Nei suoi primi cinque anni newyorchesi, Haring si dedica completamente alle gallerie e alle stazioni sotterranee della subway, producendo centinaia di disegni. Il suo modus operandi è prevalentemente quello di affiggere dei cartelloni neri sulle pubblicità scadute o rovinate e disegnarci sopra con un gessetto bianco. Abbandonati i subway drawings, abbandonerà pure lo stile in bianco e nero, preferendo i colori intensi e pop. Il suo stile è inconfondibile, parte anch’egli dai fumetti, fino a scarnificare sempre di più l’immagine. Le figure diventano estremamente stilizzate, fino a raggiungere il loro archetipo. Come asserisce Barilli “non più immagini, ma tracciati schematici, volutamente poveri, così da ritrovare gli ideogrammi di tante culture tribali.”81 Le sue immagini, il suo radiant child simbolo della “de-evoluzione” dell’uomo nell’era postatomica82 e figura costante in tutta la sua evoluzione stilistica, ricoprono interamente la tela, in un senso di horror vacui pop e dai colori sgargianti. Haring non si limita a operare sui muri o sulla tela, ma lavora su ogni tipo di supporto. L’arte deve essere libera e come dichiara lui stesso: “Quello che a me interessa soprattutto

80 Gruen J., op. cit., p. 64. 81 Barilli R., Haring, cit., p. 25. 82 Poli F. (a cura di), Arte contemporanea. Le ricerche internazionali dalla fine degli anni ’50 ad oggi, cit., p. 243. 39

è che i miei disegni potrebbero essere disegnati su qualsiasi supporto o materiale, come i geroglifici egizi, i pittogrammi maya o indios.”83 Durante tutti gli anni Ottanta, Haring è all’apice del successo e i suoi interventi sono estremamente richiesti. Rimarchevole è l’opera Tuttomondo del 1989, la pittura murale che Haring dipinge sulla facciata esterna della chiesa di Sant’Antonio Abate a Pisa, definito da lui uno dei momenti più memorabili di tutta la sua carriera.84 [figura 15] Non mancano le customizzazioni, commissionate dai più grandi marchi, una delle collaborazioni più famose è sicuramente quella tra Haring e la Swatch. Il suo linguaggio viene definito “semplice e sintetico, anche se mai semplicistico.”85 Pur non essendo un writer e non facendo parte del mondo dell’Aerosol Art più pura, partecipa insieme ai graffiti artists alle mostre più all’avanguardia del periodo, come ad esempio il Time Square Show ed espone in gallerie quali la Fun Gallery o Fashion Moda. Barilli descrive Jean-Michel Basquiat (1960-1988) come quello che “dell’intero continente del Graffitismo risulta essere stato il frutto più intenso e riuscito, con la capacità di riqualificare punto per punto ogni procedimento di quella modalità generale di procedere, senza tradirla, ma innalzandola di prepotenza dal suo fondo low verso le vette di eccellenza dello high.”86 Anche in questo caso però, come per Haring, Basquiat risulta un personaggio marginale nell’ambito del Graffiti Writing, dal momento che lui stesso si distacca dal movimento. La nascita artistica di Basquiat si ha sul finire degli anni Settanta, più precisamente nel 1978, quando non ancora ventenne inizia ad apporre la sua firma, una sorta di tag, su tutti i muri di Soho, dove si trovano le gallerie più in vista. Basquiat inizia ad essere conosciuto nell’ambiente artistico con il nome di SAMO, acronimo di Same Old Shit e le sue firme fatte con la vernice a spruzzo, unite anche a piccoli messaggi, iniziano a essere notate da galleristi e artisti. “I graffiti, distribuiti ad arte anche nei pressi delle gallerie emergenti, come le magliette e le cartoline dipinte a mano, inizialmente espedienti per sopravvivere, lo conducono gradualmente alla consapevolezza di voler essere un artista.”87 Pur non avendo una formazione classica, per le sue opere Basquiat attinge da svariate fonti, tra le quali, il mondo dei fumetti. Come per Haring, l’attività di Basquiat dura un decennio, in questo caso dal 1978 al 1988, anno della sua morte. Per entrambi sono stati dieci anni intensi e brucianti, fagocitati anche dal nascente meccanismo dell’arte euforico e speculativo degli anni Ottanta e dai mali collegati a questo decennio: l’aids per il primo e l’eroina per il secondo.

83 Vettese A., op. cit., p. 293. 84 Gruen J., op. cit., p. 207. 85 Ibid. 86 Barilli R., “Il graffitismo dal passato al futuro”, cit., p. 14. 87 Mercurio G., “Il re della luna”, in The Jean-Michel Basquiat show, Milano, Skira, 2006, p. 21. 40

“Le loro brevi vite roventi oltrepassano i limiti di qualsiasi regola o regolarità, come fu per Pollock. Piccoli segni, centinaia di segni, parole accostate fittamente, monologhi, un racconto sulla superficie piatta, supporto elementare da possedere con forza e determinazione: è anche questa performance come lo era stato il dripping di Pollock e il meccanismo di una reiterazione così insistita da diventare, a distanza, un’ossessiva unicità di tono. È nel gesto la potenza decisionale che viene dalle immagini e in esse resta. La discorsività di Basquiat e le linee convulse eppure tanto consequenziali di Haring hanno questa nota comune.”88

Il rapporto che lega Basquiat al Graffiti Writing si colloca nella sua prima fase artistica, ossia nei primissimi anni Ottanta. Partecipa infatti con i graffiti artists alle varie collettive, tra le quali Beyond Worlds (ideata da Haring, curata da Futura 2000 e Fab Fred al Mudd club) del 1981, a cui partecipano tra gli altri Rammellzee, Phase II e Lady Pink e si può sostenere che proprio dal grande successo di questi eventi “ha origine lo sfruttamento commerciale del graffitismo, un’orgia di mercato gestita esclusivamente da mercanti d’arte bianchi, che in pochi anni cambierà radicalmente non solo il profilo dell’arte stessa, ma anche la dimensione architettonica della downtown.”89 Anche quando passa alla tela, Basquiat continuerà ad attingere dalla strada per i suoi soggetti e

“firmerà l’addensarsi di immagini prese dalla strada, visioni infantili, simboli di morte, slogan politici, disegni e scritte rivolte ad amici o a miti dello sport, sempre con una straordinaria capacità di fare nascere la bellezza dal disordine, abilità che sembra appresa tanto dalla pittura di Cy Twombly quanto alla musica jazz di Charlie Parker.”90

Quarant’anni dopo l’esordio delle prime tag sulle strade statunitensi, i graffiti sono un fenomeno ancora in espansione. La musica rap scala le classifiche musicali e la breakdance si insegna nelle scuole di ballo. L’Hip Hop può definirsi ora una vera cultura, riconosciuta dalle culture di massa e dai gruppi dominanti. I graffiti sono tuttora al centro di polemiche, disquisizioni, interrogativi sulla legittimità artistica. Dopo tutti questi anni fanno ancora scalpore, sintomo questo di un fenomeno per nulla passeggero. Ne è la prova il processo evolutivo del Graffiti Writing, che ha portato alla nascita di numerosi sotto-generi, quali Poster Art, Stencil Art o Sticker Art, per citarni alcuni. Si tratta del movimento più influente e innovativo degli ultimi decenni.

88 Coen V., “Un’esplosione sotterranea”, in A. Bonito Oliva (a cura di), American Graffiti, Roma, Panepinto arte, 1998, p. 87. 89 Ivi, p. 25. 90 Poli F. (a cura di), Arte contemporanea. Le ricerche internazionali dalla fine degli anni ’50 ad oggi, cit., p. 242. 41

[Figura 1] Il writer Cornbread a fianco di una sua tag. (Fonte: www.graffitiartistcornbread.com)

[Figura 2] Articolo del “New York [Figura 3] Locandina del film Wild Style con la Times” del 21 luglio 1971. Rock Steady Crew in copertina, 1983 (Fonte: www.nytimes.com)

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a b

c

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[Figura 4] a. Tag appartenente a Stay High 149 (Fonte: www.theboombox.com); b. Throw up di Giango, Mestre, Venezia (Fonte: Graffiti Writing. Origini, significati, tecniche e protagonisti in Italia, Milano, Mondadori, 2008); c. Masterpiece di Dondi (Fonte: Cooper M., Chalfant H., Subway Art, Milano, L’Ippocampo, 2009); d. Masterpiece eseguito con la tecnica Wildstyle, di Seen (Fonte: Art crimes).

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[Figura 5] Hang Nixon! del writer [Figura 6] Sky’s the limit di Bill Blast, 1982

Mico. (Fonte: www.riotsound.com) (Fonte: www.williamblastcordero.com)

[Figura 7] Manifesto di una mostra curata da Fashion Moda (Fonte: gallery.98bowery.com)

[Figura 8] Pezzo di Futura 2000 su un vagone della Subway di New York (Fonte: allcitystreetart.com)

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a b

[Figura 9. a e b] Due masterpieces di Lee. Il primo compiuto con la sua crew, The Fabolous Five. (Fonte: Stewart J., Graffiti kings: NYC Mass Transit art of the 1970’s, New York, Melcher Media. Abrams, 2009s). Il secondo raffigura Howard the Duck che pronuncia la frase: “I graffiti sono un’arte e se l’arte è un crimine, che Dio ci perdoni” (Fonte: Chalfant H, Prigoff J., Spraycan art, London, Thames & Hudson, 1995)

[Figura 10] Lady Pink indossa una t-shirt [Figura 11] Ritratto di Rammellzee. con stampato uno dei truisms di Jenny (Fonte: www.moma.org) Holzer, New York, 1983 (Fonte: www.art21.org)

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[Figura 12] Rammellzee, Lettera B. [Figura 13] Cover del volume (Fonte: animalnewyork.com) Subway Art, 1984 (Fonte: Cooper M., Chalfant H., Subway Art) Milano, L’Ippocampo, 2009

[Figura 14] Kenny Sharf. Murale tra Houston Street e Bowery, New York, 2010 (Fonte: Huffington Post)

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[Figura 15] Keith Haring, Tuttomondo, Pisa, 1989 (Fonte: Haring Foundation)

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CAPITOLO 2. DAL GRAFFITI WRITING ALLA STREET ART

“You ask someone: “do you like birds singing in the morning? Do you think it’s beautiful?”and the person will most probabily answer: “yes”. And then you ask the person: “Well, do you understand them?” and the person will go: “well, no”. And then you say: “you don’t have to understand something for it to be beautiful.”91 Tando

Come già asserito nel precedente capitolo, nel corso degli anni il Graffiti Writing ha subito varie mutazioni, evolvendosi sia nella forma, che nei contenuti, ampliandosi anche a livello ricettivo, allargando la cerchia del suo pubblico e dei suoi estimatori. Questo processo ha portato alla comparsa di numerosi sotto-generi e generi paralleli, i quali vengono solitamente accorpati, insieme al Graffiti Writing, entro il termine omnicomprensivo di Street Art. Per Street Art si intende qualsiasi tipo di intervento artistico all’interno del tessuto urbano. L’espressione “Street Art”, nonostante sia ormai diventata di uso comune, ha causato numerose dispute riguardo al suo utilizzo. Molti writer, ad esempio, non accettano l’appellativo di “street artist”, sostenendo che le loro opere e quelle di Street Art appartengano a due generi distinti e non comunicanti. Sul versante opposto, molti street artist non hanno mai praticato il Graffiti Writing e abbracciano una contro-cultura differente. Ciò nonostante, il Graffiti Writing e la Street Art possiedono diversi punti in comune: un rifiuto iniziale del sistema dell’arte, la realizzazione di opere nello spazio urbano, spesso non autorizzate e l’adesione a sotto-culture. È necessario quindi fare una distinzione tra Graffiti Writing e Street Art e qualora vi sia la necessità di accorpare i due movimenti, sarà più opportuno utilizzare il termine generico: “Arte Urbana”. Dopo aver ampiamente analizzato nel capitolo precedente il Graffiti Writing, nei prossimi paragrafi l’analisi verterà sulla Street Art.

91 Prova a chiedere a qualcuno: “ti piace il canto degli uccelli al mattino? Pensi che sia bello?” e la persona molto probabilmente risponderà: “sì”. E allora tu potrai chiedere alla persona: “bè, capisci cosa dicono?” e la persona dirà: “bè, no”, e allora tu dirai: “non è necessario capire qualcosa perchè sia bella.” Tando in H. Chalfant, J. Prigoff, Spraycan art, London, Thames & Hudson, 1995, p.27. 48

2.1 Graffitismo vs Street Art

Nel volume Street Art. The graffiti revolution92, Lewishon paragona graffiti e Street Art a musica Jazz e Techno: entrambi appartengono ad una macro-categoria – Arte Urbana nel primo caso e musica nel secondo – ma rimangono sempre due generi distinti e separati. Anche gli artisti, che siano writer o street artist, sono concordi sul fatto che Graffiti Writing e Street Art siano forme artistiche diverse e non debbano essere messe a confronto.

“La Street Art non è un’evoluzione del graffito, è un’alternativa ad esso, è un modo diverso per affrontare lo stesso problema e lo stesso spazio. Personalmente preferisco la pittura murale, ma l’involucro Street Art ospita in esso altre nobili discipline quali la stencil art, poster art, sticker art molto importanti per il proseguo di questa realtà.”93

Lucamaleonte, uno degli street artist più affermati in Italia prosegue:

“I graffiti e la Street Art sono due cose ben diverse e devono rimanere separate. Il graffitismo è l’evoluzione e lo studio della lettera, definisce un mondo a sé stante, una sottocultura ormai completamente formata, con delle regole da rispettare. […] La Street Art è un calderone all’interno del quale ognuno ci mette un po’ quello che vuole, […] credo che ci sia un bel po’ di confusione riguardo alle definizioni, e, da osservatore interno, penso che non ci sia assolutamente bisogno di questo.”94

La prima grande differenza tra Graffiti Writing e Street Art riguarda la ricezione delle opere. Sten & Lex, la coppia italiana che da più di quindici anni opera sulla scena mondiale della Urban Art, tra i primi in Italia a sviluppare la tecnica degli stencil a servizio dell’arte di strada, asseriscono:

“Tutto ciò che viene chiamato Street Art, è inteso come post-graffitismo. Il writing, anche se è ancora una realtà imponente, resta un linguaggio chiuso per lo spettatore comune, che non è in grado di codificare le lettere e i suoi significati. La Street Art, invece, essendo per lo più figurativa e basata sull’estetica del disegno, risulta molto più comprensibile.”95

I graffiti infatti, sono dei codici e solo chi appartiene a questo mondo, a questa cultura, è in grado di decifrarli. Il linguaggio dei graffiti è un linguaggio autoreferenziale. I writer “puri” utilizzano i graffiti come forma di comunicazione tra loro o come mezzo di diffusione della propria firma. Lo

92 Lewishon C., Street Art: the graffiti revolution, Londra, Tate publishing, 2008, p.15. 93 intervista a Giulio Control Zeta, in Ciotta E., Street Art. La rivoluzione nelle strade, Bepress edizioni, Lecce, 2012, p. 83. 94 Intervista a Lucamaleonte, in Ciotta E., op. cit., p. 85. 95 Intervista a Sten & Lex, in Ciotta E., op. cit., p. 89. 49 spettatore comune che si trova davanti a un “pezzo” non è in grado di decodificare la scritta: riuscirà solo a distinguere delle linee e delle forme apparentemente senza significato, dai colori accattivanti. Pur riconoscendone talvolta il valore artistico, la lettura dei graffiti risulta, ai più, ostica. Gli street artist invece, si rivolgono ad un pubblico più ampio, il loro target è chiunque passi nel luogo in cui è localizzata l’opera. Un’opera di Street Art è potenzialmente in grado di comunicare con l’intero insieme demografico urbano, dal bambino, alla famiglia, all’anziano. Mentre ai writer non interessa ciò che la società pensa di loro, gli street artist sono più impegnati nel cercare l’approvazione del pubblico. Le opere di Street Art, essendo nella maggior parte dei casi figurative, non possiedono un messaggio nascosto, da decriptare, sono quindi più comprensibili e di conseguenza più accettate e benvolute dal pubblico. Le bamboline di Miss Van96 o le margherite di Flower Guy97, sono decisamente più facili da apprezzare di un pezzo in Wildstyle di Seen o Daze. [figura 1] Se per i graffiti, quindi, vige ancora uno scetticismo di fondo da parte dell’osservatore, che si chiede se stia osservando un lavoro artistico o del mero vandalismo, tale dubbio finalemente svanisce di fronte alla Street Art. Dal punto di vista formale, Street Art e Graffiti Writing si differenziano su vari livelli. Gli strumenti utilizzati dai writer sono solo le bombolette spray o i markers, mentre la Street Art, comprendendo diverse tecniche stilistiche al suo interno, dispone di svariati e numerosi strumenti (mascherine per stencil, adesivi ecc.) e spesso diventa essenziale anche l’apporto del digitale. Per quanto riguarda la forma estetica, vi è una vera e propria dicotomia tra le due correnti. Il Graffiti Writing nasce come studio e sviluppo del lettering, con l’aggiunta di elementi figurativi che avviene solo in un secondo momento, durante il suo processo evolutivo. La Street Art, invece, crea simboli o immagini come veicolo espressivo e la presenza di lettere non è un elemento necessariamente ricorrente. I suddetti simboli, creati attraverso stencil, poster, sticker o qualsiasi altro medium possibile, diventano spesso veri e propri loghi o logotipi ed è piuttosto comune che diventino le firme stesse dell’artista. A conferma di ciò, va detto che sono numerosi gli street artist che basano tutta la loro carriera sullo studio e sull’evoluzione del proprio logo, fino a farlo diventare talvolta un brand (vedi capitolo 3). Questi pittogrammi stilizzati, universalmente riconoscibili, hanno il forte

96 (Tolosa, 1973), è una delle principali esponenti della Street Art femminile. Inizia a dipingere sui muri già dai primi anni Novanta, scegliendo la vernice acrilica come strumento per le sue opere. Dipinge esclusivamente soggetti femminili. Le sue donne sono bambole sensuali, con una sfumatura dark. Molto presente è l’influenza dei manga giapponesi, del burlesque e delle pin- up americane anni Cinquanta. 97 Flower guy, pseudonimo di Michael De Feo. Street artist dalla carriera ventennale, lavora sia su tela che sui muri. É famoso per i suoi fiori stilizzati colorati, realizzati su poster o direttamente sulla parete. 50 potere di comunicare senza bisogno di usare parole e l’osservatore è così in grado di interpretarli e generare proprie reazioni e sensazioni proprie. Si può affermare in definitiva, che il logo diventa l’elemento identificativo dello street artist. Per fare un esempio, imbattendoci in una freccia che punta verso l’alto, che sia dipinta su un muro o in forma di mobile pendente da un albero, in qualsiasi parte del mondo, avremo la certezza di trovarci davanti a un’azione di Above98. Il logo può essere quindi considerato come il corrispondente iconografico della tag. Una delle critiche più ricorrenti rivolte alla Street Art da parte degli estimatori del Writing puro, è l’accusa di creare pezzi seriali, al contrario dei graffiti, i quali sono sempre pezzi unici. Effettivamente la Street Art prevede la creazione di opere di massa, basti pensare agli sticker e ai poster della campagna Obey the giant dell’artista americano Shepard Fairey, i quali possono essere richiesti e ricevuti per posta o le cui immagini possono essere scaricate dal sito internet. La campagna Obey the giant ha creato un fenomeno virale che, da vent’anni a questa parte (i primi adesivi sono stati creati da Fairey alla fine degli anni Ottanta), ha portato il volto del wrestler André the Giant a campeggiare sui poster e sugli adesivi in ogni parte del mondo, dalla Quinta strada di New York ai quartieri più eleganti di Londra o Parigi, fino in Giappone e in Corea. Serialità, viralità e partecipazione, sono le caratteristiche principali della Street Art, che si contrappongono alla irripetibilità e alla unicità del gesto dei graffiti. Un’ulteriore divergenza riguarda il tempo e sulla modalità di azione. I writer svolgono il lavoro totalmente in loco, l’unica eccezione è data dalla bozza del disegno che può essere precedentemente schizzata sul proprio sketchbook. Un writer impiega, in questo modo, da qualche minuto per semplice un throw up fino a svariate ore per i pezzi più grandi, correndo così rischi maggiori nel caso di azioni illegali. Per lo street artist, invece, l’azione sulla strada è solo l’ultima parte di un lungo processo preparatorio attuato in studio. Lo street artist elabora i disegni, poi crea i supporti e solo infine può andare in strada a concludere l’opera. Il tempo di azione in strada si riduce così drasticamente, da pochi secondi per attaccare un adesivo, a una manciata di minuti per

98 Above, classe 1981, è uno street artist californiano. Attivo dal 1995, Above è un artista poliedrico e il suo lavoro si contraddistingue per la creazione del suo caratteristico logo – una freccia che punta “above”, in alto, appunto – utilizzando vari stili e tecniche. Eccelle nella Spray Art, nella Sticker Art, nella Stencil Art o nell’arte cinetica. In ogni suo viaggio, ama esplorare un nuovo stile. Oltre al suo logo, si concentra su opere text-based o di Stencil Art, solitamente a sfondo sociale o politico. Emblematico, è il suo graffito apparso nel 2012 sui muri di uno dei più grandi centri di esportazione di diamanti al mondo, a Johannesburg, in cui si legge: “Diamonds are a woman's best friend, and a man's worst enemy”, (i diamanti sono i migliori amici della donna e i peggiori nemici dell’uomo). Lavora in anonimato. Per ulteriori informazioni riguardo Above si rimanda a: Manco T., Street Logos, Londra, Thames & Hudson, 2004; C100, The art of rebellion III. The book about Street Art, Mainschaff, Publikat, 2010; Ganz N., Graffiti World: Street Art dai cinque continenti, Milano, L’Ippocampo, 2006. 51 affiggere un poster o creare un disegno tramite stencil. Il fatto di creare i propri lavori in studio porta ad avvicinare gli street artist agli artisti di Belle Arti veri e propri, piuttosto che a degli artisti “di strada”. Non a caso i principali street artist possiedono spesso un background di studi artistici anche a livello accademico. Eine (alter ego di Ben Flynn, 1970) nasce artisticamente come writer ed è un personaggio di rilievo nella scena del Graffiti Writing e della Street Art londinese. La ricerca di Eine si basa totalmente sullo sviluppo della lettera pura e per fare ciò, dipinge a caratteri cubitali tramite la bomboletta spray tutte le lettere dell’alfabeto per ogni tipo di font esistente, sulle saracinesche dei negozi. Parallelamente al Writing, Eine si dedica anche agli sticker e per questo è considerato un punto di incontro tra le due culture. Nel 2010 il primo ministro David Cameron ha donato al presidente Obama una tela di Eine99. [Figura 2] Eine afferma: “the Street Art movement is lots of kids who don’t necessarily want to go around vandalising everything and they’re more into art, and art college. This movement is a lot friendlier and a lot happier and not so hardcore.”100 Nonostante questo, non sono rari anche i casi in cui gli street artist provengano dal mondo del Graffiti Writing, il quale funge da base per i processi di ricerca degli artisti. Ne sono un esempio artisti consolidati come Barry McGee o JR. La scelta del luogo di azione è più rilevante per gli street artist che per i writer. Come si è già inteso, spesso le opere di Graffiti Writing sono esercizi di stile e ogni muro appare come potenziale supporto su cui esprimere la propria creatività. I writer preferiscono ampi spazi sui cui operare, anche per questo prediligono le zone periferiche, come palazzi o edifici in disuso. Le opere di Street Art invece, puntano alla visibilità e per questo le zone più colpite sono i centri storici o i luoghi più frequentati di ogni città. Essendo il Graffiti Writing un linguaggio standardizzato, universale, un pezzo o una tag di un writer provocherebbero lo stesso effetto e avrebbero lo stesso risultato in qualsiasi parte del mondo. Si tratta di un linguaggio autonomo. Gli street artist invece, spesso creano le loro opere in base al luogo in cui si trovano, dando vita a lavori squisitamente site- specific. Ne sono un esempio gli stencil artist francesi Blek le Rat o Christian Guémy, in arte C215, i quali durante ogni loro viaggio creano opere che dialogano e si integrano perfettamente con il territorio. Ecco così che appaiono, durante il soggiorno a Roma di C215, rivisitazioni caravaggesche o immagini di Gesù e Maria, mentre in Turchia le strade vengono costellate da poetici dervisci roteanti, catturati durante la celebre danza tradizionale. [Figura 3]

99 http://www.bbc.co.uk/news/uk-politics-10710074 100 “Il movimento della Street Art è un gruppo di ragazzi che non vogliono necessariamente andare in giro a vandalizzare tutto e sono appassionati di arte e corsi d’arte. Questo movimento è molto più amichevole e felice e non così estremo”. Eine in Lewishon C., op. cit., p. 69. (trad. mia). 52

Nonostante le molte differenze tra le due correnti, che denota quanto questi movimenti siano complessi e caratteristici, non mancano elementi in comune, che giustificano l’accorpamento in un’unica grande famiglia. Il primo elemento che accomuna le due correnti è lo sfruttamento dell’ambiente urbano. Come afferma Lewishon: “what graffiti shares with Street Art is a basic sense of appropriation: making the city your own, by claiming the space”101. Dovendo compiere prevalentemente azioni illegali, sia i writer che gli street artist tendono a rimanere nell’anonimato. Talvolta, gli artisti finiscono per rivelare la loro identità con l’aumentare della fama (Shepard Fairey è un artista dal volto noto sia al pubblico che alle forze dell’ordine, avendo all’attivo quattordici arresti); altre volte invece, sfruttano l’anonimato non solo per sfuggire alle autorità, ma come vera e propria strategia di marketing (ne è un esempio l’artista inglese Banksy, che ha creato sulla sua figura e la sua identità un vero e proprio hype102, con tanto di caccia all’uomo e raggiungendo quotazioni stellari). Si tratta comunque di un anonimato relativo, poiché anche se non si conosce il volto degli artisti in questione, la loro firma o le loro opere sono riconoscibili e popolari in ogni parte del mondo. Come per i writer più affermati, anche molti street artist, una volta entrati nel meccanismo delle gallerie e nel sistema dell’arte in generale, spesso decidono di abbandonare l’illegalità per cimentarsi in lavori in studio o su commissione. Questo discorso vale in particolar modo per gli street artist specializzati in pittura murale, i quali, degni eredi della tradizione muralista, creano opere figurative dalle dimensioni monumentali. Le notevoli dimensioni rendono l’azione illegale ostica e spesso infattibile, ma l’elevata qualità delle opere ripaga i loro creatori, i quali sono richiesti a partecipare con i loro interventi, ai sempre più frequenti festival mondiali di Street Art. Le amministrazioni cittadine non sono da meno, le quali commissionano un numero sempre maggiore di opere di Street Art per la città, come mezzo di riqualificazione urbana o semplicemente per decorare o impreziosire alcuni quartieri. Un esempio italiano è l’edizione 2013 del festival modenese di Street Art Icone, ribattezzato per l’occasione Icone 5.9. 5.9 è il grado di magnitudo del sisma che aveva colpito l’anno precedente la regione Emilia. Al festival hanno partecipato street artist italiani e internazionali, che sono intervenuti a Modena e in nove comuni limitrofi colpiti dal terremoto, riqualificando così alcune zone e ponendo l’attenzione sui comuni in difficoltà. A Bologna invece, durante il festival Frontier, sono stati chiamati tredici artisti dei muri, per creare delle opere sulle pareti di alcuni palazzi e condomini sparsi per la città.

101 “ciò che il Graffiti Writing condivide con la Street Art è un senso di appropriazione di base: tornare ad essere padroni della propria città, rivendicandone lo spazio.” Lewishon, C., op. cit. p. 63. (trad. mia). 102 Un battage pubblicitario. 53

L’Italia possiede ormai una grande tradizione di pittura murale, a cominciare dalla cittadina sarda di Orgosolo ricoperta di murales a partire dal 1970 e che, ad oggi, ne conta più di centocinquanta103, fino al comune bolognese di Dozza, il quale ospita la Biennale del muro dipinto, giunta nel 2013 alla XXIVesima edizione. Che sia illegale o commissionata, la Street Art è ormai parte della nostra quotidianità. Come già asserito, i writer preferiscono luoghi periferici per le loro azioni (palazzi vetusti o fatiscenti, cavalcavia delle autostrade, viadotti, treni e ferrovie), mentre gli street artist si concentrano nei centri storici e nelle zone residenziali. Col passare degli anni, gli street artist sono diventati sempre più apprezzati, in particolare dal pubblico giovane, il quale vede sui muri un’arte stimolante, creata da coetanei e che parla il loro stesso linguaggio. La Street Art è sinonimo di creatività e freschezza. In poco tempo, è passata da atto illegale e vandalico ad oggetto di culto, fino ad attivare anche dei processi di gentrification di alcune aree: Un quartiere inizialmente poco popolare, una volta colpito dagli street artist (meglio se già conosciuti), diventa in automatico un quartiere provocante, giovane e alla moda. Gli artisti e i creativi sono i primi a trasferirsi nella zona, sfruttando gli ampi spazi e i bassi affitti per i loro studi e laboratori. In un secondo momento compaiono i primi locali di tendenza e, infine, vi si trasferiscono i giovani e le famiglie. A conclusione del processo, la zona risulta riqualificata, il quartiere acquisisce valore, e i prezzi aumentano. Tra i vari esempi di questo fenomeno di gentrification si possono citare i sobborghi di Williamsburg e Bushwick a Brooklyn, per anni quartieri proletari o industriali e ora diventati tra i quartieri più ricercati e alla moda di tutta New York. Un altro esempio significativo è il quartiere di Hackney a Londra, zona già colpita dallo street artist inglese Banksy. Nel suo libro Wall and Piece, Banksy pubblica una lettera inviata al suo sito internet da un certo Daniel, il quale si lamenta dei graffiti e delle conseguenze scaturite da questi:

“I don’t know who you are or how many of you there are but i am writing to ask you to stop painting your things where i live. In particular xxxxxx road in Hackney. My brother and me were born here and have lived here all our lives but these days so many yuppies and students are moving here neither of us can afford to buy a house where we grew up anymore. Your graffities are undoubtably part of what makes these wankers think our area is cool. You’re obviously not from round here and after you have driven up the house prices you’ll probably just move on. Do us all a favour and go do your stuff somewhere else like Brixton. Daniel.”104

103 http://www.muralesinsardegna.net/?act=show_gallery&g=128 104 “Io non so chi è lei o quanti siete, ma le scrivo per chiedere di smettere di dipingere le sue cose dove vivo. In particolare via xxxxxx ad Hackney. Io e mio fratello siamo nati e cresciuti qui, ma oggigiorno si stanno trasferendo così tanti yuppies e studenti che nessuno dei due si può permettere di comprare una casa dove siamo cresciuti. I suoi graffiti c’entrano indubbiamente sul fatto che 54

La lettera in questione è stata pubblicata da Banksy sul suo libro, non è possibile quindi appurarne la veridicità. Se anche non fosse vera, rimane comunque verosimile ed effettivamente al quartiere di Hackney è accaduto lo stesso processo che in precedenza aveva colpito Williamsburg e Bushwick. La Street Art è ormai divenuta un fenomeno che travalica il suo ambito di appartenenza, quello prettamente artistico, per ricadere sulla società, l’ambiente e la cultura. Dal punto di vista culturale anche la Street Art, come il Graffiti Writing, è un movimento che non si limita alle arti visive, ma è strettamente connesso ad altre espressioni artistiche e culturali. Così, se il Writing è un elemento costitutivo della cultura Hip Hop, anche dalla Street Art si sviluppa una vera e propria sotto-cultura, con il suo stile, la sua musica e una sua comunità di appartenenza. Questo movimento si potrebbe definire Street Culture o Urban Culture. Si tratta di una sotto-cultura metropolitana, evolutasi ai margini della cultura ufficiale delle grandi città e caratterizzata da uno spirito punk e da un’attenzione maggiore verso la società. Gli skateboards e la musica punk-rock sono elementi centrali della Street Culture: molte tecniche di Street Art infatti, sono nate come servizio a quest’ultimi. I primi sticker venivano creati per ornare le tavole da skate e i poster per pubblicizzare concerti punk-rock. La Street Culture è venuta alla ribalta anche grazie all’interessante mostra itinerante Beautiful Losers: Contemporary Art and Street Culture, curata da Aaron Rose e Christian Strike, tenutasi dal 2004 al 2005 rispettivamente a Cincinnati, San Francisco, Newport Beach, Baltimora e Tampa. In seguito, la mostra si è spostata negli altri continenti, approdando anche in Italia, alla Triennale di Milano nel 2006. In concomitanza della mostra è stato pubblicato un catalogo e nel 2008 Aaron Rose ha diretto un film documentario ispirato alla mostra, dal titolo Beautiful Losers. La mostra, che ha avuto molta risonanza, esibiva una cinquantina di artisti provenienti dalle principali culture underground, quali Hip Hop, Punk e Skate-Culture. Le opere di questi giovani artisti erano caratterizzate da un forte attaccamento alla cultura “bassa”, dalla multidisciplinarietà e da una filosofia e un’attitudine Do It Yourself. Gli artisti, anche non professionisti e quasi tutti alla loro prima mostra, si sono così cimentati in fotografie, video, quadri, sculture, musica, graphic design e altro ancora, poiché, come viene descritto nell’introduzione del catalogo, gli artisti provenivano da un background dove ci sono poche regole e tutto è possibile.105 La mostra ha avuto il merito di far scoprire culture alternative in

questi coglioni trovino figo il nostro quartiere. Lei ovviamente non è di qui e dopo aver fatto salire i prezzi delle case probabilmente se ne andrà altrove. Ci faccia un favore e vada a fare le sue cose da qualche altra parte, tipo Brixton. Daniel.” In Banksy, Wall and Piece, Londra, Random House, 2005, p.21. (trad. mia). 105 Rose A., Strike C., Beautiful losers: contemporary art and street culture, New York, Iconoclast and D.A.P: distributed art publisher, 2005, p.21 55 pieno fermento e artisti indipendenti, alcuni dei quali oggi sono diventati artisti di successo: Shepard Fairey, Barry McGee e Spike Jonze tra tutti. Come già affermato in precedenza, la Street Art appare meno slegata alla società e risulta più attiva politicamente rispetto al Graffiti Writing. Il Graffiti Writing rimane di base un linguaggio estetico, attraverso il quale giovani writer si esprimono, per segnalare la propria esistenza, il loro posto nel mondo. La Street Art, invece, è il passo evolutivo successivo attraverso cui i giovani creativi decidono di ribellarsi alle oppressioni del mondo moderno e prestare le proprie opere al servizio della società. Non esiste altra forma d’arte così diretta e così comunicativa come la Street Art, attraverso la quale gli artisti possono intervenire e interloquire direttamente con le nostre vite. La crociata più grande degli Street Artist è quella contro la pubblicità, in particolare contro i colossali cartelloni pubblicitari che campeggiano nelle principali piazze o nelle arterie principali delle città di tutto il mondo. Come evidenzia anche Galal nel suo volume sulla Street Art, la principale critica in riferimento ai cosidetti billboards si basa sul fatto che nessun cittadino ha richiesto di vedere i cartelloni pubblicitari affissi a macchia di leopardo nella propria città e nessuno ha la possibilità di ribattere a questi106. Per gli street artist attivisti, i cartelloni pubblicitari sono oggetti di disturbo e deturpamento dell’ambiente, più giustificatamente passibili di vandalismo, rispetto ai graffiti o alle opere di Street Art. La Street Art, seppur illegale, dialoga con l’ambiente, si integra in esso e non è invasiva quanto dei meri cartelloni pubblicitari, il cui unico scopo è quello di vendere della merce imponendosi sul paesaggio urbano, senza mescolarsi. Molto meglio allora opere di Street Art non autorizzate, realizzate da artisti che rispettano la loro città e altro non vogliono che migliorarne l’aspetto o donare la propria creatività ad essa, piuttosto che pubblicità legali, senza valore artistico (sono lontani i tempi dei manifesti pubblicitari Liberty o di Depero), utili solo a chi li commissiona. Questa forte critica al sistema commerciale dominante ha creato dei veri e propri movimenti di o di Subvertising, in cui gli attivisti si applicano ad attaccare e combattere le pubblicità esistenti con opere di Street Art, ad esempio scrivendoci e dipingendoci sopra o incollando poster e adesivi, ridicolizzando così il messaggio e mutandone il significato. Cosi viene definito il Subvertising:

