Area Funzionale Tecnica Ambiente e Natura

PROGRAMMA DI COOPERAZIONE TRANSFRONTALIERA ITALIA-SVIZZERA 2007-2013

PROGETTO “BIODIVERSITA’: UNA RICCHEZZA DA CONSERVARE”

MISURA 1.2 ADATTAMENTO DEGLI ECOSISTEMI ALPINI E PREALPINI AL CAMBIAMENTO CLIMATICO

Funzione: Ambiente e Natura Firma:

Nome: Data: Redazione Enrico Rivella

Funzione: Responsabile Data: Verifica Nome: Firma:

Paola Balocco

1 Sommario

1. PRODUZIONE DATA-SET SUL PERIODO 1990-2009 PER LA VALUTAZIONE DEL CAMBIAMENTO CLIMATICO IN PASSATO ED IN CORSO...... 10 1.1 Approfondimento meteorologico sull'area di studio del vallone del Vannino...... 12 2. REGIONALIZZAZIONE DI SCENARI CLIMATICI FUTURI ...... 14 3. INDICATORI ECOLOGICI...... 23 3.1. Premessa...... 23 3.2 Segnali ed evidenze in provincia di Verbania di effetti della variabilità climatica sulle componenti biotiche...... 23 3.2.1 Risalita di alcune specie vegetali nell’ultimo trentennio ...... 23 3.2.2 Analisi della tree-line nel vallone del Vannino...... 25 3.2.3 Analisi dei delle letture polliniche delle stazioni di monitoraggio aerobiologico di Omegna e di Visp (CH) ...... 25 3.2.4. Studio della copertura nevosa negli ultimi 10 anni mediante immagini satellitari (MODIS)...... 51 3.2.5. Correlazione tra dati di avifauna migratoria a Fondotoce e indici climatici ...... 54 3.3. Identificazione e selezione di indicatori ecologici di cambiamento climatico...... 61 3.4. Identificazione e restituzione cartografica di habitat di alta quota di interesse per lo studio dei cambiamenti climatici...... 65 3.4.1. La carta delle unità ambientali omogenee nel vallone del Vannino...... 65 3.4.2. L’ambiente glaciale e periglaciale della valle del rio Sabbione – Formazza...... 70 4 MIGLIORAMENTO ED IMPLEMENTAZIONE DEL MONITORAGGIO DELLE SPECIE DI INTERESSE AL CAMBIAMENTO CLIMATICO ...... 104 4.1. Premessa...... 104 4.2 Monitoraggio delle specie termosensibili ...... 104 4.2.1 Monitoraggio delle specie vegetali termosensibili con aree di saggio permanenti (transetti)...... 105 4.2.2 Monitoraggio della pedofauna con aree di saggio permanenti ...... 146 4.2.3 Analisi multivariata temperatura suolo, pedofauna e vegetazione...... 150 4.3 Monitoraggio dei suoli periglaciali e deglacializzati ...... 160 L’ambiente periglaciale dell’area del Lago del Sabbione...... 161 Vegetazione periglaciale e di ambienti di recente deglacializzati ...... 162 Pedofauna periglaciale e di ambienti di recente de glaciazione ...... 169 4.4 Studio ecologico delle Torbiere alte alpine ...... 173 4.4.1 Caratteristiche dell’habitat ‘Torbiere alte attive’ ...... 173 4.4.2. Scelta ed individuazione delle aree di saggio ...... 177 4.4.3. Metodi...... 179 4.4.4 Rilievi pedologici, chimico-fisici del suolo e nivologici...... 184 4.4.5. Analisi stratigrafiche del manto nevoso...... 185 4.4.6. Caratteristiche chimiche del manto nevoso ...... 186 4.4.7 Rilievi chimico-fisici delle acque...... 196 4.4.8 Andamento della temperatura del suolo delle due torbiere (Novembre 2009-Ottobre 2010)...... 207 4.4.9 Rilievi botanici...... 209 4.4.10 Mappatura della distribuzione di carbonio e azoto del suolo all’interno delle torbiere...... 220 4.4.11 Confronto dei dati biogeochimici osservati nelle due torbiere in relazione alle caratteristiche vegetazionali...... 230 4.4.12 Emissioni di CO2...... 239 4.4.13. Rilievi faunistici: odonati ...... 245 4.4.14. L’integrazione con lo studio delle farfalle ...... 259 4.5 Fenologia erbacea ...... 264 4.5.1 Rilievi fenologici erbacei all’Alpe Devero ...... 264 4.6. Conclusioni generali...... 285 5. DEFINIZIONE DI STRATEGIE COMUNI DI ADATTAMENTO AL CAMBIAMENTO CLIMATICO...... 287 5.1 Modellistica ecologica previsionale...... 287 5.1.1 Premessa: ...... 287 5.1.2 Modello di distribuzione delle specie vegetali ...... 288 5.1.3 Modello ecologico faunistico: idoneità ambientale per la Pernice bianca...... 328 5.1.4 Applicazione modello ecologico BIOMOD per la pernice bianca (Lagopus mutus)...... 331 5.1.5. Elaborazione del modello BIOMOD per la Pernice bianca ...... 356 5.1.6 Il modello Century di valutazione della variazione del contenuto di carbonio organico nel suolo 369 5.2 Proposte per l’adattamento degli ecosistemi di montagna ...... 390 5.2.1 Misure di adattamento per gli ecosistemi d’alta quota ...... 391 5.2.2 Misure di adattamento per gli ecosistemi forestali ...... 392

2 5.3 Azioni locali e buone pratiche a livello comunale per l’adattamento al cambiamento climatico...... 392 5.3.1 Integrazione degli aspetti climatici nel processo di VAS...... 395 5.3.2 Il Patto dei Sindaci: Piani di Azione per l’Energia Sostenibile (PAES o SEAP)...... 398 5.3.3 Adozione dell’impronta del carbonio nella valutazione dei progetti ...... 399 6. Materiale divulgativo e lavori scientifici...... 402

3 Hanno contribuito alla presente relazione il seguente personale di Arpa Piemonte:

CLIMA Dipartimento Sistemi Previsionali: Daniele Cane, Chiara De Luigi, Nicola Loglisci, Christian Ronchi, Luca Tomassone

INDICATORI Struttura Ambiente e Natura: Antonella Bari, Dipartimento Sistemi Previsionali: Mariaelena Nicolella

FENOLOGIA Struttura Ambiente e Natura: Giovanni Chiaretta

MONITORAGGIO Dipartimento di Verbania: Lucia Pompilio Dipartimento di Novara: Andrea Bertola

MISURE DI ADATTAMENTO Struttura Ambiente e Natura: Davide Vietti

PEDOFAUNA Dipartimento di Novara: Calciati Maria Maddalena, Leone Clara Dipartimento di Torino: Fogliati Pierluigi, Nicola Arianna Dipartimento di Cuneo: Giordano Lorenzo, Morisi Angelo Formazione: Griselli Bona

Hanno collaborato alle attività del progetto:

- Redazione Clara Bertino - Fenologia di uccelli migratori Marco Bandini, Enrico Caprio, Antonio Rolando - Durata della copertura nevosa Gianluca Filippa, Michele Freppaz, Gabriele Garnero, Danilo Godone - Vegetazione e suolo lungo il transetto altitudinale Giorgio Buffa, Angelo Caimi, Michele Freppaz - Fauna edafica Andrea Bertola, Alessandra Parodi - Torbiere alpine: vegetazione e pedoclima Giorgio Buffa, Gianluca Filippa, Michele Freppaz - Torbiere alpine: odonati Lucia Pompilio - Fenologia erbacea Angelo Caimi, Michele Freppaz, Consolata Siniscalco - Pollini e variabili climatiche Antonella Bari, Mariaelena Nicolella - Modello di distribuzione delle specie vegetali Fabio Attorre, Angelo Caimi, Fabio Francesconi, Danilo Godone - Modello ecologico faunistico. Idoneità Ambientale Massimiliano Ferrarato, Valentina Lamorgia, Davide Vietti - Modello Century di valutazione della variazione del contenuto di carbonio organico nel suolo Chiara Cappelletti, Giacomo Certini, Tommaso Chiti, Gianluca Filippa, Michele Freppaz

4 ENTE DI APPARTENENZA

Giorgio Buffa, Consolata Siniscalco: Università degli Studi di Torino, Dipartimento di Biologia Vegetale

Enrico Caprio, Valentina Lamorgia, Antonio Rolando: Università degli Studi di Torino, Dipartimento di Biologia Animale e dell’Uomo

Marco Bandini: Centro Studi Migrazioni, Fondotoce, Ente Parchi e Riserve naturali del Lago Maggiore

Michele Freppaz, Gianluca Filippa, Angelo Caimi, Chiara Cappelletti: Università degli Studi di Torino - DIVAPRA - Chimica Agraria e Pedologia - LNSA, NatRisk

Danilo Godone, Gabriele Garnero: Università degli Studi di Torino - Università degli Studi di Torino, DEIAFA - Topografia

Fabio Attorre, Fabio Francesconi: Università degli studi di Roma La Sapienza- Dipartimento di Biologia Ambientale

Giacomo Certini: Università degli Studi di Firenze - DiPSA

Tommaso Chiti: Università degli Studi della Tuscia - Laboratorio di Ecologia Forestale

5 INTRODUZIONE

Clima e biodiversità I cambiamenti climatici sono inequivocabili, dall'osservazione della crescita della temperatura media dell'aria e degli oceani, dal consistente scioglimento dei ghiacciai e dall'innalzamento del livello dei mari. Dal 1956 al 2005 abbiamo avuto un aumento delle temperature medie di 0,13°C per decade. L'innalzamento del livello del mare è stato di circa 1,8 mm per anno dal 1961 al 2003. Dai dati satellitari dal 1978 c'è stato il ritiro dei ghiacciai di circa il 2,7 % per decade e nel periodo estivo del 7,4%. Anche il trend delle precipitazioni è cambiato dal 1900 al 2005 è aumentato in tutta l'America orientale, nell’Europa settentrionale, nel nord e nell’Asia centrale mentre cala nel Sahel, nel Mediterraneo, in Africa meridionale e in parte dell’Asia meridionale. A questi eventi si somma l'accentuamento di condizioni climatiche naturali (giorni più caldi, cicloni, forti precipitazioni) (Solomon et al., 2007). Già dal 1992 gli studiosi si sono resi conto di quanto i cambiamenti del clima possano avere un ruolo nella perdita di biodiversità. Già nel 1987 Weiss e collaboratori videro che tra il 5 e il 20% delle specie in molti gruppi tassonomici, erano scomparse da aree sottoposte all’influenza umana, molte altre sono state ridotte ai limiti delle loro capacità di sopravvivenza. "Nel corso dell’ultimo secolo l’attività umana ha alterato in modo sostanziale una notevole porzione della superficie del pianeta, tra un terzo e metà della sua estensione, modificando a livello globale i cicli biogeochimici, trasformando radicalmente gli habitat naturali, aumentando notevolmente la mobilità degli organismi viventi" (Vitousek et al., 1997). Secondo quanto affermato già dal quarto rapporto sul clima, presentato dall’IPCC, il cambiamento climatico è ormai un fatto inequivocabile e il ruolo delle attività umane nel concorrere a tali mutamenti appare decisivo. Inoltre diversi modelli climatici prevedono, entro il 2100, un ulteriore aumento delle temperature medie, compreso tra 1 °C e 3,5 °C, affiancato a un aumento della quantità di precipitazioni, in particolare, alle altitudini più elevate. Simili modificazioni climatiche si rispecchiano sulla flora e sulla fauna di tutto il mondo. Recenti analisi, svolte su dati derivanti da monitoraggi a lungo termine, indicano che alcune specie sia di animali che di vegetali hanno già iniziato a rispondere a tali anomalie climatiche, mostrando cambiamenti nella loro fisiologia, fenologia o distribuzione, coerenti con le previsioni teoriche (Solomon et al., 2007; Kühn et al., 2008; Thomas et al., 2004a; Balletto et al., 2005; 2009). In particolare sono le specie stenoecie a essere particolarmente minacciate poiché legate inesorabilmente al loro habitat. Al contrario le specie generaliste mostrano una capacità ad adattarsi anche alle nuove condizioni e sono in grado di estendersi in habitat favorevoli (Asher et al., 2011). Molto spesso però non è semplice separare gli effetti del cambiamento climatico da quelli della perdita e trasformazione dell'habitat. La frammentazione e l'isolamento, causati dal cambiamento nell'uso del suolo e dalle pratiche agronomiche, sembrano essere le maggiori cause di minaccia per i lepidotteri ropaloceri (Balletto et al., 2009). E' importante comprendere che gli effetti del cambiamento climatico sono più difficili da analizzare poiché si tratta di un processo che si svolge nell'arco di decenni per cui è necessario avere una serie storica di dati molto ampia. Gli effetti provocati sulle specie possono essere raggruppati in quattro categorie secondo Hughes (2000):

- effetti sulla fisiologia dovuti all'aumento della CO2 atmosferica, ad esempio nei processi metabolici quali: fotosintesi, respirazione, sviluppo e composizione dei tessuti nelle piante; - effetti sulla distribuzione, un cambiamento nelle temperature medie di circa 3°C corrisponde, infatti, a uno

6 shift delle isoterme approssimativamente di 300-400 km in latitudine (nelle zone temperate) o di 500 m in altitudine, ciò comporta uno spostamento delle specie legate a temperature medio-basse a quote più elevate e a uno shift latitudinale verso condizioni più favorevoli; - effetti sulla fenologia e periodo di volo; - cambiamenti nella composizione delle cenosi; - microevoluzione in specie con breve ciclo vitale e rapida crescita delle popolazioni. Sempre secondo questo studioso i cambiamenti nella fenologia e nella distribuzione delle specie portano inevitabilmente ad alterazione nella competitività e nella coesistenza interspecifica con conseguenze nella locale abbondanza delle popolazioni locali. Allo stesso modo si assisterebbe a fenomeni di estinzione locale (Bonelli et al., 2011). In seguito sono stati analizzati i maggior effetti che si possono verificare a causa dei cambiamenti climatici sulle specie.

Il cambiamento climatico nelle Alpi e rischi per la biodiversità La relazione 2007 dei gruppi di lavoro dell'IPCC, il gruppo di esperti creato dai governi di tutto il mondo per studiare il cambiamento climatico ha confermato che anche le Alpi hanno vissuto un eccezionale incremento di temperatura tra la fine del 19° secolo e l'inizio del 21° valutato attorno ai 2°C, il doppio della media del riscaldamento dell'emisfero settentrionale. I cambiamenti registrati nelle precipitazioni sono risultati più moderati in termini di totale annuale, ma mostrano cambiamenti significativi tra le stagioni, con calo in estate, incremento in primavera e decremento delle precipitazioni nevose a favore di quelle liquide in inverno e conseguente minor numero di giorni con copertura nevosa. Questi cambiamenti hanno prodotto fenomeni importanti a livello dell'ambiente fisico alpino già parzialmente osservabili: riduzione della permanenza del manto nevoso a bassa quota, arretramento dei ghiacciai, degradazione dello strato di ghiaccio permanente nel suolo, maggiore frequenza di eventi estremi come siccità e inondazioni, innesco di frane. Le conseguenze possibili riguardano direttamente il futuro dell'economia delle comunità umane insediate nell'ambiente alpino, già di per sé fragili e in gran parte dipendenti dal turismo invernale. Un chiaro indizio è la necessità di predisporre impianti di innevamento programmato per le piste sciistiche a quote sempre più elevate, ma vi sono altri effetti ben più gravi che potrebbero ripercuotersi sull'approvvigionamento idrico dei 170 milioni di Europei che vivono nei bacini dei fiumi che nascono dalle Alpi. Anche la biodiversità potrà essere interessata. Le condizioni meteoclimatiche sono un fattore determinante della struttura degli ecosistemi e della distribuzione geografica di specie vegetali e animali. Quando i parametri meteorologici superano i limiti di tolleranza fisiologica propri di ogni singola specie, queste possono essere forzate a rispondere in vario modo, modificando la temporizzazione dei propri cicli vitali, spostandosi alla ricerca di territori più idonei, cambiando morfologia, comportamento o funzioni fisiologiche che incidono sulla produttività degli ecosistemi. Nonostante le Alpi siano la catena montuosa più sfruttata del mondo, il loro paesaggio naturale custodisce un vasto patrimonio di specie animali e vegetali riconosciuto a livello internazionale. Alla base di questa grande diversità di organismi viventi c'è la grande varietà di habitat e di processi naturali che ne regolano la dinamica, tra cui quelli climatici riscontrabili in alta montagna, dove variazioni anche minime di altitudine, pendenza ed esposizione possono amplificare la gamma dei microclimi. Le montagne inoltre spesso

7 rappresentano “isole” adatte ad ospitare specifici habitat, isolati dalle aree a più bassa quota e per tali motivi gli endemismi sono numerosi, superiori alle limitrofe aree di pianura. Le specie vegetali di ambiente montano, caratterizzate da habitat molto ristretti, in particolare quelle d’alta quota e dotate di una ridotta capacità di diffusione, sono fortemente suscettibili agli effetti dei cambiamenti climatici in atto. Alcuni modelli prevedono una significativa riduzione nell’estensione degli ambienti alpini, fino all’80% in Himalaya e fino al 100% nella Snowy Mountains Australiane (Pickering et al., 2004). I fattori principali alla base di tali cambiamenti sono il clima, l’uso del suolo e le deposizioni di azoto. L’ambiente alpino è contraddistinto da un’estrema variabilità delle condizioni climatiche, in genere molto rigide: estate alpina molto breve, con elevata incidenza di radiazioni solari, fortissimi e improvvisi sbalzi di temperatura che comportano anche differenze di decine di gradi tra le parti esposte al sole e quelle in ombra, venti a effetto evaporante e inaridente che causano erosione dei suoli e scalzamento delle piante, copertura nevosa che, pur abbreviando il periodo vegetativo, difende sotto la sua coltre le piante dagli effetti del gelo. Tali condizioni impongono limiti ben precisi allo sviluppo degli organismi viventi che hanno dovuto sviluppare tecniche e strategie particolari per sopravvivere in un ambiente tanto ostile. Per tale motivo l’attività di Arpa Piemonte nell’ambito del progetto interreg “Biodiversità: una ricchezza da conservare è stata quella di mettere a punto una prima serie di attività per analizzare, controllare le tendenze e modellizzare l'evoluzione di alcuni aspetti dell'ecosistema alpino delle Alpi Pennine orientali e Lepontine in risposta alla variabilità climatica e nel contempo dare un contributo allo sviluppo delle conoscenze scientifiche sulla biodiversità. L’indice della relazione segue lo sviluppo delle cinque azioni previste da Arpa Piemonte nell’ambito del 3°asse del progetto relativo a “Adattamento degli ecosistemi alpini e prealpini al cambiamento climatico”:

1. produzione data-set sul periodo (1960-2007) per la valutazione del cambiamento climatico in passato ed in corso

2. regionalizzazione di scenari climatici futuri

3. indicatori ecologici

4 miglioramento ed implementazione del monitoraggio delle specie di interesse al cambiamento climatico

5. definizione di strategie comuni di adattamento al cambiamento climatico.

Riferimenti bibliografici

Asher J., Fox R. & Warren M., 2011. British butterfly distributions and the 2010 target. Journal of Insects Conservation, 15: 291-299

Balletto E., Barbero F., Casacci L., Cerrato C., Patricelli D. & Bonelli S. 2009. L’impatto dei cambiamenti climatici sulle farfalle italiane. Studi Trent. Sci. Nat., 86: 111-114

Balletto E., Bonelli S. & Cassulo L. 2007. Insecta Lepidoptera Papilionoidea. In: Ruffo S, Stoch F (eds) Checklist and distribution of the Italian Fauna. 10,000 terrestrial and inland water species. 2nd and revised edition Memorie del Museo Civico di Storia Naturale di Verona, 2 serie, Sez. Scienze della Vita. 17: 257–261,

8 280 pls on CD-ROM

Balletto L., Bonelli S. & Cassulo L. 2005. Mapping the Italian butterfly diversity for conservation. In: Kühn, E., Feldmann, R., Thomas, J., Settele, J., (eds) Studies on the ecology and conservation of butterflies in Europe. 1. General concepts and case studies. Pensoft Publ. Co., Sofia & Moscow, 71-76

Bonelli S., Cerrato C., Loglisci N. & Balletto E., 2011. Population extinctions in the Italian diurnal lepidoptera: an analysis of possible causes. Journal of Insects Conservation, DOI 10.1007/s10841-011-9387-6 Hughes L. 2000. Biological consequences of global warming: is the signal already. Trends in Ecology and Evolution, 15: 56-61

Kühn I., Sykes M.T., Berry P.M., Thuiller W., Piper J.M., Nigmann U., Araújo M. B., Balletto E., Bonelli S., Cabeza M., Guisan A., Hickler T., Klotz S., Metzger M., Midgley G., Musche M., Olofsson J., Paterson J.S., Penev L., Rickebusch S., Rounsevell M.D.A.R., Schweiger O., Wilson E. & Settele J. 2008. MACIS: Minimisation of and Adaptation to Climate change Impacts on biodiversity. Gaia, 17 (4): 393-395.

Solomon S., Qin D., Manning M., Chen Z., Marquis M., Averyt K.B., Tignor M. & Miller L.H. 2007. Climate Change 2007: The Physical Science Basis. Contribution of Working Group I to the fourth Assessment Report of the Intergovernmental Panel on Climate Change. Cambridge University Press, New York, NY, USA

Thomas C.D., Cameron A., Green R.E., Bakkenes M., Beaumont L.J., Collingham Y.C., Erasmus B.F.N., Siqueira M.F., Grainger A., Hannah L., Hughes L., Huntley B., van Jaarsveld A.S., Midgley G.F., Miles L., Ortega-Huerta M.A., Peterson A.T., Phillips O.A. & Williams S.E., 2004a. Extinction risk for climate change. Nature, 427: 145-148

Thomas J., Telfer M. G., Roy D.B., Preston C.D., Greenwood J.D.C., Asher J., Fox R., Clarke R.T. & Lawton J.H. 2004b. Comparative Losses of British Butterflies, Birds, and and the Global Extinction Crisis

Vitousek P., Moohoney H., Lubchenko J. & Melillo J. 1997. Human domination of Earth’s Ecosystem. Science 277: 494-499

9 1. PRODUZIONE DATA-SET SUL PERIODO 1990-2009 PER LA VALUTAZIONE DEL CAMBIAMENTO CLIMATICO IN PASSATO ED IN CORSO

Il territorio piemontese presenta una variabilità climatica molto complessa, legata principalmente alla sua collocazione geografica e ad alla sua complessità geomorfologica.

La provincia del VCO è un esempio significativo di tale variabilità, proprio grazie alla sua varietà di territorio che presenta regioni montane, valli, uno tra i più grandi bacini fluviali della regione (il bacino del Toce), la presenza di uno dei laghi più vasti del territorio nazionale (il lago Maggiore) e dalla presenza delle cime tra le più alte sul territorio regionale (il massiccio del Rosa).Da quel punto una diramazione diretta del Monte Rosa la cinge a ovest con una serie di cime elevate nel cuore delle Alpi Pennine Orientali, dove sono ben rappresentati gli ambienti di alta quota nel Pizzo d'Andolla, che domina con il suo profilo maestoso la Valle Antrona e nelle cime svizzere della Zwichberghental culminanti nella Weissmies che svetta sul crinale della Val Bognanco sopra Domodossola. Dal Passo del Sempione hanno inizio, con la vetta del Monte Leone, le Alpi Lepontine che cingono gli ampi pascoli e alpeggi di Veglia e Devero, sovrastati dalle cime del Cervandone e dalla Punta d'Arbola. Dalla Punta d'Arbola fino al passo di San Giacomo, il punto più settentrionale della regione ossolana, si estende una zona di ampi ghiacciai a quote insolitamente basse (Gries, Sabbioni, Hohsand) che evidenzia come la Val Formazza sia proiettata nel cuore del settore più continentale delle Alpi, a breve distanza in linea d'aria dal più grande ghiacciaio alpino, l'Aletsch. I venti impetuosi e le perturbazioni che giungono dai quadranti settentrionali contribuiscono a rendere il clima della val d'Ossola più rigido, alimentando regolarmente un vento fresco e talvolta gelido sotto forma di brezza notturna. Dal Passo San Giacomo, abbandonato il grande spartiacque alpino, la catena - che corre sulla linea di displuvio tra il Toce e il Ticino- perde quota, tranne inizialmente per la vetta del Basodino che ospita sul versante svizzero un altro importante ghiacciaio. La catena termina nel gran solco della Valle Vigezzo chiudendo a cuneo la Val d'Ossola. In questo modo le masse d'aria umida, che si formano sulla pianura Padana e sul Lago Maggiore, sono obbligate a risalire le pendici, a sollevarsi e a scaricare grande quantità di pioggia o neve sui versanti. Il territorio della provincia del Verbano Cusio Ossola, insieme a quello del Friuli, è l'area più piovosa della catena alpina. I dati degli ultimi 60 anni registrano una media annua di 1.680 mm di pioggia, con picchi sui versanti prospicienti i Laghi Maggiore e d’Orta, mentre la media italiana relativa è pari a 980 mm. Queste copiose precipitazioni, assieme alla presenza di grandi estensioni di boschi, aiutano a mantenere una buona umidità anche nei mesi estivi, contrariamente agli altri settori delle Alpi occidentali.

Per questi motivi è utile comprendere e quantificare tale variabilità climatica sul territorio e tale valutazione passa attraverso lo studio delle principali variabili meteorologiche (temperatura e precipitazione) registrate sul territorio per un periodo continuativo.

Tuttavia, essendo dati derivanti da reti di monitoraggio differenti per strumentazione e gestione, si è presentata la necessità di integrarli fra loro e spazializzarli in modo da preservare il più possibile la loro omogeneità temporale, minimizzano al contempo la perdita di informazione puntuale che qualsiasi metodo di interpolazione spaziale inevitabilmente provoca.

10 Il risultato è un atlante climatologico della Provincia del Verbano Cusio Ossola, che presenta aggregazioni mensili, stagionali o annuali delle variabili meteorologiche sopra citate. Esso rappresenta la riproduzione grafica del dataset di valori termici e pluviometrici sulla provincia del Verbano Cusio Ossola che copre l’arco temporale compreso tra l’1 gennaio 1990 ed il 31 dicembre 2009, su un grigliato con risoluzione 7 km, risoluzione scelta in modo da garantire la massima informazione derivante dai punti di monitoraggio.

La metodologia statistica scelta per la creazione di tale dataset di precipitazioni e di temperature è una '"Optimal Interpolation" (Kalnay, 2003). Questa tecnica, che utilizza un metodo statistico per interpolare i dati delle stazioni meteorologiche, dislocate arbitrariamente, in una griglia regolare predefinita tridimensionale, permette di raccordare fra loro le differenti serie storiche a disposizione. L'omogeneità temporale del segnale è quindi stata ottenuta attraverso un’opportuna definizione variabile dei coefficienti tridimensionali di interpolazione che vanno a compensare la densità variabile di stazioni presenti sul territorio nell'arco dei 20 anni in esame. In pratica mascherando o amplificando opportunamente (sulla base di un criterio non selettivo a priori) il contributo totale delle stazioni presenti sul territorio in base ad un parametro oggettivo (Uboldi et al., 2008), fissato e costante nell'arco di tempo su cui si è effettuata l'integrazione dei dati di temperatura o precipitazione, si ottiene una stima migliore del valore di temperatura o di precipitazione in quelle porzioni di territorio in cui non sono presenti sensori di rilevazione e al contempo non si somma arbitrariamente un falso segnale laddove la densità di stazioni aumenta esponenzialmente nel tempo.

Per quanto riguarda solo la temperatura, una ulteriore garanzia di omogeneità temporale è stata ottenuta utilizzando, come campo d'appoggio su cui interpolare i dati reali, il dataset di reanalisi di dati meteorologici fornito su un grigliato regolare di ampiezza 1,25° realizzato dal ECMWF (European Center for Medium range Weather Forecast) e denominato ERA40 e per gli ultimi anni, il campo di analisi fornito dal medesimo ente. Preventivamente si è verificato che i segnali climatologici principali (trend, etc.) forniti da ERA 40 per il territorio regionale, fossero congruenti con quelli derivanti da un sottoinsieme omogeneo in termini di tipologia di sensore e, laddove possibile, di densità spaziale, di stazioni presenti sul territorio piemontese nel periodo tra il 1990 e il 2009 (Ciccarelli et al., 2008).

Riferimenti bibliografici

Ciccarelli N., Hardenberg J. von, Provenzale A., Ronchi C., Vargiu A., Pelosini R., (2008): Climate variability in north-western Italy during the second half of the 20th century, To apper in: Global and Planetary Change.

Kalnay, E., 2003: Atmospheric modeling, data assimilation and predictability. Cambridge Univ. Press, 341 pp.

Uboldi F. et al.: Three-dimensional spatial interpolation of surface meteorological observations from high- resolution local networks, To appear in: Meteorological Applications, Royal Meteorological Society (2008).

11 1.1 Approfondimento meteorologico sull'area di studio del vallone del Vannino

Allo scopo di studiare le relazioni tra variabili climatiche e gli aspetti della biodiversità studiati, sono state condotte - per due anni consecutivi e limitatamente ai periodi compresi tra i mesi di giugno e ottobre - due campagne di misure durante il periodo vegetativo, presso la diga Enel del Lago del Vannino, nel comune di Formazza (VB), mediante l’installazione di una stazione meteorologica portatile, che rileva i principali parametri meteo e altre misure più specifiche per lo scopo prefissato.

Foto 1 – Diga Enel del Vannino

La strumentazione presenta sensori standard (Foto 2) che misurano i seguenti parametri: direzione e velocità del vento, pressione atmosferica, temperatura dell’aria, umidità relativa e quantità di precipitazioni. Nella stazione del Vannino erano presenti sensori aggiuntivi per misurare le caratteristiche del suolo, temperatura e umidità con sensori interrati a circa 20 cm di profondità, e la radiazione solare globale.

Foto 2 - Stazione meteo portatile MAWS e particolari

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In alto: la stazione MAWS montata su treppiede accanto alle stazioni meteorologiche Enel della diga del Vannino. In basso a sinistra i sensori di temperatura, radiazione solare, vento, precipitazione, a destra l'area in cui erano interrati i due sensori di temperatura e umidità del suolo.

Nella figura 1 sono riportati alcuni esempi del monitoraggio effettuato nelle due stagioni 2010 e 2011, dai quali si possono facilmente notare le anomalie avvenute all’inizio dell’estate e dell’ autunno 2011.

Figura 1 - Andamento della temperatura dell’aria e del suolo nel periodo tra fine giugno e inizio ottobre del 2010 (sinistra) e 2011 (destra)

Si noti la stretta correlazione tra temperatura dell’aria e temperatura del suolo. Fonte: Arpa Piemonte

13 2. REGIONALIZZAZIONE DI SCENARI CLIMATICI FUTURI

La regionalizzazione di scenari climatici futuri si è inserita nel progetto come attività funzionale per la modellizzazione ecologica, oggetto di seguenti capitoli. La disponibilità di un dataset di osservazioni accuratamente validate e spazializzate ottenuto con l’OI costituisce la base di dati per la regionalizzazione sulla nostra regione di scenari climatici futuri. Utilizzando la tecnologia Multimodel, già ampiamente impiegata per le previsioni meteorologiche (Krisnamurty et al.1999, Cane and Milelli, 2010), è possibile stimare gli errori che i run di controllo dei modelli climatici (periodo: 1961-2000) commettono nella descrizione della temperatura e della precipitazione sul Piemonte. Applicando i bias e i pesi calcolati nel periodo di controllo è possibile correggere gli scenari dei medesimi modelli (periodo 2000-2100), nell’ipotesi che i bias e i pesi non varino in modo significativo. E’ quindi possibile ottenere degli scenari più accurati per la regione Piemonte, con la possibilità di distinguere il comportamento delle zone pianeggianti da quello delle zone montane e con una stima dei principali indicatori climatici previsti dallo scenario.

Per il calcolo del Multimodel SuperEnsemble sono utilizzati i modelli climatici regionali del progetto ENSEMBLES (http://ensembles-eu.metoffice.com/), ed in particolare le re-analisi nel periodo 1961-2000 a partire da ERA40, e i run di scenario continuativi nel periodo 1961-2100 a partire da diversi modelli climatici globali girati sullo scenario SRES A1B. I dati sono disponibili su base giornaliera e il numero di diversi modelli è davvero significativo, abbiamo scelto di utilizzare i modelli riportati in tabella 1, scelti con criteri della massima varietà possibile di modelli regionali, modelli globali e, ovviamente, in base alla disponibilità di spazio disco. Nel corso del 2010 è stata completata l’interpolazione di tali modelli sulle varie aree di interesse (la griglia della Optimal Interpolation e alcune aree individuate per i progetti ACQWA, ALPFFIRS, Permanet.

Modello climatico Regionale Modello climatico Globale Istituzione HIRHAM5 Arpege DMI REGCM3 ECHAM5 ICTP HadRM3Q0 HadCM3Q0 Hadley Center RM4.5 Arpege CNRM CLM HadCM3Q0 ETH Zurich RACMO2 ECHAM5 KNMI REMO ECHAM5 Max Plank Institute

Tabella 1 – modelli climatici regionali del progetto ENSEMBLES utilizzati

L’applicazione del Multimodel SuperEnsemble su questi modelli permette di avere delle stime giornaliere dei parametri al suolo particolarmente adattati alla situazione piemontese, così come descritta per il passato dalla Optimal Interpolation.

Come prima verifica del lavoro svolto, abbiamo diviso il periodo di controllo in due parti. Nella prima (1961- 1980) abbiamo calcolato i pesi di Multimodel, mentre nella seconda (1981-2000) abbiamo calcolato il Multimodel SuperEnsemble usando tali pesi. Utilizzando la tecnica di scomposizione Seasonal Decomposition of Time Series di Loess (figura 2) abbiamo valutato la bontà dell’applicazione del post-

14 processing per la temperatura massima e minima (es. figure 3 e 4). Entrambi questi campi presentano un ottimo accordo con i valori osservati, sia per quanto riguarda il trend che per la componente stagionale.

Figura 2: un esempio di decomposizione del segnale di temperature massima con la tecnica della Seasonal Decomposition of Time Series. Dall’alto in basso: dati grezzi, componente stagionale, trend, residui.

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Figura 3: applicazione della tecnica Multimodel SuperEnsemble alla temperature massima. I dati sono calcolati su base giornaliera, ma le statistiche sono su base mensile. Periodo di training: 1961-1980, periodo di scenario 1981-2000. Confronto tra i trend delle osservazioni (in nero), dei runs di reanalisi (linee continue) e dei runs di scenario (linee tratteggiate).

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Figura 4: applicazione della tecnica Multimodel SuperEnsemble alla temperature massima. I dati sono calcolati su base giornaliera, ma le statistiche sono su base mensile. Periodo di training: 1961-1980, periodo di scenario 1981-2000. Confronto tra le componenti stagionali delle osservazioni (in nero), dei runs di reanalisi (linee continue) e dei runs di scenario (linee tratteggiate).

Una volta verificata la bontà degli scenari ottenuti con il Multimodel SuperEnsemble, è stata applicata la tecnica allo scenario vero e proprio (periodo di training 1961-2000, periodo di forecast 2001-2100). Le figure

17 5 e 6 mostrano le variazioni su un periodo di 50 anni per la temperatura massima e minima rispettivamente. I dati di Multimodel permettono una migliore caratterizzazione della regione alpina rispetto ai modelli climatici regionali originali, con differenze più marcate. In particolare, le temperature massime aumentano più in pianura che non in montagna in primavera e autunno, mentre le temperature minime aumentano di più in montagna che non in pianura in autunno e in inverno.

Figura 5: Differenza tra le temperature massime ottenute con Multimodel SuperEnsemble sullo scenario A1B mediate sul periodo 2031-2050 rispetto al periodo 1981-2000 in funzione della stagione. Le differenze di

18 temperatura non significative per un T-Test con un livello di confidenza del 95% sono mostrate in grigio.

Figura 6: Differenza tra le temperature minime ottenute con Multimodel SuperEnsemble sullo scenario A1B mediate sul periodo 2031-2050 rispetto al periodo 1981-2000 in funzione della stagione. Le differenze di temperatura non significative per un T-Test con un livello di confidenza del 95% sono mostrate in grigio.

La tecnica del Multimodel SuperEnsemble non si può applicare ai valori di precipitazione, poiché gli scenari non sono necessariamente correlati tra di loro e le risultanti precipitazioni risultano la media pesata tra eventi correlati, portando ad una sottostima dei quantitativi di precipitazione sulla regione. Abbiamo perciò applicato la tecnica probabilistica del Multimodel SuperEnsemble Dressing sviluppata presso Arpa Piemonte (Cane and Milelli, 2010) per ottenere una stima più coerente del campo di precipitazione. Abbiamo quindi calcolato le distribuzioni di densità di probabilità delle osservazioni condizionate allo scenario, calcolato i pesi con l’inverso del Continuous Ranked Probability Score nel periodo di training e quindi calcolato le distribuzioni di densità di probabilità del Multimodel, traendo poi una realizzazione che abbiamo usato come singolo modello deterministico. Anche in questo caso abbiamo effettuato una verifica preliminare dividendo il periodo di controllo in una prima metà di training (1961-1980) e una seconda di forecast (1981-2000), con i risultati mostrati nelle figure 7 e 8. Il Multimodel SuperEnsemble Dressing riproduce in modo più che ragionevole la componente stagionale della precipitazione, ma soprattutto non contiene le sovrastime evidenti nei diagrammi di Walter & Leith dei modelli.

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Figura 7: applicazione della tecnica Multimodel SuperEnsemble Dressing alla precipitazione. I dati sono calcolati su base giornaliera, ma le statistiche sono su base mensile. Periodo di training: 1961-1980, periodo di scenario 1981-2000. Confronto tra le componenti stagionali delle osservazioni (in nero), dei runs di reanalisi (linee continue) e dei runs di scenario (linee tratteggiate).

20 Obs MMSUP

DMI ICTP CNRM

Figura 8: applicazione della tecnica Multimodel SuperEnsemble Dressing alla precipitazione. I dati sono calcolati su base giornaliera, ma le statistiche sono su base mensile. Periodo di training: 1961-1980, periodo di scenario 1981-2000. Confronto tra i diagrammi di Walter & Leith medi sul Piemonte delle osservazioni (Optimal Interpolation), del Multimodel SuperEnsemble Dressing (MMSUP) e di tre modelli rappresentativi (DMI, ICTP, CNRM).

Abbiamo infine applicato la tecnica allo scenario vero e proprio anche per le precipitazioni (periodo di training 1961-2000, periodo di forecast 2001-2100). La figura 9 mostra le variazioni su un periodo di 50 anni per la precipitazione. Le differenze sono significative (e negative) solamente in estate e in autunno, in particolare in montagna.

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Figura 9: Differenza tra le precipitazioni ottenute con Multimodel SuperEnsemble Dressing sullo scenario A1B mediate sul periodo 2031-2050 rispetto al periodo 1981-2000 in funzione della stagione. Le differenze di temperatura non significative per un T-Test con un livello di confidenza del 95% sono mostrate in grigio.

Riferimenti bibliografici Cane D., Milelli M. (2006). Weather forecasts obtained with a Multimodel SuperEnsemble Technique in a complex orography region", Meteorologische Zeitschrift, 15(2): 207-214.

Cane D., Milelli M., (2010). Can a Multimodel SuperEnsemble technique be used for precipitation forecasts?. Advances in Geoscience, 25, 17-22.

Krishnamurti T.N. et al. (1999). Improved weather and seasonal climate forecasts from Multimodel SuperEnsemble. Science 285: 1548-1550.

22 3. INDICATORI ECOLOGICI

3.1. Premessa

Con la presente attività ci si è posti come obiettivo di svolgere un’analisi di dati omogenei disponibili o raccolti nell’ambito del progetto che permettano di evidenziare segnali e tendenze in atto negli ecosistemi della provincia di Verbania correlabili a variazioni climatiche. Da questa prima analisi e con le attività di rilievo e descritte nel seguente punto 4 ci si è prefissi di identificare un set di indicatori ecologici (quindi sia biologici che fisico-chimici) che consentano di seguire nel tempo l’evoluzione degli ecosistemi interessati nelle montagne del Verbano.

3.2 Segnali ed evidenze in provincia di Verbania di effetti della variabilità climatica sulle componenti biotiche

3.2.1 Risalita di alcune specie vegetali nell’ultimo trentennio Esiste un accordo comune tra gli studiosi nel ritenere che il crescente riscaldamento dovrebbe portare nelle Alpi a uno slittamento verso l’alto delle specie vegetali adattate a condizioni climatiche più calde provenienti dalle quote inferiori, creando una drastica diminuzione delle aree di distribuzione delle specie alpine e nivali che dopo aver trovato rifugio sulle vette delle montagne potrebbero essere impossibilitate a salire verso quote superiori, o incapaci di disperdersi andando incontro all’estinzione. Per questo motivo è stata istituita su tutte le montagne del mondo, una rete di monitoraggio delle vette, nota come progetto GLORIA, di cui ci sono alcune stazioni anche nelle Alpi. Un’area sicuramente molto interessante per studi di questo tipo è l’alta val d’Ossola che s’incunea nel cuore delle Alpi, costituendo un ponte tra il versante nord e sud della catena alpina, e zona di forti contrasti climatici. In tali aree sono presenti vette come il Blinnenhorn o Corno cieco, già visitate da spedizioni botaniche svizzere (Burnat) agli inizi del ‘900, che potrebbero fornire preziose informazioni su come è evoluta nel frattempo la comunità delle piante sui substrati ivi presenti. Nell’ambito del presente studio si è cercato di definire un approccio diverso, con rilievi lungo un transetto altitudinale. Utilizzando tali dati raccolti nei due anni di campionamento floristico realizzati nell’ambito del progetto è teoricamente possibile visualizzare la diaspora di specie macroterme, facendo riferimento ai valori di range ecologico rispetto alla quota (minima e massima) riportata nella Flora d’Italia di Pignatti. Si tratta di valori dell’inizio anni 80’ e, pertanto, vecchi di quasi un trentennio. Devono essere intesi in due modi, perché Pignatti riporta per ogni specie sia valori assoluti (da X a Y), sia valori preferenziali (un range preferenziale di presenza ma con la possibilità reale, pur se rara e ricavata da singoli rilievi, che la specie possa trovarsi anche in aree più basse e più alte). La tabella dei rilievi non ha evidenziato specie “trasgressive” lungo i due transetti altitudinali, se non per limitati casi di specie ritrovate all’interno della fascia superiore dei boschi interessati, quali:Hepatica nobilis, ritrovata a 1736 m anziché 1000, con valori però preferenziali di 2000, Petasites hybridus 1913 m rispetto al massimo nazionale di 1650 m e Luzula sylvatica ritrovata a 1900 m contro i 1600 m. Tuttavia proprio l’habitat

23 di sottobosco di tali specie, le cui condizioni microclimatiche sono estremamente variabili può essere all’origine del loro spostamento in quota. In merito alle microterme, cioè le specie legate a condizioni climatiche fredde, sono riportate nella seguente tabella (Tabella 22) oltre all’analisi dei rilievi sui transetti altitudinali si è aggiunto uno studio locale realizzato nel solo Vallone del Vannino mediante ulteriori 141 rilievi di presenza floristica, distribuiti casualmente a tutti i livelli di quota del vallone le quote massime di ritrovamento delle specie individuate in almeno 30 rilievi nel corso dei sopralluoghi.

Abbreviazione Specie Specie Quota max (m slm) POAALPIN Poa alpina L. 2661 HOMOALPI Homogyne alpina (L.) Cass. 2661 ANTHALPI Anthoxantum alpinum Á. et D. Löwe 2661 GEUMMONT Geum montanum 2661 LEONPYRE pyrenaicus ssp. helveticus 2661 (Mérat) Finch et P.D. Sell AVENVERS Avenula versicolor (Vill.) Lainz 2661 SOLDALPI Soldanella alpina L. 2568 LIGUMUNA Ligusticum mutellina (L.) Crantz 2661 CARESEMP Carex sempervirens Vill. 2582 NARDSTRI Nardus stricta L. 2558 CARECURV Carex curvula All. s. l. 2661 CIRSSPIN Cirsium spinosissimum (L.) Scop. 2582 RANUMONT Ranunculus montanus group 2582 SILEACAU Silene acaulis ssp. bryoides (Jordan) 2602 Nyman BARTALPI Bartsia alpina L. 2661 LEUCALPI Leucanthemopsis alpina (L.) Heywood 2661 MYOSALPE Myosotis alpestris F. W. Schmidt 2598 VACCULIG Vaccinium uliginosum ssp. microphyllum 2582 Lange POLYVIVI Polygonum viviparum L. 2661 PHYTHEMI Phyteuma hemisphaericum L. 2661 FESTVIOL Festuca violacea group 2598 HIERPILI Hieracium piliferum group 2602 ALCHALPI Alchemilla alpina group 2558 TRIFALPI Trifolium alpinum L. 2558 RHODFERR Rhododendron ferrugineum L. 2282 CAMPSCHE Campanula scheuchzeri Vill. 2661 FESTRUBR Festuca rubra group 2540 LUZUALPI Luzula alpinopilosa ssp. alpinopilosa 2661 (Chaix) Breistr.

24 PULSALPI Pulsatilla alpina ssp. apiifolia (Scop.) 2558 Nyman SEMPMONT Sempervivum montanum ssp. montanum 2602 L. ALCHFISS Alchemilla fissa Günther et Schummel 2661 LOISPROC Loiseleuria procumbens (L.) Desv. 2558 SALIHERB Salix herbacea L. 2602 EUPHMINI Euphrasia minima Jacq. ex DC. in Lam. 2661 et DC.

Tabella 2 - Quote massime di ritrovamento delle specie individuate in almeno 30 rilievi nel corso dei sopralluoghi nell’area del Vannino

Poiché molte di queste specie hanno il loro limite massimo alla quota del punto di rilievo di maggior altitudine (punto 7) e possono risalire anche di 3-400 metri nelle condizioni attuali, sarà utile ricavare un’ulteriore punto vegetato a quote superiori, che sarà possibile ricavare nel vallone adiacente del Sabbione dove le coperture erbacee si estendono sulle pendici del Blinenhorn (Corno cieco) fino a 3000 m s.l.m..

3.2.2 Analisi della tree-line nel vallone del Vannino Il limite attuale del bosco, ricavato da fotointerpretazione (ortoimmagine Protale Cartogafico Nazionale, 2006), è stato confrontato con un fotogramma storico del volo GAI, anno 1954, presso la fototeca del CNR- IRPI di Torino dove è stato possibile desumere il limite altitudinale del bosco all'epoca del fotogramma (Figura 10). La linea tracciata ha permesso quindi di stimare la quota massima del bosco e calcolare l'incremento altitudinale nell'ultimo cinquantennio, che si può quantificare in circa 150 metri.

Figura 10 Limite del bosco nel 1954 (tratteggio) ed attuale

3.2.3 Analisi dei delle letture polliniche delle stazioni di monitoraggio aerobiologico di Omegna e di Visp (CH)

25 Premessa Le piante presentano un forte legame con le variazioni climatiche: le fasi fenologiche, che scandiscono il loro ciclo vitale, sono condizionate per lo più da fotoperiodo e temperature. I parametri climatici rivestono un ruolo fondamentale sia nel processo di liberazione del polline, sia rispetto alla quantità di polline prodotto e al relativo andamento della pollinazione. Ogni qualvolta si verificano anomalie climatiche le piante rispondono quindi con variazioni nell’inizio e nella durata delle varie fenofasi. La connessione tra pollini, fenologia e fattori climatici risulta indispensabile per scopi di tipo previsionale, ma potrebbe rivestire un ruolo altrettanto importante nella valutazione dei mutamenti climatici; è noto infatti come le annate più calde coincidano con fioriture precoci, mentre le primavere fredde rallentino lo sviluppo delle piante (Frenguelli et al., 2002; Aira et al., 2001; Rajo Rodriguez et al., 2003; Alba&Diaz De la Guardia, 1998; Tedeschini, 2006; Casini et al., 2006). In anni recenti diversi lavori hanno studiato la concentrazione del polline in atmosfera come manifestazione indiretta di fioritura, fino a consideralo un vero e proprio indicatore della risposta delle piante ai cambiamenti climatici. La maggior parte di tali attività di ricerca utilizza dati pluriennali relativi ai pollini, correlandoli con serie storiche di temperatura, allo scopo di verificare se e come i dati aerobiologici di alcuni taxa possano essere utilizzati come “segnalatori” delle variazioni climatiche in atto. I dati pollinici diventano quindi interessanti quando possono venire letti congiuntamente ai parametri derivanti da centraline meteorologiche rappresentative della meteorologia locale. In questo modo una volta individuati e calcolati idonei parametri di pollinazione, è possibile analizzarli in relazione ai fattori climatici e rilevarne eventuali variazioni in corrispondenza di anomalie termiche, andando così ad evidenziare possibili tendenze verso l’anticipo o il posticipo della pollinazione. I risultati derivanti dalla letteratura sembrano concordi nell’indicare una tendenza verso un anticipo dell’inizio della stagione pollinica e quindi della comparsa della fase di fioritura, mentre sulla durata e sulla concentrazione totale annuale i dati risultano più eterogenei e specificatamente legati al singolo taxa. Le indagini aerobiologiche, protratte nel corso degli anni, costituiscono quindi un valido strumento di monitoraggio che permette di evidenziare eventuali variazioni dipendenti da mutate condizioni meteorologiche e/o climatiche, o addirittura botaniche dell’area in cui avviene lo studio. Considerati i dati di cui annualmente Arpa Piemonte dispone, si può prevedere un utilizzo dell’andamento pollinico come indicatore degli effetti delle variazioni climatiche sull’ambiente, volto a fornire indicazioni sui cambiamenti dei ritmi fenologici delle piante.

