Progettazione Preliminare ed analisi economica del tratto terminale del collegamento del porto di Civitavecchia con il nodo intermodale di Orte per il completamento dell'asse viario est-ovest (Civitavecchia-Ancona) 2012-it-91060-p

1 Premessa

Dall’esame degli avvenimenti storici nei secoli passati, una certa entità territoriale, una sorta di comprensorio, che presenta una sostanziale unitarietà, può essere determinato in modo abbastanza preciso, ma sempre tenendo conto che tale entità viene a volte confermata dalla continuità di ruoli e vocazioni e a volte contraddetta da fattori politici e situazioni esterne. Volendo dare una delimitazione al suddetto comprensorio, anche con gli impliciti richiami storico- geografici ai suoi rapporti con la regione circostante, non vedo descrizione più pertinente e, per giunta, stilisticamente più elegante di quella che costituisce l’incipit della -Storia di Carlo Calisse- “I promontori Argentario e Circeo, alti e sporgenti, mostrano già da lontano i confini della spiaggia romana. Nel mezzo di questa scende nel mare il Tevere, che la regione latina, a levante, divide dalla Toscana, a ponente. Quivi due piccoli fiumi scorrono, il Ceretano e il Mignone, che ne fanno tre quasi eguali parti; questo, aggirando i monti di Tolfa e di Allumiere, declina per la pianura cornetana; l’altro, detto oggi Vaccina, dalle alture di Cerveteri sbocca, dopo S. Severa, prossimo a Palo. La parte che, da un lato e dall’altro, li ha per confini, che mette in mare il capo Linaro, e che dentro terra si appoggia a colline, le quali poi si fan monti, è il territorio che intorno a Civitavecchia come arco si stende, campo della storia che qui si prende a narrare.” È quindi a quest’ambito geografico che ci riferiremo particolarmente per richiamare, in modo sintetico, le tappe conosciute dell’antropizzazione del territorio interessato all’area di progetto nel tratto vallivo retrostante la fascia costiera, compreso fra l’attuale percorso della S.S.1 e l’abitato di Monte Romano. Più in dettaglio, il tracciato viario di progetto della tratta Cinelli-Monte Romano dell’asse Civitavecchia-Orte, si sviluppa dal punto di ultimazione fino allo svincolo in località Montericcio della S.S.1 Aurelia, con andamento Nord/Nord Est –Sud/Sud Ovest. Il percorso, avente sviluppo lineare complessivo di circa 17 km, costituisce il tratto terminale del citato asse Civitavecchia-Orte e, per un lungo tratto, si pone in affiancamento all’attuale S.P.97, Strada Provinciale Valle del Mignone. Area caratterizzata da centri ed nuclei storici, antiche preesistenze sparse che insieme alle altre forme fisiche derivate da un millenario processo di infrastrutturazione agricola, costituiscono un complesso organico spesso ancora perfettamente identificabile, sostenuto e intelaiato dalla viabilità storica, per quanto parzialmente obliterata dagli interventi operati negli ultimi decenni. La presente relazione cerca di radicare non solo nella geografia , ma soprattutto nella storia il senso e la necessità di questo intervento. Considerare l’assetto del territorio non solo come disciplina della pianificazione urbanistica, ma come storia del territorio che può fornire in più la guida di una riflessione più profonda. Mettere a confronto le iniziative attuali con quelle delle epoche precedenti ci aiuta a comprendere

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e considerare il nostro presente con una maggiore prospettiva, una considerazione nuova e più consapevole delle potenzialità complessive del territorio interessato. L’‘intervento proposto dall’Anas contribuirà a definire un equilibrio tra il potenziamento dei servizi nei centri interessati e il miglioramento delle condizioni di accessibilità. La pianura costiera, particolarmente interessata dalle infrastrutture a carattere nazionale, per ragioni morfologiche che hanno caratterizzato la storia di questo territorio, oggi presenta una rete di rapporti locali e regionali su cui poggia una parte dell’area metropolitana romana, con la realtà di Civitavecchia che rappresenta un polo gravitazionale importante, sul quale graviterà inevitabilmente l’ampia zona di . Grandi masse di movimenti locali, sulla stessa rete infrastrutturale destinata al trasporto interregionale e nazionale, si sovrappongono durante alcuni periodi dell’anno oltre a traffico residenziale e produttivo quello turistico. In questa situazione il tronco autostradale Roma - Civitavecchia avrà necessità di completarsi sia con la Civitavecchia - Cecina - Livorno, in modo da far prendere finalmente forma ai diversi tipi di trasporto a breve , media e lunga percorrenza, che oggi rendono molto critiche le aree del polo di Civitavecchia (manca ancora un indispensabile bretella per il trasporto portuale ancora costretto ad attraversare la città) , liberando l’Aurelia dal peso del traffico di lunga percorrenza. Così come la trasversale Civitavecchia - Viterbo - Orte, dovrà assumere carattere non solo nazionale e regionale, ma essere un vero e proprio asse attrezzato del territorio, anche materialmente capace di indicare la direttrice di sviluppo, spina polivalente che a differenza delle autostrade longitudinali, raccoglie il traffico locale e specializzato: industriale, commerciale, turistico, di collegamento e smistamento. L’incremento subito dal traffico veicolare e pesante sull’Aurelia, la brevità del tratto servito dall’autostrada tirrenica e le sue perduranti interruzioni, l’incompletezza della Trasversale Nord e il mancato potenziamento della viabilità minore, per non dire della rete ferroviaria, nel tempo hanno aggravato la insoddisfacente situazione nelle aree che ci interessano. Ne è conseguito quindi uno stato di abbandono, essendo venuta a cessare la preesistente continuità di rapporti, senza essere sostituita da una nuova gravitazione. L’ordinamento politico-amministrativo, mantenutosi pressoché costante fino al secolo scorso, non ha certo favorito uno sviluppo organico, ostacolato altresì dall’estensione del latifondo, da condizioni ambientali sfavorevoli e da un’organizzazione nella quale l’accentramento aveva solo un carattere fiscale ed il decentramento era di tipo feudale. L’Alto Lazio è un’unità comprensoriale eterogenea, punto di sutura tra la Toscana, il Lazio e l’Umbria. In questa zona, divisa dalla morfologia del territorio, dalla storia e dal suo assetto amministrativo è possibile riconoscere una forma evoluta di organismo sociale coordinato, definibile “comunità comprensoriale”, in particolare soprattutto dal punto di vista economico è possibile riconoscere, l’ambito dell’area di Tolfa, l’ambito della costa viterbese e l’ambito

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dell’entroterra viterbese. E’ determinante in quest’ottica intervenire con la costituzione di ambiti pianificatori basati sulla omogeneità di alcune caratteristiche territoriali con una nuova e più consapevole considerazione delle potenzialità complessive di quest’area facendo finalmente partire previsioni programmatiche e indicazioni legislative, prima trascurate (nel 1976, il Consiglio Regionale del Lazio aveva istituito i comprensori economico-urbanistici, che avrebbero dovuto sostituire, almeno per il governo del territorio, le province, ma non fu mai stata seguita da azioni concrete). Negli ultimi decenni la Regione Lazio è intervenuta con importanti leggi, ma in quest’area per recuperare a pieno le sue potenzialità legate alle pecularietà del territorio, sarebbe auspicabile un nuovo modello di sviluppo progettato in funzione dell’eliminazione sia degli attuali squilibri territoriali, sia di quelli potenziali che verrebbero innescati da forme di sviluppo ispirate ad un modello di insediamento metropolitano o industriale di tipo classico, basato sull’uso integrato delle risorse territoriali esistenti potenziali. Tra le principali citiamo il Piano Territoriale Paesistico (PTP) n° 2/A approvato dalla Regione Lazio nell’ambito dei provvedimenti di pianificazione paesistica e tutela dei beni e delle aree sottoposte a vincolo paesistico di cui alle leggi regionali n°24 e n° 25 del 6 luglio 1998 , alla L.R. 22 dicembre 1999 n° 40, a seguito della quale gli uffici regionali hanno emanato il documento Idee progettuali per una valorizzazione integrata dei beni territoriali per il tema Etruschi. La legge regionale 22 dicembre 1999 n. 40,che riconosce come obiettivo prioritario la valorizzazione ambientale , culturale ed turistica del territorio. Con la L.R.1/2001 si promuove lo sviluppo socio economico del litorale laziale attraverso l’individuazione di un programma integrato di interventi.

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2 Studio del modello morfologico del territorio e la viabilità come asse di sviluppo economico nei diversi periodi storici

Orografia laziale. Notare l'allineamento dei crateri vulcanici

L’esame puramente geografico, se da una parte conferma l’estrema varietà del Lazio, per gli aspetti del paesaggio e delle condizioni naturali in genere, dall’altro sembra suggerire un sottofondo comune di questa sua parte che la Valle del Tevere delimita nettamente ad est. Questo territorio, in effetti, presenta diverse zone con caratteristiche orografiche distinte. Dal punto di vista geografico l’area che ci interessa esaminare include la zona costiera dell’Etruria Meridionale comprende le pendici meridionali delle colline e dei rilievi vulcanici che degradano verso il mare, solcati da fiumi paralleli che scendono verso la pianura litoranea. La zona in oggetto è storicamente contraddistinta da un’orografia ad andamento irregolare ed è morfologicamente divisibile in due aree: la piana costiera verso Occidente e il sistema collinare

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verso l’entroterra. La prima zona, costituita da una fascia pianeggiante, legata alla presenza dei fiumi che sfociano nel Tirreno che si estende dalla foce dell’Arrone a quella del Mignone, venne bonificata da paludi a partire dal XVIII secolo e doveva presentarsi in maniera differente rispetto all’aspetto odierno. Verso l’interno il territorio è caratterizzato dalla presenza di fiumi (Arrone, Marta e Mignone), di fossi (Fosso degli Albucci e Fosso S. Savino), fontanili e sorgenti. I fiumi che solcano la zona sono oggi a carattere torrentizio anche se in passato si presuppone una parziale navigabilità., A nord Il fiume Fiora delimita i confini di Lazio e Toscana come un tempo delimitava quelli tra Granducato e Stato Pontifici. Un punto di passaggio molto importante era costituito dal ponte di San Pietro, così chiamato appunto perché consentiva di accedere nel Patrimonio di San Pietro, parte dello Stato Pontificio. Il suo bacino morfologico originario oggi però è diviso tra Lazio e Toscana. Più a sud l’Arrone nord ed il Mignone hanno sorgenti autonome. L’area tra il fiume Fiora ed il Mignone comprende la zona più ampia di pianura costiera e raggiunge il primo spalto collinare a circa 70 metri con una serie di declini e spalti collinari raggiungono nella zona di Tuscania i 250 metri . Il Mignone che come dice Servio serviva da confine tra Cere e Tarquinia, e la sua Valle vede intrecciarsi storie di popoli, re, papi e di un passato a volte dimenticato. L'importanza di questo fiume è antichissima: basti pensare che in alcune interpretazioni dell'Eneide di Virgilio, Enea al ritorno dalla guerra di Troia, approdò in Etruria alla foce del Linceo prima di colonizzare l'intera zona, il Mignone era uno dei fiumi "sacri" agli Etruschi, e lungamente ha rappresentato un confine importante tra la Tuscia viterbese a nord e la Tuscia romana a sud. E’ nel bacino del Mignone nell’ultima parte dell’età del ferro che fiorisce la civiltà etrusca. Non è casuale che numerose necropoli siano proprio dislocate lungo tutto il corso del Mignone e lungo quei corsi d'acqua che si versano nello stesso: il fosso Vesca, il Verginee (con il fosso dell’Acqua Bianca) e quello del Lenta. Il Mignone ha rappresentato la prima porta naturale nell’entroterra ed il litorale, presso la sua foce, il primo approdo delle antiche imbarcazioni di modeste dimensioni, ed è tra i fiumi Marta e Mignone, sulla sponda settentrionale di una laguna, nell'attuale area delle Saline che nel VI sec. a.C. sorse il porto etrusco di Graviscae. il Mignone, osservato Federico Tron “più che formare una separazione netta, è stato spesso importante come vera e propria via di comunicazione, considerandoanche i numerosi insediamenti che sono sorti, a breve distanza, su ambedue i suoi versanti, soprattutto nel tratto settentrionale (F.TRON, I monti della Tolfa nel Medioevo. Preliminari di ricerca storico-topografica, Roma 1982) Il fiume Marta a nord è emissario del lago di Bolsena e costituisce il maggiore bacino d’acqua

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della zona, dà vita a un’ampia vallata, che nella parte bassa determina il territorio di Tarquinia. Questo non riceve affluenti tranne che nel tratto compreso tra Tuscania e Tarquinia, dove acquista consistenza grazie all’apporto del torrente Catenaccio. La valle del fiume Marta, è composta da depositi alluvionali fluviopalustri, antichi, recenti e attuali. Quest’area nell’Età del Bronzo è stata interessata dal diffondersi di numerosi siti ad indicare una funzione di controllo della via, ma già nell’Età del Ferro si assiste, ad una diminuzione degli insediamenti e ad un allontanamento dalle zone interne verso quelle costiere. Il clima è marittimo con limitate escursioni termiche e ridotta piovosità, nelle valli interne è di poco più freddo e la piovosità è maggiore, ma il clima mantiene la sua caratteristica marittima, almeno fino alle catene circumlacustri ed alla valle del Tevere che sbarrano l’influenza marittima, almeno in parte. Monti, pianori e poggi verso l’entroterra delimitano regioni e aree boschive propaggine di un sistema geomorfologico che si estende dal crinale principale dell’Antiappennino etrusco, unendo la valle del Tevere con la valle dell’Arno, collegato a una serie di crinali secondari trasversali che seguono gli spartiacque tra i fiumi Marta e Mignone, dove si sono attestati gli abitati della Civita e di Tarquinia-Corneto. Le colline, che caratterizzano l’entroterra, da sempre naturalmente destinate al sorgere di centri abitati grazie alle favorevoli condizioni climatiche ambientali, di difesa e contemporaneamente di domini, di un territorio ricco e produttivo, allora erano ricoperte di macchia mediterranea, lecci, oleastri, faggi e castagni, popolate da cinghiai, volpi, tassi, caprioli e lungo i fiumi lontre, gli uccelli predatori erano numerosi nelle colline, mentre lungo la costa c’erano stormi di corvi e di uccelli di passo. Questi terreni, costituiscono aree di predilezione del vigneto e dell’uliveto. Soltanto alcune distese coperte da una coltre più dura sono aride e occupate da pascoli. La zona caratterizzata dai monti della Tolfa si prolunga a sud nei monti Ceriti, di origine vulcanica stringe la pianura costiera fino a determinare la strettoia di capo Linaro, passo che mette in comunicazione la pianura costiera con quella meridionale. Questo territorio caratterizzato da pendici dolci e fiumi incassati tra altopiani degradanti verso la costa è formato da pianure litoranee ricche di terreni derivati da tufi terrosi disciolti, ricchi di sostanze nutritive particolarmente adatti alla produzione agricola. Il territorio era stato efficacemente irreggimentato già nel periodo etrusco; le colture vennero poi abbandonate in periodo tardo romano, favorendo l’impaludamento. Nel corso del Medioevo e dell’età moderna si sono susseguiti interventi di bonifica e periodi di abbandono. Questa situazione è perdurata fino al 1930, quando sono stati costituiti i due Consorzi di Trasformazione Fondiaria del Marta e del Mignone, poi trasformati in Consorzi di Bonifica integrale con la riorganizzazione dell’infrastrutturazione del territorio per quanto riguarda la rete irrigua, stradale e la costruzione di casali.