“Si tratta della produzione e diffusione di contro-pubblicità o parodie di pubblicità. Testi e immagini dell’industria pubblicitaria vengono utilizzati per de-costruire campagne o annunci pubblicitari attraverso lo straniamento. Per quanto riguarda il contenuto, il subvertising cerca di abbruttire o ridicolizzare un prodotto: attua uno spostamento del contenuto attraverso lo straniamento e il détournement. Spesso

106 Galal, C. Street Art, Roma, Auditorium, 2009, p 25. 56

vengono cambiati testi e/o immagini su spazi pubblicitari accessibili al pubblico, come i muri destinati ai manifesti o alle insegne. Dunque il subvertising è un modo per liberarsi dal ruolo di ricevente passivo di messaggi o di acquirente di merci, per riprendere la discussione pubblica sui loro significati politici e sociali.”107

Ad ogni modo non esistono solo movimenti di protesta; alcuni street artist sono semplicemente coinvolti nel miglioramento della società o partecipi alla politica. Il culmine dell’attivismo politico della Street Art è avvenuto probabilmente nel 2008, quando Shepard Fairey si è offerto di creare il poster per la campagna presidenziale di Barack Obama. Il celebre poster del volto di Obama, dipinto con i colori americani rosso, bianco e blu, con lo sguardo che volge all’orizzonte e la scritta Hope sottostante, ha raggiunto ormai lo status di icona ed è stato determinante per la creazione di un’immagine positiva di Obama presso l’elettorato americano.108 [Figura 4] A questo punto, dopo aver analizzato analogie e differenze tra il Graffiti Writing e la Street Art, appare necessario chiarificare e definire le caratteristiche peculiari di quest’ultima. Non è facile fare una distinzione o una catalogazione netta delle opere appartenenti a questa corrente, anche perché, come già ribadito, la Street Art racchiude in sè tanti stili e tante correnti differenti:

“Con la definizione Street Art si fa abitualmente riferimento a un insieme estremamente eterogeneo di opere. Questa comprendono, oltre a espressioni di creatività più o meno legittime nello spazio pubblico, anche tele di artisti legittimati e quotati nel sistema dell’arte contemporanea, esposte in luoghi ufficiali quali musei, gallerie e collezioni private; vere e proprie forme di arte pubblica, commissionate e valorizzate da enti comunali e fondazioni private; operazioni di recupero di aree metropolitane anonime o degradate, riqualificate tramite interventi creativi anche di notevoli dimensioni; campagne di marketing non convenzionale, che dai linguaggi delle subculture mutuano, oltre alle estetiche, le modalità tattiche di azione nell’ambiente urbano.”109

107 Ivi, p. 26. 108 Durante la campagna elettorale, il 22 febbraio 2008, Barack Obama invia una lettera di ringraziamento a Shepard Fairey per il suo supporto. Il corpo della lettera recita: “Dear Shepard, i would like to thank you for using your talent in support of my campaign. The political messages involved in your work have encouraged Americans to believe they can change the status-quo. Your images have a profound effect on people, whether seen in a gallery or on a stop sign. I am privileged to be a part of your artwork and proud to have your support. I wish you continued success and creativity.” Traduz. “Caro Shepard, vorrei ringraziarti per aver usato il tuo talento in supporto alla mia campagna. I messaggi politici coinvolti nel tuo lavoro hanno incoraggiato gli americani a credere che possono cambiare lo status-quo. I tuoi messaggi hanno un forte effetto sulle persone, che siano visti in una galleria o su un segnale di stop. Ho il privilegio di far parte della tua opera d’arte e sono orgoglioso di avere il tuo supporto. Ti auguro che il successo e la creatività continuino.” Fonte: http://www.obeygiant.com/headlines/check-it-out. (trad. mia). 109 Tommasini M., Beautiful winners. La Street Art tra underground arte e mercato, Verona, Ombre Corte, 2011, p.29. 57

In seguito vengono analizzati i principali stili e le tecniche più comuni della Street Art e gli artisti corrispondenti più significativi.

2.2 Stencil Art

La Stencil Art è una delle prime branche della Street Art a svilupparsi in concomitanza e in alternativa al Graffiti Writing. Tutt’oggi risulta una delle tecniche più diffuse e apprezzate dell’Arte Urbana, grazie alla sua velocità d’esecuzione e all’impatto del risultato. A livello artistico, gli stencil si diffondono durante gli anni Ottanta del ventesimo secolo, ma la loro prima comparsa sui muri è ben più remota. L’origine dei disegni praticati tramite stencil risale alle pitture rupestri e anche le popolazioni egizie e cinesi ne facevano largo uso. Con lo sviluppo dei commerci, questa pratica arrivò fino in Europa e ancora oggi rimane una delle tecniche preferite per le decorazioni di interni ed esterni.110 Con l’avvento di nuove tecniche come la serigrafia, le immagini impresse attraverso stencil e stampe si elevano qualitativamente e queste tecniche, in precedenza puramente decorative, iniziano ad essere utilizzate per creare vere opere d’arte. Rauschenberg e Warhol, tra i maggiori e più significativi sperimentatori del processo serigrafico, sono coloro che più hanno influenzato gli stencil artist odierni. In particolare, l’uso della serigrafia in Warhol, caratterizzata da una ripetizione ossessiva delle immagini e da una cromia molto forte e alterata, verrà ripresa e sfruttata da svariati street artist. Lo stencil si presta bene per creare opere di Street Art, poiché è un procedimento relativamente semplice, veloce e riutilizzabile. Proprio l’elemento della ripetibilità, però, ha tacciato la Stencil Art di essere un’arte meccanica e ripetitiva. Il procedimento consiste nel creare uno stencil (o mascherina), che funga da matrice, da appoggiare ad una parete, per poter poi colorarci attraverso, utilizzando una vernice spray o semplici pennelli. Attualmente, la procedura più comune è quella di creare lo stencil utilizzando il computer, creando un’immagine digitale e modificandola poi con programmi appositi. Non mancano però i “puristi”, i quali creano i loro stencil a mano, utilizzando solo carta, matita e taglierino.

110 Per un’analisi completa della storia della Stencil Art, si rimanda a Manco T., Stencil Art, Londra, Thames & Hudson, 2002, p.7 58

Un manuale dal titolo Street Art cook book. A guide to techniques and materials111, pubblicato da Wooster Collective112, il più famoso sito internet che si occupa di preservare e diffondere l’arte urbana nel mondo, spiega passo per passo come creare il proprio stencil. Qui ci si limiterà ad elencarne i passi principali. Per prima cosa si sceglie l’immagine da voler ricreare, che può essere una fotografia, un disegno creato a mano o un’immagine presa da internet. I contorni devono essere lineari e decisi e l’immagine deve avere un forte contrasto di colori, poiché l’effetto finale deve essere quello di un’immagine in negativo, per poter così ritagliare le parti scure, che saranno quelle da colorare con la vernice. I contorni e il contrasto possono essere modificati semplicemente, attraverso programmi di elaborazione grafica come Photoshop. Bisogna tenere presente che ad ogni stencil corrisponde un colore, perciò se si vuole ricreare un’immagine con più colori, bisogna creare uno stencil a più livelli. I livelli, oltre ad essere utilizzati per la colorazione, servono anche a donare volume all’immagine. Durante l’operazione di spray painting, i livelli sono posizionati sul muro uno alla volta e colorando man mano, vengono poi posti uno sopra l’altro. Dopo aver creato e stampato l’immagine, è sufficiente creare un supporto, che può essere cartone, plastica o qualsiasi altro materiale a scelta, purchè risulti solido, ma non troppo difficile da tagliare. Una volta ritagliato, lo stencil è pronto per poter essere utilizzato in strada. Le immagini create tramite stencil, spesso vengono spesso riprodotte anche su altri supporti, come t-shirt, tele, tessuti, metalli e così via. La scelta della location in cui agire si attua in base al target che si vuole intercettare: gli attivisti tendono a colpire i palazzi governativi o le zone di grande traffico come i distretti dello shopping; chi cerca la notorietà preferisce le zone alla moda, per catalizzare l’attenzione dei giovani e delle gallerie; ma c’è anche chi agisce in tutto il territorio, senza una preferenza o uno schema preciso. La principale caratteristica della Stencil Art è l’eterogeneità dei soggetti. C’è chi sceglie di disegnare la frutta, come lo street artist tedesco Thomas Baumgärtel, alias Bananen sprayer, diventato famoso per le sue banane tappezzate su tutti i muri d’Europa; chi preferisce le silhouettes di femme fatales come la francese Miss.Tic; chi invece realizza complesse e articolate pitture, con una commistione di stencil e mano libera, come Nick Walker, padre putativo, artisticamente

111 Carlsson B., Hop L., Street Art cook book. A guide to techniques and materials, Arsta, Sweden, Dokument Press, 2011. 112 è un sito internet fondato nel 2001, nato con lo scopo di mostrare e diffondere l’arte effimera realizzata nelle strade delle città di tutto il mondo. Per maggiori informazioni si rimanda a: http://www.woostercollective.com 59 parlando, di Banksy. E poi ancora animali, ritratti, oggetti113, eroi dei fumetti e dello star system, simboli di protesta o qualsiasi altra idea concepita dalla mente degli artisti. [Figura 5] Ci si ritrova davanti ad un immaginario iconografico pop che innalza a livello artistico vari elementi di vita quotidiana. Dal punto di vista stilistico, le immagini sono spesso semplici, definite. I dettagli ridotti al minimo e le campiture compatte, inondate dai colori brillanti delle bombolette spray, ricordano Matisse e i fauves ed è evidente l’eredità lasciata agli stencil, dal cloisonnisme, con i suoi blocchi di colore inseriti tra i contorni netti delle immagini. Queste figure essenziali, spesso simboliche, focalizzano l’attenzione sull’idea dell’artista. Un punto di riferimento per gli stencil artist rimane la segnaletica stradale. Spesso gli stencil vengono utilizzati dall’amministrazione cittadina per la segnaletica temporanea o nei casi in cui si necessiti di una segnaletica veloce e chiara. Questi segni autoritari e lineari, come frecce, messaggi brevi o indicazioni stradali, vengono ripresi dagli stencil artist, poiché attraggono l’attenzione e creano un effetto di spaesamento, non appena l’osservatore intuisce che non sta osservando un segnale ufficiale, ma un’opera di uno street artist. L’esempio più eclatante è quello del provocatorio artista inglese Banksy, specializzato in Stencil Art e ormai entrato nell’olimpo dell’arte contemporanea. Per un suo intervento, Banksy ha ripreso l’Utilitarian Style, ossia il font dei messaggi ufficiali del City Council di Londra e ha allocato su alcuni muri della città la scritta: This wall is a designated graffiti area (questo muro è un’area designata per i graffiti). In pochi giorni i muri si sono riempiti di graffiti creando imbarazzo per gli amministratori cittadini. [Figura 6] Lo stencil possiede un’aura di ribellione, probabilmente dovuto al fatto che in passato veniva utilizzato per scopi politici (erano molto utilizzati in Francia durante le rivolte del ’68) o da forti contro-culture come quella Punk e per questo spirito così trasgressivo, giovanile e immediato, attualmente è uno dei media preferiti anche per le campagne pubblicitarie. Come ribadisce Manco:

“While graffiti has been used on the clothing and accessories of today’s most desirable fashion houses, in particular have been used to promote everything from club nights, band and record labels to websites and even multinational companies. Corporate advertisers see stencils as an inexpensive and alternative way of spreading information, while having an element of street credibility.”114

113 un collettivo inglese in attività dal 1999 si fa chiamare The Toasters. Con un’influenza vagamente dadaista, il loro scopo è quello di decorare lo spazio urbano con immagini di tostapani. Essi lo definiscono: “un esercizio per rendere famoso qualcosa, che essenzialmente non promuove altro che se stesso”, in Manco T., Stencil Art, cit., p. 70. 114 “Mentre i graffiti sono stati utilizzati per abiti e accessori dalle più rinomate case di moda, gli stencil sono stati utilizzati per promuovere di tutto, dai locali, alle etichette discografiche, dai siti internet fino alle grandi multinazionali. I pubblicitari vedono gli stencil come un modo per spargere informazioni economico ed alternativo, mantenendo un elemento di credibilità urbana.” In Manco T., Stencil Art, cit., p. 15 (trad. mia). 60

Ironico e dissacrante, talvolta rassicurante (poiché mostra soggetti familiari e conosciuti), lo stencil è uno strumento altamente versatile e poliedrico e, a seconda del soggetto e del tipo di stencil, può lanciare ogni volta un messaggio differente. In questo, c’è molta più varietà e molto più spazio creativo, per esempio, rispetto agli sticker. Gli stencil artist creano “un’arte che è espressionista, situazionista, surrealista, satirica e poetica”115, un’arte vibrante quindi, con gesti e cromie forti, con una volontà di indipendenza, che fa sorridere, riflettere o stupire, ma che sicuramente non può lasciare indifferenti.

2.1.1 Blek le Rat

Blek le Rat, pseudonimo di Xavier Prou, nato nel 1952 nei sobborghi di Parigi, è un pioniere degli Stencil Graffiti. Inizia a sperimentare la tecnica degli stencil all’inizio degli anni Ottanta, poiché come afferma lui stesso, è sempre stato un estimatore dei graffiti, ma, allo stesso tempo, ha voluto prendere le distanze dalla tradizione americana:

“1981 to 1983 is the beginning of the stencil graffiti art. I had the idea to use stencils to make graffiti for one reason. I did not want to imitate the American graffiti that I had seen in NYC in 1971 during a journey i had done over there. I wanted to have my own style in the street...I began to spray some small rats in the streets of Paris because rats are the only wild living animals in cities and only rats will survive when the human race will have disappeared and died out.”116

Il ratto è stato il primo soggetto ad essere dipinto da Blek e rimane un elemento costante in tutta la sua opera, tanto da far guadagnare al suo ideatore l’appellativo “le Rat”. Durante la notte di Capodanno del 1982, Blek colpisce il tempio dell’arte d’èlite francese: il centre Pompidou, che viene invaso da decine di ratti e altre figure. Da lì in poi l’immagine emblematica del suo ratto diventa famosa ovunque e il soggetto viene preso in prestito anche da altri stencil artist, tra i quali Banksy. Blek le Rat afferma che ama rappresentare i ratti, poiché oltre ad essere liberi, sono considerati mitologicamente portatori di piaghe e i graffiti sono come le piaghe: una volta che

115 Ivi, p. 35. 116 “Dal 1981 al 1983 è l’inizio della Stencil Graffiti Art. Ho avuto l’idea di fare i graffiti con gli stencil per un motivo: non volevo imitare i graffiti americani che avevo visto nel 1971 durante un viaggio a New York. Volevo avere uno stile mio sulle strade. Ho iniziato a dipingere con lo spray dei ratti per le strade di Parigi, perchè i ratti sono gli unici animali selvaggi delle città e i ratti sopravviveranno anche quando la razza umana sarà scomparsa”. http://bleklerat.free.fr/stencil%20graffiti.html (trad. mia). 61 iniziano, non c’è modo di poterle fermare e sono contagiose. Inoltre rat è l’anagramma di art e Blek decide di sfruttare questo nesso: “in rat you have art; it’s a connection.”117 Blek scopre gli stencil nei suoi viaggi in Italia durante l’infanzia. Rimane colpito dalle immagini risalenti alla guerra, con busti di Mussolini o scritte propagandistiche dipinte sui muri; poi è testimone delle rivolte parigine sessantottine e degli slogan politici disseminati per le strade. Dopodichè, durante gli anni dell’Accademia di Belle Arti si avvicina alla tecnica pochoir118 e, infine, il viaggio in America consolida la sua passione per i graffiti. Oltre agli stencil dei ratti, Blek le Rat è divenuto famoso per i suoi stencil di figure umane a grandezza naturale, che sorprendono l’osservatore agli angoli dei muri. Le sue raffigurazioni ritraggono personaggi generici, come donne incinte, uomini armati, prostitute, per poi passare agli omaggi, con gli stencil di Charlie Chaplin, Joseph Beuys o Andy Warhol. I lavori di Blek le Rat sono tutti site-specific e la location è ben studiata e mirata:

“le sue icone, animali e successivamente antropomorfe e a grandezza naturale, si possono infatti considerare come uno dei primissimi esempi di intervento consapevolmente artistico e decorativo nel tessuto urbano, indipendente da qualsiasi implicazione esplicitamente politica o legata a codici subculturali. […] Le sue modalità di intervento tenevano sempre in considerazione il contesto urbano in cui le opere sarebbero state eseguite, traendo anzi ispirazione da esso”.119

Nel corso degli anni Blek le Rat è passato ai lavori su tela, poiché considera la galleria un modo per immortalare e memorizzare ciò che è accaduto precedentemente in strada, ma, nonostante la sua carriera pluriventennale, cerca ancora di lavorare il più possibile per strada, per mantenere viva e genuina la sua arte. [Figura 7]

2.1.2 C215

Christian Guémy (Bondy, 1973), meglio noto come C215, è uno dei più quotati street artist degli ultimi anni. Il suo virtuosismo nello stencil, i ritratti profondi e incisivi e la magistrale capacità di armonizzare l’opera con l’ambiente, lo ha portato ad essere ammirato dai più grandi street artist e ricercato da importanti gallerie. Di nazionalità francese, come il suo predecessore Blek le Rat, C215

117 Blek le Rat in Peiter S. (a cura di), Guerrilla art, Londra, Laurence king publishing, 2009, p.22. 118 Il pochoir si differenzia leggermente dalla tecnica ordinaria dello stencil. Si tratta di una tecnica altamente raffinata per la produzione di stampe tramite stencil. La colorazione avviene solo a mano e il risultato è un’immagine altamente definita. Tra gli artisti del Novecento ad utilizzare questa tecnica si annoverano Pablo Picasso e Joan Mirò, i quali producevano stampe in pochoir per i libri d’illustrazione. Fonte: Encyclopædia Britannica. 119 Tommasini M., op. cit., p.62. 62 nasce e cresce nei sobborghi di Parigi, per poi spostarsi da una città all’altra della Francia durante gli anni dell’università. Dopo aver conseguito gli studi in Teoria dell’architettura e Storia dell’arte ed aver frequentato anche un master in Economia e mercati internazionali, C215, si trasferisce nella cittadina di Vitry-sur-Seine – una piccola cittadina non lontano da Parigi, famosa per la sua apertura e tolleranza nei confronti della Street Art120– per stare vicino a sua figlia Nina. Svolge il suo primo ritratto con lo stencil a trentatré anni e il soggetto è Ava, la madre di sua figlia. In seguito, sua figlia sarà un soggetto ricorrente nella sua carriera e rimane tuttora la sua modella preferita. Inizialmente i suoi stencil sono monocromatici (solitamente il soggetto è bianco e lo sfondo colorato, per integrarsi meglio con l’ambiente) e a campiture larghe, ma con il tempo sviluppa una tecnica sopraffina e i suoi ritratti si arricchiscono di minuziosi particolari, quasi fotografici. Fatta eccezione per i gatti, animale totem per l’artista poiché libero, indipendente e presente in ogni paese, C215 si specializza nei volti, da lui considerati espressivi e comunicativi. I ritratti di C215 sono empatici, vivi ed è difficile rimanere indifferenti davanti a essi. Quando ritrae la figlia o due giovani adolescenti colti nell’atto di baciarsi, l’opera appare come un’esplosione di colori: giallo, fucsia, l’immancabile blu (di cui si è infatuato durante un master su Der Blaue Reiter e a cui non rinuncia mai), colori vivaci, allegri e positivi. Quando invece ritrae mendicanti, senzatetto o si vuole rapportare con i grandi classici come Caravaggio a Roma o le sculture elleniche ad Atene, le opere sono solitamente monocromatiche, più intime e introspettive. Per C215 “i volti delle persone sono carte d’identità: persone sofferenti, felici, triste o stupite assumono attraverso i suoi stencil un valore universale, rappresentano non più solo loro stesse, ma tutti noi.”121 Le linee sottili e precise degli stencil sui volti, prendono le sembianze di rughe, vene, cicatrici e associate ai forti contrasti cromatici creano l’effetto di quadri espressionisti, fauves soprattutto. I soggetti più ricorrenti sono senzatetto, mendicanti, orfani. I volti degli emarginati sono volti marcati, significativi, che raccontano una storia, anche se, da quando ha iniziato a guadagnare per le sue opere, ha cessato di ritrarre questa tipologia di persone per concentrarsi su sua figlia Nina, poiché come ammette egli stesso: “ritrarre questo tipo di disagio significava per me restituirgli dignità e personalità. Ma ho

120 Vitry-sur-Seine rappresenta oggi un centro vitale per la Street Art. Prima ancora di Bristol, città- simbolo della Street Art per antonomasia, Vitry-sur-Seine ha ospitato vari street artist e lasciato che dipingessero sui muri della città. Il sobborgo si presenta oggi come un villaggio colorato, una vera e propria galleria en plein air, con visitatori provenienti da ogni parte del mondo, per osservare le opere di Street Art. I muri di Vitry-sur-Seine, oltre ai lavori di C215, ospitano opere di Roa, David Walker, Btoy, degli italiani Orticanoodles e Alice Pasquini e molti altri ancora. Ad oggi, ben due volumi sono stati pubblicati su Vitry-sur-Seine e la Street Art. Si veda a riguardo: Silhol B., Oxygène N., Rouly J., Vitry vit le Street Art, Grenoble, Criteres Éditions, 2011; Silhol B., Oxygène N., Vitry ville Street Art: L'aventure continue, Grenoble, Criteres Éditions, 2013. 121 De Gregori S., C215. Un maestro dello stencil, Roma, Castelvecchi, 2013, p.14. 63 smesso. […] Mi piacciono gli artisti sinceri e non quelli che fanno finta demagogia e vendono la miseria.”122 C215 predilige opere di piccolo formato, poiché sorprendono lo spettatore e si possono adattare ad ogni tipo di supporto, da una cassetta per le lettere ai bidoni, dai segnali stradali ai muretti, sempre rispettando la storicità o l’importanza artistica del luogo di destinazione. Nel corso della sua carriera compie viaggi in tutto il mondo e per ogni luogo crea opere specifiche. Nel 2008 si dirige in Marocco, dove ritrae la gente del luogo, poi a Brooklyn dove si concentra sui senzatetto. In Brasile focalizza il suo lavoro nelle favelas e partecipa anche ad un workshop progettato da un’organizzazione benefica, per insegnare ai ragazzi delle favelas a realizzare gli Stencil Graffiti. E poi ancora India, Senegal, Russia e quasi tutta l’Europa, passando anche per l’Italia, approdando a Roma, Napoli e Venezia. C215 ha esposto negli anni in numerose gallerie, sia con mostre personali, sia partecipando a svariate collettive. Nel 2008 partecipa alla collettiva Stencil History X a Vienna e viene inaugurata una sua mostra al centro sociale Brancaleone di Roma, dal titolo All you need is wall. Sempre nello stesso anno espone a San Paolo, New York e Londra: in quest’ultima partecipa al Cans Festival, festival di Stencil Art organizzato da Banksy. Nel corso degli anni continua ad esporre e viaggiare; nel 2010 partecipa all’Outdoor Festival, creando un pezzo alla Garbatella a Roma e nel 2012 espone alla Moniker Art Fair di Londra, vendendo tutti i suoi pezzi. I prezzi delle sue opere oscillano tra i 1000 e i 20.000 euro. Una cassetta delle poste con un suo dipinto sopra, è stato battuto all’asta nel 2013, a 23.200 euro.123 Nel 2013 espone insieme ad altri street artist come Shepard Fairey, Miss.Tic e Banksy ad una mostra organizzata dal Museo della Posta di Parigi, dal titolo Au delà du Street Art, e alcuni dei lavori esposti vengono rappresentati anche su una serie limitata di francobolli. Pur essendo uno street artist, C215 per il suo stile raffinato e i temi scelti per le sue opere, può essere considerato un artista della tradizione pittorica. Non a caso, possiede un background notevole di studi artistici e come dichiara lui stesso in un’intervista, alla domanda su quali sono stati gli artisti che più hanno influenzato il suo lavoro, egli risponde:

“Per la mia formazione sicuramente Paolo Veronese, Albrecht Dürer, Caravaggio, Théodore Géricault, Georges de La Tour e Philippe de Champaigne. Tra i primi Street Artist devo molto a Ernest Pignon- Ernest e in questi ultimi anni a Swoon, Banksy, Obey, Carricondo, El Mac e O’clock.”124

122 Ivi. p.128. 123 Ivi, p.111. 124 Ivi, p.126. 64

C215 inoltre dichiara che si è ispirato proprio a Caravaggio per i suoi chiaroscuro sugli stencil e per l’utilizzo della luce. Estimatore delle Belle Arti, non disdegna le opere su commissione, poiché afferma che questa pratica gli ricorda il Rinascimento, ma tra galleria e strada preferisce indubbiamente la seconda. Significativa è una sua dichiarazione sul lavoro di strada e sull’unicità di questa tipologia di opere:

“La galleria e la commissione non sono graffiti. Quando sono per strada parlo con le persone, lascio dei segni dietro di me. La strada possiede una poesia rara, che mi permette di sentirmi libero e quando ci lavoro esiste solo l’impulsitvità e l’ispirazione.[…] Le opere che lascio per strada, presto o tardi saranno alterate, cambieranno e non saranno più le stesse. Le abbandono dietro di me, ne perdo il controllo e le lascio alla loro evoluzione, per questo si chiama Street Art: non sono più una mia opera. Il tempo, i cambiamenti climatici, chi passa e ci scrive sopra o accanto, vengono inglobate all’interno di qualcosa di più grande di cui io non sono l’artefice. In galleria l’adrenalina e le intenzioni non sono le stesse, l’opera nasce e muore così. Chi la compra non potrà mai averla veramente, non potrà avere la strada.”125

Dalle opere di C215 traspare tutta la sua esperienza umana. I suoi ritratti comunicano con lo sguardo, raccontano una storia ed emozionano. Per artisti come C215 la sovversività, l’illegalità e la ribellione passano in secondo piano, l’unica cosa che conta è ciò che riesce a trasmettere l’opera. Nella Street Art subentra la poesia. [Figura 8]

2.3 Poster Art

La Street Art per mezzo di poster è una pratica molto diffusa, poiché comodamente sviluppabile in studio, d’impatto e duratura. Tra le pratiche di Street Art, la Poster Art è quella più longeva, probabilmente per il fatto che le persone sono abituate a vedere decine di poster, per strada, ogni giorno e la consuetudine non spaventa o crea scalpore. Inoltre, il poster, nonostante sia attaccato spesso illegalmente, viene considerato meno invasivo, poiché destinato a scomparire a breve. Ogni giorno siamo bombardati da immagini pubblicitarie, cartelloni dalle dimensioni più disparate, segnaletica e messaggi di ogni tipo e quando si nota un poster fine a se stesso, che vuole unicamente testimoniare la sua presenza ed esprimere un messaggio estetico-artistico, viene accolto senza livore. La rivoluzione dei poster avviene durante gli anni Sessanta, con la diffusione sul mercato delle fotocopiatrici, attraverso le quali ognuno ha la possibilità di stampare i propri fogli, volantini e poster, a casa, individualmente.

125 Ivi, p.144. 65

Nel già citato manuale sulle tecniche e i materiali per la Street Art, viene analizzato anche il procedimento per la Poster Art. Per prima cosa è necessario scegliere un soggetto, che può essere realizzato attraverso varie tecniche: serigrafia, stampa, fotocopie, stencil o dipinto direttamente sulla carta da poster. È necessaria una carta specifica per il poster, che deve essere molto sottile, poiché più la carta è sottile, più durerà sul muro, ma non lo deve essere troppo, altrimenti c’è il rischio che si strappi nel momento dell’incollatura. Lo spessore perfetto è quello della carta da gioranle. Una volta stampato o dipinto il soggetto del poster (si raccomanda di usare una vernice idrorepellente), si passa al taglio e infine all’azione su strada. Per incollare il poster è consigliata una colla per carta da parati o per il legno e come strumento si può utilizzare un pennello o un rullo. La colla impiegherà alcune ore per asciugarsi. Nonostante il lungo procedimento preparatorio in studio, l’azione in strada dura pochi minuti e non è necessario alcun aiuto da parte di terzi. Ernest Pignon-Ernest (Nizza, 1942) può essere considerato il precursore della Poster Art. Dagli anni Sessanta crea immagini serigrafate, dipinte o disegnate e le dissemina per le città. Per Pignon-Ernest l’immagine e il luogo dove essa va applicata sono strettamente collegati: l’immagine deve integrarsi perfettamente con l’architettura urbana. Immagine e ambiente devono amalgamarsi fino a diventare una cosa sola. Per ottenere questo risultato, entra in gioco un altro elemento essenziale per tutta l’opera di Pignon-Ernest, ossia il deterioramento dell’immagine. Così come il luogo muta e si deteriora con il tempo, anche la figura deve subire lo stesso trattamento. Per Pignon-Ernest la fragilità del foglio assurge al ruolo di memento mori e particolarmente propedeutica a questo concetto, è la serie di opere che l’artista compie a Napoli tra il 1988 e il 1995. Nei vicoli napoletani Pignon-Ernest incolla di notte immagini dei grandi maestri italiani, in particolare Caravaggio e le figure, che si fondono magistralmente con i muri antichi della città, sembrano erompere da essi, come per riportare alla luce la storia e le memorie della gente. [Figura 9] Tra i nuovi artisti contemporanei aderenti alla corrente della Poster Art, Swoon (vero nome: Caledonia Dance Curry, nata a New London, in Connecticut, nel 1978) può essere considerata una dei più promettenti. Si avvicina alla Street Art all’età di diciannove anni e la sua arte si caratterizza per le stampe di figure umane a grandezza naturale. Particolarmente raffinati sono i suoi lavori ispirati al teatro delle ombre indonesiano. Sul lavoro di strada Swoon dichiara: “I love the layers, the natural beauty of a thousand coincidental markings and factors. At the time it seemed like the street was the only place where real beauty was occurring. The only place open to spontaneity.”126

126 “Amo gli strati, la bellezza naturale di migliaia di segni e fattori casuali. Al tempo sembrava che la strada fosse l’unico luogo in cui esistesse la bellezza. L’unico posto aperto alla spontaneità”. Carlsson B., Louie H., op. cit., p. 20. (trad. mia). 66

Nel 2009, durante la Biennale di Venezia, Swoon ha messo in atto un progetto dal nome Swimming Cities of Serenissima in cui lei, insieme ad altri trenta artisti di strada specializzati nel recupero e nel riciclo degli oggetti, sono sbarcati all’Arsenale su tre zattere costruite con i rifiuti della città di New York. La ciurma è partita dalla Slovenia, per attraccare infine all’isola di Certosa, fermandosi di volta in volta in vari punti della laguna, con l’obiettivo di entrare in contatto con la gente e l’artigianato locale. [Figura 10] Una tecnica abbastanza comune utilizzata dai poster artist è quella del collage. Judith Supine è un artista che vive e lavora a New York. Il suo nome è un nome d’arte, quello di sua madre più precisamente, poiché egli ha deciso di rimanere anonimo. I suoi particolari lavori sono dei collage surreali dai colori acidi, di immagini riciclate, in particolare di volti pubblicitari, che l’artista trova in vecchi libri o giornali, provenienti da magazzini o direttamente dalla spazzatura. Supine assembla le immagini, le fotocopia, le colora, alterando la veridicità delle immagini e creando un effetto lisergico, per poi incollarle sui muri della città. Inconfondibili sono i suoi visi giallo-verde acido. Il risultato finale sono volti grotteschi e psichedelici, “figure perverse e sporche, come i suoi metodi di produzione.”127 Tra le sue fonti di ispirazione sono evidenti le caricature di George Grosz e i collage e i fotomontaggi del Dada berlinese. É possibile sfruttare anche per Supine, il commento che Barilli rivolge ai collage di Schwitters: “i singoli elementi ritagliati, benché ricavati con procedimento non-artistico, entrano in un contesto artistico, venendo armonizzati tra loro (anche se attraverso accostamenti arditi) e sfruttati nel loro potenziale “estetico”, cioè nella sensuosità di colore e materia.”128 Notevoli e di forte impatto sono le installazioni che Judith Supine ha posizionato – illegalmente – nel corso degli anni, sui vari ponti della città di New York. Nel 2007 prese d’assalto il Manhattan Bridge, nel 2009 il Williamsburg bridge e infine, nel 2014 il Queensboro bridge. [Figura 11] La Poster Art si presta molto bene alla già citata missione del Subvertising (o Adbusting), ossia la rivolta contro i cartelloni pubblicitari. Anche se il Subvertising si avvicina più ad un forma di attivismo politico-sociale, piuttosto che ad una espressione artistica, molti street artist hanno donato il loro contributo per la causa. Il poster è il medium più utilizzato, poiché utilizzando lo stesso strumento dell’annuncio pubblicitario, quest’ultimo risulta più facile da modificare e stravolgere, mantenendo un effetto veritiero. Il movimento del Subvertising si sviluppa negli anni Settanta e da allora, periodicamente nuovi gruppi nascono e si battono per lottare contro l’usurpazione del territorio urbano e la liberazione dei cartelloni da parte dei messaggi pubblicitari. I precursori di questo movimento sono i membri del Billboard Liberation Front, con base a San

127 Lewishon C., op. cit., p.143 128 Barilli R., L’arte contemporanea, Milano, Feltrinelli Editore, 2007, p. 284. 67

Francisco, mentre tra le organizzazioni più attive si trova Adbusters, fondata in Canada nel 1989, con all’attivo decine di campagne per il boicottaggio della pubblicità e per la sensibilizzazione dei cittadini, come ad esempio il Buy Nothing Day o il TV Turnoff Week. Ron English (Dallas, 1966), artista pop contemporaneo, ha basato gran parte del sua attività artistica sul Subvertising, creando cartelloni di protesta decisamente poco politically-correct, creando molto scalpore. In un’intervista ha dichiarato che il messaggio che vuole mandare è quello di libertà di parola. Lo spazio pubblico è un diritto umano e se la pubblicità è accettata, allora lo deve essere anche la contro-pubblicità129. Lavora con gli stessi materiali dei cartelloni pubblicitari e lavora di giorno, così da non creare sospetto. I loghi e le immagini utilizzate dai subvertisers sono uguali o molto simili a quelli delle campagne pubblicitarie originali, quindi di primo impatto pare di trovarsi davanti al solito messaggio pubblicitario, ma a un secondo sguardo, si nota che il messaggio o parte dell’immagine sono stati modificati e il concetto rivoluzionato, creando un effetto di spaesamento e confusione. Per compiere questi atti sovversivi si possono scegliere due modalità: creare un manifesto ex novo del tutto simile a quello originario, con la stessa grafica e gli stessi colori, ma con il messaggio modificato – come, ad esempio, il poster realizzato da Ron English con la dicitura Diabetic Coke, invece di Diet Coke – oppure è possibile modificare un manifesto pre-esistente. Un esempio recente di questa seconda modalità d’azione è quello di Daniel Soares, un giovane creativo tedesco- portoghese, che ha affisso sui cartelloni della campagna pubblicitaria di costumi di H&M, colosso della moda svedese, dei poster raffiguranti la barra degli strumenti di Photoshop, come denuncia all’uso smodato del foto-ritocco nelle pubblicità.