Piano di lavoro Al fine di valutare la possibilità di utilizzo dell’indicatore proposto, i dati delle letture polliniche di due stazioni di monitoraggio aerobiologico sono stati elaborati e utilizzati per il calcolo di una serie di parametri utili a descrivere l’andamento pollinico nelle sue fasi principali. I parametri pollinici ottenuti sono stati quindi relazionati con le temperature medie registrate nelle centraline meteorologiche più prossime, e rappresentative, alle stazioni aerobiologiche considerate.

Scelta delle stazioni In Arpa Piemonte, dall’anno 2002, è attiva una rete di monitoraggio aerobiologico che dispone di stazioni di monitoraggio site in aree urbane, dove l’incidenza della pollinosi è in costante aumento (Cuneo, Tortona,

26 Novara), e in luoghi caratteristici per motivi geografici e climatici: Bardonecchia (TO) e Omegna (VCO). Nel territorio regionale la centralina di Bardonecchia è l’unica posta in quota (1321 m s.l.m.) e restituisce un quadro tipico degli ambienti montani sia per tipologia vegetazionale, che per periodi di fioritura. Nell’ambito del progetto si è scelto di utilizzare la stazione di Omegna (295 m s.l.m.), in provincia di Verbania che, sebbene non situata in ambiente montano, è risultata l’unica stazione disponibile nell’ambito provinciale in cui ricade l’area di studio del progetto. Al fine di disporre di dati utili per effettuare comparazioni sia per quanto riguarda i dati pollinici che meteorologici, è stata avviata una collaborazione con MeteoSvizzera che gestisce la Rete Pollinica Nazionale Svizzera, composta da 14 stazioni di rilevamento situate nelle principali zone climatiche e vegetative del Paese. Tra queste è stata selezionata la stazione di Visp (650 m s.l.m.), ubicata nel Canton Vallese, in quanto quella maggiormente prossima all’area di studio considerata.

Figura 11 – Le stazioni aerobiologiche di Omegna e Visp

I dati forniti da Visp sono stati elaborati analogamente a quelli della stazione di Omegna al fine di poter confrontare gli andamenti dei parametri di pollinazione e verificarne per entrambe l’influenza dei parametri climatici. Gli anni considerati sono stati quelli compresi tra il 2003 e il 2011 per la stazione di Omegna (l’anno 2002 pur essendo disponibile è stato considerato sperimentale e quindi non utilizzato nelle elaborazioni), tra il 2000 e il 2011 per la stazione di Visp.

27 La stazione meteorologica individuata come più prossima e rappresentativa per la stazione di Omegna è stata “Candoglia Toce”, ubicata nel comune di Mergozzo (VB). Per quanto riguarda Visp, la stazione di monitoraggio pollinico, questa è situata in prossimità della stazione meteorologica.

Stazione Stazione Quota (m) Quota (m) aerobiologica meteorologica

Omegna (VB) 295 Candoglia Toce 201

Visp 650 Visp 650

Tabella 3 - Stazioni aerobiologiche utilizzate e corrispondenti stazioni meteorologiche

Scelta dei taxa Sono stati elaborati i dati aerobiologici relativi a quattro diversi generi: Corylus (scheda 1), Platanus (scheda 2), Castanea (scheda 3) e Betula (scheda 4). I taxa sono stati selezionati tra quelli monitorati a fini allergologici, basandosi sulle indicazioni tratte dalla letteratura e sulla diffusione delle piante sul territorio monitorato. Inoltre si è cercato di individuare dei taxa rappresentativi dei diversi periodi di fioritura, al fine di potere evidenziare al meglio l’influenza delle variazioni climatiche stagionali negli anni oggetto di studio (dal 2000 al 2011) nelle stazioni di Omegna e Visp. (Corylus con fioritura tardo invernale, Betula inizio primaverile, Platanus primaverile e Castanea inizio estiva). In particolare per i taxa Platanus e Corylus sono disponibili numerosi studi di letteratura, aventi per oggetto gli effetti del clima sugli anticipi o ritardi nella pollinazione.

Taxa Famiglia Periodo fioritura Corylus avellana L. (Nocciolo) Corylaceae Fine gennaio-marzo Platanus spp. (Platano) Platanaceae aprile-maggio Castanea sativa Miller Fagaceae giugno- luglio (Castagno) Betula spp. (Betulla) Betulaceae marzo - maggio

Tabella 4 - Periodi di fioritura dei taxa selezionati

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TAXA Corylus avellana L. (nocciolo) FAMIGLIA Corylaceae

DIFFUSIONE Presente dalla zona mediterranea a quella montana, E CARATTERISTICHE fino a 1200 m. Si adatta a substrati diversi, pur preferendo substrati calcarei.In Piemonte viene coltivato per la produzione del frutto. Foglie alterne, arrotondate, con margini seghettati ed estremità appuntite; fiori monoici con inflorescenze maschili date da amenti penduli giallo bruni ed inflorescenze femminili costituiti da gemme brune. PERIODO FIORITURA Fine gennaio-marzo POLLINE Trizonoporat o dimensioni di 19-28 μm

Scheda 1

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TAXA Platanus spp. (Platano) FAMIGLIA Platanaceae

DIFFUSIONE E Diffuso in tutta Europa come pianta ornamentale in viali e CARATTERISTICH giardini. E Fusto eretto e chioma piramidale negli esemplari giovani, che diviene tondeggiante negli anni, raggiunge un'altezza vicina ai 30 m. Foglie molto larghe, 15-20 cm, semplici, alterne, palmate, in cui si evidenziano 3-5 lobi;infiorescenze tondeggianti, quelle maschili di colore giallastro, le femminili di colore rossastro. PERIODO Aprile-maggio FIORITURA POLLINE Trizonocolpato, dimensioni di 18-25 μm

Scheda 2

30

TAXA Castanea sativa Miller (Castagno) FAMIGLIA Fagaceae

DIFFUSIONE E Cresce su tutto il territorio italiano dai 200 metri fino a 1200. CARATTERISTICH Pianta decidua, che può raggiungere i 25 metri di altezza, E fusto di colore grigio chiaro nelle piante giovani, più scuro e fessurato in quelle più anziane. Foglie picciolate, di colore verde brillante nella pagina superiore, più chiare in quella inferiore, lanceolate, a margine seghettato ed apice aguzzo. Frutti: acheni, contenuti in numero di 3 o 4 in una cupola, globosa e spinosa (il riccio); fiori monoici, i maschili lunghi fino a 20cm, di colore verde e poi bianchi, i femminili globosi e bruni. PERIODO Giugno-luglio FIORITURA POLLINE Trizonocolporat o, dimensioni di 11-16 μm

Scheda 3

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TAXA Betula spp. (Betulla) FAMIGLIA Betulacee DIFFUSIONE E Cresce su tutto il territorio italiano dai 200 metri fino a CARATTERISTICH Questo genere, comprende due diverse specie in Italia E (Betulla alba L. e betula pubescens Ehrh). E’ resistente a geli improvvisi e prolungati periodi di siccità, si ritrova spontaneo, in pianura padana e nelle zone prealpine; viene inoltre coltivato a scopo ornamentale nei giardini. Può giungere fino a 25 metri di altezza ed è caratterizzato da una corteccia bianca argentata dovuta alla presenza di granuli di betulina. Le sue foglie sono decidue, alterne, dentate e di forma triangolare. I suoi fiori sono monoici; le infiorescenze maschili sono amenti penduli, di colore bruno-purpureo, con perianzio; quelle femminili si presentano come amenti di dimensioni più ridotte rispetto ai precedenti, penduli o eretti, di colore verde chiaro. PERIODO Marzo - maggio FIORITURA POLLINE Trizonoporato, dimensioni di 18-28 μm

Scheda 4

32 Scelta dei parametri di pollinazione L’andamento pollinico è stato descritto nelle sue fasi principali mediante il calcolo di specifici parametri citati in letteratura e considerati maggiormente rispondenti alle variazioni indotte dal clima (Tabella 6).

Tabella 5 - Parametri di pollinazione elaborati, per ciascun taxa

Parametro Descrizione

corrisponde al giorno in cui la somma cumulativa dei dati

Inizio del Periodo Principale di giornalieri raggiunge il 5% del totale annuale e in cui la

Pollinazione (inizio PPP): liberazione di polline è uguale o superiore all’1% del totale

annuale (Lejoly-Gabriel, 1978).

corrisponde al giorno in cui la somma cumulativa dei dati Fine del Periodo Principale di giornalieri raggiunge il 95% del totale annuale (Goldberg et al., Pollinazione (fine PPP) 1988).

periodo temporale che intercorre tra l’inizio del Periodo

Durata della pollinazione Principale di Pollinazione e la fine del Periodo Principale di

Pollinazione.

Data del picco massimo (data corrisponde al giorno in cui viene raggiunto il valore massimo di

max) concentrazione annuale.

Concentrazione del picco valore massimo di concentrazione pollinica annuale. massimo (max)

Concentrazione totale annuale somma annuale dei valori di concentrazione giornaliera. (Pollen Index)

33 Funzionamento del campionatore e tecnica di preparazione e lettura dei vetrini I pollini vengono catturati ed identificati secondo la norma 11108 del 01/08/2004, prevista dall’UNI (Ente Nazionale Italiano di Unificazione), che definisce il metodo di campionamento e conteggio dei granuli pollinici e delle spore fungine aerodisperse. Il campionatore utilizzato è il VPPS 2000, della Lanzoni s.r.l., (Figura 12). Si tratta di un sistema volumetrico, basato sulla cattura delle particelle aerodisperse, mediante il loro impatto su un nastro siliconato.

Figura 12 – Il campionatore dei granuli pollinici

Un volume d’aria viene aspirato mediante il suddetto apparecchio, attraverso una fenditura delle dimensioni di 2 x 14 mm. La portata d’aria immessa è regolata sui 10 litri d’aria al minuto, pari a 14,4 mc al giorno. L’aspirazione è mantenuta costante mediante una pompa aspirante, alimentata con corrente elettrica. Le particelle captate sono di misura compresa tra 1 e 100 micron e sono provenienti da un’area circostante di diametro medio tra i 20 ed i 30 km. Di fronte alla fenditura è posizionato, dentro il corpo centrale chiuso del campionatore, un disco metallico (il tamburo), che ruota mediante un sistema ad orologeria con una velocità periferica di 2 mm/ora e con un’autonomia di carica di sette giorni (Figura 13). Sul tamburo viene quindi posto, con cadenza settimanale, un nastro di plastica siliconato, che serve da superficie di deposito dei pollini catturati.

34 Figura 13 – Campionatore pollini: il tamburo

Al di sopra della fenditura, è presente un’aletta parapioggia mentre il corpo centrale è collegato ad una banderuola, che gli permette di ruotare in maniera tale che la fenditura sia sempre orientata contro vento. Il campionatore deve esser collocato ove la circolazione atmosferica non risenta di elementi di disturbo quali ostacoli vicini o correnti d’aria artificiali. A tal fine si è stabilito di posizionare gli strumenti al centro di terrazzi posti alla sommità di edifici con altezza compresa tra i 15 ed i 20 metri dal suolo, lontani e comunque al di sopra di eventuali muri o parapetti confinanti (Mandrioli, 2004). Un’ulteriore accortezza è quella di ubicare il catturatore distante da parchi pubblici, aree coltivate o fonti di emissione industriale, per evitare un’influenza significativa sulle particelle aerodisperse catturate. Il nastro campionatore viene esaminato con frequenza settimanale: dopo averlo suddiviso nelle sette parti corrispondenti alle giornate di campionamento, queste vengono posizionate sui vetrini e colorate con una soluzione gelatinosa di fucsina basica (Figura 4), che colora di rosa la sporopollenina dei granuli pollinici, facilitandone il riconoscimento. Il vetrino viene utilizzato per il riconoscimento con microscopio ottico a 400 ingrandimenti.

Figura 14 – La preparazione dei vetrini

35 Per convenzione, non viene esaminata l’intera superficie di campionamento ma solo una frazione di questa secondo un modello statistico. Vengono lette soltanto quattro linee orizzontali parallele del vetrino con la tecnica della strisciata continua (Figura 15).

Figura 15 – Particolare del vetrino

Per ottenere la concentrazione media giornaliera dei pollini per m3 d’aria, si moltiplica il numero di pollini letti per un fattore di conversione, determinato in base al diametro del campo microscopico.

Analisi dei dati Per quanto riguarda i parametri meteorologici è stata considerata la temperatura media mensile di ognuno degli anni considerati per le stazioni di Condoglia Toce (caratterizzante la stazione aerobiologica di Omegna) e la stazione di Visp (Tabella 6). La scelta di utilizzare solo la temperatura è stato supportato dall’analisi della letteratura che la indica come il parametro maggiormente legato alle variazioni di pollinazione in particolare per le specie a fioritura precoce (Frenguelli&Bricchi, 1998).

Tabella 6 – Temperature medie mensili (°C) registrate nelle stazioni di Condoglia Toce e Visp negli anni 2000-2011

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I grafici di Figura 16, Figura 17 e Figura 18 riportano l’andamento dei parametri di pollinazione, descritti in Tabella 6, per i singoli taxa (Corylus avellana L., Platanus spp., Castanea sativa M. e Betula spp), per le stazioni di Omegna dal 2003 al 2011 e di Visp dal 2000 al 2011.

Corylus avellana La concentrazione totale annua (Pollen Index) di Corylus risulta più elevata nella stazione di Omegna (con variazioni interannuali da 1755 a 7211 granuli/m3 aria) rispetto a Visp (variazioni da 538 a 3248 granuli/m3 aria) (Figura 16). Si osservi che per la stazione di Omegna il Pollen Index relativo al 2011: è circa il doppio di quello misurato nel 2010. Per il 2011 l’inizio del periodo di pollinazione (inizio PPP) risulta anticipato nella stazione di Omegna (2 febbraio) rispetto a quello della stazione di Visp (10 febbraio). In generale si può affermare che tale parametro letto in funzione delle temperature indica come un ritardo nell’inizio di pollinazione possa essere conseguente ad un inverno freddo e nevoso (inverno 2008-2009), mentre un anticipo come quello rilevato nel 2007 sia favorito da un inverno particolarmente mite con temperature al di sopra della media (inverno 2006-2007). Nella stazione di Omegna si osserva una generale omogeneità nella data di inizio di pollinazione che si attesta intorno ai primi giorni di febbraio, a fronte di una scarsa variabilità nelle temperature dei mesi precedenti la pollinazione. Fanno eccezione l’anticipo osservato nel 2007, favorito da un inverno particolarmente mite con temperature al di sopra della media (inverno 2006-2007) e il posticipo nel 2010, probabilmente attribuibile ad un inverno particolarmente freddo. Nella stazione di Visp invece si riscontra una maggiore variabilità sia nelle date di inizio pollinazione sia nelle temperature medie dei mesi precedenti la fioritura. In particolare si osservano ritardi nell’inizio di pollinazione per gli anni 2005, 2006, 2009 e 2010 caratterizzati da inverni particolarmente rigidi; mentre negli anni 2007 e 2008 si verifica un anticipo della pollinazione probabilmente determinata da inverni meno freddi. Alcuni anni (2000 e 2003) presentano dei ritardi non spiegabili con i soli dati disponibili e occorrerebbe una caratterizzazione meteorologica più approfondita. Nella stazione di Visp si evidenzia una durata media del periodo di pollinazione di 30 giorni, mentre si assesta in media sui 40 giorni nella stazione di Omegna.

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Figura 16 - Parametri pollinici elaborati per le stazioni di Omegna (VB) e Visp, anni 2000-2011

Platanus Per il Platanus la concentrazione totale annua (Pollen Index) risulta generalmente più elevata (da 294 a 1342 granuli/m3 aria) e costante per la stazione di Visp, più bassa (da 11 a circa 797 granuli/m3 aria) e con maggiore variabilità interannuale per quella di Omegna (Figura 17). Per entrambe le stazioni esaminate si rileva un lieve ritardo dell’inizio PPP fino all’anno 2006. Per la stazione di Omegna dal 2007 al 2011 si osserva una tendenza all’anticipo, ad eccezione dell’anno 2010 che presenta un ritardo. Per la stazione di Visp si osservano anticipi nel 2008 e 2011. Tali differenze non risultano direttamente imputabili a evidenti variazioni di temperatura; esclusivamente per la stazione di Omegna si osserva una tendenza all’aumento delle temperature dal 2007 al 2011 (ad eccezione del 2010) a cui potrebbero essere attribuibili gli anticipi delle date di inizio pollinazione osservati. La durata del periodo di pollinazione si attesta in media sui 20 giorni per entrambe le stazioni e continua ad oscillare tra 12 e 33 giorni nella stazione di Omegna, tra 9 e 30 in quella di Visp.

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Figura 17 - Parametri pollinici elaborati per le stazioni di Omegna (VB) e Visp, anni 2000-2011

Castanea La concentrazione totale annua (Pollen Index) di Castanea risulta decisamente più elevata (da 3392 a 22671 granuli/m3 aria) e caratterizzata da maggiore variabilità interannuale per la stazione di Omegna, in genere più bassa (da 208 a 1180 granuli/m3 aria) e costante per quella di Visp. In particolare per la stazione di Visp si osserva una tendenza negli anni alla diminuzione della concentrazione totale annua. Per quanto riguarda l’andamento annuale, questo non risulta sovrapponibile per le due stazioni, mentre si riscontra discreta analogia nelle date di concentrazione di picco massimo (data max) (Figura 18). Per la stazione di Omegna si riscontrano anticipi dell’inizio PPP più evidenti rispetto alla stazione di Visp in particolare negli anni 2003, 2007 e 2011; ma soltanto nel 2003, nel 2009 e nel 2011 si registrano temperature medie mensili decisamente più elevate nel periodo precedente la fioritura, in linea con dati di letteratura (Rizzi - Longo et al., 2005). Per la stazione di Visp si osserva che l’inizio del PPP si colloca nella seconda decade del mese di giugno, ad eccezione dell’anticipo del 2011 (6 giugno) imputabile probabilmente alle temperature più elevate dei mesi di aprile e maggio. La durata del periodo di pollinazione si mantiene pressoché costante per entrambe le stazioni ed è in media pari a 28 giorni ad Omegna, mentre è pari in media a 30 giorni a Visp.

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Figura 18 - Parametri pollinici elaborati per le stazioni Omegna (VB) e Visp, anni 2000-2011.

Betula Per la stazione di Omegna la concentrazione totale annua di Betula (Pollen Index) varia da 997 a 10227 granuli/m3 aria mentre per la stazione di Visp da 10634 a 29106 granuli/m3 aria (Figura 19). Il giorno in cui viene raggiunto il valore massimo di concentrazione annuale (data max) si verifica nell’anno 2006 (seconda decade di aprile) per la stazione di Omegna mentre per la stazione di Visp nell’anno 2009 (prima decade di aprile). Per entrambe le stazioni esaminate si rileva un ritardo dell’inizio PPP nell’anno 2006: per quanto riguarda Visp le temperature medie mensili di febbraio e marzo risultano le più basse, mentre per Omegna soltanto la temperatura media di marzo è la più bassa della serie temporale. Comunque temperature più rigide nei mesi precedenti la fioritura potrebbero essere la causa del ritardo osservato per entrambe le stazioni. Le temperature medie mensili del mese di febbraio 2002 per la stazione di Visp risultano le più elevate del decennio considerato e quindi potrebbero aver determinato un anticipo della fioritura. La durata del periodo di pollinazione si mantiene pressoché costante per entrambe le stazioni ed è in media pari a 28 giorni ad Omegna, mentre è pari in media a 27 giorni a Visp.

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Figura 19 - Parametri pollinici elaborati per le stazioni Omegna (VB) e Visp, anni 2000-2011.

Influenza dei parametri meteorologici sul Nocciolo (Corylus avellana L.) A livello sperimentale è stata effettuata un’analisi di correlazione statistica preliminare tra i dati pollinici e meteorologici, utilizzando il dataset delle stazioni di Omegna (2003-2011) e Visp (2000-2011), per un taxa specifico: il Corylus. La scelta del taxa si è basata sull’esistenza di dati di letteratura specifici e sulla considerazione che, trattandosi di un taxa a fioritura precoce (tardo invernale) risulta maggiormente influenzato dalle temperature (Frenguelli&Bricchi, 1998) rispetto a taxa più primaverili-estivi la cui fioritura dipende anche da altri fattori, quali il fotoperiodo (Edmonds, 1979). Ci si è inoltre basati sull’assunzione che per valutare l’inizio di pollinazione dei taxa a fioritura invernale o precocemente primaverili sia necessario tenere in considerazione il momento in cui la pianta ha soddisfatto il “Chilling requirement”, ovvero la propria necessità di freddo per potere superare il periodo di dormienza e quindi poter cominciare ad accumulare caldo per fiorire. Corylus, con antesi invernale-primaverile, è caratterizzato da un suo specifico “chilling requirement” che esprime la sua esigenza di freddo , oltre che da una richiesta di caldo, indispensabili all’ inizio della fioritura (Emberlin et al., 2007).

Somma termica L’inizio del periodo di pollinazione, come risulta da letteratura (Leyoly-Gabriel, 1974) può essere messo in relazione con le somme termiche1. Per i taxa che fioriscono all’inizio dell’anno la variazione dell’inizio pollinazione è meglio spiegata con le somme di temperatura effettuate a partire dal primo gennaio. Sono state quindi calcolate le somme termiche annuali al di sopra dei 6°C (soglia al di sopra della quale l’accrescimento del taxa è effettivo (Faust, 1989)) dall’inizio dell’anno fino alla data di inizio pollinazione. In Figura 20 si può osservare come la somma termica aumenti in corrispondenza di un anticipo della pollinazione.

1 Nell’ambito delle tecnologie agrarie per somma termica si intende la sommatoria delle differenze tra la temperatura media giornaliera e lo zero di vegetazione della specie considerata per l’intero ciclo colturale o per una o più fasi dello sviluppo in tale ciclo

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Figura 20. Somme termiche per le stazioni di Omegna e Visp dal 2000 al 2011.

Analisi della correlazione Precedenti studi (Frenguelli et al., 1993) mostrano l’esistenza di una correlazione significativa tra l’inizio della pollinazione e le temperature dei mesi a questa precedenti e in particolare che gli anticipi di pollinazione si verificano negli anni con temperature più elevate durante i mesi che precedono la fioritura (Emberlin et al., 2007). Per la stazione di Omegna si è evidenziata una correlazione (negativa) significativa tra la data di inizio pollinazione e la temperatura del mese di gennaio, R=0.7, P<0.05 e test a due code). Per la stazione di Visp si riscontra una correlazione (negativa) significativa per il mese di gennaio (R=0.9, P<0.05 e test a due code). Questo risultato può essere interpretato come una relazione di causa effetto: i processi di maturazione sono attivati da aumenti della temperatura, dunque temperature più elevate durante questo periodo determinano un anticipo della data di inizio pollinazione.

42 Esiste una debole correlazione positiva, non statisticamente significativa, tra la temperatura media del mese di novembre (prima decade) e l’inizio della pollinazione per la stazione di Omegna; mentre per la stazione di Visp si riscontra una correlazione positiva, statisticamente significativa (R=0.8, P<0.05 e test a due code). Questa relazione potrebbe stare ad indicare che una diminuzione della temperatura favorisce l’inizio della dormienza ed un anticipo dell’inizio pollinazione.

«Chilling and heat requirements» Sono inoltre state calcolate l’esigenza di freddo e di caldo necessarie per superare la dormienza invernale. Le ore di freddo (chilling) sono state calcolate utilizzando il metodo di Aron (1983), basato sull’accumulo di ore di freddo tra 0°C e 7.2°C (Aron, 1983; Frenguelli&Bricchi, 1998; Jato et al., 2000; Rodríguez-Rajo et al., 2004):

CH = 801 + 0.2523 B + 7:57 B2*10_4 – 6.51 B4*10_10 -11.44 Tmin – 3.32 Tmax B = 24 D (Soglia – Tmin)/(Tmax - Tmin) dove: CH = numero di ore di freddo durante il periodo; Tmin, Tmax = temperature minima e massima medie registrate nel periodo; D= durata del periodo di studio, espressa in giorni.

Si è considerato l’inizio del raffreddamento in corrispondenza di temperature medie giornaliere inferiori a 12.5°C. La soglia di 12.5°C è stata scelta in quanto rappresenta la temperatura al di sotto della quale le piante a fioritura invernale cominciano a rispondere alle loro esigenza di freddo (Richardson et al., 1974; Faust, 1989; Jato et al., 2000). Per valutare l’esigenza di caldo per il Corylus sono state utilizzate le somme di temperatura media giornaliera dopo aver sottratto le temperature 4, 4.5, 5, 5.5 e 6°(Tabella 7 e Tabella 8), che rappresentano le soglie al di sopra delle quali la temperatura diventa efficace per la crescita. Questo parametro è espresso in gradi giorno (GDD°C) (Frenguelli e Bricchi, 1998; Jato et al., 2000).

43 Tabella 7 – Stazione di Omegna. Heat requirements (GDD °C) e Chilling hours.

Tabella 8 – Stazione di Visp. Heat requirements (GDD °C) e Chilling hours

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Figura 21 – Stazioni di Omegna e Visp. Relazione heat requirements (GDD °C) e Chilling hours. GDD °C calcolato con la soglia di 6°C.

Dal punto di vista statistico, non è possibile correlare l’esigenza di freddo e di caldo («chilling» e GDD), a causa dell’esiguo numero di dati a disposizione. D’altra parte, si può evidenziare che, tendenzialmente, più sono le ore di freddo cumulate, meno ore di caldo sono necessarie per la fioritura. Tale tipologia di analisi dei dati pollinici e di temperatura, utilizzata per il Corylus, potrebbe essere estesa ad altri taxa al fine di giustificare statisticamente la correlazione tra i parametri climatici e le variazioni nell’inizio

45 della pollinazione, sebbene per verificare l’esistenza di una tendenza all’anticipo della fioritura in funzione di cambiamenti climatici, si dovrà attendere di avere a disposizione serie storiche più cospicue.

Conclusioni e prospettive di lavoro Nonostante l’esiguità degli anni di monitoraggio disponibili per effettuare correlazioni statistiche con i parametri climatici, l’analisi delle misure di pollinazione unitamente a quelli climatici fornisce già qualche prima indicazione sull’influenza che questi esercitano sulla pollinazione e quindi sulla presenza in aria dei granuli pollinici aerodispersi. In accordo con la letteratura (Frenguelli&Bricchi, 1998) i taxa a fioritura invernale come il Corylus sembrerebbero più nettamente influenzati dalle temperature, a differenza dei taxa a fioritura primaverile- estiva in cui l’effetto della temperatura risulta meno evidente in quanto probabilmente influenzata anche dal fotoperiodo (Edmonds, 1979). Le analisi effettuate riguardano stazioni, dedicate a rilevazioni di tipo allergologico, non posizionate in quota e quindi non utilizzabili per taxa montani che potrebbero essere maggiormente suscettibili all’ influenza delle variazioni climatiche. Una volta stabilito che i parametri di pollinazione, e in particolare l’inizio della pollinazione, possono essere considerati validi e indicativi per monitorare gli effetti delle anomalie di temperatura, sarebbe auspicabile l’utilizzo di “spore trap” portatili posizionabili in aree in quota per monitorare taxa specifici tipici di ambienti montani. Anche per il 2011, l’analisi dei parametri di pollinazione conferma la loro forte dipendenza dai valori di temperatura registrati nei mesi precedenti la pollinazione, in particolare per quanto riguarda l’inizio del PPP. L’analisi condotta in questi anni da Arpa si è basata sul calcolo di specifici parametri di pollinazione, considerati maggiormente rispondenti alle variazioni indotte dal clima, e la relazione tra gli eventuali anticipi o ritardi di pollinazione e i valori medi mensili di temperatura è stata analizzata esclusivamente a livello descrittivo. Per poter valutare l’effettiva entità dell’influenza dei parametri meteorologici sull’andamento pollinico occorre disporre di una serie storica più ampia che permette di effettuare delle analisi statistiche di correlazioni significative al fine di individuare le variabili meteorologiche più predittive in relazione ai fenomeni studiati.

INDICATORI POLLINI E VARIABILI CLIMATICHE

Nome: Andamento palinologico. Descrizione: misura variazioni qualiquantitave che si possono verificare nella composizione dell’aerospora per intervento di cause multi fattoriali (variazioni climatiche, fisiologia dei vegetali, cause antropiche), al fine di fornire importanti informazioni dal punto di vista fenologico: anticipazione nell’inizio della pollinazione, maggiore durata della stagione pollinica. Unità di misura: data di inizio del periodo principale di pollinazione (PPP), fine del periodo di pollinazione, durata della pollinazione, concentrazione del picco massimo (MPS), concentrazione totale annuale: valore massimo in µg/m3 Periodicità di aggiornamento: un anno.

46 Riferimenti bibliografici

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Si ringrazia il Dipartimento Federale dell'Interno, Ufficio federale di meteorologia e climatologia MeteoSvizzera, per la fornitura dei dati pollinici e meteorologici della stazione di Visp

INDICATORI

Nome dell’indicatore: ANDAMENTO PALINOLOGICO

47 Indicatore europeo di riferimento: CC12a Seasonal Change of allergenic pollen (onset and duration)

Descrizione: Il monitoraggio aerobiologico può assumere il compito di rilevare le variazioni qualiquantitave che si possono verificare nella composizione dell’aerospora per intervento di cause multi fattoriali (variazioni climatiche; fisiologia dei vegetali, cause antropiche), fornendo importanti informazioni dal punto di vista fenologico. Lo studio dell’andamento della concentrazione del polline nell’atmosfera rappresenta un’importante fonte di informazioni relativa alla fenologia del ciclo riproduttivo delle piante. La data di comparsa e la durata della fase di fioritura sono influenzate da fattori meteorologici e, prevalentemente, dalla temperatura dell’aria; il monitoraggio pollinico viene quindi a rappresentare uno strumento utile per valutare la risposta delle piante ai cambiamenti climatici. Il riscaldamento dell’atmosfera può indurre anticipi nell’inizio della pollinazione e una maggiore durata della stagione pollinica, fenomeni che hanno conseguenze in campo allergologico piuttosto evidenti andando ad aumentare il periodo di tempo di esposizione agli allergeni. L’andamento palinologico può essere misurato attraverso diversi parametri che vanno a descriverlo nelle su fasi principali: inizio del periodo principale di pollinazione (PPP); fine del periodo di pollinazione; durata della pollinazione; concentrazione del picco massimo (MPS); concentrazione totale annuale.

Scopo: l’indicatore valuta l’andamento delle date di emissione del polline, della durata del periodo di pollinazione e della produzione di polline annuale di alcuni taxa selezionati monitorati nell’ambito della rete regionale di rilevamento pollinico. Tali informazioni lette insieme alle informazioni climatologiche possono avere un doppio risvolto. Da un lato un risvolto di interesse allergologico in quanto è possibile effettuare un verifica riguardo ad una generale tendenza verso l’anticipo e la maggior durata del periodo di pollinazione correlata all’innalzamento delle temperature. Dall’altro ottenere importanti informazioni di tipo più prettamente ecologico relative alla fenologia dei taxa vegetali monitorati in funzioni delle variazioni climatiche.

Limitazioni dell’indicatore: La dispersione dei pollini è fortemente influenzata dal regime dei venti per cui il rilevamento e l'utilizzo dei dati ai fini ambientali (e non allergologico) potrebbero essere falsati da questo fattore. Inoltre correlare significativamente la presenza di pollini in aria e le serie climatiche disponibili relative alle stesse zone potrebbe dimostrarsi piuttosto complesso in quanto è indispensabile disporre di almeno 15-20 anni di rilevamento pollinico effettuato seguendo metodologie omogenee.

Documenti di riferimento: UNI 11108:2004. Qualità dell'aria - Metodo di campionamento e conteggio dei granuli pollinici e delle spore fungine aerodisperse.

QUALIFICAZIONE DELL'INDICATORE Fonte dei dati: da stazioni fisse mediante campionamento in continuo utilizzando campionatore volumetrico (spore-trap).

48 Detentore dei dati: Arpa Piemonte, Università degli studi di Torino – Dipartimento di Biologia Vegetale, Associazione Italiana di Aerobiologia - Rete Italiana di monitoraggio degli Allergeni. Frequenza di rilevamento: settimanale Metodologia di elaborazione: L’acquisizione dei dati aerosporologici richiede l’allestimento di stazioni fisse nelle quali sono posizionati campionatori volumetrici (spore-trap) a testata settimanale. Il metodo è volumetrico; si fonda sulla possibilità di catturare particelle disperse utilizzando l’impatto per depressione. L’acquisizione dei dati permette di conoscere il numero esatto di granuli pollinici presenti in un volume noto d’aria. Seguendo l’andamento della presenza dei pollini, osservando la data d’inizio della pollinazione e la durata della fioritura si possono allestire calendari pollinici. Il campionamento ottimale deve essere condotto in modo continuo durante tutto il corso dell’anno ed le letture avvengono secondo metodologie standardizzate (UNI U53000810). L’elaborazione dell’indicatore a scopo climatico prevede l’utilizzo di diversi algoritmi finalizzati al calcolo di diversi parametri che concorrono all’analisi dell’andamento palinologico nelle diverse stazioni. Inizio del Periodo Principale di Pollinazione (inizio PPP) Calcolo/formula: corrisponde al giorno in cui la somma cumulativa dei dati giornalieri raggiunge il 5% del totale annuale e in cui la liberazione di polline è uguale o superiore all’1% del totale annuale (Lejoly-Gabriel, 1978). Unità di misura: data Fine del Periodo Principale di Pollinazione (fine PPP) Calcolo/formula: corrisponde al giorno in cui la somma cumulativa dei dati giornalieri raggiunge il 95% del totale annuale (Goldberg et al., 1988). Unità di misura: data Durata della pollinazione: Calcolo/formula: periodo temporale che intercorre tra l’inizio del Periodo Principale di Pollinazione e la fine del Periodo Principale di Pollinazione. Unità di misura: gg Data del picco massimo (Data max): Calcolo/formula: corrisponde al giorno in cui viene raggiunto il valore massimo di concentrazione annuale. Unità di misura: data Concentrazione del picco massimo: Calcolo/formula: valore massimo di concentrazione pollinica annuale Unità di misura: µg/m3 Concentrazione totale annuale (Pollen Index) Calcolo/formula: somma annuale dei valori di concentrazione giornaliera. Unità di misura: µg/m3

AMBITO GEOGRAFICO E TEMPORALE DELL'INDICATORE Dettaglio spaziale: Area di pertinenza della stazione dove è posizionato il campionatore Periodicità di aggiornamento: settimanale

49 Copertura spaziale: rete di rilevamento regionale composta dalle seguenti stazioni ARPA Piemonte: Bardonecchia; Tortona; Cuneo; Omegna; Novara; Alessandria; Vercelli, Torino.

50 3.2.4. Studio della copertura nevosa negli ultimi 10 anni mediante immagini satellitari (MODIS)

Lo studio della copertura nevosa è essenziale per comprendere molti fenomeni biologici che avvengono in montagna. La diminuzione del manto nevoso è stata messa in relazione anche con la scomparsa di determiante specie strettamente legate alla presenza del manto nevoso, come ad esempio la Pernice bianca, Con la presente attività si è voluto creare un data-base che, qualora aggiornato di anno in anno, sia utile per incrociare i dati dei censimenti annuali di specie di interesse e per effettuare valutazioni modellistiche sui trend evolutivi delle popolazioni interessate. L’elevata riflettività della neve, combinata con l’elevata copertura superficiale (durante la stagione invernale dell’emisfero settentrionale la neve può arrivare a coprire oltre il 40% della superficie globale), rendono la neve una componente essenziale del bilancio radiativo del pianeta. L’albedo è la quantità di radiazione riflessa rispetto alla radiazione solare incidente; la neve può assumere valori di albedo molto elevati, tra 80% e 40%, rispettivamente in caso di neve fresca o trasformata e/o sporca. Il telerilevamento satellitare consente di sfruttare le caratteristiche della neve per misurarne la copertura, in quanto l’elevato albedo determina un elevato contrasto rispetto alle altre superfici (ad eccezione delle nuvole). MODIS (Moderate Resolution Imaging Spectroradiometer) è il sensore attualmente utilizzato per la misurazione della copertura nevosa. MODIS, è montato su due satelliti (Terra e Aqua) nell’ambito dell’EOS (Earth Observing System), ed è caratterizzato da 36 bande spettrali comprese nell’intervallo 0.4 µm - 14.4 µm. Le osservazioni del sensore MODIS generano mappe giornaliere di copertura nevosa con risoluzione 500 metri2. Nell’ambito del progetto sono state impiegate 483 scene provenienti dal sensore descritto per analizzare la copertura nevosa nell’area di studio. Preliminarmente sono state fornite le coordinate della zona di interesse al fine di ottenere dati omogenei dal punto di vista spaziale. Considerata la mole di informazioni a disposizione si è proceduto alla definizione di una procedura automatizzata che consentisse di ottimizzare le fasi di analisi descritte in seguito. I dati sono stati forniti nel formato di scambio ASCII (.ASC) importabile in quasi tutti i software di analisi d’immagine e GIS, nel caso specifico ArcGis 9.x. La prima fase della procedura è stata quindi la generazione di files raster in formato proprietario (ESRI GRID) per consentire l’input nei tools di processamento e analisi. I dati così trasformati sono stati oggetto di riclassificazione per ottimizzarne il contenuto informativo in funzione delle esigenze del progetto. Come illustrato nella tabella seguente (Tabella 10) si è proceduto a ridurre le classi di attributo del pixel da 11 a 3. Tale riclassificazione ha l’obiettivo di fornire una quantificazione dei pixels caratterizzati da copertura nevosa (Code = 1) e quindi valutarne la superficie in funzione del tempo.

Integer Value Meaning Code 255 Fill Data--no data expected for pixel 3

2 Hall, D.K. and G.A. Riggs, 2007: "Accuracy assessment of the MODIS snow-cover products,” Hydrological Processes, 21(12):1534-1547, DOI: 10.1002/hyp.6715. Hall, D.K., G.A. Riggs, V.V. Salomonson, N.E. DiGirolamo and K.A. Bayr, 2002: MODIS snow-cover products, Remote Sensing of Environment, 83:181-194. Riggs, G., D.K. Hall and S.A. Ackerman, 1999: Sea ice extent and classification with the Moderate Resolution Imaging Spectroradiometer Airborne Simulator (MAS), Remote Sensing of Environment, 68(2):152-163.

51 254 Saturated MODIS sensor detector 3 200 Snow 1 100 Snow-Covered Lake Ice 1 50 Cloud Obscured 3 39 Ocean 2 37 Inland Water 2 25 Land--no snow detected 2 11 Darkness, terminator or polar 3 1 No Decision 3 0 Sensor Data Missing 3

Tabella 9 Classi di attributo del pixel

I raster così riclassificati sono stati aggregati in tabelle recanti in colonna l’istante temporale di acquisizione del dato e in riga la coordinata del centro del pixel, è stata inoltre associata la quota del pixel estratta dal modello altimetrico digitale opportunamente ricampionato alla medesima risoluzione delle scene MODIS (500 metri). La procedura descritta è stata quindi implementata in ambiente Visual Basic, dove è stato possibile automatizzarne lo svolgimento in modo da processare, in ogni fase della sequenza, tutti i dati; lo svolgimento dei processamenti esterno al software ArcGis ha inoltre consentito un’ottimizzazione delle risorse del computer riducendo la richiesta di memoria per la visualizzazione degli output delle singole fasi. è in fase di sviluppo una seconda versione del programma, che include interfacce utente e consente la gestione dei percorsi di caricamento e salvataggio dei dati. La figura successiva illustra l’interfaccia utente della procedura.

Figura 22 Interfaccia utente della procedura per l’analisi delle immagini MODIS (Versione 2.0)

Considerata la mole di dati, la tabella complessiva non è stata generata per limiti intrinseci ai tools di processamento, e sono state quindi generate, sempre in modalità automatica, le tabelle suddivise nei singoli

52 anni di osservazione; dalle tabelle sono state quindi effettuate delle elaborazioni e visualizzazioni dei periodi caratterizzati da copertura nevosa nell’area di studio (Figura 22).

2002 2002 100,00% 100,00% 90,00% 90,00% 80,00% 80,00% 70,00% 70,00% 60,00% 60,00%

% 50,00% 2002

% 50,00% 2002 40,00% 40,00% 30,00% 30,00% 20,00% 20,00% 10,00% 10,00% 0,00%

0,00%1 7 3 9 9 1 3 3 5 7 3 9 5 1 7 0 1 3 4 8 2 5 9 2 5 7 8 0 2 3 0 0 0 0 065 0 105 1 137 1 177 1 209 2 241 2 2 2 3 3 3 353 1 65 05 2 53 001 017 033 049 0 089 1 121 137 153 177J DAY193 209 225 241 257 273 289 305 3 337 3 J DAY

Figura 22 Esempio di output della procedura di analisi delle immagini MODIS

Dalle informazioni contenute nelle singole tabelle è stato quindi possibile elaborare delle rappresentazioni cartografiche della permanenza della neve al suolo significativa per il territorio della Provincia del Verbano Cusio Ossola. Si è proceduto al conteggio delle settimane caratterizzate da copertura nevosa memorizzando i valori in formato raster (Figura 23).

2010 SNOW COVER (DAY) 0 - 30 31 - 120 121 - 240 241 - 300

301 - 360 105Kilometers 0 10

Figura 23 Rappresentazione della durata della copertura nevosa (anno 2010)

53 I dati ottenuti da tali elaborazioni sono stati validati mediante il confronto con i dati ottenuti dai nivometri presenti nel territorio della Provincia del VCO. In particolare è stato effettuato il confronto fra il valore della scomparsa del manto nevoso valutato secondo i 2 approcci.

3.2.5. Correlazione tra dati di avifauna migratoria a Fondotoce e indici climatici

In generale si può intendere la migrazione ornitica come lo spostamento regolare di una popolazione da un’area di nidificazione ad una di svernamento e nasce per la necessità di occupare in ogni stagione i territori con maggiori disponibilità di cibo. Di conseguenza migrare in primavera dalle regioni meridionali di svernamento a quelle estive settentrionali dove avviene la riproduzione offre indubbi vantaggi, le regioni dell’emisfero Nord sono infatti caratterizzate da giornate estive molto lunghe e da una grande abbondanza di cibo utile per allevare la prole, e viceversa in autunno. Diversi studi hanno messo in evidenza che alcune specie siano in grado di regolare la data di arrivo nei quartieri di nidificazione anticipandolo, come risposta all’aumento delle temperature primaverili che, di fatto, anticipa l’attività vegetative delle piante e di conseguenza anche i cicli riproduttivi degli insetti. Questa risposta si traduce in un anticipo nella data di arrivo, dimostrata in numerosi studi in Europa e Nord America. Un arrivo anticipato nei territori di riproduzione presenta molti benefici per gli individui: territori di nidificazione migliori, più chance di accoppiarsi, compagni di migliore qualità, probabilità di sopravvivenza maggiore per i pulli, come nel caso della Balia nera (Ficedula hypoleuca). Tuttavia non per tutte le popolazioni di uccelli si è verificato lo stesso cambiamento. Negli ultimi decenni sono stati fatti grandi passi avanti riguardo alle conoscenze sulla migrazione e mai come oggi gli uccelli migratori sono stati tanto vicini a una grave crisi. Molte specie migratrici sono state inserite nelle liste delle specie minacciate e se l’ulteriore riscaldamento globale del clima dovesse veramente aver luogo, esso comporterebbe già in tempi ravvicinati una drastica riduzione su scala mondiale dei comportamenti migratori, e la scomparsa di numerose specie di uccelli migratori nel prossimo futuro. Per poter studiare l’andamento delle migrazioni in relazione con le variazioni climatiche, sono stati analizzati i dati raccolti dal Centro Studi sulla Migrazione di Fondotoce (VB). Si tratta di un’area situata in località Fondotoce (frazione del comune di Verbania), sulla sponda occidentale del Lago Maggiore a 195 metri sul livello del mare. L’obiettivo dell’attività del Centro Studi sulle Migrazione è quello di monitorare principalmente il periodo interessato dalle migrazioni per poter valutare l’importanza dell’area del Fondo Toce quale punto di sosta e di passaggio delle popolazioni di uccelli durante il viaggio verso i siti riproduttivi in primavera e in direzione di quelli di svernamento in autunno; in particolare si è deciso di coprire in modo continuativo e uniforme nei cinque anni il periodo di passaggio dei migratori transahariani. In alcuni anni si è testato anche il periodo riproduttivo per avere un campione della popolazione delle specie nidificanti.

Relazione tra indici climatici (NAO – SOI e Indice di Piovosità del Sahel) con la fenologia migratoria delle principali specie a Fondotoce L’indice climatico NAO (North Atlantic Oscillation) è rappresentativo della configurazione meteorologica che più influenza la circolazione sull’Europa. E’ un indice mensile basato sulla differenza dei valori normalizzati

54 della pressione a livello del mare tra Ponta Delgada, Azorre e Stykkisholmur/Reykjavik, Islanda La NAO è la modalità dominante durante i mesi invernali sul Nord Atlantico e sulle regioni confinanti, e tiene conto della contrapposizione tra le masse d’aria subtropicali che tendono a spostarsi verso Nord e quelle polari verso Sud. Quando la NAO è positiva la circolazione sull’Atlantico è prevalentemente zonale e tesa, con periodi caldi o miti per l'Europa centromeridionale e piovosi o nevosi per le zone settentrionali. Nella fasi negative si verifica un rallentamento della corrente a getto, che consente la formazione si strutture cicloniche ad anticicloniche estese in latitudine, che favoriscono l’ingresso di correnti gelide e secche sull’Europa settentrionale e infiltrazioni umide e fredde associate a precipitazioni piovose o nevose sull’Europa centromeridionale. Da recenti analisi di dati di uccelli migratori ad Helgoland in Germania è stato dimostrato che le date di arrivo di migratori a corto raggio sono ben correlate con le temperature locali, mentre le date di arrivo di migratori a lungo raggio vengono spiegate meglio dall’indice NAO. Sulla base di questi dati, van Noordwijk ha proposto 3 ipotesi che possano spiegare passaggi anticipati di migratori a lungo raggio:

I) lasciano l’Africa alla stessa data ma sono in grado di compiere la migrazione più velocemente perché ci sono condizioni migliori di foraggiamento in primavera in Europa (negli anni in cui il NAOI è alto si originano condizioni meteo più calde, umide e ventose; II) se le condizioni meteo in Africa sono correlate con il NAOI, allora anche le stagioni potrebbero esserlo, il che potrebbe consentire agli uccelli di partire prima. NAOI e SOI influiscono sul clima e la produttività primaria in Africa e potrebbero essere dei proxy per combinazioni di condizioni climatiche che innescano la migrazione; III) il clima in Africa può non essere cambiato ma la selezione naturale può guidare i cambiamenti in corso

Per individuare la relazione tra indici climatici e migrazione primaverile sono stati considerati i dati di inanellamento del decennio 2001-2010. Complessivamente in questo periodo di tempo sono state inanellate 117 specie per un totale di 204.545 individui. La specie più inanellata è stata la rondine, con un totale di 147.121 individui inanellati durante i roost post riproduttivi, seguita dalla cannaiola (13.847 individui) dal luì piccolo (6.345 individui) e dal topino (5.803 individui). Una volta individuate le specie di uccelli migratori più frequenti in primavera, per ciascuna specie è stata calcolata la prima data di inanellamento, l’ultima data di inanellamento e la mediana espresse in pentadi. E’ stata poi effettuata una correlazione non parametrica delle tre pentadi calcolate per ciascuna specie per ogni primavera di inanellamento con i valori mensili di due indici climatici: il NAO, e l’indice di piovosità del Sahel. Le specie sono poi state raggruppate attraverso un’analisi dei cluster che ha consentito di identificare tre gruppi sulla base delle risposte delle specie agli indici: 1) Cannaiola e Cutrettola, specie che tendono ad anticipare la fine della migrazione negli anni più piovosi nella zona del Sahel e con indici NAO primaverili ed invernali positivi, 2) Averla Piccola, Cannaiola verdognola, Cannareccione, Forapaglie, Forapaglie macchiettato, Pettazzurro, Luì grosso, Balia nera e Topino, specie che tendono ad anticipare l’inizio della migrazione negli anni più piovosi nella zona del Sahel e con indici NAO primaverili ed invernali positivi, 3) Bigiarella e Pigliamosche, specie che tendono a posticipare la prima pentade di passaggio negli anni e una

55 relazione negativa con il NAO invernale. I nostri risultati confermano che la migrazione è un processo flessibile, modulato in risposta a variazioni climatiche e che tale processo è rilevabile nel sito indagato sia su specie nidificanti che esclusivamente migratrici.

Sono state condotte le seguenti analisi statistiche: • calcolo della pentade minima, mediana e massima di transito per ciascuna specie (mig prim); • analisi di correlazione di Spearman tra indici climatici e pentade; • individuazione delle correlazioni significative; • creazione di una matrice in cui viene indicato indice di correlazione significativo per ciascuna specie; • K means cluster analysis per identificare i gruppi di specie che rispondono allo stesso modo (correlazione positiva o negativa) al variare dell’indice climatico.