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Molteplici sorgenti carsiche dovute ai corsi d’acqua sotterranei e sorgenti termali e minerali dovute ai sistemi vulcanici presenti, affiorano al limite tra la zona calcarea e la fascia alluvionale. Dal punto di vista geologico, la sommità dei crinali è formata dalla propaggini del sistema vulcanico quaternario che degrada verso il mare con formazioni argilloso-sabbiose che passano poi ad una successione di terrazzi marini e di piastroni travertinosi di epoca quaternaria prima della pianura costiera che per lunghi tratti è bordata di orli sabbiosi e dune che ostacolando il regolare deflusso delle acque e sono causa degli impaludamenti. Nel suo complesso la costa è tra le sezioni più importuose della penisola: l’unico porto naturale del Lazio è Gaeta, essendo Civitavecchia totalmente artificiale. Attorno agli apparati montuosi formati dalle catene circolari dei laghi Volsini, Cimini, Sabatini, collegate da uno spartiacque che divide la valle del Tevere dalla valle litoranea si formano i primi insediamenti di questo territorio. Dallo spartiacque e dalle catene circolari scendono verso le due valli (litoranea e fluviale) con percorsi opposti , due serie di fiumi paralleli, verso il Tevere e verso il mare. I fiumi sono divisi da crinali che risalgono verso lo spartiacque interno e alla testata dei crinali stessi si formeranno gli insediamenti principali, insediamenti organizzati in rapporto con gli approdi sul mare o passaggi fluviali. Approdi e città di testata in relazione tra loro formano un sistema di centri equivalenti una sorta di porte poste intorno al territorio urbanizzato. All’interno lungo i crinali a monte delle città principali si formano centri di penetrazione e caposaldo con compiti di difesa, ma al contempo di sostegno agli scambi. In questo ambiente, prese corpo il sistema insediativo che è presente ancora oggi, come suo alto patrimonio, anche se i continui assalti di interventi distruttivi che si sono susseguiti nella storia e le successive modificazioni che hanno avvicinato agli attuali limiti regionali l’unità amministrativa di queste zone, hanno in qualche modo sovvertito un equilibrio naturale ponendo per di più in posizione periferica località un tempo centrali. Il modello è multipolare ed elastico, adattabile alle condizioni variabili del territorio, alle condizioni politiche dello sviluppo economico, di volta in volta i centri egemonici si alternano con un ruolo egemonico e occupano le zone minerarie importanti come Tolfa, di volta in volta gli approdi marini acquisiscono il ruolo di emporio principale per gli scambi con l’entroterra. Questo sistema basato sull’ equilibrio reciproco di ambiti territoriali equivalenti, dove ognuno intrattiene autonomamente rapporti commerciali e produttivi con altri ambiti contermini. Questo sistema raggiungerà il completamento nel periodo etrusco di maggior splendore e sicurezza quando si realizzano le strade di fondo valle, parallele a quelle dei crinali, ma soprattutto le strade di mezzacosta. Lo spazio antropizzato in questa visione è un tessuto di grandi cellule determinate dalle diverse caratteristiche del clima, dell’idrografia, del suolo. Nella nostra area queste cellule si allungano dal mare alle pendici del laghi vulcanici chiuse dal

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Tevere e dall’Arno, e penetrano nell’entroterra come lingue lungo il sistema dei crinali e dei corsi d’acqua modellate in modo da entrare in contatto con il maggior numero di risorse e quindi favorire un profondo e continuo rapporto tra beni, culture e popolazioni. Successivamente, si verifica una situazione che impedisce il concludersi del fenomeno di inurbamento nella zona montana. Mentre in essa persistono manifestazioni culturali di tipo protovillanoviano, alla «periferia» del comprensorio appaiono i sintomi d’un radicale mutamento. Si direbbe che, in tale fase di transizione, queste zone, costituendo le più agevoli e sicure penetrazioni dalla costa all’entroterra, assumano nei confronti dell’hinterland una funzione squisitamente terziaria, in una forma specializzata, ignota all’organizzazione primitiva del sistema economico esistente fino a quel momento. I percorsi sono gli elementi chiave atti a rappresentare efficacemente il senso di un certo orientamento territoriale: l’aver stabilito una loro precisa tipologia ha permesso di porre in relazione i diversi insediamenti della tradizione storica, che, in conseguenza al rapporto posizionale con il percorso, si sono differenziati e gerarchizzati. definendo così le matrici iniziali del processo. In questo quadro i collegamenti a lungo raggio assumevano il valore di strade “carovaniere” (G. Cataldi – la viabilità dell’Alto Lazio dalle origini alla caduta dell’impero romano) In questi termini un discorso sulla viabilità non risulta settoriale o limitato; una strada interessa non in quanto semplice realizzazione tecnica di un fatto utilitaristico quale “l’andare”, bensì in quanto espressione civile di scambi tra varie esperienze umane. Molto importanti per l’indirizzo generale della trattazione, sono risultati gli articoli e le pubblicazioni di Sandro Giannini e di J. B. Ward Perkins, specie per quanto riguarda il concetto fondamentale della contrapposizione tra i sistemi etruschi, locali e antipeninsulari, e l’organismo territoriale romano, peninsulare ed unitario. L’evoluzione territoriale di quest’area ed in generale dell’Alto Lazio si è avuta a partire dalla fase dei sistemi etruschi, preceduta da quella preistorica e protostorica e soprattutto dall’intervento romano, che ancora oggi caratterizza l’attuale assetto.

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2.1 fase etrusca (dall’VIII al IV sec. a.C.): i sistemi etruschi a prevalente direzionalità antipeninsulare

Cerveteri, Necropoli della Banditaccia. Tarquinia, Tomba della Nave . Vetulonia, Tumulo della Pietrera . Volterra, Porta all’Arco . Veio, Statua di Apollo dal Santuario del Portonaccio . Tuscania, Sarcofago in nenfro . Fiesole, Stele di Larth Ninie . Falerii Veteres, Statua di Apollo dal Tempio dello Scasato . Cortona, Tomba detta “tanella di Pitagora” . Arezzo, Chimera in bronzo . Roma, Lupa Capitolina . Todi, Elmo attico in bronzo . Chiusi, Cratere François e Canopo . Perugia, Ipogeo dei Volumni . Antefissa fittile a testa di Gorgone

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I territori, dove abbiamo visto diffondersi la civiltà villanoviana, vedono ora il sovrapporsi, o meglio il delinearsi (attraverso un processo in cui è difficile distinguere l’assimilazione di tendenze importate da un popolo immigrato, dall’evoluzione dovuta solo a contatti culturali e mercantili di istanze autoctone) di quella che sarà la peculiare espressione di larga parte dell’Italia centro- settentrionale: la civiltà etrusca. Intorno alla metà dell’VIII secolo a.C., dunque, troviamo gli Etruschi stabilmente insediati nei territori tra l’Arno, il Tevere ed il mare che da essi prenderà il nome di Tirreno76. Gli agglomerati villanoviani si trasformano in veri e propri centri urbani (Con il villanoviano, cominciamo a vedere ingenti aggregati di popolazione nelle località che saranno i grandi centri storici dell’Etruria: come Veio, Cere, Tarquinia, , Vetulonia, ,: Pallottino -Etruscologia-), con precise zone d’influenza, che assumono le caratteristiche di giurisdizioni politico-amministrative, indipendenti tra loro ed anche con una propria fisionomia artistica e culturale. Tale indipendenza, che spesso si traduce in rivalità, è causa della non raggiunta unità politica e della conseguente debolezza degli Etruschi nei confronti dei nemici esterni, quando questi , Greci, Celti, Romani, giungeranno a minacciarne direttamente il territorio. Tra il VII ed il VI secolo a.C. il pericolo è ancora lontano e le città etrusche raggiungono rapidamente una straordinaria floridezza economica e civile. Alla base della potenza economica etrusca sono le risorse naturali, che già abbiamo visto costituire il fattore di precoci rapporti commerciali tra l’area della Tolfa ed il mondo egeo: i giacimenti minerari. Storicamente il territorio presenta una realtà di antropizzazione assai diversificata, già a partire dall’epoca etrusca, la cui società si organizzava attraverso pagus fortificati, tali villaggi a carattere difensivo, ricalcano per lo più il sito di quelli mobili della precedente fase: si pongono alla confluenza di due torrenti che ne proteggono i fianchi e che obbligano come unico accesso il crinale longitudinale rispetto al tratto montuoso alla testata dei crinali si organizzano gli insediamenti principali, che insieme formano delle vere e proprie porte del territorio Le città principali come, Vulci, Tarquinia, Caere, Veio, Ferento, Orvieto e le falische Capena e Falerii, sono posizionate tutte alla testata di uno o più crinali, in prossimità di una apertura esterna o approdo marino o un guado fluviale. All’interno sugli stessi crinali, a monte delle città principali si formano centri di penetrazione e caposaldo con funzioni difensive , ma al tempo stesso di smistamento, a sostegno degli scambi tra le valli opposte. Gli etruschi elevarono alcuni di questi percorsi ad assi di una serie di sistemi, la cui direzionalità antipeninsulare nasce fisicamente dalla morfologia della regione e rappresenta il grado di coscienza territoriale della società etrusca, (Cataldi) . Il sistema etrusco che stiamo esaminando, si basa su rapporti ortogonali all’Appennino che permise di diffondere in modo capillare con una vasta rete di centri e strade una diffusa civiltà urbana, anche se non riuscì ad amalgamare i diversi sistemi territoriali e politici.

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Il sistema antipeninsulare come organizzazione del territorio era basato su l’equilibrio tra i vari ambiti, il territorio suddiviso in macro cellule basate sulle caratteristiche del territorio, dei corsi d’acqua del clima, dei rilievi, dalle pendici dei laghi vulcanici. Il nostro territorio, come abbiamo visto si sviluppa attorno agli apparati montuosi formati dalle corone dei laghi Volsini, Cimini, Sabatini, collegate da uno spartiacque che divide la valle del Tevere dal litorale. Dallo spartiacque e dalle corone circolari scendono verso le due valli opposti due serie di fiumi verso il Tevere e verso il mare. Sono il Fiora, l’Arrone, il Marta, il Mignone, per il versante tirrenico. il Crernera, il Treia, il Maggiore, il Vezza, il Rigo, il Paglia, per il versante degli affluenti del Tevere. Ognuno di questi fiumi è diviso da crinali che risalgono verso lo spartiacque interno ed ha in sé due possibilità di generare un sistema relativo ai suoi due crinali. Evidenziando i principali crinali si nota immediatamente come il collegamento tra i vari centri, esteso graficamente a tutto il territorio, permette di rilevare il sistema territoriale etrusco, singoli sistemi disposti su crinali opposti, facenti capo a bacini diversi, con un loro raggio d’influenza determinato dalle singole capacità umane ed economiche. Questo stabilì l’ampiezza dei loro domini territoriali, basati sulla diffidenza, ma non sulla ingerenza. Come nota il Cataldi (“Ipotesi per una lettura storica del territorio”), gli insediamenti etruschi più importanti si trovano tutti “alla testata di uno o più crinali, in prossimità di una apertura esterna, rappresentata da un approdo marino per i centri del mare Tirreno, da un guado fluviale per quelli del versante tiberino”, così da costituire con i crinali “veri e propri sistemi territoriali”. Tutti questi sistemi di crinale presentano perciò, nei punti nodali, insediamenti a funzione differenziata, che ne garantiscono l’efficienza e li caratterizzano, rispetto, ad esempio, ai generici percorsi di crinale della fase protostorica. Con i miglioramenti dell’agricoltura grazie alla tecnica di coltivazione del maggese, iniziarono opere di trasformazione del territorio finalizzate a migliorare l’attività con la realizzazione di cunicoli canali artificiali che portavano l’acqua, oltre la necessità di superare i corsi d’acqua. Per questo nuovo processo di crescita i percorsi di crinale non erano più sufficienti , si realizzarono perciò le strade di fondovalle parallele ai corsi d’acqua ed ai percorsi di crinale. Lo sviluppo agricolo etrusco pone le basi di quello che sarà poi il paesaggio agrario caratteristico dell’Alto Lazio, le loro culture a rotazione, promiscue e specializzate, non dovevano essere molto dissimili da quelle che ancora oggi si possono riscontrare in molte zone del Viterbese. Pur restando l’importanza sempre maggiore dei centri di testata, alcuni centri di pertinenza agricola vennero potenziati grazie ai nuovi assi di penetrazione diventando poli di organizzazione dell’intero territorio a essi sottoposto. Questo è il caso di Tuscania che doveva rappresentare in questo periodo il più importante centro agricolo dell’alto “hinterland” di Tarquinia, ruolo fondamentale che conservò anche nel periodo romano. Queste vie di fondovalle contemporaneamente furono utilizzate nel commercio, attività

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fondamentale nella società etrusca, come carovaniere adducenti ai mercati dell’Etruria Meridionale per lo smercio dei prodotti agricoli e artigianali, i collegamenti di discesa verso i fondovalle, furono garantiti invece da una viabilità secondaria che probabilmente segnerà la direzione delle vie poderali. Le interrelazioni si spingono dalla costa alla valle del Tevere ed oltre, attraverso la fascia collinare, che diviene il cuore della confederazione etrusca, ove convengono i rappresentanti delle città dei due versanti, per le adunanze rituali al Fanum Voltumnae: con le sue selve misteriose, essa è la sintesi del mondo culturale etrusco, mentre i suoi laghi sembrano rappresentare e concentrare il simbolo stesso di quel popolo, che sulle acque del Tirreno e attraverso i guadi tiberini espande i propri commerci. Il fenomeno più evidente, che praticamente contraddistingue il delinearsi della civiltà etrusca sulla scena storico-geografica del territorio, è la caratterizzazione in veri e propri centri urbani degli agglomerati insediativi ricadenti entro queste “aree di sviluppo” in posizione strategica, il cui ruolo assume, appunto, funzioni terziarie egemoniche. L’organizzazione territoriale, ampliata e proiettata con relazioni commerciali in più direzioni, rimane comunque, al suo interno, di tipo trasversale. Il modello è multipolare ed elastico adattabile alle diverse condizioni politico-economiche all’interno del quale il potere egemonico di una zona si alterna senza traumi per il sistema stesso, di volta in volta l’uno o l’altro centro principale svolge un ruolo egemonico, l’uno o l’altro si impadroniscono di zone minerarie importanti come quella della Tolfa, l’uno o l’altro approdo acquisisce il ruolo di emporio del territorio retrostante. Il modello si perfeziona e si completa nel tempo. Alla luce di queste induzioni, la lettura del territorio nel periodo di formazione dei sistemi ci appare come un dato riferibile ad elementi tipici che permettono di poter affermare, pur nelle inevitabili schematizzazioni, come l’apporto determinante della civiltà etrusca sia stato quello di adattare razionalmente alla scala delle città-stato e del mondo che esse rappresentavano, un territorio la cui vicenda precedente aveva portato ad una struttura di percorsi naturali del tutto indifferenziata . Tra i singoli sistemi ricordiamo i principali, quello di Vulci sul bacino del Fiora strategico alla testata di due crinali principali ed il sistema di Caere orientato verso i monti della Tolfa e proteso verso il mare con il porto di Alsium. L’area di nostro interesse è parte di quella zona da cui s’irradia questa “esplosione” della potenza etrusca. L’acropoli territoriale dei Monti della Tolfa, dove coincidevano il centro geografico e quello politico del comprensorio abbracciato dal grande arco del Mignone, nella fase etrusca perde le sue

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funzioni direzionali, decadendo e specializzandosi come area produttiva subordinata e l’importanza economica dei suoi giacimenti minerari e del legname dei suoi boschi ne fa ora oggetto di contesa tra quelli che sono divenuti i nuovi centri direzionali. L’esempio più evidente è quello delle città di Tarchuna (o Tarchna, Tarquinia) e di Kysry (o Cisra, oggi Cerveteri), sviluppatesi in modo sorprendente alle due estremità, settentrionale e meridionale, del nostro comprensorio,da modesti agglomerati periferici

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La situazione etnico-politica dell’Italia centrale intorno al 500 a.C (Arch. F. Correnti)

Sull’origine e sui fattori determinanti l’ascesa a centri di potere di questi insediamenti storici ed archeologi concordano nell’attribuire agli scambi commerciali una funzione catalizzatrice, soprattutto in quanto veicolo, come in ogni tempo, di aggiornamento culturale.

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Abbiamo potuto rilevare che l’affermazione politica di questi centri urbani, tipica dell’avvento della civiltà etrusca, è connessa alla loro crescita demografica, già avvertibile in periodo villanoviano. Pari all’intraprendenza industriale è la tecnica navale, che consente alle città dell’Etruria, in forma associata di estendere i propri commerci fino a Cipro, all’Africa settentrionale e alla Spagna. Inoltre, come nota giustamente il Cataldi, gli insediamenti etruschi più importanti si trovano tutti “alla testata di uno o più crinali, in prossimità di una apertura esterna, rappresentata da un approdo marino per i centri del mare Tirreno, da un guado fluviale per quelli del versante tiberino», così da costituire con i crinali “veri e propri sistemi territoriali”.

