UNIVERSITÀ CA’ FOSCARI VENEZIA

Corso di Dottorato di Ricerca in Lingue e Civiltà dell’Asia e dell’Africa Mediterranea ciclo XXVIII

Tesi di Ricerca

LA SOGGETTIVITÀ MASCHILE E LA RICERCA DI UNA NUOVA MASCOLINITÀ NELLA LETTERATURA CINESE ALL’EPOCA DELLE RIFORME.

IL CASO DI ZHANG XIANLIANG.

SSD: L-OR/21

Coordinatore del Dottorato Ch. prof. Federico Squarcini Supervisore Ch. prof. Marco Ceresa

Dottorando Daniele Beltrame Matricola 824885

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INDICE

Introduzione 1. Il contesto storico: la fine del maoismo e il dibattito culturale degli anni Ottanta 1.1. Introduzione 1.2. La soggettività nel dibattito intellettuale del periodo postmaoista 1.3. La soggettività maschile nella realtà sociale e nella rappresentazione nel periodo delle riforme 1.4. La soggettività maschile nella letteratura degli anni Ottanta 2. Trauma, memoria e ricostruzione dell’identità. 3. Zhang Xianliang. Biografia critica dell’autore 4. Analisi della trilogia autobiografica di Zhang Xianliang 4.1. «Mimosa» Lühuashu 綠花樹 4.2. «Metà dell’uomo è donna» Nanren de yiban shi nüren 男人的一半是女人 4.3. «Abituarsi a morire» Xiguan siwang 習慣死亡 5. Conclusioni Bibliografia

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Introduzione

Oggetto della ricerca sarà la descrizione e l’analisi della mascolinità, ossia la costruzione dell’identità di genere maschile, e della risorta soggettività dell’intellettuale nella letteratura della Cina postmaoista, attraverso la testimonianza e la riflessione di Zhang Xianliang 张贤 亮 (1936-2014) e di alcuni autori delle correnti letterarie nate successivamente alla fine della Rivoluzione Culturale, in particolare della «Letteratura della ricerca delle radici» Xungen wenxue 寻根文学. L’analisi sarà contestualizzata inserendola nel periodo di transizione dall’epoca più radicalmente socialista – segnatamente la Rivoluzione Culturale – alla nuova società consumista aperta alle nuove influenze occidentali e collocando l’esperienza degli autori considerati all’interno di questa svolta storica e della successiva «febbre culturale» wenhua re 文化热 della metà degli anni Ottanta. Nella mia ricerca mi concentrerò sul cambiamento dell’immagine dell’uomo e dei valori associati alla mascolinità nella letteratura all’epoca delle riforme. L’arco temporale che prenderò in considerazione è quello compreso tra le prime aperture di Deng Xiaoping 邓小平 (1904-1997) e il conseguente rilassamento del clima politico e intellettuale attorno al 1978 e i fatti di piazza Tian’an men nel 1989, senza escludere alcune sortite analitiche nel periodo successivo degli anni Novanta e qualche riferimento anche alla società cinese attuale. L’autore che più di altri offre spunti critici e argomenti per quest’analisi è sicuramente Zhang Xianliang, di cui si analizzerà nel dettaglio la trilogia autobiografica, particolarmente rivelatrice della difficile condizione dell’intellettuale cinese (maschio) in una realtà politica e intellettuale estremamente repressiva, ossia quella della prigionia nel sistema concentrazionario maoista, e successivamente della difficile ridefinizione della propria identità sociale e di genere nella Cina delle riforme. Attraverso la storia di un personaggio quasi omonimo, Zhang Yonglin 章永璘, l’autore descrive la parabola di un intellettuale cinese che, dopo venti anni di prigionia nei laogai 劳改 e nelle fattorie di Stato, ritrova la propria forza, la propria potenza sessuale e la propria capacità creativa al termine di una lunga e dolorosa Bildung maschile molto simile ad un catartico percorso iniziatico. La ricerca sarà collocata in una più ampia analisi del dibattito letterario e dello sviluppo della narrativa cinese negli anni Ottanta, cioè il momento in cui, dopo aver subito esperienze profondamente traumatiche durante il decennio della Rivoluzione Culturale, che inflissero loro una simbolica ma non meno dolorosa castrazione, gli intellettuali cinesi avviarono una generale riflessione sul proprio recente passato e sulla condizione dell’intellettuale in una

