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Pieve S. Stefano
ID: 3252 N. scheda: 40300 Volume: 4; 6A Pagina: 237 - 238, 245 - 257; 79 - 80 ______Riferimenti: Toponimo IGM: Pieve S. Stefano Comune: PIEVE SANTO STEFANO Provincia: AR Quadrante IGM: 108-3 Coordinate (long., lat.) Gauss Boaga: 1745221, 4839661 WGS 1984: 12.04257, 43.67104 ______UTM (32N): 745284, 4839836 Denominazione: Pieve S. Stefano Popolo: S. Stefano a Pieve S. Stefano Piviere: S. Stefano a Pieve S. Stefano Comunità: Pieve S. Stefano Giurisdizione: Pieve S. Stefano Diocesi: (Città di Castello) - Sansepolcro Compartimento: Arezzo Stato: Granducato di Toscana ______
PIEVE, PIEVINA, PIEVE VECCHIA, PIEVACCIA ( Plebs ). - Nomi generici rimasti a molte chiese battesimali di campagna abbandonate, le quali sebbene mancanti del titolo specifico ci richiamano per avventura, non dirò all'epoca dello stabilimento delle diocesi ecclesiastiche, ma sivvero all'età delle prime chiese sottomatrici, il cui distretto giurisdizionale servì più tardi di modello al perimetro civile delle respettive comunità. - Avvagnachè il pievano, come dissi all'Articolo BOSSOLO (S. PIERO in) era nel tempo stesso il rettore delle anime del suo piviere, ed il sindaco di quella stessa popolazione, ossia comunità. Così la casa di Dio serviva anche di sala comunitativa, e le campane della pieve chiamavano il popolo ad un doppio oggetto, cioè a cantare le glorie di Dio e a salvare nelle occorrenze dai pericoli la patria; Ad Dei gloriam et Patriae liberationem , tale si è il motto costante che leggesi scolpito in quelli strumenti sonori. Dondechè potrebbe giovare alla storia il rintracciare nei nomi generici di Pieve vecchia i luoghi dove il popolo, ossia la plebe di quel tal distretto soleva riunirsi per adempire ai doveri di cristiano e a quelli di cittadino. Quindi le suddivisioni delle chiese succursali, ossiano parrocchie suffraganee di ciascuna pieve nei secoli posteriori al mille
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servirono di norma a formare altrettanti comunelli, rappresentati da una di quelle piccole popolazioni, la riunione delle quali costituiva la comunità più o meno vasta a tenore dell'estensione di quel dato piviere.
PIEVE SAN STEFANO ( Plebs S . Stephani , una volta OPPIDUM VERONAE ) nella Valle superiore del Tevere. - Terra murata che porta il nome dalla sua chiesa arcipretura con insigne collegiata, capoluogo di un'antica comunità ( MASSA di VERONA , poi VISCONTADO DI VERONA ) ( ERRATA : residenza di un Vicario regio) già residenza di Vicario Regio, e ora di un potestà, e di un ingegnere di Circondario, nella Diocesi di Sansepolcro, una volta di Città di Castello, Compartimento di Arezzo. Risiede sulla ripa destra del fiume Tevere alla confluenza del torrente ( ERRATA : Arcione ) Arscione che rasenta le sue mura dal lato occidentale mentre il Tevere le bagna dal lato orientale innanzi di passare sotto tre archi di un ponte di pietra, alla di cui testata destra esiste la Terra. Essa trovasi braccia 790 circa sopra il livello del mare, fra il grado di longitudine 29° 42' 2' e il grado di latitudine 43° 50' 3'', 9 miglia a settentrione-maestro di Sansepolcro, 10 a settentrione di Anghiari, 20 miglia a grecale di Arezzo, 14 a ponente, di Sestino, 7 miglia a scirocco del Sacro Eremo dell'Alvernia, e 12 miglia a ostro dalle sorgenti del Tevere. Io non ripeterò la vecchia tradizione invalsa fra molti che cotesto paese sia stato edificato dai Romani nella Massa Trabaria, chiamandolo SUPPETIA a suppeditando trabes ; nè anche dirò che