Come tutte le guerre, e forse più delle altre, anche la Seconda Guerra mondiale aveva avuto il suo portato di tragedie e dolori fra la popolazione civile, che risentì delle difficoltà derivanti dalla situazione bellica anche oltre la fine del conflitto. Tra gli esempi più drammatici di questi strascichi della guerra vi sono i numerosi episodi di scoppi accidentali di ordigni bellici, rimasti abbandonati o inesplosi nel corso del conflitto. Nei mesi e negli anni successivi alla fine della guerra sono diversi anche nel Parmense, in cui praticamente ogni ha conosciuto fatti simili. La drammaticità di questi eventi è data principalmente dal fatto che vi furono coinvolti soprattutto bambini che per curiosità raccoglievano le bombe, ignorando di cosa si trattasse; episodi di questo tipo, cioè con vittime di età inferiore o di poco superiore ai dieci anni se ne trovano a , , Bardi, , Bore, , Borgotaro, , , , , Fornovo, , , , Pellegrino, Polesine, , , San Secondo, , , , Tizzano e . Alcuni di questi fatti furono resi ancora più tragici dal coinvolgimento di più persone della stessa famiglia, come a Fontanellato quando, il giorno 8 maggio 1946, Luciano Pallini e il cuginetto Vito giocarono con un misterioso oggetto trovato nell’aia, che si rivelò essere una bomba che esplose uccidendoli. Lo stesso paese aveva conosciuto una tragedia simile anche in tempo di guerra ed esattamente il 19 dicembre 1944 quando il bimbo di nove anni Armando Grossi perse la vita allo stesso modo dei due cuginetti. Anche nel paese di Varsi si verificò un dramma simile, che vide coinvolti i piccoli pastori Bruno e Marino Belfiori, Adolfo e Giuseppe Casella e Giorgio Zanelli, che avevano raccolto un ordigno mentre stavano portando le pecore al pascolo. Rimase mutilata, ma comunque in vita, la bimba Albina Costa, che aveva raccolto tre bombe dalla strada. Anche il paese di San Polo di conobbe una tragedia simile, in cui furono coinvolti quattro bambini: Lanzi Mirco, di sette anni, e tre dei fratelli Dominici: Remo, di sedici anni, Amneris, sei anni e Osvaldo, tre anni.

La famiglia Dominici -composta dal padre Nello, dalla madre Cesira Tosi e dai figli Remo, Franco, Carmen, Ariella, Amneris, Osvaldo e Maurilio- era originaria di Casale di e si era trasferita a Gainago il giorno 11 novembre 1945, per lavorare nell’azienda agricola gestita dalla famiglia Adorni. A Casale erano entrati in contatto con la dura realtà della guerra; la loro abitazione era infatti situata vicino al comando tedesco e questo costituiva per la famiglia una fonte costante di preoccupazione: a parte le serate di baldoria dei soldati che, ubriachi, sparavano colpi a casaccio, la caserma era un punto sensibile, sottoposto alle ricognizioni alleate. La figlia Carmen ricorda che una sera «Pippo aveva buttato giù tanta di quella roba» che il mattino successivo il tetto e il fossato erano «pieni di piccole bombe con alette e un gancio in mezzo»1 che furono tolte dagli abitanti attraverso marchingegni rudimentali formati da fili e rampini per barbabietole. La presenza dei tedeschi non si faceva sentire solamente perché causa di incursioni alleate ma anche nella frequentazione da parte dei soldati di casa Dominici, che andavano da loro perché il padre Nello conosceva la lingua tedesca, avendo lavorato in Germania per la campagna delle barbabietole. Fra di loro c’era chi era un po’ burbero ma anche chi cercava qualcuno con cui sfogarsi perché stanco dalla guerra a cui aveva partecipato controvoglia e desideroso di tornare in Patria dalla famiglia, come quel soldato che portava le sigarette al padre e che «al cridäva sempör» perché aveva quattro figli a casa. I problemi del tempo di guerra sono ancora oggi ben presenti nella memoria di Carmen Dominici, che, essendo la femmina più grande, aiutava la madre a gestire i bimbi piccoli e più di una volta, quando tornava dai campi dove aveva portato i fratellini alla madre per l’allattamento, si era trovata a doversi gettare in un fosso per ripararsi dai bombardamenti. Nonostante le difficoltà causate dalla circostanza bellica, la famiglia Dominici non era mai arrivata a fare la fame: il padre lavorava in un caseificio e ogni tanto portava a casa del latte mentre la figlia maggiore andava a fare qualche