Ipotesi di sviluppo delle metropoli etrusche: A, la fase preetrusca con le zone di scambio tra «comprensori» e con l’esterno; B, il ribaltamento organizzativo, con l’affermazione dei centri terziari quali poli di gravitazione economica e politica ( Arch. Freancesco Correnti)

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Certezze, indicazioni ed ipotesi della viabilità etrusca dell’Alto Lazio. Quaderni di ricerca urbanologica e tecnica della pianificazione Facolcà di Architettura Università di Roma

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Agli albori del VI secolo l’Etruria raggiunge la sua massima unità, che trova espressione politica nella Lega dei dodici popoli. Nel periodo del massimo splendore dell’Etruria meridionale e di maggior sicurezza, l’incremento delle attività commerciali, impose la necessità di una certa unità politico-territoriale, gli abitanti di questi luoghi ne prendono coscienza e realizzano nuove vie commerciali, i percorsi di mezzacosta, che collegano tra di loro i centri principali ed i caposaldi dei singoli sistemi posti sui crinali adiacenti. Queste nuove vie commerciali trasformano i centri di testata in veri e propri poli di attrazione di interessi dei centri vicini. Il territorio è tutto dominato e suddiviso in entità territoriali in cellule strettamente connesse ed equivalenti che insieme controllano la valle del Tevere e il traffico marittimo. La realizzazione dei percorsi di mezzacosta, che richiedevano in molti tratti ponti, tagli di roccia, sbancamenti e riporti di terra era molto impegnativa, ma era giustificata dall’interesse e dalla reciprocità dei rapporti tra le cosiddette città-stato. È importante osservare che queste strade iniziano l’inversione del processo territoriale, che tenderà da ora in poi verso una coscienza peninsulare; tale sarà infatti l’orientamento dell’assetto romano che, come dice Giannini “ruoterà di 90 gradi”», la precedente sistemazione etrusca. Da questo momento fino ai nostri giorni, assisteremo ad una serie di evoluzioni ed involuzioni, ora lente ed organiche, ora improvvise ed artificiose, che imporranno, con lo spostamento del polo gravitazionale degli interessi politici ed economici, un andamento di volta in volta longitudinale o trasversale (ossia, rispettivamente, parallelo o perpendicolare alla costa) all’organizzazione delle strutture socioeconomiche ed alle correnti dei traffici commerciali, con quelle alterne conseguenze di emarginazione e di asservimento a centri di potere esterni o di integrazione funzionale tra poli di equilibrio interno. La società etrusca “aveva in sé i limiti che le derivavano da una serie di sistemi territoriali aperti e paralleli, limiti che in campo politico significarono città-stato autonome e che impedirono, per gli interessi particolaristici, il conformarsi effettivo di un organismo politico-territoriale unitario” (Cataldi) A monte di questi limiti, però, sono individuabili, nella stessa origine delle città etrusche e nel tipo di gestione imprenditoriale della loro politica, le cause del fallimento dei tentativi unitari. In sostanza, l’assetto urbanistico è una conseguenza del particolarismo e non viceversa: è la struttura sociale etrusca che impedisce il superamento dei limiti comprensoriali delle città-stato, la cui organizzazione interna avrebbe potuto costituire, invece, il supporto organico d’un più ampio sistema veramente integrato; in questo senso Roma non conclude il processo evolutivo del territorio, ma lo costringe ad una negativa involuzione, i cui effetti disastrosi per l’economia locale non tarderanno a manifestarsi. Si erano determinate però tutte le premesse affinché il mondo relativo all’unità geografica dei bacini fluviali venisse sostituito, in epoca romana, da quello più ampio, a coscienza peninsulare, comprendente l’intero territorio.

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Questa interpretazione complessiva dell’assetto tendenziale derivante dall’organizzazione etrusca, è riuscita a fare da supporto alle diverse ricostruzioni del territorio, come nel medioevo e presenta, tra l’altro, sintomatiche coincidenze con modelli di sviluppo moderni recentemente proposti che sottolineano la necessità di ripristinare un assetto trasversale in opposizione al modello longitudinale. Il sistema etrusco si fonda nella nostra area su un modo di dominare il territorio che ebbe la debolezza di non riuscire ad amalgamare grandi sistemi politici e territoriali, ma che riuscì a diffondere in profondità una vitale rete di centri e di strade e a portare ed organizzare una cultura di una civiltà urbana in ogni angolo di quello spazio geografico che veniva dalla preistoria.

2.2 fase romana (dal sec. IV a.C. al IV sec. d.C.): l’organismo territoriale romano a prevalente direzionalita’ peninsulare

Rispetto al quadro multipolare, maturo, complesso ed articolato della fase etrusca, frutto delle potenzialità produttive e geografiche di tutto il territorio, la conquista romana si inserisce con una determinazione rivoluzionaria che porta a polarizzare su Roma la struttura insediativa esistente, per poi ricavare linee di penetrazione di tipo internazionale, nasce il modello monocentrico che genera percorsi longitudinali funzionali al dominio peninsulare. I tempi sono maturi per l’epilogo della lunga e splendida fase etrusca nel nostro territorio, esso determina la decadenza delle attività produttive, l’abbandono delle risorse locali ed il crollo della precedente economia agricola dei pagi indigeni, prima con l’introduzione del latifondo a manodopera servile, poi con l’importazione delle derrate dalle più ricche provincie dell’impero. Nella nostra area comunque, almeno nella prima fase di formazione del sistema longitudinale così destrutturante nei confronti delle preesistenti realtà territoriali, continuarono a fondare o riorganizzare nuovi poli territoriali , che insieme a quelli esistenti, portarono a compimento l’antropizzazione del territorio. Individuando quei centri che ancora oggi costituiscono l’armatura urbana ed infrastrutturale. In questo periodo i romani trovandosi di fronte ad un territorio evoluto, utilizzarono i precedenti percorsi unendoli tra loro e polarizzandoli verso Roma, riuscendo così a controllare facilmente i centri etruschi, le forcelle diventano postazioni militari, mentre gli insediamenti principali al centro della pianura hanno lo scopo di organizzare e polarizzare le attività commerciali. I sistemi etruschi vengono ruotati di 90° mediante le Aurelia Vetus e Clodia. L’Aurelia Vetus servì a controllare i centri di testata di Vulci e Tarquinia e corre probabilmente lungo la costa, utilizzando, in buona parte, gli esistenti percorsi etruschi, opportunamente raccordati e adattati al nuovo assetto. La Clodia invece saldò tra loro i centri interni di Saturnia, Orcle, Blera, Sabate, funzionale al mercato di Forum Clodii. Il precedente assetto, che nell’ultima fase aveva visto i territori delle varie città-stato formare gli

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anelli d’una maglia, deboli nella loro coesione, ma dotati di un organico equilibrio interno, viene ad essere completamente sconvolto, spezzato longitudinalmente, con l’isolamento delle zone interne e con la predisposizione di un sistema lineare costiero, la cui organizzazione autonoma ne impedirà definitivamente l’integrazione con la fascia retrostante.

Le colonie costiere dell’Etruria meridionale,collegate dall’ Aurelia vetus , costituiscono il cardine della riorganizzazione territoriale romana, impostata su un sistema lineare longitudinale

Questa, a sua volta, tenderà poi ad organizzarsi come sistema parallelo al primo, quando la via Clodia verrà a costituirne il nuovo asse. Nasce, in tal modo, con la riproposizione dello schema per tutte le direttrici, il nuovo assetto dell’Italia centrale imperniato su Roma, che è la materializzazione fisica della concezione ideologica. Per il momento, il tracciato primitivo, la cosiddetta Aurelia vetus, corre probabilmente lungo la costa, utilizzando, in buona parte, gli esistenti percorsi etruschi, opportunamente raccordati e adattati al nuovo assetto. Un nuovo centro, Forum Aurelii, sorge nei pressi dell’attuale Montalto di Castro, così come, sulla direttrice interna della via Clodia, viene fondato Forum Clodii. La denominazione di forum indica la funzione di questi organismi urbani, che proiettano a scala territoriale il carattere commerciale e amministrativo dei fori cittadini centri di mercato e sedi dell’organizzazione politico-giudiziaria, su cui gravitano sia le colonie di diritto romano o latino, sia le città etrusche confederate, per le quali l’agricoltura e l’artigianato costituiscono ora le sole risorse, peraltro in forte decadenza. La fascia precollinare alle spalle dell’attuale Civitavecchia, dove i primi rilievi segnano il passaggio dall’uniforme declivio costiero alla pronunciata orografia della zona tolfetana, si è andata popolando, si può dire, su ogni poggio ben soleggiato e con il panorama del mare, di piccoli casali e fattorie. Si suppone che su questa fascia si manifesti, con una certa precocità, il fenomeno dell’accorpamento fondiario e del sovrapporsi, ai precedenti insediamenti rurali più intensivi, delle aziende schiavistiche. Il latifondo, andò man mano trasformandosi in villa rustica ovvero in tenuta voluttuaria di campagna, che con l’ampliamento dei suoi possessi, presuppone un’ulteriore opera di disboscamento della zona, per l’impianto di vigne e di oliveti, che insieme

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all’orticoltura ed al pascolo ne costituiscono le principali risorse produttive. Possiamo far risalire a questa fase l’origine dell’attuale paesaggio di questa parte del nostro territorio, nel senso che, dopo l’abbandono delle coltivazioni (fine del II secolo d. C.), il ritorno di queste aree alla piena disponibilità dell’erario romano, la successiva crisi dello Stato, le vicende medioevali e l’acquisizione “ereditaria” da parte della Camera Apostolica determinano la definitiva immagine di pascolo cespugliato con cui la zona oggi si presenta. In questa situazione complessa ed articolata che era riuscita a sviluppare le potenzialità geografiche e produttive del territorio etrusco, la crescita espansionistica di Roma dal IV sec a.C. al IV sec d.C., dopo le guerre mondiali contro Cartagine, determina una polarizzazione su Roma che genera percorsi longitudinali funzionali al dominio peninsulare con i quali si controllano agevolmente tutti gli insediamenti dell’Etruria Meridionale, la concezione di penetrazione si modifica con una concezione territoriale di grandissima scala, nascono così le strade consolari. Cassia, Flaminia, Aurelia furono le tre grandi consolari di penetrazione attraversanti l’Etruria Meridionale, esse nascono con un fine politico-militare e i loro tracciati, il più possibile rettilinei, quasi sempre non tengono conto né dei percorsi né dei centri del territorio attraversato che vennero sostituiti da stazioni, Fori e cittadine di fondazione, “destinate a sopravvivere solo in quanto prodotti delle permanenti condizioni della strada” (G. Perkins). La loro importanza è testimoniata dalle imponenti e numerose opere di tecnica stradale, come ponti, viadotti, tagli di roccia, gallerie. All’inizio la Cassia, per la particolare natura di asse centrale tra il mare ed il Tevere, rivestì maggiore importanza riuscendo a determinarsi come elemento unificante di quella parte di territorio, compreso fra Roma e Firenze, ad essa si deve il funzionamento organico dell’Etruria Meridionale. Nel 241, alla conclusione vittoriosa del primo lungo scontro con Cartagine, da cui Roma esce unica dominatrice del Tirreno, si inizia la costruzione della via Aurelia, secondo atto basilare della nazionalizzazione del sistema costiero in funzione dei collegamenti con Roma. l’Aurelia che all’inizio assolve principalmente il compito di far transitare velocemente gli eserciti verso i confini a nord, in seguito si rivela fondamentale nella funzione di anello unificante del Mediterraneo occidentale tra le coste dell’Italia, della Galli, della Hispania e delle provincie dell’Africa, anche se nei nostri territori rafforzò gli interessi dei centri costieri sostituendo la vecchia Aurelia Vetus. La Flaminia invece diventa il collegamento di Roma con l’altro versante orientale del Mediterraneo attraverso la pianura padana, funzione che rimase immutata per tutto il medioevo come asse portante tra il patrimonio di S. Pietro e l’Esarcato , tra Tirrenico e Adriatico , occidente e oriente. Così la romanizzazione traccerà definitivamente i segni della sua ideologia territoriale, segni che hanno definito la struttura sulla quale poggia l’attuale funzionamento di questo territorio e che determinerò anche gran parte delle ragioni delle sue crisi e del disequilibrio attuale.

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Tavola elaborata dall’ Arch. Francesco Correnti

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Le precedenti vie di adattamento polare della rete etrusca, risentirono del raddoppio stradale e rimasero per lo più escluse dai grandi traffici commerciali che si andavano svolgendo sulle nuove arterie, alcune di esse come la Clodia e la Cimina, si adattarono a svolgere un compito locale e si innestarono alle consolari, altre ancora, come l’Aurelia Vetus, decaddero sino alla perdita quasi totale di ogni loro odierna traccia sul terreno. La viabilità trasversale di smistamento fu garantita dalle preesistenze etrusche, migliorate e opportunamente pavimentate con la tecnica delle strade romane. ovviamente il loro innesto sulle strade longitudinali venne indirizzato di regola in prossimità dei nodi territoriali, L’organizzazione territoriale che i Romani impressero all’Alto Lazio fu la manifestazione concreta del loro grado di civiltà, essi gettarono i tracciati delle grandi vie di penetrazione, ridistribuirono gli insediamenti, i mercati e i nodi di scambio, potenziarono con le bonifiche l’agricoltura, posero un’efficace catena di postazioni militari e di opportuni servizi. Gli interessi romani portarono così la Flaminia e l’Aurelia ad avere un ruolo fondamentale con il conseguente svuotamento di significato delle strutture delle infrastrutture del sistema urbano e produttivo precedente con il progressivo decadimento del territorio, che oltre tutto si trovò ormai privo all’interno delle strutture agricole e insediative, su cui aveva fondato il suo originario processo, si verificò un fenomeno di abbandono delle risorse locali ed il crollo della precedente economia agricola dei pagi indigeni, prima con l’introduzione del latifondo a manodopera servile, poi con l’importazione delle derrate dalle più ricche provincie dell’impero abbandono dell’agricoltura e di inurbamento paragonabile solo a quello dell’ultimo dopoguerra Le economie locali vennero liquidate, la campagna si spopolò con la conseguente degradazione del paesaggio agrario, che assume il tipico aspetto dei terreni a pascolo o incolti, i saltus, caratteristici del latifondo. Inoltre il carattere ormai assunto dalla fascia costiera divenne tale da non poter più mantenere a questi nuclei urbani il ruolo di poli economico-sociali. L’antica, efficace organizzazione etrusca del territorio si è disfatta e non esistono più le condizioni per ripristinarla. Con maggiore o minore rapidità, sia le colonie di fondazione romana che i municipi costituiti negli antichi centri etruschi si avviano verso la decadenza e lo spopolamento. Anche i ruoli di servizio nei confronti di Roma, conferiti alla fascia costiera, rischiano di esaurirsi in funzioni secondarie di limitata utilità. La stessa costruzione del porto di Centumcellae si colloca, con le altre strutture di carattere militare e commerciale, nel quadro d’un sistema, certamente sapiente per le finalità di Roma, ma che relega a ruoli di servizio le aree e le popolazioni locali: il centro maggiore del comprensorio nasce, così, come atto d’imperio del potere centrale, appunto “cattedrale nel deserto”, voluta nel quadro della politica traianea, che tenta di recuperare, con interventi infrastrutturali, la gravissima crisi economica dell’Italia ed in particolare della terra d’Etruria.

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Ma, nei fatti, il risultato della grandiosa iniziativa sarà quello di concentrare e specializzare il ruolo di servizio intorno alla nuova infrastruttura, senza che il territorio circostante riesca più ad integrarsi in un sistema produttivo omogeneo. Gli scompensi territoriali furono d’altra parte espressione di quelli civili, che subirono un’analoga decadenza: la società romana, che già da un pezzo aveva iniziato la parabola discendente, si avvicinava sempre più al violento trauma che le avrebbero inferto, sul piano ideologico, le forze spirituali del cristianesimo, e, sul piano materiale, le invasioni barbariche, La rivoluzione dovuta alla conquista romana determinò la struttura su cui si appoggia il funzionamento del territorio attuale., compresi il suo disequilibrio e le ragioni delle sue crisi Si formò così un equilibrio territoriale instabile, costituito da una fortissima concentrazione di interessi verso il polo di Roma, da un « hinterland » regionale improduttivo. Il territorio era pronto alla regressione, ma fortunatamente grazie alle varie fasi della sua antropizzazione era riuscito a consolidare le sue potenzialità insediative e infrastrutturali, le due logiche peninsulare ed antipeninsulare continueranno a caratterizzare la varie fasi della sua storia alternandosi a seconda della diverse ideologie dominanti. Quella romana peninsulare e monocentrica con le sua grandi direttrici peninsulari basata sulle grandi polarizzazioni metropolitane e quella etrusca basata sul’equilibrio tra le aree interne e le are esterne per la valorizzazione delle risorse dl territorio. La storia di questo territorio, è stata sino ad oggi la storia del conflitto tra queste due logiche, con l’alternato prevalere di un sistema territoriale sull’altro.

2.3 Il Medioevo ed il Rinascimento

Con la caduta dell’Impero Romano d’Occidente e le invasioni barbariche il Lazio cadde in uno stato di abbandono generale, per oltre dieci secoli l’economia ed il livello di vita delle popolazioni scesero a livelli tanto bassi da incrementare sempre più lo spopolamento del contado, che fu all’origine del progressivo disfacimento della rete viaria romana. L’abbandono della costa fu totale , i rapporti con Roma sporadici, il sistema etrusco che aveva visto il periodo di massimo splendore economico e delle attività commerciali grazie alla realizzazione delle strade di fondo valle, le vie di mezzacosta, grazie alle quali si era realizzato un insieme di cellule strettamente connesse ed equivalenti che controllavano la valle del Tevere ed il traffico marittimo, si dovette ritirare su una seconda linea di difesa,abbandonando sia la costa che i principali centri più esterni come Vulci, Tarquinia, Caere, Centumcellae, che furono sostituiti da quelli interni minori come Castro, Tuscania e dalla rocca di Ceri.Centumcellae fu sostituita da Cencelle. Le maggiori vie romane, in un periodo di scarsi scambi commerciali furono progressivamente

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abbandonate, inoltre per motivi di sicurezza, infatti si ritenevano vettori di possibili invasioni militari, subirono smantellamenti ed interruzioni. Il territorio subisce una nuova frattura caratterizzata da due regni: la Tuscia Romanorum (comprendente la fascia costiera e i territori interni fino alla via Clodia) e la Tuscia Longobardorum (estesa all'agro sutrino, falisco e volsiniese) che, anche dopo la fine del regno longobardo, marcherà due modi differenti di organizzare il territorio.