2.3.1 Shepard Fairey

Shepard Fairey, nato in South Carolina nel 1970 e conosciuto al grande pubblico con lo pseudonimo di “Obey”, è street artist, graphic designer, imprenditore, pubblicitario, illustratore e racchiude nella sua figura tutto lo spirito dell’artista contemporaneo. Molti artisti contemporanei, in particolar modo gli street artist, non limitano la loro esperienza professionale nelle arti visive, ma cercano di diffondere la loro arte e la loro esperienza anche in vari ambiti, che vanno dal design, all’abbigliamento. Durante i suoi studi alla Rhode Island school of Design, Fairey entra in contatto con artisti e movimenti che influenzeranno fortemente il suo lavoro. Rodčenko e i costruttivisti russi sono le sue prime fonti di ispirazione per quel che riguarda i caratteri tipografici, le cromie (nell’opera di Obey prevalgono sempre il nero, il bianco e il rosso) e i soggetti rappresentati. Alcuni poster di Obey

129 Carlsson B., Louie H., op. cit. p.33. 68 sono dei veri e propri omaggi ai manifesti costruttivisti russi. [Figura 12] Inoltre, così come i costruttivisti, Obey “sceglie di utilizzare l’arte come messaggio sociale e come veicolo di contenuti per le masse.”130 L’arte quindi non deve essere fine a se stessa, ma deve essere di aiuto e a servizio della società. Un’ulteriore evidente fonte di ispirazione per Obey è l’arte di Barbara Kruger, artista concettuale statunitense che basa la sua opera sulla ricerca di immagini di riciclo, in particolar modo immagini o fotografie pubblicitarie trovate su riviste e giornali, aggiungendo però degli slogan sovversivi che ne ribaltano il senso. I suoi manifesti e i suoi slogan contro il consumismo, come l’emblematico I shop, therefore i am, hanno ispirato l’opera di Fairey e della corrente Subvertising. Fairey si è ispirato alla Kruger soprattutto per la scelta cromatica, dal momento che anche la Kruger utilizza solo le fotografie in bianco e nero, sulle quali sovrascrive, con scritte bianche su sfondo rosso (quest’ultimo diventato poi un trademark chiamato Kruger red). Inoltre, anche la scelta dei manifesti e dei poster come supporto, assieme all’intenzione di creare una sensazione di spaesamento e di detournèment nell’osservatore, sono ulteriori caratteristiche che accomunano i due artisti. L’ascesa di Shepard Fairey avviene nel 1989, quando, insieme a dei suoi compagni di college, crea quella che poi diventerà la sua cifra caratteristica e che gli varrà anche come pseudonimo. Fairey decide di riprodurre su poster e sticker, l’immagine del wrestler francese André René Roussimoff, detto anche André the Giant, per via della sua stazza. L’immagine, trovata su una vecchia rivista, é in bianco e nero e sotto di essa Fairey aggiunge la frase André the Giant has a posse131. In poco tempo, la campagna André the Giant has a posse diventa virale e poster e sticker con il volto di André the Giant si spargono per tutti gli Stati Uniti, anche grazie al contributo della gente comune. Fairey pubblica delle inserzioni su riviste di skateboard, musica, o cultura underground, postando l’immagine di André e comunicando che per 5 centesimi avrebbe spedito gli adesivi a casa. Inizialmente questa immagine non ha un significato preciso, Fairey afferma che ognuno può vederci il significato che vuole, in base alla propria sensibilità. Come afferma in una sua intervista, nell’immagine di André “c’è l’aspetto del test di Rorschach: ogni interpretazione di un’immagine ambigua, che sia una macchia d’inchiostro o un lottatore professionista è una riflessione della personalità di qualcuno. Ad esempio: osservando André da una certa prospettiva potrebbe risultare sinistro, timoroso e inquietante, mentre da un’altra benevolo, buono e sciocco.132”

130 De Gregori S., Shepard Fairey in arte Obey: La vita e le opere del re della poster art, Roma, Castelvecchi, 2011, p.9. 131 “Posse” può essere considerato sinonimo di crew, gang, gruppo di amici. 132 De Gregori S., Shepard Fairey in arte Obey: La vita e le opere del re della poster art, cit., p 39. 69

La campagna di André the Giant prende un’implicazione politica, quando Fairey decide di inserire degli slogan nelle immagini. Fairey era rimasto colpito dal film di John Carpenter del 1988 They live, un film di orwelliana memoria, in cui si narra di una Los Angeles distopica, apparentemente normale, in cui il protagonista della storia (interpretato da un famoso lottatore di wrestling del periodo, Roddy Piper) trova degli occhiali particolari e indossandoli, scopre che la realtà non è quella che sembra. Attraverso queste lenti particolari infatti, si scopre che gran parte della popolazione mondiale è in realtà una razza aliena camuffata, intenta a conquistare la terra, attraverso messaggi pubblicitari subliminali. Dietro i normali cartelloni pubblicitari, si celano messaggi propagandistici come obey, consume, reproduce. Il messaggio del film, una dichiarata protesta contro il consumismo e la politica reaganiana, viene ripreso da Shepard Fairey, che inserisce la scritta Obey con lo stesso font della pellicola, sull’immagine di André the giant, tramutando la sua campagna in: Obey the giant. Da allora, l’artista Shepard Fairey prende lo pseudonimo Obey133. Obey si batte contro la manipolazione dei mezzi di comunicazione, il consumismo, l’impoverimento morale delle masse e porta avanti la sua lotta attraverso la sua arte, con tutti i mezzi possibili: poster, sticker e stencil. Come viene ribadito anche da De Gregori: “La strada non ammette censure, non c’è un comitato che decide cosa si può esporre e cosa no, offre una totale libertà di espressione e Fairey ne ha fatto il suo strumento, mostrando così di non volersi sottomettere al sistema.”134 [Figura 13] Come già anticipato, Obey non può essere considerato semplicemente uno street artist, poiché concentra la sua attività in vari campi. Il suo legame con la musica è fortissimo, nel corso degli anni ha realizzato decine di ritratti di icone musicali, da John Lennon, a Jimi Hendrix e si è prestato a creare cover dei dischi di numerosi gruppi musicali. Inoltre, egli stesso si diletta come dj musicale. Il suo studio di grafica e pubblicità, Number One, aperto insieme alla moglie, è attualmente uno degli studi più importanti negli Stati Uniti e vanta clienti come Pepsi, Adidas, Apple, Sony e altri ancora. All’interno dello studio, ha sede anche la galleria Subliminal Projects, specializzata in tutte le espressioni artistiche (fotografia, pittura, grafica, illustrazioni, Street Art) legate alla cultura urbana. Nel 2004 ha fondato una rivista trimestrale “Swindle”, uscita fino al 2009, che trattava di cultura pop e attualità, concentrandosi in particolar modo sulla Street Art e le culture underground.

133 L’opera di Obey è strettamente legata alla filosofia distopica orwelliana tanto che la Penguin books ha commissionato a Obey le copertine di 1984 e La fattoria degli animali. 134 De Gregori S., Shepard Fairey in arte Obey: La vita e le opere del re della poster art, cit., p.47. 70

Nel 2001 è nata la linea di abbigliamento Obey Clothing venduta in tutto il mondo e diventata uno status symbol per tutti i giovani. Come descrive anche nel suo sito, Obey considera l’abbigliamento un’ulteriore tela per diffondere la sua arte e i suoi messaggi alle persone135. Obey è molto impegnato nel sociale. Tra le numerose attività benefiche che organizza e a cui partecipa e le organizzazioni no-profit con cui collabora, rimarchevole è il contributo di Obey alla città di Venezia. Nel 2009 ha partecipato al progetto “SMS Venice” (Saint Mark’s Square Venezia)136 per la tutela e la conservazione dei beni artistici e architettonici della città. Durante la sua permanenza di due settimane, Obey ha realizzato duecento serigrafie su Venezia e i proventi sono andati al finanziamento per il restauro di alcuni dei più importanti monumenti dell’isola, come il ponte di Rialto e la chiesa di San Giorgio maggiore. Inoltre, ha creato delle installazioni esposte in Piazza San Marco, a Ca’ Corner della Regina, in campo Santa Margherita, a palazzo Querini Dubois e ai magazzini Ligabue e vendute poi all’asta. Infine ha tenuto anche un workshop all’Accademia di Belle Arti. Con la sua arte e le sue campagne, Obey ha raggiunto un successo planetario e ottenuto consensi dalla critica e dal pubblico. Nel 2010 Jeffrey Deitch (attuale direttore del MOCA, Museum Of Contemporary Art di Los Angeles) e Antonino d’Ambrosio hanno curato una personale di Obey alla galleria di Jeffrey Deitch, a New York. La mostra, dal titolo MayDay, volto a rappresentare sia la festa internazionale dei lavoratori, sia il codice d’aiuto da utilizzare in caso di emergenze, ha avuto un successo senza precedenti. Come racconta Deitch nell’introduzione del catalogo della mostra, il giorno dell’inaugurazione, le persone iniziarono a fare la fila dalle 6 del mattino, alle 10 del mattino c’erano già più di 100 persone ad attendere e alle 18.30, ora di apertura della galleria, interi isolati erano invasi dalla folla, tanto da dover deviare il traffico stradale. Un evento unico nell’ambito artistico newyorchese137. La mostra presentava lavori inediti su tela, su carta, serigrafie, stencil e copertine di dischi e Obey non si limitò ad esporre le sue opere in galleria, ma durante il mese di apertura della mostra, andò in giro per la città con la sua crew a bombardare i quartieri con i suoi poster. Per il gioco di parole del titolo della mostra (May day e Mayday) la mostra era sia una celebrazione dei grandi personaggi rivoluzionari e delle contro-culture, che un monito sull’ingiustizia sociale, la guerra e la distruzione ambientale. La mostra iniziava con bandiere e bersagli, con tanto di ritratto di Jasper Johns, come da ammissione di Obey, il suo più grande esempio e fonte di ispirazione, per poi proseguire con paesaggi urbani orwelliani o malinconici

135 http://www.obeyclothing.com/about/ 136 Sms Venice è un progetto nato nel 2008 come campagna di sensibilizzazione e raccolta fondi per la tutela e la conservazione di Piazza San Marco. 137 Deitch J., D’Ambrosio A., Mayday, The art of Shepard Fairey, Berkley, Gingko Press Inc., 2010, p.14. 71

(notevole America’s Favorite, un’immagine di una stazione di benzina, omaggio all’opera di Ed Ruscha: Twentysix Gasoline Stations), per finire con ritratti del Dalai Lama, il subcomandante Marcos o Aung San Suu Kyi. Per Deitch, il successo di Obey sta nel grande senso della scelta del luogo, in una notevole abilità nella creazione dell’immagine e in un’intuitiva comprensione della semiotica, associata ad un forte istinto commerciale138. La consacrazione di Obey avviene infine con l’ormai celebre poster realizzato per la campagna presidenziale di Barack Obama del 2008. Il richiamo alle serigrafie di Warhol è immediato, il volto di Obama è altamente compatibile con le icone pop come Marylin Monroe o Mao Tze Tung e come dichiara anche il critico Peter Schjedahl in un articolo sul New Yorker del 23 febbraio 2009: “Shepard Fairey created the most efficacious American political illustration since “Uncle Sam Wants You.”139 Il ritratto originale di Obama si trova ora alla National Potrait Gallery di Washington. Obey è uno dei più quotati street artist a livello mondiale, ma nonostante questo cerca ancora di lavorare sui muri delle città. Nel 2009, mentre si stava dirigendo all’inaugurazione di una sua retrospettiva all’Institute of Contemporary Art di Boston, per festeggiare il ventennale della sua carriera, è stato arrestato. Il tribunale di Boston aveva ben dodici capi d’accusa contro di lui eppure il fascino di agire nelle strade non è mai diminuito. Come dichiara in una sua intervista:

“C’è qualcosa di potente nel contemplare l’arte negli spazi pubblici al posto delle pubblicità. Una delle cose che più mi piace è stare in mezzo alle persone, perché l’arte di strada non è come quella nelle gallerie in cui la gente cammina e dice: so che questo lavoro è bello perché è esposto in una galleria, per 140 la strada le persone si vergognano di meno nel mostrare quello che pensano veramente, senza clichè.”

La figura unica e innovativa di Shepard Fairey, che partendo dalla decorazione di skateboard e dalla creazione di volantini per le band musicali della sua zona, è arrivato ai più alti livelli dell’arte contemporanea è da esempio per tutti gli altri giovani street artist. La filosofia, l’etica e l’arte di Obey è ricca e articolata. Memore della lezione di Marshall McLuhan, Obey utilizza la Street Art

138 Deitch J., D’Ambrosio A., op. cit., p. 13. 139 “Shepard Fairey ha creato la più efficace illustrazione politica americana dai tempi di “Zio Sam vuole te.” (trad. mia). http://www.newyorker.com/arts/critics/artworld/2009/02/23/090223craw_artworld_schjeldahl?curr entPage=1 140 De Gregori S., Shepard Fairey in arte Obey: La vita e le opere del re della poster art, cit., p. 156. 72 come strumento comunicativo141, diffondendo i suoi messaggi, che possono essere politico-sociali o prettamente estetici. In conclusione, tutta la sua opera può essere brillamente racchiusa in un singolo messaggio che spesso utilizza nei suoi lavori: make art, not war (fate l’arte, non la guerra).

2.3.2 JR

JR, vero nome sconosciuto, nato nel 1983 e di nazionalità francese, è stato il vincitore del TED prize142 nel 2011 e Forbes lo ha inserito nel 2012, nella lista delle 30 persone sotto i 30 anni più influenti al mondo, nella categoria Art & Style143. La filosofia di JR è quella di rendere le persone comuni protagoniste di un’opera d’arte e fare in modo che l’arte arrivi a tutti. JR si definisce un photograffeur, ossia un incrocio tra un fotografo e un writer. Inizia a realizzare arte di strada a quindici anni, facendo graffiti e immortalando le azioni sue e dei suoi compagni, con la sua macchina fotografica. Un paio d’anni dopo, decide di stampare le fotografie e inizia a fotocopiarle e ad affiggerle clandestinamente sui muri della città, creando così delle sidewalk galleries, delle gallerie a cielo aperto, direttamente sui muri adiacenti ai marciapiedi delle strade. JR crea anche delle cornici per le fotografie con la bomboletta spray, in modo da evidenziarle e non farle confondere con la pubblicità. Col passare del tempo, le fotocopie delle fotografie si sgretolano, ma rimangono le cornici. Ha lasciato il segno. Il modus operandi di JR rimane sempre lo stesso nel corso della sua carriera. Scatta le fotografie ai volti delle persone con il suo obiettivo 28 millimetri, che crea un effetto grandangolare e quindi necessita una notevole vicinanza del soggetto alla macchina; le stampa, rigorosamente in bianco e nero, su dei poster di dimensioni considerevoli, per poi infine incollarli nelle varie città. JR opera sempre in base a dei progetti studiati, non crea poster singoli fini a se stessi. Col tempo, l’arte di JR matura sempre di più, l’artista inizia ad interessarsi ai temi sociali e le dimensioni dei poster aumentano a dismisura, fino a raggiungere talvolta le dimensioni di un palazzo.

141 Obey è stato da sempre influenzato dal lavoro di Marshall McLuhan. Nell’etichetta interna di ogni capo della sua linea di abbigliamento, compare la scritta The medium is the message. 142 TED è una organizzazione no-profit fondata nel 1984, votata alla diffusione di idee, solitamente in forma di piccole conferenze. I temi inizialmente riguardavano Technology, Entertainment e Design. Attualmente vengono considerati quasi tutti i temi di qualsiasi ambito, in più di cento lingue. Sul sito internet di TED viene descritta la mission del TED prize. “Il Premio TED viene assegnato annualmente ad un individuo eccezionale, con una visione lungimirante, creativa e audace, volta a innescare il cambiamento globale. Sfruttando le risorse della comunità TED e investendo 1 milione di dollari, il Premio TED supporta ogni anno un desiderio, un’idea ispiratrice del vincitore, con l’obiettivo di motivare le persone di tutto il mondo a mettersi in gioco.” http://www.ted.com/participate/ted-prize 143 http://www.forbes.com/special-report/2012/30-under-30/30-under-30_art.html 73

Il 2005 è l’anno delle rivolte nelle banlieues parigine. JR rimane colpito dalle immagini mostrate dai media, immagini di ragazzi furiosi, violenti e viene mostrato anche un suo poster che aveva appeso un anno prima su un muro di una periferia parigina. Il poster ritrae dei ragazzi delle banlieues, amici di JR, con lo sguardo serio e in posizione quasi di sfida. L’immagine non ha niente a che fare con ciò che sta accadendo al momento, ma i volti dei giovani ritratti, sono marchiati come i volti della rivolta. Deluso e adirato da questa manipolazione dell’informazione, JR decide di ritrarre quattro ragazzi della banlieue di Le Bosquet. Sui poster compaiono i loro volti mentre fanno delle smorfie buffe, così da sembrare caricature, con il loro nome, età e numero civico. JR attacca i poster in vari quartieri della Parigi bene e l’anno successivo, quelle immagini vanno in mostra davanti al municipio di Parigi. Come dichiara lui stesso, quelle fotografie mostrano il passaggio “dalle immagini fatte, rubate e distorte dai media, all'orgoglio per la propria immagine.”144 Nel 2007 prende vita uno dei suoi progetti più ambiziosi, il progetto Face 2 Face. JR vola in Medioriente con l’obiettivo di stabilire se e quanto siano diversi tra loro palestinesi e israeliani. JR e i suoi compagni iniziano a scattare primi piani di palestinesi e israeliani, anche in questo caso intenti a fare una smorfia, che fanno lo stesso mestiere. Le immagini, poi stampate e ingigantite, vengono accostate una all’altra, così da ottenere dei maestosi dittici di persone che svolgono la stessa professione, ma di due popoli così in conflitto tra loro. Tutti accettano che i loro ritratti siano affiancati e anzi, apprezzano il lavoro di JR: “Per Face 2 Face eravamo sei amici, con due scale, due pennelli, una macchina a noleggio, una macchina fotografica e 6 o 7 mila metri quadri di carta. Abbiamo ricevuto ogni sorta di aiuto.145” Le coppie di ritratti vengono poi incollate (illegalmente, come la maggior parte dei suoi progetti) in otto città israeliane e palestinesi e su entrambi i lati del muro divisorio. Quasi nessuno è riuscito nell’intento di distinguere chi fosse palestinese e chi israeliano. JR racconta:

“Siamo a Ramallah. Stiamo attaccando ritratti, entrambi in una strada di mercato, affollata. La gente ci si avvicina e fa domande tipo: "Che state facendo qui?" "Questo? E' un progetto d'arte" mettiamo vicini un israeliano e un palestinese che fanno lo stesso mestiere. Questi due sono tassisti. Calava sempre il silenzio. "Vuoi dire che state incollando una faccia israeliana che fa una smorfia proprio qui? "Esatto, fa parte del progetto." Poi aspettavo qualche secondo e gli chiedevamo: "Sapete distinguere uno dall'altro?" Quasi nessuno ci riusciva.”146

144 Testo trascritto dal discorso di accettazione al TED Prize 2011. http://www.ted.com/talks/jr_s_ted_prize_wish_use_art_to_turn_the_world_inside_out/transcript#t- 426000 145 Ibid. 146 Ibid. 74

JR l’ha definita la più grande esposizione d’arte illegale al mondo e quattro anni dopo, quando è tornato in Medioriente per controllare lo stato della sua opera, ha notato con orgoglio che i poster sono ancora quasi tutti intatti. Nel 2008 parte la campagna, sviluppata in vari paesi, Women are heroes. JR vuole agire in luoghi difficili, aspri, luoghi di cui nessuno parla se non per casi di violenza o povertà. Vuole raccontare la storia di donne, la quale solitamente non viene mai raccontata. Attraverso un grande progetto interattivo, JR fa uscire dall’anonimato queste donne, facendo viaggiare la loro storia. Nella più grande favela brasiliana, Providencia, a Rio de Janeiro, invade la collina con ritratti delle donne della favela, per omaggiarle, considerandole i pilastri delle comunità. A Kimera, in uno slum del Kenya, affigge ritratti delle donne del luogo sui treni e sui tetti delle case, utilizzando in questo caso vinile e non semplice carta, in modo da rendere l’arte anche utile e proteggere le baracche dalla pioggia. Dopodichè, porta le storie di queste donne con sé, affiggendo i loro ritratti anche in Europa e negli Stati Uniti. Da questo progetto, nel 2010 JR ha realizzato un documentario, chiamandolo sempre Women are heroes e presentato al Festival del cinema di Cannes. JR, per i suoi progetti non chiede mai permessi o patrocini, non entra in contatto con enti o organizzazioni non governative e non si appogia mai a sponsor commerciali. Semplicemente decide di andare sul luogo e parlare direttamente con la gente. Durante un viaggio in India sempre per la campagna Women are heroes, però, si è posto realmente il problema di come attaccare i poster, dal momento che le leggi sono molto più severe che in altri paesi. JR decide così di incollare dei poster bianchi, sui muri bianchi. Sui manifesti però attacca della colla, come quella dei nastri adesivi e così man mano che si alza la polvere dalla strada, questa si attacca alla colla e il disegno si rivela. Tra i suoi progetti più recenti compare The wrinkles of the city (Le rughe della città), dal 2012, che tocca vari paesi del mondo, dalla Cina alla Spagna agli Stati Uniti, in cui JR accosta i ritratti di persone anziane su palazzi anch’essi segnati dal tempo e dai cambiamenti socio-culturali. Le rughe sono i segni del tempo che passa, sono la memoria della città. Infine, si deve menzionare il progetto Inside Out, detto anche The people’s art project, avviato nel 2011 in seguito alla vittoria del TED prize in cui gli si chiedeva di realizzare un progetto partecipativo globale, in grado di cambiare il mondo. Questo è uno dei suoi progetti più rivoluzionari ed estesi. In questo caso, non solo la gente comune diventa protagonista dell’opera d’arte, ma diventa il creatore e il divulgatore della stessa147, annullando così totalmente le

147 Anche in questo caso è forte l’influenza di Marshall McLuhan. McLuhan e Barrington Nevitt avevano ipotizzato nel 1972, che con la rivoluzione tecnologica, produttore e consumatore sarebbero diventati un’unica figura, denominata “prosumer”. A questo riguardo si rimanda alla lettura di McLuhan M., Nevitt B., Take today; the executive as dropout, San Diego, Harcourt Brace Jovanovich, 1972. 75 distinzioni tra le parti caratterizzanti del sistema dell’arte contemporanea, come: artista, opera, curatore e pubblico. JR chiede il contributo di tutte le persone, in ogni parte del mondo. Le persone elaborano un’idea e scattano le fotografie dei partecipanti (rigorosamente primi piani in bianco e nero), inviano la descrizione del progetto e le fotografie a JR, il quale poi le rispedisce loro in forma di poster. Infine, gli ideatori del progetto si occupano di affiggere i poster e documentare l’evento. Questo progetto corale, in cui tutti sono protagonisti e tutti possono partecipare attivamente alla loro iniziativa, ha raggiunto negli anni cifre notevoli, con 120.000 partecipanti da più di 108 paesi148. I temi dei progetti sono i più vari: dal cambiamento climatico, alla violenza, alle discriminazioni. In Italia, nell’ottobre 2012 è partita la campagna L’Italia sono anche io a favore dell’integrazione razziale, portata avanti con l’affissione di oltre duemila ritratti, in varie citta italiane. In questo modo, ogni persona ha la possibilità di far sentire la propria voce. Al momento JR si concentra su Inside Out project e su altri progetti paralleli, ma con sempre in mente il suo principale obiettivo: utilizzare l’arte per capovolgere il mondo149. [Figura 14]

2.4 Sticker Art

Lo sticker è il mezzo più immediato e veloce della Street Art. La rapidità di esecuzione e le piccole dimensioni fanno sì che nel corso degli anni gli sticker siano proliferati in tutte le città e solitamente diventa uno dei primi supporti a essere sperimentato dagli street artist. Come viene definito anche in Street Art cook book. A guide to techniques and materials, gli sticker sono come le tag per il graffitismo, le più piccole in termini di formato e le più diffuse. Lo sticker è apprezzato dagli street artist poiché è possibile attaccarlo ovunque, dai muri, ai lampioni, ai semafori e sono di semplice realizzazione. Non mancano però le critiche a questo stile, accusato di fin troppa semplicità o addirittura superficialità. Bastano pochi procedimenti per realizzare uno sticker. Per prima cosa bisogna scegliere un soggetto, il quale è consigliabile che abbia delle linee semplici e non sia troppo particolareggiato, altrimenti, data la piccola dimensione dell’adesivo, il design potrebbe risultare poco riconoscibile. Più gli sticker assomigliano a dei loghi, meglio è, lo stile risulterà riconoscibile e lo sticker sarà più facilmente ricordato. Una volta scelto o disegnato il soggetto, è necessario creare il supporto adesivo e ci sono molti modi per ottenerlo. Ci si può affidare a delle compagnie tipografiche, ma è

148 www.insideoutproject.net/en/about 149 Ogni anno ai vincitori del TED prize viene richiesto di esprimere un desiderio, per poi cercare di concretizzarlo. Il desiderio di JR è stato appunto quello di use art to turn the world inside out. 76 un procedimento abbastanza costoso. Altrimenti, esistono in commercio le carte viniliche, su cui è possibile decorarci per mezzo di pennarelli, vernici spray, fotocopie o serigrafie, per poi ritagliarle. Per le strade si vedono spesso adesivi pre-stampati e ridecorati. C’è invece chi preferisce creare gli adesivi individualmente e quindi utilizza la stessa tecnica dei poster, si arma di fotocopiatrice e incolla gli adesivi con della normale colla. Nella Street Art tutto è lecito, viene apprezzato il riciclo, il do it yourself e la creatività, perciò qualsiasi mezzo si decida di scegliere è ben accetto. La Sticker Art è la forma espressiva più tollerata e per questo anche una delle più sfruttate. È molto improbabile che la polizia arresti qualcuno per aver incollato un adesivo, cosa invece più presumibile se colto nell’atto di creazione di un graffito. Gli sticker si sviluppano e si diffondono di pari passo con l’evoluzione delle Street Cultures. Prima di apparire per le strade, invadono le tavole da skate, le chitarre dei gruppi e gli oggetti dei giovani. In seguito vengono utilizzati contemporaneamente ai poster, in campagne sovversive, di protesta o propaganda, fino ad essere istituzionalizzati e utilizzati per campagne pubblicitarie virali o di comunicazione. Infatti, come asserisce anche De Gregori:

“La Sticker Art si serve degli spazi pubblici come una qualunque inserzione o pubblicità, gli adesivi replicati innumerevoli volte e inseriti in dosi massicce nel tessuto urbano creano una saturazione dell’immagine e del soggetto iconografico e un uso costante nel tempo permette un’attenzione crescente fino all’interessamento dei media nazionali e dell’opinione pubblica.”150

Shepard Fairey, durante la sua campagna Obey the giant, è stato uno dei primi a sdoganare gli sticker sulla strada. Lo sticker è il mezzo più efficace per ottenere un effetto virale e Fairey dichiara che dal 1989 al 1996, in soli sette anni ha diffuso più di un milione di adesivi.151 Nel suo manifesto, redatto nel 1990, Fairey dichiara lo scopo della sua campagna di sticker, che può essere accomunato allo scopo della sticker art in generale:

“The Obey sticker campaign can be explained as an experiment in Phenomenology. Heidegger describes Phenomenology as “the process of letting things manifest themselves.” Phenomenology attempts to enable people to see clearly something that is right before their eyes but obscured; things that are so taken for granted that they are muted by abstract observation. The first aim of phenomenology is to reawaken a sense of wonder about one’s environment. The Obey sticker attempts to stimulate curiosity and bring people to question both the sticker and their relationship with their surroundings. Because people are not used to seeing advertisements or propaganda for which the product or motive is not obvious, frequent and

150 Shepard Fairey in De Gregori S. Shepard Fairey in arte Obey: La vita e le opere del re della poster art, cit., p. 38. 151 Ivi, p. 36. 77

novel encounters with the sticker provoke thought and possible frustration, nevertheless revitalizing the viewer’s perception and attention to detail. The sticker has no meaning but exists only to cause people to react, to contemplate and search for meaning in the sticker. […] Many stickers have been peeled down by people who were annoyed by them, considering them an eye sore and an act of petty vandalism, which is ironic considering the number of commercial graphic images everyone in American society is assaulted with daily. […] Giant stickers are both embraced and rejected. […] Whether the reaction be positive or negative, the stickers existence is worthy as long as it causes people to consider the details and meanings of their surroundings. In the name of fun and observation.”152

Gli sticker, che siano minimali o più elaborati, concettuali o simbolici, riconoscibili come loghi o astratti, possiedono un forte potere comunicativo e, come un virus espressivo, diventano impossibili da fermare.

2.5 A mano libera

Non tutta la Street Art è prodotta in pezzi seriali per mezzo di strumenti o tecniche particolari. Come dei moderni Michelangelo, molti street artist preferiscono creare le loro opere a mano libera, direttamente sui muri, creando una poetica ed elegante fusione tra la tradizione muralista e quella del Graffiti Writing. Il muralismo messicano, sviluppatosi negli anni Venti del Novecento, è la fonte ispiratrice di questa sezione della Street Art. I suoi tre principali esponenti, José Clemente Orozco, Diego Rivera e David Alfaro Siqueiros auspicavano ad un’arte pubblica, collettiva e sociale. Per raggiungere questo obiettivo era necessario rigettare l’arte “borghese”, identificata nella pittura a cavalletto, realizzando le opere negli edifici pubblici. La Street Art ricalca questa linea di

152 “La campagna adesiva di Obey, può essere spiegata come un esperimento di fenomenologia. Heidegger descrive la fenomenologia come "il processo di lasciare che le cose si manifestino." La fenomenologia tenta di consentire alle persone di vedere chiaramente qualcosa che è davanti ai loro occhi, ma oscurato. Cose che sono date così per scontato che non le si nota neanche più. Il primo obiettivo della fenomenologia è quello di risvegliare il senso di meraviglia nel proprio ambiente. L'adesivo di Obey cerca di stimolare la curiosità e portare la gente a mettere in discussione sia l'adesivo che il loro rapporto con l'ambiente circostante. Poiché le persone non sono abituate a vedere delle pubblicità o propagande nelle quali il prodotto o il movente non è chiaro, i frequenti e nuovi incontri con l'adesivo provocano pensieri e una possibile frustrazione, tuttavia rivitalizza la percezione dello spettatore e l’attenzione al dettaglio. L'adesivo non ha alcun significato, ma esiste solo per indurre la gente a reagire, a contemplare e ricercare un senso allo sticker. Molti sticker sono stati staccati da persone infastidite, considerandoli un pugno nell’occhio e un atto di futile vandalismo, il che è ironico considerando il numero di immagini grafiche pubblicitarie, che ogni giorno assalgono le persone nella società americana. Gli adesivi giganti sono sia ben accolti, che rifiutati. Che siano accolti positivamente o negativamente, l’esistenza degli sticker ha senso fintanto che porta le persone a considerare i dettagli e i significati del loro ambiente. In nome del divertimento e dell’osservazione.” http://www.obeygiant.com/about (trad. mia). 78 pensiero e si cimenta in opere spesso grandiose nelle architetture urbane. Nella Street Art realizzata a mano libera, i pezzi sono unici e, a seconda della dimensione, possono richiedere fino a svariati giorni di lavoro. Gli strumenti utilizzati sono pennelli, rulli, pennarelli o bombolette spray. Nei lavori a mano libera vi è la piena libertà espressiva dell’artista. Non esistono limitazioni tecniche dovute ad esempio alle costrizioni della stampa e ogni artista può scegliere le dimensioni che desidera in base alla propria creatività. Dan Witz (1957), ad esempio, street artist con base a Brooklyn, attivo dagli anni Settanta, sceglie di dipingere a mano, con uno stile realistico, piccoli colibrì colorati, posizionati in punti strategici, scelti appuratamente per stupire i passanti. Per le sue immagini utilizza ogni tipo di strumento: colori a olio, acrilici, markers, penne a sfera, brillantini e aerografi. I delicati colibrì di Dan Witz sono contrapposti alle superfici corrose e agli intonaci sgretolati dei palazzi e creano un effetto di contrasto, che mettono in risalto la bellezza dell’immagine, rispetto al suo ambiente. I colibrì di Dan Witz rappresentano un frammento di poesia, nella brutalità del mondo quotidiano. Sebbene la tendenza dei murales sia quella di creare pezzi sempre più grandi e imponenti, Witz mantiene le sue opere di piccolo formato, impiegando anche fino a quattro ore, per opere grandi dieci centimetri. Al contrario, street artist come Roa o Barry McGee prediligono spazi ampi su cui lavorare. Roa colpisce i palazzi in tutta la loro lunghezza, con i suoi animali inquietanti, realistici, in bianco e nero, mentre Barry McGee, anche quando lavora in interno, occupa tutta la parete, invadendo lo spazio con la sua tag (Twist) o con le sue teste malinconiche.