esso debba la sua origine agli Aretini, siccome altri supposero, appellandolo Castelfranco , cambiategli un secolo dopo il nome in quello di Castel S . Donato , e finalmente di S . Stefano titolare della sua chiesa plebana. Avvegnachè non solo mancano documenti sincroni per trovare a coteste leggende un qualche appoggio, ma è cosa certa che cotesto paese o non ebbe i nomi di sopra immaginati, o se uno ne ebbe, questo risale ad una età assai più antica, quando appellavasi Castel di Verona . A conforto di un tal vero prestasi ciò che fu annunziato agli Articoli BADIA TEBALDA e MASSA. VERONA, cui rinvio il lettore; tostochè nel primo rammentai una provincia poco conosciuta nella Corografia italiana del Medio Evo, quella cioè dell' Alpi Appennine , decretata dall'Imperatore Giustiniano e descritta da Paolo Warnefrido nella sua opera De Gestis longobardorum . (Lib.II. cap. 15.). La qual provincia abbracciava la parte più silvestre e più centrale del nostro Appennino circoscritti fra Montefeltro , Urbino , Bagno e Sarsina sino alla foresta del Trebbio e compresovi il Castel di Verona . Anco all'Articolo CAPRESE aggiunsi, qualmente i primi dinasti del territorio della Pieve S. Stefano e di Caprese cominciano a comparire in un privilegio di Ottone I del di 7 dicembre dell'anno 967, dato in Ostia presso Roma, col quale furono confermati al nobile Goffredo figlio che fu d'Ildebrando i possessi delle corti d' Ivona (sic) posti nel contado aretino, quelli di Vivario , di Compito , di Clotiniano , di Cennina (sic) nel contado di Chiusi (casentinese), la corte di Paterno , la casa maggiore del Trivio posta nel detto contado aretino , e il feudo della Massa di Verona . Il distretto della qual Massa di Verona fu ivi indicato con i confini seguenti: da un lato la foresta che dicesi Caprile , dal secondo lato il territorio di Monte Feltro , dal terzo lato il distretto di Bagno , mentre dal quarto lato percorrono i suoi confini sino in Pietra Verna , e alle Calvane , (due sommità dell'Appennino che stendonsi da Camaldoli all'Alvernia). Per la quale descrizione mi sembrò consentaneo al vero ravvisare nel perimetro della Massa di Verona il distretto comunitativo della Badia Tedalda, della Pieve S. Stefano e di quello di Caprese. Resta soltanto a sapere, se quel Goffredo fedele di Ottone I fu o no discendente de'conti di Galbino, di Caprese, di Chiusi, di Montedoglio, ecc. I quali dinasti si sa che sino dal secolo XI dominavano in cotesta contrada, quando erano
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patroni della pieve di ( ERRATA : Stantino ) Stratino , fra Caprese e la Pieve S. Stefano, della badia di S . Maria a ( ERRATA : Decciano ) Dicciano , e di molte altre chiese della stessa contrada. - Vedere ANGHIARI, BADIA A ( ERRATA : DECCIANO) DICCIANO, e TIFI, CAPRESE, ecc. In qual modo poi il territorio della Pieve S. Stefano portasse il nome del capoluogo, ossia della Massa di Verona , frustanee riescirono finora le ricerche, nè alcuna iscrizione o medaglia, o altra memoria anteriore al secolo XII concorre a schiarirne il dubbio. Infatti, se nelle carte della Badia di S. Maria a ( ERRATA : Decciano) Dicciano sotto Caprese sino dall'anno 1080 (22 marzo) e 1082 (12 marzo) rammentano giurisdizioni e diritti che i nobili di Chiusi, di Anghiari o di Galbino avevano in molti luoghi del distretto di Caprese, della Pieve e della Badia Tedalda, dove si parla del padronato della chiesa plebana di ( ERRATA : Stantina ) Stratina e di altre cappelle, non vi è però rammentato nè il paese nè la chiesa della Pieve