La Tuscia viterbese longobarda. Museo della Rocca Farnese di Valentano.

La presenza longobarda influenzò profondamente, oltre che dal punto di vista politico-militare, anche la vita quotidiana delle popolazioni. Nel medioevo la sopravvivenza di questo territorio fu garantita grazie al sistema antipeninsulare etrusco che seppe rivitalizzare i poli della maglia territoriale romana. Il perfetto equilibrio territoriale etrusco non si ricreò più, i poteri che si contendevano il territorio erano almeno quattro, le famiglie feudatarie da una parte che si contendevano le autonomie locali con le libere città, mentre il Comune di Roma e il Papato si contendevano il ruolo di potere centrale. Da non

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sottovalutare c’erano poi gli interessi delle grandi congregazioni conventuali. Vediamo, scrive il Salvatorelli al principio dell’VIII secolo, quattro fattori incrociarsi nella vita pubblica italiana: regno longobardo, impero, papato, autonomie locali. I primi due, per quanto adattatisi a vivere in pace, si escludevano reciprocamente, mentre venivano ad essere in contrasto ambedue con il quarto, fra tutti e tre si destreggiava il papato, tendente sempre più a divenire un potere territoriale autonomo. In conseguenza di questa politica papale, fallisce il tentativo longobardo di unificazione dell’Italia. In particolare la finalità dello stato di belligeranza tra duchi e re longobardi spesso in aperto contrasto anche tra loro e il Ducato Romano era naturalmente Roma, insieme al controllo dell’itinerario noto come “corridoio bizantino”. Il Corridoio Bizantino era una stretta fascia di territorio dell'Esarcato d'Italia che si venne a costituire circa l'anno 570, allorquando le conquiste longobarde resero franca una striscia prevalentemente montana di territorio bizantino, costituito da strategici castelli e rocche difficilmente espugnabili quali Narni, Amelia, Todi, Perugia e Gubbio, orbitanti in parte sulla via Amerina, poiché la via Flaminia, più agevole come percorso, era già sotto la giurisdizione dei Longobardi.

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L’attraversamento degli Appennini nel VII secolo. Al tratto della Flaminia controllato dal Ducato longobardo di Spoleto, si aggiunge un tracciato alternativo garantito dai Bizantini (rielaborazione e integrazione da L. Quilici). Si noti che il termine «castello » va inteso come centro fortificato e non come indicante l’esistenza di tipologie castellane in senso assoluto

La contesa tra tutti questi pretendenti favorì il recupero dei siti già antropizzati. Montalto di Castro, Corneto (Tarquinia) e Civitavecchia. Gregorio II salito al pontificato nel 715, attraverso un atteggiamento ora di equidistanza tra impero e regno longobardo dimostra ferma indipendenza spirituale e politica della Chiesa. Ed estremamente attento agli interessi della Chiesa e abile nel cogliere le occasioni propizie al consolidamento del potere papale, ottiene nell’anno 728 dal re longobardo Liutprando, interpretando a suo modo il concetto di restituzione della famosa donazione di Costantino, la consegna della città di Sutri, come donazione alla Santa Sede. Le Donazione di Sutri (728), la Promissio Carisiaca (754) e la Constitutio romana (824) furono

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pietre miliari nella genesi dello Stato Pontificio segnarono la nascita del Patrimonio di S. Pietro, ponendo così le concrete premesse del potere temporale della Chiesa.

Il percorso della via Cassia attraverso il territorio dello Stato Pontificio, da una mappa di Cristophe Maire e Ruggiero Giuseppe Boscovich del 1752.

Fin dall'inizio il Medioevo fu contrassegnato da un fenomeno che, ebbe un fortissimo impatto sull'intera società, ponendo le basi per un incessante muoversi di uomini e merci lungo antiche o

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rinnovate direttrici: il pellegrinaggio. I pellegrini seguivano le strade consolari romane per raggiungere le principali mete religiose cristiane . La via Francigena fu uno dei più importanti itinerari di pellegrinaggio. Le origini della via Francigena sono da ricercarsi nell'alto Medioevo, quando i Longobardi si trovarono nella necessità di collegare Pavia, capitale del loro regno, con i ducati meridionali di Benevento e Cassino attraverso un corridoio interno che fosse protetto da eventuali attacchi dei Bizantini, padroni delle coste liguri e toscane, dell'Umbria e degli sbocchi appenninici orientali. Come dire, in sostanza, che la serie di tracciati che andrà a costituire la più importante via percorsa dai pellegrini nei secoli successivi nasce ancora una volta da ragioni politiche e militari, all'interno della sanguinosa lotta tra Bizantini e Longobardi per la dominazione dell'Italia devastata e territorialmente divisa dei primi secoli successivi alla caduta dell'Impero. Nei tre secoli successivi questi territori saranno teatro delle lunghe e sanguinose lotte tra il Papato e l’Impero, segnati dai tentativi di egemonizzazione da parte delle nobili famiglie locali (Di Vico, Anguillara, Farnese). La viabilità rimase nel Medioevo più o meno invariata rispetto all'Antichità, anche se alcune vie consolari persero momentaneamente importanza per riacquistarla successivamente. Solo la Flaminia mantenne un ruolo di reale direttrice tra il Tirreno e l’Adriatico e fu il vero asse intorno al quale gravitò lo Stato Pontificio. Sin dal medioevo, la Chiesa Romana considerò la via Cassia una delle principali vie di comunicazione all’interno e all’esterno dei suoi domini e nel nostro territorio riuscì ad essere asse di collegamento dei centri della Tuscia, ruolo che non riuscì ad assolvere l’Aurelia che fu utilizzata solo da Civitavecchia in quanto il resto del suo percorso all’interno dello Stato Pontificio era occupato da acquitrini e paludi, perdendo così la sua funzione peninsulare di collegamento con il Mediterraneo occidentale. La via Clodia, utilizzata come percorso alternativo all’Aurelia ormai soggetta all’impaludamento, riacquista la sua importanza proprio in epoca altomedievale. Assume un ruolo di primo piano nell’ambito delle direttrici utilizzate per il traffico commerciale verso le città tirreniche e un ruolo strategico, poiché unico asse di penetrazione attraverso la linea di confine tra la Tuscia Longobardorum e la Tuscia Bizantina. Ancora una volta il sistema etrusco antipeninsulare dovette garantire la sopravvivenza di questo territorio ed in seguito, superati i periodi più critici, grazie alla morfologia del territorio ed al sistema infrastrutturale sopravvissuto, vennero rioccupati i siti delle città abbandonate come Tarquinia, Cerveteri, Civitavecchia (Centumcellae), che tornarono così a rivivere quasi sullo stesso luogo.. Montalto di Castro fu eretta dai i potenti Farnese e sostiotuì definitivamente Vulci, la ricchezza dei palazzi di Corneto (Tarquinia) fu dovuta alla attività commerciale delle famiglie mercantili e Civitavecchia, Centumcellae deve la sua importanza più che ai Di Vico all’intervento dei papi come Sisto IV Sisto V e Paolo V, che ripristinarono il porto di Traiano.

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Grazie a loro vi lavorarono artisti come il Bramante , Sangallo, e Bernini e divenne per tutto il periodo del potere papale l’unico porto del tirreno dello Stato.

Elaborazione grafica dell’Arch. Francesco Correnti

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2.4 Eta’ Moderna e Contemporanea

Maggio 1859. Orario e tariffario dei treni straordinari a prezzi scontati emanato in occasione della festa di Santa Fermina, protettrice di Civitavecchia. SR, Commissariato generale delle ferrovie, b. 50, fase. 511

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Le condizioni di sottosviluppo dell’area che stiamo studiando perdurano fino a tempi recenti, aggravate da nuove minacce, anche se, negli ultimi anni, prospettive più concrete sembrano sostituire i discorsi, le promesse e gli auspici per uno sviluppo che l’Alto Lazio attende da secoli. Nel periodo più stabile dello Stato Pontificio iniziò il ripristino dell’unità “peninsulare” che fu incrementato con l’unità d’Italia e con il ruolo di Roma capitale. Il sistema economico laziale era oramai polarizzato da Roma in una logica di dimensione nazionale della grandi specializzazioni territoriali e produttive Nel 1859 fu realizzata la ferrovia Roma-Civitavecchia opera che consolidava la funzione strutturale della costa cioè la funzione peninsulare rafforzata anche dal nuovo tratto Capalbio- Grosseto del 1864, completato nel 1867 fino a Civitavecchia. Sull’altro versante la Valle del Tevere con la realizzazione della linea Roma-Orte dopo 2000 anni si riappropriò della sua vocazione a funzione peninsulare rievocando così l’antica alleanza Chiusi-Roma-Caerae. La logica longitudinale fece sentire suoi effetti sul territorio ed anche se nel 1929 fu costruita la tratta ferroviaria, rafforzamento dell’antico percorso etrusco, Civitavecchia-Orte, salutata come preludio allo sviluppo dei traffici marittimi e quindi del porto, per il collegamento con le acciaierie di Terni e con le altre zone del centro d’Italia. Il nuovo intervento però, forse perché tardivo, non portò benifici all’equilibrio del territorio. Anche la tratta Roma-Viterbo non ebbe un grande successo in quanto Viterbo era ormai collegata dalla linea Roma-Firenze fin dal 1866 con la realizzazione del tronco Viterbo- Attigliano. Lo sviluppo dei territori a nord di Roma, l’antica Tuscia è ormai destinata a subire lo sviluppo longitudinale, il territorio è diviso dalla sua morfologia, dalla storia e dal suo assetto amministrativo. La vocazione peninsulare del territorio riparte con rapidità e le ricadute sul territorio si fecero ben presto sentire. Il nuovo sviluppo peninsulare, nella nostra area, è andato avanti di pari passo con la riconquista della costa ed è stato un processo secolare e costane, iniziato con il ripristino della funzione portuale di Civitavecchia, passando poi alla bonifica delle zone paludose rimaste abbandonate per secoli. Questo processo iniziato con lo Stato Papale prima e con Roma capitale poi, ebbe un forte incremento dopo la seconda guerra mondiale grazie alla facile accessibilità e agli spazi disponibili per la crescita materiale. Le prime fasi di questa rinascita furono molto difficili e possibili solo grazie alla pianificazione ed ad ingenti interventi pubblici. All’inizio il ripristino delle funzione della costa si basò sul riutilizzo dell’antico porto di Traiano simbolo della logica territoriale romana che dovette la sua fortuna e la sua realizzazione ai continui interventi per evitare l’insabbiamento della foce del Tevere che fu poi la causa del tardo sviluppo del porto di Ostia.

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SOCIETA’ ELETTRICA FERROVIARIA ITALIANA Ferrovia Civitavecchia- Orte 1930

Appunto sotto l’impero di Traiano nel 106 d.C. fu creato il porto di Civitavecchia che protetto da Capo Linaro, non subì l’effetto di insabbiamento del Tevere. Inoltre rispondeva perfettamente allo stile di vita romano con la presenza nell’immediato entroterra di un importante sito termale Nei primi decenni dell’annessione all’Italia il porto di Civitavecchia e l’infrastruttura della costa erano già vitali, ma il vero recupero della territorio costiero dovette attendere ancora diversi anni. Con l’avvento del Regno d’Italia si videro i primi risultati di una evidente ripresa economica in particolare con la legge del 1878 . La prima legge organica di bonifica a carattere nazionale fu del 1882 (legge Baccarini), Con questo atto si è stabilito il principio fondante che la bonifica, quale opera di grandi miglioramenti igienici, riveste un carattere di pubblica utilità e per questo merita di essere finanziata dallo Stato e dagli enti locali fino al 75% dei costi complessivi. Con i provvedimenti legislativi dei primi anni del ’900 la bonifica ha assunto una connotazione via

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via più ampia, includendo finalità di riassetto idraulico del territorio (cosiddetta fase della bonifica idraulica) e in seguito, la realizzazione di opere irrigue (bonifica di valorizzazione e sviluppo economico). Con il R.D. 215/1933 (Legge Serpieri) la bonifica ha assunto un profilo ancora più complesso e multifunzionale, tanto da introdurre il concetto di bonifica integrale. Furono fondati consorzi di bonifica gestiti e finanziati dallo Stato, attivi sia nella bonifica di aree paludose e malariche che per la gestione del patrimonio silvo-pastorale. Dopo gli interventi del periodo fascista la regione risultava ormai sufficientemente fertile; ma si deve all’ultima “colonizzazione” post-bellica (legge del 1950) la definitiva soluzione del problema delle paludi. Nell’ area che ci interessa le fasi centrali delle operazioni di bonifica cadono dal 1951 al 1961. Nel 1951 prese vita l’Ente Maremma, ed i suoi interventi completarono quelli già avviati dai Consorzi di bonifica promossi un decennio prima dalla legge Baccarini. L’Ente Maremma costituisce uno dei percorsi storici che nel secondo dopoguerra portarono dai latifondi indivisi all’attuale, diffusa frammentazione delle proprietà. L’opera dell’Ente comportò modificazioni le più importanti da un punto di vista paesaggistico e territoriale, che portarono al diradamento della macchia e al dissodamento dei terreni tufacei. Nel Viterbese, e specialmente nella fascia più vicina al mare, nonostante gli interventi effettuati dal Consorzio di Bonifica della Maremma Etrusca costituito nel 1936 con l’apertura di strade poderali ed altri miglioramenti nei servizi generali, le condizioni di vita di una parte non esigua dei 125.000 abitanti registrati nel censimento del 1951 sono ancora estremamente precarie. Gli interventi finora operati dalla riforma Agraria nella figura dell’Ente Maremma, benché di notevoli entità vanno infatti considerati negativamente perché settoriali e non sostenuti da una pianificazione più ampia e coordinata. Tra le difficoltà di questo territorio bisogna ricordare la l’intervento della Cassa del Mezzogiorno (legge 10 agosto 1950 n. 646) che ha favorito zone vicine, le quali usufruendo dei contributi concessi, hanno attratto capitali e iniziative statali o private a discapito di questa zona. Alle campagne di bonifica della Maremma Etrusca tra il 1951 ed il 1961, segue però un importante fenomeno di immigrazione. Il fenomeno di popolamento agricolo ed urbano interessa soprattutto le zone del litorale creando sicuramente nuove opportunità, ma altrettante inevitabili problematiche come la tendenza alla congestione ed alla competizione tra i diversi usi del suolo. La pianura litoranea ha così espresso la sua potenzialità produttiva ed insediativa a discapito delle aree più interne. Nell’area litoranea si assiste ad importanti trasformazioni antropiche dell’ambiente, e all’abnorme consumo di suolo agricolo. I due principali centri di quest’ambito sono Tarquinia e Montalto di Castro. Tra i due comuni tuttavia oggi Tarquinia pare avere i fenomeni più interessanti di una crescita autonoma con una proiezione futura di intensificazione di rapporti con Civitavecchia in ragione del suo entroterra che fornirà allo sviluppo del porto, ma

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anche alla realizzazione del collegamento autostradale Civitavecchia-Orte che attraverserà i due comuni contermini. Tarquinia dovrà affrontare così nel medio e lungo periodo i rapporti funzionali con Civitavecchia in ragione del suo entroterra che fornirà allo sviluppo del porto. L’entroterra viterbese che comprende nella nostra area il comune di Monteromano, può essere suddiviso in altre due sottozone, una gravitante nell’ara di influenza di Montalto di Castro che mostra una certa crescita generalizzata ed una quella più lontana nella quale si colloca appunto Monteromano che manifesta maggiori difficoltà. Le fasi che hanno caratterizzato ultimi trent’anni quest’area, sono state piuttosto convulse, frutto di iniziative non pianificate e di molteplici interessi che hanno sovrapposto usi e strutture edilizie in contrasto con le particolari qualità ambientali e con la sedimentazione storica delle precedenti fasi di antropizzazione. C’è da rilevare nell’area del litorale una grande distorsione dello sviluppo inteso come incremento dell’attività edilizia anche nel settore del turismo, rivolto soprattutto ad un patrimonio di seconde case, mentre è mancata un realistica proposta di integrazione con le aree collinari nel sistema di fruizione turistica, aree oggi da considerarsi, grazie alle grandi potenzialità offerte dal loro territorio, supporti fondamentali per l’ampliamento della godibilità diportistica e culturale del comprensorio. Con queste nuove problematiche sarà difficile non procedere ad una nuova fase di rilettura complessiva e di ristrutturazione del sistema territoriale; fase di ridefinizione, di riordino e soprattutto di ricerca di una nuova e maggiore qualità dell’uso del territorio. L’attuale suddivisione amministrativa del Lazio risulta per molti aspetti artificiosa, essendo il risultato dell’assetto postunitario, modificato in epoca fascista e poi con l’avvento della Repubblica (a volte per chiari intenti politici da parte dei partiti al potere) e infine, con l’istituzione delle Regioni nel 1970. Nel corso degli anni, vi furono iniziative e tentativi di modificare l’appartenenza di comuni a regioni e province. Negli anni Novanta, ad esempio, ebbe un certo seguito la proposta di istituire una Provincia di Civitavecchia Nel novembre 1976, il Consiglio Regionale del Lazio aveva istituito i comprensori economico-urbanistici, che avrebbero dovuto sostituire, almeno per il governo del territorio, le province. L’istituzione dei comprensori, tuttavia, non è stata seguita da azioni concrete e il dibattito politico, le limitazioni finanziarie, le incertezze sulla definizione delle aree metropolitane, la difficoltà di individuare i livelli di una programmazione coordinata, non hanno portato i risultati sperati. In seguito con la LR 22 dicembre 1999 n. 40 "Programmazione integrata per la valorizzazione ambientale, culturale e turistica del territorio" sono state istituite le Aree di Programmazione integrata nella nostra regione Si tratta di comprensori sovracomunali omogenei sotto il profilo storico, ambientale e culturale, rappresentano uno strumento della programmazione regionale atto a favorire lo

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sviluppo locale e rafforzare l'identità del territorio attraverso la valorizzazione di tutti i suoi elementi naturali, antropici, culturali, storici e tradizionali.