2.5.1 Gli Italiani

Una menzione speciale va agli artisti italiani che da anni si distinguono nella pittura murale, fino a raggiungere le vette più alte della Street Art mondiale. L’Italia possiede una grande tradizione di pittura murale: a cominciare dalla tecnica dell’affresco, protagonista indiscusso dall’antica Roma all’epoca moderna, fino ad arrivare alla prima metà del Novecento, in cui la pittura murale è stata utilizzata come strumento per la propaganda fascista. Nel 1933 Mario Sironi pubblica il Manifesto della pittura murale, nel quale indica la pittura murale come pittura sociale per eccellenza e di conseguenza consona a rappresentare l’arte fascista. Secondo Sironi l’arte murale rigetta i virtuosismi e le improvvisazioni, a guadagno di una pittura rigorosa e ordinata. Con la rinascita contemporanea della pittura murale, i giovani street artist ne rivoluzionano il concetto, approfittando proprio dei grandi spazi per sperimentare nuove tecniche e nuove composizioni. Gli artisti italiani più rappresentativi di questo stile sono Blu e Ericailcane, artisti conosciuti e operanti in ogni parte del globo, con all’attivo numerose collaborazioni tra loro. Nel 2011, il

79 quotidiano inglese “The Guardian”, ha inserito un’opera di Blu nella classifica dei dieci migliori Street Art works al mondo.153 Blu ha deciso di celare la sua identità, non si conoscono dati personali certi e non rilascia mai interviste, di lui si sa solo che è cresciuto artisticamente a Bologna, uno dei luoghi più innovativi e con più fermento per il Graffiti Writing e la Street Art in Italia e ha iniziato la sua carriera artistica sul finire degli anni Novanta. Inizialmente si dedica al Graffiti Writing, lavorando nella periferia industriale bolognese e a stretto contatto con i centri sociali, ma dopo pochi anni decide di passare alle vernici applicate tramite rullo, ingigantendo le dimensioni delle sue opere. L’arte di Blu è prettamente figurativa, i suoi soggetti sono creature antropomorfe mostruose e grottesche, di derivazione fumettistica e dei cartoons. Le opere di Blu sono di dimensioni rimarchevoli, occupano spesso tutta la facciata dei palazzi, creando personaggi sproporzionati rispetto al supporto, tanto da dare l’impressione che i palazzi stiano “stretti” alle figure. Le sue opere sono strettamente legate al territorio e al luogo in cui sono inserite. Blu predilige zone industriali o luoghi in stato di abbandono e anche per questo non ama esporre in galleria, poiché il suo lavoro sarebbe snaturato e svalutato. I contorni netti delle figure si stagliano e provocano un forte risalto rispetto allo sfondo. Le opere sono monocromatiche o dipinte con una palette scarna, con pochi colori chiari, stesi a larghe campiture compatte, che danno rilievo alla forma e alla linea del disegno. Crea sempre i disegni in precedenza sui suoi sketchbook, per poi trasferirli sul muro, spesso rimaneggiando le immagini sul momento e improvvisando. Durante la sua carriera, Blu ha viaggiato in quasi tutti i continenti, invitato ai vari festival internazionali di Street Art. Il maggiore contributo l’ha dato in America Latina, realizzando opere in Messico, Brasile, Argentina, Nicaragua, Costa Rica e Guatemala. In Nicaragua ha insegnato ai bambini locali l’arte della pittura murale e a Managua ha realizzato una delle sue opere più famose, l’Hombre Banano (uomo banana), un’opera che rappresenta una figura mostruosa costituita da banane, le quali si tramutano in armi che spruzzano sangue. L’opera è una chiara protesta contro le corporazioni di banane del paese e a favore della lotta per i diritti dei lavoratori nei campi di banane. Purtroppo il murale è oggi scomparso. Oltre alle opere su muro, Blu è famoso per la realizzazione di video di animazioni digitali. In questi video le figure di Blu prendono letteralmente vita. Può essere definita come un’animazione dipinta. Blu dipinge le immagini sui muri di varie città e le riprende, legandole tra loro in stop motion. Nel 2008, durante il suo viaggio in Argentina, realizza Muto. A wall-painted animation (Muto.

153 http://www.theguardian.com/culture/gallery/2011/aug/07/art#/?picture=377639959&index=6 80 un’animazione del muro dipinto), lungo più di sette minuti e con oltre undici milioni di visualizzazioni su internet. Come fece già JR, anche Blu lascia il suo segno in Palestina. Nel 2007 viene invitato insieme a Ericailcane e altri artisti come Swoon, Ron English, Mark Jenkins e Faile a partecipare alla manifestazione organizzata dal collettivo Santa’s Ghetto.154 Blu dipinge di bianco, su una torretta d’avvistamento del muro di separazione, un personaggio maschile che cerca di infrangere il muro con un dito. Lo street artist è molto attivo socialmente, infatti, molte sue opere rappresentano una critica al consumismo e vogliono testimoniare lo stato di degrado e di corruzione della società. Carri armati, armi, il vile denaro e le problematiche ambientali sono soggetti ricorrenti nelle sue opere: nel 2010 a Lisbona realizza un’opera maestosa in collaborazione con Os Gêmeos, in cui viene rappresentato un uomo in giacca e cravatta con una corona in testa ornata dai simboli delle compagnie petrolifere, che tiene per le mani il pianeta terra e lo succhia con una cannuccia come se fosse una bibita; sempre nel 2010 il MOCA di Los Angeles invita Blu a realizzare un pezzo per la grande mostra sulla Street Art Art in the street al The Geffen Contemporary, la sezione più contemporanea del MOCA dedicata alle esposizioni temporanee e alle sperimentazioni di giovani artisti. Blu realizza un pezzo sulla facciata che rappresentava delle bare dei soldati americani con sopra delle banconote da un dollaro, invece che la classica bandiera. Dopo neanche 24 ore il pezzo è stato censurato e il muro imbiancato. La cosidetta scelta curatoriale è stata del direttore del Moca, Jeffrey Deitch, lo stesso che in precedenza aveva appoggiato e sponsorizzato Shepard Fairey. Nel 2013 Blu crea una dei suoi ultimi murali italiani, a Niscemi, in Sicilia, per dare sostegno agli abitanti contro l’installazione nella cittadina del “Muos”, un sistema di comunicazione satellitare, da parte della marina militare statunitense. Niscemi ospita la Sughereta, un’area naturale protetta e i niscemesi sono preoccupati per le ripercussioni del Muos e delle sue onde elettromagnetiche sulla popolazione e l’ecosistema della zona. Blu realizza diversi murales all’interno della città e quello principale raffigura un essere mostruoso a forma di ripetitore, che cerca di attaccare i protestanti, con decine di droni e una distesa di croci ai suoi piedi. I pezzi di Blu sono sempre incisivi e profondi e quando lo street artist si avvale della collaborazione di illustri colleghi, vengono alla luce dei veri capolavori. Le opere più famose di Blu si trovano a Berlino, nel quartiere di Kreuzberg. Il mostro umanoide rosa formato da tanti piccoli umani e l’opera realizzata in collaborazione con JR sono diventati un simbolo del quartiere, se non dell’intera città. Il maggior numero di collaborazioni però, sono con il collega e amico Ericailcane,

154 Santa’s Ghetto è un progetto avviato nel 2005 a Betlemme da Banksy e dall’organizzazione londinese Pictures on Walls, che si impegna a invitare street artist da tutto il mondo a dipingere sul muro di separazione tra Israele e Palestina, in nome della pace e della libertà del popolo palestinese. 81 un altro grande esponente della scuola bolognese. Ericailcane e Blu si conoscono durante gli anni giovanili e da subito nasce un legame di amicizia profondo, che si tramuta anche in una solida e longeva collaborazione professionale. Anche Ericailcane esordisce con le bombolette spray nei centri sociali e nelle zone industriali di Bologna, ma se lo stile di Blu si contraddistingue per le figure antropomorfe mostruose, al contrario Ericailcane si specializza in figure altrettanto mostruose, ma zoomorfe. Si tratta di un bestiario incantato, inserito in uno scenario urbano, che affascina e disturba allo stesso tempo. Questo bestiario viene anche definito “contemporaneo, dal sapore gotico e noir.”155 I disegni di Ericailcane sono molto più delicati rispetto ai suoi murales. Su carta rappresenta animali stilisticamente realistici, ma allo stesso tempo surreali. I suoi animali sembrano usciti da una versione disincantata e grottesca di una fiaba di Lewis Carroll. I dipinti sui muri invece, sempre colorati, colpiscono e impressionano, i soggetti talvolta hanno le sembianze e le movenze umane, ma con le teste animalesche. Sono esseri bestiali che intimoriscono anche a causa delle loro dimensioni imponenti. Quando lavora in studio, Ericailcane si destreggia abilmente tra incisioni e disegni, diversificando così in maniera netta la sua opera tra esterno ed interno. La sua arte risulta così sempre vitale e stimolante. Ericailcane e Blu hanno lavorato insieme in diverse occasioni, realizzando opere complementari e comunicative, con un perfetto equilibrio compositivo. Il maggior numero di dipinti a quattro mani si trova a Bologna, ma anche all’estero i lavori in coppia sono cospicui, soprattutto a Londra, in Sud America e in Palestina. Nel 2008 ad Ancona, realizzano un progetto maestoso, all’interno della manifestazione Pop Up! Arte contemporanea nello spazio urbano. Bottles, questo il nome del progetto, ha consentito a Blu e Ericailcane di dipingere su due grandi silos gemelli nel porto di Ancona. Il silos di sinistra dipinto da Blu, rappresenta un palombaro dal volto mortificato, con delle chele al posto delle mani, intrappolato dentro una bottiglia, mentre il silos di destra, dipinto da Ericailcane, rappresenta una bottiglia, con all’interno rinchiuso un pesce, con indosso una sorta di giacca da ammiraglio proveniente da qualche secolo lontano. Una collaborazione notevole di Ericailcane, insieme ad altri street artist come Dem, Run, Kabu, Allegra Corbo, Hitnes, Andreco, Basik e 108, è avvenuta nel luglio 2010, durante la quarantesima edizione di Santarcangelo dei Teatri. Santarcangelo di Romagna è un borgo che si trova sulle colline riminesi, un piccolo centro, ma virtuoso per quanto riguarda la sua offerta culturale. Da oltre quarant’anni ospita Santarcangelo dei Teatri. Festival internazionale del teatro in piazza, una manifestazione teatrale diventata ormai un’istituzione a livello nazionale e internazionale. Quando si parla di Street Art solitamente si tende a paragonare la strada ad una galleria o ad un museo a

155 Riva A. (a cura di), Street Art Sweet Art. Dalla cultura hip hop alla generazione pop up, Milano, Skira, 2007, p. 98. 82 cielo aperto. In questo caso il paese è diventato un teatro, all’interno del quale gli street artist si sono potuti esibire nelle loro performance artistiche. Il risultato è stato la creazione di tre maestose opere murali, situate nel centro del paese, raffiguranti colorati personaggi surreali, inseriti in un contesto onirico. Questi artisti, insieme a tanti altri rimarchevoli street artist italiani dediti alla pittura su muro, come Ozmo, Microbo, Bo 130, Basik, Cuoghi Corsello per citarne solo alcuni, possiedono un gran numero di fautori ed estimatori in ogni continente e la loro partecipazione é richiesta da un gran numero di festival ogni anno. Essi rappresentano un tassello importante della Street Art internazionale, segno di una vibrante e intensa scena italiana, memore della lezione del passato, ma con lo sguardo rivolto verso il futuro. [Figura 15]

2.6 Altri esempi di Street Art

Il movimento della Street Art comprende tutta l’arte concepita per e nello spazio urbano e insieme fruibile da tutti, gratuitamente. Potenzialmente, qualsiasi espressione artistica compiuta in strada, potrebbe appartenere alla categoria della Street Art. Si analizzano quindi di seguito alcuni stili o street artist che non appartengono alle categorie già citate, ma che sono emblematici per comprendere a pieno l’eterogeneità e la creatività di un movimento così ampio come la Street Art.

2.6.1 Street Art brasiliana

Il Brasile è uno dei paesi emergenti, più promettenti nell’arte contemporanea. Questa nazione ha una lunga tradizione di Arte Urbana e, nel corso degli anni, è diventata un punto di riferimento per la Street Art mondiale. Se negli anni Settanta e Ottanta la Mecca dei graffiti era considerata New York, dalla fine degli anni Novanta in poi, la meta dei pellegrinaggi di tutti i writer e street artist è diventata San Paolo. I graffiti brasiliani hanno influenzato talmente tanto la Street Art internazionale, che meritano almeno una breve analisi storico-artistica. In Brasile la pratica di Street Art più diffusa è la pittura murale, praticata con larghi rulli imbevuti di vernice solitamente acrilica. L’Aerosol Art non è molto sviluppata, soprattutto a causa della difficile reperibilità delle bombolette spray. Lo stile dei graffiti brasiliani varia da città a città, ma essi sono accomunati da uno stile stravagante ed estremamente colorato. L’isolamento economico e sociale degli anni passati, ha portato il Brasile a creare uno stile unico di graffiti, non associabile né all’influenza statunitense, né a quella europea, celebrando così di fatto “un’indipendenza artistica

83 brasiliana.”156 Lo stile dei graffiti brasiliani è una conseguenza del crogiolo di popolazioni che si sono insediate una dopo l’altra nel territorio: popolazioni indigene primitive, coloni portoghesi e immigranti europei, schiavi africani, fino ad arrivare anche a comunità giapponesi. Nonostante le opere abbiano delle cromie molto forti e sembrino promuovere messaggi positivi, l’aspetto sociale è spesso presente, dal momento che all’interno dello stato brasiliano vigono forti disparità sociali. Sebbene sia una delle più forti potenze economiche, in costante crescita, questa nazione possiede una delle più impari distribuzioni di reddito al mondo. I graffiti, sono utilizzati come una voce di protesta, verso i problemi economici e sociali. Negli anni Sessanta iniziano a diffondersi i primi graffiti, ma è solo durante gli anni Settanta che questi prendono il sopravvento nelle strade e diventano un fenomeno di massa, dalle favelas ai centri storici. I graffiti diventano l’arte del popolo e sono parte integrante della Cultura de Rua (cultura della strada). Peculiari di questa nazione sono i Pichação (picha in portoghese significa catrame), che potrebbero essere definiti come l’equivalente brasiliano delle tag, anche se il motivo e lo spirito con cui questi si sono sviluppati non hanno niente a che vedere con la loro versione americana. I pichação si sono sviluppati a San Paolo, per poi diffondersi nei principali centri carioca. Questa forma di tagging nasce nei quartieri più poveri come veicolo di messaggi politici e viene praticata principalmente per testimoniare il disagio e il malessere dei quartieri più indigenti. Spesso i Pichação sono una forma di sfida per i giovani, i pichadores vanno alla ricerca di palazzi sempre più alti o di cavalcavia pericolosi, mettendo a repentaglio anche la loro sicurezza personale. Il Pichação è caratterizzato da una grafia rigida e allungata, quasi geometrica, dall’aspetto intimidatorio, praticata con la bomboletta spray o con rullo e vernice, solitamente nero. La sua diffusione epidemica ha causato negli anni non pochi problemi all’estetica di molti quartieri delle principali città, arrivando persino a ricoprire interi palazzi di scritte (in questo caso il palazzo totalmente bombardato viene chiamato “agenda”, paragonandolo ad un calendario riempito di appuntamenti). A partire dagli anni Ottanta si sviluppano ulteriori forme d’arte murale, gli stili diventano sempre più ricercati e il design delle opere più elaborato. Inoltre, iniziano ad arrivare anche notizie sul fenomeno del Graffiti Writing newyorchese. A metà degli anni Ottanta, la scena dell’Arte Urbana brasiliana è divisa in opere murali e Pichação. Sul finire degli anni Novanta, la cultura dei graffiti si diffonde sempre di più, in patria nascono riviste e incontri specializzati e alcuni street artist brasiliani diventano conosciuti anche all’estero. Un ulteriore contributo a diffondere la cultura dei graffiti in Brasile è stata la permanenza dell’artista Barry McGee a San Paolo. Nel 1993 McGee vince una residenza artistica e inizia a studiare l’arte brasiliana, lasciando anche il proprio

156 Manco T., Neelon C., Graffiti Brasil, Londra, Thames & Hudson, 2005, p.7 84 contributo con la sua arte nelle strade e sui muri della città. Nel frattempo inizia a frequentare gli street artist locali, creando una forte sinergia e con alcuni di essi intratterrà rapporti d’amicizia e professionali anche nel corso degli anni successivi. Come già annunciato, ad oggi la scena brasiliana dei graffiti è una delle più importanti e attive a livello mondiale. Molte città hanno persino istituito delle aree tollerate per l’arte di strada e molte amministrazioni commissionano grandi opere pubbliche murali, poiché si è visto come i graffiti siano ormai parte integrante e costituente della società e della cultura. Con l’evoluzione dei graffiti in Brasile, si sono sviluppate negli anni nuove forme e nuovi linguaggi di strada. Attualmente, in Brasile non esistono solo Pichação o i grandi pezzi murali, ma si sono create forme espressive intermedie. Molto comune ad esempio a San Paolo è la pratica di creare la Sopa de Letrinhas o “zuppa di alfabeto”, ossia un insieme di throw up uno accanto all’altro che si formano “naturalmente” con il tempo, fino ad arrivare a coprire interi isolati di muri. Tra i writer brasiliani vige un forte rispetto reciproco, molto più che tra i corrispettivi newyorchesi, e i pezzi non sono mai sovrascritti o coperti. Uno stile tipico brasiliano è il Grapixo, una tecnica pittorica ibrida che trae ispirazione dai Pichação e dai masterpieces. Nel volume Graffiti Brasil, il Grapixo viene così definito: “Il grapixo prende spunto dai pezzi multicolore che richiedono molto tempo e dai murales della tradizione Hip Hop, miscelati allo stile tipografico allampanato e spigoloso dei Pichação, creati attraverso rulli e vernice in lattice.”157 Os Gêmeos, “i gemelli” (Otavio e Gustavo Pandolfo, San Paolo, 1974), sono la coppia di artisti della scena dei graffiti brasiliana più conosciuta a livello mondiale e fonte di ispirazione per numerosi graffiti artist. I loro pezzi sono ispirati dal folklore brasiliano, dai Pichação, dalla tradizione dei graffiti statunitensi e da quella muralista. Il registro delle opere create da Os Gêmeos varia notevolmente. I gemelli spaziano da rappresentazioni appassionate dei membri della loro famiglia alle denunce sociali, dipingendo i senzatetto o la gente del luogo in difficoltà. Inoltre non mancano le opere satiriche o le immagini oniriche che raccontano la storia e la tradizione brasiliana. Con uno stile apparentemente naïf, ma dai significati profondi, Os gêmeos si sono guadagnati un posto di rilievo nella Street Art mondiale. I loro personaggi sono inconfondibili, sembrano essere usciti dai fumetti o da un libro di fiabe per bambini e sono sempre rigorosamente dipinti di giallo. I gemelli affermano che i personaggi appaiono loro in sogno e tutto ciò che sognano ha tinte gialle. In definitiva, si può affermare che Os gêmeos hanno portato “un senso di lirismo e romanticismo alla forma”158 e all’ambiente duro e polveroso dei graffiti.

157 Manco T., Neelon C., Graffiti Brasil, cit., p. 34. 158 Lewishon C., op., cit., p.55. 85

Nel corso degli anni si stanno sviluppando anche poster e stencil, mantenendo sempre uno stile riconoscibile, caldo e colorato, tipicamente sudamericano. La “scuola brasiliana” è pronta a fare proseliti.

2.6.2 Le installazioni

Esistono street artist che esprimono la loro arte non solamente con la vernice, ma sperimentando materiali e tecniche nuove o inusuali, altri ancora non si limitano a lavorare sui muri delle città, ma preferiscono interagire con tutto l’ambiente, creando di conseguenza vere e proprie installazioni. Nello spazio urbano tutto è possibile e non c’è limite alla creatività. Talvolta, la città diventa un palcoscenico e le installazioni di strada sembrano uscite direttamente da un’opera del teatro dell’assurdo. Invader, street artist francese di cui pochi conoscono la vera identità e che si presenta sempre in pubblico con una maschera, predilige la tecnica musiva. Dalla fine degli anni Novanta, la sua mission è quella di invadere le città di tutto il mondo attraverso i suoi mosaici, creati attraverso mattonelle colorate, posizionate in modo da ricreare le immagini pixellate dei primi videogiochi degli anni Ottanta. Il videogioco a cui si isipira maggiormente, tanto da averne tratto lo pseudonimo è appunto Space Invaders, celebre gioco creato sul finire degli anni Settanta, il cui scopo era quello di sparare per mezzo di una navicella a un vasto numero di alieni. La grafica del videogioco era abbastanza primitiva e Invader la ricrea esattamente uguale, mantenendone quindi l’effetto sfocato e basilare. I mosaici di Invader sono tutti pezzi unici, hanno dimensioni abbastanza piccole e sono sempre incollati con il cemento, in luoghi alti, quasi impossibili da raggiungere. La location è molto importante: prima di posizionare i suoi mosaici, l’artista studia la città a fondo e cerca i luoghi di maggiore interesse storico-artistico o molto frequentati. Nel 1999 arriva a colpire l’insegna di Hollywood, incollando un mosaico sotto la lettera D, uscendone indenne, con solamente una multa per sconfinamento159. A Roma, tra le varie mete, ha colpito anche Campo dei fiori e Piazza San Giovanni in Laterano. Per ogni invasione, Invader crea delle mappe ad hoc (Invasion maps), sui cui sono segnati tutti i mosaici posizionati e numerati in ordine cronologico di affissione. Queste mappe sono poi distribuite per la città durante la sua permanenza e infine vendute sul suo sito internet. Sul suo sito è anche possibile comprare un kit per creare il mosaico e per l’eventuale auto-affissione. Nel corso degli anni, i soggetti rappresentati sono aumentati, non limitandosi più solamente ai personaggi di Space Invaders, ma aprendosi anche ad altri videogiochi appartenenti alla cultura

159 Il video dell’azione si può vedere all’interno del film di Banksy: Exit Through the Gift Shop (2010) 86 popolare, come Pac man, Super Mario Bros. e la Pantera Rosa. Il suo ultimo progetto riguarda la creazioni di immagini attraverso i cubi di Rubik, l’artista lo chiama il suo periodo “Rubik cubist”160. L’arte di Invader gioca sulla nostalgia e sul ricordo e per questo è uno street artist molto amato dalle persone. A Parigi, sono stati organizzati anche degli Space invaders walking tour161, per esplorare la città e i personaggi che la popolano. Invader ha esposto alla Biennale d’arte contemporanea di Lione nel 2001, al Baltic Centre for Contemporary Art di Gateshead, al MOCA di Los Angeles e in alcune gallerie di Parigi, Roma, New York e Londra, anche se, da street artist, preferisce la strada: “Posizionare un bel pezzo nel posto giusto è un’esperienza forte, perché usi la città come galleria e la tua arte diventa parte della città e della vita che la circonda. In confronto a questo, i musei sono come cimiteri.”162 Ad oggi Invader ha invaso più di settanta paesi, viaggiando per tutti i continenti e affisso più di tremila mosaici163. [Figura 16] Un altro street artist che compie atti artistici per mezzo di giocattoli è Jan Vormann. Questo giovane artista tedesco viaggia per le città di tutto il mondo con il suo progetto Dispatchwork, riparando gli edifici, i monumenti o le strutture urbane con i mattoncini lego. Ovunque trovi dei muri sgretolati, dei mattoni mancanti, o dei palazzi usurati, egli ne ricostruisce l’architettura, attraverso l’incastro di tanti mattoncini colorati. Il vuoto, l’incuria, i segni del deterioramento e dell’abbandono vengono rimpiazzati da elementi gioiosi, vivaci, che ricordano l’infanzia e quindi la festosità della vita. Vormann dichiara infatti che una delle sue azioni più rimarchevoli è stata a Berlino, dove ha riempito di lego dei buchi causati dalle granate durante la seconda guerra mondiale, con l’obiettivo di attirare l’attenzione dei passanti, in modo che si chiedessero perché quel mattoncino fosse stato posto proprio in quel punto.164 Lo scopo di Vormann è quello di donare un po’ di colore alle città fin troppo grigie e ritiene che il mattoncino lego possa essere uno dei mezzi più adeguati, poiché oltretutto, grazie alla sua forma perfettamente rettangolare, si incastra ottimamente con l’architettura urbana. Come descrive nel suo manifesto: “Dispatchwork non combatte solamente il deterioramento. Piuttosto, mira ad enfatizzare la transitorietà come una possibilità per la costruzione e ricostruzione dei nostri ambienti.”165 Anche in questo caso, viene data molta importanza alla partecipazione globale. Le persone sono invitate dall’artista a creare i

160 Peiter S. (a cura di), op. cit., p. 32 161 http://www.timeout.com/paris/en/walks-tours/space-invaders-walking-tour 162 Peiter S. (a cura di), op. cit., p. 34 163 https://www.flickr.com/groups/spaceinvaders/pool/ 164 http://www.telegraph.co.uk/culture/culturepicturegalleries/7421926/Jan-Vormann-travels-the- world-repairing-crumbling-monuments-with-Lego.html?image=1 165 http://www.dispatchwork.info/manifesto/ 87 loro pezzi e inviare le foto con le coordinate al sito, in modo da stimolare e diffondere la creatività a scapito della rigidità e della durezza dell’ambiente urbano. [Figura 17] Mark Jenkins e Slinkachu sono street artist che si dedicano invece alle installazioni tridimensionali. Il primo crea piccole sculture con nastro adesivo e le posiziona sulla strada, ma è diventato famoso per le sue sculture iperrealiste che turbano e inquietano. Jenkins crea delle sculture con dei manichini. Li veste da cima a piedi e l’unica parte che rimane oscurata è il volto, nascosta sempre da cappucci, capelli o copricapi, così che in lontananza possano essere scambiati per persone vere. Jenkins posiziona le sue creature in punti strategici e sensazionali, ad esempio sul tetto dei palazzi in modo da dare l’impressione che si stiano per gettare di sotto, agli angoli di un marciapiede o al centro di una fontana. Talvolta appaiono solo delle parti della figura: gambe che spuntano fuori da bidoni o da grondaie o corpi che, come struzzi metropolitani, inseriscono la testa sotto l’asfalto delle strade. Slinkachu è molto meno macabro di Mark Jenkins, anche se ne mantiene l’effetto sorpresa. Questo artista londinese poco più che trentenne, gioca molto con la fantasia e dal 2006 ha ideato Little People Project, in cui si diverte a posizionare, per poi fotografare, piccole miniature, di dimensioni grandi meno di un dito, per la strada, creando un mondo lillipuziano metropolitano, con le sue storie e i suoi abitanti. “Amo esplorare la solitudine e la malinconia della vita di città e a volte anche il pericolo di questa. Cerco di fare un’arte che può sembrare sciocca o ironica, ma che abbia anche un significato più profondo.”166 I rifiuti del mondo urbano diventano oggetti di scena: ecco così che i piccoli personaggi praticano lo skateboard su una buccia di arancia, fanno il bagno in un tappo di una birra tramutato in piscina, sparano ad un’ape considerata una bestia selvaggia o vanno a pesca in una pozzanghera. Negli ultimi anni sono nate nuove forme di guerrilla, sotto forma di Street Art. Una delle più romantiche è sicuramente la Guerrilla Knitting. Questo fenomeno viene chiamato anche o Guerrilla Crochet. Gruppi di giovani si attrezzano di gomitoli, ferri o uncinetti e si divertono a “vestire” lo spazio urbano, con coperte e merletti multicolore e a ricche fantasie. Lampioni, parchimetri, coni stradali e tutto ciò che appartiene alla città viene ricoperto e colpito da un esplosione di colore. [Figura 18] Questi artisti dimostrano che è possibile produrre arte con ogni mezzo e creare bellezza, anche nei luoghi più inaspettati. Ogni giorno appaiono piccole o grandi opere d’arte sorprendenti, ingegnose e a tratti emozionanti. A volte provocano stupore, altre volte strappano un sorriso, ma non lasciano mai senza una reazione, sintomo questo di un’espressione artistica dinamica, intensa ed incisiva. Si dice che la bellezza salverà il mondo e forse è proprio questo l’obiettivo degli street artist: portare la bellezza, anche nei luoghi dove questa viene spesso a mancare – dalle grandi

166 Carlsson B., Louie H., op. cit., p. 120. 88 metropoli omologate, ai centri industriali o degradati – al fine di risollevare le sorti di un’umanità alienata, troppo impegnata e oppressa dal mondo moderno.

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[Figura 1. a] Miss Van, 2014. (Fonte: www.missvan.com). [b] Flower guy, Venezia, 2011 (Fonte: www.mdefeo.com)

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[Figura 2. a] Una via di Londra “colpita” dall’alfabeto multicolore di Eine. (Fonte: www.graffitiartmagazine.com). [b] La tela dal titolo Twentyfirst century city, donata dal primo ministro inglese David Cameron, al presidente degli Stati Uniti Barack Obama. (Fonte: www.bbc.co.uk)

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[Figura 3. a e b] Stencil Art di C215 a Istanbul, 2009. (Fonte: www.c215.com)

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[Figura 4. a] Un esempio di Subvertising dell’artista Ron English. I brand colpiti sono Coca Cola e Marlboro. (Fonte: www.streetart-urbanlife.com). [b] Il celebre poster Hope di Shepard Fairey, creato per la campagna presidenziale di Barack Obama. (Fonte: www.obeygiant.com)

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[Figura 5] Tre esempi di Stencil Art: [a] Miss.Tic, Parigi, 2012. (Fonte: www.missticinparis.com)

[b] Lucamaleonte e Sten&Lex, Roma, 2009 (Fonte: lucamaleonte.blogspot.com)

[c] Nick Walker, Bristol. (Fonte: www.theartofnickwalker.com) c

[Figura 6] L’incursione di Banksy a Londra. (Fonte: www.threadforthought.net)

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[Figura 7] Blek le Rat. Ultimo tango a [Figura 8] Un pezzo multicolore di C215, Parigi, 1986. (Fonte: bleklerat.free.fr/) Londra, 2010 (Fonte: www.c215.com)

[Figura 9] Ernest Pignon-Ernest, Morte della Vergine, Spaccanapoli, 1990. (Fonte: www.pignon-ernest.com)

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[Figura 10] Swoon, Indian girls. [Figura 11] Un collage di Judith Supine. (Fonte: www.brooklynstreetart.com) (Fonte: streetartnyc.org)

a b [Figura 12] Due poster di Shepard Fairey con marcati richiami costruttivisti. [a] Rise Above, 2012. [b] Eye, 2012. (Fonte: www.obeygiant.com)

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[Figura 13] Un poster della campagna Obey the giant, a Parigi, nel 2012. (Fonte: globalgraphica.com)

[Figura 14] Due progetti di JR: [a] Face 2 Face. Lato palestinese nei pressi di Betlemme, 2007. [b] Women are heroes. Kimera slum, Kenya, 2009. (Fonte: www.jr-art.net)

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[Figura 15. a.] Blu e Os Gêmeos, Lisbona, 2010. (Fonte: www.blublu.org) [b] Ericailcane con Dem, Run, Kabu, Allegra Corbo, Hitnes, Andreco, Basik e 108 (particolare), Santarcangelo di Romagna, 2010. (Fonte: www.ericailcane.org) 96

[Figura 16] Invader a Barcellona, [Figura 17] Jan Vormann a Bryant Park, New 2013. York. (Fonte: www.janvormann.com)

a b c [Figura 18] Tre esempi di installazioni: [a.] Mark Jenkins, Washington DC. (Fonte:www.xmarkjenkinsx.com) [b] Slinkachu, 2008 (Fonte: www.slinkachu.com)

[c] Magda Sayeg, pioniera del Guerrilla Knitting. (Fonte: www.magdasayeg.com) 97

CAPITOLO 3. LA STREET ART ENTRA NEI MUSEI E NEI VARI MERCATI

“Contrariamente a quanto si va dicendo, non è vero che i graffiti sono la più infima forma d’arte. […] È una delle forme d’arte più oneste che ci siano. Non c’è elitarismo né ostentazione, si espone sui migliori muri che una città abbia da offrire e nessuno è dissuaso dal costo del biglieto. I muri sono sempre stati il luogo migliore dove pubblicare i lavori.”167

Banksy

Nei precedenti capitoli si è appurato quanto sia considerevole e persistente la presenza dei graffiti e della Street Art all’interno dei contesti urbani di ogni parte del globo. Già dagli anni Sessanta del Novecento si è iniziato a valutare il potenziale dell’ambiente naturale prima e del tessuto cittadino poi, come base per gli interventi artistici. Contro le restrizioni e la fisicità del museo, come provocazione al sistema dell’arte e per l’ottenimento di un prolungamento tra arte e vita, gli esponenti della Land Art, negli Stati Uniti, creavano le loro opere, modificando e operando nel paesaggio naturale. In Europa, invece, agivano Christo (1935) e la sua compagna Jean-Claude (1935-2009), che con le loro installazioni e i loro “impacchettamenti” (a loro volta ispirati da Man Ray e dal suo Enigme d'Isidore Ducasse) rivoluzionavano il concetto di medium artistico e di fruizione dell’opera d’arte. Nel 1962 bloccarono Rue Visconti a Parigi, posizionando ottantanove barili d’olio, come protesta all’avvenuta erezione del muro di Berlino. Memorabili sono gli impacchettamenti del Reichstag di Berlino, del Pont Neuf di Parigi e della fontana e della torre medievale a Spoleto, nel 1968, in occasione del Festival dei due mondi. Con i loro interventi, Christo e Jean-Claude possono essere considerati i precursori dell’Arte Urbana contemporanea. Anche la modalità di finanziamento accomuna la coppia di artisti agli attuali street artist. Christo e Jean-Claude, infatti, solevano autofinanziarsi, attraverso la vendita di progetti, modellini, disegni preparatori e fotografie, così come la maggior parte degli street artist, che vendono stampe, serigrafie, disegni e bozzetti, per ottenere i fondi da investire nei progetti più consistenti. Un esempio rimarchevole di finanziamento della Street Art è avvenuto nel 2013, quando il festival romano Outdoor: Urban Art Festival, ha organizzato il primo crowdfunding italiano per finanziare un’installazione di Arte Urbana. Il progetto era una facciata su un muro di un palazzo del quartiere della Garbatella ad opera di Sten&Lex, da realizzarsi durante l’edizione 2013 del festival. L’ammontare da raggiungere per far sì che l’opera si potesse concretizzare era di diecimila euro, da

167 Banksy, Wall and Piece, cit., p. 8. 98 ottenere in cinquanta giorni. L’azione di crowdfunding è stata avviata su una piattaforma internet e l’obiettivo è stato raggiunto e superato con successo, raccogliendo 10.675 euro.168 In base all’offerta, il sostenitore riceveva a casa una serigrafia della coppia di artisti a tiratura limitata, firmata e numerata. [Figura 1] Questo esempio è esplicativo di quanto sia importante la figura del fruitore all’interno della Street Art. Non si tratta più di un osservatore passivo, ma diviene protagonista in tutto il processo creativo. Il mondo della Street Art si può considerare come costituito da una grande comunità, che sostiene e incoraggia gli artisti. L’artista e il suo pubblico si avvicinano sempre di più, eliminando barriere e dialogando direttamente. Il mezzo che ha reso possibile tutto questo, è certamente internet. Tutti gli street artist possiedono un sito web personale, spesso gestito personalmente dagli stessi. All’interno del sito, appare sempre la sezione con la biografia, il curriculum vitae con gli studi e l’elenco delle mostre o dei festival a cui hanno preso parte, una galleria di immagini in cui sono esposti i loro lavori e gli eventi a cui hanno partecipato o parteciperanno. Infine, compare sempre la sezione dedicata alla vendita delle loro opere. Gli Street Artist tendono a vendere personalmente le loro tele sul loro sito, evitando così intermediari e riuscendo a mantenere prezzi contenuti. Anche gli artisti più affermati vendono ancora le loro opere su internet, primo tra tutti Shepard Fairey, che nonostante le stampe vendute all’asta a cifre esorbitanti, le decine di mostre in galleria e un’opera sita alla National Portrait Gallery di Washington, non cessa di vendere le sue stampe a poche centinaia di dollari (spesso effettuando anche sconti), sul suo sito internet. Gli artisti inseriscono sui rispettivi siti anche i loro contatti, così da poter comunicare direttamente con chi li contatta, per eventuali richieste di partecipazione a eventi o festival, commissioni, informazioni, vendita delle opere e così via. Nonostante la fama, lo street artist si sente sempre parte della sotto-cultura in cui è cresciuto e posiziona il fruitore sempre al primo posto, perché è da lui che dipende la sua sussistenza, più che dal gallerista o dal collezionista. Lo stesso Banksy, probabilmente lo street artist più conosciuto e più pagato al mondo, continua a lavorare in strada, offrendo le sue opere alla fruizione pubblica. Oltre ai siti personali degli artisti esistono anche portali dedicati alla Street Art. Questi siti, come il già citato Wooster Collective, Art Crimes o Street Art Utopia, sono siti internet creati da appassionati, studiosi e professionisti della Street Art e sono essenziali per la divulgazione e la preservazione di quest’arte così effimera. Se non ci fossero questi databases, di molte opere ormai perdute, non si avrebbe più nessuna testimonianza. All’interno di questi siti internet si possono trovare informazioni riguardanti gli stili, interviste ai protagonisti, novità e manifestazioni e

168 http://www.eppela.com/ita/projects/517/stenlex-per-outdoor-urban-art- festival/updates/558/come-e-dove-ritirare-la-propria-opera 99 soprattutto gallerie di immagini. Inoltre, molte città creano siti internet relativi alla loro realtà. Ad esempio, uno dei siti internet più attivi, presente in tutti i social networks è brooklynstreetart.com. Il sito offre gli esempi più interessanti di Street Art sviluppati nella città di New York ed è un potente strumento di diffusione e propagazione universale di questo movimento artistico.