Sono stati individuati i seguenti gruppi:

Cannaiola Averlapiccola Fringuello Bigiarella Cutrettola Balianera Luipiccolo Capinera Ortolano Beccafico Merlo Cardellino Canapino Saltimpalo Martinpescatore Cannaiolaverdognola Usignolodifiume Migliarinodipalude Cannareccione Verdone Passeramattugia Codirosso Passerascopaiola Cutrettolagialla Pendolino Forapaglie Pettirosso Forapagliemacchiettato Pigliamosche Luigrosso Scricciolo Pettazzurro Prispolone Sterpazzola Sterpazzolina Stiaccino Tarabusino Topino Usignolo

Di seguito si riporta una sintetica analisi del comportamento dei gruppi che sono stati identificati sono:

• Cluster 1 . MIGRATORI TRANSAHARIANI: cannaiola e cutrettola, due specie di migratori a lungo raggio che svernano nell’africa sub-sahariana hanno in comune la tendenza ad anticipare la fine della migrazione negli anni più piovosi nella zona del Sahel e con indici NAO primaverili e invernali positivi.

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• Cluster 2 MIGRATORI TRANSAHARIANI: Averla Piccola, Cannaiola verdognola, Cannareccione, Forapaglie, Forapaglie macchiettato, Pettazzurro, Luì grosso, Balia nera e Topino, sono specie che svernano nell’Africa sub-sahariana e che mostrano una comune tendenza ad anticipare l’inizio della migrazione negli anni più piovosi nella zona del Sahel e con indici NAO primaverili e invernali positivi.

• Cluster 3: SPECIE INTRAPALEARTICHE, hanno endenza a posticipare la prima pentade ed anticipare l’ultima pentade di passaggio e accorciare il periodo di migrazione.

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• Cluster 4 MIGRATORI INTRAPALEARTICI E A LUNGO RAGGIO: Bigiarella e Pigliamosche, due specie di migratori a lungo raggio che hanno mostrato una comune tendenza a posticipare la prima pentade di passaggio negli anni, relazione negativa con il NAOI invernale.

L’analisi di questi dati evidenzia l’influenza degli indici climatici nella fenologia migratoria (più evidente per migratori a lungo raggio), non scontato per siti di stop-over in cui transitano popolazioni diverse.

Analisi dati dei roost di rondini – correlazioni con condizioni meteo locali e regionali, analisi della produttività e del successo riproduttivo a scala più ampia (giovani/adulti) Il Centro Studi sulle Migrazioni di Fondotoce deve la sua popolarità principalmente per il numero di catture di rondini che si radunano alla fine dell’estate per passare la notte protette all’interno del canneto della Riserva. Le catture che superano le 140 mila unità in 10 anni hanno consentito di effettuare un’analisi del rapporto del numero di giovani rispetto al numero di adulti catturati nella stagione estiva/autunnale. Più è alto il numero di giovani rispetto agli adulti, maggiore sarà stato il successo riproduttivo delle rondini. Questo indice è stato messo in relazione con il NAO e il risultato è stato che il numero di giovani rispetto agli adulti risulta essere più elevato negli anni in cui il NAO di aprile risulta positivo.

58

La spiegazione a questo risultato può derivare dal fatto che negli anni in cui il NAO è positivo ad aprile si creano le condizioni meteo-climatiche più favorevoli per la riproduzione che inizia a maggio e prosegue nel periodo giugno-luglio.

Conclusioni I risultati delle analisi presentati consentono di fare due importanti considerazioni. La prima conferma come la migrazione degli uccelli sia influenzata dalle condizioni climatiche che le specie trovano durante il viaggio e nei quartieri di svernamento e nidificazione e ha permesso di individuare alcuni indicatori per monitorare questa tendenza. La seconda considerazione riguarda l’importanza dei monitoraggi, condotti in maniera continuativa e standardizzata. Lo studio di fenomeni complessi come la migrazione e la fenologia, in relazione ai cambiamenti climatici, sono possibili soltanto se si hanno a disposizione dati in un lungo periodo, come egregiamente è stato effettuato dal Centro Studi sulle Migrazioni di Fondotoce.

INDICATORI FENOLOGIA AVIFAUNA MIGRATORIA

Nome: Ultima pentade di passaggio primaverile Migratori nidificanti. Descrizione: inanellamenti relativi a Cannaiola, Cutrettola, migratori a lungo raggio che svernano nell’africa sub-Sahariana che hanno in comune la tendenza ad anticipare la fine della migrazione negli anni più piovosi nella zona del Sahel e con indici NAO primaverili e invernali positivi. Unità di misura: pentade massima, rapporto con NAO primaverile e invernale. Periodicità di aggiornamento: annuale.

59 Nome: Pentade arrivo Transahariani. Descrizione: inanellamenti relativi a Averla Piccola, Cannaiola verdognola, Cannareccione, Forapaglie, Forapaglie macchiettato, Pettazzurro, Luì grosso, Balia nera e Topino, specie che svernano nell’Africa sub- sahariana e che mostrano una comune tendenza ad anticipare l’inizio della migrazione negli anni più piovosi nella zona del Sahel e con indici NAO primaverili e invernali positivi. Unità di misura: pentade minima, rapporto con NAO primaverili. Periodicità di aggiornamento: annuale.

Nome: Pentade arrivo Migratori a lungo raggio. Descrizione: inanellamenti di Bigiarella e Pigliamosche, specie di migratori a lungo raggio che hanno mostrato una comune tendenza a posticipare la prima pentade di passaggio negli anni, relazione negativa con il NAOI invernale. Unità di misura: pentade minima, rapporto con NAOI invernale. Periodicità di aggiornamento: annuale.

Nome: Produttività e successo riproduttivo Rondine. Descrizione: dati dei roost post-riproduttivi di rondini, con analisi del rapporto nel numero di giovani rispetto al numero di adulti catturati nella stagione estiva/autunnale. Più è alto il numero di giovani rispetto agli adulti, maggiore sarà stato il successo riproduttivo delle rondini. Questo indice è in relazione con un NAOI di aprile positivo, che crea condizioni meteo-climatiche più favorevoli per la riproduzione che inizia a maggio e prosegue a giugno e luglio. Possibilità analisi muta sospesa. Unità di misura: rapporto JUV/AD, rapporto con NAO di aprile. Periodicità di aggiornamento: annuale.

60 3.3. Identificazione e selezione di indicatori ecologici di cambiamento climatico

La valutazione degli effetti del global change ed in particolare dei cambiamenti climatici sulla biodiversità è di fondamentale importanza e deve essere condotta attraverso l’individuazione d’indicatori specifici, le cui caratteristiche sono state definite anche da precedenti progetti. In particolare gli indicatori devono essere facilmente misurabili e aggregabili. Per quanto concerne gli indicatori specifici per la biodiversità, in relazione ai cambiamenti climatici, essi devono avere le seguenti caratteristiche: ƒ facili da comprendere e politicamente rilevanti; ƒ in grado di fornire informazioni quantitative; ƒ essere scientificamente e statisticamente validi; ƒ essere sensibili a cambiamenti nello spazio e nel tempo; ƒ essere tecnicamente fattibili a costi sostenibili. A livello nazionale non ci sono indicatori standardizzati atti a misurare l'impatto dei cambiamenti climatici sulla biodiversità. Ovviamente molti sono gli studi a livello locale su molte specie, ma non esiste un progetto comune. A livello nazionale alcuni dati di riferimento, ma non un vero e proprio indicatore, possono essere ricavati dalla rete MITO sul monitoraggio ornitologico, mentre per la vegetazione alpina il progetto di riferimento è il programma internazionale GLORIA sulla vegetazione dei summit alpini che monitora tramite rilievi botanici l’arricchimento della flora sulle sommità elevate delle montagne di tutto il mondo. L’Agenzia Europea per l’Ambiente (EEA Techincal report n°11/2007) ha presentato una proposta per un primo set di 26 indicatori per monitorare lo stato della biodiversità in Europa (Halting the loss of biodiversity by 2010. proposal for a first set of indicators to monitor progress in Europe) in cui al n°11 compare l’indicatore “Occurence of temperature-sensitive species”, specificatamente introdotto per seguire l’impatto del cambiamento climatico sulla biodiversità. L’indicatore valuta i cambiamenti nella presenza di specie di piante che rispondono a variazioni nella temperatura atmosferica. Tali specie “termo-sensibili” possono essere sia termofile, ovvero che necessitano calore, che tolleranti al freddo (con specie che possono essere localmente negativamente colpite), mentre altre appaiono in nuovi contesti. Si tratta pertanto non di un indicatore che mostra un impatto negativo diretto, come ci si auspicherebbe, ma che indica che alcune piante rimpiazzano altre come conseguenza del cambiamento climatico. Sfortunatamente è scarsa la disponibilità di data set di specie e reti di monitoraggio reiterate sono poco diffuse. La scheda metadati dell’indicatore propone l’applicazione del sistema di classificazione botanica di Ellenberg a campionamenti floristici ripetuti su parcelle permanenti, al fine di documentare cambiamenti nella composizione e la comparsa di nuove specie evidenziandone il loro regime di temperatura e di richiesta di umidità. E’ interessante come la scheda di valutazione dell’indicatore metta in evidenza come un tale indicatore possa solo evidenziare che il cambiamento climatico sta avvenendo, piuttosto che mostrare un impatto negativo sulla biodiversità. La scheda cita anche come sia stato ampiamente dibattuto se considerare la fenologia delle piante come indicatore di risposta alle variazioni climatiche recenti, ipotesi infine scartata in quanto il legame con la biodiversità risultava troppo indiretto. La scheda auspica che nel futuro si sviluppi un indicatore basato sull’abbondanza di un pool di specie particolarmente sensibili al cambiamento climatico, legate ad habitat effimeri o con limitata capacità di dispersione.

61 La Conferenza internazionale “Conseguenze del cambiamento climatico per le aree alpine protette” tenutasi a Trafoi (BZ) presso il Parco Nazionale dello Stelvio, il 18-19 ottobre 2007 ha fatto il punto sulla ricerca e sul fabbisogno di dati per rispondere al cambiamento climatico per i gestori dei parchi alpini, evidenziando le seguenti priorità per il monitoraggio dei processi ecosistemici: • meteorologia/radiazione, • criosfera, • bilancio idrico (sorgenti), • fenologia, • vegetazione in alta quota (plot), • fauna (farfalle).

La Conferenza ha sottolineato anche le priorità in campo previsionale con la necessità di analisi spaziali (da verificarsi con dati locali) riguardanti i seguenti tematismi: • uso del suolo/habitat, per le probabili ripercussioni di cambiamento nella gestione di pascoli e prati montani • idrologia, geologia, geomorfologia (permafrost/flussi di energia, copertura nevosa, movimenti di massa legati all’acqua, bilancio idrico), • distribuzione di habitat e specie selezionate e popolazione, • pattern della connettività ecologica per la migrazione delle popolazioni,

Dalle attività del progetto sono emerse proposte di indicatori da utilizzare in programmi di monitoraggio degli effetti del cambiamento climatico sugli ecosistemi alpini e montani, che per le caratteristiche del fenomeno devono essere necessariamente effettuati sul lungo periodo. Gli indicatori dovranno essere oggetto ancora di approfondimento e sono di tipo abiotico (es. temperatura dell’aria e del suolo, precipitazioni solide e liquide, chimica delle precipitazioni), pedologico (caratteristiche chimiche e fisiche dei suoli), faunistico (pedofauna, Odonati, avifauna) e botanico (abbondanza e distribuzione delle specie vegetali, fenologia). Nel corso del progetto si sono verificate le caratteristiche e l’applicabilità in ambiente montano di tali indicatori, con la predisposizione anche di plots permanenti, che si auspica possano essere oggetto di rilevamenti periodici anche nel medio-lungo termine, al fine di comprendere le dinamiche temporali di questi ecosistemi, in relazione ai cambiamenti climatici. Ulteriori specifici indicatori per la biodiversità sono stati sviluppati a seguito dell’esperienza conseguita in questo progetto anche su altri comparti biotici quali la mesofauna del suolo. Particolari approfondimenti per la ricerca di indicatori sia di tipo vegetazionale, che faunistico, pedoclimatico ed ecologico sono poi stati condotti in due torbiere, ambienti di particolare pregio dal punto di vista botanico e faunistico, con la determinazione della distribuzione spaziale degli stock di carbonio e delle emissioni di CO2 nel corso dell’inverno e dell'estate. Un’ altra attività più di carattere sperimentale è stata avviata sui suoli periglaciali e sui terreni lasciati liberi dalla ritirata dei ghiacciai (terreni deglacializzatei). Le attività in campo fenologico hanno portato all’individuazione di indicatori di fenologia riproduttiva e vegetativa di ambienti erbacei montani, ad indicatori legata all’interpretazione in senso fenologico dei dati pollinici e ad indicatori delle relazioni tra avifauna migratoria ed indici climatici.

62 In questo progetto gli indicatori oggetto di approfondimento sono anche di tipo abiotico (temperatura dell’aria e del suolo, precipitazioni solide e liquide, chimica delle precipitazioni) e pedologico (caratteristiche chimiche e fisiche dei suoli). In particolare, tra i parametri impiegati, la misura della temperatura del suolo, rappresenta un parametro che è possibile proporre per la quantificazione degli effetti del cambiamento climatico. Si tratta, infatti, di una variabile influenzata non solo dall’andamento della temperatura dell’aria, ma anche ad esempio dalla durata della permanenza della neve al suolo, fattore che, alle quote oggetto di questa indagine, riveste una importanza fondamentale nel condizionare le dinamiche del suolo, ad esempio quelle legate alla pedofauna. La selezione di tali indicatori è avvenuta anche sulla base di esperienze già consolidate, quali ad esempio gli indicatori selezionati nell’ambito della rete LTER (http://www.lteritalia.it/) o quelli indicati dal progetto GLOCHAMORE (Global Change in Mountain Regions), un progetto congiunto dell’UNESCO e della Mountain Research Initiative (MRI). I parametri da monitorare individuati da quest’ultimo progetto sono distinti in essenziali (generalmente misure a basso costo e ridotto investimento), elevati (generalmente misure di costo medio) e ottimali (misure costose e di elevato livello scientifico). In particolare, per quanto concerne i parametri relativi all’atmosfera, alla neve, alla vegetazione e ai suoli d’alta quota, nella tabella seguente (Tabella 24) sono riportati i livelli di approfondimento suggeriti, in accordo a tale progetto.

Indicatore Essenziale Elevato Ottimale Frequenza campionamento ATMOSFERA Temperatura aria * Continua Precipitazione * Continua Deposizione atmosferica * Annuale Chimica delle precipitazioni * Ogni evento NEVE Spessore * Continua SWE * Annuale Distribuzione innevamento (immagini * Settimanale (8 giorni satellitari) MODIS) Densità * Settimanale Caratteristiche fisiche * Settimanale SUOLO Temperatura * Continua Chimica * Annuale (Stagionale) PAESAGGIO/USO SUOLO Foto aeree * Periodica VEGETAZIONE Elenco specie * * Periodica Abbondanza specie * Periodica

Tabella 24 Indicatori suggeriti dal Progetto GLOCHAMORE per il monitoraggio degli ambienti terrestri in ambiente montano (modificata da Grabherr et al., 2005).

63

Riferimenti bibliografici

Grabherr, G., Björnsen Gurung, A., Dedieu, J.-P., Haeberli, W., Hohenwallner, D., Lotter, A., Nagy, L., Pauli, H., Psenner R. (2005). Long-term Environmental Observations in Mountain Biosphere Reserves: recommendations from the EU-project GLOCHAMORE. Mountain Research and Development 25: 376- 383. Müller F., Wiggering H. (2004). Umweltziele und Indikatoren. Begriffe, Methoden, Aufgaben und Probleme. In: Wiggering H., Müller F. (ed) Umweltziele und Indikatoren. Wissenschaftliche Anforderungen an ihre Festlegung und Fallbeispiele. Berlin, Heidelberg, Springer, 648 pp. Pickering C, Good R, Green K. (2004). Potential Effects of Global Warming on the Biota of the Australian Alps. Canberra, Australia: Australian Greenhouse Office. Walker DW, Gould WA, Chapin III FS. (2001). Scenarios of biodiversity changes in Arctic and alpine tundra. In: Chapin III FS, Sala O, Huber-Sanwald E, editors. Global Biodiversity in a Changing Environment. Heidelberg, Germany: Springer, pp 83–100.

64 3.4. Identificazione e restituzione cartografica di habitat di alta quota di interesse per lo studio dei cambiamenti climatici

3.4.1. La carta delle unità ambientali omogenee nel vallone del Vannino

Si è provveduto, tramite fotointerpretazione, a fornire una stesura delle unità ambientali omogenee presenti nell’area del Vannino. Durante la campagna estiva del 2010 nell’area del Vannino, infatti, sono stati eseguiti 133 rilievi vegetazionali, che si aggiungono ai 7 che già erano a disposizione (plots del transetto altitudinale). Si è stabilito di operare con aree di rilievo non inferiori a 16 m2 che, nel caso delle formazioni forestali, arbustive e ovunque si è reso necessario, sono state aumentate seguendo la procedura dell’area minima significativa. Le campagne di rilievo hanno evidenziato la presenza di un totale di 260 specie vascolari. La revisione della carta è stata effettuata, oltre che tramite l’integrazione dei rilievi suddetti, con la revisione dei criteri di definizione delle singole unità, come illustrato nella tabella seguente (Tabella 25). In particolare si è proceduto all’individuazione di unità tipo e alla creazione di una guida per l’operatore, costituita dalle definizioni della legenda e da immagini guida per agevolare il riconoscimento delle singole unità. Al termine delle procedure di fotointerpretazione è stata effettuata una serie di controlli topologici sul file definitivo per eliminare la presenza di sovrapposizioni ed eventuali oggetti caratterizzati da dimensioni non significative alla scala di restituzione. Le operazioni descritte hanno permesso quindi di produrre il livello informativo finale, in formato numerico, di seguito illustrato in layout cartografico (Figura 2626).

Definizione Immagine guida

Affioramenti rocciosi

65 Brughiere a loiseleuria e/o mirtilli

Macereti

Affioramenti litoidi in mosaico con praterie e/o saliceti nani

Pareti rocciose

66 Praterie d'altitudine

Rodoreti e rodoreto-vaccinieti

Boschi di conifere con sottobosco arbustivo ben sviluppato

Alneti di ontano verde, saliceti di salice elvetico e megaforbieti

67 Zone umide e pozze

Tabella 25 Definizione delle unità ambientali e rappresentazione delle immagini guida

Figura 26 Carta delle Unità Ambientali Attuale da fotointerpretazione

68 La carta delle unità ambientali da fotointerpretazione è stata oggetto di un processo di aggregazione di alcune classi (macereti), con la produzione di un nuovo elaborato (Figura 27)

Figura 27 Carta delle unità ambientali attuali nel bacino del Vannino

69 3.4.2. L’ambiente glaciale e periglaciale della valle del rio Sabbione – Formazza

Nel contesto delle Alpi Lepontine e della Val Formazza, il settore più interno e continentale della Valle d'Ossola, si inserisce la valle incisa dal Rio Sabbione (Hohsand), contraddistinta dalla cima più elevata dell'alta Ossola, il Blinnenhorn o Corno Cieco (3.374 m s.l.m.). L'esposizione prevalente a nord-est, i venti e le perturbazioni che giungono dalle vicine Alpi Bernesi, sede dei più grandi ghiacciai alpini, predispongono la valle ad una forte attività glaciale, che ha il suo epicentro sui versanti settentrionali a monte della diga artificiale del Sabbione (2.463 m s.l.m.) tra la Punta d'Arbola ed il Blinnenhorn. Alle fiumane di ghiaccio che ne ricoprono i fianchi si aggiungeva non molti anni fa, sullo spartiacque con il Vallese, la trasfluenza del grande ghiacciaio del Gries in territorio svizzero. Altri ghiacciai minori si estendevano a cavallo tra la Valle del Sabbione e la Val Vannino. Il regresso dei ghiacciai negli ultimi due decenni, con l’emersione del ghiacciaio meridionale del Sabbione, dalle acque del lago e la quasi scomparsa dei ghiacciai di dimensioni e quote minori, rendono questa area di grande interesse per lo studio degli effetti del cambiamento climatico in atto sul glacialismo e sulle forme di vita ad esso associate. La presenza del ghiaccio, del bacino idroelettrico della Val Formazza (Lago del Sabbione), insieme alla complessa morfologia hanno impedito il pascolamento delle coltri erbacee e il limitato accesso (l’area è solo raggiungibile a piedi, tramite il sentiero che parte dal lago artificiale di Morasco) ha consentito l’ottimo stato di conservazione della vegetazione. La presenza di specie di elevato interesse botanico ha meritato a questa valle, assieme ai limitrofi territori del Bacino dell’alto Toce, a monte della Cascata (di cui fanno parte il vallone di Nefelgiù, i pascoli rupicoli da Bättelmatt al Passo del Gries, la Val Toggia, il Lago Castel e il Lago Nero), l’inserimento nelle Aree di Importanza Botanica che sono aree segnalate nell’ambito dell’omonimo progetto internazionale IPA e nelle Aree di interesse per la flora e la vegetazione nell'ambito del progetto “Parchi in Rete Aree importanti per la biodiversità, definizione di una Rete Ecologica nel Verbano Cusio Ossola basata su Parchi, Riserve e Siti Rete Natura 2000”. Per fornire un quadro descrittivo della biodiversità vegetale dell'intera area, con il supporto del botanico Roberto Dellavedova è stata esaminata una porzione del territorio della valle compresa tra il ghiacciaio settentrionale dell'Hohsand, la porzione superiore in sinistra idrografica del bacino del lago artificiale del Sabbione, e il versante meridionale del Corno Cieco o Blinnenhorn. Ulteriori approfondimenti si sono svolti nell’area a monte del Rifugio Mores, sulle falde del Banhorn o Corno di Ban (3028 m s.l.m.) in corrispondenza del Piano dei Camosci e sul fronte glaciale del ghiacciaio settentrionale dell’Hohsand. Queste attività assieme a quelle di rilievo meteorologico al Pian dei Camosci ed alle indagini glaciologiche svolte dal Comitato Glaciologico italiano, oltre a contribuire alla conoscenza di un patrimonio naturale incontaminato, potranno negli anni futuri, se le indagini proseguiranno, fare di quest’area un laboratorio a cielo aperto per gli studi sul rapporto tra clima alpino e biodiversità

Foto 28 - Immagine in 3D relativo al Bacino del Sabbione – Formazza (VB)

70

Inquadramento climatico della zona glaciale dei Sabbioni

I dati giornalieri di temperatura dell'aria minima e massima, altezza della neve al suolo, altezza della neve fresca, e della quantità di precipitazione, sono misurati dalla stazione meteorologica della rete meteoidrografica di Arpa Piemonte di Formazza - Pian dei Camosci (Foto 29), in funzione dal 1988, situata a 2453 metri di quota, nella piana adiacente il Rifugio “Città di Busto”.

Foto 29 - Stazione meteorologica Arpa localizzata a Formazza - Pian dei Camosci

Nel periodo 1988-2011, le temperature medie dei massimi variano da -2,8°C a gennaio a 11°C a luglio, mentre le medie dei minimi da 11,6 °C a febbraio a 4,4°C ad agosto (Figura 29).

71 Figura 29 Andamento delle temperature medie dei massimi e medie dei minimi a Pian dei Camosci - Formazza (VB) nel periodo 1988 - 2011

15

10

5

0 T (°C)

-5

-10

-15 luglio aprile marzo giugno agosto ottobre maggio gennaio febbraio dicembre settembre novembre

Temperatura media dei massimi Temperatura media dei minimi

Gli estremi termici del periodo sono rappresentati da -28,3°C il 7 febbraio 1991 e 19,4°C il 9 agosto 1998. Il numero di giorni di gelo medio annuo è 273, con un minimo di 246 nel 2003 e un massimo di 316 nel 1996. La distribuzione mensile delle precipitazioni mostra un minimo durante i mesi invernali e un massimo tra maggio e ottobre. Durante il periodo 1989-2011 i mesi più piovosi sono stati il settembre del 1993 con 482 mm di precipitazione cumulata, ottobre 2000 con 480 mm, e giugno 1997 con 348 mm. Per quanto riguarda le misure di spessore del manto nevoso (Hs), nel periodo 1990-2011, i massimi della serie storica sono concentrati nell'inverno e nella primavera del 2009, tra febbraio e inizio maggio: in particolare si è registrata una Hs = 457 cm il 29 aprile 2009. Altri periodi con elevati spessori della neve sono stati: novembre 2002, aprile 1999, aprile 1995, e aprile 1994, con valori di Hs di circa 350 cm. I giorni con suolo coperto da neve (quindi con Hs > 0 cm) sono stati mediamente 225 all'anno. Per quanto riguarda invece il periodo di misure 2000-2011, per cui è disponibile l'altezza della neve fresca giornaliera, il massimo di precipitazione nevosa sulle 24 ore si è avuto il 15 novembre 2002 con Hn = 128 cm; nello stesso periodo i giorni nevosi (con Hn >= 1 cm) sono stati mediamente 68 all'anno. Il manto nevoso al suolo si mantiene da ottobre a giugno, con un massimo ad aprile di 232 cm. Il regime nivometrico presenta un massimo di precipitazioni nevose a novembre (157 cm cumulati mediamente) e uno secondario a marzo (Figura 30).

Figura 30 - Andamento medio dello spessore del manto nevoso nel periodo 1990-2011

Manto nevoso 250

200

150

100

Altezza neve al suolo (cm) suolo al neve Altezza 50

0 gennaio marzo maggio luglio settembre novembre 72 Inquadramento geologico e pedoclimatico

Figura 31 - Stralcio della Carta Tettonica Svizzera (1999)

Nell'area sono presenti rocce carbonatiche (61), dolomie (62), scisti grigioni (100), metabasiti e serpentiniti (101) e gneiss (103).

In generale la struttura e la litologia della Val Formazza è quasi rappresentata da calcescisti biotitici ed anfibolitici intercalati da un'ampia fascia di quarziti gneissiche disposte tra la Punta Clogstafel (2.967 m s.l.m.) ed il Passo S. Giacomo (2.313 m s.l.m.), e da sottili strati di calcari triassici e di scisti micaceo filladici. I versanti della porzione inferiore della Val Formazza, inclusa la Punta d'Arbola, sono invece costituiti da granito pretriassico. Nel dettaglio, il substrato geologico dell'area del Sabbione è rappresentato dalle serie dei Scisti Grigioni con calcofilliti; nella parte meridionale dell’area, in corrispondenza della Punta dell'Arbola, il substrato roccioso è rappresentato da Gneiss a due miche p.p. gneiss “occhiadini”; le falde del Corno di Ban presentano affioramenti di Scisti con granati intercalati a Prasiniti, appartenenti alla serie dei Scisti verdi del Mesozoico, e rocce dolomitiche; le Prasiniti sono osservabili anche sui versanti meridionali del Rothorn o Corno Rosso (3.289 m s.l.m.). Dal Lago Sabbione al Piano dei Camosci affiorano invece calcari cristallini p.p. dolomitici. L'area si presenta complessivamente di natura basica con coperture di materiale morenico quaternario. Ed è in questo settore pianeggiante in quota, caratteristico per la sua particolare morfologia, che ad una quota di 2.480 m s.l.m., si trova un affioramento di rocce calcaree su cui vi si sviluppano suoli calcarei d’alta quota, che nel territorio piemontese sono maggiormente diffusi nel Torinese (media e alta Valle Susa, Val Chisone, Val Troncea) e nel Cuneese (Alte Valli Varaita, Maira e Grana).

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Foto 30 – Suolo calcareo in valletta nivale

Coordinate: 450865 5142671 Altitudine: 2.480 m s.l.m. La morfologia del sito, e la maggiore copertura nevosa durante il periodo invernale concorrono a favorire lo sviluppo della coltre pedologica ed un notevole arricchimento di sostanza organica (colore bruno olivastro), mentre a maggiore profondità è evidente l’accumulo di basi che rendono il suolo decisamente più alcalino (pH=8,2) rispetto alla superficie.

Evoluzione nel tempo del ghiacciaio settentrionale del Sabbione

Foto 31 - Ghiacciaio settentrionale del Sabbione

Il ghiacciaio Hohsand settentrionale, è circondato per due terzi da cime rocciose, al cui centro si eleva la Punta del Sabbione o dell'Hohsandhorn (3.182 m s.l.m.). Da essa si diparte in direzione nord-est un contrafforte che la separa dal Ghiacciaio del Sabbione (o Hohsand meridionale), esso ha un bacino collettore molto ampio, che in ordine di estensione è il secondo dell'Alto Toce. La colata di alimentazione principale ridiscende dall'Angolo delle Tre Valli, ad essa confluiva un tempo, dalle alte scarpate laterali della Punta del Sabbione, una lingua minore che scendeva ripida e crepacciata. Le lingue glaciali sono lateralmente e frontalmente affiancate da morene. La fronte glaciale raggiunge ora di circa 2.550 metri.

74 Figura 32 - Ghiacciaio dell'Hohsand dalla Carta Nazionale Svizzera - anno 2001

Nella “Geologische Karte der Simplon - Gruppe” (Figura 35) il ghiacciaio settentrionale era associato a quello del Sabbione meridionale, come un unico grande ghiacciaio, con la fronte glaciale che si spinge fino alla stretta rocciosa, oggi sede della diga, pressappoco a 2.400 m s.l.m., senza mostrare morene frontali. Come avvenuto per gli altri ghiacciai alpini, è ipotizzabile che un ultimo massimo di espansione si sarebbe verificato nel primo ventennio del XX secolo. Negli anni successivi sono disponibili documentazioni che testimoniano una costante contrazione che, a partire del 1953, subisce una forte accelerazione in concomitanza con la realizzazione dell'invaso artificiale. A questa conclusione giungono Mazza e Mercalli (1991) che, basandosi su documentazione fotografica, cartografica e confrontando i risultati delle loro osservazioni dirette con quelli provenienti dal vicino ghiacciaio di Gries (Vallese, Svizzera), anch'esso con fronte immersa in un bacino artificiale, stabiliscono come l'arretramento del ghiacciaio sia stato condizionato dalla sommersione del ghiacciaio nelle acque del bacino artificiale del Sabbione.

Figura 33 - Stralcio della Carta Geologica del Gruppo del Sempione - anno 1898

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Foto 32 - Ghiacciaio dell'Hohsand - anno 1940

Foto: Pracchi

Come conseguenza della sommersione della zona frontale, negli anni immediatamente successivi, si verificarono continui distacchi degli estremi frontali (calving). Dal confronto con la documentazione fotografica e cartografica, per il periodo compreso tra il 1923 e il 1987, Mazza e Mercalli (1991) stimano un arretramento compreso tra i 1.440 m e 1.480; mentre la contrazione complessiva, tra il 1885 e il 1987, è pari a circa 1.600 m corrispondente al 37% circa della lunghezza iniziale. Gli autori evidenziano inoltre che il ghiacciaio, inteso come riserva idrica, ha subito una considerevole riduzione di volume, stimata attorno ai 50% di quello iniziale In conseguenza della fusione quasi totale dell'area glaciale precedentemente sommersa, che ha reso disponibili circa 18 milioni di m3 di acqua il bacino artificiale può essere passato da una capacità di 26 milioni di m3 iniziali ai circa 44 milioni raggiunti nella seconda metà degli anni 80.

76 Figura 34 - Ritiro dei Ghiacciai dell'Hohsand ricavato dal confronto di aerofotografie del 1954 e del 1983

Fonte: Mazza e Mercalli (1991)

Indagini glaciologiche sul Ghiacciaio del Sabbione – a cura del dr. Tamburini, Imageo S.r.l. Alla fine del mese di luglio 2011, nell’ambito di un corso di Indagini Glaciologiche organizzato da Imageo Srl di Torino e dalla Società Meteorologica Italiana di Bussoleno, con il patrocinio del Comitato Glaciologico Italiano e di Enel SpA, è stata effettuata una serie di indagini sul Ghiacciaio del Sabbione finalizzate ad acquisire nuovi dati sulla sua dinamica e consistenza volumetrica. In particolare sono stati effettuati: − rilievi con tecnica GPS (Global Positioning System) della superficie glaciale per ricostruirne la topografia; − rilievi con tecnica GPR (Ground Penetrating Radar) per misurare lo spessore del ghiaccio lungo una decina di profili trasversali al ghiacciaio. Sono state inoltre installate 4 paline ablatometriche per stabilire una serie di punti di misura dell’ablazione e dello spostamento superficiale del ghiacciaio, allo scopo di monitorarne la dinamica e integrare i dati disponibili sulle variazioni della posizione frontale del ghiacciaio, rilevati annualmente dal Comitato Glaciologico Italiano (operatore Paolo Valisa). Si tratta di una prima campagna di indagini che ha caratterizzato la porzione medio-bassa del ghiacciaio, che sarà estesa negli anni futuri a tutto il ghiacciaio.

Foto 33 - Un operatore si muove sulla superficie del Ghiacciaio del Sabbione con un ricevitore GPS, che consente il rilievo della traiettoria seguita con precisione centimetrica

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Le traiettorie seguite nel corso dei rilievi sono rappresentate in figura 7, assieme alle posizioni dei profili GPR ed all’andamento del limite della lingua glaciale a partire dal 1991, desunto da foto aeree. Nel corso dell’indagine è stata rilevata con tecnica GPS anche la posizione attuale della fronte glaciale.

Figura 35 - Andamento delle tracce GPS e dei profili GPR rilevati nel mese di luglio 2011

Tracce GPS (linee blu) e profili GPR (linee rosse). Le altre linee colorate rappresentano il limite della lingua glaciale desunto dall’esame delle foto aeree disponibili a partire dal 1991 (linea marrone). In verde chiaro la posizione attuale della fronte glaciale, rilevata il 29 luglio 2011.

A partire dai dati rilevati è stato costruito un modello digitale di elevazione (DEM) della porzione di superficie glaciale indagata con cui è stato possibile determinare le variazioni altimetriche della superficie glaciale nell’intervallo temporale 2000-2011. La mappa della distribuzione delle variazioni di spessore del ghiaccio nell’intervallo temporale considerato mostra perdite di spessore di ordine da metrico a decametrico, con valori massimi superiori a 30 metri nella zona frontale.

78 Figura 36 - Variazioni di quota della superficie glaciale nel settore investigato

Variazioni di quota della superficie glaciale, ottenute dalla sottrazione tra i modelli digitali di elevazione (DEM) della superficie glaciale, relativi rispettivamente al 2000 e al 2011. Nella zona frontale si osservano riduzioni di spessore superiori ai 30 metri.

I rilievi GPR consentono di determinare lo spessore glaciale, di definire la morfologia del letto glaciale e di individuare le discontinuità presenti nel ghiaccio (crepacci, cavità).

Foto 34 - Rilievi GPR per la misura dello spessore del ghiaccio

Il primo operatore porta l’unità di acquisizione radar mentre l’ultimo trascina l’antenna a contatto con il ghiaccio. Quest’ultimo porta anche un ricevitore GPS che consente di posizionare in continuo l’antenna e quindi attribuire ad ogni misura di spessore del ghiaccio le coordinate e la quota del punto in cui la misura è stata effettuata.

Nella parte medio-alta del ghiacciaio sono stati riscontrati spessori massimi dell’ordine della sessantina di metri. Con le paline ablatometriche è stata misurata una perdita di ghiaccio complessiva variabile tra 199 cm (Palina 4) e 252 cm (Palina 1), corrispondenti ad un tasso di ablazione media variabile tra 4.1 e 5.3 cm/giorno.

Ambiente periglaciale, processi criotici e permafrost nell’area del lago del Sabbione

79 Foto 35 - L’area del rock-glacier e dei lobi di geliflusso presso il rifugio Mores

I dati sull’ambiente periglaciale dell’area del Lago del Sabbione derivano dalle attività condotte nell’ambito sia del progetto PermaNet, sia del servizio istituzionale di Arpa Piemonte sul monitoraggio del permafrost. Arpa Piemonte ha avviato negli ultimi anni un’indagine con l’obiettivo di migliorare le conoscenze sulle caratteristiche e sulla distribuzione del permafrost nelle Alpi piemontesi, fino a poco tempo fa del tutto frammentarie e lacunose. Il permafrost (contrazione dei termini inglesi permanently frozen ground) si definisce come il terreno o la roccia che rimane al di sotto della temperatura di 0 °C per più di due anni consecutivi. Il materiale può essere secco o può contenere acqua allo stato liquido, anche se le temperature sono < 0 °C (ad es. a causa di sali disciolti o di falde in pressione che abbassano la temperatura di congelamento).Gli ambienti con permafrost sono tra quelli in cui gli effetti del riscaldamento globale si manifestano probabilmente in modo più intenso. Tali alterazioni producono significativi impatti sia sugli equilibri naturali (ad es. modificazioni nel ciclo del carbonio e nel ciclo dell’acqua), sia sulle attività umane in ambiente montano (instabilità dei versanti con danni alle infrastrutture, perturbazione dei circuiti idrogeologici, ecc.). Il permafrost è considerato quindi un indicatore privilegiato del cambiamento climatico: la conoscenza della sua distribuzione e delle sue caratteristiche costituisce la base di un programma di monitoraggio sia per valutarne l’evoluzione, sia per la conoscenza del cambiamento climatico e dei suoi effetti a livello locale. Nel bacino del Lago del Sabbione le aree glacializzate, riferibili principalmente agli apparati del ghiacciai del Sabbione, dei Camosci e del Blindenhorn, sono piuttosto estese, benché negli ultimi anni si sia assistito ad una loro importante riduzione (vedi paragrafo relativo all’evoluzione del Ghiacciaio del Sabbione). Nelle aree con copertura glaciale di tipo temperato, normalmente il permafrost non è presente. Infatti, in questo tipo di ghiacciai, la base presenta una temperatura superiore agli 0°C e vi è circolazione di acqua allo stato liquido; questi due fattori consentono peraltro lo scorrimento della lingua glaciale e il suo avanzamento verso valle, inficiando tuttavia la formazione di condizioni di permafrost. La presenza di ghiacciai sospesi o altri tipi di ghiacciai a base fredda è, invece, indicatore della potenziale presenza di permafrost, situazione che si

80 verifica in corrispondenza della P.ta del Sabbione (Hohsandhorn), del Passo di Blinden e del Corno Cieco (Blindenhorn). Dalla carta della criosfera, nell’area di interesse (Figura 37) si può osservare come il permafrost di tipo “possibile” e/o “probabile” (in base al modello empirico) sia distribuito prevalentemente lungo i settori di cresta, circostanti anche le aree glacializzate, a quote superiori i 2200 m ed è assente sui versanti esposti a S e a SE. Il permafrost di tipo “relitto” fa riferimento ad una situazione climatica del passato in cui le temperature mediamente inferiori rispetto alle attuali hanno consentito la formazione di condizioni di permafrost a quote fino a 1700 m sui versanti nord, permafrost oggi fortemente in disequilibrio ed in rapida degradazione (qualora ancora presente).

Figura 37 - Carta della criosfera dell’area del Lago del Sabbione

Un’area particolarmente interessante dal punto di vista periglaciale nella quale si sono concentrate al momento alcune attività di approfondimento è quella costituita dal versante settentrionale del Corno di Ban (quota 3027 m, Figura 38).

Figura 38 - Dettaglio della Carta della criosfera dell’area del versante settentrionale del Corno di Ban

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Il settore è caratterizzato da un terrazzo che si raccorda a monte con un versante più acclive ricoperto di detriti provenienti dalle soprastanti pareti rocciose di Punta della Sabbia e del Corno di Ban. Sulla superficie terrazzata poco acclive è presente un sottile livello detritico in parte pedogenizzato soggetto a locali processi di geli-soliflusso. Sul margine orientale della superficie terrazzata è stato anche rilevato un rock glacier di tipo attivo. Il rock glacier è una tipica forma dell’ambiente periglaciale, in questo caso costituito da una lingua detritica, rigonfia nella parte frontale a testimoniare la presenza di ghiaccio interstiziale al suo interno, che ne condiziona anche il lento movimento verso valle (Foto 36).

Foto 36 - Rock glacier attivo del “Corno di Ban” ripreso di profilo laterale verso est

Gli approfondimenti effettuati riguardano sia l’analisi della pedofauna e della vegetazione che l’esecuzione di rilievi BTS di temperatura che consentono di individuare e cartografare preliminarmente la presenza di permafrost e/o di ghiaccio sepolto. Il metodo si basa sul principio che la temperatura alla base del manto nevoso, alla fine della stagione invernale, corrisponde alla quantità di calore immagazzinata dal terreno durante l’estate ed al flusso di calore terrestre dell’area. In letteratura i valori di temperature ≤ -3° C indicano un’alta probabilità della presenza di permafrost e/o di ghiaccio sepolto, mentre i valori compresi tra -1,7 e -3° C suggeriscono una sua possibile presenza. La metodologia consiste nel rilevare la temperatura del suolo al di sotto di una coltre di neve di potenza superiore a 100 cm nel raggio di 10 m, al termine dell’inverno ma prima che la fusione del manto nevoso abbia inizio. Nella figura 1 si può osservare come la distribuzione delle temperature rilevate a fine marzo del 2011 delimitino con precisione il contesto del rock glacier attribuendo una elevata probabilità di presenza di condizioni di permafrost, mentre i settori circostanti, in contrapposizione con il modello empirico, ne risultano privi. Il proseguimento degli studi in questa area consentirà di definire meglio la distribuzione del permafrost e le sue implicazioni con gli ecosistemi e con il contesto glaciale e climatico locale.

Rilievi floristici ed individuazione di flora e di habitat di interesse conservazionistico

Foto 37 Sentiero che conduce dalla diga del Sabbione al rifugio Claudio e Bruno

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Figura 39 - Collocazione dei rilievi floristici effettuati in aree di vegetazione omogenea

Nel territorio limitrofo del ghiacciaio dell'Hohsand settentrionale, sulle pendici del Blinnenhorn, lungo il sentiero che sulla sponda sinistra del lago Sabbione conduce al rifugio Claudio e Bruno si è svolta un’'attività di campionamento della flora e degli ambienti (Tabella 26), che ha portato alla realizzazione di 21 rilievi floristici, eseguiti nel contesto periglaciale da una quota di 2.530 m sino a 3.025 m.

Tabella 26 - Ambienti rilevati con parametri stazionali (quota, esposizione, iclinazione)

RILIEVO AMBIENTE QUOTA ESP. INCL. 1 Detriti alpini e subalpini, calcarei 2533 SSE 30

83 2 Detriti alpini e subalpini, di calcescisti 2680 WSW 30 3 Praterie alpine neutro-basifile a Elyna myosuroides (e Carex 2.755-2770 S 40 curvula ssp. rosae) 4 Praterie alpine neutro-basifile a Elyna myosuroides (e Carex 2830 S 30 curvula ssp. rosae) 5 Praterie alpine neutro-basifile a Elyna myosuroides 3025 S 30 6 Detriti alpini e subalpini, di calcescisti 2945 SE 25 7 Vallette nivali, alpine, acidofile 2740 E 5 8 Praterie alpine e subalpine acidofile a Carex curvula 2765 SSW 25 9 Detriti alpini e subalpini, di calcescisti 2770 SSE 35 10 Praterie alpine neutro-basifile a Elyna myosuroides (e Carex 2820 SSE 30 curvula ssp. rosae) 11 Detriti alpini e subalpini, di calcescisti 2910 S 40 12 Praterie alpine neutro-basifile a Elyna myosuroides (e Carex 2870 S 35 curvula ssp. rosae) 13 Praterie alpine neutro-basifile a Elyna myosuroides (e Carex 2850 S 30 curvula ssp. rosae) 14 Vallette nivali, alpine, acidofile 2770 WSW 5 15 Vallette nivali, alpine, acidofile 2685 E 10 16 Vallette nivali, alpine, neutro-basifilei 2665 E 5 17 Sorgenti e sponde dei ruscelli 2635 ESE 5 18 Praterie alpine e subalpine acidofile a Carex curvula 2615 SSE 20 19 Praterie alpine e subalpine neutro-basifile a Carex feruginea 2545-2556 SE 40 20 Praterie alpine e subalpine calcifile a Dryas octopetala 2465 SE 20 21 Praterie alpine e subalpine calcifile a Sesleria varia 2430 NNE 10

Delle 152 specie osservate nell’area periglaciale dell’Hohsand in tabella 2 sono riportate 20 specie rientranti in qualche categoria di tutela o di rilevante importanza fitogeografica. Di questo contingente, 2 (Hutchinsia brevicaulis, Saxifraga biflora) risultano inserite nelle liste rosse regionali redatte da CONTI (1997) con status di vulnerabilità LR; per Arabis pumila ssp. pumila lo status di vulnerabilità è VU, mentre Leontopodium alpinum presenta il medesimo stato di vulnerabilità solo a livello nazionale. Le piante protette in Piemonte secondo le disposizioni della Legge Regionale del 2 novembre 1982 n. 32 sono 15 (Anemone baldensis, Pulsatilla vernalis, Ranunculus alpestris, Saxifraga oppositifolia, Saxifraga biflora, Primula farinosa, Androsace obtusifolia, Androsace alpina, Gentiana brachyphylla, Gentiana bavarica, Gentiana schleicheri, Gentianella tenella, Eritrichium nanum, Aster alpinus, Saussurea discolor); Coeloglossum viride è inserito nell’allegato C della Convenzione di Washington (CITES). Artemisia genipi è infine inclusa nell’allegato V della Direttiva 92/43/CE. Completano il quadro delle specie di interesse fitogeografico osservate nell’area periglaciale del’Hohsand e, in generale, nella Valle dei Sabbioni, molti altri taxa poco diffusi o frequenti nel territorio provinciale e regionale: Aquilegia alpina, Arnica montana, Arabis bellidifolia ssp. Stellulata, Astragalus frigidus, Artemisia campestris ssp. Alpina, Caltha palustris, Campanula cenisia, Carex bicolor, C. capillaris, C. firma, C. lachenalii, C. microglochin, C. ornithopodioides, Chamorchis alpina, Gentiana ciliata, G. clusii, Juncus

84 triglumis, Leontodon montanus, Mohringia ciliata, Saponaria lutea, Saxifraga caesia, Tofieldia pusilla, Viola pinnata e molte altre specie calcifile.

Tabella 27 - Specie rilevante interesse conservazionistico

LR Codice LR IT. L.R. Nome scientifico CITES Habitat Piemonte FI 1982 1997 32/82 1997 714 Anemone baldensis X 721 Pulsatilla vernalis X 791 Ranunculus alpestris X 1033 Arabis pumila ssp. pumila VU 1097 Hutchinsia brevicaulis LR 1301 Saxifraga oppositifolia X 1305 Saxifraga biflora LR X 2658 Primula farinosa X 2682 Androsace obtusifolia X 2683 Androsace alpina X 2813 Gentiana brachyphylla X 2815 Gentiana bavarica X 2819 Gentiana schleicheri X 2823 Gentianella tenella X 3056 Eritrichium nanum X 3813 Aster alpinus X 3859 Leontopodium alpinum VU 4022 Artemisia genipi V 4183 Saussurea discolor X 5576 Coeloglossum viride B

LEGENDA • Colonna 1, “Codice FI 1982”: numerazione progressiva utilizzata nella Flora d’Italia (PIGNATTI, 1982);

• Colonna 2, “Nome scientifico”: binomio scientifico aggiornato secondo la Flora Alpina (AESCHIMAN et al.,

2004). Nella maggior parte dei casi corrisponde al binomio adottato dalla Flora d’Italia (PIGNATTI, 1982); nel caso di cambiamenti numenclaturali tra parentesi è riportato il corrispondente nome scientifico

secondo PIGNATTI (1982); • Colonna 3, “Habitat”: allegati II e V della direttiva "Habitat" 92/43/CE, rispettivamente denominati: “Specie animali e vegetali di interesse comunitario la cui conservazione richiede la designazione di Zone Speciali di Conservazione (Z.S.C.)” e “Specie animali e vegetali di interesse comunitario il cui prelievo nella natura e il cui sfruttamento potrebbero formare oggetto di misure di gestione” aggiornati con la Direttiva 97/62/CE del Consiglio del 27 ottobre 1997. NOTA: il simbolo II riportato in questa colonna si riferisce all’allegato II, mentre con il simbolo V, si identificano le specie appartenenti all’allegato V; • Colonna 4, “CITES”: piante inserite negli allegati (A, B, D) della Convenzione di Washington conosciuta come la Convenzione “Sul commercio internazionale delle specie di flora e fauna selvatiche minacciate

85 di estinzione” (C.I.T.E.S.: Convention on International Trade in Endangered Species of Wild Fauna and Flora), Washington 30 aprile 1973; • Colonna 5, "LR IT. 1997": status di vulnerabilità (IUCN, 1994) a livello nazionale come riportato

nell’aggiornamento della Lista Rossa Nazionale (CONTI et al., 1997). Le categorie IUCN (Unione Internazionale per la Conservazione della Natura) sono di seguito elencate: EX estinta EW estinta in natura CR gravemente minacciata EN minacciata VU vulnerabile

• Colonna 6, "LR Piem.": specie inserite nell’elenco delle Liste Rosse Regionale di CONTI et al. (1997) per la Regione Piemonte; • Colonna 7, “L.R. 32/82”: piante protette in Piemonte secondo le disposizioni della Legge Regionale 2 novembre 1982, n. 32 “Norme per la conservazione del patrimonio naturale e dell’assetto ambientale”.