Aree di programmazione Integrata LR 22 dicembre 1999 n. 40 Maremma Laziale: aree elette con D.G.R. 543/2008) Arlena di Castro, Canino, Montalto di Castro, Piansano, Tarquinia, Tessennano, Tuscania, Monteromano

Il 31 maggio viene sottoscritto un accordo quadro per il Programma di Riqualificazione Urbana e di Sviluppo sostenibile del Territorio promosso, ai sensi del bando allegato al D.M. 8 ottobre 1998, n.1169, denominato “Patrimonio di San Pietro in Tuscia ovvero il territorio degli etruschi” P.R.U.S.ST. con l’obiettivo di formulare proposte, di promuovere e orientare occasioni di sviluppo sostenibile sotto il profilo economico, ambientale e sociale, avendo riguardo ai valori di tutela ambientale, alla conoscenza e alla valorizzazione del patrimonio storico-culturale, artistico,

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archeologico e architettonico e garantendo l’aumento di benessere della collettività. “A monte delle iniziative e degli interventi proposti dalle amministrazioni locali e dal PRUSST, vi è stata una considerazione nuova e più consapevole delle potenzialità complessive del territorio interessato,prima trascurate, anche per il mancato avvio delle precedenti indicazioni legislative e delle previsioni programmatiche regionali”. (BURL 30.05.2005- Allegato 2-) Di seguito si riporta una parte dei tanti studi il progetto pilota, formato dalla Regione Lazio con la collaborazione dell’Ufficio Consortile Interregionale della Tuscia, di messa a punto della “Agenda strategica territoriale” nel quadro dell’azione di collaborazione transnazionale Interreg IIIB Medocc Medisdec-Stratmed, Ricerca di convergenza e coerenza nella gestione dello spazio Mediterraneo, finalizzata alla verifica dello Schema di Sviluppo dello Spazio Europeo, delle “Piattaforme territoriali” del Ministero delle Infrastrutture e delle politiche comunitarie definite dalla “Strategia di Lisbona” e dal documento di Göteborg.

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La carta della malaria in Italia di Torelli, 1882 .

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3 Natura e storia degli elementi insediativi primari

Reperti archeologici mostrano tracce antichissime della presenza umana nell’Alto Lazio in zone definite da un comune denominatore geografico, come il bacino di un lago o un gruppo isolato di monti. l’uomo primitivo all’inizio aveva bisogno di muoversi in un mondo limitato sicuro, controllabile, poi man mano che le sue nozioni si ampliavano la sue attività diventavano sempre meno elementari, così con la scoperta della tecnica della pietra, passò dalla raccolta delle bacche alla caccia ed alla pesca. Anche il suo bisogno di trovarsi un ricovero per proteggersi dalle intemperie, subì un analogo processo: dalle caverne e dagli anfratti, si passò a veri e propri insediamenti, come ad esempio i villaggi lacustri a palafitte, costituiti integralmente da manufatti che gli permisero di porsi al riparo, al di fuori di ogni condizionamento ambientale. Bruschi rivolgimenti climatici sconvolsero questo modello lo sbalzo climatico portò alla scomparsa di molta vegetazione, gli animali si spostarono verso le zone più temperate e l’uomo preistorico iniziò la fase del nomadismo. Non si crearono però veri percorsi, tali da essere rintracciati e ripetuti, le tracce di essi si perdevano e l’unico riferimento per gli spostamenti erano probabilmente le emergenze che avevano conosciuto. Nel tempo l’uomo capì che doveva sostituire la caccia con un nuovo tipo di sostentamento, iniziarono così ad allevare animali commestibili. Con l’allevamento iniziano i primi percorsi di transumanza, percorsi che impressero sul terreno un segno duraturo a scala territoriale, parallelamente troviamo le stazioni di transumanza, che rispecchiano il primo nucleo di gerarchia sociale con recinti circolari con al centro la capanna del capo, lo spiazzo necessario per l’adorazione del “totem”» e le singole capanne disposte lungo il perimetro. E’ ipotizzabile che questi “villaggi” fossero posti ai poli dei crinali utilizzati per i percorsi, sistema poi ripreso dagli etruschi. Comunque l’agricoltura fu la vera rivoluzione nello sviluppo delle antiche comunità, all’inizio ci fu la cosiddetta coltivazione a campo libero che durava un numero limitato di anni , dopo dei quali la comunità era costretta a spostarsi in cerca di nuovi terreni da coltivare dando così vita al nomadismo agricolo. Le disponibilità fondiarie però si esaurirono e dovettero ritornare ai campi già coltivati attivando un nuovo sistema di riuso del territorio. Questo “pagus” che si dispose in genere su alture difese naturalmente dalle gole scavate dalla confluenza di due torrenti. I crinali principali del bacino di un corso d’acqua importante vengono assunti come assi unificanti di una serie di pagus mobili e progressivi a pertinenza agricola, che si collegano ad essi mediante crinali secondari; le due testate a monte e a valle, dei crinali principali diventano sedi di

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insediamenti collegati all’allevamento periodico. Con un’agricoltura più stabile la società ebbe una sostanziale evoluzione, i gruppi familiari furono sostituiti dalle tribù “clans” (Gordon Childe). Con l’avvento dei metalli la società agricolo-pastorale si trovò a mutare profondamente, il rifornimento di materie prime obbligò ad instaurare nuovi scambi tra strutture di crinali. Questo portò alla nascita di nuovi nodi esterni rinvenuti presso i guadi dei fiumi, e fatti risalire al tardo villanoviano . Con l’introduzione del ferro, nel X sec a.C. si assiste ad una evoluzione decisiva, numerosi reperti di tipo villanoviano sono stati ritrovati nelle zone interne, probabilmente legati alla zona montuosa della Tolfa, in particolare ad Allumiere dove già da quasi due secoli era fiorita una cultura di transizione che, preludendo a quella dell’età del, ferro, è stata appunto definita protovillanoviana. Così accanto agli insediamenti rivieraschi, procedendo verso l’entroterra, troviamo presenza di abitati, che lungo le valli torrentizie, individuano vere e proprie vie naturali di comunicazione, che significativamente convergono sul bacino minerario della Tolfa. La varietà di risorse e la superficialità dei giacimenti, sul massiccio montagnoso dei Ceriti, l’industria estrattiva, evoluzioni della tecnica: galena argentifera, cinabro e con l’introduzione della siderurgia i minerali ferrosi (ematite, pirite, limonite) costituiscono le ricchezze naturali del comprensorio, insieme a quello che, forse in maggior misura e senza interruzioni, ne rappresenta il prodotto peculiare più ricercato, l’allume, fondamentale per la concia delle pelli e nel procedimento di fusione dei metalli. Cessa, quindi, ben presto il nomadismo pastorale legato alla transumanza delle mandrie e delle greggi, che è sostituito da una pastorizia stanziale, integrata dall’agricoltura. Primaria importanza alimentare rivestono la caccia e nelle zone in prossimità del mare la pesca e la raccolta di molluschi. Questa struttura economica promiscua porta ad una società differenziata, ma fondata pur sempre sull’istituto familiare e tribale, senza l’affermazione di grandi caste egemoniche, che altrove accentrano il potere ed i beni. Si tratta, in sostanza, più che di una variata composizione sociale, di una specializzazione dei ruoli, che determina accanto ai minatori, anche nella nostra zona, il formarsi di categorie artigiane ed operaie, da cui sembra però debba escludersi ogni organizzazione gerarchica di tipo classista, la società rimane fondata sull’istituto familiare e tribale. L’introduzione di M. Torelli a “Le città etrusche”, trattando degli abitati villanoviani nei siti dove si sono poi sviluppate le grandi città etrusche, anche questo studioso propende per ritenerli privi di contiguità topografica, nuclei di carattere tribale, collegati fra di loro da primitive forme politiche, ma ciascuno dotato di una sorta di autonomia, riscontrabile anche nella pluralità delle necropoli.

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Probabilmente il commercio parte dalle coste con l’arrivo di genti del mediterraneo orientale, le popolazioni locali, in particolar modo quelle dell’interno attratte dai vantaggiosi scambi (raffinati prodotti offerti in pagamento contro quelle pietre comuni ed apparentemente inutili),ottenuti grazie consentono l’accesso al loro territorio. Il fenomeno del commercio, caratteristico poi della fase futura, inizia la trasformazione della società umana verso forme più evolute e complesse di acquisizioni, attività economiche, ordinamenti sociali; le strutture territoriali già con tengono “in nuce” tutti gli elementi essenziali dei futuri processi di sviluppo. All’interno lungo le valli si snodano vie di penetrazione con nuovi centri a carattere polifunzionale, mentre allo sbocco delle vallate verso il mare, nuovi agglomerati con funzione di controllo e di difesa vengono costruiti in posizioni dominanti per impedire eventuali attacchi al bacino metallifero, fonte di ricchezza e di interessi spesso anche con altre comunità. A ciò si devono una molteplicità di insediamenti lungo la direttrice ad ogni valico. È significativo che queste vie naturali di collegamento lungovalle, tra la costa e la zona montuosa, abbiano mantenuto, anche in epoche successive, la loro funzione. Ricreatesi, anzi, le condizioni di necessità difensiva dei centri montani o del bacino minerario, ritroveremo in seguito gli stessi criteri strategici ora esaminati. L’origine di questo sistema è individuabile proprio nelle caratteristiche orografiche del territorio. Scrive il Radmilli (L’Italia dal paleolitico all’ età del ferro): “L’economia mista, nella quale la pastorizia ebbe sempre una funzione importante, portò alla costituzione di aree territoriali di proprietà di alcune comunità, nelle quali aveva luogo la transumanza stagionale necessaria per una completa nutrizione delle greggi, con la conseguente concentrazione di stanziamenti fissi e di stazioni all’aperto o in grotta, frequentate solamente durante alcuni periodi dell’anno”. Completano il quadro territoriale-organizzativo i centri montani, che costituiscono il cuore della comunità, nella ricca zona di produzione. Arroccati al centro del comprensorio e ben difesi dalle cinture protettive del sistema periferico, questi abitati si addensano in un’area relativamente ristretta e pur senza costituire un continuum spaziale, fanno presupporre un’organizzazione urbanistica, che, se non può chiamarsi ancora pianificazione, per l’estrema aderenza alle condizioni naturali del suolo (il che dimostra una indifferenza a soluzioni prestabilite), implica tuttavia una più meditata definizione dell’habitat. Per ciò che attiene la zona costiera, l’assetto territoriale vede nascere il sistema portuale con i suoi empori dove avvengono le operazioni commerciali. Al substrato tradizionale, che necessariamente permane, di un’economia agricola, con la componente dell’allevamento e delle attività collaterali, si innesta il processo di industrializzazione. Questo sviluppo, pur non raggiungendo certamente la portata della rivoluzione industriale dei tempi moderni, influisce sull’economia, modificando appunto gli usi ed i

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costumi, che si affinano: gli scambi commerciali e la più generale penetrazione culturale portano ad una maggiore ricercatezza negli ornamenti e ad una evoluzione del gusto decorativo, che si riflettono nella produzione locale.

Ipotesi organizzativa della comunità protostorica dell’area come sistema comprensoriale integrato,tra il X e il IX secolo a. C. la convivenza mutualistica dei vari insediamenti,supposta in questo schema, corrisponderebbe al momento di massima utilizzazione collettiva delle risorse territoriali. Segue una fase di addensamento della popolazione nei nuclei rivieraschi, forse in relazione al prevalere di attività marinare (Arch. Francesco Correnti)

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Sulla metà dell’VIII sec. a.C.. Una nuova situazione si è andata maturando, con graduali ma decisive conseguenze. Nuovi fermenti animano i villaggi delle zone periferiche del complesso dei Ceriti ,della zona della bassa valle del Mignone e quella all’estremità opposta del litorale. Il fenomeno più evidente, che praticamente contraddistingue il delinearsi della civiltà etrusca sulla scena storico-geografica del territorio, è la caratterizzazione in veri e propri centri urbani degli agglomerati insediativi ricadenti entro queste aree di sviluppo in posizione strategica. L’organizzazione territoriale, prevalentemente trasversale comporta una forte integrazione tra la fascia costiera, dove si attestano i traffici marittimi, e l’entroterra produttivo. Tra il VII ed il VI secolo a.C. le città etrusche raggiungono rapidamente una straordinaria floridezza economica e civile, accogliendo e rielaborando gli influssi culturali delle altre zone del Mediterraneo, con le quali esse prendono contatto attraverso i traffici mercantili. Legami tra le zone minerarie dell’Etruria e la Sardegna nuragica, fanno pensare ad una sorta di monopolio dell’industria metallurgica nel Mediterraneo centrale, paragonabile, per certi aspetti, al potere contrattuale dei Paesi produttori di petrolio del Golfo Persico (anch’essi, spesso, piccoli Stati monarchici, come le città etrusche), i minatori “protostorici”, apprendono perfettamente gli insegnamenti dei mercanti-artigiani dell’Egeo, assumendo poi un ruolo attivo nel commercio dei prodotti industriali, forse fin dal momento del crollo della potenza marittima micenea nel Mediterraneo; da questa intraprendenza commerciale delle popolazioni tirreniche deriva il distinguersi della cosiddetta civiltà o fase orientalizzante dalla precedente cultura villanoviana. Pari all’intraprendenza industriale è la tecnica navale, che consente alle città dell’Etruria, di estendere i propri commerci fino a Cipro, all’Africa settentrionale e alla Spagna. Con l’epilogo della lunga e splendida fase etrusca nel nostro territorio e la successiva conquista Romana questo territorio vede la fine di ogni possibilità evolutiva. Il precedente assetto viene completamente sconvolto. Alla fase della colonizzazione, inizialmente evolutasi in uno sfruttamento capillare del territorio attraverso innumerevoli ville rustiche, segue la fase dell’occupazione della costa da parte delle ville marittime dei romani più abbienti e del dilagare del latifondo a manodopera servile, con la progressiva decadenza economica e sociale con tutte le conseguenze strategiche e commerciali che ne derivano. Senza mutar sede, ma adattandosi alle sopravvenute esigenze economiche, politiche o difensive, gli antichi abitati del comprensorio subiscono, quindi, una lenta evoluzione urbanistica. Mariano Pallottini osserva che un “gran numero degli attuali borghi montani che punteggiano il territorio italiano sono, a causa degli stessi motivi di scelta strategica, nuclei fortificati antichi che temporaneamente, durante la parentesi dell’urbanistica territoriale romana, decaddero o sparirono per rinascere, strutturalmente rinnovati, allo scadere del dominio di Roma”. Le successive vicende non mutano, nell’ottica storica attuale, il quadro sin qui delineato. ancora

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deserto ostile nel periodo lunghissimo delle invasioni, plaga malarica e incolta nell’età feudale. Territorio da cui trarre risorse nello Stato Pontificio, il comprensorio non trae vantaggi neppure dall’annessione allo Stato unitario e le sue condizioni di sottosviluppo perdurano fino ad oggi, aggravate da nuove minacce, anche se, in tempi recenti, prospettive più concrete sembrano sostituire i discorsi, le promesse e gli auspici per uno sviluppo che l’Alto Lazio attende da secoli.

Le culture italiane dell’età del ferro: in bianco le zone di esclusiva inumazione,tratteggiate le zone di diffusione della cremazione(reticolato il villanoviano); i cerchietti indicano i principali sepolcreti protovillanoviania sud del Po (da M. Pallottino,Etruscologia).