3.1 Il fenomeno Banksy

Banksy è probabilmente lo street artist più conosciuto al mondo. Nel corso degli anni è diventato un vero fenomeno mediatico, nessuno sa chi sia, non esistono fotografie che lo ritraggano (se ci sono, la sua identità è presunta e non accertata), non rilascia interviste e non si presenta agli eventi pubblici. Si tratta del ricercato più famoso del mondo dell’arte. Di lui si sa solo che è nato circa durante la metà degli anni Settanta ed è originario di Bristol. La cittadina, situata a circa duecento chilometri a ovest di Londra, è da sempre un centro molto importante per la Street Art. È stato il primo luogo britannico a sviluppare e diffondere la Stencil Art, ha dato i natali ad altri importanti street artist come Nick Walker e tuttora possiede una scena molto attiva che funge da punto di riferimento per la Street Art a livello internazionale. Per merito di Banksy e della Street Art, la città ha guadagnato un ritorno di immagine estrememante positivo e il flusso turistico negli anni è aumentato in maniera esponenziale. Esistono numerosi walking tours, alcuni persino a pagamento, dedicati a Banksy e alla Street Art di Bristol, sponsorizzati dalla città. Le opere di Street Art sono diventate parte integrante dell’offerta culturale del centro inglese. Dal punto di vista artistico, l’opera di Banksy è notevole non tanto per la sua originalità, ma per il suo stile sovversivo, provocatorio e beffardo. I suoi stencil rappresentano una critica sferzante alla società e alla politica e i luoghi che sceglie per collocarli sono spesso estremi e di forte impatto, come, ad esempio, i recinti degli animali di svariati zoo europei e non (Barcellona, Bristol e ), il muro divisorio tra Palestina e Israele e i musei più importanti al mondo, come il Louvre. Come afferma anche De Gregori:

“l’artista britannico punta a distruggere l’establishment, il militarismo, la società basata sul consumo. I suoi personaggi sono disincantati, adorano i falsi miti, sono frutto di una civiltà capitalista e progressista. Banksy sovverte l’immaginario collettivo sfaldando le icone della società contemporanea tramite un’ironia allo stesso tempo elegante e brutale e mettendo in ridicolo le molteplici contraddizioni che fanno parte del nostro tempo.”169

169 De Gregori S., Banksy, il terrorista dell’arte: Vita segreta del writer più famoso di tutti i tempi, Roma, Castelvecchi, 2010, p.157. 100

Ecco così che appaiono sui muri delle città stencil contro il McDonald’s, contro le compagnie petrolifere, dipinge poliziotti gay che si baciano e realizza forti provocazioni contro la casa reale (come la scimmia con le fattezze della regina Elisabetta o la contraffazione e la diffusione di una serie di banconote da dieci sterline con il volto di Lady Diana, con sopra la scritta Banksy of England). Il suo stile deriva dalla tradizione degli Stencil Graffiti, i suoi punti di riferimento sono Nick Walker e Blek le Rat. Banksy si è persino appropriato dei rats di quest’ultimo, iniziando anche lui a rappresentarli, intenti a compiere atti irriverenti o a mandare messaggi satirici. I suoi stencil sono quasi sempre monocromatici e il nero è il colore che prevale. Il suo stile è molto riconoscibile, ma nel corso degli anni si sono diffusi molti emuli e quindi non sempre è facile stabilire l’autenticità delle sue opere. Ad ogni modo, nell’ultimo periodo, l’artista segnala ogni suo nuovo internevento sul suo sito internet. Durante l’ultima visita a New York (2013), per il suo progetto (meglio fuori che dentro), Banksy è stato molto attivo su internet. Il progetto consisteva nel realizzare un’opera al giorno per tutto il mese di ottobre e sul sito postava giornalmente una fotografia del lavoro appena realizzato, con il luogo in cui si trovava. L’eterogeneità delle opere ha caratterizzato la sua permanenza a New York. Per ogni giorno infatti, Banksy ha sviluppato un’idea diversa, con un messaggio differente e i suoi interventi hanno spaziato dai graffiti, alla Video Art, alle performance, alle installazioni. Ha iniziato il primo ottobre con uno stencil abbastanza riconoscibile per il suo stile: due ragazzini uno sopra l’altro che cercavano di raggiungere una bomboletta spray inserita in un cartello di divieto, con la scritta graffiti is a crime (i graffiti sono un crimine). Il due ottobre ha reso omaggio al Writing newyorchese degli anni Settanta-Ottanta, ricreando una scritta in Wildstyle. [Figura 2] In tre giornate (6, 19, 25 ottobre) ha solamente pubblicato dei video sul suo sito internet (il primo di forte impatto, rappresenta una denuncia alla guerra. Il video mostrava un gruppo di guerriglieri islamici che pensando di abbattere un aereo nemico, atterrano invece l’elefantino Dumbo). In seguito ha proseguito con denunce contro le catene di fast food, contro gli allevamenti intensivi e il macello delle carni e molto interessante è stata la critica, decisamente tagliente e ironica, al sistema dell’arte. Il 13 ottobre Banksy ha installato un banchetto a Central Park, con le sue opere messe in vendita da un anziano signore, a 60 dollari l’una. Sul banchetto, oltre alle tele con gli stencil di Banksy, vi erano solamente due quadretti con sopra scritto rispettivamente: Spray art e $60. Non era data nessuna indicazione circa la paternità delle opere. In tutta la giornata ha venduto le tele per un totale di 420 dollari, mentre hanno un valore stimato di 140.000 sterline.170 Due piccole tele sono state vendute a una signora, che le ha comprate per i suoi figli, dopo aver negoziato uno sconto del 50%. Altre quattro sono state

170 http://www.bbc.com/news/entertainment-arts-24518315 101 acquistate da un ragazzo che aveva bisogno di “qualcosa per le pareti”171. Con questa operazione probabilmente Banksy ha voluto gettare le basi per una critica al mercato attuale dell’arte e denotare quanto conti il nome dell’artista e il contesto per una valutazione dell’opera d’arte. Si è detto in precedenza, che la Street Art attualmente possiede una grande rilevanza sul mercato artistico e ogni anno si curano mostre e manifestazioni dedicate a questo movimento, ma la presenza di queste opere all’interno dei musei risulta ancora esigua. Banksy ha deciso quindi di fare irruzione con le sue tele all’interno di alcuni musei, tra i più prestigiosi al mondo. Nel 2004 incolla al Louvre un tela su cui è raffigurata la Gioconda con uno smile al posto del viso. L’anno successivo, al MOMA, mimetizzata tra le varie opere della Pop Art, inserisce una tela che riproduce una lattina della Tesco, la più nota catena di supermercati britannica, con un chiaro rimando alla Campbell soup di Andy Warhol. L’opera è rimasta appesa sei giorni, prima che qualcuno se ne accorgesse. Alla Tate Gallery di Londra non si limita ad incollare l’opera abusiva (una tela raffigurante un paesaggio bucolico in cui inserisce i nastri della polizia, utilizzati per non fare oltrepassare le persone nei luoghi di crimine), ma a fianco incolla anche una breve didascalia con titolo, data e composizione: La trasmissione Crimewatch Uk ha rovinato la campagna a tutti noi, 2003, olio su tela.172 Tra i musei colpiti dalle sue intrusioni si annoverano anche il British Museum, il Brooklyn Museum, il Metropolitan Museum of Art e l’American Museum of Natural History di New York. In quest’ultima occasione Banksy si è adeguato alla natura del museo e ha installato una teca con uno scarafaggio vero, uno scarabeo arlecchino, adornato da missili ai lati. Come un vero entomologo, Banksy ha redatto il nome della specie dello scarafaggio in modo da far sembrare che fosse scritto in latino: “Withus Oragainstus, United States”, mentre in realtà significa with us or against us, United States (con noi o contro di noi, Stati Uniti). L’installazione è durata dodici giorni. In seguito all’irruzione, alcuni musei hanno inserito le opere di Banksy nella loro collezione permamente. Nelle varie occasioni le telecamere di sorveglianza hanno ripreso ogni volta un uomo con impermeabile, cappello e una busta, che indisturbato incollava le varie opere con del nastro biadesivo.

171 Il video che testimonia l’intervento: http://www.youtube.com/watch?v=zX54DIpacNE 172 La didascalia continua: “Questa nuova acquisizione è uno squisito esempio dello stile neo Post- idiota. L’artista ha trovato un anonimo dipinto a olio sulle bancarelle di un mercatino a Londra e ha aggiunto uno stencil raffigurante il nastro segnaletico con la scritta “Police line – do not cross”. Si può ipotizzare che la deturpazione di questo scenario così idilliaco rispecchi il mondo in cui la nostra nazione è stata vandalizzata dall’ossessione che nutre nei confronti del crimine e della pedofilia, tale che ormai, quando si visita un luogo pittoresco un po’ appartato, il pensiero corre inevitabilmente al rischio di essere molestati o di rinvenire qualche cadavere fatto a pezzi. Donato personalmente dall’artista nel 2003”. In Banksy, Wall and piece, cit. 102

In questi anni Banksy si fa promulgatore della Street Art, concentrandosi in particolar modo sulla sua tecnica di riferimento, la Stencil Art. Dal 3 al 5 maggio 2008 ha organizzato un festival di Stencil Art a Londra, in Leake street, vicino a Waterloo Station. Per l’occasione, ha affittato un tunnel in disuso, utilizzato in precedenza dai treni ad alta velocità. Banksy ha invitato una trentina di artisti di tutto il mondo e lui stesso ha realizzato alcuni pezzi. Tra gli stencil artist invitati comparivano: Fail, Vhils, Blek le Rat, C215, Ben Eine, Mr. Brainwash, The Toasters e gli italiani Sten & Lex, Orticanoodles e Lucamaleonte. L’entrata era libera. L’evento ha riscosso un grande successo e durante l’inaugurazione, la fila all’ingresso si era formata già dalle prime ore del mattino. Per questo evento, Banksy ha realizzato il suo celebre pezzo Graffiti Cleaner, in cui viene rappresentato un operatore ecologico intento a lavare una parete con un’idropulitrice per eliminare i graffiti; purtroppo, i graffiti che sta eliminando sono le celebri pitture rupestri delle grotte di Lascaux.173 [Figura 3] Tra le manifestazioni organizzate da Banksy, il suo progetto più rimarchevole è probabilmente il già citato Santa’s Ghetto, attraverso il quale, dal 2005, per mezzo della Street Art, cerca di sensibilizzare i popoli occidentali e mediorientali sulla questione israeliano-palestinese. Le sue opere più incisive site sul muro di separazione tra Israele e Palestina sono quelle che hanno come protagonisti i bambini. Di forte impatto è lo stencil monocromatico nero, sintetico, in cui una bambina prende il volo con dei palloncini, nella speranza di superare il muro. In altre occasioni dipinge delle crepe che formano dei buchi sul muro, al di là del quale si nota un cielo azzurro o paesaggi idilliaci con palme e mare cristallino, con dei bambini che giocano al di quà e al di là della crepa. Ciò che rende questo artista così importante per la Street Art, oltre all’apporto prettamente artistico, sono le sue quotazioni stellari, che hanno fatto da apripista al movimento della Street Art nel mercato dell’arte. Questo fenomeno è stato denominato “Banksy effect”174. Banksy oltre ai lavori in strada, produce anche opere su tela, atte ad essere esposte in galleria o per vendite all’asta. Una spiccata sensibilità estetica, un linguaggio graffiante e penetrante, grandi abilità di marketing e le conoscenze giuste, hanno reso Banksy l’artista più ricercato, quotato e copiato degli anni Duemila. Le stelle dello spettacolo, dagli attori di Hollywood ai cantanti, alle personalità più rilevanti in ambito culturale, lo adorano (Woody Allen ha inserito una tela di Banksy nel suo film Match Point, del 2005). Nel 2006 Damien Hirst ha affermato che acquistare opere di Banksy era un

173 Per tutte le immagini delle opere realizzate al Cans Festival, si rimanda a http://cansfestival2008.blogspot.it/ 174 http://www.woostercollective.com/post/the-banksy-effect 103 vero affare175. In pochi anni, le quotazioni di Banksy si sono gonfiate enormemente, tanto che due sue opere, nel 2008, hanno superato la cifra di un milione di dollari. Le due tele, battute all’asta da Sotheby’s, sono rispettivamente: Keep It Spotless, spray su tela del 2007, battuto a 1.870.000 dollari (valore stimato: 250.000 – 350.000 dollari)176 e Simple Intelligence Testing, un olio su tela del 2000 costituito da cinque parti, a 1.265.120 dollari (valore stimato: 150.000 – 250.000 dollari)177. Durante il suo progetto newyorchese Better Out than In, Banksy ha acquistato da un negozio di seconda mano a scopo caritatevole, Housing Works, una tela raffigurante un paesaggio ottocentesco, per cinquanta dollari. Successivamente, lo street artist ha riportato al negozio il quadro modificato: sopra la tela aveva disegnato con spray e stencil un soldato nazista seduto su una panchina, intento ad osservare il paesaggio. Il quadro l’ha rinominato The banality of banality of evil (La banalità della banalità del male, un rimando all’opera La banalità del male, di Hannah Arendt) e l’ha firmato. Banksy (per mezzo di intermediari) ha comunicato al negozio il valore che aveva guadagnato l’opera così autenticata, dopodichè è stata battuta ad un’asta online sullo stesso sito di Housing Works per 615.000 dollari e i proventi sono andati in beneficienza.178 La “Banksy mania” ha creato talmente tanti emuli e falsari, anche a causa del medium facilmente riproducibile dello stencil, che è nata un’organizzazione ad hoc, la quale agisce per conto di Banksy, intenta a stabilire l’autenticità delle opere e a venderle. Non è raro inoltre, che vengano scrostati e rimossi gli stencil di Banksy dai muri, per poi rivenderli su internet in siti di e-commerce come ebay o direttamente sui siti delle case d’asta. Recentemente, un suo stencil dal titolo No ball games (vietato giocare a palla) che raffigurava due ragazzini intenti a giocare con il cartello di divieto e si trovava nel quartiere di Tottenham, è stato rimosso, con grande disappunto degli abitanti del quartiere e venduto all’asta dall’organizzazione Sincura Group. Un altro stencil dal titolo Slave Labour (lavoro da schiavo), un’opera di condanna verso il lavoro minorile in cui un bambino era intento a cucire una bandiera inglese, è stato rimosso e anche questo messo in vendita. La base d’asta partiva da 900.000 sterline. Sono rimasti anonimi gli acquirenti e i proprietari dei muri su cui si trovava l’opera, che hanno disposto la rimozione e la messa in vedita. L’effetto Banksy è tuttora in ascesa. Banksy è entrato nella cerchia dei più influenti e quotati artisti contemporanei e sempre più aste stanno dedicando vendite basate esclusivamente sulla Street

175 De Gregori S., Banksy, il terrorista dell’arte: Vita segreta del writer più famoso di tutti i tempi, cit., p.187 176http://www.sothebys.com/en/catalogues/ecatalogue.html/2008/auction-red- n08421#/r=/en/ecat.fhtml.N08421.html+r.m=/en/ecat.lot.N08421.html/34/ 177http://www.sothebys.com/en/catalogues/ecatalogue.html/2008/contemporary-art-day-auction- l08021#/r=/en/ecat.fhtml.L08021.html+r.m=/en/ecat.lot.L08021.html/327/ 178 http://www.bloomberg.com/news/2013-10-30/banksy-donates-nazi-doctored-landscape-to-help- aids-group.html 104

Art. La Street Art sta vivendo una golden age e mentre gli street artist vengono arrestati per strada per atti di vandalismo, le loro opere raggiungono quotazioni stellari, come una serigrafia di Shepard Fairey del 2006 dal titolo Guns and Roses, battuta dalla casa d’aste Artucurial a 63.395 euro (prezzo stimato (28.000 – 35.000 euro).179 La celebre vendita di Artucurial del gennaio 2013 dedicata all’Art urbain contemporain (arte urbana contemporanea), è stata un successo senza precedenti, con tutti i lotti venduti. Gli artisti protagonisti della vendita spaziavano dai kings newyorchesi degli anni Settanta e Ottanta come Futura 2000, Crash, Seen, Dondi, Cape 2 ai principali esponenti della Street Art odierna, come Shepard Fairey, Invader, Above, JR, Kaws, Blek le Rat, C215, Banksy e molti altri ancora. In Italia, nel dicembre 2012 si è svolta la prima asta italiana dedicata interamente all’arte urbana. Allesstita dall’organizzazione Urban contest di Roma e gestita da Minerva Auctions, la vendita comprendeva cinquantatré lotti di giovani street artist, principalmente italiani. Il mercato dell’arte quindi, ha capito l’importanza che ha assunto la Street Art all’interno dell’arte contemporanea negli ultimi anni e ne sta cavalcando l’onda, comprendendo a pieno lo zeitgeist.

3.2 Le gallerie, le mostre, i musei

Dato il successo che Street e Urban art hanno riscosso negli ultimi anni tra i collezionisti e le vendite all’asta, sono sorte numerose gallerie specializzate sui suddetti movimenti artistici. A New York si trova la Gallery 69, che tratta i principali maestri e gli storici kings dei graffiti, come StayHigh 149, Cornbread, Crash, Seen e Taki 183. La Jonathan LeVine Gallery, sempre a New York, è impegnata nelle ricerche più attuali sulla Street Art. Della sua scuderia fanno parte o hanno fatto parte Shepard Fairey, Blek le Rat, Invader e Dan Witz, solo per citarne alcuni. Molti curatori che si dedicano interamente alla Street Art hanno un passato attivo nelle sotto-culture urbane. Si tratta solitamente di giovani curatori appartenenti alle culture underground, che notano il potenziale artistico che li circonda e cercano di valorizzarlo e farlo emergere in superficie. LeVine, ad esempio, ha un passato nell’ambito musicale punk e ha iniziato ad organizzare le prime mostre a metà degli anni Novanta, inizialmente nei luoghi alternativi che frequentava. Dai rock clubs è riuscito a traslare l’arte in galleria e ora la Jonathan LeVine gallery, nel cuore di Chelsea, è uno dei punti di riferimento della Urban Art mondiale. Tra le gallerie europee una menzione speciale va alla Lazarides Gallery di Londra, la quale si dedica agli artisti cosiddetti outsider, ossia al di fuori dei circuiti principali dell’arte contemporanea,

179 http://www.artcurial.com/fr/asp/fullCatalogue.asp?salelot=2161+++++193+&refno=10404090 105 tra i quali vengono considerati anche gli street artist. A Steve Lazarides viene attribuito il merito di aver scoperto Banksy, essendo stato il suo primo agente e, ad ogni modo, è stato uno dei principali promulgatori della Street Art all’interno dell’establishment artistico. La galleria può vantare artisti del calibro di Banksy, Ron English, JR, Vhils, Conor Harrington, 3D e Invader. Uno dei centri europei più vitali in ambito di graffiti e Street Art è attualmente la città di Amburgo, nel nord della Germania. La maestosa città portuale non solo tollera i graffiti, ma ne fa un vanto ed un punto di forza della città. Non è raro trovare negozi specializzati nella vendita del nécessaire per realizzare i graffiti (bombolette, markers, sketchbook) ed è possibile ammirare palazzi eleganti, come alberghi a quattro stelle o imponenti edifici pubblici, come lo stadio, con facciate decorate da splendidi graffiti o pitture murali (legalmente commissionate). [Figura 4] Molti di questi artisti espongono anche in gallerie, tra le quali spicca la OZM Art Space Gallery, una delle più rappresentative della città per l’Arte Urbana. Anche in Italia molte gallerie si stanno indirizzando verso la Urban Art. Storicamente, in Italia, i principali centri in cui si sono sviluppati i graffiti e le loro relative “scuole” sono tre: Roma, Bologna e Milano. Non a caso, le principali gallerie dedicate all’arte metropolitana sono fiorite in queste città. A Bologna si trova Ono Arte Contemporanea che si concentra più che altro sul fenomeno delle sotto e contro-culture del Novecento, con un’attenzione particolare all’ambito musicale, mentre a Roma e Milano le gallerie si dedicano alla Street Art vera e propria. A Milano si trovano la Galleria Patricia Armocia e The Don Gallery, la quale si descrive espressamente come un luogo specificamente dedicato a Urban Art, graffiti, Pop Surrealism e Lowbrow180. The Don Gallery ospita numerosi artisti, tra cui: Bo130, Microbo, Ron English, Ericailcane, WK Interact e Invader. Parallelamente alla Don Gallery, Roma offre Mondo Bizzarro Gallery, definitasi “piattaforma per le arti ipercontemporanee del XXI secolo”181. La galleria, sita nel quartiere di San Lorenzo, è un’istituzione all’interno della capitale e offre la possibilità di conoscere gli artisti emergenti più promettenti della Street Art e dell’arte iper-contemporanea. Shepard Fairey ha esposto al Mondo Bizzarro in svariate occasioni, assieme a street artist italiani come Sten & Lex, Hogre, Lucamaleonte, Omino71, JB Rock.

180 La Lowbrow Art è un genere tipico delle sotto-culture. Viene solitamente accorpato all’interno della Urban Art o del Pop-surrealism. Si tratta di un genere nato in California negli anni Settanta, strettamente legato all’ambiente punk e underground. La Lowbrow Art ha molte affinità con i fumetti e le illustrazioni d’antan, mantiene sempre una vena comica o caricaturale e utilizza colori accesi e vivaci. I contesti sono spesso surreali o onirici. Lo stile lowbrow è salito alla ribalta nel 1994 con la pubblicazione della rivista “Juxtapoz”, dedicata alle correnti e agli artisti più underground dell’arte contemporanea. Molte opere lowbrow sono state esposte alla già citata mostra Beautiful Losers: Contemporary Art and Street Culture. Tra gli esponenti di spicco di questo movimento si annovera il pittore statunitense Mark Ryden. 181 http://www.mondobizzarrogallery.com/home.asp 106

Una delle peculiarità della Street Art si riscontra nel fatto che, sebbene il numero di gallerie dedite a questo movimento aumenti ogni anno e le decine di mostre internazionali realizzate ogni stagione raccolgano sempre più consensi e un numero sempre più crescente di visitatori, (durante la Biennale d’arte di Venezia del 2013, il padiglione del Venezuela, curato da Juan Calzadilla, era interamente dedicato all’arte urbana e l’evento collaterale Back 2 Back ha portato in laguna, per tutta la durata della manifestazione, i migliori street artist italiani), le opere di Street Art e Graffiti Writing spesso non trovano posto all’interno dei musei. I musei si limitano ad acquisire opere su tela del primo periodo del Graffitismo, ossia quello newyorchese degli anni Settanta-Ottanta, concentrandosi oltretutto sui nomi principali, come Haring o Rammellzee. A causa delle peculiarità tecniche, ossia il muro come supporto e della filosofia di strada che accompagna la Street Art, il museo non risulta il luogo più adeguato per conservare ed esporre queste tipologie di opere. La soluzione adottata da amministrazioni cittadine e privati, quindi, per diffondere l’Arte Urbana, è quella di donare degli spazi ai writer e agli street artist, in modo che essi abbiano la possibilità di esprimere la loro arte in maniera legale. Vengono così creati dei veri e propri musei e gallerie a cielo aperto. Questi luoghi stimolanti, solitamente palazzi abbandonati, fabbriche dismesse o semplicemente muri che costeggiano le strade, diventano punti di riferimento e luoghi d’incontro tra i vari street artist e spesso anche importanti mete di pellegrinaggio per gli estimatori del genere. 5pointz:The Institute of Higher Burnin', definitosi Aerosol Art Center, è stato per anni la Mecca dei graffiti ed è considerato il più importante centro espositivo all’aperto mai istituito per la Spray Art. 5pointz (il nome vuole rappresentare i cinque distretti di New York: Manatthan, Bronx, Queens, Brooklyn, Staten Island) era una fabbrica abbandonata di 19.000 m2 allocata nel Queens, a New York, che a cominciare dal 1993, divenne il punto di riferimento per l’Aerosol Art. Il palazzo era completamente ricoperto di graffiti e writer provenienti da tutto il mondo viaggiavano fino al Queens solo per poter creare un pezzo o ammirare i graffiti dei più grandi kings. L’edificio è stato demolito alla fine del 2013, per fare posto ad un centro residenziale. A nulla sono valse le petizioni e gli appelli di appassionati e artisti. Lo stesso Banksy, durante l’ultimo progetto a New York si era congedato dalla città pubblicando sul suo sito internet la frase: “And that’s it. Thanks for your patience. It’s been fun. Save 5pointz. Bye”182 [Figura 5] Esistono archivi in cui sono raccolte le fotografie delle opere principali, ma il fatto che sia stato demolito il primo tentativo di “museo dei graffiti”, denota che il Graffiti Writing sia ancora considerato un’arte minore, o nemmeno un’arte a tutti gli effetti, ed è necessario un percorso di educazione alla cultura dell’Arte Urbana. Questo

182 “E questo è tutto. Grazie per la vostra pazienza. É stato divertente. Salvate 5pointz. Ciao.” banksy.co.uk 107 processo potrebbe essere messo in atto attraverso pubblicazioni, manifestazioni artistico-culturali e incentivi. Le figure professionali dell’arte dovrebbero impegnarsi a elevare definitivamente la Street Art ad uno status artistico e le amministrazioni cittadine dovrebbero essere le prime a considerare la Street Art come un valore aggiunto alla città e a cessare di demonizzare i writer. Fortunatamente, in questi ultimi anni sono stati fatti molti passi avanti. Una sorte analoga a 5pointz è avvenuta a Parigi a La Tour Paris 13, considerata la più grande mostra di Street Art mai realizzata. Al tredicesimo arrondissement si trovava un palazzo di nove piani, di una superficie di 4.500 m2, costituito da trentasei appartamenti (alcuni ancora ammobiliati), destinato alla demolizione. Il curatore francese Mehdi Ben Cheikh, proprietario della Galerie Itinerrance, ha deciso di creare una mostra di Street Art temporanea, senza finanziamenti o sponsor, prima dell’abbattimento del palazzo. Sono stati chiamati cento artisti da ogni nazione, i quali hanno realizzato più di quattrocento opere (di qualsiasi tipo: dagli stencil, ai poster, ai classici graffiti) su tutte le superfici interne ed esterne dell’edificio, in sei mesi di lavoro. La torre è stata aperta per un mese (ottobre 2013), a entrata gratuita e il riscontro è stato al di sopra di ogni aspettativa. Inoltre, il progetto ha richiesto anche la partecipazione della collettività. Sul sito internet (www.tourparis13.fr) era possibile compiere un tour virtuale del palazzo e i visitatori erano invitati a “salvare” le opere che preferivano. Solo le opere più votate si possono ora osservare all’interno del sito internet. Il terzo piano del palazzo era dedicato interamente agli street artist italiani. La curatela è stata affidata a Christian Omodeo, direttore dell’associazione parigina Le Gran Jeu, che si occupa in maniera particolare di Arte Urbana. Tra i quindici street artist italiani chiamati ad esporre si annoverano: Orticanoodles, Hogre, Dado, Etnik, 108, Joyce e JBRock. Il progetto è stato un enorme successo, ennesima dimostrazione di quanto la Street Art sia apprezzata a livello internazionale e possa essere sfruttata per uno sviluppo culturale e turistico di una città. [Figura 6] Se precedentemente si è parlato di musei e mostre dedicate alla Street Art, l’ultimo esempio si può considerare come una galleria a cielo aperto dell’arte urbana. Lo Houston Bowery Wall eleva l’Arte Urbana a rango artistico, esponendola come se fosse in galleria, ma allo stesso tempo la radica al suo ambiente di provenienza, poiché viene presentata in strada. Si tratta di una parte di una facciata di un palazzo, che si trova all’incrocio tra Houston Street e la Bowery, nel quartiere di Nolita, a New York, in cui negli anni Settanta Keith Haring dipinse un murale. Per molti anni, il muro è stato alla mercé di tag e graffiti violenti, fino a quando il proprietario del muro, Tony Goldman, insieme al curatore Jeffrey Deitch, hanno deciso di riqualificarlo, affidando la parete, a rotazione, ai migliori street artist del momento. Tra gli artisti che si sono succeduti si trovano Os Gêmeos, Shepard Fairey, Barry McGee, Kenny Sharf, JR, Faile, Aiko, Swoon e Crash. Lo Houston

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Bowery Wall diventa così una importante vetrina, dove gli artisti più o meno affermati possono esprimere la loro arte e farsi conoscere in maniera legale, rimanendo fedeli alla loro morale di strada. [Figura 7]

3.3 La brandizzazione della Street Art

Si è già parlato di come la figura dell’artista contemporaneo sia mutata e sia in continua evoluzione, non fossilizzandosi in un unico ambito, ma espandendo la propria ricerca artistica anche in altri settori. Molti artisti prestano la loro arte a favore di marchi commerciali, inserendosi così in operazioni di marketing di notevole impatto sia per l’immagine dell’artista che per il brand. Tra le partecipazioni più significative degli ultimi anni si ricordano la collaborazione nel 2013 di Jeff Koons con la marca di champagne Dom Pérignon, per la quale ha creato una riproduzione in miniatura di una sua scultura della serie Balloon Venus (2008-2012), contenente al suo interno una bottiglia di Rosé Vintage del 2003.183 La casa di moda Louis Vuitton è da sempre attenta al mondo dell’arte: ha infatti istituito importanti spazi culturali in tutto il mondo per la promozione dei nuovi talenti dell’arte contemporanea. Nel corso degli anni Louis Vuitton ha collaborato con gli artisti giapponesi Takashi Murakami nel 2003 e Yayoi Kusama nel 2012, i quali hanno creato un’intera collezione, rivisitando lo storico monogramma della maison francese e aggiungendo decorazioni e immagini con il loro stile inconfondibile. La collaborazione più significativa, però, è quella di Louis Vuitton con il compianto designer Stephen Sprouse (1953-2004), avvenuta in diverse occasioni, dato il successo delle sue collezioni. Il designer ha portato i graffiti nell’alta moda, rivoluzionando e “svecchiando” un marchio, rinomato per la sua eleganza e il suo stile altolocato. La casa di moda è conscia dell’impatto che hanno avuto i graffiti e la Urban Culture nella cultura dominante e così ha ingaggiato colui che per primo ha portato lo stile urbano e metropolitano in passerella, il quale ha rinnovato lo stile della griffe, attraverso delle edizioni limitate, reinventando il monogramma con una calligrafia derivante dalla tradizione dei graffiti urbani e utilizzando colori fluo. [Figura 8] Il primo artista a sconfinare nel settore più prettamente commerciale è stato però Keith Haring, che nel 1986 ha aperto il suo primo Pop Shop a New York, al numero 292 di Lafayette street, subito seguito da uno a Tokyo. I Pop Shop hanno attualmente cessato l’attività, ma è ancora possibile fare acquisti sul sito internet (www.pop-shop.com) gestito dalla Keith Haring Foundation.