Rilievo degli habitat L’Unione Europea, con la Direttiva 92/43/CE del 21 maggio 1992, “Conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche” ratificata dall’Italia con il D.P.R. del 8 settembre 1997 n. 357, a oltre a tutelare le specie animali e vegetali, sancisce contemporaneamente la protezione degli habitat in cui tali specie vivono.

Le conoscenze relative alla presenza e alla distribuzione degli habitat in cui vivono le specie flambienti di interesse comunitario sono il risultato delle osservazioni, supportate da rilievi floristici, condotte durante i sopralluoghi nell'area investigata.

Grazie alle osservazioni condotte è stato possibile individuare la presenza di 11 tipologie ambientali, riconducibili a 5 codifiche di habitat definiti dalla Direttiva 92/43/CE. Tale aspetto appare alquanto rilevante, poiché permette di evidenziare un eccellente livello di biodiversità all’interno dell'area investigata. Tra le cenosi osservate particolare interesse l’evidenza al Piano dei Camosci di specie appartenenti all’habitat 7240 considerato prioritario dalla Direttiva 92/43/C “Formazioni pioniere alpine del Caricion bicoloris- atrofuscae corrispondente alla bassa vegetazione composta principalmente da specie artico-alpine del genere Carex e Juncus.

Il numero degli habitat potrebbe sensibilmente aumentare se si effettueranno ulteriori indagini. In particolare, per meglio caratterizzare le cenosi osservate al Piano dei Camosci appartenenti all’habitat 7240 del Caricion bicoloris-atrofuscae”,

Di seguito si riporta l'elenco degli ambienti, con i relativi codici degli habitat secondo Corine Biotopes e Rete Natura 2000, dell'area periglaciale dell'Hohsand e degli habitat campionati al Piano dei Camosci e nei pressi del rifugio Mores

PRATERIE E COMUNITA' ERBACEE PIONIERE

86 1.1 PRATERIE ALPINE E SUBALPINE

1.1.1 Vallette nivali subalpine e alpine, acidofile (36.110000) [6150] {1}

1.1.2 Vallette nivali subalpine e alpine, neutro-basifile (36.120000) [6170] {2}

1.1.3 Praterie subalpine e alpine, acidofile (36.300000) [6150] {3}

1.1.4 Praterie subalpine e alpine, neutro-basifile (36.400000) [6170] {4}

1.2. COMUNITÀ ERBACEE DELLE TORBIERE E PALUDI

1.2.1 Comunità erbacee delle sorgenti (54.100000) {5}

1.2.2 Comunità erbacee igrofile, artico-alpine, su substrati

poveri, neutro-basici (54.300000) [7240*]{6}

1.3 DETRITI

1.3.1 Detriti alpini e subalpini, calcifili (61.200000) [8120] {7}

1.4 ROCCE E RUPI

1.4.1 Rocce e rupi, continentali, calcaree (62.100000) [8210] {8}

1.4.2 Rocce e rupi, calcaree, continentali, delle alte quote,

colonizzate solo da licheni (62.410000) {9}

1.4.3 Nevai (63.100000) {10}

1.4.4 Ghiacciai (63.300000) [8340] {11}

Di seguito è indicato l’elenco degli habitat rilevati nel vallone del Sabbione, seguendo le codifiche della Direttiva Habitat. (l’Unione Europea, con la Direttiva 92/43/CE del 21 maggio 1992, “Conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche” ratificata dall’Italia con il D.P.R. del 8 settembre 1997 n. 357, a oltre a tutelare le specie animali e vegetali, sancisce contemporaneamente la protezione degli habitat in cui tali specie vivono. In particolare, gli habitat sono individuati sulla base della descrizione fornita dal Manuale per l’interpretazione degli habitat dell’Unione Europea “Interpretation Manual of European Union Habitats (EUR 15/10) ”

6. FORMAZIONI ERBOSE NATURALI E SEMINATURALI 61. Formazioni erbose naturali 6150 Formazioni erbose boreo-alpine silicee (Siliceous alpine and boreal grasslands) 6170 Formazioni erbose calcicole alpine e subalpine (Alpine and subalpine calcareous grasslands) 7. TORBIERE ALTE, TORBIERE BASSE E PALUDI BASSE 72. Paludi basse calcaree 7240 * Formazioni pioniere alpine del Caricion bicoloris-atrofuscae (* Alpine pioneer formations of the Caricion bicoloris-atrofuscae) 8. HABITAT ROCCIOSI E GROTTE

87 81. Ghiaioni 8110 Ghiaioni silicei dei piani montano fino a nivale (Androsacetalia alpinae e Galeopsietalia ladani) (Siliceous scree of the montane to snow levels (Androsacetalia alpinae and Galeopsietalia ladani)) 8120 Ghiaioni calcarei e scistocalcarei montani e alpini (Thlaspietea rotundifolii) (Calcareous and calcshist screes of the montane to alpine levels (Thlaspietea rotundifolii)) 82. Pareti rocciose con vegetazione casmofitica 8210 Pareti rocciose calcaree con vegetazione casmofitica (Calcareous rocky slopes with chasmophytic vegetation) 83. Altri habitat rocciosi 8340 Ghiacciai permanenti (Permanent glaciers)

Descrizione degli Habitat Nei paragrafi successivi è indicata la descrizione degli habitat, con accenni ai riferimenti fitosociologici, la composizione floristica dei rilievi effettuati, la distribuzione nell’area investigata degli ambienti, accenni sulle loro tendenze dinamiche e deventuali minacce. 6150 Formazioni erbose boreo-alpine silicee (Siliceous alpine and boreal grasslands) Nell’area investigata a partire da quote di circa 2100 m s.l.m., sono presenti ampie superfici occupate dai pascoli naturali d’alta quota. Questi consorzi erbacei dominano l’orizzonte alpino e nivale. Adiacenti all’habitat dei pascoli d’altitudine, si osservano le vegetazioni più tipiche della fascia nivale corrispondente ai popolamenti pionieri dei ghiaioni a calcescisti ma con presenza anche di specie acidofile, i pascoli a Sesleria, e infine, nelle aree a prolungato innevamento, le comunità di valletta nivale.

Ad elevate altitudini (dai 2400 fino ai 3000 m s.l.m.), l’associazione meglio adattata alle difficili condizioni presenti è il curvuleto (Caricetum curvulae Rübel 1911), ovvero una fitocenosi caratterizzata da Carex curvula, una ciperacea a ridotta esigenza termica, facilmente riconoscibile per le foglie incurvate che ingialliscono precocemente. Il curvuleto è tipicamente pioniero e nel contempo rappresenta la vegetazione più stabile dell’orizzonte alpino, vale a dire che corrisponde, in questo clima di altitudine, a una condizione finale del suolo e della vegetazione (Giacomini & Pignatti, 1955). In prossimità di conche e depressioni, dove si ha un accumulo di neve prolungato, si afferma la vegetazione di valletta nivale. Sul terreno acificato compaiono elementi riconducibili al Salicetum herbaceae Br.-Bl. 1913, tipico delle alte montagne dell’Europa media e del nord; la sua vegetazione viene sottoposta ad un prolungato periodo di innevamento (da otto a dieci mesi all’anno); è composto da briofite e da cespugli nani contorti, dominato dalla specie acidofila Salix herbacea. Nell’area esaminata si osservano situazioni più complesse caratterizzate dalla presenza di un consorzio di salici nani a tendenza basitofitica (Salix retusa e Salix reticulata), frequentemente accompagnati dalla crucifera Arabis coerulea. Queste ultime rientrerebbero nella codifica 6170.

In corrispondenza delle cenosi prative orofile sono stati effettuati due rilievi che mostrano elementi riconducibili al curvuleto; di questi il più rappresentativo è collocato a quota 2615 metri, esposto a SSE e a debole pendenza. Di seguito sono elencate le specie censite; in grassetto sono evidenziate le specie caratteristiche del Caricion curvulae, mentre con la sottolineatura sono riportate le specie che compaiono

88 frequentemente nei curvuleti: Agrostis alpina, Alchemilla coriacea, Androsace obtusifolia, Anthoxanthum alpinum, Aster alpinus, Avenula versicolor, Botrychium lunaria, Campanula barbata, Campanula scheuchzeri, Cardamine resedifolia, Carex curvula, Carex sempervirens, Cerastium arvense ssp. arvense, Euphrasia minima, Festuca halleri, Festuca rubra, Galium anisophyllum, Gentiana brachyphylla, Gentianella ramosa, Geum montanum, Juncus jacquinii, Juncus trifidus, Leontodon helveticus, Leucanthemopsis alpina, Lotus alpinus, Luzula lutea, Luzula spicata, Minuartia sedoides, Pedicularis kerneri, Pedicularis tuberosa, Phyteuma hemisphaericum, Potentilla aurea, Pulsatilla alpina ssp. apiifolia, Ranunculus montanus, Sempervivum montanum, Senecio doronicum, Senecio incanus, Trifolium alpinum, Veronica bellidioides, Viola calcarata.

Nelle vallette nivali su substrato acidificato sono stati effettuati 2 rilievi; complessivamente sono state osservate 53 specie, molte delle quali provenienti dagli ambienti limitrofi; in grassetto sono evidenziate le specie caratteristiche del Salicion herbaceae, mentre con la sottolineatura sono riportate le specie che compaiono frequentemente nelle vallette nivali acidofile: Achillea nana, Agrostis rupestris, Alchemilla pentaphyllea, Androsace alpina, Arabis caerulea, Arenaria ciliata, Cardamine bellidifolia ssp. alpina, Carex foetida, Carex parviflora, Carex rosae, Cerastium cerastioides, Draba aizoides, Euphrasia minima, Festuca halleri, Festuca violacea, Geum montanum, Gnaphalium supinum, Hutchinsia brevicaulis, Juncus jacquinii, Leontodon helveticus, Leucanthemopsis alpina, Luzula spicata, Minuartia sedoides, Minuartia verna, Myosotis alpestris, Pedicularis kerneri, Phyteuma globulariifolium ssp. pedemontanum, Poa alpina, Potentilla aurea, Salix herbacea, Saxifraga androsacea, Saxifraga exarata, Saxifraga oppositifolia, Sedum alpestre, Sedum atratum, Senecio incanus, Sibbaldia procumbens, Silene acaulis ssp. longiscapa, Taraxacum alpestre, Veronica alpina.

6170 Formazioni erbose calcicole alpine e subalpine (Alpine and subalpine calcareous grasslands). Le formazioni erbose calcicole si originano dalla vegetazione pioniera dei detriti di falda di rocce carbonatiche. Si tratta di una vegetazione in gran parte durevole, con cambiamenti dinamici ridotti a regressioni o a ricostruzioni determinati dall’azione erosiva di eventi meteorici (Casale et al., 2008). In corrispondenza dei versanti esposti alle intemperie, in cui sono in fase di evoluzione le praterie calcifile, da una quota di 2750 a 3025, sono stati eseguiti 6 rilievi floristici. Ad eccezione di un rilievo, che presenta una situazione più tipica dell'elineto, le altre 5 stazioni, anch'esse riconducibili all'alleanza dell'Oxytropo- Elynion, sono maggiormente fisionomizzate da Carex curvula ssp. rosae (Carex rosae), la sottospecie vicariante dei substrati basici. In tre rilievi si inseriscono specie del Caricion curvulae che conferiscono un aspetto evoluto della prateria basifila, verso una condizione di maggior acidificazione. In Piemonte esempi di questo tipo si possono osservare nelle Alpi Graie e Cozie (Mondino et al., 2007). A testimonianza di questo progressivo passaggio, si osserva una maggior copertura di Festuca halleri, Juncus jacquinii, Leontodon helveticus, Phyteuma globulariifolium ssp. pedemontanum, Pulsatilla vernalis, Potentilla frigida, Silene acaulis ssp. exscapa e Veronica bellidioides. In altri due rilievi sono invece le specie del Seslerion caeruleae (Aster alpinus, Campanula scheuchzeri, Festuca quadriflora, Gentiana verna, Minuartia verna, Leontopodium alpinum, Polygala alpestris, Scabiosa lucida e Sesleria varia) a predominare nella stazione. Le specie caratteristiche dell'Oxytropo-Elynion sono indicate in grassetto, mentre con la sottolineatura sono riportate le specie che compaiono frequentemente negli elineti: Achillea nana, Agrostis alpina, Alchemilla

89 coriacea, Anemone baldensis, Antennaria carpathica, Arenaria ciliata, Aster alpinus, Bartsia alpina, Botrychium lunaria, Campanula cenisia, Campanula scheuchzeri, Carex parviflora, Carex curvula ssp. rosae, Cirsium spinosissimum, Draba aizoides, Elyna myosuroides, Erigeron uniflorus, Eritrichium nanum, Euphrasia minima, Festuca halleri, Festuca quadriflora, Festuca violacea, Galium anisophyllum, Gentiana brachyphylla, Gentiana nivalis, Gentiana schleicheri, Gentiana verna, Gentianella ramosa, Geum montanum, Herniaria alpina, Hieracium piliferum, Juncus jacquinii, Juncus trifidus, Leontodon helveticus, Leontopodium alpinum, Leucanthemopsis alpina, Ligusticum mutellina, Ligusticum mutellinoides, Luzula spicata, Minuartia sedoides, Minuartia verna, Myosotis alpestris, Oxytropis campestris, Pedicularis kerneri, Phyteuma globulariifolium ssp. pedemontanum, Phyteuma hemisphaericum, Poa alpina, Polygala alpestris, Polygonum viviparum, Potentilla frigida, Pulsatilla vernalis, Salix serpyllifolia, Saxifraga bryoides, Saxifraga exarata, Saxifraga moschata, Saxifraga oppositifolia, Scabiosa lucida, Sedum atratum, Sempervivum arachnoideum, Sempervivum montanum, Senecio doronicum, Senecio incanus, Sesleria varia, Sibbaldia procumbens, Silene acaulis ssp. exscapa, Silene acaulis ssp. longiscapa, Thymus polytrichus, Trisetum distichophyllum, Veronica bellidioides e Veronica fruticans. A quota 2545, in corrispondenza di un impluvio è stata campionata una comunità del Caricion ferruginaea in cui sono state rilevate 36 specie. Fitosociologicamente rientrano in questo habitat le cenosi dei prati freschi su suolo calcareo a Carex ferruginea dell’ordine Seslerietalia caeruleae, alleanza del Caricion ferrugineae, mentre all'alleanza del Seslerion caeruleae appartengono le praterie a Sesleria varia , i cariceti a Carex firma e le comunità a zolle aperte con Dryas octopetala, le comunità basifile a prolungato innevamento dell’ordine Arabidetalia coeruleae, le praterie alpine neutro basifile, dell’alleanza Oxytropido-Elynion Braun-Blanquet 1949, delle cime e delle creste ventose ad Elyna myosuroides (Casale et al. 2008). I seslerieti, localizzati nelle aree con substrato a chimismo basico, si insediano in corrispondenza di pendii scoscesi, spesso rotti o gradonati, meglio se ben esposti al sole, dove la persistenza nevosa è piuttosto breve (Ozenda, 1985; Lasen et al., 1986). Sesleria varia si inserisce come specie pioniera nei ghiaioni, formando zolle dense e compatte; nel seslerieto completamente sviluppato permane come specie dominante, (Pignatti & Pignatti, 1983). La vegetazione pioniera a Dryas octopetala, si trova spesso a contatto con il firmeto, costituito da poche specie che si accompagnano a Carex firma; rispetto al seslerieto sopporta condizioni ambientali più rigide ed occupa stazioni rocciose a debole pendenza, esposte al gelo e al vento (Ozenda, 1985; Lasen et al., 1986; Reisigl & Keller, 1990).

7240* Formazioni pioniere alpine del Caricion bicoloris-atrofuscae (Alpine pioneer formations of Caricion bicoloris-atrofuscae)

Nelle vicinanze del ghiacciaio settentrionale dei Sabbioni non si riscontra la presenza dell'habitat. Tuttavia, al Piano dei Camosci è stato effettuato un rilievo, di cui si riporta di seguito l'elenco floristico, in corrispondenza di una porzione alluvionale semipianeggiante in cui si sviluppa un mosaico di cenosi che include, tra l'altro, alcune specie che gravitano nel Caricion bicoloris-atrofuscae (evidenziate in grassetto): Carex bicolor, Carex lachenalii, Carex parviflora, Carex capillaris, Carex frigida, Carex foetida, Carex fusca, Eriophorum scheuchzeri, Eriophorum angustifolium, Juncus triglumis, Juncus jacquinii, Agrostis stolonifera, Ranunculus alpestris, Equisetum variegatum, Saxifraga aizoides, Saxifraga stellaris, Deschampsia

90 caespitosa, Arabis soyeri, Arabis caerulea, Soldanella alpina, Poa minor, Veronica alpina, Gentiana bavarica, Agrostis rupestris, Sagina saginoides, Crepis aurea, Luzula alpino-pilosa, Polygonum viviparum. Nella guida al riconoscimento degli habitat della regione Piemonte (Sindaco et al., 2003) l’habitat viene indicato come: “vegetazione dei torrenti alpini e glaciali colonizzante depositi da ciottolosi a sabbiosi e a volte argillosi neutri o debolmente acidi, intrisi da acque fredde, localizzate su morene o vicino a sorgenti, rivoli o torrenti glaciali, oppure su sabbie alluvionali di acque pulite e fredde di fiumi a debole scorrimento, o ancora in corrispondenza di acque calme ai loro bordi”. L'ambiente appare costituito da una bassa vegetazione composta principalmente da specie del genere Carex e Juncus, appartenenti all'alleanza Caricion bicoloris-atrofuscae Nordhagen 1937. In alcune situazioni l'habitat può risultare frammisto con le comunità della torbiere alcaline del Caricion davallianae Klika 1934 o con comunità di sorgenti e vallette nivali. In Italia le cenosi del Caricion bicoloris-atrofuscae si localizzano solo sulle Alpi a quote superiori i 1600 m dato che le specie edificanti sono principalmente stenotermiche fredde a distribuzione artico-alpina (Bressoud, 1989; Delarze & Gonseth, 2008). Le acque sono caratterizzate da un pH leggermente superiore alla neutralità (Bressoud, 1989). Si tratta di un ambiente ad elevato valore biologico poiché ospita numerose specie relitte postglaciali di grande interesse biogeografico (Delarze & Gonseth, 2008). Nel contesto della Val Formazza, oltre al Piano dei Camosci, sono note altre cenosi che potrebbero potenzialmente rientrare nella comunità del Caricion bicoloris-atrofuscae al Lago Castel e all'Alpe Bättelmatt. Pur essendo comunità stabili per i fattori ambientali estremi (Casale et al., 2008). Le cenosi del Caricion bicoloris-atrofuscae essendo rilegate a pochi rifugi d'alta quota, sono estremamente vulnerabili ad ogni modifica che possa determinare una variazione della qualità delle acque e del tenore di elementi nutritivi. A causa dell'isolamento della cenosi, in caso di perturbazione, la ricolonizzazione del Caricion bicoloris-atrofuscae, sarebbe piuttosto remota. Andrebbe quindi evitata ogni modifica del regime idrico come l’abbassamento del livello delle acque e della falda (es. realizzazione di canali di drenaggio, captazioni d’acqua o aree sigillate finalizzate a favorire il deflusso concentrato delle acque) o l'immersione dell'area a fini idroelettrici.

Foto 38 - Pian dei Camosci, dove è stato ritrovato l’habitat del Caricion bicoloris-atrofuscae

91 Foto 39 - Carex bicolor

8120 Ghiaioni calcarei e scisto-calcarei montani e alpini (Thlaspietea rotundifolii) Gli ambienti appartenenti a questa codifica sono caratterizzati dalla dominanza di ghiaioni e clasti, derivanti dalla frantumazione delle rocce a reazione basica, a seguito di fenomeni di crioclastismo. La vegetazione discontinua si afferma progressivamente sui detriti di falda ancora mobili o in fase di consolidazione. Nel territorio esaminato le aree liberate dopo il ritiro del ghiacciaio sono state colonizzate da una vegetazione alquanto eterogenea. In particolare, le falde detritiche di calcescisti a forte pendenza del Corno Cieco, colonizzate da comunità erbacee pioniere perenni, sono ascrivibili all'alleanza del Drabion hoppeanae Zollitsch in Merxmüller & Zollitsch 1967. Mentre in corrispondenza delle morene umide si possono osservare elementi dell’Epilobium fleischeri G. Br.-Bl. ex Br.-Bl. 1949, una formazione erbacea o suffrutescente aperta e discontinua di piante pioniere, colonizzante di norma alvei di fiumi o torrenti del piano alpino su terreni alluvionali prevalentemente ghiaiosi-sabbiosi, umidi con falda idrica elevata (SINDACO et al., 2003). Non mancano tuttavia, in superfici semipianeggianti o avvallamenti, consorzi discontinui in cui compaiono specie acidofile riconducibili alla vegetazione delle pietraie degli orizzonti nivale ed alpino dell'alleanza Androsacion alpinae Br.-Bl. in Br.-Bl. & Jenny 1926. Tra queste l’Androsacetum alpinae Br.-Bl. 1918, è l’associazione pioniera per eccellenza, composta da poche specie, generalmente vegetanti in individui isolati, nascosti tra le pietre e spesso assai distanti fra loro. I quattro rilievi floristici effettuati in corrispondenza delle falde detritiche hanno permesso di osservare complessivamente 54 specie, delle seguenti quelle evidenziate ingrassetto hanno una frequenza maggiore del 75%, mentre quelle sottolineate sono le specie caratteristiche del Drabion hoppeanae: Achillea nana, Arabis caerulea, Artemisia genipi, Artemisia umbelliformis, Campanula cenisia, Campanula cochleariifolia, Cirsium spinosissimum, Draba hoppeana, Erigeron uniflorus, Euphrasia minima, Festuca violacea, Gentiana schleicheri, Herniaria alpina, Hutchinsia brevicaulis, Linaria alpina, Minuartia verna, Myosotis alpestris, Oxytropis campestris, Pedicularis kerneri, Poa minor, Saxifraga biflora, Saxifraga oppositifolia, Sedum atratum, Senecio incanus, Silene acaulis ssp. exscapa, Silene acaulis ssp. longiscapa, Trisetum distichophyllum, Veronica fruticans. In corrispondenza delle morene in prossimità del ghiacciaio alla quota di 2530 metri, è stato effettuato un rilievo in cui compaiono le seguenti specie: Cystopteris fragilis, Draba dubia, Epilobium fleischeri, Erigeron alpinus, Euphrasia minima, Festuca quadriflora, Gentianella tenella, Gypsophila repens, Herniaria alpina,

92 Hieracium pilosella, Hutchinsia brevicaulis, Minuartia verna, Myosotis alpestris, Poa laxa, Polystichum lonchitis, Salix helvetica, Salix retusa, Saxifraga aizoides, Saxifraga biflora, Saxifraga oppositifolia, Senecio doronicum, Senecio incanus, Sesleria varia, Sibbaldia procumbens, Thymus polytrichus, Trisetum distichophyllum.

Le estese falde detritiche presenti sulle pendici del Corno Cieco, si accumulano alla base delle irte e scoscese vette dell’area. L’azione dei ghiacciai è l’elemento predominante che si manifesta con un’azione erosiva e di accumulo di enormi quantitativi di materiale detritici dalle più svariate dimensioni e fattezze. Attualmente i processi responsabili del modellamento sono inquadrabili nei fenomeni periglaciali, torrentizi e di ruscellamento superficiale, pur mantenendosi un’azione molto incisiva legata al ghiacciaio. Alle forme di erosione seguono le forme di accumulo; se le prime provengono dall’asportazione di materiali da parte di agenti diversi, le seconde comportano il deposito degli stessi. Tali materiali di dimensioni assai varie, dai grandi blocchi fino al più fine detrito sabbioso, costituiscono gli argini morenici. Essi sono statiin seguito rielaborati e incisi da vari agenti (torrenti, frane) in tempi successivi alla loro messa in posto. La copertura detritica dà luogo, alla base delle pareti rocciose degradate dagli agenti atmosferici, a pendii uniformi. Queste forme di accumulo sono il risultato finale del processo della disgregazione meccanica della roccia e dell’azione di gravità: i frammenti rocciosi, fratturati in seguito al fenomeno della gelifrazione, si staccano dalla parete e cadendo per gravità, si ammassano. Il ripetersi di cicli di gelo e disgelo determina lo spostamento verso valle di una certa quantità di terreno. Se la cotica erbosa presenta delle fessure o incisioni, gli aghetti di ghiaccio possono lavorare per sottoescavazione aumentando le crepe e generando caratteristiche forme chiamate terrazzette erbose o versanti a cuscinetto. Gli ambienti di falda detritica per la vita delle piante rappresentano stazioni estreme, in quanto soggette sia al continuo apporto di clasti dall’alto, nonché a condizioni microclimatiche difficili. Per esempio, può verificarsi un’improvvisa discesa che può causare il ricoprimento della vegetazione insediata negli ambienti di falda; la vegetazione qui presente se attraversava una fase di stabilità, ossia presentava una copertura vegetale elevata, subirà come effetto un suo ringiovanimento. Caratteri distintivi degli accumuli detritici sono quindi il movimento dei clasti, la scarsità di suolo e l’elevata siccità. Questo perché il poco suolo a disposizione è soggetto (almeno nella parte più superficiale), a condizioni di marcata aridità, dovuta alla forte insolazione ed al riverbero giornaliero. Per questo motivo, le piante glaericole si sono dotate di una serie di dispositivi e adattamenti xerofitici difensivi per sopravvivere in questi siti inospitali. Per quanto riguarda le associazioni che si stabiliscono sui ghiaioni, queste sono molto influenzate dalle caratteristiche delle falde o del pendio detritico da loro colonizzato. Dove l’apporto detritico è continuo, la vegetazione non si sposta verso stadi più evoluti, a causa del continuo disturbo arrecato dai clasti in movimento; nei pendii detritici stabilizzati, si assiste invece, al passaggio di comunità più evolute. Dove le condizioni lo consentono, questa successione può portare fino alle praterie che rappresentano le fitocenosi più complesse per queste quote. Gli ambienti di falda detritica per la vita delle piante rappresentano stazioni estreme, in quanto soggette sia al continuo apporto di clasti dall’alto, nonché a condizioni microclimatiche difficili. Per esempio, può verificarsi un’improvvisa discesa che può causare il ricoprimento della vegetazione insediata negli ambienti di falda; la vegetazione qui presente se attraversava una fase di stabilità, ossia presentava una copertura vegetale elevata, subirà come effetto un suo ringiovanimento. Caratteri distintivi degli accumuli detritici sono quindi il movimento dei clasti, la scarsità di suolo e l’elevata siccità. Questo perché il poco suolo a

93 disposizione è soggetto (almeno nella parte più superficiale), a condizioni di marcata aridità, dovuta alla forte insolazione ed al riverbero giornaliero. Per questo motivo, le piante glaericole si sono dotate di una serie di dispositivi e adattamenti xerofitici difensivi per sopravvivere in questi siti inospitali. Per quanto riguarda le associazioni che si stabiliscono sui ghiaioni, queste sono molto influenzate dalle caratteristiche delle falde o del pendio detritico da loro colonizzato. Dove l’apporto detritico è continuo, la vegetazione non si sposta verso stadi più evoluti, a causa del continuo disturbo arrecato dai clasti in movimento; nei pendii detritici stabilizzati, si assiste invece, al passaggio di comunità più evolute. Dove le condizioni lo consentono, questa successione può portare fino alle praterie che rappresentano le fitocenosi più complesse per queste quote.

8340 Ghiacciai permanenti Il ghiacciaio dell'Hohsand ha subito un forte ritiro, anche a causa della realizzazione dell'invaso artificiale, che ha accelerato lo scioglimento della porzione frontale della lingua glaciale. Gli habitat principali a contatto con il ghiacciaio sono le cenosi dei ghiaioni a calcescisti (8120) e, nelle aree più distanti, le praterie alpine neutro-basifile (6170) in forte evoluzione ed espansione. (l’analisi della vegetazione viene affrontata nel successivo capitolo Suoli periglaciali e di recente deglacializzati). Sui ghiacciai scoperti possono svilupparsi solamente alghe (Chlamydomonas nivalis), sui rock glaciers può svilupparsi la vegetazione pioniera dei macereti di alta quota (Sindaco et al., 2003; Caccianiga et al., 2011).

94

ALLEGATO elenco sistematico dei taxa

Le 152 specie campionate appartengono a 31 famiglie di seguito riportate in ordine sistematico, secondo la nomenclatura adottata nella Flora d’Italia (Pignatti, 1982).

I. PTERIDOPHYTA

Classe Pteridopsida

Fam. Botrychiaceae (Ophioglossaceae) Fam. Aspleniaceae Botrychium lunaria (L.) Swartz Asplenium viride

Fam. Dryopteridaceae Fam. Athyriaceae Polystichum lonchitis (L.) Roth Cystopteris fragilis (L.) Bernh.

II. MAGNOLIOPHYTA (= SPERMATOPHYTA)

B. MAGNOLIOPHYTINA (= ANGIOSPERMAE)

Classe Magnoliopsida (= Dicotyledoneae)

Sotto-classe Magnoliidae

Ord. Ranunculales

Fam. Ranunculaceae Anemone baldensis L. Pulsatilla vernalis (L.) Miller Pulsatilla alpina (L.) Delarbre ssp. apiifolia Ranunculus alpestris L. (Scop.) Nyman Ranunculus montanus Willd.

Sotto-classe Caryophyllidae

Ord. Polygonales Cerastium pedunculatum Gaudin Gypsophila repens L. Fam. Polygonaceae Herniaria alpina Chaix Polygonum viviparum L. Minuartia sedoides (L.) Hiern Oxyria digyna (L.) Hill Minuartia verna (L.) Hiern Sagina saginoides (L.) Karsten Ord. Caryophyllales Silene acaulis (L.) Jacq. ssp. exscapa (All.) Br.-Bl. Fam. Caryophyllaceae Silene acaulis (L.) Jacq. ssp. longiscapa Arenaria ciliata L. (Kerner) Hayek Cerastium arvense L. ssp. arvense Cerastium cerastioides (L.) Britton

Sotto-classe Dilleniidae

Ord. Violales

95 Fam. Violaceae Viola calcarata L.

Ord. Salicales

Fam. Salicaceae Salix helvetica Vill. Salix herbacea L. Salix reticulata L. Salix retusa L. Salix serpyllifolia Scop.

Ord. Capparales

Fam. Brassicaceae (= Cruciferae) Arabis alpina L. ssp. alpina Arabis caerulea All. Arabis ciliata Clairv. Arabis pumila Jacq. ssp. pumila Cardamine bellidifolia L. ssp. alpina (Willd.) Jones Cardamine resedifolia L. Draba aizoides L. Draba dubia Suter Draba hoppeana Rchb. Hutchinsia brevicaulis Hoppe

Ord. Primulales

Fam. Primulaceae Androsace alpina (L.) Lam. Androsace obtusifolia All. Primula farinosa L. Soldanella alpina L.

96 HABITAT NELLʹAREA PERIGLACIALE DEL GHIACCIAIO DELLʹHOHSAND (VB)

Sotto-classe Rosidae

Ord. Rosales Sibbaldia procumbens L.

Fam. Crassulaceae Ord. Fabales Sedum alpestre Vill. Sedum atratum L. Fam. Fabaceae (= Leguminosae) Sempervivum arachnoideum L. Anthyllis vulneraria L. ssp. carpatica (Pant.) Sempervivum montanum L. Nyman Lotus alpinus (DC.) Schleicher Fam. Saxifragaceae Oxytropis campestris (L.) DC. Saxifraga aizoides L. Trifolium alpinum L. Saxifraga androsacea L. Trifolium badium Schreber Saxifraga biflora All. Saxifraga bryoides L. Ord. Myrtales Saxifraga exarata Vill. Saxifraga moschata Wulfen Fam. Onagraceae Saxifraga oppositifolia L. Epilobium anagallidifolium Lam. Saxifraga stellaris L. Epilobium fleischeri Hochst. Parnassia palustris L. Ord. Polygalales Fam. Rosaceae Alchemilla coriacea Buser Fam. Polygalaceae Alchemilla pentaphyllea L. Polygala alpestris Rchb. Alchemilla xanthochlora Rothm. Geum montanum L. Fam. Apiaceae (= Umbelliferae) Potentilla aurea L. Ligusticum mutellina (L.) Crantz Potentilla frigida Vill. Ligusticum mutellinoides (Crantz) Vill.

Sotto-classe Asteridae

Plantago serpentina All. Ord. Gentianales Ord. Scrophulariales Fam. Gentianaceae Gentiana bavarica L. Fam. Scrophulariaceae Gentiana brachyphylla Vill. Bartsia alpina L. Gentiana nivalis L. Euphrasia minima Jacq. ex DC. Gentiana schleicheri (Vaccari) Kunz Linaria alpina (L.) Miller Gentiana verna L. Pedicularis kerneri D. Torre non Huter Gentianella ramosa (Hegetschw.) Holub Pedicularis tuberosa L. Gentianella tenella (Rottb.) Borner Veronica alpina L. Veronica bellidioides L. Ord. Lamiales Veronica fruticans Jacq.

Fam. Boraginaceae Eritrichium nanum (All.) Schrader Ord. Campanulales Myosotis alpestris f. w. Schmidt Fam. Campanulaceae Campanula barbata L. Fam. Lamiaceae (= Labiatae) Campanula cenisia L. Thymus polytrichus Kerner Campanula cochleariifolia Lam. Campanula scheuchzeri Vill. Phyteuma globulariifolium Sternb. et Hoppe Ord. Plantaginales ssp. pedemontanum (R. Schulz) Becherer Phyteuma hemisphaericum L. Fam. Plantaginaceae Formattato: Destro 0,63 cm 97

Ord. Rubiales Aster bellidiastrum (L.) Scop. Carduus defloratus s.l. Fam. Rubiaceae Erigeron alpinus L. Galium anisophyllum Vill. Erigeron uniflorus L. Gnaphalium hoppeanum Koch Ord. Dipsacales Gnaphalium supinum L. Hieracium piliferum Hoppe Fam. Dipsacaceae Hieracium pilosella L. Scabiosa lucida Vill. Homogyne alpina (L.) Cass. Leontodon helveticus Méart Ord. Leontodon hispidus L. Leontopodium alpinum Cass. Fam. (= Compositae) Leucanthemopsis alpina (L.) Heyw. Achillea nana L. Senecio doronicum L. Antennaria carpathica (Wahlenb.) Bl. et Senecio incanus L. subsp. incanus Fing. Taraxacum alpestre DC. (aggregato) Antennaria dioica (L.) Gaertner Artemisia genipi Weber Taraxacum alpinum (Hoppe) Artemisia umbelliformis Lam. Aster alpinus L. Hegetschw.(aggregato)

CLASSE 2. LILIOPSIDA (= MONOCOTYLEDONEAE)

Sotto-classe Commelinidae

Ord. Juncales Fam. Juncaceae Fam. Poaceae (= Graminaceae) Juncus jacquinii L. Agrostis alpina Scop. Juncus trifidus L. Agrostis rupestris All. Luzula lutea (All.) Lam. et DC. Anthoxanthum alpinum Love et Love Luzula spicata (L.) DC. Avenula versicolor (Vill.) Lainz Deschampsia caespitosa (L.) Beauv. Ord. Cyperales Festuca halleri All. Fam. Cyperaceae Festuca quadriflora Honck. Carex curvula All. Festuca rubra L. s.l. Carex ferruginea Scop. Festuca violacea Gaudin Carex foetida All. Phleum alpinum L. Carex frigida All. Poa alpina L. Carex parviflora Host Poa laxa Haenke Carex rosae (Gilomen) Hess et Landolt Poa supina Schrader Carex sempervirens Vill. Sesleria varia (Jacq.) Wettst. Elyna myosuroides (Vill.) Fritsch Trisetum distichophyllum (Vill.) Beauv. Eriophorum scheuchzeri Hoppe

Sotto-classe Liliidae Ord. Orchidales Fam. Orchidaceae

1. COELOGLOSSUM VIRIDE (L.) HARTM

INDICATORI SUOLI PERIGLACIALI

Formattato: Destro 0,63 cm 98

Nome: Composizione floristica. Descrizione: applicazione alla flora, rilevata su superfici standard a diversa distanza dal fronte glaciale in ritiro o in aree a diversa probabilità di presenza del permafrost, di indici di ricchezza specifica, dominanza, equiripartizione, per evidenziare scostamenti nel tempo, tenendo conto della variabilità dei parametri edafici. Unità di misura: numero di specie, incremento piante vascolari per fascia altitudinale, Indice di Shannon, Indice di Eveness. Periodicità di aggiornamento: 3-5 anni.

Nome: Variazioni valori di copertura delle specie vegetali termosensibili. Descrizione: applicazione alla flora rilevata su superfici standard dell’indice fitoecologico T di Landolt (preferenza delle specie sul gradiente termico) per visualizzare il trend evolutivo delle specie microterme lungo il transetto altitudinale. Unità di misura: valore medio dell’indice T (temperatura) di Landolt pesato sul valore di copertura delle specie e sul valore di copertura delle specie microterme con valori 1 e 2 che meno tollerano temperature elevate. Periodicità di aggiornamento: 3-5 anni.

Nome: Indici di qualità biologica del suolo QBS-ar e QBS-c. Descrizione: applicazione a campioni di pedofauna, con particolare approfondimento per i Collemboli, di indici basati sul grado di adattamento alla vita edafica delle specie campionate (Indice Ecomorfologico - EMI). Conteggio degli individui rilevati per i Collemboli totali, fam. Onichiuridi, Isotomidi, Ipogastruridi. Unità di misura: valori Indice QBS-ar e QBS-c, numero di individui per gruppi sistematici indicatori. Periodicità di aggiornamento: 2 anni.

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4 MIGLIORAMENTO ED IMPLEMENTAZIONE DEL MONITORAGGIO DELLE SPECIE DI INTERESSE AL CAMBIAMENTO CLIMATICO

4.1. Premessa

L’attività afferente all’Azione 4 del progetto ha posto come obiettivi l’omogeneizzazione parziale delle modalità di monitoraggio degli ecosistemi e la creazione di un data-base climatico-naturalistico. Nel dettaglio sono state intraprese delle attività di rilievo e studio sia biotico che abiotico in settori di interesse per la valutazione degli effetti del cambiamento climatico sulla biodiversità, tese a definire punti di riferimento su cui confrontare una futura serie storica dei dati, indicatori e protocolli di monitoraggio. Considerando le attività già descritte in precedenza di cui si dispone già di un registro di dati (dati pollinici della stazione aerobiologica di Omegna, dati della stazione di inanellamento dell’avifauna di Fondotoce) le nuove attività intraprese riguardano: • lo studio delle specie termosensibili, con raccolta di dati di vegetazione, pedofauna, meteorologici e pedoambientali su transetti altitudinali; • lo studio ecologico delle torbiere alte attive, con raccolta di dati vegetazionali, faunistici (Odonati), meteorologici e pedoambientali; • un primo censimento di comunità di pedofauna e vegetazione in ambienti periglaciali e di recente de glaciazione; • la sperimentazione di protocolli di campionamento fenologico delle praterie alpine, già applicati in altre Regioni (Valle d’Aosta).

I monitoraggi avviati in questo progetto, in un ambiente specifico quale quello dei piani subalpino ed alpino, hanno evidenziato delle notevoli interconnessioni, evidenziando l’importanza di un approccio interdisciplinare nell’affrontare un ambiente complesso quale quello montano. Altro aspetto rilevante, è quella relativo alla durata nel tempo delle indagini. La quasi totalità dei parametri investigati richiede, infatti, la loro periodica valutazione, e per questo è fortemente auspicabile che il monitoraggio possa continuare anche in futuro, in accordo a protocolli che debbono essere rigorosi, ma anche sostenibili dal punto di vista economico ed organizzativo, in modo particolare per quanto riguarda le risorse umane da impiegare. La caratterizzazione dei transetti effettuata in questo studio deve essere quindi considerata il “Tempo 0” di un’indagine che, al fine di evidenziare eventuali trend legati al cambiamento climatico, non può che continuare nel tempo.

4.2 Monitoraggio delle specie termosensibili

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L’Agenzia Europea per l’Ambiente (EEA Techincal report n°11/2007) ha presentato una proposta per un primo set di 26 indicatori per monitorare lo stato della biodiversità in Europa (“Halting the loss of biodiversity by 2010. proposal for a first set of indicators to monitor progress in Europe”) in cui al n°11 compare l’indicatore “Occurence of temperature-sensitive species”, specificatamente introdotto per seguire l’impatto del cambiamento climatico sulla biodiversità. L’indicatore valuta i cambiamenti nella presenza di specie di piante che rispondono a variazioni nella temperatura atmosferica. Le specie termosensibili sono specie legate a condizioni termiche più calde (termofile) o che meno tollerano temperature elevate e forti oscillazioni (microterme). Possono quindi segnalare precocemente con la loro presenza o assenza un innalzamento della temperatura. Sia la vegetazione che la fauna possono fornire informazioni importanti a questo riguardo. Nel progetto Interreg si è adottato un approccio che consente di integrare le due componenti, svolgendo analisi botaniche, accoppiate ad analisi della fauna del suolo (pedofauna) e mettendole in relazione con i dati delle caratteristiche chimiche e fisiche del suolo, quali ad esempio il tenore di sostanza organica e la temperatura.

4.2.1 Monitoraggio delle specie vegetali termosensibili con aree di saggio permanenti (transetti)

Esiste un accordo comune tra gli studiosi nel ritenere che il crescente riscaldamento dovrebbe portare nelle zone montuose del pianeta ad uno slittamento verso l’alto dell'optimum climatico delle specie botaniche. Di qui l'interesse a studiare la distribuzione della vegetazione lungo gradienti altitudinali. A livello internazionale il riferimento per il monitoraggio della migrazione altitudinale della vegetazione alpina è il programma internazionale GLORIA sulla vegetazione dei summit alpini che monitora tramite rilievi botanici l’arricchimento della flora sulle sommità elevate delle montagne di tutto il mondo. Nel progetto si è adottato un approccio basato sul rilievo su transetto altitudinale, per analogia e possibilità di lettura incrociata dei dati con la rete di monitoraggio della attiva nel territorio del vicino Vallese svizzero (Permanet plot.ch). Nel progetto è stato applicato a due transetti nella fascia tra i 1.700 e i 2.600 metri s.l.m., ove ricadono importanti processi ecologici e dove maggiori potrebbero essere le evidenze di una risalita di specie termofile dalle quote inferiori. L’’applicazione di indici di biodiversità e del sistema di classificazione botanica di Ellenberg o Landolt a campionamenti floristici ripetuti su parcelle permanenti, consentirebbe di documentare cambiamenti nella composizione e la comparsa di nuove specie evidenziandone il loro regime di temperatura e di richiesta di umidità. Un tale indicatore potrà solo evidenziare che il cambiamento climatico sta avvenendo, piuttosto che mostrare un impatto negativo sulla biodiversità. Si tratta pertanto non di un indicatore che mostra un impatto negativo diretto, come ci si auspicherebbe, ma che indica che alcune piante rimpiazzano altre come conseguenza del cambiamento climatico. Formattato: Destro 0,63 cm 105 ARPA Piemonte Codice Fiscale – Partita IVA 07176380017 Area Funzionale Tecnica Ambiente e Natura Via Pio VII, 9 – 10135 Torino – Tel 01119680111 – fax 01119680025 – E-mail: [email protected]

Metodologia e criteri di scelta delle aree di saggio permanenti

La scelta dimensionale delle aree di saggio così come la divisione in sub plots, è stata concordata con il botanico svizzero Pascal Vittoz responsabile della rete Permanent Plot, con alcune differenze non significative motivate dalla necessità di uniformare la metodologia di rilievo con quella già in uso nel transetto di Alagna Valsesia (VC), facente parte della rete nazionale LTER (Long Term Ecological Research) per le Alpi Occidentali. In questo senso, si segnala come i transetti dei valloni di San Bernardo e del Vannino, il 3 Maggio 2011, siano stati candidati come future stazioni di ricerca della Rete. In ogni punto dei transetti sono stati eseguiti i rilievi della vegetazione su un’area di forma quadrata, a coprire una superficie complessiva di 16 m2; l’area è stata ulteriormente suddivisa in 4 sub-aree di 4 m2 (indicate con le lettere minuscole a, b, c e d) al fine di cogliere la variabilità intrinseca a scala di dettaglio (Foto 40). Le sub aree devono essere intese in sequenza (a = parte più elevata destra rispetto all’osservatore; b = parte più elevata sinistra; c = parte meno elevata destra; d = parte meno elevata sinistra). I valori di presenza sono da intendersi come copertura % rispetto alla superficie dell’intero plot.

Foto 40 - Punti di rilievo con la suddivisione in sub-plots

In ogni punto dei transetti sono stati eseguiti i rilievi della vegetazione su un’area di forma quadrata, a coprire una superficie complessiva di 16 m2; l’area è stata ulteriormente suddivisa in 4 sub-aree di 4 m2 (indicate con le lettere minuscole a, b, c e d) al fine di cogliere la variabilità intrinseca a scala di dettaglio (Foto 40). Le sub aree devono essere intese in sequenza (a = parte più elevata destra rispetto all’osservatore; b = parte più elevata sinistra; c = parte meno elevata destra; d = parte meno elevata sinistra).

I valori di presenza sono da intendersi come copertura % rispetto alla superficie dell’intero plot. Formattato: Destro 0,63 cm 106 ARPA Piemonte Codice Fiscale – Partita IVA 07176380017 Area Funzionale Tecnica Ambiente e Natura Via Pio VII, 9 – 10135 Torino – Tel 01119680111 – fax 01119680025 – E-mail: [email protected]

In tutti i rilievi è stato stilato l’elenco completo dei taxa presenti in stazione e la loro copertura relativa in percentuale. La somma delle coperture percentuali delle specie è la superficie complessiva occupata dalla vegetazione e, di conseguenza, il rimanente è da intendersi come roccia, suolo nudo, ecc.. Per poter eseguire le successive elaborazioni in cui fosse necessario esaminare il punto in toto, senza ricorrere alla specificità delle sub-aree, si è operato sommando i valori di copertura di ogni singola specie nelle sub-aree dividendo poi il risultato per il numero delle stesse. Al fine di poter disporre di dati assolutamente confrontabili, durante le visite successive, si è provveduto a delimitare l’area tramite paletti in legno (Foto 41Foto 41).

Foto 41 - Delimitazione dell’area di rilievo tramite paletti in legno

Per evitare che una perdita accidentale dei suddetti paletti possa impedire un riconoscimento indubitabile dell’area di campionamento nelle visite successive, è stata interrata nel suolo una barra metallica che potrà sempre essere rilevata tramite metal detector. Nelle zone forestali, come d’uso, la superficie di rilievo risulta essere maggiore. Nel nostro caso di 200 m2, con un ulteriore suddivisione, come in precedenza, in 4 sub- aree di 50 m2.

Scelta ed individuazione delle aree di saggio Sono stati individuati due transetti altitudinali, il primo (Figura 40) nel vallone di San Bernardo (comune di Bognanco) e il secondo (Figura 41) nel vallone del Vannino (Comune di Formazza). In ogni punto del transetto si sono rilevate le variabili stazionali (coordinate UTM, quota, pendenza ed esposizione) che sono esplicitate in Tabella 28.

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Figura 40 - Transetto altitudinale nel Vallone San Bernardo (Comune di Bognanco). Gli indicatori rossi individuano le posizioni geografiche dei punti di campionamento lungo il transetto.

Figura 41 - Transetto altitudinale nel Vallone del Vannino (Comune di Formazza). Gli indicatori individuano le posizioni geografiche dei punti di campionamento lungo il transetto. Formattato: Destro 0,63 cm 108 ARPA Piemonte Codice Fiscale – Partita IVA 07176380017 Area Funzionale Tecnica Ambiente e Natura Via Pio VII, 9 – 10135 Torino – Tel 01119680111 – fax 01119680025 – E-mail: [email protected]

Come evidenziato in Tabella 28, i due transetti coprono un ampio range altitudinale (un migliaio di metri nel caso dell’area di San Bernardo, circa 750 metri nel Vannino). Questo ha consentito di individuare nella sua interezza il passaggio dalle formazioni forestali, ai cespuglieti extra silvani, fino ad arrivare alle formazioni casmofitiche e a quelle di prateria e macereti alpini.

Area di San Bernardo UTM Est UTM Nord Quota Pendenza Esposizione Bo1 437491 5111332 1617 14° 131° N Bo2 437099 5111796 1698 24° 176° N Bo3 436727 5112306 1830 11° 193° N Bo4 435754 5112627 1953 6° 139° N Bo5 434575 5112856 2111 12° 184° N Bo6 434988 5113407 2340 26° 178° N Bo7 435093 5113807 2595 16° 191° N

Area del Vannino Va1 454592 5136130 1786 27° 182° N Va2 454138 5136254 1913 22° 194° N Va3 453075 5136623 2065 6° 175° N Va4 451998 5136851 2175 22° 194° N Va5 450136 5136418 2281 7° 177° N Va6 450290 5136747 2404 29° 169° N Va7 449965 5137210 2515 27° 187° N

Tabella 28 - Variabili stazionali dei punti lungo i due transetti

I plots lungo i transetti sono localizzati da una quota di circa 1600 metri s.l.m. a una quota di circa 2600 metri s.l.m., coprendo i piani altitudinali montano, subalpino e alpino. Le formazioni vegetali presenti vanno dalle formazioni forestali dominate da abete rosso, abete bianco (Bognanco) e larice fino ad arrivare alle praterie alpine. In particolare, il transect di Bognanco si sviluppa lungo un gradiente altitudinale di un migliaio di metri, da quota 1617 a quota 2595. I primi due punti del transetto s’inseriscono nei fitti popolamenti forestali dominati da Abies alba e Picea abies, mentre, nel terzo, la prima specie sparisce per lasciare il posto a Larix decidua. Nel terzo punto la foresta si fa altresì più aperta, con un ricchissimo sottobosco a Vaccinium myrtillus e Juniperus communis. Il quarto punto è situato ai limiti superiori della timberline, con radi soggetti arborei che punteggiano un nardeto chiazzato da Vaccinium myrtillus e Vaccinium uliginosum. Dal punto cinque, posto alla base del ghiaione roccioso che porta alla cima del Pizzo Pioltone, spariscono anche i cespuglietti subalpini per lasciar posto ad una prateria dominata dalle specie del Nardion e del Caricion curvulae, con un generale e repentino incremento delle specie microterme. Il punto sei è situato all’interno del ghiaione citato in precedenza ed evidenzia una formazione dominata da Anthoxantum e Trifolium.