1 Testimonianza resa da Carmen Dominici il giorno 4 marzo 2008 a San Polo di Torrile. lavoretto per le famiglie vicine per i quali veniva pagata sotto forma di cibo. Spesso il latte veniva regalato a tre russi prigionieri dei tedeschi, che dormivano all’aperto sotto le viti. I dolori e le difficoltà arrivarono con il loro trasferimento a Gainago. Pochi giorni dopo il loro arrivo, infatti, accadde la tragedia che avrebbe cambiato per sempre le loro vite. Nella bella mattina di giovedì 15 novembre Remo, il più grande dei figli dei Dominici, entrò in un forno per cuocere il pane che veniva utilizzato come magazzino, per cercare il ferro per tagliare il fieno. Dentro al magazzino c’era Paolino Lanzi, il capolavorante, che mandò via il ragazzo che però aveva già notato qualcosa che sembrava un giocattolo e chiese che cos’era. Lanzi rispose ripetendo al ragazzo di andare via e di non andarci accanto. Le testimonianze raccolte discordano sulla questione se Lanzi avesse specificato o meno che l’oggetto in questione fosse una bomba. Anche il perché la bomba si trovasse nel magazzino non è chiaro; infatti, se c’è l’accordo sul fatto che chi l’avesse messa lì potesse essere stato un parente dei Lanzi che viveva a casa loro, per la precisione il fratello celibe della madre, Ugo, c’è disaccordo sul motivo; comunque, con tutta probabilità, la bomba era stata messa lì pensando che fosse un luogo sicuro e perché Ugo era in grado di disinnescarla, essendo stato in guerra in Africa. In ogni caso la curiosità vinse Remo, che aspettò che il capolavorante uscisse dal magazzino e andò a recuperare l’oggetto che sembrava un giocattolo, poi si fermò davanti a casa, dove si raccolse un gruppetto formato dai fratelli Gian Franco, quindici anni, Ariella, otto, Amneris, sei e Osvaldo, tre, a cui si aggiunse il figlio del capolavorante, Mirco, di sette anni. La signora Dominici era in casa per pulire il figlio più piccolo che si era sporcato giocando. Gian Franco, chiamato da tutti Franco, disse al fratello di buttare via quello che aveva in mano, per tutta risposta lui picchiò la bomba contro il muro; la scena si ripeté una seconda volta, ma questa volta l’ordigno esplose. Erano le ore 13.30, come affermato dal medico condotto del paese, dottor Giulio Tosi, chiamato d’urgenza per constatare la morte di Remo, Osvaldo e Amneris Dominici e per medicare i sopravvissuti Franco e Ariella Dominici e Mirco Lanzi. Remo aveva riportato l’asportazione completa dell’avambraccio destro, la manica del giubbotto fu rinvenuta nei pioppi dietro la casa ma il braccio non fu più ritrovato. Amneris era stata penetrata da schegge nella regione anteriore del torace e al viso, Osvaldo aveva riportato una grave ferita lacera alla coscia sinistra e uno choc traumatico2. Franco era stato ferito gravemente alla regione mastoidea destra con danni al padiglione auricolare, che lo portarono alla sordità mentre le ferite da schegge al corpo erano state giudicate guaribili in trenta giorni; le lesioni di Ariella invece avevano una prognosi di venti giorni ed erano al corpo e alla gamba destra e una più grave alla spalla destra. La prognosi di Mirco Lanzi era invece riservata, presentando una ferita penetrante alla parte sinistra del torace e ferite al viso3; morì il giorno successivo alle ore 11.154. A San Polo erano già successi almeno due fatti simili: uno il giorno 8 maggio 1945, quando Alfredo Pelagatti5 rimase ferito da uno spezzone mentre falciava l’erba e uno il giorno 16 aprile quando Pasquale Zoni rimase ucciso e il fratello Arnaldo ferito molto gravemente da uno scoppio di spezzoni mentre portavano a casa un carico di erba6.

Il fatto del 15 novembre suscitò subito una grossa impressione nel paese, soprattutto per il numero e per l’età delle vittime. La “Gazzetta di Parma” gli dedicò due piccoli articoli: uno il giorno 17 novembre, che riporta la notizia dei soli feriti; e l’altro il giorno 21 novembre che completa la