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4 Caratteri culturali della stratificazione antropica sul territorio

4.1 Tarquinia

(Cicerone, de divinatione, II, 23) ...Dicono che nell'agro Tarquiniese, mentre si lavorava la terra e un solco era impresso più profondamente, saltò fuori all'improvviso un certo Tages, e parlò a colui che arava. Questo Tages poi, come è (scritto) nei libri degli Etruschi, si dice si fosse manifestato d'aspetto fanciullesco, ma di saggezza da vecchio. Mentre il bifolco si sbalordì alla sua vista e mandò un forte grido di meraviglia, si fece un tumulto, e in breve tempo tutta l'Etruria si radunò in quel luogo,. allora egli parlò motto dinanzi a molti uditori, affinchè imparassero e affidassero alla scrittura tutte le sue parole; tutto poi il suo discorso fu quello, nel quale era contenuto l'insegnamento dell'aruspicina;...

Tarquinia. Topografia della zona comprendente il Pian di Civita, sito della città etrusca e romana, la necropoli dei Monterozzi e la città medioevale (Corneto), centro storico della tarquinia attuale (da T.C.I.).

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L’antica Tarxna sorgeva a circa 3 chilometri dalla città medioevale e moderna di Tarquinia (fino al 1922 Corneto), sul piano della Civita, colle delimitato dal fiume Marta e dai sui affluenti fosso di San Savino e degli Albucci. Tra le città che la tradizione letteraria ci tramanda come sede di lucumunie, Tarquinia, sul bacino del Marta, si trova in una posizione-chiave in quanto rappresenta il punto focale dell’anfiteatro naturale costituito dalle pendici dei monti Vulsini e Cimini, città cerniera controllo di un più ampio territorio lungo tre principali direttrici, quella del fiume Marta, quella di crinale attraverso Blera,e quella centrale che raggiungeva la sella di Viterbo e metteva in contatto Tarquinia direttamente con la valle del Tevere; tale posizione, che giustifica la sua costante importanza nel tempo, le ha garantito un certo numero di possibili coperture, in riferimento alle alte valli del Mignone e del Biedano, al lago Cimino, alla sella di Viterbo, alla valle del Marta, ed infine al lago di Bolsena, tutte zone queste che, di volta in volta nei secoli, entreranno nell’orbita tarquiniese. Infine il sistema si completava con l’approdo Gravisca (il porto di Tarquinia - Porto Clementino). Proprio Tarch(u)na ci offre l’esempio prototipo del fenomeno evolutivo: quando il vecchio villaggio, formatosi nel IX - VIII sec. a.C., per felice ubicazione, viene a trovarsi al centro di un ambiente topograficamente determinante per i futuri sviluppi commerciali e politici dell’intero territorio”, inizia la sua crescita come centro abitato, nettamente differenziato per estensione ed importanza dai vecchi pagi limitrofi. Agli albori del VII secolo, Tarquinia è ormai una metropoli, che estende il suo dominio su una vasta area circostante, in cui ricadono i giacimenti minerari della Tolfa; in funzione dello sfruttamento di queste risorse, anche il centro di Luni, continua a prosperare, grazie alla sua posizione economicamente strategica, tra i giacimenti e Tarquinia. È sufficiente un sommario esame della conformazione geografica dell’area tarquiniese, per constatare la presenza d’una serie di condizioni ambientali che, insieme alle circostanze storiche, spiegano perfettamente lo sviluppo della città madre e degli insediamenti satelliti. Approssimandosi al mare, il corso del Marta e quello del Mignone si affiancano, con andamento perpendicolare alla linea costiera, per oltre un chilometro e mezzo, formando una strettoia di circa otto-novecento metri fino alle foci. Delimitato dalle due valli fluviali, lungo le quali i sentieri preistorici raggiungevano l’entroterra, e percorso da un asse di crinale cui, ancora oggi, corrisponde, all’incirca, il tracciato della via Aurelia bis, che raggiunge attraverso un paesaggio di superba bellezza, tra lunghe tagliate nei tufi vulcanici, si delinea così una sorta di corridoio ideale, un dromos di accesso al territorio, che ben può immaginarsi a scenario del mitico approdo di Tirreno e di Tarconte. Le leggende riguardanti questi eroi eponimi della nazione etrusca e della città di Tarquinia, pervenuteci attraverso gli storici greci e romani, adombrano comunque una priorità ed una preminenza di Tarch(u)na nell’espansione politica etrusca, ribadite anche dal mito di Tagete. L’attuale percorso della via Aurelia è ben diverso, come si vedrà, da quello della strada romana e

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fu adottato definitivamente intorno alla metà del secolo scorso, proba-bilmente a causa della situazione geo-morfologica della regione. In corrispondenza delle tre vie di penetrazione, altrettanti porti (che conosciamo col nome delle stesse località in età romana) si aprono sul mare: alla foce del Mignone (Rapinium), a quella del Marta (Martanum) e nel punto intermedio (Graviscae), dove ritroveremo il porto medioevale di Corneto, ricostruito ancora, tra il 1738 ed il 1752, dai papi Clemente XII e Benedetto XIV (Porto Clementino). Il Pian di Civita, l’acrocoro su cui si estende Tarch(u)na, è situato in modo da controllare l’imbocco delle due valli fluviali e da dominare la fascia costiera ed il mare antistante, fino alle isole di Giannutri, del Giglio e di Montecristo, pur essendo riparato dal baluardo difensivo naturale dei Monterozzi. Circondata da balze scoscese, con una estensione di circa 150 ettari, a conveniente distanza dal mare, sufficiente per predisporre la difesa, ma non eccessiva per il rapido collegamento agli scali , l’area della città risponde esattamente a tutte le caratteristiche che possiamo riconoscere come costanti dell’urbanistica etrusca in questa fase. Della topografia urbana, allo stato attuale delle ricerche e degli scavi, sono noti il perimetro delle mura (senza torri, in blocchi di calcare e con uno sviluppo di circa otto chilometri, se ne riconoscono due fasi: una del VI secolo a.C., delimitante l’insediamento più antico dalla parte meno difesa naturalmente, ed una del V–IV secolo a.C. racchiudente per intero il nucleo originario e la sua espansione sul resto dell’altopiano), la posizione delle porte con la viabilità di accesso ed alcuni elementi dell’impianto interno, che risulterebbe di tipo regolare, a maglia ortogonale, almeno nell’assetto d’epoca romana. Tra i resti di edifici, sono di particolare importanza quelli del grandioso tempio situato, in posizione elevata, nella zona che doveva costituire il foro della città, anche quando essa divenne municipio romano, con l’altare che ha dato al complesso il nome di “Ara della Regina”. Sul colle dei Monterozzi, che il vallone del fosso San Savino divide da quello della Civita, si estende, dalla fine del VII al I sec. a.C., la principale necropoli tarquiniese, ben nota per l’eccezionale valore artistico e documentario delle pitture parietali, rinvenute in un centinaio di tombe (dal 1956, grazie ai metodi di prospezione geofisica della Fondazione Lerici, la Soprintendenza alle Antichità dell’Etruria Meridionale ha potuto localizzare circa 6000 sepolcri). All’estremità nord-occidentale dei Monterozzi si trova la città attuale, la Corgnitum Corneto del Medioevo, dilagata negli ultimi anni disordinatamente verso la necropoli e verso il mare. Sui poggi intorno alla città antica, altre necropoli attestano la continuità degli insediamenti, fin dal primo periodo del ferro (tombe a cremazione di tipo villanoviano). L 'iniziale processo di formazione "urbana" di età villanoviana (IX- VIII sec. a.C.) si realizza in un quadro topografico ben più ampio di quello della futura città storica che occuperà i pianori contigui di Pian di Civita e Pian della Regina.

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Sembra infatti che nel IX secolo a.C. e almeno fino alla metà dell'VIII, all'abitato sulla Civita, si affiancasse una serie di insediamenti situati sul vicino colle dei Monterozzi dove, come abbiamo già detto, a partire dal VII secolo a.C., si svilupperà la grande necropoli cittadina . Sul colle dei Monterozzi sono riconoscibili almeno tre nuclei abitativi: in corrispondenza dell'estremo sperone occidentale nei pressi della medioevale Chiesa di S. Maria in Castello, in località Calvario e in località Infernaccio, cui corrispondono verosimilmente le necropoli delle Rose, delle Arcatelle e di Villa Falgari. A partire dall'ultimo quarto dell'VIII secolo a.C., alla cultura "villanoviana", fenomeno indigeno, si sostituisce la cultura "orientalizzante", così denominata appunto perchè permeata di elementi greci ed orientali e che costituisce un fenomeno esteso a tutto il bacino del Mediterraneo. Indubbia infatti è la fitta rete di rapporti commerciali e culturali tra la Grecia e i centri dell’Etruria, testimoniato da numerosi rinvenimenti archeologici; in questo contesto Tarquinia sembra svolgere un ruolo primario. Nel corso del VII secolo a.C. Tarquinia, probabilmente, a causa della nascita e del prepotente sviluppo economico territoriale di Caere, che le strappa il controllo dei centri minerari dei Monti della Tolfa e forse anche parte della vale del Mignone, sembra aver perso quella preminenza economica e culturale che in epoca villanoviana aveva rispetto alle città vicine. La città viene comunque ancora definita dalle fonti antiche "grande e fiorente" (Dionigi di Alicarnasso) se non addirittura "la più ricca d'Etruria" (Cicerone), allorchè, nei decenni centrali del VII secolo a.C., vi approdò e vi si stabilì il nobile corinzio Demarato che dalla Grecia vi avrebbe introdotto le arti e le lettere. Agli albori del VI secolo a.C. l’Etruria raggiunge la sua massima unità, che trova espressione politica nella Lega dei dodici popoli. La stabilità raggiunta consente di istituzionalizzare le basi portuali come centri di scambio, dove i mercanti stranieri sono protetti da divinità comuni, cui vengono eretti appositi santuari con diritto d’asilo e con sacerdotesse che esercitano la prostituzione sacra. Questi centri, che godono, come oggi diremmo, di extraterritorialità, sono i porti già ricordati nel nostro territorio ed in particolare, per l’importanza internazionale che assumono, Graviscae e Pyrgi. Nel VI e nei primi decenni del V sec. a.C. Tarquinia è al suo apogeo urbano. Questo momento di massima potenza corrisponde a decenni di grande splendore economico e politico ed è testimoniato in maniera evidente dallo sviluppo della necropoli e dalle vicende del santuario emporico di Gravisca. A partire dal secondo quarto del V sec. a.C., come tutte le grandi città dell'Etruria centrale tirrenica, anche Tarquinia risente della crisi politico-sociale che si è voluta da un lato collegare con la più generale situazione mediterranea conseguente alle guerre persiane e alla perdita della talassocrazia etrusca nel Tirreno, ma che è senz'altro più direttamente legata alle difficoltà

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economiche e politiche cui va incontro il vecchio ceto aristocratico e alle tensioni di classe e agli scontri sociali che caratterizzano questi decenni. Conseguenza delle difficoltà politiche, economiche e sociali di questi anni turbolenti è, da una parte, la recessione che colpisce i ceti meno abbienti e, dall'altra, la crisi di comportamento della vecchia aristocrazia con tendenza alla limitazione del lusso e dei consumi. Diminuisce vertiginosamente l'importazione della popolare ceramica attica, la produzione artigianale ristagna, l'edilizia pubblica si arresta (non troviamo più, infatti, terrecotte architettoniche dopo i primi decenni del V sec. a.C.).

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Il territorio tarquiniese nella sua massima estensione, con indicazione dei principali centri abitati e delle reciproche vie di collegamento (da A. M. Moretti (a cura di), Tarquinia etrusca. Una nuova storia, catalogo della mostra (Tarquinia 1 ottobre – 31dicembre 2001), Roma 2001,

Dagli inizi del IV sec a.C. a Tarquinia però parte la ripresa economica, E’ questo il periodo in cui similmente a molti altri centri dell’Etruria, vengono realizzate le splendide mura in blocchi di calcare, che, come abbiamo già detto, delimitano la città sui colli della Civita e della Castellina Tra la fine del V sec. a.C. e gli inizi del successivo però, superati i propri problemi sociali con trasformazioni istituzionali e politiche, Tarquinia sembra ora assumere la guida della confederazione etrusca mobilitata in difesa della minaccia celtica da Nord ma soprattutto di quella ben più pericolosa della potenza romana da Sud . Con una sorta di fenomeno di colonizzazione cui partecipano spesso membri di famiglie gentilizie tarquiniesi, il vasto territorio circostante si popola di nuovo di fiorenti centri abitati quali Tuscania, Norchia, Castel d' Asso, S. Giuliano e S. Giovenale, allo stesso periodo data inoltre la ripresa del culto nel santuario emporico di Gravisca. Nel frattempo (509 a.C.) la nascente Repubblica romana ha anche stipulato un trattato con Cartagine, che, insieme ai patti di non aggressione, sancisce il monopolio cartaginese sul commercio marittimo occidentale . Cessano gli arrivi di mercanti greci, le cui navi cariche di oggetti preziosi sono ora sostituite da navi da guerra colme di armati, che compiono rapide e disastrose scorrerie sulle coste d’Etruria. Non riuscendo più ad opporsi al nemico sul mare, le città come Tarchna si fortificano, circondandosi di mura poderose. Anche i nuclei sparsi nella campagna si muniscono d’una cinta in blocchi di pietra, trasformandosi in oppida per la difesa della costa: così a Luni, così al castrum della «Castellina». Tra la fine del VI e gli inizi del V secolo si assiste, a Roma e nelle città latine, alla caduta delle istituzioni monarchiche, alla nascita di quelle repubblicane e ai primi conflitti patrizio-plebei. Contemporaneamente, in Etruria, in alcune città dell'estremo sud come Caere e Veio, sembrano prevalere soluzioni democratiche o radicali (tirannia), mentre in altre città, come è il caso di Tarquinia, la vecchia aristocrazia si arrocca nelle sue posizioni di privilegio. Iniziano anni turbolenti caratterizzati dalla recessione, la produzione artigianale ristagna, l'edilizia pubblica si arresta, anche lo scalo di Gravisca, con il santuario, sembra subire significativamente un drastico ridimensionamento. M. Torelli, nega che si possa interpretare la nascita della repubblica a Roma come “la fine del dominio etrusco” sul Lazio, vedendo nella trasformazione istituzionale la conseguenza del “processo di consolidamento delle strutture urbane nel Lazio, parallelo a quello dell’Etruria”. Tesi condivisibile, ma che non toglie valore al declino della potenza etrusca ed al suo graduale rientro entro una dimensione limitata ai singoli stati. Lo scontro definitivo tra Tarquinia, ancora potente e alla testa della lega delle città etrusche, e

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Roma, data al 358-351 a.C. si conclude con una tregua di 40 anni allo scadere della quale, dopo un nuovo scontro armato conclusosi nel 308 a.C., la tregua viene rinnovata per un uguale periodo. Anche Tarquinia viene, quindi, a patti con Roma, stipulando una tregua quarantennale. Segue un periodo di ripresa delle attività artistiche ed artigianali. Tuttavia, i tempi sono maturi per l’epilogo della lunga e splendida fase etrusca nel nostro territorio. Nel corso della prima metà del III sec. a.C. la città viene definitivamente sconfitta con la confisca della fascia costiera del territorio dove, un secolo più tardi, nel 181 a.C., sul sito dell'antico porto ormai inutile di Gravisca, Roma fonderà una colonia marittima.

Marina di Tarquinia. Porto etrusco di Graviscae. Ricostruzione ipotetica secondo B Frau (schema, rielaborazione). A: antemurale frangiflutti sommmerso;B: molo “alla greca” del VI – V sec. a. C.; C: bacino commerciale; D: cothon esagonale; E: chiusa o ponte mobile; F: Neòria; G: abitato etrusco - romano; I: asse viario principale; L: mura urbane con torri di difesa

L’erario romano si annette, così, l’intera fascia costiera, privando le città etrusche di sbocchi al mare (con tutte le conseguenze strategiche e commerciali che ne derivano) e, data l’orografia del

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territorio stesso, della parte più fertile e coltivabile, la confisca comporta, in primo luogo, l’evacuazione della popolazione etrusca dai centri abitati. Assistiamo, quindi, per la nostra zona, all’abbandono di Graviscae, della Castellina, inoltre un ulteriore indebolimento economico della popolazione potrebbe trarre ragione dalla dedudione coloniale “gracchiana” nel territorio tarquiniese (su 101 gentilizi solo 14 sono di origine etrusca, di cui appena 7 di antica origine sicuramente tarquiniese - Cfr. Torelli M, Storia cit). Nel tardo periodo imperiale la decadenza diventa inarrestabile, in seguito con la distruzione dei Goti, la calata dei Vandali ed infine le scorrerie dei saraceni nel VII e VII secolo l'altipiano della città gradatamente si spopola finchè, nel VIII la sede episcopale si sposta nella vicina Corneto e la Civita è definitivamente abbandonata.