Formattato: Destro 0,63 cm 109 ARPA Piemonte Codice Fiscale – Partita IVA 07176380017 Area Funzionale Tecnica Ambiente e Natura Via Pio VII, 9 – 10135 Torino – Tel 01119680111 – fax 01119680025 – E-mail: [email protected]

Il punto più elevato, posto sulla cima del Pizzo del Pioltone, è un curvuleto pascolato, con importante presenza di specie alpine legate ai nardeti. Il transect del Vannino si sviluppa lungo un gradiente altitudinale inferiore rispetto a quello di Bognanco, da quota 1786 a quota 2515. Solo il primo punto si inserisce in una formazione forestale a copertura pressoché totale e dominata da Picea abies, mentre nel secondo si fa meno densa, e al peccio si mescola Larix decidua in posizione leggermente subordinata. Il terzo punto, paragonabile al quarto punto di Bognanco, insiste su un cespuglieto subalpino con massiccia presenza di Vaccinium uliginosum e poi, subordinatamente, Vaccinium myrtillus e Rhododendron ferrugineum. Il quarto punto è un festuceto frammisto ad elementi del Poion alpinae, del Caricion curvulae e del Seslerion. Nel quinto punto dominano gli elementi del Nardion, con importante copertura delle specie del Poion alpinae (Poa alpina, Festuca violacea). Ancora un nardeto al punto sei, con Juncus trifidus e carici. La prateria alpina silicea del punto più elevato accoglie elementi del Caricion curvulae (Carex curvula, Festuca halleri), dell’Arabidion (Soldanella alpina) e del Cynosurion (Ligusticum mutellina).

Nelle seguenti figure (Foto 42-47) sono riportate le immagini relativi agli ambienti che caratterizzano i punti del transetto altitudinale del Vannino.

Foto 42 - Caratteristiche dei plots 1 e 2 lungo il transetto del Vannino

Formattato: Destro 0,63 cm 110 ARPA Piemonte Codice Fiscale – Partita IVA 07176380017 Area Funzionale Tecnica Ambiente e Natura Via Pio VII, 9 – 10135 Torino – Tel 01119680111 – fax 01119680025 – E-mail: [email protected]

Foto 43 - Caratteristiche del plot 3 lungo il transetto del Vannino

Foto 44 - Caratteristiche del plot 4 lungo il transetto del Vannino

Foto 45 - Caratteristiche del plot 5 lungo il transetto del Vannino

Formattato: Destro 0,63 cm 111 ARPA Piemonte Codice Fiscale – Partita IVA 07176380017 Area Funzionale Tecnica Ambiente e Natura Via Pio VII, 9 – 10135 Torino – Tel 01119680111 – fax 01119680025 – E-mail: [email protected]

Foto 46 - Caratteristiche del plot 6 lungo il transetto del Vannino

Foto 47 - Caratteristiche del plot 7 lungo il transetto del Vannino

Rilievi floristici delle specie vascolari Lungo i due transetti altitudinali (Vallone di San Bernardo – Bognanco e Vallone del Vannino – Formazza) i plots sono stati visitati nelle due stagioni vegetative di durata del progetto, 2009 e 2010. Richiamando brevemente la metodologia di rilievo delle cenosi, si ricorda che si è operato su un’aree di forma quadrata, a coprire una superficie complessiva di 16 m2; ogni area è stata ulteriormente suddivisa in 4 sub- aree di 4 m2 (indicate con le lettere minuscole a, b, c e d) al fine di cogliere la variabilità intrinseca a scala di dettaglio. Le tabelle di rilievo che saranno di seguito elencate (Tabella 2929-42) esplicitano le specie vegetali e gli indici di copertura percentuali delle stesse per entrambi gli anni di monitoraggio. Le specie che non sono state ritrovate nel sito campionato o, al contrario, che si sono riscontrate come nuove nella stagione vegetativa 2010, sono evidenziate nelle tabelle con linee in grassetto.

Formattato: Destro 0,63 cm 112 ARPA Piemonte Codice Fiscale – Partita IVA 07176380017 Area Funzionale Tecnica Ambiente e Natura Via Pio VII, 9 – 10135 Torino – Tel 01119680111 – fax 01119680025 – E-mail: [email protected]

BoTR1 2009 BoTR1 2010 BoTR1a BoTR1b BoTR1c BoTR1d BoTR1a BoTR1b BoTR1c BoTR1d Abies alba Miller (sapling) 415110515110 Abies alba Miller (seedling) 0.5 1 0.5 0.5 0.5 1 0.5 0.5 Arnica montana L. 00010001 Calamagrostis villosa (Chaix) J. F. Gmelin 0000.50.5000.5 Campanula scheuchzeri Vill. 00.50000.500 Deschampsia flexuosa (L.) Trin. 0.5 0.5 0.5 0.5 0.5 0.5 0.5 0.5 Dryopteris carthusiana (Vill.) H. P. Fuchs 0.50000.5000 Hieracium murorum group 0.53151315 Homogyne alpina (L.) Cass. 0.5 1 0 0.5 0.5 1 0.5 0.5 Luzula sieberi Tausch. 0.5 0 0.5 0.1 0.5 0 0.5 0.5 Luzula sylvatica (Hudson) Gaudin 00.500.510.510.5 Maianthemum bifolium (L.) F. W. Schmidt 55313310.5 Nardus stricta L. 00.500.500.500.5 Phyteuma betonicifolium Vill. 0000.50000.5 Phyteuma spicatum L. 00.50000.500 Picea abies (L.) Karst. (sapling) 25012501 Picea abies (L.) Karst. (seedling) 0.5 1 0 0.5 0.5 1 0 0.5 Prenanthes purpurea L. 0.5 0.5 0 0 0.5 0.5 0 0.5 Rubus idaeus L. 000.50000.50 Sorbus aucuparia L. (seedling) 0 0.5 0 0.5 0 0.5 0.5 0.5 Vaccinium myrtillus L. 1053210533 Viola biflora L. 00000000.5

Tabella 29 - Rilievi floristici in Bognanco 1 nei due anni d’indagine

BoTR2 2009 BoTR2 2010 BoTR2a BoTR2b BoTR2c BoTR2d BoTR2a BoTR2b BoTR2c BoTR2d Abies alba Miller (seedling) 0.5 0.5 0.5 0.5 0.5 0.5 0.5 0.5 Corallorhiza trifida Chatel. 0.10000000 Deschampsia flexuosa (L.) Trin. 0.5 2 0.5 0.5 0.5 2 0.5 0.5 Fagus sylvatica L. (schrub) 00100010 Festuca rubra group 000000.50.50 Hieracium murorum group 205105205105 Homogyne alpina (L.) Cass. 00.50000.50.50 Maianthemum bifolium (L.) F. W. Schmidt 0000.50000.5 Melampyrum sylvaticum L. 0.5 1 0.5 0.5 0.5 0.5 0.5 0.5 Nardus stricta L. 00.500.500.500.5 Phyteuma betonicifolium Vill. 0 0.1 0 0 0000 Phyteuma spicatum L. 0.5 0 0.5 0 0.5 0.5 0.5 0 Picea abies (L.) Karst. (seedling) 0.5 0 0.5 0 0.5 0 0.5 0 Prenanthes purpurea L. 0.5 1 0.5 0.5 1 1 0.5 0.5 Sorbus aucuparia L. (seedling) 00000000.5 Vaccinium myrtillus L. 635310635510

Formattato: Destro 0,63 cm 113 ARPA Piemonte Codice Fiscale – Partita IVA 07176380017 Area Funzionale Tecnica Ambiente e Natura Via Pio VII, 9 – 10135 Torino – Tel 01119680111 – fax 01119680025 – E-mail: [email protected]

Tabella 30 - Rilievi floristici in Bognanco 2 nei due anni d’indagine

BoTR3 2009 BoTR3 2010 BoTR3a BoTR3b BoTR3c BoTR3d BoTR3a BoTR3b BoTR3c BoTR3d Anthoxantum alpinum Á. et D. Löwe 00.50 0 0000 Arnica montana L. 0 0 00.50 0 00.5 Deschampsia flexuosa (L.) Trin. 0 5 0.5 0.5 0 8 0.5 0.5 Hieracium murorum group 0 1 0.5 0.5 0 0.5 0.5 0 Homogyne alpina (L.) Cass. 0 0 0.5 0 0 0.5 0.5 0 Juniperus communis ssp. alpina (Suter) Čelak. 20 10 15 20 25 10 20 25 Larix decidua Miller (seedlind) 0.5 0 0 0 0.5 0 0.5 0 Luzula sieberi Tausch. 00.50000.500 Maianthemum bifolium (L.) F. W. Schmidt 0.5 2 1 0 0.5 2 1 0 Nardus stricta L. 0 0 0.5 0 0 0 0.5 0 Phyteuma betonicifolium Vill. 0 0 0.5 0 0 0 0.5 0 Prenanthes purpurea L. 0 0 0.5 0 0 0 0.5 0 Rhododendron ferrugineum L. 000.500010 Rubus idaeus L. 00.50100.505 Vaccinium myrtillus L. 70 50 60 35 60 50 55 35

Tabella 31 - Rilievi floristici in Bognanco 3 nei due anni d’indagine

Formattato: Destro 0,63 cm 114 ARPA Piemonte Codice Fiscale – Partita IVA 07176380017 Area Funzionale Tecnica Ambiente e Natura Via Pio VII, 9 – 10135 Torino – Tel 01119680111 – fax 01119680025 – E-mail: [email protected]

BoTR4 2009 BoTR4 2010 BoTR4a BoTR4b BoTR4c BoTR4d BoTR4a BoTR4b BoTR4c BoTR4d Alchemilla alpina L. 120320.501 Anthoxantum alpinum Á. et D. Löwe 0.5 3 2 1 0.5 2 1 0.5 Arnica montana L. 0000.10000.1 Bupleurum falcatum ssp. cernuum (Ten.) Arcangeli 0.1 0 0 0 0.5 0 0 0 Cardamine resedifolia L. 00000000.5 Carex ferruginea Scop. 000.50000.50 Deschampsia flexuosa (L.) Trin. 32532232 Festuca rubra L. 0 0 0 0.50.50.50.52 Festuca violacea Schleicher ex Gaudin 0.50.50010.500 Larix decidua Miller (seedlind) 00000000.5 Leontodon pyrenaicus Gouan 0.5 0 0.5 0 0.5 0.5 0.5 0.5 Nardus stricta L. 60 70 50 70 65 75 60 70 Phleum alpinum L. 00020.5000.5 Phyteuma hemisphaericum L. 0.5 0 0 0 0.5 0 0 0.5 Plantago alpina L. 0 0 0 0.5 0 0 0.5 0.5 Potentilla aurea L. 00.50.5000.50.50 Ranunculus montanus group 000000.50.50 Sempervivum montanum ssp. montanum L. 0 0.5 0 0.5 0.5 0.5 1 0.5 Solidago virgaura ssp. minuta (L.) Arcangeli 0 0.1 0.5 0 0 0.5 0.5 0.5 Trifolium alpinum L. 10551055510 Vaccinium myrtillus L. 15 4 20 10 15 5 20 10 Vaccinium uliginosum L. 01500 0152 0

Tabella 32 - Rilievi floristici in Bognanco 4 nei due anni d’indagine

BoTR5 2009 BoTR5 2010 BoTR5a BoTR5b BoTR5c BoTR5d BoTR5a BoTR5b BoTR5c BoTR5d Agrostis rupestris All. 3130.53130.5 Alchemilla alpina L. 000000.50 0 Bupleurum falcatum ssp. cernuum (Ten.) Arcangeli 0.50100010 Carex sempervirens Vill. 53515551 Deschampsia flexuosa (L.) Trin. 0.5 1 0.5 0 0.5 0.5 0.5 0 Festuca violacea Schleicher ex Gaudin 0.5012510510 Hieracium glanduliferum Hoppe in Sturm 00.50.5000.50.50 Hypochoeris uniflora Vill. 00.50.5000.50.50 Juncus trifidus L. 25 12 15 15 10 10 5 15 Larix decidua Miller (schrub) 03000300 Leontodon pyrenaicus Gouan 000000.500.5 Phyteuma hemisphaericum L. 0.5 1 0.5 0.5 0.5 0 0.5 0.5 Primula farinosa L. 0000.50000 Senecio halleri Dandy 0.1 0.5 0.1 0.1 0 0.5 0 0 Solidago virgaura ssp. minuta (L.) Arcangeli 0 00.1000.50.50 Trifolium alpinum L. 45 55 50 55 50 55 50 55

Tabella 33 - Rilievi floristici in Bognanco 5 nei due anni d’indagine Formattato: Destro 0,63 cm 115 ARPA Piemonte Codice Fiscale – Partita IVA 07176380017 Area Funzionale Tecnica Ambiente e Natura Via Pio VII, 9 – 10135 Torino – Tel 01119680111 – fax 01119680025 – E-mail: [email protected]

BoTR6 2009 BoTR6 2010 BoTR6a BoTR6b BoTR6c BoTR6d BoTR6a BoTR6b BoTR6c BoTR6d Achillea erba-rotta ssp. moschata (Wulfen) I. B. K. Richardson 000.540014 Agrostis rupestris All. 100020.50.50.5 Alchemilla alpina L. 000000.50 0 Anthoxantum alpinum Á. et D. Löwe 20 5 8 15 20 8 8 15 Aster alpinus L. 0.50210.50.120.5 Avenula versicolor (Vill.) Lainz 310.503110.5 Centaurea uniflora ssp. nervosa (Willd.) Bonnier et Layens 13031202 Festuca halleri All. 00.50000.500.5 Festuca violacea Schleicher ex Gaudin 515205515205 Galium anisophyllon Vill. 1 0.5 2 0.5 1 0 1 0.5 Geum montanum L. 0.52000200 Hieracium glanduliferum Hoppe in Sturm 0.50000.5000 Juncus trifidus L. 251531058 Leucanthemopsis alpina (L.) Heywood 0000000.50 Lotus alpinus (DC.) Schleicher ex Ramond 00300030 Minuartia verna (L.) Hiern 0.5 0 0.5 0 0.5 0.5 0.5 0 Potentilla aurea L. 0 0.5 0 0 0.5 0.5 0 0 Potentilla grandiflora L. 128 8 5108105 Pulsatilla alpina ssp. apiifolia (Scop.) Nyman 000000.50 0 Sempervivum montanum ssp. montanum L. 0.5 0 0.5 0.5 1 0.5 0.5 0.5 Silene rupestris L. 000.10000.50 Solidago virgaura ssp. minuta (L.) Arcangeli 0 0.5 0.5 0.5 0.5 0.5 0.5 0.5 Thymus praecox ssp. polytrichus (A. Kerner ex Borbás) Jálas 0.52510.5252 Trifolium alpinum L. 10 3 15 25 15 5 15 25

Tabella 34 - Rilievi floristici in Bognanco 6 nei due anni d’indagine

Formattato: Destro 0,63 cm 116 ARPA Piemonte Codice Fiscale – Partita IVA 07176380017 Area Funzionale Tecnica Ambiente e Natura Via Pio VII, 9 – 10135 Torino – Tel 01119680111 – fax 01119680025 – E-mail: [email protected]

BoTR7 2009 BoTR7 2010 BoTR7a BoTR7b BoTR7c BoTR7d BoTR7a BoTR7b BoTR7c BoTR7d Alchemilla alpina L. 00001122 Avenula versicolor (Vill.) Lainz 00050.500.55 Bartsia alpina L. 000000.10 0 Cardamine resedifolia L. 0 0.1 0 0 0.5 0.5 0.1 0 Carex atrata L. 0 0.1 0 0 0000 Carex curvula All. 35 25 15 20 35 25 20 25 Festuca halleri All. 15 15 30 20 20 20 30 20 Hieracium glanduliferum Hoppe in Sturm 0 0.1 0.5 0.5 0 0.5 0.5 0.5 Leontodon pyrenaicus Gouan 0 1 0 0.5 0.5 1 0.5 0.5 Leucanthemopsis alpina (L.) Heywood 8 5 8 10 0.5 10 5 10 Ligusticum mutellinoides (Crantz) Vill. 0.5 0.5 1 0.5 0.5 0.5 1 0.5 Luzula alpinopilosa (Chaix) Breistr. 000.50000.10 Minuartia sedoides (L.) Hiern 210.522212 Potentilla aurea L. 58385838 Pedicularis kerneri Dalla Torre 0.5 1 0.5 1 0 0.5 0.1 0.5 Phyteuma hemisphaericum L. 0 0 0 0.5 0.5 1 0.1 0.5 Poa alpina L. 5 1515105 101510 Sempervivum montanum ssp. montanum L.1 0 00.110.500.5 Senecio halleri Dandy 0 0 0.1 0 0000 Trifolium alpinum L. 0020.500.50.51

Tabella 35 - Rilievi floristici in Bognanco 7 nei due anni d’indagine

VaTR1 2009 VaTR1 2010 VaTR1a VaTR1b VaTR1c VaTR1d VaTR1a VaTR1b VaTR1c VaTR1d Campanula persicifolia ssp. persicifolia L. 00.50.50 0 10.50 Chaerophyllum hirsutum L. 00.5110111 Hepatica nobilis Schreb. 0.5 0.5 0 0.5 0.5 0.5 0.5 0.5 Hieracium murorum group 0.50 50.51 0 50.5 Melampyrum sylvaticum L. 000.51000.51 Melica nutans L. 000.50.5000.50.5 Polystichum lonchitis (L.) Roth 0000.5000.50.5 Prenanthes purpurea L. 0.5 0.5 2 0 0.5 0.5 3 0.5 Ranunculus serpens ssp. nemorosus (DC.) G. López 000.50.5000.50.5 Rosa pendulina L. 0.50000.5010 Rubus saxatilis L. 0 0 10.50 0 10.5 Sorbus aucuparia L. (seedling) 0.5 0.1 0.1 0 0.5 0.1 0.5 0 Thalictrum aquilegifolium L. 00.500.500.500.5 Vaccinium myrtillus L. 0.5 0.5 0.5 3 0.5 0.5 0.5 3 Viola biflora L. 0 0 0.5 0.5 0.5 0 1 0.5 Viola reichenbachiana Jordan ex Boreau 0 0 0.5 0.5 0 0 0.5 0.5

Tabella 36 - Rilievi floristici in Vannino 1 nei due anni d’indagine

Formattato: Destro 0,63 cm 117 ARPA Piemonte Codice Fiscale – Partita IVA 07176380017 Area Funzionale Tecnica Ambiente e Natura Via Pio VII, 9 – 10135 Torino – Tel 01119680111 – fax 01119680025 – E-mail: [email protected]

VaTR2 2009 VaTR2 2010 VaTR2c VaTR2d VaTR2c VaTR2d Agrostis canina L. 520520 Alchemilla alpina L. 1515 Anthoxantum alpinum Á. et D. Löwe 0.5 0.5 1 0.5 Astrantia minor L. 00.500.5 Bellardiochloa violacea (Bellardi) Chiov. 106105 Campanula barbata L. 0.5 0 2 0.5 Campanula persicifolia ssp. persicifolia L. 0.5 0.5 1 1 Chaerophyllum hirsutum L. 103102 Deschampsia flexuosa (L.) Trin. 3535 Dryopteris filix-mas (L.) Schott 1020 Euphorbia cyparissias L. 00.50 1 Festuca heterophylla Lam. 2020 Geranium sylvaticum L. 3050.5 Hieracium murorum group 0.5122 Hieracium prenanthoides Vill. 2121 Homogyne alpina (L.) Cass. 515515 Luzula sylvatica (Hudson) Gaudin 0.5 0.5 0.5 1 Melampyrum sylvaticum L. 1111 Petasites hybridus ssp. hybridus (L.) Gaertner, B. Meyer et Scherb. 5050 Peucedanum ostruthium (L.) Koch 2121 Phleum alpinum L. 0.5 0.5 2 0.5 Phyteuma scheuchzeri ssp. scheuchzeri All. 0.5010 Prenanthes purpurea L. 000.5 2 Pulsatilla vernalis (L.) Miller 0101 Ranunculus acris L. 5243 Rhododendron ferrugineum L. 0.5010 Rubus saxatilis L. 52105 Soldanella alpina L. 00.10.50.5 Solidago virgaurea L. 0.5 0.5 1 0.5 Sorbus aucuparia L. (seedling) 00.100.5 Thalictrum aquilegifolium L. 0202 Vaccinium myrtillus L. 101101 Veratrum album L. 0.5010 Viola biflora L. 30 30 30 30

Tabella 37 - Rilievi floristici in Vannino 2 nei due anni d’indagine

Formattato: Destro 0,63 cm 118 ARPA Piemonte Codice Fiscale – Partita IVA 07176380017 Area Funzionale Tecnica Ambiente e Natura Via Pio VII, 9 – 10135 Torino – Tel 01119680111 – fax 01119680025 – E-mail: [email protected]

VaTR3 2009 VaTR3 2010 VaTR3a VaTR3b VaTR3c VaTR3d VaTR3a VaTR3b VaTR3c VaTR3d Arnica montana L. 0 0 00.100.100.5 Astrantia minor L. 0 0.1 0.5 0.1 0 0.5 0.5 0.5 Bupleurum falcatum ssp. cernuum (Ten.) Arcangeli 00030003 Calamagrostis varia (Schrader) Host 000.510011 Calluna vulgaris (L.) Hull 00230023 Campanula persicifolia ssp. persicifolia L. 0.1 0 0.1 0 0.5 0 0.5 0 Carex curvula All. 000.500010 Carex sempervirens Vill. 00.50 0 00.50 0 Deschampsia flexuosa (L.) Trin. 220.522212 Festuca violacea group 55135522 Geum montanum L. 00000.5 0.5 0 0 Juniperus communis ssp. alpina (Suter) Čelak. 10540501054050 Juncus trifidus L. 05000500 Leontodon pyrenaicus Gouan 000.10000.50.5 Primula farinosa L. 01000100 Ranunculus montanus Willd. 0.5 0.5 0.5 0.5 0.5 0.5 0.5 0.5 Rhododendron ferrugineum L. 0601506015 Solidago virgaura ssp. minuta (L.) Arcangeli 000.10.1000.50.5 Vaccinium uliginosum L. 50 25 25 15 50 25 25 15 Viola calcarata L. 000.50000.50

Tabella 38 - Rilievi floristici in Vannino 3 nei due anni d’indagine

Formattato: Destro 0,63 cm 119 ARPA Piemonte Codice Fiscale – Partita IVA 07176380017 Area Funzionale Tecnica Ambiente e Natura Via Pio VII, 9 – 10135 Torino – Tel 01119680111 – fax 01119680025 – E-mail: [email protected]

VaTR4 2009 VaTR4 2010 VaTR4a VaTR4b VaTR4c VaTR4d VaTR4a VaTR4b VaTR4c VaTR4d Achillea erba-rotta ssp. moschata (Wulfen) I. B. K. Richardson 0 0.5 0 0.5 0 0.5 0 0.5 Agrostis agrostiflora (G. Beck) Rauschert 0000000.50 Alchemilla fissa Günther et Schummel 00100010 Anthoxantum alpinum Á. et D. Löwe 63525383 Avenula versicolor (Vill.) Lainz 00000.5 0 0.5 0 Botrychium lunaria (L.) Swartz in Schrader 0.1 0.1 0.1 0.1 0.1 0.1 0.1 0.5 Campanula barbata L. 0 0 0.5 0 0.5 0 0.5 0 Campanula persicifolia ssp. persicifolia L. 0.5 0 0.5 0.5 0.1 0 0.5 0 Carlina acaulis L. 15 10 25 10 20 10 25 15 Carex sempervirens Vill. 06000500 Centaurea uniflora ssp. nervosa (Willd.) Bonnier et Layens 000000.10 0 Cerastium arvense L. 1 0.5 1 2 0.5 0.5 0.5 1 Erigeron alpinus L. 0000000.50 Festuca ovina group 60005000 Festuca rubra group 00250025 Festuca violacea Schleicher ex Gaudin 34525355452535 Galium pumilum Murray 0.5 0 0 0 0.5 0 0 0 Gentiana acaulis L. 00.10 0 00.10 0 Gentianella ramosa (Hegetschw.) J. Holub 00000000.5 Geum montanum L. 02320.5232 Juncus trifidus L. 10 0 0 10 1 0.5 0.5 0.5 Leontodon pyrenaicus Gouan 8 4 0 5 0.1 0.1 0.5 0 Juncus trifidus L. 10 0 0 10 10 0 0 10 Leontodon pyrenaicus Gouan 8405840.55 Lotus alpinus (DC.) Schleicher ex Ramond 1120.51121 Myosotis alpestris F. W. Schmidt 0.5 2 1 0.5 0.5 2 1 0.5 Nardus stricta L. 00301130 Nigritella nigra (L.) Reichenb. fil. 0000.10000 Pedicularis tuberosa L. 10001000 Phleum alpinum L. 08200520 Phyteuma michelii All. 0.5 0 0.5 0.1 0000 Plantago alpina L. 00.50 0 00.50 0 Poa alpina L. 23232223 Polygonum viviparum L. 000000.50 0 Pulsatilla alpina (L.) Delarbre 30002000 Pulsatilla vernalis (L.) Miller 0020000.50 Ranunculus montanus group 00000 0.5 0.1 0.1 Rhinanthus alectorolophus (Scop.) Pollich 00010002 Sempervivum montanum ssp. montanum L. 21122112 Silene vulgaris (Moench) Garcke 0 0 0 0.5 0 0 0 0.5 Soldanella alpina L. 00000.5 0.5 0 0 Solidago virgaura ssp. minuta (L.) Arcangeli 0.51111111 Thymus praecox ssp. polytrichus (A. Kerner ex Borbás) Jálas 10.50.51 10.50.51 Trifolium hybridus 468255101 Trifolium alpinum L. 000000.50.50 Veronica alpina L. 0000000.50 Viola calcarata L. 00000.5 0.5 0 0

Tabella 39 - Rilievi floristici in Vannino 4 nei due anni d’indagine

Formattato: Destro 0,63 cm 120 ARPA Piemonte Codice Fiscale – Partita IVA 07176380017 Area Funzionale Tecnica Ambiente e Natura Via Pio VII, 9 – 10135 Torino – Tel 01119680111 – fax 01119680025 – E-mail: [email protected]

VaTR5 2009 VaTR5 2010 VaTR5a VaTR5b VaTR5c VaTR5d VaTR5a VaTR5b VaTR5c VaTR5d Agrostis rupestris All. 02350235 Alchemilla alpina L. 00003320 Alchemilla fissa Günther et Schummel 00020002 Anthoxantum alpinum Á. et D. Löwe 0.5 0.5 0.5 0.5 0.5 1 0.5 0.5 Avenula versicolor (Vill.) Lainz 01221222 Campanula persicifolia ssp. persicifolia L. 0.5 0 0.5 0.5 0.5 0 0.5 0.5 Carlina acaulis L. 00050000 Carex curvula All. 00500030 Festuca rubra group 58355835 Festuca violacea group 21041038 510 Galium anisophyllon Vill. 1200.51100.5 Gentiana acaulis L. 0.1 0 0 0 0.1 0.1 0 0.1 Geum montanum L. 10 15 15 20 10 15 20 20 Homogyne alpina (L.) Cass. 0.5 0 0.5 1 1 0.5 0.5 1 Leontodon pyrenaicus Gouan 00000000.1 Leucanthemopsis alpina (L.) Heywood 000.50000.50 Myosotis alpestris F. W. Schmidt 0.5 0.5 0 0.5 0.5 0.5 0.5 0.5 Nardus stricta L. 585055102 Phleum alpinum L. 16211511 Phyteuma hemisphaericum L. 00.10.50 00.50.50 Poa alpina L. 105838552 Potentilla aurea L. 10 10 15 5 10 10 15 3 Pulsatilla alpina (L.) Delarbre 1063251025 Ranunculus montanus Willd. 0.5 2 0 0.5 0.5 3 0.5 0.5 Sempervivum montanum ssp. montanum L. 120.51120.51 Solidago virgaura ssp. minuta (L.) Arcangeli 00.10 0 00.50 0 Trifolium alpinum L. 15 15 25 5 15 15 20 5

Tabella 40 - Rilievi floristici in Vannino 5 nei due anni d’indagine

Formattato: Destro 0,63 cm 121 ARPA Piemonte Codice Fiscale – Partita IVA 07176380017 Area Funzionale Tecnica Ambiente e Natura Via Pio VII, 9 – 10135 Torino – Tel 01119680111 – fax 01119680025 – E-mail: [email protected]

VaTR6 2009 VaTR6 2010 VaTR6a VaTR6b VaTR6c VaTR6d VaTR6a VaTR6b VaTR6c VaTR6d Anthoxantum alpinum Á. et D. Löwe 0.52000.5220.5 Avenula versicolor (Vill.) Lainz 00000.5 0 0 0 Carex curvula All. 230510.503 Carex sempervirens Vill. 58885585 Festuca rubra group 200020.50.52 Gentiana acaulis L. 000.50000.50 Geum montanum L. 0 0.1 0 0 0000 Juncus trifidus L. 35 25 30 20 30 25 30 20 Leontodon pyrenaicus Gouan 00000.5 0 0 0 Nardus stricta L. 32000 5255 5 Primula hirsuta All. 00000.1 0 0 0 Sempervivum montanum ssp. montanum L. 00.10 0 00.10 0 Senecio doronicum ssp. doronicum (L.) L. 000.1000.10.10.5 Trifolium alpinum L. 30 25 45 50 30 25 45 50

Tabella 41 - Rilievi floristici in Vannino 6 nei due anni d’indagine

Formattato: Destro 0,63 cm 122 ARPA Piemonte Codice Fiscale – Partita IVA 07176380017 Area Funzionale Tecnica Ambiente e Natura Via Pio VII, 9 – 10135 Torino – Tel 01119680111 – fax 01119680025 – E-mail: [email protected]

VaTR7 2009 VaTR7 2010 VaTR7a VaTR7b VaTR7c VaTR7d VaTR7a VaTR7b VaTR7c VaTR7d Agrostis agrostiflora (G. Beck) Rauschert 00000.5 0 0 0 Agrostis alpina Scop. 00000.5 0 0 0 Alchemilla alpina L. 00000.50.50.50.5 Alchemilla fissa Günther et Schummel 0.5 0 0 0 0.5 0 0 0.5 Anthoxantum alpinum Á. et D. Löwe 31152115 Avenula versicolor (Vill.) Lainz 01410.1141 Bartsia alpina L. 0.5 1 1 1 0.5 1 1 1 Campanula barbata L. 0.1 0 0 0 0000 Carex curvula All. 1102515182015 Carex sempervirens Vill. 3202330.53 Euphrasia minima Jacq. ex DC. in Lam. et DC. 000000.50 0 Festuca halleri All. 208 5 51555 5 Gentiana acaulis L. 2 0.1 0.5 0.5 2 0.5 0.5 1 Gentianella ramosa (Hegetschw.) J. Holub 00000.5 0 0 0 Geum montanum L. 0.53531232 Homogyne alpina (L.) Cass. 0.5 4 2 4 0.5 4 2 4 Juncus trifidus L. 02020.530.53 Leontodon pyrenaicus Gouan 55355525 Ligusticum mutellina (L.) Crantz 520.53310.53 Lotus alpinus (DC.) Schleicher ex Ramond 0 0.5 0 0 0 0.5 0 0 Luzula alpinopilosa (Chaix) Breistr. 0.5 0 0 0 0000 Minuartia sedoides (L.) Hiern 0.5 0 0 0 0.5 0 0 0 Nardus stricta L. 21202131 Nigritella nigra (L.) Reichenb. fil. 0.1 0 0 0 0000 Potentilla aurea L. 120.511211 Plantago alpina L. 0.5 0.5 0 0.5 0.5 0.5 0 0.5 Poa alpina L. 22312231 Pulsatilla alpina (L.) Delarbre 31013112 Ranunculus montanus Willd. 2210.52110.5 Sempervivum montanum ssp. montanum L. 0.5 1 0 0.5 0.5 1 0 0.5 Soldanella alpina L. 85328333 Soldanella pusilla Baumg. 0.100.500.50.50.50 Vaccinium myrtillus L. 00100010 Vaccinium uliginosum L. 00540054

Tabella 42 - Rilievi floristici in Vannino 7 nei due anni d’indagine

Sulla base dell’indagine floristica condotta sulle specie individuate, sono stati realizzati i diagrammi rappresentanti lo spettro corologico e lo spettro biologico delle specie riscontrate lungo i transetti.

Formattato: Destro 0,63 cm 123 ARPA Piemonte Codice Fiscale – Partita IVA 07176380017 Area Funzionale Tecnica Ambiente e Natura Via Pio VII, 9 – 10135 Torino – Tel 01119680111 – fax 01119680025 – E-mail: [email protected]

Corologia Bognanco 2010

90.00

80.00

70.00

60.00 BoTR1 BoTR2 50.00 BoTR3 BoTR4 40.00 BoTR5 Copertura % BoTR6 BoTR7 30.00

20.00

10.00

0.00 A AA AP CAA CB CE CSE E EA EC ES OAP OCB OCE OCSE OSE SCP SE WA Tipi corologici

Figura 42 - Spettro corologico del transetto di Bognanco (2010)

Formattato: Destro 0,63 cm 124 ARPA Piemonte Codice Fiscale – Partita IVA 07176380017 Area Funzionale Tecnica Ambiente e Natura Via Pio VII, 9 – 10135 Torino – Tel 01119680111 – fax 01119680025 – E-mail: [email protected]

Corologia Vannino 2010

80

70

60

50 VaTR1 VaTR2 VaTR3 40 VaTR4 VaTR5 Cpertura % VaTR6 30 VaTR7

20

10

0

A E S E E A M P AA AP AA CB CE EA EC E AP C S E SE SE WE C CSE O O C O N O SC WA O O OSWE

Figura 43 - Spettro corologico del transetto del Vannino (2010) Dalle analisi corologiche si nota, in entrambi i transetti, una decisa predominanza delle orofite sud-europee, subito seguite, come atteso dalle specie artico-alpine. I taxa eurosibirici, come ad esempio Maianthemum bifolium, Dryopteris carthusana o Nardus stricta risultano invece decisamente più rappresentati in Bognanco. Per quanto concerne lo spettro biologico, ci si limita ad un confronto degli spettri tra le due stazioni (Figura 44, e Figura 45) Quello che appare è la mancanza pressoché totale di fanerofite sempreverdi nel transetto del Vannino rispetto a quello di Bognanco. Premesso che nel rilievo non si sono presi in considerazioni gli alberi adulti, ma solo la rinnovazione, sia a livello di semenze che di giovani soggetti, questo significa che, mentre a Bognanco esiste una presenza, anche abbastanza importante, di rinnovazione nel patrimonio arboreo, questa è praticamente assente nell’altro vallone. Altro discorso meritano le emicriptofite che, in entrambe le stazioni, sono assolutamente dominanti sulle altre forme biologiche. Queste specie, indicatrici dei climi temperati centroeuropei le cui gemme svernanti sono situate a livello del suolo e vengono protette da strutture particolari o dalla lettiera, mantengono questa dominanza lungo tutto il transetto del Vannino, mentre a Bognanco risultano sempre inferiori alle camefite legnose, specie con gemme poste nei primi decimetri sopra il livello del suolo come, ad esempio, Vaccinium myrtillus.

Formattato: Destro 0,63 cm 125 ARPA Piemonte Codice Fiscale – Partita IVA 07176380017 Area Funzionale Tecnica Ambiente e Natura Via Pio VII, 9 – 10135 Torino – Tel 01119680111 – fax 01119680025 – E-mail: [email protected]

Forme biologiche Bognanco 2010

120.000

100.000

80.000 BoTR1 BoTR2 BoTR3 60.000 BoTR4 BoTR5 Cpertura % Cpertura BoTR6 BoTR7 40.000

20.000

0.000 CGH I J NPTZ

Figura 44 - Spettro biologico del transetto di Bognanco (2010)

Formattato: Destro 0,63 cm 126 ARPA Piemonte Codice Fiscale – Partita IVA 07176380017 Area Funzionale Tecnica Ambiente e Natura Via Pio VII, 9 – 10135 Torino – Tel 01119680111 – fax 01119680025 – E-mail: [email protected]

Forme biologiche Vannino 2010

120

100

80 VaTR1 VaTR2 VaTR3 60 VaTR4 VaTR5 Cpertura % Cpertura VaTR6 VaTR7 40

20

0 CGH J NPTUZ

Figura 45 - Spettro biologico del transetto del Vannino (2010)

Database relazionale georiferito dei rilievi eseguiti

L’elenco delle specie presenti nei due transetti (Allegato 1) è dato mediante la nomenclatura di Flora Europaea. Per non generare possibili confusioni, nel database, è stato fornito anche un riferimento numerico alla Flora d’Italia di Sandro Pignatti e alla Flora Apina (Aeschimann D.; Lauber K.; Martin D., Moser e Theurillat J. P.), testi normalmente usati in ambito italiano. Inoltre, al fine di meglio caratterizzare ogni singola specie, i taxa sono accompagnati dai: • valori ecologici di Landolt (umidità, pH e nutrienti del suolo, tipo di humus, dispersione, luce, temperatura e continentalità); • unità fitosociologiche di riferimento, mai al di sotto di Alleanza; • corologia, secondo Flora Helvetica; • forma biologica, secondo Pignatti e Flora Helvetica; • range di ritrovamento delle specie secondo il Pignatti (1982)

Formattato: Destro 0,63 cm 127 ARPA Piemonte Codice Fiscale – Partita IVA 07176380017 Area Funzionale Tecnica Ambiente e Natura Via Pio VII, 9 – 10135 Torino – Tel 01119680111 – fax 01119680025 – E-mail: [email protected]

Trattandosi di un biennio d’indagine, con specie riscontrate in un solo anno o con cambiamento degli indici di copertura, l’Allegato 1 presenta solo i dati di presenza (X) / assenza.

Rilievi pedologici nelle aree di saggio permanenti

Oltre al rilievo floristico, in ognuno dei punti che individuano i transetti si è provveduto al campionamento degli orizzonti superficiali del suolo, direttamente correlati allo sviluppo degli apparati radicali. I siti nel vallone San Bernardo sono caratterizzati da une certa omogeneità litologica, con la prevalenza di micascisti e gneiss minuti (Carta Geologica d’Italia, Foglio 15). Per quanto concerne l’area del Vannino, essa è caratterizzata da una maggiore eterogeneità litologica, con la presenza di calcescisti, gneiss minuti e quarziti gneissiche a biotite (Carta Geologica d’Italia, Foglio 5). In entrambe le aree di studio vi è la presenza localizzata di calcari e dolomie. Sono stati pertanto prelevati gli orizzonti superficiali organici (org) e organo- minerali (0-10 cm: min) per una potenza complessiva variabile e direttamente controllata dalle dinamiche stazionali (suoli con orizzonti più o meno potenti). I campioni sono stati essiccati e, successivamente, setacciati per la separazione della "terra fine", ovvero della frazione con diametro inferiore a 2 mm, dallo scheletro. Nei campioni di suolo sono stati determinati il carbonio organico (TOC), l’azoto totale (TN), pH e tessitura apparente (SISS, 1985). I risultati delle analisi chimico-fisiche sono riportati nella Tabella e Tabella . In tutti i punti dei transetti, nell’estate 2009, si è inoltre provveduto ad interrare un datalogger (i-button® DS1402D- DR8+) al fine di monitorare in continuo la temperatura dei suoli. Tali dispositivi sono in grado di registrare la temperatura ogni 4 ore, con una sensibilità di ±0.5°C.

pH org C org %N org %C/N org pH min C min % N min % C/N min BoTR1 4.0 25.18 1.31 19.2 3.6 6.43 0.34 19.0 BoTR2 5.0 30.06 1.19 25.2 4.2 5.42 0.26 20.7 BoTR3 4.4 39.80 1.62 24.6 3.7 10.66 0.52 20.6 BoTR4 4.3 30.89 1.71 18.0 4.0 5.17 0.39 13.3 BoTR5 4.9 17.16 1.18 14.5 4.0 12.73 1.07 11.9 BoTR6 4.7 21.52 1.43 15.0 4.5 8.87 0.75 11.8 BoTR7 4.8 14.23 0.95 15.0 3.9 6.62 0.47 14.0 VaTR1 5.2 34.34 1.40 24.5 5.2 21.46 1.11 19.4 VaTR2 5.9 27.46 1.27 21.7 5.7 10.27 0.68 15.1 VaTR3 5.1 26.29 1.43 18.3 4.8 11.29 0.70 16.2 VaTR4 5.6 34.77 2.23 15.6 5.5 8.03 0.73 10.9 VaTR5 5.4 21.21 1.53 13.8 4.9 7.48 0.64 11.8 VaTR6 4.9 28.17 1.95 14.5 4.0 7.64 0.69 11.0 VaTR7 6.3 19.61 1.25 15.7 5.3 8.88 0.67 13.2

Tabella 43 - Analisi chimiche degli orizzonti organici e minerali nei transetti

Formattato: Destro 0,63 cm 128 ARPA Piemonte Codice Fiscale – Partita IVA 07176380017 Area Funzionale Tecnica Ambiente e Natura Via Pio VII, 9 – 10135 Torino – Tel 01119680111 – fax 01119680025 – E-mail: [email protected]

Argilla % Limo fine % Limo grosso % Sabbia fine % Sabbia grossa % BoTR1 3.5 9.3 9.0 24.5 53.8 BoTR2 2.2 5.5 8.0 34.5 49.8 BoTR3 2.7 7.8 8.1 19.0 62.4 BoTR4 5.6 10.9 15.5 25.1 42.9 BoTR5 1.8 7.0 17.5 28.7 45.0 BoTR6 2.7 3.9 13.8 28.7 51.0 BoTR7 2.1 5.5 12.4 30.5 49.5 FoTR1 1.6 3.2 8.5 35.9 50.8 FoTR2 0.2 3.8 12.1 36.1 47.8 FoTR3 0.9 2.0 8.4 29.8 58.9 FoTR4 0.8 2.8 17.5 42.4 36.4 FoTR5 1.2 1.9 5.4 33.8 57.7 FoTR6 1.7 2.8 8.9 37.9 48.8 FoTR7 2.0 2.2 4.7 32.0 59.0

Tabella 44 - Analisi fisiche degli orizzonti minerali nei transetti

Si tratta di suoli a tessitura generalmente sabbiosa, con una dotazione di argilla maggiore nel transetto di Bognanco, dove i valori sono compresi fra 1.8 e 5.6 %. Il pH è acido-subacido e la dotazione di carbonio è piuttosto elevata, con valori che anche nell’orizzonte minerale superano il 20%.

Nell’area del Vannino, in corrispondenza della presenza di affioramenti di dolomia, si osserva lo sviluppo di suoli calcarei d’alta quota, caratterizzati da un evidente sviluppo di orizzonti organo-minerali sopra la roccia in alterazione, maggiormente evidente dove maggiore è l’accumulo del manto nevoso nel corso dell’inverno (valletta nivale) (Foto 48).

Formattato: Destro 0,63 cm 129 ARPA Piemonte Codice Fiscale – Partita IVA 07176380017 Area Funzionale Tecnica Ambiente e Natura Via Pio VII, 9 – 10135 Torino – Tel 01119680111 – fax 01119680025 – E-mail: [email protected]

Foto 48 - Suolo evolutosi su dolomia in una valletta nivale nel bacino del Vannino

Monitoraggio della temperatura del suolo e dell’aria lungo i transetti In tutti i punti dei transetti si è provveduto ad interrare dei datalogger (i-button® DS1402D- DR8+) al fine di monitorare in continuo la temperatura dei suoli. Tali dispositivi sono in grado di registrare la temperatura ogni 4 ore, con una sensibilità di ±0.5°C. Nell’area del Vannino (Comune di Formazza), oltre che nei punti che individuano il transetto, sono stati campionati gli orizzonti superficiali del suolo e sono stati interrati i dataloggers in ulteriori dieci punti, al fine di infittire la maglia di campionamento in funzione dell’applicazione del modello bioclimatico sopracitato. A tal fine si è deciso di operare principalmente nelle aree adiacenti al lago del Vannino e al lago Sruer, sia per creare un contatto ideale con il punto di monitoraggio periglaciale localizzato nei pressi del Lago del Sabbione (situato in direzione Nord, oltre lo spartiacque definito dalle punte Leberdun, dalla punta del ghiacciaio di Ban e dal Pizzo del Costone), sia per cogliere l’estrema variabilità intrinseca dell’area (Figura 46).

Figura 46 - Rete di monitoraggio della temperatura del suolo nel Vallone del Vannino (Comune di Formazza). Gli indicatori rossi individuano le posizioni geografiche dei punti di campionamento degli orizzonti superficiali e l’interramento dei dataloggers

Formattato: Destro 0,63 cm 130 ARPA Piemonte Codice Fiscale – Partita IVA 07176380017 Area Funzionale Tecnica Ambiente e Natura Via Pio VII, 9 – 10135 Torino – Tel 01119680111 – fax 01119680025 – E-mail: [email protected]

Ulteriori data loggers per la misura della temperatura del suolo sono stati collocati nel corso dell’inverno 2010-2011, in aree con suoli calcarei d'alta quota che morfologicamente lasciavano supporre una diversa permanenza del manto nevoso al suolo. I risultati hanno evidenziato temperature del suolo generalmente più basse in cresta, con un valore minimo di -2,8°C registrato il 28 gennaio, 10 e 11 febbraio, mentre nella valletta il valore minimo è stato di -1,6°C (8 febbraio 2011) (Tabella 45).

dic gen febb mar apr mag giu lugl ago sett ott Tmin Tmax valletta 0,0 -0,4 -1,0 -0,7 -0,1 3,6 7,8 8,3 9,8 7,8 3,8 -1,6 +15,7 cresta -0,2 -1,2 -1,8 -1,3 -0,1 4,7 7,5 8,4 9,9 8,1 4,3 -2,8 17,8 dic gen febb mar apr mag giu lugl ago sett ott Tmin Tmax valletta 0,0 -0,4 -1,0 -0,7 -0,1 3,6 7,8 8,3 9,8 7,8 3,8 -1,6 +15,7 cresta -0,2 -1,2 -1,8 -1,3 -0,1 4,7 7,5 8,4 9,9 8,1 4,3 -2,8 17,8 Tabella 45 - Temperature medie mensili, max e min del suolo nel sito a substrato calcareo nell’area del Vannino

Il valore massimo in tale sito è stato invece registrato il 28 giugno 2011 (+17,8 °C). Negli altri periodi dell’anno (tranne giugno) la temperatura è invece inferiore nella valletta nivale, con una temperatura massima di +15,7°C, registrata il 19 agosto 2011.

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Figura 47 - Andamento delle temperature del suolo (0-10 cm di profondità) durante il periodo novembre 2009-ottobre 2010, in alcuni siti delle aree di studio

La lunghezza di questo periodo dipende dalla durata dell’innevamento al suolo, a sua volta determinato, a scala di bacino, dalle caratteristiche topografiche dell’area. Come si osserva meglio nella figura successiva (Figura 48), in cui si mettono a confronto le temperature di due topsoil lungo il transetto del Vannino (Va-TR1, quota: 1786 m slm; Va-TR7, quota: 2515 m slm), il differente innevamento nei due siti fa si che in primavera (come mostrato dai cerchi verdi) la temperatura fluttui sopra gli 0°C in tempi diversi, proprio in funzione della durata della permanenza della neve al suolo. La misura in continuo della temperatura del suolo risulta, dunque, essere un buon indicatore della durata della copertura nevosa nel periodo invernale.

Figura 48 - Andamento delle temperature del suolo (0-10 cm di profondità) durante il periodo Novembre 2009-Ottobre 2010 nei topsoil localizzati nei siti 1 (1786 m slm, linea rossa) e 7 (2515 m slm, linea nera) lungo il transect del Vannino

Inoltre, secondo quanto deciso all’inizio della campagna di rilievi vegetazionali, si è fatto altresì uso di datalogger per monitorare anche la temperatura dell’aria, seguendo un gradiente altitudinale (Figura 49). A tal fine è stata utilizzata la stessa tipologia di dataloggers impiegati per il suolo, ma opportunamente schermati per misurare la temperatura dell’aria al netto dell’influenza della radiazione solare, secondo le procedure adottate nell’ambito dei rilievi meteorologici.