S. Stefano. Di questa pieve bensì è fatta parola in un privilegio del Pontefice Innocenzo III del 13 maggio 1198 a favore del Monastero stesso di S. Maria in ( ERRATA : Decciano) Dicciano, cui confermò tutte le possessioni e chiese state dagli antichi patroni a prò di quello rinunziate fra le quali è nominata la pieve di S. Cassiano (di Stantina ossia di Caprese) e quella di S. Stefano presso il Tevere con le corti di Pietra Nera, di Mignano e di Siutigliano unitamente alla sua chiesa di S. Giorgio. Che poi cotesta Pieve di S. Stefano fino dai primi anni del secolo XIII avesse il titolo di arcipretura, lo dichiara un diploma di Federigo II del novembre 1220 dato in Monte Mario presso Roma, del quale conservasi copia nell'Archivio Vescovile di Città di Castello nel libro detto de'Quinterni a carte 241. Il diploma di che si tratta è diretto a Guido arciprete della Pieve di S. Stefano della diocesi Castellana, col quale volendo l'Imperatore migliorare lo stato di essa chiesa ed i suoi effetti, dichiara di prendere la medesima sotto la protezione imperiale assegnando all'arciprete la terza parte dei proventi del mercato e del pedaggio solito esigersi in qualsiasi luogo del suo pievanato, ec. Di epoca alquanto posteriore al diploma suddetto sono i primi statuti della Pieve S. Stefano, e dei castelli e ville della Val di Verona , i più antichi dei quali portano la data dell'anno 1269. Dai documenti testè citati apparisce che la Pieve S. Stefano probabilmente sino dalla sua origine doveva dipendere per l'ecclesiastico dai vescovi della Città di Castello, mentre dal diploma del 7 dicembre si scuopre che la contrada della Massa di Verona era soggetta pel civile e criminale, siccome lo fu nei secoli posteriori, al comune di Arezzo. Quindi si spiega la ragione, per la quale i Borghesi uniti con i Perugini signori di Città di Castello nel 1269 assalirono, presero e atterrarono gran parte del castello della Pieve S. Stefano, dondechè gli Aretini nell'anno stesso assistiti dai loro amici corsero in Val Tiberina ad assediare il Borgo S. Sepolcro, in guisa che costrinsero gli assediati a soggiacere a condizioni di pace un poco dure, fra le quali si conta che fosse quella di rifare alla Pieve S. Stefano il ponte e la chiesa principale in gran parte stata da essi poco innanzi disfatta, con obbligo di recare annualmente ad Arezzo il tributo del palio nel giorno della festa di S. Donato. - (ANNAL. CAMALD. T. V) Nel tempo stesso gli Aretini concessero agli abitanti della Pieve S. Stefano larghe capitolazioni, e l'approvazione dello statuto parziale che si erano dati. Per modo cha si può dire che il territorio della Pieve S. Stefano offre per avventura un esempio simile a quello che si scuopre fino dall'anno 712 nella controversia insorta fra il vescovo di Arezzo e il vescovo di Siena, quando, cioè molte pievi della diocesi aretina facevano parte del contado senese; nella stessa guisa che nei secoli intorno al mille la diocesi di Città di Castello annoverava diverse pievi dentro il contado aretino. Era il distretto della Pieve S. Stefano sotto il governo di Arezzo quando Guido Tarlati vescovo e capitano generale degli Aretini unitamente al di lui fratello Pier Saccone s'impadronì di tutti i paesi della Val Tiberina, conquista che quei due