3 nuova epoca di liberazione del soggetto simile alla Rivoluzione Letteraria del Quattro Maggio. La rivolta contro una relativa femminilizzazione degli uomini cinesi produsse istanze simili da parte di scrittrici come Zhang Jie 张洁 (1937-) e Zhang Xinxin 张辛欣 (1953-), già molto interessate alla ricostruzione della soggettività di genere dopo l’androginia forzata della Rivoluzione Culturale. Era molto diffusa la preoccupazione per l’indebolimento delle figure maschili e l’incapacità degli uomini di fare fronte ad una donna che invece sembrava sempre più forte e indipendente; la manifestazione più diretta di quest’istanza da parte degli scrittori in questo decennio di risveglio culturale fu la nascita della «Letteratura della ricerca delle radici», il cui manifesto fu il breve saggio di Han Shaogong 韩少功 (1953-), «Le radici della letteratura» Wenxue de gen 文学的根 (1985) pubblicato sulla rivista Zuojia 作家. La «Ricerca delle radici» era anche una ricerca di “veri uomini” nella tradizione cinese, contro i modelli maschili provenienti dall’estero e il tentativo di recuperare quanto più possibile un’identità di genere – e la sicurezza della propria posizione sociale, in quanto intellettuali e in quanto uomini, derivante da essa – intesa ancora in termini molto tradizionali in un periodo in cui essa era minacciata da grandi cambiamenti politici, economici e sociali. Accanto a nuovi, rivoluzionari modelli maschili quali quello dell’imprenditore, incarnato dal manager Qiao di Jiang Zilong 蒋子龙 (1941-), (ri)emergono così figure rappresentative di una mascolinità più primordiale e sanguigna. I pastori nomadi delle steppe e i cacciatori dei boschi che popolano le narrative della «Ricerca delle Radici» e in particolare i racconti di Zheng Wanlong 郑万隆 (1944-), incarnano proprio questo tipo di mascolinità e sono per molti una rievocazione quasi terapeutica della Rivoluzione Culturale, quando i giovani inviati a lavorare nelle regioni più sperdute della Cina ebbero modo di incontrare davvero tipi maschili ben distanti dal modello classico del «fragile studioso» (Song 2004) che essi invece rappresentavano in quanto ragazzi di città istruiti e privi di esperienza della vita. L’esigenza psicologica di dare un senso alle sofferenze subite nella Rivoluzione Culturale e il timore di una rielaborazione troppo esplicitamente critica del recente passato può contribuire a spiegare la scelta di modelli tanto distanti dalla tradizionale mascolinità confuciana. La Rivoluzione Culturale, insomma, venne rivalutata agli occhi di molti intellettuali come un’ordalia necessaria a rafforzare il fisico e il carattere dell’individuo e del popolo cinese. In maniera molto originale, Zhang Xianliang, pur descrivendo anch’egli modelli maschili molto più rudi e muscolari rispetto alla tradizione, riconferma nella sua narrativa la validità del modello confuciano: è il «potere testuale» che garantisce il prestigio e il potere politico che rende potente un uomo. Il soddisfacimento e la sublimazione del desiderio (alimentare o sessuale) è funzionale al raggiungimento di 4 ambizioni più elevate, le uniche degne di un “vero uomo” nel senso confuciano, adattato alla realtà comunista. Nella tradizione cinese è soprattutto la posizione sociale e la vicinanza relativa al potere che definisce l’identità di genere, soprattutto quella del letterato prima e dell’intellettuale poi; la diade concettuale proposta da uno dei maggiori studiosi della mascolinità cinese, Kam Louie (2002), si basa proprio sul binomio wen 文/wu 武 che riassume le due principali definizioni della rappresentazione maschile nei termini, rispettivamente, della coltivazione intellettuale e della prestanza fisica. Escluse le fasi di anarchia politica in cui era soprattutto la forza a comandare, il primato fu sempre assegnato al talento letterario o, più precisamente, alla conoscenza dei classici che permettevano l’accesso alle cariche più elevate. La cultura, quindi non era un’occupazione fine a sé stessa, ma indirizzata al perseguimento della carriera ufficiale, l’unica degna di un gentiluomo confuciano, e alla conquista di una precisa definizione sociale e discorsiva della soggettività. Nel corso della trattazione vedremo come nel periodo preso in esame riemergono esplicitamente nel racconto degli autori protagonisti, e in particolare di Zhang Xianliang, alcuni elementi tipici della mascolinità tradizionale, con alcune lievi varianti: in questo caso Marx sostituirà e integrerà Confucio nel formare un nuovo “vero uomo” che possa essere nuovamente ammesso e riconosciuto come tale fra i propri simili. Dall’altro lato, godendo di una posizione storica che ci consente di esaminare anche quel che la società cinese divenne in seguito e quel che è tutt’ora – per quanto riguarda in particolare l’ambito della mascolinità – possiamo anche misurare quante delle preoccupazioni degli autori “ritornati” si sono realizzate e quali modelli sono sopravvissuti o sono stati sostituiti da nuove versioni della mascolinità normativa negli anni successivi. Ad esempio, la figura del manager d’azienda sembra essere oggigiorno più popolare che mai nella Cina attuale, e sembra addirittura che la classe imprenditoriale cinese possa a giusto titolo rientrare in quelle che Connell e Wood (2005) definiscono «business masculinities». Per quanto sublimato, una delle istanze che più spesso si fanno visibili nelle rappresentazioni letterarie della prima fase di apertura della Cina, in effetti, è l’evidente riemergere del desiderio, componente essenziale della rinata soggettività dell’autore, del personaggio fittizio e del pubblico in generale. La ricostruzione della propria mascolinità da parte degli intellettuali cinesi è anche una (ri-)scoperta della soggettività nella produzione e nella fruizione di un’arte che diventa in quest’epoca anche un prodotto di consumo, accentuando così la crisi di identità dell’artista, costretto ora a soddisfare anche il mercato, oltre alla persistente censura politica. Un altro elemento che concorre alla costruzione di una nuova o