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Figura 49 - Stazione di misura della temperatura dell’aria a quota 2000 m slm

Questa campagna di misura è stata effettuata nell’area del Vannino, nel corso del trimestre estivo 2010, lungo un gradiente altitudinale che si sviluppa tra 1800 e 2500 m s.l.m.. Nella figura seguente (Figura 50) si osservano gli andamenti delle temperature medie giornaliere misurate dai termometri all’estremo alto e basso del gradiente altitudinale. In generale le temperature variano da un massimo di 16°C ad un minimo di -2°C. Si osserva inoltre che il decremento di temperatura atteso lungo il gradiente altitudinale è in generale rispettato, salvo in alcuni casi in cui si sono osservati fenomeni di inversione termica (alla fine del mese di settembre).

Formattato: Destro 0,63 cm 133 ARPA Piemonte Codice Fiscale – Partita IVA 07176380017 Area Funzionale Tecnica Ambiente e Natura Via Pio VII, 9 – 10135 Torino – Tel 01119680111 – fax 01119680025 – E-mail: [email protected]

Figura 50 - Andamento della temperatura dell’aria nei siti estremi (1800 m slm, linea nera e 2500 m slm linea verde) del gradiente altitudinale nel periodo luglio-ottobre 2010.

Grazie al numero di sensori installati lungo il gradiente altitudinale è stato possibile, fittando una regressione lineare tra i valori di temperatura misurati nei diversi punti del transetto, calcolare un accurato gradiente altitudinale che si riporta nella Figura 51. Come si osserva dal grafico, il gradiente termico verticale si attesta, pur con una certa variabilità, su valori medi di -0.5°C/100 m, simili a quanto riportato in letteratura (es. Freppaz et al., 2008).

Formattato: Destro 0,63 cm 134 ARPA Piemonte Codice Fiscale – Partita IVA 07176380017 Area Funzionale Tecnica Ambiente e Natura Via Pio VII, 9 – 10135 Torino – Tel 01119680111 – fax 01119680025 – E-mail: [email protected]

Figura 51 - Andamento stagionale del gradiente termico verticale (°C/100m) lungo il transetto investigato

E’ evidente in modo particolare il fenomeno d’inversione termica verificatosi intorno al 20 di Settembre 2010, in corrispondenza del dominio di un esteso campo anticiclonico nelle regioni Europee (Figura 52).

Figura 52 - Situazione barica registrata il 20 Settembre 2010.

Formattato: Destro 0,63 cm 135 ARPA Piemonte Codice Fiscale – Partita IVA 07176380017 Area Funzionale Tecnica Ambiente e Natura Via Pio VII, 9 – 10135 Torino – Tel 01119680111 – fax 01119680025 – E-mail: [email protected]

Per quanto concerne la temperatura del suolo misurata lungo i transetti, i dati medi trimestrali, riportati nella Errore. L'origine riferimento non è stata trovata., sono stati successivamente utilizzati nell’analisi statistica multivariata.

DIC-FEB MAR-MAG GIU AGO BoTR1 0.00 1.24 10.55 BoTR2 0.18 0.61 11.21 BoTR3 0.35 -0.02 11.87 BoTR4 -1.92 0.14 12.21 BoTR5 -3.18 -0.13 11.44 BoTR6 -2.16 -1.72 9.12 BoTR7 -0.06 1.20 10.15 VaTR1 -0.34 0.94 9.29 VaTR2 -2.12 -0.28 9.10 VaTR3 -1.50 1.16 11.81 VaTR4 -0.50 -0.47 12.51 VaTR5 -0.19 -0.40 11.58

VaTR6 -0.15 -0.43 10.69 Tabella 46 - Temperatura VaTR7 -0.12 -0.47 9.81 del suolo (10 cm di profondità) misurata lungo i transetti nei trimestri invernale (DIC-FEB), primaverile (MAR-MAG) ed estivo (GIU-AGO)

Dall’analisi dei dati medi di temperatura del suolo è evidente come in entrambi i transetti essa vari in maniera irregolare in funzione della quota. In particolare nel trimestre invernale (DIC-FEB), in entrambe le aree di studio, la temperatura media del suolo è rimasta prossima agli 0°C nei siti a quota maggiore (VaTR7 e BoTR7), ad evidenziare il potere coibente del manto nevoso.

Interpretazione dei dati vegetazionali

La lista di specie floristiche rilevata per i singoli plot è stata oggetto di analisi delle preferenze delle piante per diverse condizioni termiche, sulla base di valori assegnati a ciascuna specie vegetale che sono stati determinati sperimentalmente per tutte le specie della flora europea. Si sono utilizzati a tale scopo i valori determinati dal botanico svizzero Landolt in ambiente alpino, che consentono la determinazione di indici fitoecologici basati sui valori del fattore climatico T di temperatura che descrive su una scala da 1 a 5 la preferenza delle specie sul gradiente termico, che va dalle specie di clima freddo delle zone boreali e delle montagne a specie di clima caldo mediterraneo. L’indice 1 di Landolt, il più basso della scala, si riferisce quindi alle specie microterme (artiche o artico alpine o alpine) che vivono e svolgono i loro cicli vitali in condizioni particolarmente severe dal punto di vista termico e meno tollerano temperature elevate. Formattato: Destro 0,63 cm 136 ARPA Piemonte Codice Fiscale – Partita IVA 07176380017 Area Funzionale Tecnica Ambiente e Natura Via Pio VII, 9 – 10135 Torino – Tel 01119680111 – fax 01119680025 – E-mail: [email protected]

Si è elaborata a tale scopo una struttura di controllo che consente di visualizzare, tramite grafici e tabelle, il trend evolutivo delle specie microterme lungo i transetti. Una valutazione indiretta del cambiamento climatico potrebbe essere, in questo caso, la perdita di specie di valore 1 lungo l’arco temporale. Anche se la composizione generale della flora rimane apparentemente invariata, il numero medio delle specie individuate su superfici standard potrebbe variare in maniera significativa, e si potrebbe verificare di conseguenza la sussistenza di una decisa variazione dei valori medi degli indici di Landolt sul valore complessivo di copertura delle specie.

Figura 53 - TLandolt su valori di comunità

T Landolt su valori di comunità

3,00 2,50 2,00 1,50 1,00 0,50 0,00 1234567

Bognanco Vannino

Figura 54 - Percentuale di specie microterme % specie microterme

1,20 1,00 0,80 0,60 0,40 0,20 0,00 1234567

Bognanco Vannino

Un secondo elemento di valutazione è quello del grado di scostamento dalla massima quota raggiunta attualmente dalle specie vegetali in caso di ritrovamento nei futuri rilevamenti delle piante a quote superiori, Formattato: Destro 0,63 cm 137 ARPA Piemonte Codice Fiscale – Partita IVA 07176380017 Area Funzionale Tecnica Ambiente e Natura Via Pio VII, 9 – 10135 Torino – Tel 01119680111 – fax 01119680025 – E-mail: [email protected]

da cui si potrà derivare un rateo di migrazione. Per determinare il limite superiore di riferimento delle specie, si sono utilizzati i valori riscontrati sul territorio nazionale, indicati nell'opera Flora d’Italia di S. Pignatti, a cui si è aggiunto uno studio locale realizzato nel solo Vallone del Vannino mediante ulteriori 141 rilievi di presenza floristica, distribuiti casualmente a tutti i livelli di quota del vallone. Estrapolando le specie di maggior significatività statistica, ritrovate in più di 30 punti, si è ottenuto un contingente di specie di cui si può con buona approssimazione ritenere definita la quota di riferimento. Poiché molte di queste specie hanno il loro limite massimo alla quota del punto di rilievo di maggior altitudine (punto 7) e possono risalire anche di 3-400 metri nelle condizioni attuali, sarà utile ricavare un’ulteriore punto vegetato a quote superiori, che sarà possibile ricavare nel vallone adiacente del Sabbione dove le coperture erbacee si estendono sulle pendici del Blinenhorn (Corno cieco) fino a 3000 m s.l.m.. Altri indici, derivati dall'elaborazione dei dati raccolti, sono quelli di biodiversità: (di ricchezza floristica, di dominanza e di equiripartizione) - che potranno segnalare, in un successivo campionamento ripetuto a distanza di qualche anno, l'evidenza di uno scostamento dalla situazione attuale. La biodiversità è normalmente intesa come ricchezza tassonomica. La tabella seguente (Tabella 47) mostra come questa ricchezza sia cambiata lungo i due transetti altitudinali, visualizzando il numero delle specie incontrate nei due anni di indagine.

Specie totali N° di specie 2009 N° di specie 2010 BoTR1 22 21 22 BoTR2 16 14 14 BoTR3 15 15 14 BoTR4 22 19 22 BoTR5 16 14 15 BoTR6 24 21 24 BoTR7 20 18 18 VaTR1 16 16 16 VaTR2 34 33 34 VaTR3 20 19 20 VaTR4 47 36 45 VaTR5 27 25 26 VaTR6 14 12 13 VaTR7 34 29 31

Tabella 47 - Numero di specie riscontrate lungo i due transetti

Senza dimenticare l’evidenza che, da un lato, esiste sempre un margine di incertezza legato al fattore umano e che, dall’altro, l’incremento del numero di specie nei punti 4 dei transetti è chiaramente legato ad un’analisi ripetuta nel tempo (i plots sono stati infatti visitati con una cadenza quasi settimanale durante la stagione vegetativa per le indagini di natura fenologica), un primo dato appare abbastanza manifesto.

Formattato: Destro 0,63 cm 138 ARPA Piemonte Codice Fiscale – Partita IVA 07176380017 Area Funzionale Tecnica Ambiente e Natura Via Pio VII, 9 – 10135 Torino – Tel 01119680111 – fax 01119680025 – E-mail: [email protected]

Con una presenza media di 19.27 specie (Dev. St. 3.59) contro valori decisamente più elevati (Presenza media = 27.43, Dev. St. 11.8) il vallone del San Bernardo mostra una variabilità interspecifica fortemente inferiore a quella del vallone del Vannino (Figura 55, Figura 56). Crediamo che questo sia imputabile soprattutto alla matrice geologica (pressoché costante nel vallone del San Bernardo e più variabile in quello del Vannino) che, evidentemente influenza le caratteristiche dei suoli e di conseguenza la distribuzione delle specie vegetali. A conferma, i valori chimici dei substrati pedogenetici presenti nel Vannino mostrano un range di variabilità più elevato, aprendo la via ad un numero maggiore di tipicità o di nicchie ecologiche.

Plots San Bernardo

30

25

20 N° di specie 2009 15 N° di specie 2010

Numero specie Numero 10

5

0 BoTR1 BoTR2 BoTR3 BoTR4 BoTR5 BoTR6 BoTR7 Plots

Figura 55 - Numero di specie osservate lungo il transetto di Bognanco nell’estate 2009 e nell’estate 2010

Formattato: Destro 0,63 cm 139 ARPA Piemonte Codice Fiscale – Partita IVA 07176380017 Area Funzionale Tecnica Ambiente e Natura Via Pio VII, 9 – 10135 Torino – Tel 01119680111 – fax 01119680025 – E-mail: [email protected]

Plots Vannino

50 45 40 35 30 N° di specie 2009 25 N° di specie 2010 20

Numero specie Numero 15 10 5 0 VaTR1 VaTR2 VaTR3 VaTR4 VaTR5 VaTR6 VaTR7 Plots

Figura 56 - Numero di specie osservate lungo il transetto del Vannino nell’estate 2009 e nell’estate 2010

La Biodiversità (Indici di Shannon e Simpson, Evenness)

Un modo più complesso di misurare la biodiversità è quello di far uso di indici che sono legati alla teoria dell’informazione e che fanno uso di tecniche di analisi multivariata. La diversità di una stazione non dipende, infatti, in modo esclusivo dal numero di taxa che la costituiscono. Seguendo Pignatti, la diversità intesa in senso più ampio esprime la misura della probabilità di trovare un assetto diversificato, sia dal punto di vista tassonomico sia dal modo in cui le specie tendono a saturare un ambiente. In altre parole, è ben diverso avere poche specie che tendono ad occupare un ambiente a discapito di altre piuttosto che incontrare specie equamente distribuite. In questo senso, nel concetto di diversità, trovano posto sia la ricchezza di specie che la loro equitabilità (Evenness). Gli stessi concetti si possono formulare in modo più tecnico. In un rilievo si trovano specie rare o comuni; un parametro della distribuzione è chiaramente il numero di specie, un altro è la struttura della distribuzione. Un tipo di approccio consiste nel combinare assieme queste due informazioni usando, ad esempio, la misura di entropia H. La species diversity può quindi essere definita come una misura della composizione specifica sia in termini di numero di specie sia della loro abbondanza relativa. E’ quindi un indice biotico sintetico che cattura un’informazione multidimensionale, relativamente alla composizione specifica di una comunità. L’indice può essere usato, in ambito teorico, per comparare diverse Formattato: Destro 0,63 cm 140 ARPA Piemonte Codice Fiscale – Partita IVA 07176380017 Area Funzionale Tecnica Ambiente e Natura Via Pio VII, 9 – 10135 Torino – Tel 01119680111 – fax 01119680025 – E-mail: [email protected]

comunità, nello spazio o nel tempo, come, ad esempio, in una successione o, in ambito pratico, per vedere gli effetti di un inquinante o di qualche tipo di impatto sull’ecosistema. In linea di principio l’indice non dovrebbe essere usato ad un livello tassonomico superiore alla specie, con il rischio di produrre risultati confusi o banali. Meglio restringere questo tipo di approccio ad un singolo taxocene, inteso come segmento tassonomico di una comunità o associazione (limitato sia dal punto di vista spaziale che ambientale). In ogni modo gli indici di diversità possono essere usati per confrontare osservazioni successive della stessa comunità (modalità O) oppure per campionare siti in aree diverse (modalità Q). Nel nostro caso si farà uso di tre indici:

• Shannon: si tratta della formula proposta da Boltzmann per il calcolo del valore di entropia in termodinamica. L’indice, qualora venga applicato alla diversità floristica, cresce dunque sia con la ricchezza che con l’equitabilità della flora. L’indice, in altre parole, cresce con l’aumento del disordine del sistema (si parla pertanto di negentropia e non di entropia), dove il massimo ordine (entropia) corrisponde a una situazione dove si ha una sola specie, cioè la massima dominanza (Figura 57 e Figura 58). • Simpson: l’indice varia da 0 a 1, ed esprime la probabilità che due individui estratti a caso dal campione appartengano alla medesima specie. Con l’aumentare dell’indice aumenta la dominanza e diminuisce la diversità. • Evenness: il valore aumenta da 0 a 1 con l’aumento dell’equitabilità del campione. Un valore prossimo a 1 indica un altissimo equilibrio nella distribuzione delle specie (Figura 59 e Figura 0).

Shannon Bognanco

2.500

2.000 n

1.500 Shannon 2009 Shannon 2010 1.000 Valori di Shanno 0.500

0.000 BoTR1 BoTR2 BoTR3 BoTR4 BoTR5 BoTR6 BoTR7 Plots

Formattato: Destro 0,63 cm 141 ARPA Piemonte Codice Fiscale – Partita IVA 07176380017 Area Funzionale Tecnica Ambiente e Natura Via Pio VII, 9 – 10135 Torino – Tel 01119680111 – fax 01119680025 – E-mail: [email protected]

Figura 57 - Indice di Shannon nelle aree del transetto di Bognanco nel 2009 e nel 2010

Evenness Bognanco

0.800

0.700

s 0.600

0.500 Evenness 2009 0.400 Evenness 2010 0.300

Valori di Evennes Valori di 0.200

0.100

0.000 BoTR1 BoTR2 BoTR3 BoTR4 BoTR5 BoTR6 BoTR7 Plots

Figura 58 - Valori di Evenness nelle aree del transetto di Bognanco nel 2009 e nel 2010

Sia i valori dell’indice di Shannon che l’Evenness mostrano un incremento costante del livello di biodiversità in tutti i plots. Questo è in parte dovuto alla tendenza generale all’incremento di specie, già evidente nel semplice computo numerico delle specie. Pur usando tutta la prudenza richiamata in precedenza, va comunque ribadito che, considerati entrambi gli indici, si nota un generale riequilibrio delle specie all’interno del sistema.

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Shannon Vannino

3.5

3

n 2.5

2 Shannon 2009 1.5 Shannon 2010

Valori di Shanno 1

0.5

0 VaTR1 VaTR2 VaTR3 VaTR4 VaTR5 VaTR6 VaTR7 Plots

Figura 59 - Indice di Shannon nelle aree del transetto del Vannino nel 2009 e nel 2010

Evenness Vannino

0.9 0.8 0.7 s 0.6 0.5 Evenness 2009 0.4 Evenness 2010 0.3 Valori di Evennes Valori di 0.2 0.1 0 VaTR1 VaTR2 VaTR3 VaTR4 VaTR5 VaTR6 VaTR7 Plots

Figura 60 - Valori di Evenness nelle aree del transetto del Vannino nel 2009 e nel 2010

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Mentre gli indici di Shannon riscontrati nei plots del Vannino concordano pienamente con quelli trovati nell’area del San Bernardo, l’Evenness mostra un valore “fuori tendenza” riguardo al quarto plot. Solitamente a un aumento del valore corrisponde l’acquisto di stabilità all’interno del sistema mentre, al contrario, soprattutto in un lasso temporale tanto breve, una diminuzione dello stesso è, spesso, fortemente legata ad un’azione di disturbo. Pur rimanendo nel campo della pura ipotesi, il disturbo potrebbe essere stato causato da fenomeni naturali, come ad esempio un evento valanghivo, o all’aumento della pressione antropica (l’aumento del carico di pascolo in alcuni punti del vallone, notato durante la stagione appena trascorsa). Mancano tuttavia riscontri oggettivi al riguardo. In ogni modo, a livello metodologico, lo stesso punto quattro del transetto del Vannino dimostra l’aumento di informazione quando questa è legata all’utilizzo di indici complessi. Infatti, pur essendo questo punto il più ricco di specie fra tutti i 14 considerati (San Bernardo e Vannino), e pur avendo mostrato il maggior incremento di taxa, quando vengono considerati assieme ricchezza ed equitabilità, può anche capitare che il valore mostri il contrario di quanto atteso.

INDICATORI SPECIE TERMOSENSIBILI Nome: Variazioni del numero e delle abbondanze relative di specie vegetali termosensibili, variazioni dell’indicazione termica espressa dalla vegetazione. Descrizione: applicazione alla vegetazione rilevata su superfici standard dell’indice fitoecologico T di Landolt (preferenza delle specie sul gradiente termico), e della numerosità relativa delle specie con valori di Landolt 1 e 2 per visualizzare il trend evolutivo delle specie microterme lungo il transetto altitudinale. Unità di misura: valore medio dell’indice T (temperatura) di Landolt pesato sul valore di abbondanza relativa delle specie, numerosità relativa (aggregata e disaggregata) delle specie microterme (L=1, L=2) , che meno tollerano temperature elevate. Periodicità di aggiornamento: 3-5 anni.

Nome: Rateo di migrazione altitudinale delle specie vegetali. Descrizione: valutazione dello scostamento nel tempo della quota massima raggiunta dalle piante, in riferimento a dati di letteratura (Flora italiana, S. Pignatti), e di campo (specie ritrovate in più di 30 punti di campionamento casuale nel vallone del Vannino-Formazza). Unità di misura: metri. Periodicità di aggiornamento: 3-5 anni.

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Nome: Comunità vegetale e biodiversità. Descrizione: applicazione alla vegetazione rilevata su superfici standard di indici di ricchezza specifica, dominanza, equiripartizione, per evidenziare scostamenti nel tempo. Applicazione del sistema di indici di Landolt diversi da T (F, R, N, H, D, L, K) per ottenere indicazioni indirette sulla contemporanea variazione di parametri edafici, pedologici, climatici. Unità di misura: numero di specie, incremento piante vascolari per fascia altitudinale, Indice di Shannon, Indice di Eveness, indici medi F, R, N, H, D, L, K pesati sulle abbondanze relative nella comunità. Periodicità di aggiornamento: 3-5 anni.

Nome: Indice di qualità biologica del suolo (QBS-ar, QBS-c). Descrizione: applicazione a campioni di pedofauna, con particolare approfondimento per i Collemboli, di indici basati sul grado di adattamento alla vita edafica delle specie campionate (Indice Ecomorfologico-EMI). Conteggio degli individui rilevati e considerazione di parametri quali il numero di Forme Biologiche Totali (FBT), il numero di Forme Euedafiche Totali (FET), il numero di Forme Euedafiche non occasionali (FE n.o.) per confronto con misure di riferimento. Unità di misura: valori Indice QBS-ar e QBSc, numero di individui per gruppi sistematici indicatori (Collemboli Tot, Tisanotteri, Coleotteri EMI20, Araneidi). Periodicità di aggiornamento: 2 anni.

Nome: Temperatura suolo Descrizione: Misura per ogni punto di rilievo sul gradiente altitudinale della temperatura a 10 cm di profondità nel suolo, tramite installazione di sensori e data loggers (i-button® DS1402D- DR8+) in grado di misurare e registrare la temperatura in continuo, con frequenza oraria, e con una sensibilità di ±0.5°C, al fine di acquisire i trend delle condizioni termiche del suolo. Unità di misura: °C. Elaborazione dati medie trimestrali. Periodicità di aggiornamento: 1 anno.

Nome: Giorni con copertura nevosa. Descrizione: La misura della temperatura del suolo a 10 cm di profondità permette di determinare indirettamente anche la data di scomparsa del manto nevoso e la durata della stagione vegetativa. Unità di misura: numero giorni. Periodicità di aggiornamento: 1 anno.

Formattato: Destro 0,63 cm 145 ARPA Piemonte Codice Fiscale – Partita IVA 07176380017 Area Funzionale Tecnica Ambiente e Natura Via Pio VII, 9 – 10135 Torino – Tel 01119680111 – fax 01119680025 – E-mail: [email protected]

4.2.2 Monitoraggio della pedofauna con aree di saggio permanenti

Tra le specie termosensibili figurano vari gruppi di fauna invertebrata che hanno evidenziato come la loro distribuzione in ambiente alpino sia condizionata da gradienti climatici (Caccianiga & Gobbi, 2010). Tra queste vi possono rientrare le comunità di pedofauna insediate nei suoli alpini di cui diversi studi (Cassagne et al., 2008; Jucevica & Melecis, 2002; Loranger et al., 2001) evidenziano una sensibilità alle variazioni di temperatura nel suolo, attribuibili ad esempio ad un diverso grado di innevamento. Ciò nonostante ancora non sono diffusi approcci integrati che mettano in relazione la vegetazione con la pedofauna e i parametri ambientali, al fine di individuare indicatori che possano nel tempo evidenziare gli effetti del clima e delle sue variazioni climatiche. Ai bordi delle aree campionate per la vegetazione sono state condotte su campioni di suolo le analisi della comunità dei microartopodi del suolo ovvero la porzione di dimensioni tra 0,2 e 2 mm, nota come mesofauna. Per studiare la mesofauna del suolo si effettuano 3 repliche di un decimetro cubo di suolo posti ai vertici di un triangolo distanti circa 10-15 m, in zone rappresentative del sito. Il campione, conservato e trasportato in borsa termica in frigo, viene quanto prima portato in laboratorio per procedere all’estrazione della pedofauna mediante il Selettore di Berlese-Tullgren. Ai risultati è stato applicato il metodo per la valutazione dell’Indice di Qualità Biologica del Suolo (QBS-ar) proposto dal Prof. Parisi dell’Università di Parma (2001), approccio che coniuga semplicità metodologica e possibilità di avere riscontri circa differenti situazioni di qualità biologica del suolo. Il metodo prevede lo studio delle forme biologiche a differente grado di adattamento alla vita edafica (come la riduzione delle appendici, l’assenza di occhi, la depigmentazione) e si basa sul principio che maggiore è l’adattamento, migliore è la qualità biologica del suolo, in quanto condizioni di stress chimico-fisico, dovute a cause sia antropiche sia naturali, comportano il depauperamento degli organismi più adattati, che essendo più vulnerabili e meno capaci ad affrontare condizioni sfavorevoli, sono i primi a scomparire. Ad ogni Forma Biologica della mesofauna è attribuito un Indice Ecomorfologico (EMI) il cui valore aumenta con il grado di adattamento alla vita edafica; con Forme Euedafiche (FE) s’intendono quelle forme biologiche, ad elevato adattamento, con punteggio EMI massimale (pari a 20). I singoli campioni sono stati esaminati prendendo in considerazione oltre agli indici di Qualità Biologica del Suolo QBS-ar, altri parametri quali il numero di Forme Biologiche Totali (FBT), il numero di Forme Euedafiche Totali (FET), il numero di Forme Euedafiche non occasionali (FE n.o.). Una forma euedafica è

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stata definita occasionale quando è presente in uno solo dei 3 campioni previsti per la valutazione dell’indice QBSar e in numero < 3. Sui campioni è stato inoltre valutato anche l’Indice di Qualità Biologica del Suolo mediante lo studio dei Collemboli (QBS-c) messo a punto dall’Università di Parma; questo indice, ancora in fase di sperimentazione, risulta di particolare interesse per gli ambienti alpini, poiché prevalentemente rappresentati da popolamenti di Acari e Collemboli e perché mostra una sensibilità maggiore alle variazioni di parametri quali il contenuto in sostanza organica e il regime idrico del suolo. Gli effetti congiunti della vegetazione e dell’altitudine sulle comunità di collemboli sono associabili ad una combinazione di parametri tra cui il pH, l’acidità di scambio (scambio ioni H+ e Al si esprime in meq/100 g suolo), potenziale redox, disponibilità dei nutrienti, forme libere di Al e altri metalli tossici, l’accumulo di materiale organico scarsamente umificato, la presenza di metaboliti secondari tossici di piante, la tossicità dell’atmosfera del suolo. Con l’aumentare della quota l’erosione impoverisce lo strato superiore del suolo a favore di quello inferiore, la mineralizzazione è rallentata dalle basse temperature e il materiale organico tende ad accumularsi. Le piante producono più metaboliti secondari, in particolare composti fenolici che inibiscono le proteine e rendono azoto zolfo e fosforo indisponibili, l’umificazione è rallentata e piccole molecole organiche favoriscono la lisciviazione di metalli attraverso il profilo del suolo (podzolizzazione).

Nelle tabelle 48 e 49 seguenti sono riportati i parametri caratterizzanti la mesofauna rinvenuta nelle stazioni di monitoraggio rispettivamente in Val Bognanco e Val Formazza.

Tabella 48 - Risultati de rilievi sul transetto della Val Bognanco

F.B. DI ARTOPODI - N° ESEMPLARI F.B. DI COLLEMBOLI - N° ESEMPLARI Codice Sito Codice Quota (m) (%) Umidità QBS-ar QBS-c FBT-ar FBT-c Araneidi Acari Proturi Collemboli Psocotteri Emitteri Tisanotteri Coleotteri Artropodi Altri Totale Artropodi acari/collemboli Anuroforide Criptopigide Dicirtomide Folsomidea Ipogastruride Isotomide Lepidocirtoide Neauride Onichiuride Orchesellide Sminturide Sminturoide BoTR1 1.616 105,2 77 59 7 2 6 580 0 40 0 2 0 0 14 642 14,5 0 0 0 16 0 0 0 0 2 0 0 0 BoTR2 1.706 27,9 86 37 6 1 0 583 0 9 0 0 0 1 10 603 64,8 0 0 0 0 0 0 0 0 3 0 0 0 BoTR3 1.827 63,3 58 73 8329400 321010397929,400 007 100 0 1400 BoTR4 1.949 36,8 77 26 8202700 130500829620,800 003 000 0 200 BoTR5 2.113 41,2 59 70 8503300307018286561,101 0031100 0 101 BoTR6 2.353 23,4 74 103 9 4 0 474 0 233 0 60 2 1 11 781 2,0 0 0 0 0 2 11 0 0 1 5 0 0 BoTR7 2.590 17,8 49 43 8318600 850100795410,100 0011400 0 100

Bosco Prateria alpina

Tabella 49 - Risultati dei rilievi sul transetto del Vannino

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F.B. DI ARTOPODI - N° ESEMPLARI F.B. DI COLLEMBOLI - N° ESEMPLARI Codice Sito Quota (m) Umidità (%) QBS-ar QBS-c FBT-ar FBT-c Araneidi Acari Proturi Collemboli Psocotteri Emitteri Tisanotteri Coleotteri Altri Artropodi Totale Artropodi acari/collemboli Anuroforide Criptopigide Dicirtomide Folsomidea Ipogastruride Isotomide Lepidocirtoide Neauride Onichiuride Orchesellide Sminturide Sminturoide FoTR1 1.795 30,0 149 565 13 8 4 903 294 391 7 188 0 4 58 1849 2,3 0 115 0 19 75 138 4 6 26 8 0 0 FoTR2 1.910 80,8 119 582 14 8 1 1316 8 350 6 27 2 1 21 1732 3,8 0 82 0 7 59 123 11 3 57 2 0 0 FoTR3 2.055 26,4 122 157 9 3 0 991 0 99 1 0 0 0 20 1111 10,0 0 0 0 0 43 6 0 0 137 0 0 0 FoTR4 2.165 24,3 59 83 940630210371171123,000001900 0 301 FoTR5 2.268 50,0 106 77 13 4 6 205 1 28 0 16 5 10 19 290 7,3 0 0 0 0 1 14 0 0 0 11 0 1 FoTR6 2.394 27,9 58 48 123542025116410941,7000012000 0 003 FoTR7 2.546 62,3 80 37 111830011015320782,700000000 2 000

Bosco Prateria alpina

I valori del QBSar in Val Bognanco sono piuttosto contenuti e vanno da un minimo di 49, corrispondente alla stazione più in quota, a un massimo di 86. In val Formazza il range è più ampio e va da un minimo di 58 rinvenuto in quota oltre i 2500 metri a un massimo di 149. In entrambi i transetti la massima espressione delle comunità si è avuta nel bosco tra 1700 e 1800 metri di altezza. Per quanto riguarda la presenza di forme adattate, oltre agli acari, organismi ubiquitari osservati in tutte le stazioni, le più rappresentate sono risultate i collemboli, rinvenuti a vari livelli altitudinali; proturi, pauropodi, chilopodi, diplopodi, sinfili e coleotteri si sono osservati prevalentemente nelle stazioni site a più bassa quota e rappresentate da ambiente boschivo o da margine di bosco. Totale assenza si è avuta relativamente a pseudoscorpioni, palpigradi (molto rari), ortotteri (famiglia Grillidae, rari) e dipluri; l’assenza di quest’ultimi era peraltro attesa dal momento che questi organismi prediligono climi caldi e temperati.

Tabella 50 - Parametri descrittivi mesofauna in Val Bognanco

BoTR1 BoTR2 BoTR3 BoTR4 BoTR5 BoTR6 BoTR7 min max

Quota 1616 1706 1827 1949 2113 2353 2590 1616 2590 QBSar 77 86 58 77 59 74 49 49 86 FBT 7 6 8 8 8 9 8 6 9 FET 3 3 1 2 1 2 1 1 3 FET n.o. 2 3 1 1 1 2 1 1 3

FBT: Forme Biologiche Totali, FET: il numero di Forme Euedafiche Totali, FET n.o. il numero di Forme Euedafiche non occasionali.

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Tabella 51 - Parametri descrittivi mesofauna in Val Formazza

FoTR1 FoTR2 FoTR3 FoTR4 FoTR5 FoTR6 FoTR7 min max Quota 1795 1910 2055 2165 2268 2394 2546 1795 2546 QBSar 149 119 122 59 106 58 80 58 149 FBT 13 14 9 9 13 12 11 9 14 FET 6 3 5 1 3 1 2 1 6 FET n.o. 4 3 3 1 1 1 2 1 4 FBT: Forme Biologiche Totali, FET: il numero di Forme Euedafiche Totali, FET n.o. il numero di Forme Euedafiche non occasionali.

I campioni di San Bernardo presentano valori di QBS-ar generalmente inferiori a Vannino ed il medesimo andamento si osserva per il numero di forme biologiche, sebbene la densità di gruppi generalmente dominanti quali acari e collemboli resti mediamente simile in entrambe le aree. Si deve però osservare che i campioni di Vannino mostrano per i parametri sopraccitati una variabilità tendenzialmente maggiore rispetto a San Bernardo, come risulta particolarmente evidente nel caso dei collemboli ad EMI 20; la cui numerosità mediamente maggiore in Vannino è fortemente influenzata dalle stazioni inferiori in bosco. Le altre forme biologiche ad elevato adattamento (es. sinfili, pauropodi) sono presenti con un esiguo numero di esemplari ad eccezione dei proturi nel già citato sito FoTR1, in cui si osserva anche una elevata densità di emitteri. Il QBS-c conferma la maggiore qualità biologica di Vannino rispetto a San Bernardo, ma si deve ulteriormente sottolineare come tale risultato sia fortemente legato ai siti in bosco. I valori di QBS-ar e QBS-c non sono correlati tanto con la quota, ma con la presenza di condizioni pedologiche stabili, ovvero favorevoli ed evolute (granulometria non fine, superficie vegetata stabile). In genere Acari e Collemboli hanno presenze maggiori nel più complesso ambiente boscato rispetto alla prateria alpina, contrariamente a quanto emerge per Tisanotteri e Coleotteri. Il rapporto Acari/Collemboli è sempre superiore ad 1, ovvero gli esemplari di Acari sono sempre più numerosi di quelli di Collemboli, denotando condizioni di equilibrio della biocenosi specialmente dove i valori del rapporto sono maggiori, ovvero nello specifico presso le aree boscate o prossime al bosco in Val Bognanco. Tuttavia si ritiene che i boschi di Vannino-Formazza, rispetto a quelli di Bognanco, siano meglio evoluti per una maggiore variabilità e per valori maggiori sia di QBS-ar, per altro favoriti dalla presenza dei Proturi aventi alta adattabilità e vulnerabilità, che di QBS-c. In Val Formazza si è osservata una maggior ricchezza FBT e FET soprattutto nelle stazioni localizzate in bosco di conifere.

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4.2.3 Analisi multivariata temperatura suolo, pedofauna e vegetazione

Le specie interagiscono tra loro e con il loro ambiente in modo continuo e questo ci obbliga a prendere atto del fatto che il manifestarsi di una specie dipende interamente da un contesto complesso che non possiamo fare a meno di valutare. Ora, poiché i set di dati sono generalmente presentati come un insieme di variabili intercorrelate, i metodi della statistica classica risultano a volte carenti. Infatti, le tecniche statistiche basate sulla distribuzione semplice, come la distribuzione normale unidimensionale, non sono molto adatte per l’analisi di data set complessi come quelli ecologici; quello che si ottiene è una massa di risultati che chiede, a sua volta, di essere interpretata, visto che il risultato finale dovrebbe essere quello di interpretare la variabilità della struttura nel suo insieme. E’ opportuno quindi servirsi sempre dei metodi della statistica multidimensionale che tengono conto della co-variabilità dei dati ecologici e che sono in grado di evidenziare le strutture sottese all’insieme dei dati. L’analisi univariata è inappropriata con la maggior parte dei dati ecologici, proprio perché si assume che le n variabili unidimensionali siano indipendenti fra loro e questo contraddice la struttura stessa dei data set, che sono multidimensionali; assumere che ci sia indipendenza tra le osservazioni è veramente poco realistico in ecologia e, pertanto, non è mai accettabile che si sostituisca l’analisi multidimensionale con una serie di elaborazioni unidimensionali. Per gli ecologi, dato il modo stesso in cui i dati vengono presentati, il linguaggio più ovvio è quello dell’algebra delle matrici; i data set ecologici, organizzati in righe (di solito siti o momenti temporali) e colonne (di solito variabili) sono, infatti, multidimensionali (o multivariati) e, di conseguenza, la ricerca di strutture ecologiche nei data set multidimensionali è sempre basata su matrici di associazione. Questo si traduce, dal punto di vista geometrico, in un passaggio da uno spazio cartesiano ad un iperspazio. Ad esempio, la nicchia fondamentale (l’insieme delle variabili ecologiche critiche per l’esistenza di una specie), e cioè il set di condizioni limite, definisce un ipervolume; detta in altro modo, gli assi spaziali descrivono la distribuzione “geografica” delle specie. Esistono solo due scelte possibili: raggruppare (clustering → cercare la discontinuità nei dati per ridurli in classi discrete), usando algoritmi agglomerativi, divisivi o compartimentali, oppure ordinare (ordination → cercare dei gradienti e, pertanto, caratterizzare la variazione degli oggetti in funzione di tutti i descrittori misurati), riducendo il numero di dimensioni. L’analisi cluster e l’ordinamento non sono mutuamente esclusivi, anche se, in certi contesti, l’una può essere preferita all’altra. Secondo la natura del problema le strutture saranno interpretate in modo diretto o indiretto e, comunque, dal punto di vista matematico, qualsiasi dato ecologico rappresenta una delle possibili realizzazioni di un processo stocastico; la differenza tra il campione e la superpopolazione rimarrà sempre e, di più, la qualità dei risultati non potrà mai essere superiore alla qualità delle analisi numeriche condotte sui dati.

Formattato: Destro 0,63 cm 150 ARPA Piemonte Codice Fiscale – Partita IVA 07176380017 Area Funzionale Tecnica Ambiente e Natura Via Pio VII, 9 – 10135 Torino – Tel 01119680111 – fax 01119680025 – E-mail: [email protected]

Per questo motivo, e forse andando al di là degli scopi di questa relazione, si ritiene opportuno trattare in modo puntuale il problema dell’analisi multivariata, fornendo un contributo che sarà comunque utile a tutti coloro che desiderassero approfondire questo argomento, per sua natura complesso. Per mostrare un’applicazione delle possibilità fornite dall’analisi multivariata, si riportano di seguito le analisi eseguite lungo i transetti che mostrano le connessioni tra variabili ambientali, pedofauna e vegetazione. In tutti i casi si è fatto ricorso agli algoritmi di calcolo presenti in MNDS che è il modello di calcolo che, più di tutti e con distorsioni estremamente limitate, mantiene le distanze ecologiche tra gli oggetti presenti nella prima matrice.

Bognanco: vegetazione e pedofauna In questo caso la prima matrice è rappresentata dalla vegetazione, ed è questa a definire le distanze ecologiche tra i siti. I descrittori pedofauna (derivanti dalla seconda matrice) vengono superimposti allo schema grafico sotto forma di vettori che hanno come punto di partenza il centroide della nuvola di punti definiti dalla matrice principale. Gli ambienti boscati, 1, 2 e 3 vengono nettamente separati dagli ambienti di quota, 5 e 6 (risultano agli estremi dell’asse 1, l’asse principale, quello che prima e maggiormente di ogni altro è in grado di dare informazioni nell’ambiente sintetico della rappresentazione grafica), con il punto 4 posizionato in posizione intermedia Sono ecologicamente molto affini i transetti di ambiente boscato 1, 2, 3 ed il 6 a prateria alpina (Figura 61).

Bognanco vegetazione e pedofauna

BoTR7

AltriOlo

Acari Axis 2 Axis

acasucol BoTR1BoTR2BoTR3

Isotomi ColEMI10 Coltotsc FBPprinc FBT-c Collembo

BoTR4

BoTR5BoTR6 Axis 1 Figura 61 - Relazione fra vegetazione e pedofauna nel transetto di Bognanco

Formattato: Destro 0,63 cm 151 ARPA Piemonte Codice Fiscale – Partita IVA 07176380017 Area Funzionale Tecnica Ambiente e Natura Via Pio VII, 9 – 10135 Torino – Tel 01119680111 – fax 01119680025 – E-mail: [email protected]

Dall’analisi dei vettori risultano molto correlati tra loro i parametri: Collemboli Isotomidi, Collemboli aventi EMI 10, Collemboli Totali, Forme Biologiche Totali di Collemboli, Forme Biologiche Principali, che sono più presenti nelle aree più elevate. Questo gruppo è inversamente correlato col Rapporto Acari/Collemboli che, al contrario, diventano più significativi nelle aree più basse, quelle forestali. Passando ad un ambito prettamente numerico, si nota che nel contesto delle correlazioni tra siti e parametri vegetazionali: - il gruppo di transetti ecologicamente coincidenti 1,2,3,6 è fortemente correlato con il parametro Rapporto Acari/Collemboli (r=-0,8562; tau=-0,751); - la buona correlazione del transetto 7 con Collemboli aventi EMI10 (r=0,862; tau=0,851) è comunque migliorata dal transetto 5; - il transetto 4, come già detto, si trova invece in una posizione intermedia tra questi estremi. Il secondo asse che, lo si ricorda, è assolutamente incorrelato al primo, spiega invece la grande affinità di Acari e altri Olotteri con il sito 7.

Bognanco: variabili ambientali e pedofauna

Non emergono forti vicinanze ecologiche tra i siti. Tuttavia, il secondo asse evidenzia la forte lontananza del transetto 2, e si possono notare due raggruppamenti: uno comprendente i transetti 1,6,7 e l’altro i transetti 2,4,5. Dall’analisi dei vettori risultano ben correlati tra loro i parametri: Forme Biologiche Principali, Forme Biologiche Totali di Artropodi, Forme Biologiche Totali di Collemboli derivanti da formule differenti, Forme Biologiche Totali di Collemboli, Collemboli Orchesellidi (Figura 62).

Formattato: Destro 0,63 cm 152 ARPA Piemonte Codice Fiscale – Partita IVA 07176380017 Area Funzionale Tecnica Ambiente e Natura Via Pio VII, 9 – 10135 Torino – Tel 01119680111 – fax 01119680025 – E-mail: [email protected]

Bognanco ambientali e pedofauna

BoTR3

FBTfodif FBT-c FBT-ar FBPprinc Orchesel

BoTR5

BoTR6 Ditteri BoTR1 BoTR4 Emitteri

BoTR7 AltriArt Axis 2 Axis

FETnonoc

Pauropo

BoTR2 Axis 1 Figura 62 - Relazione fra variabili ambientali e pedofauna nel transetto di Bognanco

Questo raggruppamento è inversamente correlato a Forme Euedafiche Totali ed ai Pauropodi. Di nuovo, il primo asse spiega invece le affinità di Ditteri, Emitteri e altri artropodi in un contesto in cui la disposizione dei siti va vista secondo un gradiente orizzontale (destra/sinistra) e non verticale (alto/basso).

Nel contesto delle correlazioni tra siti e parametri ambientali, si nota che: - il transetto 6 è fortemente correlato con i Ditteri (r=-0,703; tau=-0,411), gli Emitteri (r=-0,721; tau=- 0,451), gli Altri Artropodi (r=-0,686; tau=-0,488) migliorando in questi ultimi due casi le correlazioni dei transetti 1 e 7; - al primo gruppo di vettori ben correlati tra loro sopraccitato, tra cui emerge il parametro Forme Biologiche Totali di Collemboli derivanti da formule differenti (r=0,782; tau=0,586) si correla il transetto 5 ed ancora meglio il transetto 3; - al secondo gruppo di vettori, inversamente correlati ai precedenti, si correla massimamente ed unicamente il transetto 2, in particolare con i Pauropodi (r=-0,806; tau=-0,461).

Vannino: vegetazione e pedofauna

Sono ecologicamente affini i transetti 4, 5, 7 e moderatamente anche il 6, tutti a prateria alpina. Significativamente lontani tra loro i transetti boscati 1, 2 e 3.

Formattato: Destro 0,63 cm 153 ARPA Piemonte Codice Fiscale – Partita IVA 07176380017 Area Funzionale Tecnica Ambiente e Natura Via Pio VII, 9 – 10135 Torino – Tel 01119680111 – fax 01119680025 – E-mail: [email protected]

Dall’analisi dei vettori risultano correlati tra loro molti parametri; tra questi i maggiori contributi di correlazione sono riferibili a: Collemboli Neauridi, Collemboli Folsomidi, Collemboli Criptopigidi, QBS-c, Collemboli Totali, Collemboli Ipogastrulidi. A questo nutrito gruppo, si correlano inversamente i soli parametri dei Tisanotteri e dei Collemboli Sminturoidi (Figura 63).

Vannino vegetazione e pedofauna

VaTR6 Tisanott

Sminoide

VaTR5

VaTR4 VaTR7 Axis 2

Di-larve

LarveIns VaTR3

Emitteri CoEMI20 Isotomi FBPprinc FBT-c

Proturi

FET AranEMI5 FBTfodif Ditteri Neauride Lepidoci QBS-ar Folsomi AltriArt VaTR2 Onichiur Psocotte VaTR1 Criptopi Acari PcoEMI20 Coltotsc AxisTotArtro 1 QBS-c Collembo Ipogastr Figura 63 - Relazione fra vegetazione e pedofauna nel transetto del Vannino

Nel contesto delle correlazioni tra siti e parametri vegetazionali, si nota che: - nell’ordine i transetti 3, 2 ed 1 si correlano progressivamente con il cospicuo gruppo di parametri sopraccitato, aventi tutti r>0,6. - analogamente, nell’ordine i transetti 7, 4, 5 e 6 si correlano progressivamente coi gli unici altri parametri considerabili, ovvero i Tisanotteri (r=0,816; tau=0,651) e dei Collemboli Sminturoidi (r=0,762; tau=0,816).

Vannino: variabili ambientali e pedofauna

Risultano ecologicamente affini in modo moderato due distinti gruppi di transetti: 5-7 entrambi di prateria alpina e 2-6 di ambiente vario, ossia il primo boscato ed il secondo di prateria alpina.

Formattato: Destro 0,63 cm 154 ARPA Piemonte Codice Fiscale – Partita IVA 07176380017 Area Funzionale Tecnica Ambiente e Natura Via Pio VII, 9 – 10135 Torino – Tel 01119680111 – fax 01119680025 – E-mail: [email protected]

Dall’analisi dei vettori emerge una correlazione coerente, da cui tuttavia emergono due raggruppamenti: l’uno rappresentato da Collemboli con EMI 20, Araneidi con EMI 5, Proturi; l’altro caratterizzato da Larve di Insetti, Forme Biologiche Totali di Artropodi, Araneidi. Isolato da questi contesi risulta infine il parametro relativo ai Diplopodi con EMI 20 (Figura 64).

Vannino ambientali e pedofauna

VaTR1

VaTR4

CoEMI20 AranEMI5 Proturi

VaTR6 LarveIns Axis 2 FBT-ar

VaTR2 Araneidi

VaTR3

DipEMI10

VaTR7

VaTR5 Axis 1 Figura 64 Relazione fra variabili ambientali e pedofauna nel transetto del Vannino

Nel contesto delle correlazioni tra siti e parametri ambientali, si nota che: - i transetti 2 e 6 si correlano modestamente con tutti i paramentri considerabili - il transetto 1 si correla con il primo raggruppamento sopraccitato, specialmente con le Forme Biologiche Totali di Atropodi (r=0,869; tau=0,451) - il transetto 7 trova una significativa correlazione con gli Araneidi (r=0,784; tau=0,39) - sempre il transetto 7, ma massimamente il 5, risultano ben correlati con i Diplopodi con EMI 20 (r=0,629; tau=0,461)

Bognanco: variabili ambientali e vegetazione In ambiente NMDS sono state anche valutate le matrici relative al popolamento vegetale e ai parametri ambientali. La prima figura mostra l’andamento lungo il transetto di Bognanco. Ad esclusione della quota, che intercetta perfettamente l’andamento altitudinale dei siti, il solo primo asse è in grado di definire le altre variabili. Il limo Formattato: Destro 0,63 cm 155 ARPA Piemonte Codice Fiscale – Partita IVA 07176380017 Area Funzionale Tecnica Ambiente e Natura Via Pio VII, 9 – 10135 Torino – Tel 01119680111 – fax 01119680025 – E-mail: [email protected]

grosso, i valori di pH e di azoto negli orizzonti minerali aumentano con le quote mentre, assolutamente separati dagli altri siti e molto più simili dal punto di vista ecologico, i siti forestali sono chiaramente definiti, come atteso, da valori più elevati per il carbonio organico, il rapporto carbonio azoto degli orizzonti minerali e organici e le temperature medie invernali (Figura 65).

Bognanco A

BoTR5

BoTR3 BoTR2 BoTR1 C org C/N org

C/N min

N min DIC FEB Limo gr pH min

BoTR6

BoTR4 Axis 2 Axis

Quota

BoTR7 Axis 1

Figura 65 Relazione fra variabili ambientali e vegetazione nel transetto di Bognanco

Vannino: variabili ambientali e vegetazione Molto più complessa appare la spiegazione del transetto del Vannino e, risulta persino inutile tentare un commento che non farebbe altro che ripetere pedissequamente ciò che viene mostrato nella figura, punto per punto, nell’impossibilità di effettuare un passaggio dal puntuale al sintetico (Figura 66). Si nota infatti come i parametri chimici e fisici del suolo (i più) risultino quasi indifferenti al gradiente altitudinale o agli ambienti mentre, al contrario, quando la vegetazione è studiata in sé, segue di pari passo le variazioni del sistema nel suo complesso. Si deve comunque notare che, a differenza del transect di Bognanco, la matrice geologica del Vannino risulta molto più eterogenea e questo può influire parecchio nel rendere meno agevole un commento più generale e ad ampia scala.