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valent'uomini, dopo aver soggiogato e oppresso i conti Ubertini, quelli di Montedoglio e Caprese, Neri di Uguccione della Faggiuola e molti altri dinasti di quella contrada, rivolsero a profitto della propria casa. Quindi avvenne che i nobili della stirpe Tarlati divennero signori di un vasto principato. Infatti dall'anno 1325 in poi nella Terra di Pieve S. Stefano risedeva un visconte che, a nome di Pier Saccone Tarlati signore del luogo, faceva ragione sopra gli uomini di tutto il Viscontado di Verona o della Val di Verona . Allorchè poi Pier Saccone e Tarlato suo fratello col trattato del 7 marzo 1337 (stile comune) sottomisero per dieci anni alla Signoria di Firenze Arezzo con tutti i paesi del suo contado, furono eccetuate da quella convenzione le terre e castella di dominio speciale de'Tarlati, le quali non erano meno di 50, col patto espresso che i Fiorentini fossero obbligati a difendere e mantenere a Pier Saccone ed ai suoi consorti tutti i loro castelli e giurisdizioni. Ma non corse molto tempo dacchè Pier Saccone in compagnia di altri della famiglia Tarlati tentò di ribellarsi dal Comune di Firenze; e ciò accadde poco prima che arrivasse e fosse accolto dai Fiorentini quasi in loro principe Gualtieri duca d'Atene. Appena che questi fu dichiarato signore generale di quella Repubblica tutti i popoli di sua giurisdizione, compresi quelli dell'aretino contado, dovettero inviare per mezzo dei loro sindaci il giuramento di fedeltà e ubbidienza al duca di Atene; tra i quali furonvi anco i paesi del Viscontado di Verona , ossia del territorio della Pieve S. Stefano. All'Articolo MASSA VERONA furono accennati tre istrumenti del 16 ottobre, 8 e 15 dicembre 1341, coi quali gli uomini de'castelli di Valsavignone , di Calanizza , di Sintigliano , di Cardonico , di Bulciano e Bulcianello compresi nel Viscontado di Verona , contado di Arezzo , nominarono i respettivi sindaci ad oggetto di recarsi a Firenze a giurare per essi fedeltà e obbedienza al duca Gualtieri come signor generale delle città di Firenze e di Arezzo e respettivi contadi. Ma dopo la cacciata del duca d'Atene gli Aretini essendosi emancipati dalla dipendenza de'Fiorentini, anche ai Tarlati di Pietramala riescì di riprendere il dominio delle loro terre e castella, fra le quali questa della Pieve S. Stefano. Sennonchè nel 1360 essendo stati i Tarlati potentemente assaliti nei loro castelli dalle armi fiorentine e specialmente in Bibbiena, dove si erano più che altrove fortificati, la caduta di cotesta terra forte portò dietro la rovina di quella potente famiglia aretina. Avvegnachè, non solo il castel della Pieve S. Stefano, ma la rocca di Chiusi, dentro la quale era Guido figliuolo di Pier Saccone, e tutti i paesi della Val Tiberina superiore che ubbidivano alla consorteria de'Tarlati si ribellarono da essa per darsi di nuovo al Comune di Arezzo, cui erano stati quei castelli per antico diritto dall'Imperatore Carlo IV con diploma del maggio 1356 confermati. Contuttociò riescì ai Tarlati di rientrare al dominio della Pieve S. Stefano, siccome lo dimostra il fatto accaduto nei primi giorni dell'anno 1385, poco dopo cioè che la Repubblica Fiorentina aveva riacquistato per compra la città di Arezzo col suo contado, quando fu cura dei Dieci di Balia di guerra d'inviare nel territorio aretino una mano di gente armata per riconquistare quelle castella che i Tarlati, gli Ubertini ed i conti di Montedoglio occupavano nel contado e giurisdizione di Arezzo, nelle di cui ragioni era sottentrato il Comune di Firenze. Infatti gli uomini della Terra di Pieve S. Stefano nel 6 di gennajo del 1385 (stile comune) si erano dati volontariamente alla Repubblica Fiorentina e nelle capitolazioni concesse loro nel dì 10 del mese medesimo fuvvi la condizione, che niuna persona della famiglia Tarlati, nè di quelle della Faggiuola, nè de'conti di Montedoglio e degli Ubertini, le quali nel tempo indietro ebbero dominio in varie castella della Val di Verona , potesse stare e nemmeno entrare nella terra suddetta. Non corse gran tempo che la Signoria di Firenze approvò li statuti privati del castello della pieve di S. Stefano, e degli altri luoghi e ville del suo distretto, designato sempre col nome di Val di Verona . Dondechè in alcune rubriche di