2 I certificati di morte si trovano nell’Archivio Storico del Comune di Torrile, anno 1945, Cat. IV Sanità e igiene, classe VI polizia mortuaria e cimiteri. 3 I certificati medici si trovano nell’Archivio Storico del Comune di Torrile, anno 1945, cat. XV Pubblica sicurezza, classe VIII avvenimenti straordinari e affari vari interessanti la ps, fascicolo 1 avvenimenti straordinari interessanti la ps. 4 Comune di Torrile, registro degli atti di morte, n.47. 5Archivio Storico del Comune di Torrile, anno 1945, cat. XV Pubblica sicurezza, classe VIII avvenimenti straordinari e affari vari interessanti la ps, fascicolo 5 infortuni: norm di ps per la prevenzione-omicidi-suicidi-investimenti-scomparsa di persone-varie. 6 Archivio Storico del Comune di Torrile, anno 1945, Cat. IV Sanità e igiene, classe VI polizia mortuaria e cimiteri. notizia riportando anche i nomi dei bimbi rimasti uccisi. La sorella dei Dominici ricorda che al funerale c’erano tantissime persone, provenienti da diversi paesi della Bassa e che molti venivano a casa loro per vedere dove era successo il fatto; veniva anche molta gente da Mezzani, dove la famiglia Dominici abitava prima e dove era conosciuta. Dopo la tragedia, la famiglia rimase presso l’azienda Adorni per circa un anno e poi se ne andò, non riusciva, infatti, a rimanere ancora nel luogo dove avevano perso la vita tre dei suoi membri. A ciò si aggiunsero problemi con la famiglia dei proprietari: due mesi dopo il fatto, saltò infatti fuori che i padroni erano a conoscenza della presenza della bomba ma non avevano detto niente, nonostante la nuova famiglia avesse bimbi piccoli. Ciò fece ovviamene infuriare Nello Dominici che rincorse il padrone che era venuto a trovarlo con una roncola. Gli Adorni, inoltre, dovevano 70 kg di frumento al mese ai Dominici ma non lo consegnavano mai perché praticavano il mercato nero, si giungeva quindi a diversi scontri, anche con minacce. In linea di massima erano però poche le volte che Dominici reagiva alle diverse angherie dei proprietari perché c’era la necessità di lavorare, acuita dalla perdita del figlio maggiore che già portava a casa qualche soldo, infatti vi era l’accordo di una mezza paga anche per Remo e Franco. L’astio per i padroni sorgeva però principalmente dal loro essere a conoscenza della presenza della bomba e dal sospetto di aver interferito con le indagini dei carabinieri: Carmen Dominici afferma infatti che la figlia di Adorni, «che era lei che comandava», era una «fascistissima» ed era imparentata con il podestà e definisce chi avrebbe dovuto svolgere le indagini «tutta una congrega fascista»7.

Il fatto colpì molto il paese, tanto che chi aveva vissuto quel periodo se lo ricorda ancora oggi. Carmen racconta che tutte le volte che va dal dottore o in qualche altro posto dove trova qualcuno di quei tempi, c’è sempre chi le parla di quell’avvenimento. Ella si rammarica però che, in contrasto con la partecipazione emotiva del paese, da parte delle istituzioni non ci sia mai stato qualche tipo di ricordo del fatto, a parte la menzione delle quattro vittime nel monumento ai caduti di tutte le guerre eretto a San Polo.

La tragedia ovviamente sconvolse la vita delle due famiglie che si portano dentro ancora oggi l’ombra di quel drammatico fatto. Non passa domenica infatti che i fratelli Dominici, quando si ritrovano a pranzo, non ritornino ancora a quel fatto, così come la cugina di Mirco Lanzi che, da bambina era ospitata dagli zii, sentiva sempre il racconto dell’avvenimento. Le due famiglie, per la tragicità dell’evento, fanno comunque fatica a rielaborare il lutto e ognuna di esse cerca un possibile capro espiatorio a cui potersi aggrappare. I Dominici pensano che Lanzi avrebbe dovuto dire che c’era una bomba ed essere meno vago mentre i Lanzi ritengono che Remo avrebbe dovuto essere più attento, visto che era il figlio maggiore. Carmen Dominici nota, inoltre, con amarezza il destino paradossale del fratello maggiore, scampato ad un’incursione tedesca ma morto dopo la fine della guerra. Come molti altri ragazzi della sua età, Remo andava “a garzone” in alcune famiglie; un giorno si trovava a Frassinara, in una corte dove erano nascosti diversi inglesi. I tedeschi lo scoprono e di notte irrompono nell’abitazione, deportando due membri della famiglia. Remo riesce invece a salvarsi perché nascosto in un tino per il verde rame da spruzzare alle viti.

La cugina di Mirco Lanzi riporta che in famiglia ci sono due versioni del fatto, una dice che i bimbi sono morti tutti sul colpo però si ricorda che la zia ci teneva a sottolineare che il cugino era morto per ultimo, per evidenziare il fatto che avesse sofferto maggiormente, affrontando anche alcuni giorni -in realtà uno solo- di agonia.

7 Testimonianza resa da Carmen Dominici il giorno 4 marzo 2008 a San Polo di Torrile.

BIBLIOGRAFIA

• Archivio Storico del Comune di Torrile, anno 1945, categorie IV e XV • Gazzetta di Parma • Testimonianza di Carmen Dominici, 4 marzo 2008 a San Polo di Torrile. • Testimonianza di Mirca Mangiavacca, 6 marzo 2008 a San Polo di Torrile. • V. Barbieri, La popolazione civile di Parma nella guerra 40-45, Parma, Associazione nazionale vittime civili di guerra sezione di Parma, 1975