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Vannino

VaTR6

VaTR3

N org

VaTR4 C org VaTR1 Sabbia f Limo gr Esposiz

Axis 2 Sabbia g Limo fi Pendenz

VaTR5

pH min

VaTR2 pH org

VaTR7 Axis 1 Figura 66 - Relazione fra variabili ambientali e vegetazione nel transetto del Vannino

Interpretazione dei dati di pedofauna su transetto

Dall’applicazione delle tecniche statistiche precedentemente discusse, nonostante il numero di stazioni non fosse elevato, sono emerse alcune correlazioni significative tra alcuni parametri, diverse tra i due siti di Bognanco e Vannino. Le comunità di pedofauna osservate, sottoposte hanno evidenziato una correlazione significativa dei quantitativi di Collemboli totali (densità), Collemboli aventi EMI 10, e di varietà di Forme Biologiche Totali che sono più presenti nelle stazioni più elevate e inversamente correlati con il rapporto Acari/Collemboli, determinanti nelle stazioni forestali sia con i dati ambientali che hanno maggior peso negli ordinamenti (TOC nel topsoil e nel subsoil, TN nel subsoil, rapporto C/N, Temperature medie estive del suolo), sia con i dati di vegetazione. Con i soli parametri ambientali versus pedofauna si verifica un incremento del parametro Tisanotteri in ambienti di prateria e Araneidi EMI 1 nelle stazioni più elevate. Sono anche significativi i Coleotteri con EMI <20. In particolare i Tisanotteri, preferenzialmente fitofagi, risultano presenti in ambienti di prateria alpina e dalle correlazioni risulta molto significativo il rapporto con il rapporto C/N nel subsoil e con le temperature del suolo nel periodo primaverile. In ambiente boscato sono diversi i parametri correlati, con maggiori contributi da Collemboli Neauridi, Folsomidi, Criptopigidi, Ipogastrulidi e Collemboli Totali. I valori degli indici sintetici di qualità (QBS-ar e QBS- Formattato: Destro 0,63 cm 157 ARPA Piemonte Codice Fiscale – Partita IVA 07176380017 Area Funzionale Tecnica Ambiente e Natura Via Pio VII, 9 – 10135 Torino – Tel 01119680111 – fax 01119680025 – E-mail: [email protected]

c) non risultano correlati tanto con la quota, ma con la presenza di condizioni pedologiche stabili, cioè favorevoli ed evolute (granulometria non fine, superficie vegetata stabile). Su suolo in quota mantengono valori inferiori, ma significativi. Tra i singoli gruppi di Collemboli presi in esame, emerge l’importanza relativa degli Isotomidi e degli Onichiuridi nella fascia superiore del bosco. I risultati evidenziano l’utilità dell’approccio integrato e soprattutto la significatività delle analisi delle popolazioni di Collemboli, come organismi sensibili alle condizioni termiche del suolo, mentre il ruolo di bioindicatore dei Tisanotteri pare limitato all’ambiente di prateria alpina. Questi dati confermano l’importanza di sviluppare ulteriori indagini integrate per meglio interpretare le complesse dinamiche che determinano i dinamismi naturali. Le stazioni dei due transetti sono state recentemente candidate per essere incluse all’interno del sito Ambienti d’Alta quota Alpi Occidentali della rete Long Term Ecological Research (LTER - Italia) di monitoraggio ecologico a lungo termine, dove l’uso dei bioindicatori individuati potrà auspicabilmente trovare applicazione.

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4.3 Monitoraggio dei suoli periglaciali e deglacializzati

Nel contesto delle Alpi Lepontine e della Val Formazza, il settore più interno e continentale della Valle d'Ossola, si inserisce la valle incisa dal Rio Sabbione (Hohsand), contraddistinta dalla cima più elevata dell'alta Ossola, il Blinnenhorn o Corno Cieco (3.374 m s.l.m.). L'esposizione prevalente a nord-est, i venti e le perturbazioni che giungono dalle vicine Alpi Bernesi, sede dei più grandi ghiacciai alpini, predispongono la valle ad una forte attività glaciale, che ha il suo epicentro sui versanti settentrionali a monte della diga artificiale del Sabbione (2.463 m s.l.m.) tra la Punta d'Arbola ed il Blinnenhorn. Il regresso dei ghiacciai negli ultimi due decenni, con l’emersione del ghiacciaio meridionale del Sabbione, dalle acque del lago e la quasi scomparsa dei ghiacciai di dimensioni e quote minori, rendono questa area di grande interesse per lo studio degli effetti del cambiamento climatico in atto sul glacialismo e sulle forme di vita ad esso associate. La presenza del ghiaccio, del bacino idroelettrico della Val Formazza (Lago del Sabbione), insieme alla complessa morfologia hanno impedito il pascolamento delle coltri erbacee e il limitato accesso (l’area è solo raggiungibile a piedi, tramite il sentiero che parte dal lago artificiale di Morasco) ha consentito l’ottimo stato di conservazione della vegetazione. Per fornire un quadro descrittivo della biodiversità vegetale dell'intera area, è stata esaminata una porzione del territorio della valle compresa tra il ghiacciaio settentrionale dell'Hohsand, la porzione superiore in sinistra idrografica del bacino del lago artificiale del Sabbione, e il versante meridionale del Corno Cieco o Blinnenhorn. Ulteriori approfondimenti si sono svolti nell’area a monte del Rifugio Mores, sulle falde del Banhorn o Corno di Ban (3028 m s.l.m.) in corrispondenza del Piano dei Camosci e sul fronte glaciale del ghiacciaio settentrionale dell’Hohsand. Il settore più a nord della Val Formazza in particolare la valle del rio Sabbione, è sede di una forte attività glaciale, che ha il suo epicentro attorno alla Punta d'Arbola ai cui piedi si estendono due le lunghe fiumane di ghiaccio del ghiacciaio del Sabbione. Altri piccoli ghiacciai costellano le punte più vicine come il ghiacciaio del Forno ai piedi delle Torri del Vannino e piccoli circhi glaciali attorno ai Corni di Ban, mentre sullo spartiacque svizzero si affacciano i grandi ghiacciai del Basodino e del Gries. Il regresso dei ghiacciai nell'Ossola ha visto negli anni ‘90 l’emersione del ghiacciaio meridionale del Sabbione dalle acque dell'omonimo lago artificiale, un arretramento intenso di quello settentrionale e la quasi completa scomparsa di quelli di dimensioni e quote minori. Quest’abbondanza e vulnerabilità dei ghiacciai, assieme alla presenza di forme di permafrost quali i rock-glacier, un insieme di blocchi rocciosi e di ghiaccio soggetto a lento e continuo movimento verso valle, ne fanno un ambiente particolarmente idoneo allo studio della vegetazione e della pedofauna periglaciale.

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L’ambiente periglaciale dell’area del Lago del Sabbione I dati sull’ambiente periglaciale dell’area del Lago del Sabbione derivano dalle attività condotte nell’ambito sia del progetto PermaNet, sia del servizio istituzionale di Arpa Piemonte sul monitoraggio del permafrost. Arpa Piemonte ha avviato negli ultimi anni un’indagine con l’obiettivo di migliorare le conoscenze sulle caratteristiche e sulla distribuzione del permafrost nelle Alpi piemontesi, fino a poco tempo fa del tutto frammentarie e lacunose. Le attività di rilievo del permafrost assieme a quelle di rilievo meteorologico al Pian dei Camosci ed alle indagini glaciologiche svolte dal Comitato Glaciologico italiano, oltre a contribuire alla conoscenza di un patrimonio naturale incontaminato, potranno negli anni futuri, se le indagini proseguiranno, fare di quest’area un laboratorio a cielo aperto per gli studi sul rapporto tra clima alpino e biodiversità.

Il permafrost (contrazione dei termini inglesi permanently frozen ground) si definisce come il terreno o la roccia che rimane al di sotto della temperatura di 0 °C per più di due anni consecutivi. Il materiale può essere secco o può contenere acqua allo stato liquido, anche se le temperature sono < 0 °C (ad es. a causa di sali disciolti o di falde in pressione che abbassano la temperatura di congelamento).Gli ambienti con permafrost sono tra quelli in cui gli effetti del riscaldamento globale si manifestano probabilmente in modo più intenso. Tali alterazioni producono significativi impatti sia sugli equilibri naturali (ad es. modificazioni nel ciclo del carbonio e nel ciclo dell’acqua), sia sulle attività umane in ambiente montano (instabilità dei versanti con danni alle infrastrutture, perturbazione dei circuiti idrogeologici, ecc.). Il permafrost è considerato quindi un indicatore privilegiato del cambiamento climatico: la conoscenza della sua distribuzione e delle sue caratteristiche costituisce la base di un programma di monitoraggio sia per valutarne l’evoluzione, sia per la conoscenza del cambiamento climatico e dei suoi effetti a livello locale. Nel bacino del Lago del Sabbione le aree glacializzate, riferibili principalmente agli apparati del ghiacciai del Sabbione, dei Camosci e del Blindenhorn, sono piuttosto estese, benché negli ultimi anni si sia assistito ad una loro importante riduzione (vedi paragrafo relativo all’evoluzione del Ghiacciaio del Sabbione). Nelle aree con copertura glaciale di tipo temperato, normalmente il permafrost non è presente. Infatti, in questo tipo di ghiacciai, la base presenta una temperatura superiore agli 0°C e vi è circolazione di acqua allo stato liquido; questi due fattori consentono peraltro lo scorrimento della lingua glaciale e il suo avanzamento verso valle, inficiando tuttavia la formazione di condizioni di permafrost. La presenza di ghiacciai sospesi o altri tipi di ghiacciai a base fredda è, invece, indicatore della potenziale presenza di permafrost, situazione che si verifica in corrispondenza della P.ta del Sabbione (Hohsandhorn), del Passo di Blinden e del Corno Cieco (Blindenhorn). Dalla carta della criosfera, nell’area di interesse (Figura 9) si può osservare come il permafrost di tipo “possibile” e/o “probabile” (in base al modello empirico) sia distribuito prevalentemente lungo i settori di cresta, circostanti anche le aree glacializzate, a quote superiori i 2200 m ed è assente sui versanti esposti a S e a SE. Il permafrost di tipo “relitto” fa riferimento ad una situazione climatica del passato in cui le

Formattato: Destro 0,63 cm 161 ARPA Piemonte Codice Fiscale – Partita IVA 07176380017 Area Funzionale Tecnica Ambiente e Natura Via Pio VII, 9 – 10135 Torino – Tel 01119680111 – fax 01119680025 – E-mail: [email protected]

temperature mediamente inferiori rispetto alle attuali hanno consentito la formazione di condizioni di permafrost a quote fino a 1700 m sui versanti nord, permafrost oggi fortemente in disequilibrio ed in rapida degradazione (qualora ancora presente). Un’area particolarmente interessante dal punto di vista periglaciale nella quale si sono concentrate al momento alcune attività di approfondimento è quella costituita dal versante settentrionale del Corno di Ban (quota 3027 m). Il settore è caratterizzato da un terrazzo che si raccorda a monte con un versante più acclive ricoperto di detriti provenienti dalle soprastanti pareti rocciose di Punta della Sabbia e del Corno di Ban. Sulla superficie terrazzata poco acclive è presente un sottile livello detritico in parte pedogenizzato soggetto a locali processi di geli-soliflusso. Sul margine orientale della superficie terrazzata è stato anche rilevato un rock glacier di tipo attivo. Il rock glacier è una tipica forma dell’ambiente periglaciale, in questo caso costituito da una lingua detritica, rigonfia nella parte frontale a testimoniare la presenza di ghiaccio interstiziale al suo interno, che ne condiziona anche il lento movimento verso valle. Gli approfondimenti effettuati riguardano sia l’analisi della pedofauna e della vegetazione che l’esecuzione di rilievi BTS di temperatura che consentono di individuare e cartografare preliminarmente la presenza di permafrost e/o di ghiaccio sepolto. Il metodo si basa sul principio che la temperatura alla base del manto nevoso, alla fine della stagione invernale, corrisponde alla quantità di calore immagazzinata dal terreno durante l’estate ed al flusso di calore terrestre dell’area. In letteratura i valori di temperature ≤ -3° C indicano un’alta probabilità della presenza di permafrost e/o di ghiaccio sepolto, mentre i valori compresi tra -1,7 e -3° C suggeriscono una sua possibile presenza. La metodologia consiste nel rilevare la temperatura del suolo al di sotto di una coltre di neve di potenza superiore a 100 cm nel raggio di 10 m, al termine dell’inverno ma prima che la fusione del manto nevoso abbia inizio. Nella figura 1 si può osservare come la distribuzione delle temperature rilevate a fine marzo del 2011 delimitino con precisione il contesto del rock glacier attribuendo una elevata probabilità di presenza di condizioni di permafrost, mentre i settori circostanti, in contrapposizione con il modello empirico, ne risultano privi. Il proseguimento degli studi in questa area consentirà di definire meglio la distribuzione del permafrost e le sue implicazioni con gli ecosistemi e con il contesto glaciale e climatico locale.

Vegetazione periglaciale e di ambienti di recente deglacializzati

Per quanto riguarda la vegetazione periglaciale, si definisce tale tutta quella vegetazione che subisce delle perturbazioni per le condizioni di substrato e di microclima determinate dalle azioni del geliflusso e dell’instabilità che ne deriva. La vegetazione periglaciale è regolata dalle temperature critiche, che nelle notti del periodo estivo oscillano in vicinanza di 0°C. Ciò limita fortemente lo sviluppo vegetativo e spesso anche la riproduzione. L'alternanza Formattato: Destro 0,63 cm 162 ARPA Piemonte Codice Fiscale – Partita IVA 07176380017 Area Funzionale Tecnica Ambiente e Natura Via Pio VII, 9 – 10135 Torino – Tel 01119680111 – fax 01119680025 – E-mail: [email protected]

di gelo e disgelo agisce soprattutto nei substrati con elevate componenti limo-argillose imbibite di acqua dove il rigonfiamento del suolo, per la formazione di ghiaccio, provoca danni agli apparati radicali sia delle piante di piccola taglia e isolate sia ai margini delle zolle erbose aperte. L'evoluzione verso fasi più stabili, con l’insediamento di specie gregarie, è un chiaro indizio di miglioramento del clima. La presenza di determinati tipi di vegetazione potrebbe quindi essere utile per dedurre, con una certa approssimazione, l’evoluzione di queste forme morfologiche. Da ciò si deduce la proponibilità di un programma di monitoraggio su stazioni di vegetazione periglaciale basato sullo studio di alcune comunità vegetali. A tal fine, nel progetto è stato avviato un primo programma di rilievi vegetazionali abbinati a rilievi di pedofauna su alcune aree sperimentali: l’area del rock-glacier ai piedi del Corno di Ban sul versante in destra della diga del Lago dei Sabbioni, un lobo di geliflusso nei pressi del rifugio Mores, i fronti glaciali del ghiacciaio del Sabbione settentrionale e del ghiacciaio del Forno. A queste aree è stato affiancato anche un rilievo in territorio di Macugnaga, sulla cresta del Monte Moro nel massiccio del Monte Rosa, dove Arpa Piemonte ha installato uno dei 4 sondaggi profondi regionali per lo studio del permafrost nell’ambito del progetto Permanet. Lo studio del fronte deglacializzato del ghiacciaio dell’Hohsand settentrionale è stato realizzato mediante confronto tra la porzione di più recente deglaciazione in cui si evidenziano i primi stadi di colonizzazione della vegetazione, rilevati in corrispondenza delle tacche del rilievi glaciologici del fronte databili al 2008, e la comunità sviluppatasi sui suoli scoperti dal ghiacciaio 30 anni fa in corrispondenza della marca del 1978. Le coperture in quest’ultimo sito deglacializzato da più di 30 anni, sono ancora basse (4%), tuttavia si apprezza già la creazione di tasche vegetative che consentono l’ingresso di un maggior numero di specie vascolari e l’inizio della colonizzazione anche da parte dei muschi. Tra le specie vascolari si distinguono Campanula cenisia, Herniaria alpina e Poa laxa, assai rappresentate sulle morene laterali, Saxifraga azoides, concentrata lungo i numerosi rivoli di fusione delle acque provenienti dalle pareti laterali della valle glaciale, a cui si aggiungono sporadicamente Saxifraga oppositifolia, Cardamine alpina, Achillea nana, Artemisia genipi, la felce Cystopteris fragilis, Erigeron uniflorus, Euphrasia minima, Sagina glabra, Saxifraga biflora, Sedum atratum, Senecio incanum. La prima comunità insediata sul fronte di più recente de glaciazione (2008) è pressoché dominata da Saxifraga oppositifolia accompagnata da Saxifraga biflora e Linaria alpina. Da queste prime indicazioni non è possibile trarre conclusioni sennonché nelle zone già libere da 30 anni i fronti deglacializzati si stanno velocemente trasformando e viene confermato come la specie più attiva nel colonizzare il fronte glaciale Saxifraga oppositifolia sia già dominata dopo soli 30 anni. La tendenza evolutiva è quella di creare una comunità simile ai vicini depositi morenici sul versante, cominciando già precocemente a registrare l’ingresso in modo disperso e a copertura molto bassa di un discreto numero di piante vascolari anche non necessariamente resistenti ai climi rigidi (Cystopteris) e muschi in grado di portare avanti i primi stadi di colonizzazione. Analogo punto risalente al 1978 è stato rilevato sul ghiacciaio Formattato: Destro 0,63 cm 163 ARPA Piemonte Codice Fiscale – Partita IVA 07176380017 Area Funzionale Tecnica Ambiente e Natura Via Pio VII, 9 – 10135 Torino – Tel 01119680111 – fax 01119680025 – E-mail: [email protected]

del Forno dove la situazione morfologica più simile a un circo glaciale non consente di rilevare substrati colonizzabili a causa degli ammassi rocciosi grossolani lasciati dal ritiro di un ghiacciaio. Questi primi dati vegetazionali evidenziano come il dinamismo della vegetazione periglaciale sia estremamente sensibile all'andamento annuale del clima. Progressioni e regressioni della vegetazione si alternano a seconda dell'andamento annuale sui fronti di regressione e le variazioni avvengono in periodi brevi e possono presentarsi in sequenze coerenti da cui dedurre le tendenze in atto. Anche le variazioni della vegetazione insediata sui rock-glacier sembrerebbero rispondere in modo evidente e per periodi brevi. Le forme attive dei rock-glacier sono di norma occupate da un mosaico di substrati instabili con elevata pietrosità intercalati ad altri con scheletro medio-fine, depressi e sensibilmente più stabili. La vegetazione tipica è quell’erbacea discontinua e con bassa copertura, tipica dei ghiaioni a substrato instabile degli orizzonti alpino-nivali, sulle rocce silicee dell’Ossola dominate dall’associazione ad Androsace alpina con un ridotto numero di specie. La zona di rilevamento, prossima all’area dove è stato eseguito il campionamento di pedofauna in corrispondenza di un accumulo detritico colluviale in cui i rilievi di temperatura BTS hanno confermato un’elevata probabilità di presenza di permafrost, risulta fortemente limitante per lo sviluppo della vegetazione per il substrato incoerente e l’elevata pendenza. Solo una specie: Saxifraga oppositifolia, appare in grado di colonizzare questi substrati, creando piccole isole di vegetazione tra i detriti. Le altre specie presenti in modo sporadico sono: Polyrichum formosum, Saxifraga biflora, Pritzelago alpina, Poa alpina.

Nel sito con i lobi di geliflusso (UTM: 450494 Est; 5141351 Nord; quota 2539 slm; esposizione 2° Nord; pendenza 9°) si è provveduto anche a campionare gli orizzonti superficiali del suolo. Il campionamento del suolo è stato altresì effettuato in un sito adiacente (UTM: 450587 Est; 5141341 Nord; quota 2554 slm; esposizione 357° Nord; pendenza 13°), all’interno di un macereto, non ancora colonizzato da fanerogame vascolari. I campioni sono stati essiccati e, successivamente, setacciati per la separazione della "terra fine", ovvero della frazione con diametro inferiore a 2 mm, dallo scheletro. Le analisi chimico-fisiche sono state condotte per la determinazione di Corg, Ntot, pH, e tessitura (solo orizzonti minerali).

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Figura 67 - Sito di rilievo e di campionamenti del suolo nell’area del Lago del Sabbione

Le caratteristiche chimiche e fisiche dei suoli sono riportate nelle tabelle sottostanti (Tabella 52 e Tabella 53).

pH org C org % N org % C/N org pH min C min % N min % C/N min FoSabb 5.8 10.60 0.75 14.1 5.3 4.70 0.36 13.1 FoSabbMac - - - - 6.0 0.80 0.05 15.1

Tabella 52 - Dati chimici dei suoli campionati in prossimità del Lago del Sabbione

Limo Limo Sabbia Sabbia Argilla fine grosso fine grossa FoSabb 1,3 3,5 8,4 28,4 58,5 FoSabbMac 0,8 3,4 5,1 30,6 60,1 Tabella 53 - Dati tessiturali (%) dei suoli campionati in prossimità del Lago del Sabbione

In prossimità del Lago Sabbione, nell’inverno 2010-2011, sono stati collocati anche data loggers UTL-1 per la misura della temperatura del suolo a 10 cm di profondità. I dati medi mensili sono riportati nella Tabella . I dati raccolti evidenziano un forte abbassamento della temperatura del suolo nel corso dell’inverno, con una temperatura minima di -12.6 °C, registrata il 23 Gennaio 2011. La temperatura massima, pari a 19.0 °C è stata invece registrata il 27 giugno 2011. Tali valori potrebbero far ipotizzare la presenza di permafrost

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o,comunque, di un’area fortemente soggetta all’azione eolica, in grado di rimuovere il manto nevoso e ridurne in questo modo il potere isolante.

sett ott nov dic gen feb mar apr mag giu lug ago sett

4,2 0,7 -0,4 -4,9 -7,9 -6,4 -4,9 0,5 4,8 6,2 6,4 9,3 7,2

Tabella 54 - Dati di temperatura media mensile del suolo (0°C) registrati in un sito prossimo al Lago Sabbione, nel periodo 2010-2011

Le caratteristiche della vegetazione sono riportate nella Tabella seguente.

FoSab a FoSab b FoSab c FoSab d Achillea nana L. 0 0.5 0.5 0.5 Arabis caerulea (All.) Haenke in Jacq. 0 0.1 0 0 Bartsia alpina L. 0.5 1 1 2 Carex curvula All. 1212 Gentiana terglouensis ssp. schleicheri (Vacc.) Tutin 0 0.5 0 0 Kobresia myosuroides (Vill.) Fiori in Fiori et Paol. 0 0.5 0 0 Leontodon pyrenaicus Gouan 0 0 0.5 0 Leucanthemopsis alpina (L.) Heywood 0.5 0.5 0.5 0.5 Ligusticum mutellinoides (Crantz) Vill. 0.5 0.5 0.5 0.5 Luzula alpinopilosa (Chaix) Breistr. 0.5 0 0 0 Minuartia sedoides (L.) Hiern 1 0.5 0.5 0.5 Myosotis alpestris F. W. Schmidt 0.5 0.5 0.1 0.5 Oxytropis fetida (Vill.) DC. 0.5 0.5 0 0 Pedicularis kerneri Dalla Torre 0.5 0 0.1 0 Poa alpina L. 0.50.50.50.5 Polygonum viviparum L. 0.5 1 1 2 Ranunculus glacialis L. 0.5 1 1 0.5 Salix herbacea L. 1 0.5 0 0 Salix retusa L. 0.5 0 0 0 Saxifraga oppositifolia L. 0.50.50.50.5 Saxifraga seguieri Sprengel 0.1 0.5 0 0 Silene acaulis (L.) Jacq. 7 5 5 3 Veronica aphylla L. 0.5 0.1 0 0

Tabella 55 - Rilievi vegetazionali (plot) nel sito del Lago dei Sabbioni (Comune di Formazza. La tabella indica i valori di copertura percentuale dei singoli taxa all’interno dei sub-plots rock glacier Moro Forno Forno2 Sabbioni Hohsand Hohsand 25/08/201 26/08/201 26/08/201 22/07/201 22/07/201 data 0 0 0 21/07/2011 1 1 Pianoro sotto c/o segno parete c/o segno stabile in 1982 su prasinitica 1978 su note D.O. blocco scura blocco esp WSW S irregolare, pendenza° 10 5 5 30 10 5 Formattato: Destro 0,63 cm 166 ARPA Piemonte Codice Fiscale – Partita IVA 07176380017 Area Funzionale Tecnica Ambiente e Natura Via Pio VII, 9 – 10135 Torino – Tel 01119680111 – fax 01119680025 – E-mail: [email protected]

quota 2565 2565 erbacea 3 30 8 5 2 4 muscinale 5 15 10 0,1 area approssimati va 100 100 100 100 100 100 Achillea nana a 0,1 Agrostis no glauca da rocce sopra a 0,1 Androsace alpina a 0,1 0,1 Arabis alpina a 0,1 20 1 Arabis coerulea a 0,1 0,1 Artemisia genipi a 5 Artemisia genipi a 0,1 Campanula cenisia a 30 Cardamine alpina a 0,1 Cardamine resedifolia a 0,1 Cerastium pedunculatum a 40 0,1 30 Cerastium uniflorum a 0,1 Cirsium spinosissimum a 0,1 Cystopteris fragilis a 0,1 Doronicum grandiflorum a 30 0,1 Erigeron uniflorus a 0,1 Erigeron uniflorus a 0,1 Euphrasia minima a 0,1 Geum reptans a 10 Gnaphalium supinum a 5 0,1 Gypsophila repens a 0,1 Herniaria alpina a 15 Homogyne alpina a 0,1 Leucanthemop sis alpina a 15 5 5 Formattato: Destro 0,63 cm 167 ARPA Piemonte Codice Fiscale – Partita IVA 07176380017 Area Funzionale Tecnica Ambiente e Natura Via Pio VII, 9 – 10135 Torino – Tel 01119680111 – fax 01119680025 – E-mail: [email protected]

Linaria alpina a 0,1 Oxyria digyna a 30 Poa alpina a 0,1 0,1 Poa laxa a 40 40 0,1 10 Pritzelago alpina a 0,1 Ranunculus glacialis a 0,1 0,1 Sagina glabra a 0,1 0,1 0,1 Saxifraga aizoides a 35 15 Saxifraga biflora a 8 15 0,1 Saxifraga bryoides a 5 0,1 Saxifraga oppositifolia a 0,1 90 40 30 Saxifraga seguieri a 0,1 Saxifraga stellaris a 0,1 Sedum alpestre a 0,1 Sedum atratum a 0,1 Senecio incanus a 0,1 Silene acaulis a 5 Veronica alpina a 0,1 10 Anthelia julacea b 25 40 Didymodon sp. b 20 Pohlia sp. b 5 10 65 poly app filiformi ialine b 5 15 Polyrichum formosum b 0,1 0,1 Polytrichum sexangulare b 65 30 20

vasc 100,2 96,3 96,1 99,3 95,1 101 mus 100 100 100,1 0,1 0 0

Tabella 56 – Elenco delle specie degli altri rilievi eseguiti

Gentiana nivalis L. Gentiana brachyphylla Vill. Trisetum spicatum (L.) K. Richter Formattato: Destro 0,63 cm 168 ARPA Piemonte Codice Fiscale – Partita IVA 07176380017 Area Funzionale Tecnica Ambiente e Natura Via Pio VII, 9 – 10135 Torino – Tel 01119680111 – fax 01119680025 – E-mail: [email protected]

Artemisia umbelliformis Lam. Androsace alpina (L.) Lam. Erigeron uniflorus L. Leucanthemopsis alpina (L.) Heyw. var. alpina Leontopodium alpinum Cass. Aster alpinus L. Achillea nana L. Poa alpina L. Saxifraga bryoides L. Salix herbacea L. Polygonum viviparum L. Arenaria ciliata L. Saxifraga androsacea L. Saxifraga oppositifolia L. Saxifraga moschata Wulfen Phyteuma globulariifolium Sternb. & Hoppe ssp. pedemontanum (R. Schulz) Becherer Arabis alpina L. ssp. alpina Oxyria digyna (L.) Hill Festuca violacea Gaudin Silene acaulis (L.) Jacq. ssp. exscapa (All.) Br.-Bl. Minuartia sedoides (L.) Hiern Sedum atratum L. Luzula alpino-pilosa (Chaix) Breistr. Saxifraga paniculata Miller Lloydia serotina (L.) Rchb. Oxytropis campestris (L.) DC. Pedicularis kerneri D. Torre non Huter Salix retusa L. Salix reticulata L. Avenula versicolor (Vill.) Lainz Antennaria carpathica (Wahlenb.) Bl. et Fing. Festuca quadriflora Honck. Campanula scheuchzeri Vill. Selaginella selaginoides (L.) C.F. Martius Ranunculus alpestris L. Homogyne alpina (L.) Cass. Sempervivum arachnoideum L. Cerastium uniflorum Clairv. Myosotis alpestris f. w. Schmidt Salix herbacea L.

Tabella 57 - Elenco specie riscontrate da Antonietti A. e Dellavedova R. presso il rifugio Mores

Pedofauna periglaciale e di ambienti di recente de glaciazione Per quanto riguarda la pedofauna sono stati esaminati 3 siti presso il Lago dei Sabbioni nelle cui adiacenze sono emerse presenze di permafrost (SaTR1, SaTR2) e rock-glacier (VB61) e 2 siti presso fronti glaciali del Formattato: Destro 0,63 cm 169 ARPA Piemonte Codice Fiscale – Partita IVA 07176380017 Area Funzionale Tecnica Ambiente e Natura Via Pio VII, 9 – 10135 Torino – Tel 01119680111 – fax 01119680025 – E-mail: [email protected]

Ghiacciao dell’Hosand (VB56, VB57). Altri due siti sono stati esaminati presso il Monte Moro (VB58, VB59), nel gruppo del Monte Rosa a 2800 m, ed un sito presso il circo glaciale del Ghiacciaio del Forno (VB60), dalle modeste dimensioni in quanto in via di scioglimento e situato nel vallone del Vannino (Formazza-VCO). Per i siti di suoli periglaciali, l’esame della pedofauna ha fornito i seguenti risultati:

F.B. DI ARTOPODI - N° ESEMPLARI F.B. DI COLLEMBOLI - N° ESEMPLARI Codice Sito (m) Quota Umidità (%) QBS-ar QBS-c FBT-ar FBT-c Araneidi Acari Proturi Collemboli Psocotteri Emitteri Tisanotteri Coleotteri Altri Artropodi Totale Artropodi acari/collemboli Anuroforide Criptopigide Dicirtomide Folsomidea Ipogastruride Isotomide Lepidocirtoide Neauride Onichiuride Orchesellide Sminturide Sminturoide SaTR1 2.539 42,1 52 355 5 6 0 120 0 563 0 1 0 0 4 688 0,2 0 0 0 0 37 578 3 0 4 3 2 0 SaTR2 2.543 5,4 65 383 5 6 1 260 0 635 0 0 0 0 5 901 0,4 6 0 0 0 25 671 9 0 46 7 0 0 VB56 2.591 0,9 74 8 11116 0 1 201920352376,000000010 0 000 VB57 2.557 8,7 69 50 82027027317016811,00000001026000 VB58 2.870 21,7 34 22 6207 0 2 50005193,500000110 0 000 VB59 2.871 20,9 64 176 8 3 0 3082 0 1986 6 1 1 0 9 5085 1,6 0 0 0 0 112 613 0 0 1261 0 0 0 VB60 2.556 7,0 43 100 530830182000131164,600100900 8 000 VB61 2.595 12,5 60 345 8 6 0 743 0 1047 7 1 0 1 15 1814 0,7 0 3 0 0 375 420 4 0 242 0 0 3

Prateria alpina Suolo prevalentemente nudo

Nei siti dei Sabbioni SaTR1 ed SaTR2 il ridotto valore del QBS-ar, la scarsa presenza di forme biologiche ad eccezione di acari e collemboli, oltre alla dominanza numerica di questi ultimi (generalmente r-strateghi), si accorda con le condizioni ambientali estreme dovute alle alte quote ed al permafrost. L’elevato valore di QBS-c riscontrato in ambo i siti, associato ad una buona varietà di forme biologiche (19) suggerisce che i Collemboli, generalmente sensibile alla presenza di sostanza organica ed al regime idrico, trovi nei siti esaminati un ambiente comunque favorevole. Tali osservazioni valgono in modo particolare per il taxon degli isotomidi, osservato con numerosità più elevata, le cui specie sono generalmente Il sito VB58 mostra ridotti valori sia di QBS-ar sia di QBS-c, associati ad uno scarso numero di individui, condizioni auspicabili data la quota elevata, la struttura del suolo (sabbia compatta) e la assenza di vegetazione. Il sito VB59, nonostante sia alla medesima altitudine, evidenzia una qualità biologica maggiore e densità più elevate di acari e collemboli, popolazioni che probabilmente godono della maggiore protezione e disponibilità trofica connessa alla presenza del tappeto di muschio. Infatti anche se le comunità di collemboli rimangono piuttosto semplici in ambo i siti, in VB58 abbiamo forme generalmente meno adattate (isotomide e lepidocirtoide) mentre in VB59 si aggiungono forme emi- ed euedafiche, rispettivamente ipogastruride e onichiuride. Tra i campioni a quota 2500 m circa si osserva come VB56 e VB57 abbiano un QBS-ar apparentemente superiore a VB60, ma tale differenza è dovuta solo alla presenza di un’esemplare del gruppo dei sinfili (forse legato all’apparato radicale della vegetazione segnalata). All’opposto il QBS-c aumenta progressivamente da VB56, VB57 sino a VB60 grazie alla presenza di onichiuridi con EMI 40 ed EMI 37. Le specie con EMI 40

Formattato: Destro 0,63 cm 170 ARPA Piemonte Codice Fiscale – Partita IVA 07176380017 Area Funzionale Tecnica Ambiente e Natura Via Pio VII, 9 – 10135 Torino – Tel 01119680111 – fax 01119680025 – E-mail: [email protected]

sono generalmente di dimensioni inferiori e possono sfruttare cunicoli più sottili, mentre gli EMI 37 hanno necessità di pori di maggiori dimensioni. Su suolo stabile, anche in probabile presenza di ghiaccio sotterraneo, QBS-ar e QBS-c mantengono valori significativi ma chiaramente inferiori a condizioni meno estreme e particolari. E’ sufficiente la stabilizzazione di suolo con vegetazione per riscontrare valori maggiori rispetto a suoli prevalentemente nudi o con prevalenza di granulometrie fini e finissime. Anche i fronti glaciali liberati da pochi anni stanno evolvendo una comunità pedologica, non solo con Acari e Collemboli. La frequente e spesso persistente presenza di neve sembra favorire QBS-c rispetto a QBS-ar. Tra i Collemboli in ambiente estremo di alta quota prevalgono gli Onichiuridi tipici per il loro adattamento e la loro sensibilità; a quote minori e più vegetate prevalgono gli Isotomidi probabilmente per la maggiore sensibilità alla sostanza organica. Il numero troppo esiguo di campioni e la mancata raccolta omogenea di dati ambientali per queste prime campagne sperimentali non ha consentito di poter effettuare un'analisi multivariata. I dati di pedofauna di queste prime campagne sperimentali su suoli periglaciali o deglacializzati sembrano indicare che in questi suoli è sufficiente la stabilizzazione del suolo con anche una singola pianta pioniera per riscontrare una comunità di pedofauna dominata dai Collemboli in cui prevalgono gli Onichiuridi tipici per il loro adattamento e la loro sensibilità; a quote minori e più vegetate prevalgono gli Isotomidi e gli Ipograstruridi, probabilmente per la maggiore sensibilità alla sostanza organica. Questi animali, che si pensava potessero essere associati a suoli più stabili ed evoluti, possono essere utilizzati come indicatori di condizioni di stabilizzazione in ambito periglaciale. Anche sulle fronti glaciali liberate da pochi anni si sta evolvendo una comunità pedologica, non solo con Acari e Collemboli. Queste prime evidenze ottenute dallo studio indicano pertanto un potenziale uso della fauna edafica per monitorare anche in quota gli effetti derivanti dalla combinazione di fattori vegetazionali, pedologici e climatici.

Riferimenti bibliografici

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Formattato: Destro 0,63 cm 171 ARPA Piemonte Codice Fiscale – Partita IVA 07176380017 Area Funzionale Tecnica Ambiente e Natura Via Pio VII, 9 – 10135 Torino – Tel 01119680111 – fax 01119680025 – E-mail: [email protected]

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Formattato: Destro 0,63 cm 172 ARPA Piemonte Codice Fiscale – Partita IVA 07176380017 Area Funzionale Tecnica Ambiente e Natura Via Pio VII, 9 – 10135 Torino – Tel 01119680111 – fax 01119680025 – E-mail: [email protected]

4.4 Studio ecologico delle Torbiere alte alpine

Le torbiere alte attive sono un habitat d’interesse prioritario ai sensi della direttiva europea 92/34/CE nota come Direttiva Habitat, la loro presenza risulta quindi di fondamentale importanza per la tutela della biodiversità del continente non solo a livello locale. L’habitat raggruppa una grande varietà di formazioni vegetali che si possono incontrare nelle forme tipiche sulle grandi superfici in ambiente delle tundre artiche. Nelle Alpi sono rappresentate da forme frammentarie limitate a piccole aree in seno a torbiere di diversa classificazione (torbiere basse alcaline, torbiere di transizione). Nelle Alpi occidentali italiane, nonostante la maggior elevazione altitudinale di questa parte della catena alpina, esse divengono ancora più rare in relazione alla presenza di un periodo di siccità estiva che normalmente è meno frequente nel resto della catena alpina, e che rende difficile la alimentazione idrica di sistemi igrofili svincolati dalle acque di falda. La tutela delle torbiere alpine è uno dei cardini del Piano di Azione per il Cambiamento Climatico nelle Alpi, siglato dagli Stati Membri della Convenzione delle Alpi per il loro ruolo come pozzo di assorbimento (sink) del carbonio. La loro stretta dipendenza dal regime delle precipitazioni è un ulteriore motivo di attenzione per gli studi sugli effetti del cambiamento climatico.

Foto 49 - Torbiera di San Bernardo

4.4.1 Caratteristiche dell’habitat ‘Torbiere alte attive’ Le torbiere sono ambienti umidi presenti in aree caratterizzate da eccesso di acqua, siano esse sponde di laghi e fiumi o superfici piane e versanti ove scorre un sottile velo d’acqua. La vegetazione è costituita in prevalenza da specie igrofile (sfagni, muschi, ciperacee e graminacee) che, con le loro pareti vegetative morte, danno origine a un deposito organico detto torba. Formattato: Destro 0,63 cm 173 ARPA Piemonte Codice Fiscale – Partita IVA 07176380017 Area Funzionale Tecnica Ambiente e Natura Via Pio VII, 9 – 10135 Torino – Tel 01119680111 – fax 01119680025 – E-mail: [email protected]

I suoli delle torbiere sono caratterizzati da carenza d’ossigeno ed elevata acidità, per cui mancano in larga misura batteri, vermi e altri organismi decompositori. Per questo motivo i resti vegetali si decompongono solo parzialmente e danno origine alla torba. In senso pedologico la torbiera rientra nel gruppo degli histosuoli, in cui il materiale prevalente è sostanza organica più o meno decomposta. In particolare, si definisce histosuolo un suolo che presenti un accumulo di materiale organico di almeno 40 cm di spessore nei primi 80 cm di profondità. Questo materiale deve inoltre contenere almeno il 12-18% in peso di carbonio. La nascita di una torbiera è la conseguenza di un processo che prende avvio con l'interramento di uno specchio d'acqua o con l'impaludamento di una superficie asciutta. In alcuni casi le torbiere assumono, elevandosi al di sopra del terreno circostante, una forma convessa innalzandosi anche per alcuni metri dal livello dell’acqua freatica per questo sono denominate torbiere alte. Esse sono svincolate dalla falda e si sviluppano solo in dipendenza dalle acque di precipitazione, per questo motivo possiedono bassi contenuti di ioni e nutrienti in soluzione e i valori di pH sono decisamente acidi (in genere < 4.5) infatti vengono anche denominate torbiere oligotrofiche; al contrario le torbiere basse e piane, dove il deposito torboso risulta appiattito, sono strettamente legate alla presenza della falda freatica infatti sono alimentate primariamente da acque provenienti dal suolo minerale per questo possiedono un chimismo idrico caratterizzato da un maggior contenuto di ioni in soluzione (torbiere minerotrofiche), da più elevati valori di alcalinità e da valori di pH dell'acqua prossimi alla neutralità o comunque sub-acidi. Una torbiera alta tipica è formata da un cumulo di sfagni che con il tempo si accresce sulle sue parti morte di difficile decomposizione e si solleva rispetto al livello della falda freatica e che comprende: il piano sommitale, leggermente convesso, i fianchi (rands), e un solco (lagg) che si forma al livello del suolo e delimita lateralmente i fianchi. Accanto a questi cumuli torbosi che possono prosciugarsi temporaneamente e alle depressioni costantemente umide che li avvicendano in una torbiera alta, spesso si riscontrano altri ambienti come: specchi d’acqua libera più o meno grandi, denominati stagni di torbiera, su cui la vegetazione a volte dopo essere cresciuta galleggiando sull’acqua forma i cosiddetti aggallati che si possono presentare come semplici tappeti flottanti in grado di sostenere anche oggetti e animali, o talvolta prendere l’aspetto di vere isole galleggianti; alla periferia della torbiera in posizione per lo più inclinata e quindi maggiormente drenata troviamo lande di torbiera con alberi e cespugli nani. In una torbiera alta le sostanze nutrienti non mineralizzate presenti non sono disponibili per la vegetazione. Le radici non possono, infatti raggiungere l’acqua freatica, più ricca di minerali, degli strati inferiori e gli apporti nutritivi sono garantiti dall’apporto delle polveri trasportate dal vento e dal poco azoto depositato dalle stesse precipitazioni meteoriche; per questo motivo le torbiere alte sono classificate come habitat estremamente oligotrofici e distrofici. Oggetto delle attenzioni nel progetto sono le “torbiere alte attive”, habitat composto principalmente da sfagni, organismi altamente specializzati che riescono a proliferare in climi molto freddi e derivano nutrimento e Formattato: Destro 0,63 cm 174 ARPA Piemonte Codice Fiscale – Partita IVA 07176380017 Area Funzionale Tecnica Ambiente e Natura Via Pio VII, 9 – 10135 Torino – Tel 01119680111 – fax 01119680025 – E-mail: [email protected]

umidità esclusivamente dagli apporti meteorici e pertanto risultano estremamente vulnerabili a cambiamenti nel regime delle precipitazioni e delle temperature. In condizioni adeguate di apporto idrico atmosferico queste torbiere si possono sollevare rispetto alla superficie topografica originaria, sovracrescendo sulle torbe prodotte nel passato e producendo le cosiddette torbiere alte, alimentate da precipitazioni atmosferiche sempre abbondanti ed eccedenti la evapotraspirazione. Se ciò è possibile nei climi continentali freschi, in cui il massimo di precipitazioni è estivo e coincide con i periodi di temperature più elevate, raramente tali condizioni sono realizzate nel clima del nostro paese. Nelle torbiere di questo tipo poste a quote maggiori si rifugiano anche altre specie di flora e fauna artico- alpina, vulnerabili in caso di variazioni del regime termico e idrico. In Piemonte l’habitat è presente in forma frammentaria in poche stazioni, nelle zone più fredde e a maggior piovosità estiva dalla Valsesia alle Alpi del Verbano. Le zone umide in generale costituiscono un elemento fondamentale per la ricchezza degli habitat presenti. La loro importanza spazia dalle presenze di gruppi di animali specificamente legati a questi ambienti (anfibi, uccelli, artropodi) alle peculiarità delle specie vegetali che le popolano. Nell’Europa centro-meridionale esse conservano un importante contingente di specie boreali e subartiche le quali, dopo le ultime glaciazioni sono sopravvissute solo in queste stazioni o a quote più alte. In particolare le torbiere oligotrofiche, per le loro peculiarità edafiche, ospitano specie rare che non trovano nicchie ecologiche adatte negli altri ambienti che compongono il paesaggio. Una combinazione di fattori, in parte termici, in parte legati al bilancio idrico, caratterizzato dalla assenza di periodi di prolungata siccità, permette di conservare delle cenosi che altrimenti andrebbero perse alle nostre latitudini, in cui si trovano numerose specie oggetto di misure di monitoraggio e protezione. Un elemento peculiare costitutivo di queste cenosi sono le briofite, ed in particolare gli sfagni, un gruppo di muschi assai isolato evolutivamente, con adattamenti specifici per la vita in condizioni di grande abbondanza di acqua. In condizioni adatte alla loro crescita sono assai competitivi, arrivando a produrre una quota significativa della biomassa che viene generata in questi ambienti, e producono residui morti di difficile e lenta decomposizione che contribuiscono alla genesi delle torbe.

Mentre si conoscono numerosi esempi di torbiere alte attive nelle Alpi centro-orientali, la parte SW della catena alpina vede una graduale riduzione delle precipitazioni estive e quindi la rara formazione di queste particolari tipi di torbiere. Di conseguenza le cenosi delle torbiere si sviluppano solo in modo frammentario, senza riuscire a svincolarsi dagli apporti di falda o da condizioni microclimatiche e topografiche estremamente particolari. Sono rare le situazioni in cui frammenti di queste cenosi delle torbiere alte attive si sono conservate nella nostra regione. Esse sono infatti estremamente sensibili alle variazioni di utilizzo del territorio, essendo facilmente alterate

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anche solo in caso di pascolamento o di utilizzo come punto di abbeveraggio, per la loro vulnerabilità in caso di disturbo fisico o di eccessivo apporto di nutrienti. Essendo particolarmente sensibili ad ogni alterazione del bilancio idrico risultano inoltre significativamente minacciate dal cambiamento climatico in atto, che vede un graduale aumento delle temperature e della durata del periodo vegetativo estivo, non compensato da un regolare aumento delle precipitazioni atmosferiche. Inoltre esse sono soggette a possibile “morte naturale” in conseguenza di normali dinamiche geomorfologiche, ad esempio per l’interramento di un lago o per l’apporto di materiale alluvionale su un pianoro torboso. D’altra parte la tutela della biodiversità regionale deve necessariamente confrontarsi con queste problematiche, ed una particolare vocazione in questo senso deve essere riconosciuta alle zone dell’arco alpino occidentale italiano con minor aridità estiva, come il Verbano, la Valsesia, le zone poste immediatamente a S del Gran Paradiso, le parti meno aride della Valle d’Aosta. Le conoscenze relative alle presenze di queste cenosi derivano da dati di erbario del passato, dalle indagini condotte al momento delle istituzioni dei parchi e riserve naturali del territorio regionale, e in misura minore da studi attuali. Perciò nel progetto in corso si sono volute inserire due torbiere, rappresentative di zone diverse della Provincia, come punto di interesse multidisciplinare sulla biodiversità, per il monitoraggio attuale e futuro di varie componenti legate a questi

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habitat.

Figura 68 - Il complesso di zone umide presenti a Bognanco a valle dell'alpe di Gattascosa, come visibili nelle ortofoto del 2006

4.4.2. Scelta ed individuazione delle aree di saggio La scelta delle aree di studio è partita dall’analisi delle riprese aeree del territorio al fine di identificare due aree che si integrassero sufficientemente dal punto di vista logistico con le altre attività in progetto, per poi proseguire con la analisi sul terreno di una serie di possibili siti adatti per verificare la effettiva composizione della vegetazione e le particolarità dei luoghi. In questa fase gli indicatori principali considerati sono stati individuati in alcune specie che risultano selettivamente legate, specie quando associate, alle torbiere oligotrofiche a sfagni, quali Carex pauciflora, Eriophorum vaginatum, Drosera sp. Formattato: Destro 0,63 cm 177 ARPA Piemonte Codice Fiscale – Partita IVA 07176380017 Area Funzionale Tecnica Ambiente e Natura Via Pio VII, 9 – 10135 Torino – Tel 01119680111 – fax 01119680025 – E-mail: [email protected]

Dopo una serie di sopralluoghi la scelta è ricaduta sulla torbiera di San Bernardo presso Bognanco, e sulla Alpe alla Balma, nel comune di Formazza. La torbiera di San Bernardo, nel vallone di San Bernardo (comune di Bognanco) e la torbiera della Balma, nel vallone del Vannino (Comune di Formazza) sono due ecosistemi di torbiera dalle dinamiche di formazione/conservazione ben differenziate. Le indagini hanno comportato un ampio spettro di rilievi vegetazionali, faunistici, nivologici, pedologici e sulla qualità delle acque di circolazione che hanno consentito di caratterizzare le interazioni tra contenuto idrico, caratteristiche del suolo e vegetazione che controllano la decomposizione della materia organica e capire il funzionamento ecologico delle due torbiere nell’ottica di seguirne nel tempo l’evoluzione delle comunità vegetali e faunistiche.

La torbiera di San Bernardo (Foto 50) è situata ad una quota di 1600 m s.l.m e ricopre una superficie di 5300 m2. La nascita di questa torbiera prende avvio con l'interramento dello specchio d'acqua preesistente, dovuto in parte eventi morfologici esterni. Successivamente, l’accumulo di residui vegetali e la ridotta mineralizzazione ne hanno causato l’impaludamento. Allo stato attuale la torbiera di San Bernardo presenta caratteristiche tipiche delle torbiere alpine minerotrofiche basse: la superficie è concava, la falda è alimentata in parte da apporti atmosferici, in misura maggiore da un piccolo ruscello a SO della torbiera. Un’ulteriore fonte di approvvigionamento idrico è costituita da una serie di piccole sorgenti che costeggiano il lato sud della torbiera.