183 L’opera, in acciaio color magenta, rievoca la statuetta paleolitica della Venere di Willendorf. Come una moderna Dea dell’amore e della fertilità, sinuosa e accogliente, la scultura abbraccia al suo interno la pregiata bottiglia di champagne. L’opera è stata messa in vendita nel 2013 con una tiratura limitata di 650 pezzi, a quindicimila euro l’una. Fonte: http://www.artemagazine.it/arte- contemporanea/17384/lo-champagne-di-koons-costa-15-mila-euro/ 109

Il negozio si occupava di vendere prodotti (che andavano dagli abiti, a mobili, ai gadget, all’oggettistica più varia) decorati con lo stile unico ed iconico di Keith Haring. Haring vedeva il Pop Shop come un’estensione del suo lavoro, una boutique divertente, dove la sua arte poteva essere accessibile a chiunque.184 Le pareti del negozio, dai pavimenti al soffitto erano state interamente decorate dall’artista ed è stato per anni una grande attrattiva turistica del Downtown di New York. Keith Haring nel corso della sua carriera ha collaborato con grandi firme: la serie di orologi Swatch, ad esempio, disegnati da lui per la stagione primavera/estate del 1986, sono ormai pezzi da collezione. [Figura 9] Il binomio arte-moda non è quindi così recente, né così inusuale e il legame si stringe ancora di più quando si parla di Street Art. Le prime mostre sulla Street Art e sulla Urban Culture erano destinate a esporre opere di giovani artisti appartenenti a sotto-culture, che conoscevano e indossavano brand di street wear e personalizzavano prodotti, come tavole da skate:

“Non è quindi un caso che molti degli spazi espositivi sorti in quel lasso di tempo fossero direttamente fondati, o comunque promossi e finanziariamente apppoggiati, da un discreto numero di brand, per lo più legati allo street-wear. Brand il cui target era specificamente quello dei giovani che praticavano lo skateboard o facevano graffiti, poco conosciuti al grande pubblico per via dei canali promozionali di nicchia utilizzati per comunicare con i propri acquirenti, ma capaci di realizzare, da un punto di vista 185 commerciale, una mole di introiti tali da renderle vere e proprie potenze economiche.”

Di conseguenza, molti street artist, una volta raggiunto un discreto successo in ambito artistico, hanno iniziato a dedicarsi al settore dell’abbigliamento e degli accessori, poiché come già asserito, l’artista contemporaneo tende ad espandere i suoi orizzonti e gli ambiti di azione. L’esempio più rimarchevole e già citato, è quello di Obey Clothing, brand d’abbigliamento fondato da Shepard Fairey nel 2001, in collaborazione con i fashion designers Mike Ternosky e Erin Wignall. Obey utilizza la moda come ulteriore strumento per diffondere la sua arte e la sua visione estetica. Le stampe dei suoi abiti spesso riproducono sue opere più o meno celebri, compreso il suo lavoro più famoso, il ritratto di André the Giant o l’altrettanto conosciuta scritta “Obey”. Diverse collezioni sono state lanciate sul mercato a scopo benefico e parte dei proventi vanno a cause filantropiche, come le campagne a favore delle popolazioni del Darfur o delle vittime del disastroso terremoto di Haiti del 2010. Le collezioni Obey possiedono tutte uno stile casual, il cui target è da cercare tra quei segmenti di mercato popolati dai ragazzi più giovani, appartenenti, o semplicemnente attratti, alle sotto-culture giovanili. Inizialmente era piuttosto comune riconoscere capi della linea Obey

184 http://www.pop-shop.com/page/keith-haring-pop-shop-history 185 Tomassini M., op. cit., p. 69 110 indossati da giovani street artist, writer, skater o musicisti punk, ma con il passare degli anni, i capi sono stati sdoganati e indossati da ragazzi di ogni categoria sociale, diventando un marchio attuale e ricercato dai giovani di tutte le nazionalità. Obey utilizza l’abbigliamento come veicolo delle sue idee e della sua propaganda. Su ogni etichetta appare il viso di André the giant e una sintesi del suo manifesto. Come afferma egli stesso: “La mia linea d’abbigliamento è disegnata per diffondere le mie idee ed essere irriverente in modo intelligente […] e non ho alcuna remora perché continuo ad essere molto attivo nelle strade. Mi sento bene a fare cose commerciali fintanto che esiste un collegamento contestuale con il mio lavoro.”186 I tessuti, quindi, sono visti come un’altra tipologia di tela, dove poter esprimere la sua arte. [Figura 10] Un altro brillante writer/imprenditore è Marc Ecko, proprietario dell’omonimo brand di street-wear e autore di uno dei video virali più d’impatto degli ultimi anni riguardanti la Street Art. Sebbene Ecko non abbia incentrato la sua carriera sulle arti visive, limitandosi a compiere graffiti giovanili durante gli anni del college, il suo legame con il mondo del Graffiti Writing e della Street Art rimane indissolubile. Ecko fonda la sua linea di abbigliamento, la Eckō unltd, nel 1993 non appena ventenne, vendendo inizialmente t-shirt con la sua tag “Ecko”. Vent’anni dopo, la sua azienda multinazionale vanta un fatturato di oltre un miliardo di dollari annuo, dodici linee tra abbigliamento e accessori, la rivista maschile “Complex” e una casa produttrice di videogiochi.187 Il suo stile è sempre ispirato allo stile urbano, ai graffiti e all’Hip Hop e Ecko si è sempre battuto a favore di questo movimento. L’esempio più sensazionale risale a quando Marc Ecko ha pubblicato su internet un video fasullo che mostrava l’azione di due writer – uno dei quali doveva essere lo stesso Ecko – intenti a taggare l’Air Force One, l’aereo presidenziale statunitense, con la scritta “Still free” (sempre liberi). Dovuto in buona parte a motivi promozionali e di marketing, ma anche pensato e diffuso per manifestare apertamente il suo appoggio al mondo del Graffiti Writing, il video venne realizzato con il supporto di una celebre agenzia pubblicitaria, la Droga5. Per l’occasione venne affittato un boeing 747 riverniciato come l’Air Force One; fu preparato un set che ricreasse perfettamente l’ambiente dell’aeroporto militare presidenziale, aggiungendo le stesse recinzioni e gli stessi edifici; infine, l’azione venne filmata e diffusa sul web. Il video, che si può vedere sul sito internet www.stillfree.com, è diventato virale in pochissimo tempo, raggiungendo 114 milioni di visualizzazioni. Tutti i media americani si sono occupati della notizia e il pentagono ha dovuto smentire per ben tre volte che tutto ciò fosse realmente accaduto. Sul sito internet

186 De Gregori S., Shepard Fairey in arte Obey: La vita e le opere del re della poster art, cit., pp.100-101. 187 Mason M., Punk capitalismo. Come e perché la pirateria crea innovazione, Milano, Feltrinelli Editore, 2009, p. 130. 111 dedicato all’azione, denominata “Still free”, si legge un disclaimer di Ecko: “Marc Ecko Enterprises non approva attività illegali, atti di vandalismo o la distruzione della proprietà altrui. Ad ogni modo, sosteniamo la libertà di espressione, i graffiti come forma d’arte e la protezione dei diritti dei consumatori indipendentemente dall’età, la razza, la religione o dall’affiliazione politica.”188 Si denota quindi quanto il Graffiti Writing, l’Hip Hop, lo stile urbano e di strada, siano diventati rilevanti se non addirittura parte integrante della cultura dominante, mantenendo sempre il loro stile irriverente e contraddittorio. Infatti, se è lecito vedere graffiti stampati su abiti, accessori o gadget, non sono ancora accettati sui muri delle città. Nonostante il considerevole numero di pubblicazioni a riguardo, spesso è vista come un’arte minore. Mentre le gallerie curano decine di mostre all’anno sul Graffiti Writing e sulla Street Art e alcune opere sono vendute a cifre astronomiche, talvolta non viene neanche riconosciuta come arte. In realtà, la cultura di strada, con la sua arte in tutte le sue declinazioni – dalla musica, alla danza, alle arti visive – è forse il movimento più influente degli anni Duemila. In questi anni, la Street Culture ha invaso e dominanto tutto l’ambiente del vivere umano. La musica rap è ancora in testa alle classifiche, le ultime generazioni emulano gli artisti di questa sotto-cultura e dopo anni di elitarismo, finalmente la quotidianità si riprende possesso dell’arte. Questa arte è onesta, universale, esce dalle gallerie e dai musei per poter essere goduta e condivisa da tutti. Anche lavorando indoor, lo street artist mantiene sempre il contatto con il suo ambiente di provenienza, la strada e non perde mai di vista il suo obiettivo principale, ossia mandare un messaggio: lo spazio urbano appartiene a tutti e l’arte è per tutti. Che poi sia un’arte effimera e talvota duri il tempo di una fotografia poco importa, gli artisti ci mettono il massimo impegno per trasformare le città in delle gallerie a cielo aperto. Un’arte generosa.

188 http://www.stillfree.com/ 112

[Figura 1] La facciata del condominio al quartiere Garbatella, realizzata utilizzando la tecnica da loro definita: “Stencil Poster”. Il finanziamento dell’opera è avvenuto tramite crowdfunding. Roma, 2013. (Fonte: stenlex.net)

[Figura 2] Banksy. “This is my New York accent…normally i write like this.” Vernice Spray. Westside, New York, ottobre 2013. (Fonte: www.streetartnews.net)

[Figura 3] Banksy, stencil e bomboletta spray. Leake street, Londra, 2008. Stencil realizzato in occasione del Cans Festival. (Fonte: www.woostercollective.com)

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[Figura 4] L’artista di Amburgo Low bros nell’ingresso di un condominio. Bomboletta spray. St. Pauli, Amburgo. 2014 [Figura 5] In basso. 5pointz. (Fonte: 5pointz.com)

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a b [Figura 6. a e b.] Gli esterni di La Tour 13. A sinistra la facciata decorata dallo street artist El Seed e a destra quella decorata da Stew. Il terzo piano, costituito da quattro appartamenti e decorato interamente da artisti italiani è stato interamente “salvato” ed è quindi possibile osservare le opere, compiendo un tour virtuale sul sito www.tourparis13. (Fonte: www.tourparis13)

[Figura 7] Uno degli ultimi murales apparsi sull’Houston Bowery Wall, ad opera degli street artist Revok e Pose. Luglio 2013. Il murale rende omaggio ai grandi maestri scomparsi dei graffiti, come Rammellzee, Dondi e Case2 e racchiude tutta la storia del Graffiti Writing dalla nascita del movimento, ai giorni nostri. (Fonte: arrestedmotion.com)

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[Figura 8] e [Figura 9] Due esempi del connubio tra arte e graffiti. A sinistra la collezione di Louis Vuitton ispirata ai graffiti, del designer Stephen Sprouse. A destra la collaborazione tra Swatch e Keith Haring per la collezione primavera/estate del 1986. (Fonte: www.louisvuitton.com; www.swatch.com)

[Figura 10] Modello della collezione primavera/estate 2014 della linea Obey Clothing. Fonte: www.obeyclothing.com

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CAPITOLO 4. IL MOVIMENTO IN ITALIA

“La nostra strada è una, asfalto sotto ai piedi e verso il cielo mura scritte di rabbia e d'amore, graffiti, è un attimo e compare e per farsi guardare spara colore. Colore contro grigio, parola contro silenzio.” Assalti Frontali – 00199

Il fenomeno del Graffiti Writing in Italia si sviluppa verso la fine degli anni Ottanta, proprio mentre negli Stati Uniti si pone fine al glorioso periodo della Subway Art. A contribuire allo sviluppo del Writing in Italia sono state alcune mostre avanguardistiche e soprattutto i media. Nel 1979 a Roma, la galleria Medusa cura una personale di “Lee” Quinones e nel 1984 viene allestita a Bologna la storica mostra Arte di Frontiera di cui si è già parlato in precedenza. Sempre negli anni Ottanta approda in Italia anche Mtv, il canale interamente dedicato alla musica, che in quegli anni si impegna a diffondere abbondantemente la musica rap. Infine, i giovani italiani entrano in possesso di libri fotografici quali Spraycan Art o Subway Art e scoprono film come Wild Style, Beat Street o Style Wars. Nonostante arrivi in differita rispetto agli Stati Uniti e ad altre parti d’Europa (le prime città europee a scoprire il Graffiti Writing sono Amsterdam, Londra, Berlino e Parigi) il movimento Hip Hop in Italia attecchisce abbastanza in fretta. Rimanendo sempre un movimento underground, l’Hip Hop, con il suo rap e i suoi graffiti viaggia velocemente sui vagoni dei treni, percorrendo e scoprendo tutta l’Italia da nord a sud. Infatti, se a New York i writer si concentrano sui treni metropolitani, in Italia, quasi tutti gli sforzi, inizialmente, sono incentrati sui treni delle Ferrovie Italiane. Il Graffiti Writing italiano si sviluppa e si evolve principalmente sull’asse Milano- Bologna-Roma. É in queste tre città infatti, che nascono e si sperimentano i principali stili, si realizzano le prime convention e le prime mostre e si “incoronano” i primi kings. Negli anni Novanta, questi centri sono in pieno fermento e sono considerati il fulcro della cultura Hip Hop. In questa decade il Graffiti Writing italiano matura e si evolve, rimanendo il genere principale e padrone indiscusso delle strade italiane. Con l’arrivo degli anni Duemila, anche in Italia, come nel resto d’Europa e del mondo, si assiste a uno sviluppo importante della Street Art, quasi un sorpasso rispetto al tradizionale Graffiti Writing e ad oggi i due generi convivono su tutto il territorio.

4.1 La legislazione in Italia

Dalla fine degli anni Ottanta del Novecento ad oggi, Graffiti Writing e Street Art si sono espansi in tutto il territorio italiano oggigiorno è veramente raro trovare una città o anche un semplice 117 paese totalmente privo di tali espressioni artistiche. Come viene precisato anche nel saggio di stampo giuridico: Graffiti Writing – Street Art. Illegalità e inclusione189, i tre punti fondamentali del Writing sono quello visivo, ossia il supporto; quello emotivo, ossia le motivazioni che spingono il writer a dipingere sui muri, e l’illegalità. L’illegalità rimane un fattore fondamentale per questa disciplina poiché l’arte urbana nasce come espressione non autoritazzata e l’illegalità spesso permette di mantenerla viva e in costante evoluzione. Molti writer e street artist, infatti, anche una volta raggiunta una certa notorietà, proseguono a compiere lavori illeciti, in modo da potersi esprimere senza costrizioni e sperimentare liberamente. Al giorno d’oggi, vi è ancora molta confusione sul comportamento da tenere in tribunale riguardo ai graffiti compiuti illegalmente e spesso ci si ritrova in difficoltà in relazione alla legge da applicare verso i writer. L’ordinamento italiano prevede l’articolo 639 del codice penale in riferimento al reato di deturpamento e imbrattamento di cose altrui. L’articolo recita:

“Chiunque, deturpa o imbratta cose mobili altrui è punito, a querela della persona offesa, con la multa fino a euro 103. Se il fatto è commesso su beni immobili o su mezzi di trasporto pubblici o privati, si applica la pena della reclusione da uno a sei mesi o della multa da 300 a 1.000 euro. Se il fatto è commesso su cose di interesse storico o artistico, si applica la pena della reclusione da tre mesi a un anno e della multa da 1.000 a 3.000 euro. Nei casi di recidiva per le ipotesi di cui al secondo comma si applica la pena della reclusione da tre mesi a due anni e della multa fino a 10.000 euro. Nei casi previsti dal secondo comma si procede d’ufficio.”190

La cassazione penale, nella sentenza n°11756 del 16-11-2000, ha stabilito che:

“La condotta consistente nell’imbrattare o deturpare i muri di una abitazione con scritte a vernice è inquadrabile nella fattispecie criminosa prevista dall’articolo 639 cod. pen. […] mancando un’immanenza, almeno relativa, degli effetti dannosi sul bene deteriorato, sempre che possa comunque ripristinarsi, senza particolari difficoltà, l’aspetto e il valore originario del bene medesimo.”191

189 Cibrario Assereto C. “Graffiti Writing – Street Art. Illegalità e inclusione”, in Mastroianni R. (a cura di), Writing the city. Graffitismo, immaginario urbano e street art, Roma, Aracne editrice, 2013, p.243. 190 Art. 639 c.p. 191 Cassazione Penale, Sez. IV, Sentenza n° 11576/2000. 118

D’altro canto, come viene ribadito anche nel saggio di Pizzi, sugli aspetti legali del graffito come creazione artistica192, l’art. 33 della Costituzione italiana sancisce che: “L'arte e la scienza sono libere e libero ne è l'insegnamento.” Inoltre, il creatore dell’opera potrebbe avvalersi della legge 633/1941 sul diritto d’autore, la quale dispone che: “Sono protette ai sensi di questa legge le opere dell'ingegno di carattere creativo che appartengono alla letteratura, alla musica, alle arti figurative, all'architettura, al teatro ed alla cinematografia, qualunque ne sia il modo o la forma di espressione.”193 La legge non si esprime sulle modalità con cui è stata realizzata l’opera, quindi teoricamente sarebbe applicabile anche sulle opere realizzate illegalmente. Il problema risulta, perciò, nello stabilire se l’opera realizzata illegalmente sui muri sia effettivamente un’espressione artistica o mero vandalismo. Nonostante talvolta sia innegabile il valore creativo ed estetico dell’opera, il giudizio rimane estremamente soggettivo e spetta al giudice la parola finale. A questo riguardo è necessario menzionare le ultime cause che si sono discusse in Italia contro i writer. Nel 2010, il writer Bros, personaggio di spicco della scena milanese, è stato prosciolto dall’accusa di imbrattamento, per dei graffiti realizzati tra il 2004 e il 2007, per mancanza di querela e prescrizione. Il comune di Milano, che si è sempre tenacemente battuto contro i graffiti, si era costituito parte civile chiedendo un risarcimento di 18.000 euro. Per quanto positiva, questa sentenza ha però sancito l’assoluzione del writer solo per motivi procedurali e non per il fatto in sé. Non è stato stabilito quindi se il graffito fosse o meno una forma di espressione artistica o, al contrario, atto vandalico. Due sentenze successive, di due casi rispettivamente del 2012 e 2014, hanno invece assolto i giovani writer, poiché al loro lavoro è stata riconosciuta una valenza artistica. Nel 2012, a Monza, due writer sono stati colti nell’atto di dipingere un throw-up. I due giovani sono stati ritrovati con 57 bombolette e sono stati denunciati per imbrattamento. Il giudice, però, ha assolto i due ragazzi, dichiarando che il muro era già stato precedentemente imbrattato da terzi e i due giovani writer, con i loro graffiti, cercavano solo di migliorarne l’aspetto estetico. La sentenza risulta storica, poiché si tratta del primo caso in cui si riconosce validità artistica ai graffiti in ambito giuridico. Anche nel 2014, il writer Manu Invisible è stato assolto dalle accuse di imbrattamento e il suo lavoro è stato riconosciuto come arte. Il writer stava svolgendo un’opera rappresentante una veduta del Naviglio grande, sotto il ponte di via Piranesi a Milano, quando è stato interrotto dalle forze dell’ordine. Il writer è risultato innocente, ma è stato costretto a interrompere il suo lavoro, il quale oggi risulta in stato di degrado e ormai imbrattato da altri graffiti. [Figura 1]

192 Pizzi A., Alcune riflessioni sugli aspetti legali del graffito come creazione artistica, in Naldi F. (a cura di), Do the right wall, Bologna, Mambo, 2010. 193 Art. 1, L. 633/1941 119

Queste sentenze dimostrano che negli ultimi anni è iniziato un processo di apertura nei confronti del Graffiti Writing e testimoniano un grande passo in avanti per il riconoscimento definitivo di questo fenomeno come forma d’arte. Purtroppo molte amministrazioni comunali sono ancora poco tolleranti riguardo al Graffiti Writing e alla Street Art e si ostinano a non accettare confronti verso queste espressioni artistiche. Nel già citato saggio Graffiti Writing – Street Art. Illegalità e inclusione, si prende come esempio il comune di Milano, messo in relazione a comuni virtuosi come quello di Torino. Il comune di Milano ha istituito un corpo di vigili urbani, appositamente per la lotta ai graffiti e la caccia ai giovani writer. Inoltre, sempre con lo stesso scopo, sono nate numerose associazioni da parte dei cittadini, tra le quali L’Associazione Nazionale Antigraffiti e l’Associazione Milano Muri Puliti. Nel 2006 è stata infine attivata la campagna “I Lav Milan!” attraverso la quale sono stati ripuliti centinaia di palazzi. Il comune quindi, con i suoi cittadini, si impegna in una estenuante, moderna caccia alle streghe, arrivando ad introdurre perfino pene esemplari e taglie sui writer. Così facendo, il comune di Milano ha speso più di 24 milioni di euro negli ultimi tre anni e il problema dei graffiti vandalici non è minimamente risolto. Un approccio alternativo, basato sul confronto e sull’avvicinamento dei writer con le istituzioni, è invece quello scelto dal comune di Torino, che con il progetto “MurArte” (attivo dal 1999), ha deciso di incoraggiare questa espressione artistica, assegnando ai writer muri legali. Su questi muri, i writer hanno totale libertà espressiva. Da un budget iniziale di 90 milioni di lire, il progetto ora si mantiene con 26.000 euro l’anno. Dato il notevole successo, in termini economici, sociali ed estetici, il progetto “MurArte” è stato adottato anche da altre città come Scandicci e Bolzano. Si può in definitiva affermare che “cogliendo il muralismo artistico, si depotenzia quello vandalico”194 e l’apertura al dialogo è il miglior approccio per una convivenza serena e proficua per entrambe le parti.

4.2 Nascita e diffusione del Graffiti Writing in Italia. I treni e le fanzine

Il Graffiti Writing è nato inizialmente in forma di Subway Art, negli anni Settanta a New York. Una volta giunto in Italia, il fenomeno ha dovuto cercare dei supporti corrispettivi ai vagoni della metropolitana. Fortunatamente per i writer, la penisola italiana vanta una fitta e vasta rete ferroviaria, con un gran numero di depositi, più o meno facilmente accessibili. I writer hanno visto nel trasporto ferroviario il veicolo più adatto alla diffusione del Graffiti Writing. Attraverso i treni, i pezzi possono viaggiare per tutto il territorio italiano e, di conseguenza, il nome del writer può

194 Cibrario Assereto C. “Graffiti Writing – Street Art. Illegalità e inclusione”, in Mastroianni R. (a cura di), Writing the city. Graffitismo, immaginario urbano e street art, cit., p.252. 120 viaggiare con essi. Inizialmente, nell’era pre-internet, un writer diventava conosciuto nell’ambiente solamente grazie ai pezzi compiuti sui treni. Ad esempio, un pezzo partito la mattina dal sud Italia, poteva arrivare la sera a Milano e entrare in contatto con le crews locali. A metà degli anni Novanta, i treni delle Ferrovie Italiane erano completamente ricoperti di pezzi e quasi non esistevano writer che almeno una volta non avessero dipinto su di essi. Come afferma anche un writer di quel periodo: “Se non hai mai fatto i treni, sei un artista, un decoratore, non sei un writer.”195 Il fenomeno si è ampliato in maniera esponenziale negli anni, tanto da venire classificato come movimento a sé stante chiamato “trainbombing”196. Molti writer negli anni Novanta hanno deciso di concentrare il loro lavoro esclusivamente sui treni. Il treno testimonia, più del muro, quanto il Graffiti Writing sia un’arte estremamente effimera. I pezzi su muro possono perdurare anche settimane, mesi, talvolta anni, se compiuti in maniera legale o in luoghi periferici o abbandonati, mentre il treno è un mezzo in continuo movimento e spesso i writer hanno la possibilità di godere della propria opera solo appena conclusa, prima che il treno parta per il suo viaggio. In questo caso, sono molto importanti le fotografie come strumento per testimoniare l’operato dei writer e delle loro crews. In un primo momento, le Ferrovie Italiane non hanno preso provvedimenti, limitandosi a cancellare i pezzi solo sui finestrini, ma, dagli inizi degli anni Duemila, quando il fenomeno è iniziato a diventare sempre più inarrestabile e incontrollabile, le ferrovie hanno deciso di reagire, attivando azioni repressive molto simili a quelle della MTA newyorchese. Si è iniziato così a “buffare” totalmente i treni, ossia a cancellare i graffiti, ripulendo le carrozze con puliture ad acido e si è introdotta una pellicola particolare graffiti-repellente. Effettivamente, queste tecniche di ripulitura, associate ad un aumento dei controlli nei depositi, hanno sensibilmente diminuito il fenomeno del trainbombing e oggi risulta possibile osservare dei vagoni colpiti, solo imbattendosi nei treni più vecchi. Le tecniche adottate per il trainbombing sono le stesse utilizzate dai “colleghi” newyorchesi, descritte nel primo capitolo: si può scegliere di dipingere un semplice pezzo, fino ad arrivare ad un end-to-end, un window-down, un top-to-bottom o un whole car. L’obiettivo finale è quello di realizzare un whole train, ossia un intero treno, dipinto nella totalità dei suoi vagoni. Non è quasi mai possibile realizzare un whole train in una singola seduta, a causa dei limiti di tempo, delle quantità di bombolette a disposizione e dei rischi legati ai controlli, è quindi molto probabile che i treni possano essere conclusi in diverse occasioni, da writer diversi.

195 Rae in Mininno A., op. cit. p. 72 196 Ibid. 121

Molto apprezzate dai writer sono state, nel corso degli anni, le linee ferroviarie locali, le quali compiono piccole tratte ed è quindi più probabile che un writer possa rivedere il proprio pezzo. Una delle ferrovie predilette dei writer era, ad esempio, Trenord, la linea ferroviaria regionale della Lombardia. Inoltre, il passaggio alle pellicole anti-graffito è stato successivo alle Ferrovie Italiane, quindi, per un certo periodo, quando la rete ferroviaria statale era diventata già inagibile, i writer hanno potuto godere delle ferrovie locali per le loro azioni. Al giorno d’oggi, anche le ferrovie regionali si sono convertite alle pellicole e solo poche realtà non hanno adottato questa pratica. Un esempio è la linea Circumvesuviana di Napoli, dove è possibile ancora osservare treni completamente colpiti e sostare in stazioni estremamente variopinte e decorate con pezzi, più o meno interessanti, di Graffiti Writing. [Figura 2] Ovviamente, nelle grandi città (in particolare Roma e Milano), anche i vagoni della metropolitana non sono esenti da graffiti. I pezzi dipinti sui treni metropolitani sono leggermente diversi da quelli dipinti sui treni ferroviari, principalmente a causa della scarsità di tempo e del maggior pericolo in cui si incorre colpendo i primi. Il gesto è più veloce, le cromie si riducono (a volte sono sufficienti un paio di colori) e, essendo le carrozze in minor numero rispetto ai treni ferroviari, spesso i pezzi vengono creati uno sopra l’altro. Come asserisce Mininno in riguardo al trainbombing sui treni della metropolitana di Roma:

“il risultato è un disordine visivo che lascia perplessi molti turisti, ma che caratterizza in maniera particolare i trasporti pubblici della capitale. Basta sostare per qualche ora nella stazione Ostiense per veder scorrere davanti ai propri occhi una buona parte della storia del writing capitolino.”197

A Milano i controlli e le pulizie dei vagoni sono più consistenti ed è quindi più raro vedere le carrozze interamente colpite. Ad ogni modo, il fenomeno del trainbombing delle metropolitane ha pervaso anche l’Italia e almeno finchè persisterà il Graffiti Writing, esisterà anche il trainbombing. Il treno è stato un mezzo di diffusione del Graffiti Writing, non solo nel territorio italiano, ma anche in Europa. Sui treni non viaggiavano solo i pezzi, ma anche i loro creatori. Negli anni Novanta, infatti, era molto comune tra i writer, la pratica dell’Inter-rail, attraverso la quale i giovani writer potevano viaggiare in tutta Europa, per entrare in contatto con i graffiti e le crews straniere e praticare trainbombing nelle maggiori capitali europee. Questa pratica ha creato un network di scambio e confronto tra i giovani writer di tutto il continente e sono nate perfino crews internazionali costituite da elementi di diversa provenienza. Tra gli esempi di crews internazionali si annoverano la USA (United Street Artists) con base ad Amsterdam, la TCA (The Chrome Angelz)

197 Ivi. p. 128 122 di stanza a Londra, e la Bomb Squad a Parigi. Grazie all’Inter-rail è avvenuta una reciproca influenza tra i vari writer e si è creata una contaminazione di stili che ha arricchito il fenomeno del Graffiti Writing, creando uno stile propriamente europeo, staccandosi così dal modello americano. Il secondo indispensabile strumento di diffusione dei graffiti, nell’era pre-internet, erano le fanzine. Il nome fanzine è l’abbreviazione di fanatic magazine e rappresenta una rivista amatoriale, di nicchia, gestita e seguita dagli appassionati di uno specifico argomento. Attraverso queste riviste indipendenti e autoprodotte, colme di fotografie dei pezzi sparsi per tutta Europa, i giovani writer venivano a conoscenza delle ultime tendenze, delle città più all’avanguardia, delle crews più attive e di tutte le notizie relative alla disciplina del Writing. Quando i writer partivano per un viaggio all’estero, era necessario poi tornare con quante più fanzine possibili, in modo da tener aggiornati i vari membri della crew, sugli stili dei kings dei vari paesi. È per merito delle fotografie e delle fanzine che un genere precario e transitorio come il Graffiti Writing è sopravvissuto fino ad oggi e le testimonianze delle prime generazioni di writer non sono andate perdute. Una delle prime fanzine apparse in circolazione è “Impatto Nitro”, realizzata a Milano dalla crew TDK nel 1992. Inizialmente le fanzine erano costituite da una ventina di pagine fotocopiate in bianco e nero, realizzate artigianalmente, ritagliando e incollando fotografie e fogli di carta, con copertine realizzate a mano dagli stessi writer. Dato l’enorme successo e la massiccia diffusione, col tempo nacquero vere e proprie riviste specializzate. In questi magazine si trovavano notizie riguardanti tutta la cultura Hip Hop: dalle interviste ai protagonisti della musica rap, a fotografie di pezzi di Aerosol Art, alle notizie sullo stato dell’arte della cultura Hip Hop. Le riviste principali a livello italiano erano “Tribe Magazine” fondata dai writer milanesi Airone e KayOne e “Aelle” (divenuto poi “AL Magazine”) pubblicata a Genova, da Claudio Brignole. Entrambe le riviste sono state pubblicate dal 1991 al 2000 (il primo numero in edicola di “Aelle” è uscito nel settembre del 1995). [Figura 3] I magazine e le fanzine italiane possedevano un alto livello di contenuti. I servizi erano accurati e stimolanti, dal momento che venivano realizzati da estimatori e dagli stessi protagonisti del movimento. Proprio per il loro alto standard qualitativo, le fanzine e i magazine italiani si sono diffusi anche all’estero, parallelamente a quelli stranieri che venivano importati in Italia, creando un movimento sempre più globale.

4.3 I luoghi

Per quanto ridimensionato, il fenomeno del trainbombing non ha mai cessato del tutto di esistere ed ha sempre continuato il suo lavoro di diffusione del movimento. Parallelamente ai treni, il Graffiti

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Writing si espande anche sui muri delle città, sia illegalmente, sia attraverso le Hall of Fame autorizzate. Con il passare degli anni, si accostano al Graffiti Writing anche le opere di Street Art, completando così il quadro dell’Arte Urbana. Le prime città in cui si diffonde maggiormente il movimento sono Milano, Bologna e Roma, che negli anni sono diventate un punto di riferimento per i writer, anche a livello internazionale. Oltre a queste grandi realtà, anche molti altri centri possiedono una scena attiva e prolifica, come, ad esempio, Torino, Napoli, Padova e la costa Adriatica con Rimini, Pesaro, Ancona e Pescara.