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quello statuto si rammentano gli uomini del Castel di Verona , aut de aliqua terra Veronae, vel alicuius Universitatis in Castro Plebis, et mercatali ipsius Catri; etiam in castris et villis aliis Veronae , ecc. ecc. Cotesta unione del territorio di Verona, ossia delle ville e castella del distretto comunitativo della pieve S. Stefano sotto un solo giusdicente o potestà dovè accadere dopo le pratiche seguenti. Sotto dì 18 gennajo 1391 ( stile comune ) nel castel della pieve S. Stefano fu stipulato un mandato di procura degli uomini della comunità di Pietra Nera della Val di Verona nella persona d'Jacopuccio di Vaglione di detto comunello affinchè si presentasse in firenze all'uffizio de'Priori delle arti e Gonfaloniere di giustizia per chiedere l'unione del comunello di Pietra Nera alla giurisdizione e comunità della Pieve S. Stefano. Anche nel dìì 11 aprile del 1399 il comunello di Acqua Fredda nel distretto della Val di Verona, e nel 21 maggio del 1403 gli uomini della Val di Verona abitanti nel castel di Roti, contado di Arezzo, e allora distrettuali di Firenze, adunati in consiglio stabilirono di fare al governo la domanda della stessa unione al capoluogo. - Vedere MASSA VERONA . In questo frattempo si era affacciato uno degli antichi pretendenti sopra alcuni paesi della Val di Verona, don Gregorio abate del Monastero di S. Maria del Trivio nella Comunità di Verghereto, Diocesi di Sarsina, il quale con istrumento del 20 dicembre 1392 stipulato nel Castello di Savignone protestò che appartenevano al suo monastero a titolo di reversione alcuni diritti sopra le corti di Bulciano e Bulcianello , del Castellare , di Cirignone , Calaniccia , Fratelle , Vol Savignone e altrove. Ma simili proteste riescirono senza effetto, tostochè le ville e popolazioni prenominate per deliberazione della Signoria di Firenze del 39 aprile 1399 furono riunite con la denominazion di Val di Verona sotto un solo potestà residente nella Terra di Pieve S. Stefano. A cotesta unione dei vari comuni del Viscontado di Verona , sono una sola magistrutura civile potrebbe riferire un bel sigillo della Comunità della Pieve S. Stefano, di cui si servono da gran tempo gli arcipreti di quella chiesa collegiata. Avvegnachè esso ha nel mezzo sopra un fiume (il Tevere) la figura in piedi del santo protomartire con banderola nella sua destra, nella quale è scolpito il marzocco, stemma della Repubblica Fiorentina. Sopra entrambe le ripe del fiume figurano due castelli, uno a tre, l'altro a due torri, per dimostrare, io suppongo, il patrocinio del santo Levita sopra tutti i castelli della Val di Verona tanto alla destra, come è quello della Pieve S. Stefano, quanto alla sinistra del fiume, come sono i Castelli di Val Savignone, di Roti ecc. Nel contorno poi del sigillo leggesi in lettere romane di ottima forma la seguente iscrizione: S. UNIVERSITATIS VERONE DISTRICTUS ARETII Solamente dovrebbesi sostituire Comitatus al Districtus Aretii essendochè 1' Università ossia la Comunità di Verona era compresa nel contado di Arezzo, distretto