Le torri medioevali in affresco seicentesco nel palazzo comunale

Nel 1144 Corneto divenne libero comune italiano stipulando patti commerciali con Genova (nel 1165) e con Pisa (nel 1177). Nel XIII secolo resistette validamente all’assedio dell’imperatore Federico II. In seguito alla distruzione di Centumcellae da parte dei pirati barbareschi, a partire dal IX secolo riprende vita e importanza l’antico porto di Gravisca detto poi Clementino abbandonato secoli prima, che diviene uno scalo di collegamento fra l’entroterra umbro laziale e il Mediterraneo, unico scalo di rilievo a sud di Pisa e fino a Gaeta. Corneto, chiusa a sud dai Monti della Tolfa, all’interno da Tuscania e dalle mire espansionistiche di Viterbo, rivolse tutte le sue energie verso il mare e nel XII secolo divenne uno dei centri principali per l’esportazione dei prodotti dell’entroterra. In questo contesto si inquadra lo scontro nel XIII e XIV secolo fra Corneto e Comuni maggiori, come Viterbo e Roma, che intendono imporre la loro legge approfittando della debolezza del potere pontificio specie durante la Cattività Avignonese. Si oppose anche alle mire della Chiesa, ma la città fu infine ridotta all’obbedienza dal cardinale Egidio Albornoz (1355)

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e da quel momento, anche se con brevi interruzioni, rimase stabilmente allo Stato Pontificio condividendone le vicende.

Nel 1435 papa Eugenio IV elevò Corneto al rango di civitas e di sede vescovile, come premio ai meriti del Cardinal Vitelleschi, nativo di Corneto, nel ristabilire il dominio papale sullo Stato della Chiesa. Nel 1854 la diocesi di Corneto fu unita aeque principaliter alla diocesi di Civitavecchia. Nel 1986 le diocesi furono pienamente unite nella diocesi di Civitavecchia-Tarquinia. In seguito alla costruzione del nuovo porto di Civitavecchia, erede dell’antica Centumcellae, con fortificazioni progettate da architetti del calibro di Michelangelo Buonarroti e Antonio da Sangallo, nel XV secolo Corneto perse nuovamente e definitivamente la sua funzione di porto dell’alto Lazio, il che determinò una progressiva decadenza economica e demografica del territorio, interessato sempre più dalla malaria a causa delle paludi costiere.

4.2 Monte Romano

La prima menzione di Monte Romano, è del 1344 e poi del 1371, quando la chiesa di S. Maria di Monte Romano viene annoverata tra le chiese perdute dell.antica diocesi di Toscanella in un periodo in cui l.attuale borgo di Monte Romano, a valle della Rotonda, ancora non esisteva. L’antica Arx Montis Romani, un castello del XIII secolo, posizionata su un colle alto 368 in posizione dominante rispetto al territorio, ha garantito nel tempo, una naturale difesa ed un facile controllo sul vasto territorio circostante, nel quale confluivano alcune delle più importanti strade appartenenti al sistema viario etrusco-romano, come la Tarquiniense (via Latina), e la Clodia. Il poggio, che è ben riconoscibile sia in planimetria, che in lontananza per la sua forma e per la possibilità che offre di controllare il territorio circostante, non a caso è denominato “La Rotonda”. Il colle trova le ragioni del suo toponimo non solo per l’evidente morfologia territoriale, ma anche probabilmente perché la cima del rilievo è circondata dai resti di una cinta muraria di forma circolare, in parte crollata ed in parte ancora apprezzabile in alzato, costruita con blocchi di pietra calcarea locale, legati con malta, databile ad età medievale Non è improbabile che questo sito possa essere identificabile con il più antico Mons Gosberti, a tale proposito è utile ricordare che le fonti in merito a S. Maria in Mignone citano tale chiesa, facente parte dei beni dell.Abbazia di Farfa, insieme alle sue pertinenze, che erano costituite dal Mons Gosberti, dal gualdo, dalla Ripa Aluella o Albella e dal Portu de mare Nonostante i tre toponimi (Monte Gosberto, Gualdo e Ripa Alvella) menzionati nel documento, non abbiano lasciato traccia nella toponomastica moderna,

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l’insieme delle indicazioni offerte, ha dato luogo a una serie d’ipotesi. Paola Supino aveva tentato di localizzare il Monte Gosberto con una delle cime che si trovano a sud-est di Monte Romano. Dal punto di vista topografico, l’unica altura di una certa rilevanza, classificabile come tale sulla riva destra del Mignone e nelle immediate vicinanze della zona dove sorgeva la cella di S. Maria del Mignone, è il poggio della Rotonda. È stato già acutamente notato come il toponimo Mons Gosberti in epoca basso medievale non avesse più ragione di essere, in quanto sfuggiva il riferimento originario al proprietario del sito pertanto, è verosimile che si sia modificata solo la seconda parte di esso con la generica definizione Romano (M. Scapaticci). Dopo l’abbandono la Rotonda subì saccheggi e spogli soprattutto per costruire l’attuale borgo di Monte Romano. La studiosa M. Scapaticci ritiene di dover affermare che le origini di Monte Romano sono molto più antiche di quanto non si supponesse prima di quelle fino ad oggi ipotizzate. I resti archeologici, ascrivibili in base ai reperti mobili rinvenuti ad epoca basso medievale, sono riconducibili ad un nucleo abitativo già denominato arx Montis Romani già prima del XIV sec. Al momento attuale non esistono prove archeologiche ma non è escluso che al di sotto dello strato di abbandono del XIV-XV sec., possa dimostrare questa ipotesi ed identificare definitivamente il sito con il Mons Gosberti. La distruzione dell’insediamento basso medioevale sull’apice della Rotonda dovrebbe essere datata secondo il Silvestrelli tra il 1431 ed il 1435, nella guerra tra Eugenio IV e la famiglia dei Prefetti di Vico.

Questo nucleo inserito al centro di relazioni importanti, instaurate con il territorio e soprattutto con alcuni dei più rilevanti centri abitati della Tuscia medioevale: come il Castellaccio dell’Ancarano, Orcla (Norchia), Cencelle, e la Rocca Respampani; quest’ultimo rapporto, in particolare, è documentato ancora oggi dall’esistenza di una strada antica ancora conservata all’interno del Poligono Militare in loc. Vallicelle, Banditella e Muracciol Nel 1456, in seguito alla distruzione dell’Arx Montis Romani, questo territorio insieme con la tenuta di Monte Romano e della Rocca Respampani , verrà ceduta all’Ospedale del Santo Spirito in Sassia, che da questo momento inizierà a sfruttare queste terre imponendo su di esse un’organizzazione agricola più razionale.

Al’inizio del XVII secolo il S Spirito decide di darsi un ruolo di grande protagonista, in un periodo di incertezza amministrativa e di forte indigenza stabilisce alcuni punti per stabilizzare potenziare la propria capacità produttiva e finanziaria . la prima iniziativa la lanciò proprio su Monte Romano. Potenziò il ruolo dei contadini contro i doganieri, cioè la coltura contro la pastorizia, con il costante aumento delle unità lavorative. Nel 1602 si costruì il grande granaio di Agucci con lo scopo di dotarsi di un abbondante accumulo dei prodotti e nel 1606 iniziano i lavori della Rocca Respampani, per sostituire la vecchia Rocca, singolare esempio di insediamento dell’XI secolo,

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costruito su uno sperone tufaceo e posto a controllo di una antica strada, la Clodia con una rilevante funzione di collegamento tra Roma e Saturnia fin tutto l’Alto Medioevo ormai fatiscente ed inabitabile.

La Roccaccia, antico castello. Ricostruzione del1854 di Igino Ittar della Roccaccia chiamata anche Rocca di Santo Spirito o Rocca Respampani, sita a Monte Romano (Cultura, arte e archeologia Culture, art and archaeology -VITERBO CHE ERA- Impronte di una città sparita Mostra di cliché di fotoincisione e antiche tecniche di stampa a cura di Marco Zanardi)

Nel 1664 con Bolla del Pontefice Alessandro VII, aderendo ad analoga richiesta del Precettore del Santo Spirito, si autorizza l’Ospedale medesimo a riedificare in luogo più adatto il Castello di Monte Romano, appunto Castello Alessandro, di chiamarvi nuovi abitatori e di concedere a costoro aree per fabbricare case e terre da coltivare in concessione perpetua. Questo nucleo di case rappresenta il primo quartiere residenziale presente nell’abitato; per favorire l’insediamento di nuovi residenti, l’Ospedale del Santo Spirito, aveva offerto varie agevolazioni e si impegnava direttamente a sostenere la costruzione di un forno, un macello, di una pizzicheria e di tutte quello botteghe necessarie a rendere tale nucleo autosufficiente. E’ in questo periodo che Monte Romano tende ad acquisire una maggiore consistenza ed un aspetto di paese, anche è con il quartier Monte Cavallo che nasce il nucleo edilizio più importante, nel quale ancora oggi si può leggere la sua tessitura urbana, questo può essere riconosciuto come la prima grande introduzione di una edilizia di massa.

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L’Ospedale ha interesse a potenziare la tenuta di Monte Romano, e spesso impone agli abitanti un prezzo durissimo fatto di controllo economico, ma anche di costrizioni di comportamenti delle persone nelle relazioni sociali e familiari, ma ormai si è formata una nuova coscienza ed dignità democratica e tra il 1959 e la fine del secolo si assiste ad un continuo braccio di ferro tra l’Ospedale e gli abitanti di Monte Romano ancora considerati dei sudditi. Ed è proprio negli anni 1787-1791 che sono realizzate le primi case in linea, sono tre case destinate ad abitazione popolare, costruite per la nuova classe di contadini imprenditori. La loro costruzione fu garantita dall’arma di Francesco degli Albizi, grande sostenitore della nascente libertà degli abitanti e subita dall’Ospedale sempre meno in grado di controllare la dinamica sociale in atto. Nel 1851 con rogito notaio Luigi Fattori, tra la Venerabile casa di S. Spirito in Sassia e il Comune di Monte Romano si attua la rinuncia giurisdizionale baronale dell’Ospedale con conseguente cessazione del Regime Feudale ed erezione di Monte Romano in libero Comune.

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5 Polarità del porto di Civitavecchia

5.1 Centumcellae

Potere centrale ha significato per Civitavecchia, fin dalle origini, Roma. Da Roma essa ha avuto principio, come porto e come centro di servizio funzionale alle esigenze annonarie, commerciali e militari della capitale. Con Roma ha condiviso, nella diversa misura dei rispettivi ruoli, i fasti di lunghe e feconde stagioni, che hanno visto all’opera, nel dare ad entrambe il loro volto urbanistico ed architettonico,i medesimi massimi artisti di quelle epoche. A Roma è stata legata da un vincolo di sudditanza politica, amministrativa ed economica, che ne ha costantemente condizionato le vicende, sia in positivo che, più frequentemente, in negativo. La vita ultramillenaria della città portuale appare come un concatenarsi di eventi memorabili che, da una parte, arricchiscono il patrimonio delle antiche e gloriose tradizioni cittadine e, dall’altra, sembrano confermare i fausti auspici di sviluppo presagiti fin da allora dai nostri storiografi, per la posizione geografica, la presenza del porto e le molteplici vocazioni del territorio. Per tutto l’arco della sua storia, la vita della città resterà indissolubilmente legata al porto e la sua storia sarà, quasi esclusivamente, la storia del porto. A iniziare con la fase etrusca dove è caratterizzata da circostanti aree di necropoli come Castellina, Poggio di Castellaccio o piccoli santuari era un’area posta al limite tra i territori delle potentissime Tarquinia e Caere, solo nel III sec a.C., a seguito della romanizzazione del territorio iniziò ufficialmente la storia di - Centumcellae- Cencelle (Centocelle) -Civitavecchia.. Fondata, insieme al porto, da Traiano sul principio del Il secolo d.C., fu Il maggior polo infrastrutturale realizzato dalla logica territoriale romana in territorio etrusco. La costruzione del porto di Centumcellae rientrava “in un vasto disegno di attrezzatura portuale delle coste adiacenti alla capitale e più specialmente in relazione con il perfezionamento del porto di Ostia”. (Romanelli, “La funzione del porto di Centumcellae”, in Civitavecchia). Fu il porto che in sè concentrò tutta la funzione portuale policentrica svolta dal litorale tirrenico a quei tempi. La distanza da Roma era ideale per impiantare un insediamento direttamente gravitante nel patrimonio privato dello Stato. La struttura di base fu costituita da grandi depositi, forse le Centumcellae secondo alcune tesi e da una villa imperiale funzionale allo spostamento della corte costruita in zone non a contatto con la città, sostenibile è anche la tesi che il nome di Centumcellae sia quello della villa pulcherrima di Traiano, dato specificatamente ad essa, forse dallo stesso imperatore.

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Civitavecchia (Centumcellae). Plastico ricostruttivo del porto romano eseguito da F. Cordelli per la mostra Augustea della Romanità, 1937 – 38 (da S. Bastianelli).

La residenza imperiale permetteva di presiedere al funzionamento del sistema annonario, che aveva il suo terminale nei mercati traianei di Roma, ma che viveva sull’efficienza dei porti. La costruzione del porto di Centumcellae tenterà di creare un nuovo polo strategico, di carattere militare e commerciale, nella speranza di determinare, così, il rilancio su vasta scala delle attività tradizionali della zona e di provocare la nascita di altre, indotte dalla presenza del grande porto,capaci di imprimere un’inversione alla tendenza involutiva. Il centro maggiore del nostro comprensorio nasce, così, come atto d’imperio del potere centrale, appunto “cattedrale nel deserto”, voluta nel quadro della politica traianea, dell’Italia ed in particolare della terra d’Etruria . Nei fatti, il risultato della grandiosa iniziativa sarà quello di concentrare e specializzare il ruolo di servizio intorno alla nuova infrastruttura, senza che il territorio circostante riesca più ad integrarsi in un sistema produttivo omogeneo. L’importanza strategica della posizione di Centumcellae si mantenne nei vari periodi storici, evidenziata dal ruolo svolto dalla città. Nei periodi successivi al periodo romano, miracolosamente Centumcellae rimase estranea alla generale decadenza dell’impero, mantenendo un ruolo di porto militare e commerciale accentrando il movimento di passeggere della costa laziale e riuscì a mantenere un’importante funzione portuale anche sotto il dominio bizantino,diventando punto di partenza per le spedizioni militari da effettuare nella Tuscia - Longobarda. Essa diviene un caposaldo del dominio bizantino e tale si mantiene anche dopo che l’invasione longobarda, iniziata nel 568, porta rapidamente alla divisione della Penisola tra i due contendenti, infrangendone in modo definitivo l’unità politica. La funzione strategica di Centumcellae accresce per la vicinanza ai confini tra il Ducato Romano e la Tuscia longobarda, si rafforzano i suoi legami politico-amministrativi con Roma, e si riavvia quel processo di dipendenza, già insito nel ruolo portuale fin dall’origine, ma ora integrato dalla situazione territoriale.

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Pochi porti del Tirreno erano altrettanto attrezzati ed in buona efficienza, come ancora nel IX secolo quello traianeo; benché decaduta, la Roma della Curia e dei pellegrinaggi alle tombe degli Apostoli, costituiva un centro di consumi ed un polo di attrazione in grado di alimentare vasti traffici commerciali e molteplici attività di servizio. Con la nascita del patrimonium Petri si definisce anche la situazione politica che determinerà tra breve, attraverso dolorose vicende, lo stato giuridico di Centumcellae e delle due città che ne deriveranno: Centocelle e Civitavecchia, la prima erede del come e delle prerogative civiche, la seconda, erede del sito geografico. Dall’813 all’854 gli abitanti di Centumcellae devono subire ripetutamente gli assalti nemici, in un continuo e logorante stato d’allarme nella città sempre meno difesa, cercando rifugio, ad ogni nuova incursione, nelle selve e sui monti .

La situazione politica dell’Italia centrale nel VII secolo (la linea a tratto e punto rappresenta il limite regionale del Lazio attuale). L’andamento dei confini è tratto dalla cartina storica dell’Italia longobardo-bizantina in Enciclopedia Italiana s.v. Italia. L’antica unità dell’Etruria è spezzata, ma Centumcellae mantiene la sua importanza, accresciuta dalla posizione strategica.

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«Tempore Gregori IV orta esttribulatio magna Christianis;...nam multitudo Saracenorum, per portum Centumcellensem intrans, replevit faciem terrae..Omnis Thuscia in solitudinem redegerunt » (S. Antoninus, Hist., II, 16, c. l § 4 riportato dal Calisse cit ) “….ritornorno a Ciuita Vecchia, oue prima ’imbarcarsi fecero l’ultimo sfogo della loro barbarie, non lasciandoui pietra sopra pietra,rouinando anche il bellissimo Porto già fatto dà Traiano, il quale era come un’amirabile Anfiteatro…”(Arcangelo Molletti, manoscritto Antichità e Memorie di Ciuita Vecchia,1700-Roma, Biblioteca Casanatense)

5.2 Cencelle-Centocelle-Leopoli

Centumcellae dunque restò distrutta e disabitata e gli abitanti si dispersero sui monti e nei boschi circostanti , finchè Leone IV fece edificare la nuova Leopoli che la popolazione continuò a chiamare Centuncellae o Cencelle o Centocelle .