Foto 50 - La torbiera di San Bernardo

La parte centrale della torbiera differisce molto da quella periferica per idromorfologia. Soprattutto nella zona confinante con il bosco si osservano zone di transizione dove la massa organica tende a formare dei cuscinetti (hummock) che si innalzano rispetto alla falda determinando situazioni di oligotrofia, alla quale si

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adattano poche specie vegetali. Nella parte centrale, più profonda, prevale una morfologia pianeggiante con la presenza di acqua in superficie, anche in relazione alla presenza delle sorgenti sopra citate. La torbiera della Balma (Foto 51) è situata in Val Vaninno, una valle laterale della più conosciuta Val Formazza, ad una quota di 2150 s.l.m e copre complessivamente una superficie analoga a quella di San Bernardo. La torbiera, anch’essa ascrivibile alle torbiere alpine minerotrofiche basse, è in realtà un insieme di tre zone umide vicine che occupano depressioni sul versante sinistro del vallone del Vannino, fra rocce montonate dal modellamento glaciale, ed in particolare: − un’area innalzata rispetto alla falda, di superficie ridotta denominata Balma Piccola; − una più umida dove la caratteristica macroscopica principale è la presenza di Carex pauciflora: la Balma Carex; − la terza area, più estesa, è quella con le più spiccate caratteristiche minerotrofiche: Balma grande; ha una superficie concava e nelle zone più profonde emerge la falda, l’apporto idrico è costituito da diversi immissari.

Foto 51 - La torbiera della Balma

Quest’ultima torbiera è stata interessata da un parziale degrado operato da popolazioni di selvatici che si servivano di una porzione dell’area come pozza.

4.4.3. Metodi

Si è deciso di adottare un piano di campionamento integrato delle caratteristiche pedologiche e chimiche e delle caratteristiche vegetazionali, utilizzando un reticolo regolare di punti di rilievo all’interno delle aree umide aventi le caratteristiche desiderate Formattato: Destro 0,63 cm 179 ARPA Piemonte Codice Fiscale – Partita IVA 07176380017 Area Funzionale Tecnica Ambiente e Natura Via Pio VII, 9 – 10135 Torino – Tel 01119680111 – fax 01119680025 – E-mail: [email protected]

Le superfici molto differenti delle zone umide individuate e la situazione più complessa della Alpe alla Balma nel vallone del Vannino hanno portato ad utilizzare reticoli con maglie diverse, in funzione delle dimensioni delle tre sottoaree individuate nella zona alla Balma. Su ciascuno dei due siti è stato effettuato pertanto un campionamento pedologico e delle specie vegetali a maglia regolare di circa 14 x 14 m per San Bernardo e variabile da 12 x 12 m a 5 x 5 m nelle 3 zone di Balma. Le figure che seguono riportano lo schema di campionamento sovrapposto ad una foto aerea per ciascuno dei due siti di studio. Nell’immagine relativa a San Bernardo si osserva come l’area sia delimitata artificialmente a nord da una pista, mentre si osserva un piccolo corso d’acqua, depresso, che contribuisce al drenaggio della torbiera attraversandola approssimativamente da sud-ovest a nord (Errore. L'origine riferimento non è stata trovata.69). I numeri in nero segnati lungo il reticolo corrispondono ai principali riferimenti posti sul terreno per orientamento.

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Figura 69 - Reticolo di rilievo della torbiera di S. Bernardo,

Nella impostazione delle dimensioni dei rilievi da eseguire ai nodi del reticolo ci si è basati sulle dimensioni medie delle aree omogenee derivante da recenti studi vegetazionali condotti su questi habitat nel resto del Piemonte. Mentre nelle torbiere alte ombrotrofiche sollevate regolarmente “a panettone” rispetto alla falda si possono riscontrare aree omogenee, sia topograficamente sia come struttura della comunità, per anche decine di metri quadrati, nel quadro dei casi tipici delle Alpi occidentali italiane raramente questo avviene su superfici superiori al mq, a causa dei cambiamenti notevoli che si hanno fra i cuscini rilevati formati dagli sfagni e le depressioni intercalate fra questi. Sono state quindi utilizzate superfici di dimensioni paragonabili Formattato: Destro 0,63 cm 181 ARPA Piemonte Codice Fiscale – Partita IVA 07176380017 Area Funzionale Tecnica Ambiente e Natura Via Pio VII, 9 – 10135 Torino – Tel 01119680111 – fax 01119680025 – E-mail: [email protected]

a queste, utilizzando cerchi di 0,7 m di raggio posti attorno ai nodi del reticolo, preventivamente posizionati al suolo. All’interno della superficie di rilievo, di poco superiore agli 1,5 mq, sono state registrate le specie vascolari e le briofite presenti e la loro abbondanza approssimativa, oltre alla copertura totale dello strato erbaceo e dello strato muscinale. Negli stessi punti sono state eseguite misure di pH e conducibilità elettrica delle acque interstiziali della torbiera utilizzando sonde collegate a strumenti portatili.

La Figura 70, relativa alla Balma, mostra invece come la torbiera sia in realtà un complesso di tre aree separate da rocce montonate. Sul versante a nord-est della torbiera si osservano una serie di sorgenti di alimentazione che corrono parallele alla linea di massima pendenza.

Figura 70 - Il complesso di tre aree umide che costituiscono la torbiera della Balma

La Figura 71, si mostra il grigliato di campionamento, relativo alla superficie più estesa della torbiera della Balma (Balma grande).

Formattato: Destro 0,63 cm 182 ARPA Piemonte Codice Fiscale – Partita IVA 07176380017 Area Funzionale Tecnica Ambiente e Natura Via Pio VII, 9 – 10135 Torino – Tel 01119680111 – fax 01119680025 – E-mail: [email protected]

Figura 71 - La torbiera di Balma grande ed il reticolo di campionamento

Negli stessi punti in cui sono stati effettuati i rilievi vegetazionali, è stato condotto un campionamento del suolo. Per ciascun punto sono stati prelevati due campioni (0-20 cm e intorno a 50 cm di profondità). In cinque punti rappresentativi per ciascuna torbiera nel 2009, sono stati inoltre posizionati, anche in funzione della distribuzione vegetazionale, i dataloggers (i-button® DS1402D- DR8+) al fine di monitorare in continuo la temperatura dei suoli. La tabella che segue (Tabella 58) riporta la codifica dei punti di campionamento e le coordinate geografiche (UTM_ED50).

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Torbiera di San Bernardo Torbiera della Balma Punto UTM Est UTM Nord Punto UTM Est UTM Nord F 1 437594 5111331 BP A 1 453963 5136558 C 2 437553 5111319 BP A 2 453965 5136561 D 2 437564 5111315 BP A 3 453970 5136558 E 2 437577 5111318 BP B 1 453959 5136555 F 2 437592 5111318 BP B 2 453965 5136555 G 2 437605 5111318 BP B 3 453967 5136552 H 2 437620 5111315 BP B 4 453974 5136552 B 3 437540 5111303 BG A 3 454028 5136601 C 3 437551 5111303 BG A 4 454030 5136585 D 3 437564 5111303 BG B 3 454042 5136600 E 3 437575 5111300 BG C 3 454053 5136594 F 3 437590 5111303 BC C 4 454053 5136582 G 3 437605 5111303 BG D 1 454068 5136628 H 3 437618 5111300 BG D 2 454066 5136610 I 3 437630 5111303 BG E 2 454077 5136603 A 4 437521 5111287 BG F 3 454092 5136594 B 4 437534 5111287 BG G 4 454102 5136581 C 4 437547 5111290 BG G 5 454104 5136572 D 4 437564 5111290 BG G 6 454104 5136563 E 4 437577 5111290 BG H 5 454115 5136572 F 4 437590 5111290 BG H 6 454117 5136563 G 4 437602 5111287 BG H 7 454117 5136578 H 4 437615 5111290 BC B 2 453855 5136611 A 5 437527 5111278 BC B 3 453861 5136611 B 5 437540 5111278 BC B 4 453867 5136611 C 5 437553 5111278 BC B 5 453874 5136611 D 5 437564 5111275 BC B 6 453878 5136608 E 5 437579 5111278 BC C 1 453850 5136605 F 5 437592 5111278 BC C 2 453859 5136608 G 5 437605 5111281 BC C 3 453863 5136608 H 5 437615 5111278 BC C 4 453867 5136605 A 6 437525 5111262 BC C 5 453874 5136605 B 6 437540 5111262 BC C 6 453880 5136605 C 6 437555 5111266 BC D 2 453859 5136599 D 6 437566 5111262 BC D 3 453863 5136596 BC D 4 453867 5136596 BC D 5 453874 5136596

Tabella 58 - Punti di campionamento all’interno delle due torbiere, corredati di coordinate UTM ED50

4.4.4 Rilievi pedologici, chimico-fisici del suolo e nivologici I campioni di suolo provenienti dalla torbiera sono stati essiccati, setacciati a 2 mm e sottoposti alle analisi per il contenuto di C organico (TOC), N totale (TN), contenuto di acqua al momento del campionamento e pH, secondo metodologie standardizzate (SISS, 1985). I risultati analitici relativi alle caratteristiche del suolo nelle due torbiere sono riportati, in forma aggregata, nella tabella seguente (Tabella 59).

Umidità (%) Azoto(%) Carbonio (%) C/N pH Formattato: Destro 0,63 cm 184 ARPA Piemonte Codice Fiscale – Partita IVA 07176380017 Area Funzionale Tecnica Ambiente e Natura Via Pio VII, 9 – 10135 Torino – Tel 01119680111 – fax 01119680025 – E-mail: [email protected]

Media 420% 1.60 29.59 18.9 4.8 Errore standard 32% 0.10 1.93 1.0 0.1 Mediana 370% 1.74 29.20 17.3 4.7 n 37 37 37 36 37 Vannino (0-20 cm)

Media 385% 1.66 37.73 22.0 4.8 Errore standard 24% 0.10 2.12 0.9 0.1 Mediana 375% 1.79 42.45 21.5 4.8 n 32 32 31 31 32 Vannino cm) (20-50

Media 631% 1.63 36.55 22.5 5.1 Errore standard 35% 0.04 1.35 0.8 0.1 Mediana 591% 1.62 40.12 23.3 5.2 n 35 35 35 35 35 San Bernardo cm) (0-20

Media 560% 1.68 37.50 22.2 4.8 Errore standard 44% 0.06 1.72 0.7 0.0 Mediana 493% 1.80 41.35 21.3 4.8 n 33 34 34 34 33 San cm)(20-50 Bernardo

Tabella 59 - Principali caratteristiche chimico-fisiche dei suoli nelle due torbiere esaminate

L’umidità (% in peso) è generalmente molto elevata. Si osserva che in entrambe le torbiere si hanno contenuti medi d’acqua maggiori nell’orizzonte superficiale rispetto a quello profondo. Ciò è legato alla presenza di un cospicuo tappeto muscinale inalterato in superficie, con elevata capacità di ritenzione idrica. I contenuti di carbonio ed azoto sono anch’essi molto elevati, in relazione all’elevato accumulo di sostanza organica tipico di questi ambienti. I rapporti C/N, compresi in media tra 19 e 22, indicano l’accumulo di sostanza organica poco umificata, se confrontati con i valori medi di circa 10 che si riscontrano nei suoli minerali. Il pH è generalmente subacido, con valori medi intorno al 4.8 - 5.1, in accordo con il chimismo tipico delle torbiere minerotrofiche, ossia alimentate da una falda idrica sottostante.

4.4.5. Analisi stratigrafiche del manto nevoso La presenza e abbondanza del manto nevoso, in particolare, influenza in modo sostanziale le dinamiche suolo-vegetazione, governando lo status termico del suolo, la disponibilità di acqua primaverile e la lunghezza della stagione vegetativa. Oltre a ciò rappresenta un importante fonte di specie chimiche nel corso del disgelo primaverile quando, per effetto di un fenomeno noto come ionic pulse, l’80% delle specie Formattato: Destro 0,63 cm 185 ARPA Piemonte Codice Fiscale – Partita IVA 07176380017 Area Funzionale Tecnica Ambiente e Natura Via Pio VII, 9 – 10135 Torino – Tel 01119680111 – fax 01119680025 – E-mail: [email protected]

chimiche presenti nel manto nevoso vengono rilasciate nel primo 20% dell’acqua di fusione. In caso di variazione negli apporti nevosi, si potrebbe verificare un disaccoppiamento della sincronia tra disponibilità di nutrienti e ripresa vegetativa primaverile, con importanti conseguenze sui delicati equilibri che regolano il funzionamento di una torbiera, esponendo ad esempio gli orizzonti superficiali della torbiera a condizioni maggiormente ossidanti. Per questi motivi si è deciso di indagare su questi aspetti. Il manto nevoso nel corso dell’inverno 2009-2010 è stato caratterizzato dal punto di vista fisico in entrambe le torbiere, attraverso la realizzazione di 4 analisi stratigrafiche, in accordo agli standards dell’AINEVA. In particolare il manto nevoso è stato caratterizzato mediante l’individuazione dei diversi strati, del tipo e della dimensione dei cristalli, della densità, della temperatura e della resistenza a penetrazione.

4.4.6. Caratteristiche chimiche del manto nevoso Nel corso della stessa stagione invernale 2009-2010 si è indagato inoltre sulle caratteristiche chimiche della neve. In tali occasioni si sono effettuate anche misure delle emissioni di CO2 al di sotto del manto nevoso. I rilevi sono stati condotti in accordo ad uno specifico protocollo di campionamento, che prevede 2 campionamenti da effettuarsi indicativamente ad inizio marzo e ad inizio aprile, con due scopi diversi. Il primo campionamento si propone di effettuare una “fotografia” delle caratteristiche fisico-chimiche del manto nevoso prima del periodo di fusione primaverile del manto nevoso. Il secondo campionamento è finalizzato allo screening della caratteristiche del manto nevoso durante la fusione. In accordo con le procedure AINEVA (Cagnati, 2004) si è aperta una buca nivologica, ed identificati i principali strati. Sono state misurate le densità degli strati di manto nevoso identificati e per ciascuno di essi sono state descritte le caratteristiche dei cristalli (tipo di grani, dimensione). A profondità fisse (ogni 10 cm) è stata inoltre misurata la temperatura del manto nevoso. La densità della neve misurata ad inizio aprile, è stata utilizzata per calcolare l’equivalente in acqua del manto nevoso (SWE). I sopralluoghi sono stati effettuati il 17 Marzo 2010, sia a Bognanco, sia nel Vannino (Foto 52 e Figura ), mentre il 7 Aprile 2010 si è tornati a Bognanco e il 20 Aprile 2010 al Vannino. I rilievi condotti il 17 Marzo hanno evidenziato la presenza di un manto nevoso di 110 cm a Bognanco e 130 cm al Vannino. La densità è risultata compresa fra 200 e 390 kgm-3, con valori maggiormente elevati a Bognanco.

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Foto 52 - Area di studio del Vannino in occasione dell’analisi stratigrafica condotta il 17 Marzo 2010

Figura 53 - Area di studio di Bognanco in occasione dell’analisi stratigrafica condotta il 17 Marzo 2010

L’equivalente in acqua del manto nevoso il 17 Marzo è risultato pari a 369 mm a Bognanco, e a 444 mm al Vannino. Il rilievo eseguito il 7 Aprile a Bognanco ha evidenziato un’altezza del manto nevoso pari a 120 cm. La densità della neve è risultata compresa fra 220 kgm-3 in superficie e 440-470 kgm-3 negli strati basali. L’equivalente in acqua del manto nevoso è stato calcolato pari a 418 mm.

Formattato: Destro 0,63 cm 187 ARPA Piemonte Codice Fiscale – Partita IVA 07176380017 Area Funzionale Tecnica Ambiente e Natura Via Pio VII, 9 – 10135 Torino – Tel 01119680111 – fax 01119680025 – E-mail: [email protected]

Il rilievo eseguito il 20 Aprile al Vannino ha evidenziato un’altezza del manto nevoso di 140 cm, con una densità degli starti compresa fra 370 e 450 kgm-3. L’equivalente in acqua del manto nevoso è stato calcolato pari a 567 mm. Nel corso dei rilievi effettuati il mese di Marzo, in entrambi i siti si sono osservati prevalentemente cristalli di tipo 4, ad evidenziare la prevalenza di un gradiente termico medio. In Aprile, in entrambi i siti, è invece emersa la presenza di cristalli di tipo 6, da fusione e rigelo, unitamente ad una serie di croste. Solo al Vannino negli strati basali si è evidenziata la presenza residuale di cristalli di tipo 4, in trasformazione verso cristalli di tipo 6.

Figura 72 - Proprietà fisiche del manto nevoso rilevate nel corso dell’analisi stratigrafica condotta il 17 Marzo a Bognanco

Formattato: Destro 0,63 cm 188 ARPA Piemonte Codice Fiscale – Partita IVA 07176380017 Area Funzionale Tecnica Ambiente e Natura Via Pio VII, 9 – 10135 Torino – Tel 01119680111 – fax 01119680025 – E-mail: [email protected]

Figura 73 - Proprietà fisiche del manto nevoso rilevate nel corso dell’analisi stratigrafica condotta il 17 Marzo al Vannino

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Figura 74 - Proprietà fisiche del manto nevoso rilevate nel corso dell’analisi stratigrafica condotta il 7 Aprile a Bognanco

Figura 75 - Proprietà fisiche del manto nevoso rilevate nel corso dell’analisi stratigrafica condotta il 20 Aprile al Vannino

Foto 54 - Area di studio del Vannino 20 Aprile 2010 Formattato: Destro 0,63 cm 190 ARPA Piemonte Codice Fiscale – Partita IVA 07176380017 Area Funzionale Tecnica Ambiente e Natura Via Pio VII, 9 – 10135 Torino – Tel 01119680111 – fax 01119680025 – E-mail: [email protected]

Foto 55 - Area di studio di Bognanco il 7 Aprile 2010

Contestualmente alle analisi fisiche, è stato condotto un campionamento del manto nevoso ogni 10 cm di altezza (se lo spessore del manto è superiore ai 2 m, ogni 20 cm), seguendo procedure standardizzate (Filippa et al. 2010). In ciascun campione è stata quantificata la concentrazione dei principali cationi ed anioni (Puxbaum et al. 1991). Inoltre, sono state misurate in campo pH e conducibilità elettrica della neve (Pecci et al. 2009). Sono stati prelevati ed analizzati complessivamente 46 campioni di neve, quantificando il contenuto dei principali cationi (calcio, magnesio, sodio, potassio e ammonio) ed anioni (cloruri, solfati e nitrati). Le concentrazioni di tali specie chimiche mostrano alcune distribuzioni caratteristiche, già riscontrate in altri lavori (es. Filippa et al. 2010). Si riporta a titolo di esempio l’andamento con la profondità dei cationi nel manto nevoso del Vannino, campionato il 17 marzo 2010 (Figura 76).

Formattato: Destro 0,63 cm 191 ARPA Piemonte Codice Fiscale – Partita IVA 07176380017 Area Funzionale Tecnica Ambiente e Natura Via Pio VII, 9 – 10135 Torino – Tel 01119680111 – fax 01119680025 – E-mail: [email protected]

Figura 76 - Andamento delle concentrazioni (mgL-1) dei principali cationi lungo il manto nevoso del Vannino in data 17 Marzo 2010

Risulta evidente una notevole variabilità di concentrazioni lungo il profilo (Figura 76). In particolare si osserva che all’interfaccia suolo/neve aumentano considerevolmente le concentrazioni di elementi terrigeni quali magnesio e calcio. Intorno a 50 cm di profondità si osserva poi un picco con un incremento di concentrazione di tutte le specie chimiche. È ipotizzabile che ci sia stata una deposizione di polveri ed aerosol a tale altezza, successivamente coperta da una nuova nevicata. Analogamente si può spiegare il picco a 120 cm circa, secondario rispetto a quello a 50 cm, ma comunque rimarcabile. Gli andamenti esposti sono stati confermati lungo gran parte dei restanti profili esaminati. Il grafico in Figura 77 riporta invece la concentrazione media in profilo di tutte le specie chimiche indagate in ciascuna delle due date di campionamento e per ciascun sito. Le concentrazioni di specie chimiche risultano essere confrontabili con i dati disponibili in letteratura per l’ambiente alpino (Edwards et al. 2007, Filippa et al. 2010).

Formattato: Destro 0,63 cm 192 ARPA Piemonte Codice Fiscale – Partita IVA 07176380017 Area Funzionale Tecnica Ambiente e Natura Via Pio VII, 9 – 10135 Torino – Tel 01119680111 – fax 01119680025 – E-mail: [email protected]

Figura 77 - Concentrazioni medie in profilo dei principali cationi ed anioni all’interno dei manti nevosi campionati al Vannino il 17 Marzo e il 20 Aprile, a San Bernardo il 17 Marzo e il 7 Aprile. Le barre di errore rappresentano l’errore standard

Dal grafico si evince inoltre che per alcune specie chimiche la concentrazione media in profilo è maggiore ad Aprile rispetto a Marzo. Questo fenomeno è più chiaro per il manto nevoso del Vannino, dove le concentrazioni di solfati, ammonio e calcio sono maggiori ad Aprile. Questo fenomeno è riconducibile all’effetto “spring deposition” (Kuhn et al. 2001). In tarda primavera, infatti, i moti convettivi fanno si che le masse d’aria più ricche in specie chimiche provenienti dai fondovalle raggiungano anche i siti di alta quota, determinando così un arricchimento preferenziale di alcuni elementi nel manto nevoso. Questo fenomeno è meno evidente per il sito di San Bernardo, probabilmente poiché il secondo campionamento è stato eseguito circa due settimane prima rispetto a quello effettuato al sito Vannino. Dal confronto dei due grafici si osserva infine che i due siti, pur essendo a quote sensibilmente differenti, presentano range di concentrazioni confrontabili. Formattato: Destro 0,63 cm 193 ARPA Piemonte Codice Fiscale – Partita IVA 07176380017 Area Funzionale Tecnica Ambiente e Natura Via Pio VII, 9 – 10135 Torino – Tel 01119680111 – fax 01119680025 – E-mail: [email protected]

La tabella che segue ( 60) riporta la matrice di correlazione tra le specie chimiche disciolte nel manto nevoso. Tale procedura statistica permette di identificare le specie chimiche che provengono dalla stessa fonte. In grassetto sono riportati i coefficienti di correlazione più interessanti, oltre che statisticamente significativi (p<0.05). L’elevata correlazione tra sodio e cloruro indica che tali specie chimiche sono dovute principalmente all’aerosol marino. Le basse concentrazioni di tali elementi indicano che le masse d’aria ricche di aerosol marino non esercitano una grande influenza sulle caratteristiche chimiche del manto nevoso nei siti indagati. Spesso anche il potassio risulta correlato con cloruri e sodio come specie indicatrice di aerosol marino. In questo caso la correlazione non è elevata; la presenza di potassio è tuttavia anche legata alla combustione legnosa. I solfati sono ben correlati con magnesio e calcio, ad indicare probabilmente una comune origine da particelle di polvere che si depositano sul manto nevoso. È infatti frequente osservare le conseguenze di tali deposizioni sui manti nevosi alpini. Fenomeni simili di grande rilevanza sono causati, ad esempio dalle cosiddette precipitazioni sahariane, ma non si esclude che tali specie chimiche possano avere un’origine locale (local dust deposition). Infine, la mancanza di correlazione tra nitrati e solfati, specie normalmente associate

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all’inquinamento atmosferico, indica che nelle nevi dei siti indagati il chimismo è affetto in maniera limitata da episodi di precipitazione acida legata alle emissioni industriali.

cloruri nitrati solfati sodio ammonio potassio magnesio nitrati 0.026 solfati 0.818 0.076 sodio 0.962 -0.147 0.822 ammonio 0.135 0.479 0.344 -0.094 potassio 0.428 -0.115 0.361 0.302 -0.091 magnesio 0.798 -0.214 0.846 0.899 -0.152 0.487 calcio 0.791 -0.168 0.842 0.870 -0.123 0.445 0.989

Tabella 60 - Matrice di correlazione (r di Pearson) tra le specie chimiche nel manto nevoso

I dati ottenuti sono stati confrontati con quelli provenienti dalle stazioni di monitoraggio del CNR-ISE, localizzate a Graniga e all’Alpe Devero (Figura 78). - Da un primo confronto dei dati emerge come la concentrazione di NO3 misurata nei manti nevosi di entrambe le torbiere sia dello stesso ordine di grandezza dei valori medi annuali registrati nei siti di -1 -1 + monitoraggio di Graniga (0.63 mgL ) e Alpe Devero (0.42 mgL ). La concentrazione di NH4 risulta invece -1 -1 2- -1 inferiore (Graniga: 0.75 mgL ; Alpe Devero: 0.43 mgL ), così come quella di SO4 (Graniga: 1.33 mgL ; Alpe Devero: 1.00 mgL-1).

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Figura 78 - Concentrazione di Solfati, Ammonio e Nitrati nelle stazioni di monitoraggio del CNR a Graniga e all’Alpe Devero

4.4.7 Rilievi chimico-fisici delle acque

L’analisi chimico-fisica delle acque interstiziali della torbiera aveva l’obiettivo di quantificare i potenziali nutrienti per le specie vegetali, presenti all’interno della soluzione, al fine di discriminare il livello di trofia delle acque investigate. Formattato: Destro 0,63 cm 196 ARPA Piemonte Codice Fiscale – Partita IVA 07176380017 Area Funzionale Tecnica Ambiente e Natura Via Pio VII, 9 – 10135 Torino – Tel 01119680111 – fax 01119680025 – E-mail: [email protected]

Le acque interstiziali del suolo sono state campionate e conservate a -15°C prima di essere analizzate. Durante il campionamento, i campioni sono stati posti in barattoli da 125 mL preventivamente lavati ripetutamente con acqua ultrapura al fine di ridurre al minimo le possibilità di inquinamento. Il carbonio organico solubile è stato determinato sulla soluzione filtrata attraverso opportuni filtri da siringa di diametro nominale 0.45 micron. Il campione è stato poi analizzato per mezzo di un TOC analyzer (TOC-V, Shimadzu Corp., Tokyo, Japan). Analogamente, è stato determinato il DON, per il quale è stato talvolta necessario effettuare delle diluizioni 1:10 del campione. Per la determinazione di cationi e anioni inorganici, i campioni sono stati filtrati attraverso un filtro a maglia 0.2 m, al fine di escludere la frazione particolata dal campione liquido. I campioni sono stati analizzati per la determinazione del contenuto dei principali cationi (calcio, magnesio, sodio, potassio e ammonio) e anioni (cloruri, nitrati, solfati). L’analisi è stata condotta con un Dionex- 500, dotato di un sistema integrato in serie per la separazione simultanea di cationi ed anioni sulle opportune colonne porapack. La Tabella 11 riporta gli standard di calibrazione per ciascuno ione investigato. Dall'analisi sono stati esclusi i fluoruri ed i fosfati a causa della loro concentrazione estremamente bassa. I campioni visibilmente scuri sono stati preventivamente diluiti 1:10 prima di essere sottoposti ad analisi. Per ulteriori dettagli analitici si rimanda a Filippa et al. (2010).

Ret time (minuti) St1 St2 St3 St4 St5 St6 St7 St8 Anioni Fluoruri 1.904 0.0625 0.125 0.25 0.5 1 1.5 Cloruri 2.62 0.375 0.75 1.5 3 6 9 Nitriti 2.91 0.0125 0.025 0.05 0.1 0.25 0.5 Nitrati 4 0.624 1.249 2.4975 5.01 10.02 15.03 Fosfati 6.013 0.5 1 2 4 7.99 11.99 Solfati 8 1 2.55 10 20.02 40.04 60.06

Cationi Sodio 4.85 0.1575 0.315 0.63 1.25 2.5 5 10 15 Ammonio 5.6 0.0313 0.0625 0.125 0.25 0.5 1 2 3 Potassio 7.2 0.156 0.312 0.624 1.247 2.495 4.99 9.99 14.99 Magnesio 14.3 0.313 0.625 1.25 2.5 5 10 20 30 Calcio 18 0.781 1.5615 3.123 6.245 12.49 24.98 49.96 74.94

Tabella 11 Concentrazione (mg/L) di ciascuno standard utilizzato per la calibrazione nell'analisi di anioni (6 standards) e cationi (8 standards)

La torbiera di San Bernardo pH dell’acqua interstiziale

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Il pH dei campioni prelevati a San Bernardo varia da 4,2 a 5,8 alla profondità compresa tra 0 e 20 cm mentre copre un range compreso tra 4,0 e 5,2 a 50 cm di profondità. Il pH subacido conferma la minerotrofia dell’area umida, che, alimentata primariamente da acque profonde detiene un maggior contenuto di ioni in soluzione. Dall’elaborazione geostatistica emerge come, in superficie, i valori di pH siano più alti ai confini dell’area umida abbassandosi al centro dell’area; in profondità invece la distribuzione appare più uniforme con un innalzamento nella zona a sud-est (Figura 79). Nelle zone in cui sono presenti hummocks, la presenza di muschi farebbe presupporre valori di pH più acidi di quelli che invece sono stati misurati. Il pH più elevato ai bordi dell’area può essere causato dalla sostanza organica maggiormente alterata, come si deduce dal rapporto C/N. La maggior presenza di sostanza organica alterata accompagnata probabilmente alla concomitante presenza di una maggiore frazione minerale potrebbe determinare un aumento della Capacità di Scambio Cationico (CSC), innalzando il pH. In profondità invece, nella zona sud orientale, dove c’è materiale flottante, il pH è più elevato probabilmente per il contatto con acqua di falda più ricca di cationi.

Figura 79 - pH tra 0 e 20 cm e tra 20 e 50 cm di profondità nella torbiera di San Bernardo

Cationi e anioni Nella Tabella 62 sono riportati i risultati delle analisi effettuate sulle acque interstiziale prelevate nei punti di campionamento.

Camp cloruri nitrati solfati sodio ammonio potassio magnesio calcio DOC DON SBA4 6,20 0,12 6,36 1,03 0,79 6,63 0,94 2,14 31,20 0,10

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SBA5 7,85 0,27 6,77 2,31 3,22 6,09 1,15 3,93 32,18 0,07 SBB3 12,93 0,46 3,02 4,69 5,48 14,87 0,89 2,30 71,45 3,96 SBB4 7,28 0,22 22,78 4,26 6,16 7,18 2,81 7,28 29,86 0,75 SBB5 1,98 0,15 2,90 0,46 0,27 1,55 0,92 2,58 36,21 0,44 SBB6 1,93 0,09 5,50 0,78 0,00 3,64 1,50 4,07 16,30 0,75 SBC2 1,22 0,13 8,69 0,96 0,97 4,21 2,73 6,63 30,43 0,21 SBC3 3,88 0,00 6,52 1,36 0,01 7,58 1,45 4,66 33,15 0,24 SBC4 3,52 0,10 5,07 0,51 0,66 3,98 0,87 2,82 15,24 0,90 SBD2 1,59 0,11 10,29 0,94 1,17 3,98 1,33 3,40 12,79 0,17 SBD3 1,50 0,12 14,11 0,90 0,71 4,26 2,24 5,86 21,69 2,34 SBD4 1,65 0,11 2,76 0,43 0,50 1,08 0,89 2,86 10,87 0,04 SBD5 0,62 0,90 12,55 0,66 0,30 2,75 1,98 5,57 8,36 0,89 SBD6 4,58 0,23 8,97 1,22 5,28 6,58 1,11 3,40 17,23 0,20 SBE2 7,22 0,12 4,48 1,08 1,96 7,83 0,95 2,59 41,43 1,24 SBE3 1,43 0,11 12,97 0,89 0,12 1,19 2,28 5,80 13,68 1,24 SBE4 5,41 0,16 4,67 2,77 2,76 4,66 0,85 2,52 15,61 0,52 SBE5 1,36 0,11 9,75 0,86 0,64 2,32 1,31 3,99 13,76 0,12 SBF1 5,92 0,13 8,75 2,10 4,26 5,66 0,84 2,55 65,82 1,84 SBF2 3,08 0,10 2,81 0,53 0,47 2,52 0,78 2,34 15,54 0,24 SBF3 3,58 0,09 10,53 0,58 0,63 3,01 1,55 2,80 19,20 0,06 SBF4 1,10 0,12 3,61 0,59 0,46 3,08 0,70 1,99 13,66 0,08 SBF5 1,13 0,11 5,78 0,58 0,70 1,37 0,86 2,73 14,61 0,07 SBG4 0,90 0,10 7,24 0,65 0,30 1,65 1,80 5,02 10,54 0,22 SBG5 1,12 0,11 2,55 0,80 0,93 3,28 0,73 2,50 16,44 0,09 SBH2 1,59 0,10 3,62 0,82 0,52 4,64 0,89 2,67 24,26 1,40 SBH3 1,87 0,11 9,95 0,88 0,22 2,43 1,68 5,14 10,20 1,22 SBH4 2,00 0,14 6,86 1,20 0,18 3,72 0,89 2,09 9,89 1,36 SBH5 6,35 0,12 1,96 0,73 0,93 5,93 0,74 2,07 19,34 0,40 SBI3 3,17 0,12 5,30 1,23 0,80 4,73 0,81 1,95 19,64 0,14

Tabella 62 - Contenuto di cationi, anioni, DOC e DON nella soluzione del suolo nella torbiera di San Bernardo (valori espressi in mg/L).

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Per quanto riguarda gli anioni, i cloruri hanno una concentrazione media di 3,28 mg/L con i valori più alti (circa 7 mg/L) riscontrati nelle zone maggiormente elevate e asciutte. Concentrazioni inferiori sono state riscontrate nella zona più umida della torbiera. La concentrazione dei nitrati è mediamente di 0,16 mg/L, con valori che diminuiscono allontanandosi dalla fonte di ingresso delle acque. I solfati sono presenti in media a una concentrazione di 7,0 mg/L. Tra i cationi, ammonio e potassio risultano più concentrati nelle zone più esterne con picchi rispettivamente di 6,2 mg/L e 14,9 mg/L in corrispondenza dei valori di più alti di pH. Ammonio e potassio sono significativamente correlati (r = 0,73, p<0.05) indicando come la loro concentrazione nell’acqua sia regolata sia da proprietà chimico-fisiche simili, sia dall’equilibrio con le superfici di scambio. Il calcio ha una concentrazione media di 3,5 mg/L mentre sodio e magnesio si riscontrano ad una concentrazione di 1,2 mg/L. Anche il sodio è correlato alla concentrazione di potassio e ammonio così come sono correlate la concentrazione di calcio e magnesio (r = 0,86, p<0.05). L’analisi geostatistica (Figura 80-84) conferma i valori di correlazione riscontati tra calcio e magnesio, cationi che indicano l’influenza litologica nell’acqua della torbiera. Il carbonio disciolto risulta molto più concentrato nell’area a nord della torbiera, distribuzione che non riflette quella del carbonio organico totale. L’azoto disciolto è presente in quantità nettamente inferiori con una media di 0,7 mg/L. DOC e DON hanno valori minori dove aumenta il ristagno idrico.

Figura 80 - Concentrazione di cloruri e nitrati

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Figura 81 - Concentrazione di solfati e sodio

Figura 82 - Concentrazione di ammonio e potassio

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Figura 83 - Concentrazione di magnesio e calcio

Figura 84 - Concentrazione di DOC e DON

La torbiera della Balma pH dell’acqua interstiziale Formattato: Destro 0,63 cm 202 ARPA Piemonte Codice Fiscale – Partita IVA 07176380017 Area Funzionale Tecnica Ambiente e Natura Via Pio VII, 9 – 10135 Torino – Tel 01119680111 – fax 01119680025 – E-mail: [email protected]

Come illustrato in precedenza, la torbiera è stata suddivisa in tre aree separate e con caratteristiche idromorfologiche e vegetazionali diverse. Queste differenze emergono analizzando i valori di pH che, nelle balme chiamate “carex” e “piccola”, risultano subacidi tipici delle torbiere ombrotrofiche; nella “balma grande” il pH medio è invece 5,3 a confermarne i caratteri minerotrofici. L’elaborazione di cui sotto ben rappresenta le differenze dei valori di pH (Figura 85 e Figura 6).

Figura 85 - pH tra 0 e 20 cm di profondità nelle tre aree della Balma

Formattato: Destro 0,63 cm 203 ARPA Piemonte Codice Fiscale – Partita IVA 07176380017 Area Funzionale Tecnica Ambiente e Natura Via Pio VII, 9 – 10135 Torino – Tel 01119680111 – fax 01119680025 – E-mail: [email protected]

Figura 86 - pH tra 0 e 20 cm e tra 20 e 50 cm di profondità

Andando in dettaglio ad analizzare la distribuzione del pH in Balma Grande osserviamo come i valori subiscano un aumento nella zona sud orientale, probabilmente a causa del disturbo creato dalla fauna: il calpestamento e la conseguente distruzione del tappeto di sfagni provoca un aumento del materiale organico particolato in sospensione, una maggiore mineralizzazione, accompagnata da un aumento di cationi basici in soluzione. Si evidenzia infatti una relazione positiva tra il pH e il contenuto di calcio e magnesio.

Cationi e Anioni Nella Tabella 63 - sono riportati i risultati delle analisi effettuate sulle acque interstiziali (soluzione del suolo) prelevate nei punti di campionamento.

Eliminato:

Camp. cloruri nitrati solfati sodio ammonio potassio magnesio calcio DOC DON BCB2 3,47 0,37 0,90 1,13 1,59 8,97 0,17 0,61 51,00 0,20 BCB3 3,21 0,13 1,56 0,73 0,51 5,97 0,22 0,90 35,00 0,05 BCB4 7,51 0,55 2,71 1,74 1,63 10,83 0,66 5,26 55,96 0,12 BCB5 5,76 0,16 1,01 0,72 1,08 7,52 0,17 0,65 17,34 0,02 BCB6 1,52 0,11 1,10 1,68 0,01 3,36 0,28 1,83 11,42 0,04 BCC1 2,38 0,81 3,12 0,84 2,23 5,23 0,12 1,01 0,00 0,00 BCC2 14,45 0,61 5,51 2,35 3,81 22,44 0,44 1,29 114,07 0,49 BCC3 6,16 0,71 1,31 2,67 1,97 10,26 0,73 2,19 61,67 0,14 BCC4 0,83 0,17 1,50 0,47 0,20 4,26 0,15 0,57 25,94 0,13 BCC5 7,34 0,97 4,49 1,22 3,18 8,08 0,19 0,96 43,56 0,09 BCC6 4,38 0,24 1,85 1,18 0,03 6,27 0,40 1,93 26,81 0,11 BCD4 0,32 0,12 0,36 0,23 0,03 1,56 0,16 0,66 32,97 0,06 BGA3 5,84 8,18 6,87 1,16 3,66 10,49 0,45 5,84 155,21 6,18 BGA4 5,39 2,10 20,77 0,83 4,94 6,80 1,00 8,97 25,38 0,05 BGB3 9,07 2,87 18,47 3,05 6,25 11,33 0,88 8,17 113,70 6,18 BGC3 4,22 2,48 11,14 0,37 4,02 6,64 0,68 6,09 57,69 0,11 BGC4 9,06 3,12 0,81 1,13 0,85 18,12 4,33 22,15 25,81 0,01 BGD1 8,95 2,02 23,13 2,48 9,14 8,90 1,37 11,13 23,91 0,06 BGD2 3,88 2,00 14,60 0,77 4,66 6,83 0,90 7,99 19,83 0,00 BGE2 6,74 2,03 11,15 1,41 6,04 9,66 0,92 7,67 28,35 0,45 BGF3 2,76 3,90 9,19 0,99 0,96 5,54 3,85 24,04 12,21 0,22 BGG4 0,72 3,01 30,71 0,59 0,21 2,97 2,90 25,80 7,65 0,14 BGG5 2,28 3,89 18,95 0,97 4,78 6,62 2,83 22,83 15,05 0,09 BGH4 2,68 3,25 10,77 2,35 2,05 5,20 3,55 18,19 7,41 0,16 BGH5 4,78 4,18 23,78 1,27 5,46 7,45 3,68 25,41 9,93 0,13 BGH6 0,32 3,66 24,10 0,52 0,33 3,41 2,55 27,23 7,89 0,18 Formattato: Destro 0,63 cm BGH7 3,79 0,22 7,01 1,19 2,06 6,14 0,86 3,30 19,69 0,29 204 BPA1 52,49 0,13 5,05 18,79 25,19ARPA Piemonte 17,70 0,14 0,65 43,01 0,28 BPB1 45,88 0,95 4,83 18,24Codice Fiscale 24,73 – Partita IVA 18,75 07176380017 0,11 0,53 67,09 0,38 Area Funzionale Tecnica BPB2 6,99 0,95 2,88 1,75 3,93Ambiente e Natura 11,81 0,40 1,40 96,29 0,01 BPB3 Via72,44 Pio VII, 9 0,83– 10135 Torino4,41 – Tel 011196801110,03 0,19 – fax 01119680025 1,80 – E-mail: 0,06 [email protected] 0,31 236,00 0,40

Tabella 63 - Contenuto di cationi, anioni, DOC e DON nella soluzione del suolo nella torbiera di San Bernardo (valori espressi in mg/L)

Tra gli anioni, i cloruri hanno una concentrazione media di 9,8 mg/L con i valori più elevati misurati nella Balma Piccola; la concentrazione diminuisce nelle zone più umide della torbiera (Figura 87). La concentrazione media dei nitrati è di 1,76 mg/L, quella dei solfati di 8,84 mg/L; entrambe le specie chimiche manifestano un aumento in Balma Grande (Figura 88). Allo stesso modo, tra i cationi, aumentano le concentrazioni di calcio e magnesio: in particolare all’interno di Balma Grande si può notare come i valori di calcio, magnesio e in parte ammonio aumentino verso la zona sud orientale dell’area umida (Figura 89 e Figura 90). Il fenomeno, come descritto in precedenza per il pH, è da imputare al pascolamento animale e al disturbo che da questo ne deriva. La frammentazione dello sfagno, unitamente all'aumento di materiale particolato nelle acque, evidente anche in campo, potrebbe aumentare le superfici di contatto tra acqua e materiale organico. Proprio questo processo potrebbe essere responsabile dell'incremento dei cationi in soluzione.

Figura 87 - Concentrazione di cloruri e nitrati

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Figura 88 - Concentrazione di solfati e sodio

Figura 89 - Concentrazione di ammonio e potassio

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Figura 90 - Concentrazione di magnesio e calcio

Figura 91 - Concentrazione di DOC e DON

4.4.8 Andamento della temperatura del suolo delle due torbiere (Novembre 2009-Ottobre 2010)

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Al fine di valutare l’andamento della temperatura del suolo in questo specifico pedoambiente, come accennato in precedenza, sono stati impiegati una serie di dataloggers i-button, i quali hanno permesso di registrare la temperatura del suolo di torbiera per un periodo di un anno. I dati registrati (dati di temperatura raccolti ogni 4 ore durante il periodo Novembre 2009-Ottobre 2010) mostrano in generale valori molto variabili durante il periodo senza neve al suolo e molto stabili in inverno. Dal grafico (Figura 92) si osserva come, nel momento in cui si accumula una congrua quantità di neve sul suolo la temperatura smetta di risentire delle fluttuazioni della temperatura dell’aria e si attesti intorno agli 0°C per un periodo, molto simile per entrambi i siti, di circa 6 mesi. Dopo la fusione della neve, avvenuta intorno ai primi giorni di maggio, la temperatura del suolo riprende a fluttuare in modo anche molto pronunciato, fino a raggiungere massimi stagionali intorno ai 30°C.

Le temperature massime che si raggiungono sono anche molto elevate (fino a 50°C) in torbiera. Si tratta di eventi probabilmente riconducibili alla presenza di acqua che assorbendo radiazione solare in misura maggiore rispetto al suolo può raggiungere temperature molto più elevate. Passando al periodo invernale, si osserva come la comparsa di un manto nevoso di adeguato spessore garantisca isolamento termico al suolo, stabilizzando per molti mesi la temperatura intorno agli 0°C (Edwards et al. 2007; Freppaz et al. 2008).

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Figura 92 - Andamento stagionale delle temperature del suolo nel periodo ottobre 2009- novembre 2010 in alcuni punti delle torbiere di San Bernardo (in alto) e Balma (in basso)

Tali condizioni microclimatiche favoriscono sicuramente una rilevante attività biologica che potrebbe contribuire in modo sostanziale alla mineralizzazione della sostanza organica. È interessante osservare inoltre che in entrambi i siti, grazie all’inerzia termica dell’acqua nelle stagioni di transizione ed alla presenza del manto nevoso durante la stagione invernale, non si osservino mai temperature negative nel suolo.

4.4.9 Rilievi botanici

I risultati dei rilievi botanici sono stati archiviati in un data-base che viene allegato alla presente relazione (Allegato 1) Formattato: Destro 0,63 cm 209 ARPA Piemonte Codice Fiscale – Partita IVA 07176380017 Area Funzionale Tecnica Ambiente e Natura Via Pio VII, 9 – 10135 Torino – Tel 01119680111 – fax 01119680025 – E-mail: [email protected]

I dati relativi alla tabella complessiva dei rilievi provenienti dai due siti sono stati sottoposti ad analisi multivariata impiegando tecniche di classificazione ed ordinamento e dal confronto dei risultati ottenuti con vari settaggi si è giunti ad individuare le strutture che meglio consentivano di sintetizzare la complessità dei dati. La tabella, così strutturata in modo da raggruppare la maggior parte dei 75 rilievi nelle principali tipologie e da disporle secondo i principali gradienti, ha permesso di distinguere sette gruppi e di valutare in modo gerarchico il loro grado di similarità.

Figura93 - Classificazione dei rilievi e rappresentazione gerarchica delle loro distanze, ottenuta sulla base della composizione floristica

A causa della difficoltà per i non specialisti di arrivare ad un riconoscimento in campo delle componenti muscinali (spesso riconoscibili con certezza solo grazie alle caratteristiche microscopiche, in laboratorio) tali tipologie sono state definite utilizzando la componente vascolare e successivamente incrementate dei dati

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relativi alle briofite. La matrice strutturata è stata quindi nuovamente smembrata nelle tabelle dei singoli siti e sottositi per una lettura più facile delle diverse stazioni. Al centro della immagine i due gruppi con maggior similarità interna, che sono anche i meno distanti fra loro. Si tratta della vegetazione oligotrofica che si trova in prossimità della falda affiorante, che esprime il suo massimo compimento nella torbiera di San Bernardo, nelle parti meno influenzate dal disturbo e da apporto di acque ricche di ioni. Le due tipologie sono in effetti molto simili, distinguibili grazie ai diversi livelli di abbondanza di Trichophorum caespitosum, sempre presente comunque. La seconda tipologia, in giallo nel dendrogramma, scarsa di Trichophorum, si realizza più di frequente nella parte N della torbiera di S Bernardo, ed ospita le uniche presenze della rara Potentilla palustris, una specie del Menyantho trifoliatae- Sphagnetum teretis. Tutta la parte centrale del dendrogramma (i gruppi in colore 2-3-4 da sinistra) appaiono caratterizzati fisionomicamente da Carex rostrata, una delle specie presenti con maggiore successo ecologico e grandi capacità di adattamento, che grazie anche alla sua maggior statura risulta appariscente anche quando c’è ma è poco abbondante. Essa è inoltre presente anche in altre formazioni della tabella (gruppo 6 da sin., in verdone) Sono tutte situazioni di scarsa distanza della falda, che restano bagnate fino in superficie per la gran parte della stagione, in alcuni casi si tratta addirittura di vegetazione sommersa nelle pozze, dove questa specie è quasi sola. Carex rostrata regredisce nelle zone in progressivo interramento (gruppi 1 e 7 in arancione e rosso) e nel gruppo 5, in viola, caratterizzato da un regime idrico che probabilmente vede maggiori variazioni stagionali, ospitando insieme elementi relativamente esigenti di acqua come Eriophorum angustifolium e elementi dei prati magri come Nardus stricta). Ovviamente il gradiente idrico è un elemento determinante nel condizionare queste cenosi, ma bisogna considerare anche altri fattori di sicura influenza sulla vegetazione palustre, quali la abbondanza di nutrienti disponibili e la acidità del substrato. Anche da questo punto di vista Carex rostrata mostra una certa plasticità, dimostrata dal fatto che caratterizza, in base a molti studi eseguiti sul territorio europeo ed italiano, associazioni con livelli di trofia estremamente differenti, ed anche nei casi da noi rilevati viene confermata questa caratteristica. Lontano dalla vegetazione più o meno oligotrofica a Carex rostrata ora descritta troviamo appunto due gruppi meno influenzati dalla falda. Uno si manifesta bene in due sottositi dell’Alpe alla Balma (in rosso, gruppo 7) ma è presente in numerosi rilevi lievemente differenti e quindi non attribuiti ai gruppi in colore anche a San Bernardo sul lato NW presso il margine della torbiera, caratterizzato da elevata acidità, abbondanza di ericacee (Vaccinium, Calluna, Empetrum), talora presenza di cuscini rilevati di sfagni acidofili, in particolare di S. capillifolium e di S. compactum. Qui troviamo le cenosi in cui la rara Carex pauciflora raggiunge la sua massima abbondanza. L’altro gruppo di rilievi meno in contatto con la falda, il primo a sin. in arancio nella fig. 4, è caratterizzato dalla dominanza di Carex panicea, che si accompagna a Carex lepidocarpa, due elementi decisamente meno amanti l’acidità del substrato. Questo gruppo è anche Formattato: Destro 0,63 cm 211 ARPA Piemonte Codice Fiscale – Partita IVA 07176380017 Area Funzionale Tecnica Ambiente e Natura Via Pio VII, 9 – 10135 Torino – Tel 01119680111 – fax 01119680025 – E-mail: [email protected]

caratterizzato dalla assenza delle specie oligotrofiche palustri ed in particolare degli Sfagni. Per una tabella completa e strutturata dei rilievi vedere allegato 1, ove compaiono anche i risultati delle misurazionì in campo di pH, conducibilità, distanza della falda.

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