bensì di Firenze. In grazia pertanto di cotesta unione il potestà che risedeva nella Terra della Pieve S. Stefano, sino al secolo XVI, esercitò la giurisdizione civile, sopra tutto il territorio della Val di Verona , il quale rispetto alla giurisdizione criminale e politica dipendeva dal Vicario d'Anghiari, di che fa fede per tutti lo statuto fiorentino dell'anno 14l5. Nel balzello poi che fu imposto dal Comune di Firenze nel 1444 la potesteria, ossia il distretto della Pieve S. Stefano venne gravato nella somma di 90 fiorini d'oro, 75 de'quali toccarono al capoluogo. All'occasione della sedizione degli Aretini accaduta nel giugno del 1502 quando fu accolto nella loro città Vitellozzo Vitelli con numerosa oste fra i quali molti fiorentini fuorusciti col pretesto di rimettere la casa de'Medici in Firenze, cotesta ribellione contro il governo della Repubblica si tirò dietro anco la perdita di Anghiari, del Borgo S. Sepolcro,
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della Pieve S. Stefano, di Caprese e di altri paesi della Val Tiberina, sebbene di li a non molto gli uomini della Pieve e del suo distretto ritornati alla devozione della Signoria di Firenze, rinnovassero l'atto di sottomissione, che fu accettato senza pregiudizio dell'antecedente dominio. Di un'azione valorosa fatta dagli abitanti della Pieve parlano le storie del Varchi e del Guicciardini all'anno 1527, quando il duca di Borbone coll'esercito imperiale dirigendosi dall'alta Italia verso Roma attraverso l'Appennino il più malagevole della Toscana, passando per Bagno e Verghereto, di la penetrò nella Valle superiore del Tevere alla Pieve, al di cui castello non trovando facile accesso diede due volte l'assalto. Ma per la virtù di Antonio Castellani che vi era commissario per la Repubblica Fiorentina fu da quegli abitanti animosamente difeso. - (B. VARCHI, Istor . fior . Lib . II .) Caduta però nel 1530 Firenze in potere dei Medici, anche la Pieve S. Stefano inviò i suoi rappresentanti a giurare obbedienza al duca Alessandro, il di cui successore eresse la Pieve S. Stefano in capoluogo di un Vicariato come dalla legge del 31 dicembre 1545 apparisce. Dopo quell'epoca gli abitanti della Pieve e di tutto il suo vicariato, da cui dipendeva per il criminale la potesteria di Caprese e Chiusi, siccome ora vi dipende unche per il civile la Comunità di Verghereto, da quell'epoca in poi gli uomini di cotesta contrada si sottomisero tranquilli allo Stato politico di Firenze. Chiese e Stabilimenti pii . - La chiesa principale, il di cui parroco fino dal secolo XII godeva il titolo di arciprete, fu eretta in collegiata insigne nel 1569 al tempo di Monsignor Niccolò Tornabuoni secondo vescovo della città di San Sepolcro. Il materiale della medesima per verità non corrisponde alla sua dignità, meritando di essere ingrandito ed ornato, molto più che alcuni altari sono forniti di buone pitture. Citerò fra questi un quadro della Misericordia dipinto, al parere dei più, da Piero della Francesca; il quadro della Natività attribuito al Ghirlandajo; le pitture della passione sotto l'immagine del Crocifisso al suo altare, che stimansi di Raffaellino dal colle, ed un quadro di S. Lucia creduto di Luca Signorelli di Cortona. Ma una pittura di maggior pregio trovasi nella chiesa della Madonna de'Lumi de'Minori Osservanti fuori della Terra, consistente in due tavole alte circa un braccio e lunghe braccia tre per cadauna rappresentanti una processione di Angeli e dipinte da Santi di Tito; il che potrebbe revocarsi in dubbio per quanto a tergo delle