Le tappe principali dell’espansione araba in Medio Oriente, in Africa ed in Europa e le direttrici delle incursioni

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Il nuovo assetto territoriale determinato dall’abbandono della Centumcellae costiera e dal pericolo d’incursioni cui è soggetto il litorale. All’asse rappresentato dalla via Aurelia in età romana si sostituisce un asse interno arretrato, con una corona di punti di avvistamento, in reciproco rapporto visivo e con ampie possibilità di osservazione verso il mare e sulle vie di penetrazione (Arch. Francesco Corrent)i

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Il poggio di Centocelle (168 metri s.l.m.) si innalza tra i primi contrafforti dei Monti Ceriti verso la valle del Mignone, a circa 10 chilometri dall’insenatura di Sant’Agostino presso la foce del fiume. La posizione consente il controllo di tutta la vallata fino al mare e di un ampio tratto di litorale, rimanendo, nello stesso tempo, defilata e mimetizzata tra le alture circostanti. lontana dal mare, per motivi che probabilmente non riguardano solo la sicurezza, ma anche una politica di indipendenza del Patrimonio di San Pietro dal potere imperiale. La scelta di Leone IV corrisponde, dunque, ad un preciso indirizzo di politica territoriale e ad un programma generale, le cui implicazioni urbanistiche non sono casuali e inconsapevoli.Il nuovo assetto insediativo instaurato da Leone IV, che vede Centocelle inserirsi centralmente, rafforzandolo, su un asse interno tra Corgnitum e Tulfavetus. Infatti l’inagibilità dell’Aurelia ha ridato importanza a quella via romana proveniente da nord che, attraverso Vulci, Tarquinia, Luni, Rota e Stigliano, raggiungeva ad Novas sulla via Clodia. Un assetto simile a quello che aveva caratterizzato l’organizzazione etrusca. Manca, però, il fecondo rapporto tra la zona costiera e l’entroterra, come manca la serie di attività che avevano reso vitale quell’organizzazione: la campagna è ora un deserto ostile, soggetta solo presso i borghi ad un precario sfruttamento pastorale ed agricolo, l’artigianato è limitato alle esigenze locali e gli scambi sono ridotti a livelli minimi, essendo del tutto cessato il commercio su vasta scala ed in particolare quello marittimo. Il nuovo insediamento fortificato, in posizione riparata sui colli e con una cittadinanza che ha ormai cambiato attività e risorse, si mantiene vitale per vari secoli, pur decadendo poi lentamente, quando sul territorio si affermano altri centri di potere. Ai porti si sostituiscono i castelli, Civitavecchia fu ceduta ad Prefetti di Vico il cui dominio terminò nel 1432 quando Civitavecchia entrò a far parte dello Stato Pontificio.

Città del Vaticano, Galleria delle Carte Geografiche (dipinta da Antonio Danti, in base a cartoni del fratello Egnazio, nel periodo 1580-83; le carte furono poi aggiornate da Luca Holstenio un sessantennio dopo). Carta della Tuscia Suburbicaria con i toponimi: tra i centri abitati, quello turrito di Cincelle .

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5.3 Civitavecchia

Durante il periodo papale Civitavecchia fu il massimo porto tirrenico dello Stato della Chiesa e la sua piazzaforte militare. Bernardo Rossellino, che il Vasari dice autore in Civitavecchia di “molti, belli e magnifici edifizi”, apre la serie dei grandi architetti incaricati dai papi di fortificare, abbellire e ingrandire la città ed il porto, in un processo organico che proseguirà fino a tutto il XVIII secolo. Ne ebbero particolare cura Sisto IV, Sisto V, Paolo V che inviarono lì Bramante, Sangallo,Bernini. L’Aurelia faceva sistema con il porto dal quale si procedeva verso nord per via mare in quanto i percorsi via terra ero insicuri, il sistema monocentrico peninsulare fu ripristinato anche se in modo imperfetto.

Antonio da Sangallo il giovane, Porticello ,1515-19 ca. (A.U.946). Questo disegno degli Uffizi riporta il progetto della cinta fortificata con una serie di celle sul perimetro,forze alludenti alle “cento celle” ed e con un arsenale sul lato settentrionale del bacino.

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Nel 1506, Giulio II, con numeroso seguito di esperti, visita Civitavecchia e decide l’ampliamento della cinta muraria e la costruzione della nuova Fortezza, il cui progetto viene commissionato all’ormai anziano Bramante, che lo realizza con l’aiuto del suo allievo Antonio da Sangallo il Giovane. Interrotta per ragioni economiche, la costruzione vede solo nel 1536 il suo compimento , secondo la tradizione locale, sempre fantasiosa, ad opera di Michelangelo, che ne avrebbe progettato il coronamento terminale del mastio. Comunque se non è certa la presenza di Michelangelo, di certo sappiamo che anche Leonardo da Vinci si occupa del problema e, nel porto, disegna gli antichi e grandiosi resti romani.

Bellissima veduta di Civitavecchia affrescata da Antonio Danti nella Galleria delle Carte Geografiche in Vaticano (1580-83),dove si vedono le due piazze (Leandra e di Santa Maria) e molti cortili con alberi,probabilmente da frutta, che danno un’immagine abbastanza inusuale della città

Tra le opere rinascimentali rimaste è, la fortificazione intorno alla darsena, parte superstite della

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cinta bastionata costruita su progetto di Antonio da Sangallo il Giovane ma terminata nel 1563 da Francesco Laparelli da Cortona. La costruzione di un arsenale, il cui progetto, intorno al 1658, viene affidato a Gian Lorenzo Bernini. Carlo Fontana, alla fine del secolo XVII, a prevede nei suoi progetti una grande vasca d’acqua al centro della Calata, è però Luigi Vanvitelli a darne il disegno, forse con la collaborazione di Nicola Salvi o di altri. In questo quadro, in cui i nuovi interventi vengono a completare e ad arricchire architettonicamente quelli precedenti, si opera fino alla seconda metà del Settecento. Anche Napoleone aveva mostrato grande interesse a migliorare la ricettività del porto,nel 1804 viene presentata a Pio VII una proposta per la realizzazione di un lazzaretto a Punta del Pecoraro, corredato di un porticciolo per le navi in quarantena. La presenza del bacino traianeo ha da sempre determinato la fortuna della città e si può affermare che se Centumcellae non fosse stata distrutta dai Saraceni, altra sorte avrebbero avuto la città e il territorio. La posizione geografica, già dimostratasi d’importanza strategica nei secoli precedenti, avrebbe dato a Centumcellae una preziosa centralità rispetto a quel lungo tratto di litorale, ai cui estremi stavano per fiorire le repubbliche marinare di Pisa e d’Amalfi. L’interesse che presenta la storia di Civitavecchia risiede nel suo carattere, del tutto anomalo, di città cui gli avvenimenti hanno, di volta in volta, negato quell’evoluzione che sarebbe stata logica conseguenza della situazione raggiunta. La prima volta, peraltro, essa non ha subito solamente il saccheggio e la rovina, ma addirittura lo sradicamento da quella particolare posizione marittima che la stava portando ad affermarsi come uno dei centri, cardine del nascente Stato pontificio. E’ stata ripetutamente ricordata la felice posizione geografica di Civitavecchia e l’importante ruolo avuto territorialmente In questa situazione, probabilmente è nata l’aspirazione di Civitavecchia ad essere reintegrata nel rango di capoluogo della fascia costiera dell’Alto Lazio, portata avanti da dibattiti più che ventennali, ai quali è seguito anche un movimento negli anni Novanta per istituire la Provincia di Civitavecchia. Oggi questo appare oltremodo anacronistico in una situazione che vede l’eliminazione di tutte le provincie quali enti intermedi, ma che se riprendiamo l’analisi storica non è così campata in aria. Nel 1603 la città fu eretta a sede di un governatore di distretto (comprendente le terre di Civitavecchia e Tolfa e con soprintendenza sulla città di Corneto); nel 1816 divenne, con Viterbo, capoluogo di una delle due delegazioni costituenti la provincia del Patrimonio (la delegazione comprendeva Corneto, Tolfa, Toscanella, Cerveteri, Montalto, Allumiere, Civitella Cesi, Manziana e Monteromano); nel 1824 le due delegazioni furono riunite, restando distinti i distretti, con Viterbo sede del delegato e Civitavecchia del luogotenente; nel 1831 fu ripristinata la suddivisione, mantenuta nel riordinamento del 1850, con cui le delegazioni di Orvieto, Viterbo e Civitavecchia furono aggregate al circondario di Roma.Inoltre è opportuno ricordare che Viterbo e Civitavecchia sono i soli comuni dell’Alto Lazio occidentale la cui dimensione urbana, demografica e produttiva ne

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consenta, dal punto di vista geografico ed urbanistico, la qualificazione di “città” (Somea, Atlante economico-commerciale delle regioni d’Italia, Roma 1973). Non è anacronistico però ancora oggi considerare il ruolo centrale del porto di Civitavecchia, il ruolo di vero porto di Roma. Il porto di Civitavecchia rappresenta una delle opportunità più significative della zona ed il secondo porto passeggeri italiano ed il terzo in Europa. I suoi punti di forza sono la forte crescita del traffico crocieristico, l’ingente flusso turistico del traffico passeggeri e non ultimo la possibilità di diventare uno dei porti di feederaggio più importanti del mediterraneo. Civitavecchia rappresenta l’area centrale di un sistema a cavallo tra Viterbo e l’area metropolitana nord di Roma, strategicamente collegata con Roma e con l’aeroporto di Fiumicino. In questo quadro la trasversale Civitavecchia-Orte-Terni va considerata a tutti gli effetti una infrastruttura a carattere nazionale, funzionale al collegamento con il Centro Italia e con l’asse longitudinale Milano-Napoli. Anche il completamento della Civitavecchia-Livorno , nasce circa quarant’anni fa quale necessità di completare il cosiddetto “corridoio Tirrenico” considerato una delle più importanti direttrici plurimodali del nostro paese, permettendo di collegare il Nord e il Sud Ovest d’Europa con il mezzogiorno d’Italia. Riaprendo così quell’anello che racchiudeva tutte le coste dell’Italia, della Gallia, dell’Hispania e dell’Africa che fece grande Roma.

La posizione del porto di Civitavecchia Civitavecchia «porto delle 4 regioni»(Lazio, Sardegna, nel Mediterraneo:visualizzazione del Umbria e Marche) nel modello di assetto territoriale triangolo descritto da Alessandro Cialdi C.R.P.E.L. 1968

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6. Conclusioni

In questa relazione si è cercato di radicare nella geografia e nella storia il suo ragionamento due concetti inalienabili in un momento storico di grande confusione amministrativa e politica nella scelta di modelli e scenari da proporre, considerare l’asseto del territorio come passaggio transitorio consegnatoci dalla storia, può fornire uno strumento di riflessione per mettere a confronto le nostre azioni con quelle delle epoche precedenti e ci permette di considerare il nostro presente con una prospettiva più distaccata che ci obbliga a considerare con più attenzione e rispetto i fatti e le singole realtà che ci accompagnano e ci circondano.

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La possibilità di trarre interessanti conclusioni, ove si esamini tale divenire del territorio entro un semplice schema sistematico ci è data dall’alternarsi di una organizzazione che possiamo definire trasversale, articolata cioè, nelle sue strutture socio-economiche e con le sue direttrici di traffico e di commercio, perpendicolarmente alla costa, con un’organizzazione longitudinale, parallela alla costa. Nella prima è possibile riconoscere una matrice quasi organica, naturale, come il corso delle valli torrentizie su cui si appoggia per i collegamenti e per la dislocazione degli abitati; nella seconda,- quella longitudinale-, una matrice artificiale, razionale forse, ma comunque “imposta” al territorio e alla sua gente. Da tali alterne rotazioni dell’assetto organizzativo è realistico far dipendere il perdurare o il ripetersi dei medesimi fattori di squilibrio o di riequilibrio, a volte in un diretto rapporto di causa ed effetto e, in ogni caso, come risultato di circostanze che determinano o comportano l’uno o l’altro tipo di organizzazione. Le fasi di assetto trasversale con una piena utilizzazione di tutte le risorse ambientali ha fatto da supporto alle varie fasi di rinascita del territori ed ancora oggi sostiene e da nome a gran parte dei centri viventi. Da supporto a questo sistema complesso ed equilibrato è stato sicuramente il modello morfologico che in quest’area sembra disporre spontaneamente ad uno sviluppo in cui la pianura costiera pare naturalmente rappresentare la direttrice dei collegamenti longitudinali tra il grande sistema della valle del Tevere con quella dell’Arno, mentre quello trasversale pare nato per assolvere i collegamenti con il profondo entroterra. Il sistema che abbiamo analizzato a larghi tratti e con un certa schematicità si può affermare che diviso dalla morfologia del suolo, dalla storia, e dal suo assetto amministrativo in due parti ben distinte che hanno la loro cerniera nella Tolfa e nel Capo Linaro. La zona a nord della Tolfa con i comuni della provincia di Viterbo che vive ancora in equilibrio tra territorio urbanizzato e territorio agricolo come Monte Romano, la zona litoranea e pianeggiante a sud, fatta di piccoli centri sparsi e grandi inurbamenti come Civitavecchia e Tarquinia, un’area in cui si è costituita una situazione di tipo poliurbano influenzata in parte dall’ area romana metropolitana, in parte dovuta alle note condizioni favorevoli della pianura viterbese ed alla facile comunicazione con Roma. Nei comuni più interni dove l’orografia ha determinato condizioni meno favorevoli collegamenti complicati se non impervi e si assiste ad un certo ristagno facilmente superabile con una rete efficiente di collegamenti. Cardine del sistema appare il tanto auspicato collegamento trasversale Civitavecchia-Viterbo-Terni-Ancona, proposto come vero e proprio asse attrezzato di tutto il territorio, anche materialmente capace di indicare la direttrice di sviluppo di aiutare a riprogrammare organicamente le polarità di questo territorio perché possano diventare centri di attrazione in ragione dei servizi e della facilità d’accesso.

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Con la trasversale autostradale si svilupperebbero nuove polarità per lo svago ed il tempo libero con interventi mirati alla valorizzazione dell’ambiente ed in alcuni casi della loro ricostruzione. Si attuerebbe un riequilibrio di un territorio destinato a subire l’influenza della città di Roma. Un comprensorio a rischio di una definitiva imposizione di una direttrice longitudinale inserita in uno schema polarizzato da Roma. Roma lucidamente definita dall’urbanista L. Quaroni “la città nel deserto”, un deserto da essa stessa creato “ab antiquo”, con lo sconvolgimento morfologico dell’assetto territoriale etrusco. Scriveva Roberto Almagià alla voce «Civitavecchia» (1931), ”Il traffico di Civitavecchia col retroterra è destinato ad aumentare dopo l’apertura (1929) della ferrovia per Orte (86 km.), che stabilisce una comunicazione diretta con Terni e con Ancona “A tanti anni di distanza, la situazione e le speranze non sembrano mutate, in un perenne ripetersi dei medesimi temi.

Architetto Patrizia Riccioni

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BIBLIOGRAFIA

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Relazione sugli aspetti storico-testimoniali e culturali e l’identità delle comunità interessate 69 ANAS S.p.A. Direzione Centrale Progettazione

Progettazione Preliminare ed analisi economica del tratto terminale del collegamento del porto di Civitavecchia con il nodo intermodale di Orte per il completamento dell'asse viario est-ovest (Civitavecchia-Ancona) 2012-it-91060-p

INDICE

1 Premessa……………………………………………………………………………………...2 2 Studio del Modello Morfologico del Territorio e la Viabilità come Asse di Sviluppo Economico nei diversi Periodi Storici……………………………..5 2.1 fase etrusca fase etrusca (dall’VIIi al IV sec. a.C.): i sistemi etruschi a prevalente direzionalità antipeninsulare………………………..10 2.2 fase romana (dal sec. IV a.c. al IV sec. d.C.): l’organismo territoriale romano a prevalente direzionalita’peninsulare………….....18 2.3 Medioevo e Rinascimento……………………………………………………………...23 2.4 Età Moderna e Contemporanea………………………….…………..………………. 30 3 Natura e storia degli elementi insedeiativi primari……………………………………38 4 I Caratteri Culturali della stratificazione antropica sul territorio…………………...44 4.1 Tarquinia……………………………………………………………………………….. 44 4.2 Monte Romano………………………………………………………………………… 52 5 Polarità del Porto di Civitavecchia….………………………………………………….. 56 5.1 Centumcellae………………………………………………………………………...... 56 5.2 Cencelle-Centocelle-Leopoli…………………………………………………………. 59 5.3 Civitavecchia………………………………………………………………………….. 62 6 Conclusioni…………………………………………………………………………….…… 66 7 Bibliografia………………………………………………………………………………….. 66

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