4.3.1 Milano

La città di Milano, con il suo imponente sviluppo urbano, gli innumerevoli edifici dell’hinterland ed i centri sociali molto attivi, negli anni hanno portato ad un naturale sviluppo del Graffiti Writing. Dato il proverbiale grigiore di Milano, i giovani writer non hanno potuto rinunciare a tentare di donare un po’ di colore e vivacità alla città e, dalla fine degli anni Ottanta, hanno portato avanti una sorta di progetto di riscrittura estetica metropolitana. Così Lucchetti descrive la scena del Graffiti Writing milanese:

“Milano offre una scena particolare rispetto a tutte le altre città italiane, in essa il writing ha raggiunto un notevolissimo grado di complessità, si passa dal semplice bombing ai veri e propri masterpieces e tutte le forme espressive dell’aerosol culture convivono e condividono, più o meno, gli stessi spazi. Lo studio del lettering ha raggiunto un notevole stadio di evoluzione anche se, forse, una buona parte degli stili più nuovi, che si possono ammirare nelle zone ancora attive di Milano, sono decisamente simili agli stili di writer degli anni passati. Tutto questo, però, non fa che aumentare la ricchezza della scena e l’impressione che essa si muova, all’interno della metropoli, con pesanti passi di ribellione.”198

Uno dei punti di riferimento del Writing milanese è lo spazio pubblico autogestito Leoncavallo, attivo dal 1975. Dopo diversi sfratti e sgomberi forzati, nel 1994 il centro sociale si trasferisce in via Watteau, scegliendo come sede una ex-cartiera. Nel corso degli anni i muri del centro sociale si sono arricchiti di graffiti, creando una Hall of Fame estremamente variegata e densa, che racchiude la storia del Writing della città. Attualmente, tutto il perimetro del centro sociale è invaso di graffiti, e non si riesce a trovare nemmeno uno spazio senza colore, creando così un effetto di horror vacui contemporaneo. Il Leoncavallo è meta di pellegrinaggio per writer italiani e stranieri, ma i continui tentativi di sfratto potrebbero portare la Mecca italiana dei graffiti allo stesso triste epilogo di

198 Lucchetti D., op. cit., p.113 124

5pointz a New York. Tra gli artisti che hanno realizzato opere al Leoncavallo si annoverano: Ozmo, Santa Crew, THP crew, Mr Wany, Zed1, Blu, Tv Boy, Bros, Pao, Tawa e Zibe. Un altro luogo significativo per il Graffiti Writing milanese, anche da un punto di vista sociale e di riqualificazione urbana è la Hall of Fame di viale Caprilli, in zona San Siro. Lungo la via si trova un muro di un chilometro che costeggia l’Ippodromo del Galoppo. La zona residenziale risulta anonima e poco frequentata, se non in occasione delle partite di calcio a cadenza settimanale. Così, nel 2011, l’associazione “Stradedarts” fondata da KayOne, uno dei primi storici writer milanesi, ha deciso di organizzare un evento per cercare di rivitalizzare il quartiere, almeno a livello artistico- culturale. L’associazione ha invitato duecentocinquanta writer a realizzare opere aventi come tema lo sport, sul muro che costeggia l’ippodromo, creando così la più grande jam199 di Graffiti Writing italiana. Inoltre, alcune crews milanesi storiche, tra le quali THP, CKC e 16 K, hanno dipinto i dodici ingressi dello stadio San Siro, mentre all’interno del museo dello stadio è stata realizzata una mostra, curata da Alessandro Mantovani, dal titolo “Stadio Street Players”, in cui sono state esposte opere su tela di ventidue artisti (undici milanisti e undici interisti) in cui vengono omaggiate le due squadre. Nel 2013 è stato riproposto l’evento e il muro chilometrico è stato imbiancato per fare posto ad altri quasi duecento writer, che hanno realizzato opere riguardanti il tema dell’ippica e dei cavalli. Ogni intervento di Street Art raccoglie sostenitori e detrattori e, anche in questo caso, non sono mancati commenti negativi. Nel documentario Street art: graffiti a Milano, realizzato nel 2013 in co-produzione da Sky Arte e dall’Accademia di Belle Arti di Brescia, vengono mostrate anche le reazioni dei cittadini, non sempre positive. C’è, ad esempio, chi afferma che via Caprilli “l’hanno rovinata”, che così facendo si è perso “il fascino del grigio di Milano”. Nonostante qualche commento negativo però, la maggioranza degli abitanti della zona si è mostrata aperta e benevolente nei confronti dei graffiti. Un esempio di quanto, talvolta, la Street Art si integri nella comunità è dato dalla maestosa e raggiante Vergine di Guadalupe realizzata dallo street artist Ozmo, sita sulla facciata di un autoricambi in via Pollaiuolo, nel quartiere Isola, ora diventato un vero e proprio santuario per i Sudamericani del quartiere. L’opera di Ozmo non è l’unica opera che si trova sulla facciata dell’autoricambi, infatti, il proprietario della struttura ha commissionato diverse opere di Street Art per il suo stabile e ad oggi affiancano la vergine di Guadalupe anche un angelo di Ryan Spring Dooley, il viso di Arnold, inconfondibile cifra stilistica dello street artist Zibe e opere di Moneyless, Microbo, Bo 130 e altri. [Figura 4] Poco distante dall’autoricambi, in piazza Tinniti, si trova un oratorio, le cui mura sono state rinnovate da opere di Microbo e Bo 130. Tutto il quartiere Isola è

199 In questo caso per Jam si indica un incontro tra writer, breaker e musicisti che agiscono e lavorano in contemporanea, spesso improvvisando. 125 costellato da opere di Graffiti Writing e Street Art ed è sicuramente la zona più colorata di Milano. Anche le saracinesce delle attività commerciali sono dipinte da graffiti e opere di Street Art e nel 2011 è sorto il progetto “EscoAdIsola”, per la riqualificazione del sottopasso che collega il quartiere alla stazione di porta Garibaldi, attraverso la sua decorazione con opere di Arte Urbana. Disseminate nel quartiere Isola si possono trovare opere di Ozmo, Ron English Microbo, Bo 130, Moneyless, Rendo, Zibe, M.T. Crushler, Endone, 66T, 2501 e El Gatto Chimney. L’evento che ha sancito l’ingresso del Graffiti Writing e della Street Art nell’ambiente dell’arte “ufficiale” è stata la mostra Street Art. Sweet Art. Dalla cultura hip hop alla generazione pop up, al Pac (Padiglione d’Arte Contemporanea) di Milano, curata da Alessandro Riva, tenutasi dal 7 marzo al 25 aprile 2007. Per poco più di un mese sono state esposte le opere di più di trenta artisti, provenienti da tutta Italia e appartenenti a vari stili di Arte Urbana. Alla mostra hanno esposto dai writer della prima generazione, come: Kayone, Airone, Atomo, Rendo, Joys, Mambo e Rae Martini, agli street artist che utilizzano le tecniche più svariate e innovative come Abbominevole, Basik, Blu, Ericailcane, Dado & Stefy, Ozmo, Joys, Microbo, Bo 130, Dem, Eron, Pao e Tv Boy, solo per citarne alcuni. La particolarità di questi artisti è data dal fatto che ognuno spazia liberamente nel proprio universo artistico, non sottostando a schemi predefiniti e il risultato della mostra è stato un’ampia retrospettiva del panorama dell’arte iper-contemporanea italiana. Blu, Ericailcane e Ozmo, ad esempio, spiccano per le loro grandi opere figurative; Microbo, Bo130 e Dem si caratterizzano per la commistione di stili e di media, utilizzando spray, pennelli, video e stampa; Abbominevole si concentra sulla Poster Art, con i suoi volti grotteschi e dissacranti; le opere di Cano, Pho e Rae Martini si avvicinano all’arte astratta; mentre writer come Joys e Dado & Stefy allargano i loro orizzonti, sperimentando con la loro arte e creando vere e proprie sculture di graffiti. Tra gli street artist milanesi che più hanno contribiuito alla trasformazione e alla “decorazione” del tessuto urbano meneghino si trovano Bros, già citato per la storica assoluzione in tribunale, e Pao, conosciuto da molti cittadini per il suo stile ironico e colorato. Bros (1981) colpisce per la sua irriverenza. Nel gennaio 2007, ad esempio, ha deciso di riformulare la toponomastica milanese, reintitolando una via a suo nome. Lo street artist ha installato una targa all’inizio di una via di Milano, identica a quelle utilizzate per la toponomastica della città, intitolandola “Via Bros. Artista contemporaneo 1981 - ?”, probabilmente per commentare in maniera sarcastica e ironica alle polemiche sorte tra le varie forze politiche comunali, a seguito dell’intitolazione di nuove strade a personaggi, le quali non sono state condivise dalle varie fazioni. Inoltre, potrebbe essere vista anche come una provocazione verso il sistema della cultura “ufficiale”, alla quale Bros ha deciso di annunciare autonomamente la sua presenza.

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Pao (1977), milanese, è uno degli street artist più benvoluti dalla cittadinanza, poiché le sue opere sono di immediata comprensione ed egli è in grado di calibrare la giusta dose di ironia e sagacia. Pao mette in atto un processo di vera riappropiazione della struttura urbana, poiché non si limita ad intervenire sui muri, ma sfrutta ogni tipo di supporto, dalle colonnine dell’energia elettrica ai famosi “panettoni”, ossia i paracarri, che a Milano assumono una forma tondeggiante. Pao è venuto alla ribalta reinterpretando queste architetture, trasformandole, con l’uso della bomboletta spray, in personaggi della cultura popolare e in animali di ogni sorta, tra i quali spicca quello che poi diventerà la sua cifra caratteristica: il pinguino. Il suo stile è immediatamente riconoscibile e per merito del suo stile riconducibile al mondo dei fumetti e dei cartoni animati, la sua arte risulta accettata e apprezzata da ogni membro della comunità, dai bambini agli adulti. I suoi animali irriverenti e divertenti, provenienti da un immaginario infantile, sembrano emergere dall’asfalto della città per soprendere e stupire positivamente i passanti, i quali a stento potranno trattenere un sorriso. Sulla sua operazione di decontestualizzazione e ri-trasformazione di elementi pre-esistenti del tessuto urbano, Pao afferma:

“Decontestualizzando elementi pre-esistenti, cerco di creare un effetto di straniamento nel passante, la realtà assume caratteri magici, il ragionamento logico perde di importanza per fare spazio al comportamento istintivo. In questo senso il mio stile è molto ludico e ha molti richiami al mondo dell’infanzia. Utilizzare elementi tridimensionali fa sì che l’opera sia un tutt’uno con lo spazio circostante; lo spazio urbano si trasforma, diventando il palcoscenico in cui i miei personaggi agiscono, interagendo con lo “spettatore” che diventa parte attiva. […] Intervenire nello spazio pubblico per me vuol dire avere bene in mente che ti confronti con la collettività. […] Mi piace creare divertimento, reinterpretando angoli grigi della città, ma al tempo stesso mi piace spiazzare i benpensanti, portando 200 avanti un’arte fatta in segreto pre la gente, un’arte che si suppone non debba esistere.”

L’abilità tecnica di Pao sta nell’essere in grado di dipingere su un supporto tridimensionale e spesso non lineare, ma ricurvo. Inoltre, l’artista realizza anche opere su tela, nelle quali è riconoscibile il passaggio dalla bomboletta spray a colori acrilici e l’aggiunta di materiali di diversa natura. I temi e i soggetti rimangono di natura fantastica e briosa. [Figura 5] Orticanoodles è lo pseudonimo di Wally e Alita, due street artist con base a Milano (Ortica è il nome del quartiere in cui si trova il loro studio) che fanno coppia sia sul lavoro che nella vita. Orticanoodles hanno iniziato la loro attività agli inizi degli anni Duemila, invadendo la città di Milano con poster e sticker raffiguranti il loro logo: L’immagine del volto stereotipato di Cristo,

200 Riva, A. (a cura di), Street Art Art Sweet Art. Dalla cultura hip hop alla generazione pop up, Milano, Skira, 2007, p. 142. 127 tratto dal sceneggiato televisivo di Franco Zeffirelli del 1977 Gesù di Nazareth, con sotto la scritta “Orticanoodles” o con il claim “God bless stencil” (Dio benedica gli stencil). Successivamente, si sono specializzati nella Stencil Art e al momento sono una coppia di street artist tra i più interessanti e riconosciuti a livello nazionale e internazionale. Le loro ultime ricerche artistiche si concentrano sui ritratti. I ritratti di Orticanoodles rappresentano personaggi che sono o sono stati una fonte di ispirazione per loro o realizzati come forma di critica sociale. Tra le figure ritratte sono presenti Joseph Beuys, Frida Kahlo, Salvador Dalì, Rita Levi Montalcini, Gilberto Gil e la partigiana Francesca Rolla. Uno dei loro ultimi lavori, estremamente evocativo e stilisticamente ineccepibile è il ritratto di Renato Guttuso realizzato a Giardini Naxos, in Sicilia, in occasione dell’edizione 2013 del festival di Street Art Emergence Festival. Il ritratto, compiuto in un ex- mattatoio, ritrae il pittore in età avanzata, con il volto solcato da importanti rughe e lo sguardo malinconico, ma fiero. Il ritratto è in bianco e nero, illuminato nella parte alta degli occhi e della fronte, da un fascio di vernice tinta ocra, colore predominante della Sicilia. Il supporto su cui si trova il ritratto non è liscio e uniforme, ma sembra formato da tante piccole squame e questo dona ancora più particolarità all’opera, creando dinamismo e tridimensionalità. [Figura 6] Orticanoodles non hanno mai smesso di lavorare illegalmente nelle strade, ma contemporaneamente partecipano a numerosi festival e mostre collettive. Nel 2008 sono stati invitati da Banksy a partecipare al Cans Festival a Londra e nel 2013 hanno partecipato al progetto parigino La Tour Paris 13, dipingendo l’appartamento numero 934 in collaborazione con Hogre e JB Rock.

4.3.2 Bologna

Bologna è una delle colonne portanti del Graffiti Writing italiano, uno dei primi centri in cui si è diffuso questo movimento, verso la fine degli anni Settanta. Gli anni Settanta portano la città di Bologna ad essere epicentro di una rivoluzione politica, sociale e culturale. Nel 1970 viene istituito, all’interno della facoltà di lettere e filosofia, il DAMS (Discipline delle Arti, della Musica e dello Spettacolo), primo corso di laurea in Italia ad essere specializzato nell’insegnamento di teatro, cinema, musica e delle varie arti. Proprio in questo decennio, frequentano il DAMS studenti che poi diventeranno personaggi di spicco della cultura non solo bolognese, ma anche italiana, come: Carlo Mazzacurati, Andrea Pazienza, Roberto “Freak” Antoni e Pier Vittorio Tondelli. La seconda metà degli anni Settanta vede Bologna scenario di numerose proteste e violenti scontri, i quali culmineranno nel marzo 1977 con l’uccisione di uno studente e l’ingresso dei carri blindati in città. Nel 1976 viene fondata Radio Alice, una delle più famose radio libere italiane, in cui si discute di politica, si leggono poesie ed estratti di libri, si insegna yoga e si diffonde musica. In questo clima

128 di fermento politico e culturale i giovani studenti professano un’arte e una cultura libere e la loro battaglia viene testimoniata sui muri della città:

“Bologna accoglie, bonaria quanto inconsapevole, l’atteggiamento rinnovato del sarcasmo, della disperazione repressa, dello scollamento fra pubblico e privato e della sfiducia nella società. Ciò che si mostra, e si sviluppa sulle rosse pareti bolognesi, è un’ironia contagiosa che vede, nei vari slogan dipinti, una vaga ipotesi di speranza.”201

Gli anni Ottanta si aprono a livello di cronaca e politica con la strage di Bologna, mentre il contesto sociale è ben descritto da Naldi:

“La Bologna dei primi anni Ottanta è viva, aperta alle poli artisticità dei fuori sede, ma è anche stretta entro confini di un degrado crescente molto simile alla patria natia dei primi writer. […] È chiaro che la situazione sociale bolognese è distante da quella largamente metropolitana di New York, ma anche a Bologna si assiste all’energica infiltrazione di nuove realtà culturali come i fumetti di Andrea Pazienza, il rock demenziale degli Skiantos, l’elettronica dei Gaz Nevada, l’arte dei Nuovi Nuovi di Renato Barilli e 202 degli Enfatisti di Francesca Alinovi.”

Alla stessa Alinovi appartiene il progetto della storica mostra Arte di Frontiera tenutasi a Bologna nel 1984, che ha fatto conoscere agli italiani il movimento del “Graffitismo” americano. Tra i primi writer storici bolognesi si ricordano Deemo, Wolf, Shorty, Rusty per poi arrivare a Dado, Draw e Mambo. I personaggi più conosciuti, protagonisti della scena artistica urbana bolognese dagli anni Ottanta ad oggi, sono la coppia formata da Monica Cuoghi (1965) e Claudio Corsello (1964), alias Cuoghi Corsello. Si sono conosciuti durante gli anni dell’Accademia delle Belle Arti di Bologna, dove si sono diplomati in pittura. Dal 1986, la coppia ha imposto la sua presenza nel tessuto urbano bolognese, distanziandosi, però, dalla pratica classica del Graffiti Writing. In un periodo, infatti, in cui il Graffiti Writing si basava quasi esclusivamente sullo studio calligrafico e del lettering, Cuoghi Corsello concentrano la loro ricerca su uno stile prettamente figurativo, creando fantasiosi e invadenti personaggi, che cercano di impossessarsi del territorio circostante. Uno dei loro soggetti più ricorrenti e riconosciuti è Pea Brain, un’ochetta stilizzata, definita da Barilli come “un

201 Naldi F. “La mia strada continua e vive oggi più di prima. Il writing a Bologna dalla fine degli anni Settanta a oggi”, in Naldi F. (a cura di) op. cit., p 37. 202 Ivi, p. 38. 129 affascinante essere mitologico”203, con le zampe che si adattano a tutta la lunghezza della superficie pittorica. [Figura 7] Questo personaggio era possibile avvistarlo in ogni parte della città tra gli anni Ottanta e Novanta e tutt’ora alcune ochette sono visibili lungo i binari della Stazione Centrale di Bologna. Oltre a Pea Brain, vengono rappresentati soggetti di ogni sorta: da Suf, un puppet a metà tra un alieno e una bambina, a Nonno Degrado, un cane anziano che non si arrende all’avanzamento dell’età e viene rappresentato sempre con una bomboletta in mano, a Bello, uno smile stilizzato tra l’infantile e il primitivo. I loro personaggi surreali possiedono tratti semplici e minimali. Le figure sono stilizzate e monocrome (solitamente in bianco e nero), spesso sono presenti solo i contorni e gli interni delle figure sono riempiti con larghe campiture. Nelle loro opere riecheggia lo stile Naïf e l’Art Brut, nonostante essi siano consci e consapevoli della loro arte. La ricerca artistica di Cuoghi Corsello non si limita solamente all’arte pubblica, ma sperimentano e “giocano” con l’arte, spaziando dalla Video Art alla scultura e dalla pittura alle installazioni. La loro stessa vita è una costante performance. La coppia infatti, ha deciso di vivere occupando fabbriche abbandonate, le quali vengono trasformate e adibite ad abitazione, laboratorio, spazio ri-creativo. Riciclano i materiali per realizzare i mobili, costruiscono da soli gli elettrodomestici, avendo conoscenze di idraulica ed elettromeccanica e lo spazio diventa una fucina creativa e un luogo aperto a tutti i giovani artisti. Cuoghi Corsello fondono completamente arte e vita e i loro personaggi fanno parte del loro vivere quotidiano. Il loro scopo è quello di andare sui muri delle città a raccontare la loro storia. Anche a Bologna, come a Milano e come nella maggior parte delle realtà italiane, i writer e gli street artist hanno scelto i centri sociali come punto di partenza per lo sviluppo dei loro stili. I primi centri sociali a diventare delle vere istituzioni per il Graffiti Writing a Bologna sono il Livello 57 (ora sgomberato) e il Link (nella sua storica sede di via Fioravanti dal 1994 al 2001). Questi centri sociali erano un punto di riferimento per i giovani writer degli anni Novanta, i quali si incontravano tra le mura di questi edifici occupati e, tra amici, ascoltando musica e scambiandosi idee, ne dipingevano le mura. Purtroppo ora questi edifici sono stati abbattuti e le uniche testimonianze dei pezzi di questi centri sono rimaste solo nelle fotografie dei frequentatori dell’epoca. Altri centri sociali più recenti, ma non meno importanti per la Street Art, sono ancora esistenti, anche se forse ancora per poco. Molti street artist hanno dimostrato il loro sostegno nei confronti dei centri sociali, offrendosi di dipingere gratuitamente le facciate dei loro stabili. Il risultato è una collezione maestosa di opere d’Arte Urbana, destinata probabilmente a non durare. Blu ed Ericailcane sono gli street artist che hanno maggiormente perorato la causa, realizzando

203 Barilli R. in Cuoghi & Corsello. L’Albero blu. Gli inserti speciali di PressRelease, inserto n. 31 giugno 2004 130 opere nei principali centri sociali bolognesi, tutti in una situazione di precariato, come: l’Xm24, situato nell’area dell’ex mercato ortofrutticolo; le due sedi del Crash Laboratorio Occupato in via Avesella e via Zanardi e la vecchia sede del Bartleby in via Capo di Lucca. Molti di questi edifici sono a rischio demolizione e se così fosse si perderebbero delle gemme preziose della pittura murale, come ad esempio l’opera realizzata da Blu su una parete dell’Xm24. Nel 2013 questo centro sociale è stato il protagonista di una accesa diatriba tra il comune e alcuni cittadini, poiché il comune avrebbe dovuto demolirlo per fare posto ad una rotonda. Blu ha deciso di aiutare il centro sociale attraverso un atto di guerriglia artistica, ossia dipingendo una vasta parete dello stabile grande 8 metri per 8, in cui ha rappresentato una allegoria della città di Bologna, ispirata alla saga del Signore degli Anelli. [Figura 8] Proprio per merito della presenza del murale di Blu, considerato di notevole interesse artistico, il progetto urbanistico è stato modificato e il centro sociale è momentaneamente salvo, almeno fino alla prossima minaccia di sfratto. Una delle manifestazioni più recenti e interessanti di Graffiti Writing e di Street Art a Bologna, è stata probabilmente Frontier – la linea dello stile, un progetto curatoriale organizzato tra il 2012 e il 2013 dal Comune di Bologna, coordinato dalla Regione Emilia Romagna e curato da Claudio Musso e Fabiola Naldi. Trent’anni dopo Arte di Frontiera, la città di Bologna ha voluto dimostrare quanto sia ancora in prima linea nello studio e nella divulgazione dell’Arte Urbana. Nell’estate del 2012 sono stati invitati tredici artisti, italiani e internazionali, a dipingere su alcuni palazzi della città, tutti edifici di edilizia residenziale pubblica, mentre a febbraio 2013 è stato organizzato un convegno di due giorni dal titolo: konFRONTIERt. Writing, Street Art e spazio pubblico: ipotesi, ricerche e confronti, a cui hanno partecipato diverse figure artistiche e professionali, che si sono confrontate sul tema dell’Arte Urbana. Si è trattato di un vero progetto curatoriale e non di un festival poiché vi era un intento di narrazione storica. Infatti, la scelta dei tredici artisti ha voluto ripercorrere la storia del Graffiti Writing e della Street Art: si è partiti da Phase II, king storico del writing newyorchese, a Cuoghi Corsello e Dado, protagonisti della scena bolognese, fino ad arrivare ai più giovani come Andreco o Does, il quale associa il genere old school newyorchese alla grafica digitale. L’obiettivo del progetto è stato dimostrare quanto il Graffiti Writing e la Street Art siano stati rilevanti, e lo siano tutt’ora, nel panorama artistico globale. I tredici artisti invitati a partecipare e a creare opere su tredici muri differenti sono stati: Phase II, Does, Eron, Etnik, Daim, Dado, Honet, Andreco, Rusty, Cuoghi Corsello, Joys, M-city e Hitnes. Tredici artisti appartenenti ad un background simile, ma ciascuno con il proprio percorso, il proprio stile e intenti a dimostrare la varietà e la diversità dell’Arte Urbana. Un’altra grande manifestazione che si svolge a pochi chilometri da Bologna, nel borgo medievale di Dozza, è la Biennale del muro dipinto. Questa manifestazione, nata nel 1960, ha

131 aperto le porte dagli anni Duemila anche al Graffiti Writing e alla Street Art. Nel corso degli anni sono intervenuti sul territorio quasi duecento artisti, affrescando i muri del piccolo borgo dominato dall’imponente rocca. La Biennale del muro dipinto attrae ogni anno un numero sempre maggiore di visitatori e ha portato un ritorno estremamente positivo per lo sviluppo turistico e di conseguenza economico e sociale del territorio. La curatirice Fabiola Naldi, conscia dell’evoluzione e dei cambiamenti della pittura murale, ha introdotto nel 2007 un’”ala” contemporanea, invitando a dipingere nella frazione di Toscanella, lungo la via Emilia, i migliori writer e street artist della scena italiana. Alla prima edizione del 2007 hanno partecipato Dado & Stefy, Wany e Ericailcane. Proprio di quest’ultimo è la superba composizione su una centralina dell’acqua. Nel 2009 è la volta di Cuoghi Corsello, che realizzano una rappresentazione imponente, sia per dimensioni che per impatto estetico, di Suf, uno dei loro personaggi più caratteristici: “Suf sovrasta gigantesca il palazzo adiacente alla via Emilia e con i suoi enormi occhi catarifrangenti illumina il percorso dei viandanti e degli automobilisti”204. Sempre nel 2009 hanno partecipato due esponenti del Graffiti Writing più puro: Rusty e Joys, i quali hanno esposto sulle pareti di due abitazioni il loro lettering in dimensioni macroscopiche. Nel 2011 hanno realizzato le loro opere di Street Art Hemo, Moneyless e Paper Resistance il quale ha sviluppato un’opera sul fianco del centro polivalente di Toscanella sullo studio di un tuffo, che potrebbe essere interpretato come una rivisitazione in chiave Street Art del Nudo che scende le scale di Duchamp. Infine nel 2013 sono stati invitati Macs e Tellas. Quest’ultimo ha realizzato un’opera con un motivo naturale che entra in sintonia e si integra perfettamente con l’ambiente circostante. [Figura 9] Tutte queste manifestazioni dimostrano quanto il Graffiti Writing e la Street Art siano tenute in considerazione dalla città di Bologna, sfruttandoli come un elemento qualificativo per lo sviluppo della città. Bologna si dimostra, quindi, una delle capitali italiane dell’Arte Urbana.

4.3.3 Roma

Roma, come qualsiasi altra metropoli, possiede una storia di Arte Urbana che nasce con il Graffiti Writing e finisce con le forme più avanguardistiche di Street Art. Dalla fine degli anni Ottanta e per tutti gli anni Novanta, Roma è la patria di una delle migliori scene Hip Hop italiane. Gruppi musicali come Assalti Frontali, Colle der Fomento, Piotta e Cor

204 Naldi F., “XXI Biennale del muro dipinto. Ieri, oggi, domani”, in Naldi F. (a cura di) op. cit., p 12.

132

Veleno hanno contribuito allo sviluppo della scena underground e Hip Hop su tutto il territorio nazionale. Una delle prime crews di Graffiti Writing sviluppatasi nella capitale è la 00199. Il nome deriva dal codice di avviamento postale della zona di Roma frequentata dalla crew. Il gruppo era costituito interamente da ragazze e purtroppo si sciolse precocemente a causa della tragica scomparsa di una delle componenti, Cheecky P, in un incidente stradale. Nelle zone della stazione Tiburtina e di Tor Bella Monaca si possono osservare ancora molti pezzi di Graffiti Writing, anche di quelli appartenenti alle prime generazioni di writer, mentre il quartiere di San Lorenzo e di Ostiense sono i luoghi prediletti degli street artist. Ad Ostiense, ad esempio, in via dei Magazzini Generali, si trova un’opera realizzata dallo street artist romano JB Rock (1979), attivo sui muri da quando aveva 12 anni e oggi specializzato in Stencil Art. Durante il festival di Arte Urbana Outdoor ha realizzato una composizione maestosa lunga 65 metri, sul tema della comunicazione. L’opera si intitola Wall of Fame e si tratta di un alfabeto composto da volti. Ad ogni volto corrisponde una lettera. Si incomincia con Dante Alighieri per la lettera A, per finire con Zorro alla lettera Zeta. All’interno dell’alfabeto sono presenti personaggi che con le loro doti comunicative, nei diversi campi, hanno apportato un contributo positivo alla società. Da Elvis a Gagarin, da Hendrix a Frida Kahlo, passando per Papa Wojtyla e Malcom X. Non mancano poi i familiari dell’artista, come la madre e il fratello. I ritratti sono in bianco nero, su uno sfondo rosso vivo e sono realizzati con pennello e vernice. Anche l’accostamento dei personaggi è interessante: si può notare ad esempio il presidente degli Stati Uniti Barack Obama accanto al rapper Noyz Narcos; a suo modo, un personaggio influente della comunità Hip Hop romana. Sempre nel quartiere Ostiense si possono trovare opere di Sten & Lex, Alicè, Blu, 108, Agostino Iacurci, Ozmo, Borondo, Moneyless, Etnik, Joys, Dem, Hitnes, 2501, Lucamaleonte e molti altri street artist. Molte opere sono state realizzate proprio durante lo stesso Outdoor Festival. Lucamaleonte (1983), artista romano attivo dai primi anni Duemila, è uno degli street artist più ricercati in Italia e all’estero. Esordisce nell’Arte Urbana con la Stencil Art, per poi passare a una ricerca stilistica incentrata sullo sviluppo del disegno a mano libera. Attualmente predilige la tecnica mista. Lucamaleonte possiede un background artistico notevole, essendo laureato all’Istituto Centrale per il Restauro e il suo amore per la storia dell’arte lo si può notare anche dai soggetti e dai temi scelti per le sue opere: lo street artist si appropria di soggetti dell’arte classica e moderna, li reinterpreta su poster o stencil e li ricolloca sulla strada, creando un contrasto e un’alchimia poetica e suggestiva, tra la classicità dei soggetti e l’ambiente urbano contemporaneo circostante. Ne è un esempio l’opera realizzata in via Ostiense nel 2014 dal titolo #backtoblue. L’opera è realizzata con

133 tecnica mista, con una commistione di stencil e mano libera. Lucamaleonte interviene su un muro sito al di sotto di un ponte molto trafficato di via Ostiense, il quale spesso si allaga o si riempie di grandi pozzanghere in conseguenza delle piogge. L’artista decide così di ritrarre dei giovani che cercano di salvarsi, o salvare l’umanità, dal Diluvio Universale. I soggetti, realizzati tramite stencil, sono ripresi da un’illustrazione del Diluvio Universale, tratta da un’edizione della Bibbia del 1865, illustrata dal pittore e incisore Gustave Doré. I giovani sono sorretti da due foglie di acanto, di tradizione decorativa ellenistica, realizzate a mano libera e al centro si trova una figura geometrica, un icosaedro, figura simbolo di Lucamaleonte, che ricorre in quasi tutte le sue opere. Le figure sembrano appena uscite dalle pagine di un volume antico, i contorni realizzati con delle tonalità cromatiche blu e lo sfondo è color azzurro, a simboleggiare il Diluvio. Attraverso l’armonia e l’equilibrio della classicità, l’artista vuole simboleggiare la speranza di salvezza dal caos del mondo moderno. La realizzazione è stata curata dalla galleria 999 Contemporary, con il patrocinio del Comune di Roma, in un’ottica di riqualificazione urbana della città. [Figura 10] Attualmente le ricerce di Lucamaleonte si concentrano sullo studio del mondo vegetale e dissemina piante e fiori in ogni tappa che raggiunge, creando un suo personale erbario street. Lucamaleonte collabora spesso con la coppia di street artist Sten & Lex e tutti e tre sono stati invitati da Banksy, nel 2008, a partecipare al Cans Festival. Sten & Lex, nati entrambi nel 1982, iniziano a invadere le strade di Roma con la loro arte nei primissimi anni Duemila e sono considerati tra i precursori della Stencil Art in Italia. Realizzano opere maestose sulle pareti di vari edifici, prevalentemente ritratti. Tra le opere commissionate più notevoli si ricordano: una parete dell’ex Convento seicentesco di Mentana, ora adibito a dimora storica, realizzata nel 2012; la facciata del Palazzo dell’Economia, a Bari, nel 2013, realizzata attraverso la tecnica dello “Stencil Poster” e un’opera realizzata a Køge, in Danimarca, nel 2011, durante la manifestazione di arte urbana Walk this Way, grande circa 700 m2. La ricerca estetica di Sten & Lex ha portato allo sviluppo di una nuova tecnica, denominata “Stencil Poster”: Si crea l’immagine desiderata su un poster, il quale poi verrà incollato alla superficie. Dopodichè si ritagliano le linee di contorno del poster come se fosse uno stencil. In seguito, il poster viene colorato complatemente (solitamente utilizzando una vernice nera stesa con il pennello). Infine, viene rimossa la carta rimanente del poster, così da far comparire l’immagine sullo sfondo. I ritratti di Sten & Lex sono formati da tante piccole striscie affiancate tra loro. Il duo abitualmente non elimina totalmente i brandelli di poster, ma li lascia in parte incollati alla superficie, in modo che saranno il tempo e gli agenti atmosferici a rivelare del tutto, un po’ alla volta, l’immagine. Le opere di Sten & Lex sono tutte in bianco in nero, sviluppate attraverso il processo di stampa

134 della retinatura, per riprodurre l’effetto fotografico. I soggetti, infatti, riprendono vecchie fotografie provenienti da album di famiglia o scattate direttamente dagli artisti a persone conosciute o estranee. In passato, gli artisti rappresentavano attori cinematografici di una volta, di b-movies o vecchi telefilm, mentre ora prediligono personaggi anonimi, generici. Le ricerche più recenti si concentrano invece su composizioni astratte e geometriche, molto vicine all’op art. [Figura 11] La scena della Street Art romana è molto attiva ed è la patria di molti altri street artist interessanti e innovativi: dalla sfrontatezza degli stencil di Hogre, ai grandi murali poetici e colorati da Agostino Iacurci che sembrano uscire da un libro di illustrazioni, fino alle delicate opere di Hitnes o Alice Pasquini, detta Alicè, esponente di spicco della street art al femminile.