medesime sia stato scritto il suo nome, mentre alcuni periti dell'arte giudicarono quell'opera fatta da un più squisito pennello come fu quello di pierino del Vaga. La chiesa della Madonna de'Lumi è a croce greca piuttosto grande e svelta con cupola. Fu edificata con le oblazioni del popolo raccolte dal 1589 al 1625. Vi è annesso un claustro, dove la Comunità chiamò i Frati Cappuccini, cui nel 1783 sottentrarono ai Padri Zoccolanti, i quali vi hanno raccolto una buona biblioteca ricca di varie edizioni del secolo XV. Anche nella compagnia di S. Francesco dentro la Terra trovasi all'altar maggiore un gran quadro di terra in vernice bianca e di rara bellezza fatto dai nipoti di Luca della Robbia. Esso rappresenta la Nostra Donna in mezzo ad una gloria d'angeli e più in basso quattro santi con il nome da piedi di tre fratelli Tronconi della Pieve S. Stefano che lo fecero fare nell'anno 1514. Anche la facciata del palazzo pretorio è adornata di molti stemmi di terra della Robbia relativi ai varii giusdicenti fiorentini che vi risederono nei secoli trapassati. Davanti allo stesso pretorio havvi una copiosa fonte con gran vasca, in cui esistono sebbene guaste le due figure di Gesù Cristo e della Samaritana formate pur esse di terra della Robbia. Il monastero delle Clarisse soppresso nel 1808, era stato edificato nell'anno 1514 con le oblazioni dei fedeli, e con l'elemosine elargite dalla Comunità della Pieve, la quale donò anco il terreno per fabbricarvi la clausura. Gli statuti della Pieve S. Stefano rammentano un ospedale esistito fuori del paese, da lunga mano soppresso.
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Il castellano di cotesta Terra murata nello statuto fiorentino del 1415 è classato fra quelli di secondo grado. ( Lib . III . Tract . II . Lib . V Rubric . 172 ). Esiste ancora gran parte del recinto delle sue mura corredate di baluardi con qualche torre sopra le quali sono state edificate e appoggiate diverse abitazioni private. Il fabbricalo della Terra nella parte superiore è decente anzi che no, le sue strade sufficientemente larghe, ma poco bene lastricate e non molto nette le strade inferiori abitate da povera gente in casupole a scapito della salubrità dell'aria. Alla Pieve S. Stefano non mancarono personaggi distinti; il fare però di tutti menzione non consente un articolo di Dizionario. Pure merita di esser nominato un P. Giovan Battista di Lodovico Tavanti nato in cotesta Terra li 14 aprile l547, che di 11 anni entrò novizio fra i PP. Serviti dove si distinse a segno che fu fatto profossore nell'Università di Pisa, poi generale del suo ordine, chiamato per antonomasia il gran teologo dell'Italia . Egli mancò in Pisa li 6 agosto 1607. Furono pure della Pieve un Tronconi medico assai colto, autore di un'opera intitolata De peste et morbo pestilentiali , un Evangelisti che scrisse un opuscolo de Luce nel tempo stesso che Newton ideava teorie affatto conformi; un Ridolfo Cupers arciprete della sua patria e autore di un'opera che ha per titolo: Comment. ad Cap. oportebat. Diss. 79 . Di esso fu fatto un breve elogio nel secolo attuale dal suo concittadino canonico Francesco Mercanti nell'Appendice al T. II del Diritto Canonico , opera di quest'ultimo letterato assai presto rapito alla patria. Non starò ad aggiungere un D. Paolo Salvetti archiatro pontificio, un P. Angelo Salvelti generale de'Minori Osservanti, un P. Fortunati Brazzini, un avvocato Alessandro Zabagli e molti altri uomini eruditi che fiorirono in questi ultimi tempi ed ebbero i natali nella Terra della Pieve.