4.3.4 Il resto d’Italia

Oltre ai centri analizzati, il Graffiti Writing e la Street Art si sono espansi in tutto il territorio italiano e ogni paese, più o meno grande, può offrire importanti testimonianze di Arte Urbana, attraverso festival, manifestazioni o interventi spontanei da parte degli artisti. Ozmo (vero nome Gionata Gesi, 1975) è uno street artist italiano nato in provincia di Pisa. Dopo aver frequentato gli studi all’Accademia di Belle Arti di Firenze, si trasferisce a Milano. Si tratta di uno degli street artist più apprezzati in Italia e all’estero e i suoi interventi si possono trovare in ogni parte della penisola. È stato uno dei primi artisti ad inserire nell’Arte Urbana elementi religiosi e iconografici. A Milano opera nei centri sociali e sul tessuto urbano, fino a quando la sua arte non è stata istituzionalizzata attraverso mostre e commissioni. Nel 2007 partecipa alla mostra al Pac di Milano Street Art Sweet Art e nel 2012 viene curata una rassegna di sue opere nel foyer del museo del Novecento a Milano, dal ditolo PreGiudizio universale. Durante i giorni di apertura della mostra Ozmo ha anche realizzato azioni di live-painting, realizzando opere davanti ad un pubblico di visitatori. Sempre nello stesso anno crea un’opera sulla terrazza del MACRO di Roma, una pittura murale di 300 m2 dal titolo Voi valete più di molti passeri!. Il titolo è tratto da un passo del Vangelo secondo Matteo ed è una denuncia alla società capitalista governata dal Dio denaro. L’opera infatti è tratta da una vignetta satirica dei primi del Novecento e rappresenta una società piramidale in cui i cittadini più umili sono schiacciati e oppressi da chi ha più potere economico. L’opera ora fa parte della collezione permanente del museo. Per realizzare le sue opere Ozmo si appropria di immagini esistenti, le decontestualizza, le modifica e le ripropone in un contesto alterato e spesso simbolico. Così lui stesso descrive il suo modus operandi:

135

“Simboli, immagini e segni delineano situazioni o allegorie, come l’alfabeto crea il linguaggio. Elaboro attraverso citazioni e accostamenti, remixando sample visivi come dettagli e riferimenti a quadri, foto, stampe, documentazione, spesso con brevi testi o titoli che ne sottolineano l’ambiguità, soprattutto nel caso di wallpaintings dalle grandi dimensioni dove metto in pratica l’attitudine surrealista e giocosa dell’incident, che è libera associazione di idee.”205

Tra le sue opere più interessanti tratte dalle figure iconografiche sacre c’è il San Sebastiano realizzato a Racale in provincia di Lecce, rivisitato in chiave contemporanea e satirica, che ha scaturito non poche polemiche da parte dei cittadini. Nel 2008 ha realizzato una maestosa Santa Rosalia a Campofelice di Roccella, in provincia di Palermo, da lui definata probabilmente la più grande Santa Rosalia del mondo. Infine, da menzionare è un suo intervento, sempre nel 2008, ad Ancona, durante il festival PopUp!, in cui realizza Holy Mother and Child with upside down heads (Madonna e Bambino con testa sottosopra). In questa occasione Ozmo ha voluto creare un’opera che avesse significato e potesse comunicare con il luogo circostante, per cui si è ispirato ad una Madonna con bambino di Lorenzo Lotto, conservata nella Pinacoteca della città. In questo modo, l’artista ha voluto portare l’attenzione su questa gemma cittadina, spesso dimenticata anche dai suoi cittadini. Ozmo ha però scelto di rappresentare i due personaggi con la testa capovolta, prendendosi una licenza poetica non apprezzata dai cittadini, i quali hanno accusato l’opera di blasfemia. L’artista è stato poi “scagionato” dalla Commissione della Diocesi di Ancona-Osimo e l’opera preservata. Ora l’edificio è stato demolito per fare posto ad un parcheggio. [Figura 12]

4.3.4.1 Rimini, pilastro del Graffiti Writing italiano.

Rimini è una città di medie dimensioni, composta da poco più di 140.000 abitanti e crocevia fin dai tempi dell’antica Roma di commerci, scambi e culture. Situata in una posizione strategica, sul mare e con importanti snodi di trasporto (la via Emilia e la via Flaminia partono da qui), Rimini con gli anni si è imposta come una delle realtà più forti del turismo balneare italiano. Con l’avvento del turismo iniziano a sorgere i primi luoghi per l’intrattenimento e Rimini si popola di balere, sale da concerti e da ballo. Tra gli anni Settanta e Ottanta avviene il boom dei locali notturni e la ridente cittadina romagnola si trasforma nella meta prediletta dei giovani e degli amanti della vita notturna. Rimini diventa la città più all’avanguardia anche a livello musicale e i dj di tutta Europa si alternano sulle consolle delle decine di discoteche disseminate sulla Riviera. Alla città di Rimini in questi anni viene associato perfino il termine “divertimentificio” e questi anni animati e talvolta eccessivi

205 Riva, A. (a cura di), op, cit., p. 138. 136 vengono anche narrati nel romanzo di Pier Vittorio Tondelli, Rimini, del 1985. È in questo clima esuberante e caotico che iniziano a emergere le varie sotto-culture, decise a non voler sottostare a questo ambiente popolare e di massa. Con il tempo, le varie sotto-culture che non si sentono rappresentate dalla tendenza dominante, si uniscono, determinate a far sentire la loro voce. Rimini diventa uno dei primi centri italiani in cui si diffonde la cultura Hip Hop. La città torna ad essere, come in passato, un punto d’incontro ed è proprio qui che vengono organizzate le prime convention e i primi incontri di Graffiti Writing. Al di fuori della stagione estiva, Rimini ritorna città di provincia, tranquilla e con i suoi ritmi. Le infrastrutture e i servizi utilizzati in estate vengono messi a riposo ed è proprio in questi luoghi che i giovani writer trovano i loro spazi naturali decidendo di utilizzarli per esplorare e sperimentare i loro stili. L’esempio più significativo è dato dalle gigantesche colonie estive di epoca fascista, abbandonate e lasciate a marcire da anni sulla costa. Questi relitti di cemento spiaggiati sono delle mete gradite per i writer, dove possono agire indisturbati. Caputo, nel capitolo dedicato alla Riviera Adriatica, all’interno del suo volume All city writers, descrive accuratamente come la forza del movimento evolutosi in questa zona – sebbene si tratti di una zona ancora provinciale – sia data dall’unione di tante sotto-culture, che si sono miscelate e hanno contribuito a creare una scena potente e corposa:

“Though less dynamic than actual metropolis, the adriatic city – with its pulsing heart in the riviera romagnola – generated various groups tied to the different countercultures, local reactions to the great amusement and entertainment temples erected for tourists. These groups here supported each other, for example allowing kids that belonged to other circumscribed local scenes, such as skaters or punks, to participate in the graffiti movement. The meeting ground for these realities wew the first social centres, that formed around 1990 and immediately became places tied to countercultures movements, catalysers of energies that in a provincial setting synthesise the desire and necessity of being united and feeling part of a whole, which often represented the only diversion to the ordinary life of the province.”206

206 “Sebbene meno dinamica delle metropoli vere e proprie, la zona Adriatica – con il suo cuore pulsante nella Riviera Romagnola – ha generato vari gruppi legati tra loro tramite le diverse contro- culture, reazione locale ai templi del divertimento e dell’intrattenimento creati per i turisti. Questi gruppi qui si supportavano a vicenda, ad esempio, permettendo ai ragazzi appartenenti alle altre piccole scene locali circoscritte, come gli skater o i punk, di partecipare al movimento del Graffiti Writing. I luoghi di incontro di queste realtà erano i primi centri sociali, formati attorno al 1990 e immediatamente divennero i luoghi di unioni per le varie contro-culture, le quali sono catalizzatori di energie, che in un ambiente provinciale sintetizzano il desiderio e la necessità di sentirsi uniti e parte di un tutto e spesso rappresentavano l’unico diversivo alla vita ordinaria della provincia” in Caputo A. (a cura di), All City Writers, Bagnolet, Kitchen93, 2009, p. 253. (trad. mia). 137

Queste piccole ma importanti realtà provinciali costiere, col tempo iniziano ad allacciare dei rapporti tra di loro, creando infine un network che va da Rimini fino a Brindisi, per tutta la costa Adriatica. Le varie crews e i writer delle varie città si scambiano i contatti, indirizzi, luoghi dove andare a colpire, organizzano collaborazioni e jam e visitano le rispettive Hall of Fame. Negli anni Novanta, la costa Adriatica diventa una roccaforte del Writing italiano. Il Graffiti Writing a Rimini esplode tra gli anni Ottanta e Novanta. Nel 1991 apparve su un ponte di ferro della ferrovia che sovrasta il porto, la scritta “we are the motherfucker bombers” (siamo i fottutissimi bomber): i writer iniziano ad avvertire la città della loro presenza. Si iniziarono a formare le prime crews e, se a New York le tag venivano create inserendo nel proprio nome il numero della via per identificare la zona di provenienza, le crews riminesi decisero di utilizzare le prime due cifre dei numeri di telefono. Le prime storiche crews furono 38Squad, 77WestPower, 74squad e 52northpower. Nel 1993 le principali crews riminesi si fusero insieme, creando un’unica grande famiglia: K-RUA (K-Rimini United Artists)207. I primi eventi venivano organizzati nelle discoteche. Nel 1989 Deemo organizzò nella storica discoteca “Barcelona” (ora non più esistente) una delle prime jam Hip Hop, alla quale ne susseguirono svariate nel corso degli anni successivi. Anche alla discoteca “Cellophane” venivano organizzate serate Hip Hop e nel 1989, in quest’ultima discoteca, il writer Toxic, in occasione di una festa organizzata dal writer “Crab” e dal dj newyorchese Wayne Brown, dipinse la facciata di un hotel adiacente. Nel 1994 venne organizzato Indelebile, la prima convention internazionale di Graffiti Writing e Hip Hop in Italia. La convention fu organizzata in un centro sociale situato all’interno del più grande parco della città (parco XXV Aprile) e vide tre giorni interamente dedicati alla cultura Hip Hop. Durante la convention si esibirono writer, breaker, dj, MC208, e gruppi rap. Tra i vari artisti erano presenti: Deda, Lou X, Neffa e i Sangue Misto, Colle der Fomento, Dj Gruff e Piotta. Oltre ai writer riminesi come Eron, Word e Yurate, furono invitati anche writer internazionali, come: Gasp, Shoe, Delta, Sender e Kraze da Amsterdam, Fume dalla Germania, lo storico king parigino Mode 2 e perfino Sharp da New York. L’evento portò a Rimini circa 4000 giovani writer provenienti da tutta Europa (cogliendo di sorpresa anche gli artisti e gli organizzatori), grazie anche alla pubblicità su “Aelle”, lo storico magazine diffuso nella comunità Hip Hop. A vent’anni di

207 Per maggiori informazioni su tutti i componenti della crew riminese si rimanda a http://www.k- rimini.it/homepage.html 208 MC (Maestro di cerimonie): È un performer. Il suo compito è quello di intrattenere il pubblico dei concerti attraverso la musica rap, con testi preparati o in freestyle (improvvisazione). È solitamente accompagnato da un dj o da un beat-boxer. 138 distanza dalla convention, i pezzi, sebbene in stato di totale abbandono, sono ancora visibili e sono una tesimonianza unica di un evento che ha segnato la storia dell’Hip Hop italiano. I luoghi più colpiti dalle prime generazioni di writer riminesi furono naturalmente i treni e la Ferrovia. Nel 1993 il comune costituì una task-force per la rimozione dei pezzi e la pulizia della Ferrovia e dei luoghi adiacenti la stazione. In un giorno la zona fu completamente ripulita. La stessa notte, racconta il writer riminese Word, tutte le crews della città, per un totale di circa venticinque persone, si riunirono per reagire a questa azione punitiva. Lungo un muro della Ferrovia scrissero una frase colorata con la vernice spray argento, che il giorno dopo apparve su tutti i giornali locali: “volete una città pulita fuori per non far vedere quanto siete sporchi dentro”. I writer riminesi avevano dimostrato la loro tenacia. Oltre alla Ferrovia, un altro luogo tutt’ora prediletto dai writer riminesi è il porto canale. Lungo le mura che cintano il porto si trovano numerosi pezzi colorati realizzati dalle crews locali. Eron, al secolo Davide Salvadei, riminese, nato nel 1973 è considerato uno dei migliori writer italiani. Maestro della bomboletta spray, Eron inizia la sua avventura con l’Aerosol Art per strada e sui treni, agli inizi degli anni Novanta, facendo del bombing con la sua crew. Fa parte della prima generazione di writer riminesi. Nel n. 22 del 1997, la rivista “Aelle” elegge Eron miglior writer italiano.209 Si distingue presto dagli altri, abbandonando il lettering per concentrarsi su uno stile prettamente figurativo e realistico. Crea così uno stile unico e immediatamente riconoscibile e i suoi affreschi creati tramite bomboletta spray, non passano inosservati a Rimini. Il comune inizia presto a commissionare dei lavori a Eron per il decoro e la riqualificazione della città. Uno dei suoi lavori più notevoli, ad esempio, è la decorazione del muro che costeggia il porto turistico di Rimini, di 250 m2. Eron ha realizzato una composizione che alterna i simboli della città come l’Arco di Augusto e il Ponte di Tiberio a soggetti ittici presenti nella zona riminese. Le ventuno tavole preparatorie sono state acquistate poi dal Museo Comunale. Attualmente lavora molto anche su tela, esponendo nelle principali gallerie italiane. Tra le principali mostre collettive e personali a cui ha partecipato si annovera la mostra storica Street Art Sweet Art. In seguito ha esposto al Palazzo della Permanente a Milano, alla Biennale di Venezia, al Chelsea Art Museum a New York, al Palazzo delle Esposizioni a Roma, in seguito alla vittoria del premio Terna per la giovane arte contemporanea e ha contribuito alla realizzazione di una facciata di un palazzo per il progetto Frontier. La peculiarità delle sue opere su tela, sempre create attraverso la bomboletta spray, è data da uno stile realistico creato con un effetto sfocato, utilizzando colori pastello e tonalità sui grigi. Nelle opere di Eron, infatti, sembra molto forte l’influenza di Gerard Richter. Allo stesso tempo,

209 “Aelle”, n. 22, aprile/maggio 1997, p.17. All’interno è presente anche un’intervista a Eron alle pp. 29-31. 139 però, si veda ad esempio la serie di tele “Mindscape”: Eron inserisce anche elementi grafici, stilizzati ed elementari, come se fossero creati da un bambino alle prime armi con una bomboletta spray. Questo ci ricorda che il suo legame con l’arte di strada è ancora forte e non è dimenticato. In un’intervista, sul suo stile eterogeneo, Eron asserisce:

“La mia ricerca attuale si basa sulla creazione di ritratti e paesaggi, miscelando espressionismo e realismo all’interno di un’unica opera, ottenendo un impatto estetico insolito. L’aspetto realistico dell’opera mi serve per soddisfare l’esigenza fisiologica di creare, tramite l’utilizzo di luci e ombre, immagini legate alla realtà materiale. Mentre la parte espressionistica, che in genere è quella predominante, la utilizzo per esprimere riflessioni su temi sociali e sul “disegnare” come istinto innato dell’essere umano per comunicare. Una sorta di racconto della pittura, attraverso la pittura.”210

Un altro legame molto solido è quello tra Eron e la sua terra e spesso i soggetti delle sue opere raccontano di storie riminesi e di paesaggi conosciuti alla gente del luogo. Nel 2011 il comune ha commissionato a Eron la realizzazione del manifesto turistico per la promozione della città di Rimini. La spiaggia e l’acqua sono due elementi ricorrenti nelle sue tele e le sue opere richiamano alla mente cartoline o fotografie degli anni passati. La sapiente calibrazione del colore e della luce evocano la poesia delle fotografie di Luigi Ghirri. La sua arte viene letteralmente “consacrata” nel 2010, quando gli viene commissionata l’affrescatura del soffitto della chiesa di S.Martino in Riparotta a Rimini. È la prima volta che un’opera di Aerosol Art entra in un luogo sacro. L’opera dal titolo Forever and Ever...nei secoli dei secoli misura 1000 x 515 cm e raccoglie tutti gli elementi rappresentativi dell’estetica di Eron. La lettura dell’opera inizia poco sotto il soffitto della chiesa dove appare, in piedi su un cornicione, un bambino di spalle, in trompe-l'œil dipinto di nero, vestito con l’abbigliamento tipico della cultura Hip Hop (cappellino con la visiera rivolta all’indietro e pantaloni larghi) e con la bomboletta spray in mano, essendo intento a compiere un graffito. In contrasto, dalla schiena spuntano due candide d’angelo. Il writer-angelo è intento a realizzare dei disegni di colombe, color oro. Le prime colombe che disegna sono stilizzate, ma queste, man mano che salgono in verticale, si trasformano in colombe iper-realistiche quando sfociano nel cielo azzurro. L’affresco si trova nella parte centrale del soffitto, racchiuso in una cornice. Questa architettura crea così un effetto di grande profondità e le colombe che si alzano in cielo, sembrano veramente volare via. L’opera potrebbe essere vista come l’ascesa dell’anima al cielo, ma, allo stesso tempo, anche come innalzamento dell’Aerosol Art ad arte classica. Realizzando una creazione dallo stile classico (probabilmente Eron conosce l’oculo della Camera degli Sposi di Mantegna), ma prendendo anche dei rischi e inserendo

210 Riva A. (a cura di), op. cit. p. 102. 140 elementi contemporanei (vedi il bambino con la bomboletta), Eron ha creato un’opera particolare e unica, che passerà alla storia del Graffiti Writing mondiale. [Figura 13]

4.4 Le manifestazioni di arte urbana in Italia

Negli ultimi anni l’Italia sta diventando un paese all’avanguardia nella produzione di festival e manifestazioni relativi all’Arte Urbana. Oltre ai già citati Outdoor Urban Art Festival di Roma, che nell’ultima edizione ha ottenuto un ragguardevole successo realizzando il primo intervento finanziato con il metodo di crowdfunding, Icone a Modena, attivo ben dal 2002 e il progetto Frontier a Bologna, ogni anno nascono sempre nuovi eventi volti alla diffusione e alla emancipazione del Graffiti Writing e della Street Art. Il primo esempio è quello del Fame Festival, a Grottaglie, in provincia di Taranto, uno dei festival più interessanti in Italia, con un eccellente livello qualitativo, ma che il curatore ha deciso di interrompere all’apice del successo. Il festival, finanziato e curato interamente da Studiocromie, uno studio di serigrafia, era nato nel 2008 in un piccolo paese pugliese famoso per la produzione di ceramica. L’obiettivo del festival era quello di invitare gli artisti e ospitarli nel paese per un periodo variabile da una a quattro settimane. Gli artisti avevano la possibilità di interagire con gli artigiani del luogo, collaborando nella produzione di stampe e ceramiche. Inoltre, agli artisti venivano assegnati dei muri da dipingere, riqualificando così anche le zone più depresse costituite da fabbriche abbandonate e zone industriali dismesse. Infine, tutte le opere create dagli artisti anche in collaborazione con gli artigiani locali venivano esibite in una grande esposizione. Negli anni, il festival ebbe un successo sempre maggiore, ottenendo sempre più attenzione anche da parte dei media. Purtroppo, il rapporto con le istituzioni locali non era dei migliori. Le amministrazioni delle piccole comunità talvolta non sono ancora pronte ad un fenomeno nuovo e sfrontato come l’Arte Urbana, che spesso non viene compreso e di conseguenza non viene accettato. A Grottaglie, ad esempio, è stato cancellato un murale di Ericailcane. Il 2012 è l’anno dell’ultima edizione del festival. Il curatore ha deciso di interrompere il progetto Fame Festival, poiché la manifestazione aveva ormai perso la sua forza e la sua irriverenza iniziale. La Sreet Art nasce spontaneamente come fenomeno artistico ribelle e sregolato e la presenza di un festival con così tanto richiamo, con interventi di artisti sempre più quotati e famosi (Os Gêmeos, Blu, Ericailcane, Conor Harrington, JR, Vhils, Slinkachu, Swoon, Above, David Ellis, solo per citarne alcuni) in un clima ben accetto, organizzato e ordinato, avrebbe snaturato lo spirito della Street Art. Il curatore ha così preso la decisione che sentiva moralmente più appropriata. In una sua intervista spiega le motivazioni della sua scelta:

141

“Alla fine dell’ultima edizione era tutto facile: dipingere in giro, fare video, spaccare cose, anche sotto gli occhi delle autorità. Ci abbiamo provato a fare cose brutte e provocatorie, ma in cambio c’erano solo sorrisi e accoglienza. L’attrito originale era scomparso, e questo già non era in rima con lo spirito e l’attitudine del festival. In più, in giro per la Penisola, come in tutta Europa e non solo, i festival si sono 211 moltiplicati, diventando tutti uguali e interscambiabili.”

Effettivamente i festival dedicati alla Street Art aumentano sempre di anno in anno. Esistono però alcune manifestazioni che si distinguono dalle altre, sia per la qualità delle opere realizzate, sia per i benefici che queste apportano al territorio. Un esempio decisamente positivo è Pop Up! Arte contemporanea nello spazio urbano, una manifestazione dedicata alla Popular e Urban Art, che si svolge dal 2008 nella città di Ancona. Il festival è realizzato dall’associazione MAC (Manifestazioni Artistiche Contemporanee) e patrocinato dalla Provincia di Ancona e dalla Regione Marche. Durante i giorni della manifestazione vengono realizzati decine di interventi in tutta la città, con l’obiettivo anche di riqualificare i territori più disagiati. Michele Trimarchi, noto esperto di Economia dell’arte, nell’introduzione al volume realizzato a seguito dell’edizione del 2009, afferma:

“Quel luogo degli scambi quotidiani che è la città si rivela di una bellezza inedita con spazi mai osservati sebbene presenti, segni sorprendenti in quanto finalmente messi a fuoco, dinamiche nuove in quanto non più governate dalla gerarchia del produrre a tutti i costi. La cultura rapita dalla borghesia bisognosa di blasoni torna tra noi, nella vita quotidiana, e segna gli spazi delle nostre relazioni, i tempi delle nostre emozioni, gli orizzonti delle nostre visioni. […] Il festival, anche da questo punto di vista, è il più efficace veicolo verso la quotidianità dell’arte.”212

Durante l’edizione del 2008 viene realizzato un evento unico. Ancona è una città situata sul mare, dominata da un maestoso porto, il quale è un fattore economico-sociale molto importante per la città. È ormai stato ribadito più volte quanto la Street Art sia estremamente connessa all’ambiente che la circonda e comunichi direttamente con il territorio, di conseguenza, ad Ancona si è deciso di far sbarcare la Street Art sulle navi. La Cooperativa Pescatori e il Consorzio Pesca di Ancona hanno reso disponibili tredici pescherecci, i quali sono stati dipinti da tredici street artist differenti. I pescherecci sono stati dipinti ad agosto, durante il periodo del “fermo pesca” in cui è proibito

211 http://www.artribune.com/2014/05/chiudere-allapice-della-notorieta-angelo-milano-racconta-il- fame-festival/ 212 Popup! Arte contemporanea nello spazio urbano. Con testi di: A. Caputo, L. Garella, M. Giovagnoli, T. Manco, A. Nobili, C. M. Pesaresi, G. Silvestrelli, G. Tinti, M. Trimarchi, S. Valietti. Modena, Franco Cosimo Panini Editore, 2010, p. 11. 142 pescare nel mare Adriatico e i pescherecci sono riportati a riva per le opere periodiche di manutenzione. Alcuni artisti, non avendo concluso nei periodi prefissati le loro opere, hanno completato gli interventi in mare. Gli artisti chiamati a realizzare opere sui pescherecci sono stati: Allegra Corbo e Andreco che hanno collaborato su un unico peschereccio, Ozmo, Moon8Fusion Crew, Run, Yuri Romagnoli, Maurizio Senatore, Dem, Ericailcane, Paper Resistance, Elena Rapa, Zosen, Moneyless e Blast. Sugli scafi dei pescherecci sono comparsi, così, calamari, sirene, sardine, mostri acquatici e dèi marini, intenti in una corale celebrazione del mare. [Figura 14] Oltre ai pescherecci è stata riqualificata la zona portuale, con i già menzionati interventi di Blu ed Ericailcane sui silos e con un lungo murale del francese WK Interact su un muro del lungoporto. Altre zone significative per l’identità locale del territorio sono state prescelte per un rinnovamento. Sten & Lex hanno realizzato i loro ritratti su una parete del Consorzio pesca. Ozmo con la sua Madonna con bambino, insieme a Run e M-City hanno dipinto l’ex Caserma San Martino. Allegra Corbo, Andreco e Hanna Negash hanno realizzato un’installazione tramite collage all’interno della Mole Vanvitelliana. Ulteriori interventi sono apparsi nei magazzini della Cooperativa Pescatori e al Mercato Ittico. Infine, si è deciso di riqualificare e di dare un’identità anche ai luoghi cui ne erano privi. Così, i giganti piloni della rotatoria in via Einaudi, sono stati dipinti e trasformati in esseri mitologici, personaggi fantastici, colorati e buffi. Il progetto è stato denominato in maniera appropriata, “La foresta dei giganti” e gli artisti chiamati a ridare vita a questi elementi urbani sono stati: Dem, Zosen, Allegra Corbo, Yuri Romagnoli, 108, Blast, William Vecchietti e Maurizio Senatore. In aggiunta agli interventi cittadini, all’interno dell’edizione di Pop Up! del 2009, è stata inserita anche la convention di Poster Art Mi Manifesto, a cui è stata affidata come spazio espositivo il padiglione dei retari. Nel 2013, lo street artist Hitnes ha decorato la vasta vetrata dell’aeroporto di Ancona Falconara. Il festival Pop Up! continua ancora oggi la sua mission di progettazione di interventi artistici nello spazio urbano, auspicando una diffusione dell’arte nella città, attraverso un riordino e un ripristino dell’arredo e del tessuto urbano. Si è visto quanto l’Arte Urbana in Italia sia viva e in grande fermento. Gli artisti nostrani sono acclamati e contesi nelle migliori manifestazioni internazionali e molti loro lavori hanno contribuito a migliorare il territorio, portando l’arte nel nostro vivere quotidiano. Le opere di Graffiti Writing e di Street Art sono finite su abitazioni, dentro i musei, su pescherecci e perfino in chiesa, segno di un movimento inarrestabile e incontenibile.

143

[Figura 1] Particolare di un murale di Alice Pasquini, del 2011, a Vitry sur Seine. La street artist è stata denunciata dal comune di Bologna per imbrattamento. (Fonte: www.alicepasquini.com)

[Figura 2] Un vagone del treno vittima del trainbombing a Napoli.

144

a b

[Figura 3. a e b] A sinistra la copertina del primo numero di “Tribe” del 1991. A destra la pubblicità della marca di bombolette Dupi-color, sulla rivista “AL Magazine”.

[Figura 4] La facciata dell’autoricambi di via Pollaiuolo a Milano. Si possono riconoscere rispettivamente le opere di: Ryan Spring Dooley a sinistra, Zibe sulla saracinesca con il volto di Arnold e Ozmo a destra con la Vergine di Guadalupe. (Fonte: culturefor.com)

145

[Figura 5] I pinguini e gli altri personaggi di Pao sui “panettoni”. Spray su pietra, Milano, 2011 (Fonte: www.paopao.it)

[Figura 6] Orticanoodles. Ritratto di Renato Guttuso, Giardini Naxos, 2013. (Fonte: www.orticanoodles.com)

146

[Figura 7] L’ochetta Pea Brain di Cuoghi Corsello all’ingresso del centro sociale Link. Bologna, primi anni 90. (Fonte: www.undo.net)

[Figura 8] Blu, facciata del centro sociale xm24, Bologna, 2013. (Fonte: www.blublu.org)

147

[Figura 9] Alcune opere di pittura murale a Toscanella di Dozza:

[a] Joys

[b] Cuoghi Corsello

[c] Tellas.

a

b c

148

[Figura 10] Lucamaleonte, 2014. Acrilico e spray su cemento, via Ostiense, Roma. (Fonte: www.999gallery.com)

[Figura 11] Sten & Lex, 2012. Acrilico e poster. La Louvière, Belgio.

(Fonte: stenlex.net)

149

[Figura 12] L’ex Caserma San Martino ad Ancona [a] prima e [b] dopo gli interventi degli street artist Ozmo, Run e M-City, durante l’edizione 2008 del Festival Pop Up! A sinistra si trova Holy Mother and Child with upside down heads di Ozmo. (Fonte: popup2008.blogspot.com)

a

b

150

a b

[Figura 13] Tre opere di Eron:

[a] un pezzo del primo periodo, 1996, spray, Rimini, (ora cancellato).

[b] una tela della serie Mindscape, 2011, spray su tela, 100x120.

[c] il soffitto affrescato con vernice spray nella chiesa di San Martino in Riparotta, 2010, Rimini. (Fonte:www.eron.it)

c

151

a

[Figura 14] Due peschereggi realizzati durante Pop Up! 2008:

[a] Il peschereccio di Ozmo.

[b] Il peschereccio di Ericailcane. (Fonte: popup2008.blogspot.com)

b

152

CONCLUSIONI

Nei capitoli precedenti si è analizzato il processo evolutivo dell’Arte Urbana e si è visto come, da fenomeno giovanile underground e di nicchia, sia diventata una corrente artistica vera e propria. Negli anni Settanta i graffiti ri-appaiono sui muri delle metropoli statunitensi, a New York soprattutto, emergendo in una nuova forma di comunicazione, altamente espressiva e vitale. A portare avanti questo “gioco” grafico e colorato è la gioventù del luogo, principalmente appartenente a minoranze etniche e residente nei ghetti e nei quartieri popolari, stanca di non essere presa in considerazione dalla società e decisa a far sentire la sua presenza. Le scritte che iniziano ad apparire sono principalmente le firme di questi adolescenti, le cosidette tag, che un poco alla volta cominciano ad invadere i muri e i mezzi di trasporto cittadino. I writer non hanno finalità politiche o di protesta sociale, il loro unico intento è quello di far sentire la propria voce e sentirsi parte di una comunità. Per ottenere questo risultato creano un linguaggio codificato, prettamente grafico e basato sullo studio del lettering. Con il tempo le lettere mutano: si evolvono, si colorano, diventano più grandi e spesse e si aggiungono di elementi figurativi. Dietro alla creazione di un pezzo vi è uno studio costante e tenace. Le generazioni più giovani studiano le pratiche delle generazioni precedenti e i membri “anziani” fanno da maestri e da mentori ai nuovi adepti. Si crea così una propria tradizione che riecheggia quella millenaria della calligrafia orientale. A breve si intuisce la valenza estetica intrinseca in queste opere. Persino gli artisti più in auge del periodo iniziano ad attingere da questo fenomeno, il quale nel frattempo ha creato una sua cultura. I writer, ora considerati graffiti artists, iniziano a esporre in varie mostre ed esposizioni e il grande successo di questi eventi decretano l’ingresso dei graffiti nel mondo dell’arte ufficiale. Questo è il primo passo per la legittimazione del Graffiti Writing come forme d’arte. Sebbene i graffiti entrino in galleria, il movimento del Graffiti Writing continua, però, a prolificare anche nel tessuto urbano e inizia a espandersi in tutti i continenti, sotto forma di fenomeno di ribellione giovanile. Giovani da ogni parte del mondo, si riuniscono, bombolette alla mano, per cercare di rivitalizzare zone ed edifici, solitamente in luoghi periferici o degradati. Il Graffiti Writing è una disciplina seria: c’è uno studio, delle regole e dei codici da rispettare, una pratica costante da mantenere e incontri e convention specializzate sull’argomento. Per tutti questi motivi, non è quindi da confondere con le scritte sporadiche che si trovano sparse nelle città – spesso anche su monumenti o edifici di interesse storico-artistico – che sono meri atti vandalici e condannati dagli stessi writer. Si è visto poi, che con gli anni, il Graffiti Writing si è evoluto e molti artisti hanno sentito il bisogno di comunicare a livello artistico con la città, ma in altre maniere. Ecco, quindi, che la 153

Street Art è entrata di prepotenza nella scena urbana. La Street Art, per mezzo delle sue variazioni, come: Poster Art, Stencil Art, Sticker Art, installazioni e così via, ha trovato davanti a sè meno ostacoli, probabilmente per via dei suoi stilemi più figurativi e aperti rispetto a quelli del Graffiti Writing. Gli street artist sono giovani appassionati d’arte, la maggior parte con un background di studi artistici, consapevoli della loro arte e del mondo che la circonda. Con l’avvento degli anni Duemila, la Street Art invade anche altri ambienti, come la moda e il costume ed entra ancora di più nella nostra quotidianità. Inoltre, la Street Art compie un ulteriore passo verso il riconoscimento artistico ufficiale, poiché non viene più considerata solamente come fenomeno underground da ghettizzare, ma anzi, elemento da valorizzare. In tutto il mondo vengono organizzati festival e manifestazioni di Graffiti Writing e Street Art e le amministrazioni cittadine riconoscono il suo potenziale per azioni di riqualificazione urbana. Parallelamente agli interventi in strada, gli street artist espongono anche in mostre e gallerie, traslando i loro lavori su stampe, installazioni e tele e alcune opere vengono vendute anche all’asta. A questo punto viene da interrogarsi se l’Arte Urbana, una volta trasferita in galleria o in un museo, possa mantenere il suo status di “Street Art”. A questo scopo, è possibile confrontare due progetti italiani recenti, entrambi del 2014, che hanno adottato due metodologie curatoriali differenti per una mostra di Arte Urbana. Il primo è Avanguardie Urbane, un progetto curatoriale organizzato dalla galleria 999 Contemporary di Roma, che si pone come obiettivi quelli di riqualificazione urbana attraverso la Street Art e di sviluppo e diffusione della stessa. La particolarità del progetto è che per la prima volta si inserisce la figura del curatore in un contesto urbano. Come viene asserito anche sulla sua pagina web, infatti, Avanguardie Urbane:

“introduce il concetto di curatela sulla città basata sulla scelta della natura degli interventi di arte pubblica. Avanguardie Urbane avvia un processo di professionalizzazione del processo di crescita dell’arte urbana pubblica introducendo il concetto di “Curatore Urbano” o City Curator, una figura professionale che definisce lo schema curatoriale degli interventi di riqualificazione urbana e culturale, nelle sue forme site-specific, district-specific e city-specific, sia esse installative che pittoriche nelle dimensioni del piccolo, medio e grande muralismo attraverso lo studio delle pratiche di arte urbana, analisi dei linguaggi, analisi del contesto e metodologia critica specifica. Un lavoro svolto a diretto contatto con i municipi territoriali e le comunità locali.”213

213 http://www.999gallery.com/?p=12141 154

La galleria ha invitato street artist italiani e francesi, a intervenire in vari luoghi della capitale. Uno degli interventi più notevoli è stata la realizzazione di opere all’interno della stazione della metropolitana Spagna, a opera di sei street artist francesi e italiani, tra i quali C215 e Lucamaleonte. Il progetto culminerà poi con la mostra Urban legends. I Giorni Della Street Art”214, al MACRO di Roma dal 7 giugno al 10 agosto 2014, che ospiterà interventi indoor e outdoor. Tra gli italiani invitati ad esporre alla mostra appaiono: Eron, Moneyless, Lucamaleonte, Tellas, 108, Andreco. Questo progetto quindi si presenta come un ottimo punto di incontro tra arte “di strada” e “ufficiale”. Non viene snaturata la sua forma urbana, ma allo stesso tempo viene resa più facilmente fruibile, inserendola in un contesto museale. Avendo l’opportunità di ammirare le opere insieme in un’unica occasione, infatti, è possibile compiere un’osservazione e un’analisi globale del movimento. Inoltre, entrando in un museo per un’intera mostra dedicata, alla Street Art viene definitavemente riconosciuto il suo valore e la sua importanza a livello artistico-culturale. Il secondo esempio è un progetto di Street Art a Prato, a cura di Gianluca Marziani, in collaborazione con il Centro per l’arte contemporanea Luigi Pecci, realizzato a maggio 2014, che fa parte del programma “Prato Contemporanea”. Anche in questo caso sono stati invitati tra i più interessanti street artist nazionali, come, ad esempio: Lucamaleonte, Moneyless, Tellas, 108. In questa occasione, però, agli street artist non sono stati offerti dei muri dove poter intervenire, ma hanno creato opere su tela, le quali poi sono state poste in vari luoghi significativi della città (Bastione delle Forche e via Pier Cironi) successivamente alla loro realizzazione. In questo modo si crea un accostamento tra classico e contemporano interessante, ma d’altro canto probabilmente si perde il vero significato della Street Art. Il concetto di Street Art, infatti, è quello di intervenire sul tessuto urbano, di dialogare e interagire con esso, mentre in questo caso l’opera viene aggiunta in seguito e quindi non può fondersi completamente con l’ambiente, creando così un effetto di Street Art posticcia. É vero che molti street artist lavorano anche su tela, ma si tratta di un’attività parallela ai lavori di strada e quando espongono in galleria lo fanno in veste di artista contemporaneo e non di street artist. Come si è visto, la diffusione e la fruizione dell’Arte Urbana stanno assumendo varie forme. Questo perché l’Arte Urbana è un movimento ormai maturo, sempre più ricercato e sempre più seguito. Non essendo una forma d’arte convenzionale, si cercano sempre più metodologie curatoriali per riuscire a soddisfare i vari soggetti: dagli artisti, al pubblico, alle amministrazioni cittadine, al mondo dell’arte.

214 http://www.urbanlegendstheshow.com/?p=1 155

Alla luce di quanto detto e analizzato si può constatare che l’Arte Urbana non sia un fenomeno passeggero, ma è ben radicato nella storia e nella società. Si tratta di una corrente artistica completa, con una storia, un’evoluzione, delle regole e un numero sempre maggiore di estimatori. Possiede un obiettivo nobile, quello di utilizzare il mondo come tela e di rendere l’arte accessibile a tutti. Attualmente gli street artist sono i più ricercati da gallerie e musei e le loro opere vengono vendute a cifre astronomiche. Nonostante questo continuano ininterrotti la loro missione sulle strade. L’Arte Urbana ha portato una ventata d’aria fresca e una rivoluzione nel mondo artistico, quest’ultimo spesso troppo austero, rinchiuso entro le quattro mura delle gallerie e dei musei. L’arte si libera così delle sue catene e il mondo dell’arte non può far altro che assecondare questa nuova tendenza, diffondendola e, quando possibile, salvaguardandola. Si può in definitiva asserire che il Graffiti Writing e la Street Art siano effettivamente il nuovo capitolo dell’arte contemporanea.

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