5 rinnovata importanza del soggetto è la continua enfasi posta sulla modernità: un progetto intellettuale, politico, economico e sociale che attraversa tutto il Novecento cinese e che è affidato ad una classe dirigente sempre composta da uomini. Allorché tale progetto subì fallimenti o battute d’arresto, la posizione di potere e prestigio degli intellettuali ne risentì e di conseguenza la loro stessa dignità maschile. Nel caso degli scrittori maschi, il ritorno alla soggettività porta con sé anche una riflessione sulla propria mascolinità ferita o indebolita dal dolore e dal terrore subiti durante la Rivoluzione Culturale, come anche dalla perdita della loro centralità sociale. La riconquista dell’identità di genere da parte degli uomini cinesi costituiva al tempo stesso il recupero di una posizione di prestigio per l’intellettuale e anche la riscoperta dell’orgoglio nazionale da parte dell’intera Cina. Si può quindi pensare alla soggettività, seguendo Zhong Xueping (2000) come alla «relazione fra la storia e l’individuo» (p. 7). La riflessione sulla soggettività di genere, iniziata nella letteratura, finì col permeare anche altri ambiti della cultura, come il cinema; del resto, numerosi film di successo girati da registi della quinta e della sesta generazione sono tratti da opere letterarie particolarmente significative per questo tema: è il caso ad esempio di Hong Gaoliang 红高粱 (1987) e Judou 菊豆 (1990), entrambi girati da Zhang Yimou 张艺谋 (1951-) e tratti rispettivamente da Hong gaoliang jiazu 红高粱家族 (1987) di Mo Yan 莫言 (1955-) e Fuxi Fuxi 伏羲伏羲 (1988) di Liu Heng 刘恒 (1954-). In quanto costruzione culturale e discorsiva, la mascolinità verrà studiata a partire dall’immagine di essa contenuta opere di alcuni autori che nel decennio considerato si sono maggiormente dedicati alla sua ridefinizione. L’immagine dell’uomo e della mascolinità che ne emerge può essere destrutturata per risalire ai suoi elementi costitutivi, osservandone le sue multiple rappresentazioni e separando l’ideale della rappresentazione e la realtà storica contestuale. Si può altresì misurare la distanza fra ideale e reale e gli effetti che questo scarto produce sull’individuo, sulla società e sul potere che contribuisce a fondare il modello. Ogni testo, inteso in senso lato come ogni pratica significante, e ancor più il testo letterario, può essere in questo modo scomposto risalendo alla volontà dell’autore (consapevole o inconscia) nel porre in essere una precisa realtà discorsiva o nel partecipare e contribuire ad una costruzione già formata e all’influenza di fattori esterni come – particolarmente nel caso cinese – la coercizione implicita del potere politico sull’artista. Nell’indagare le descrizioni e le trasformazioni della mascolinità cinese negli ultimi decenni seguirò il metodo dei Cultural Studies: in un’ottica interdisciplinare analizzerò i rapporti tra cultura – intesa come insieme di pratiche, rappresentazioni, linguaggi e abitudini di una 6 specifica società attorno ai quali si creano dei significati condivisi – e il potere, inteso come la capacità di produrre, diffondere e far accettare i significati creati. La mascolinità, infatti, o meglio le mascolinità, non sono identità essenziali ma «configurazioni di pratiche che sono costruite, esibite e modificate attraverso il tempo» (Connell; Messerschmidt 2005, p. 852) che quindi variano a seconda del contesto geografico (locale, regionale, globale) e del momento storico e possono anche non rappresentare uno specifico tipo di uomo ma «un modo per gli uomini di posizionarsi attraverso pratiche discorsive»; quindi gli uomini possono scegliere in diverse situazioni fra diverse mascolinità (egemonica, complice, di protesta). Questo apre la possibilità, individuata da Demetriou (2001), all’interno del concetto di «egemonia interna» (cioè fra diverse mascolinità), di un’ibridazione della mascolinità egemonica, che in un processo di «pragmatismo dialettico» prende da altre forme di mascolinità ciò che può esserle utile per mantenere il proprio predominio. In sostanza, nonostante le critiche al concetto di mascolinità egemonica stabilito da Connell (1995, 2005), quel che rimane è sicuramente la pluralità delle versioni della mascolinità e il legame gerarchico fra di esse: alcune versioni sono socialmente più rilevanti e centrali, maggiormente associate al potere sociale e all’autorità, mentre altre sono periferiche, sovversive o inventive. Procedendo dal concetto gramsciano di egemonia, la mascolinità egemonica non è necessariamente quella statisticamente più diffusa ma non è per questo meno normativa: essa è «[…] il modo più onorevole di essere uomini» (Connell; Messerschmidt 2005, p. 832), costringe le altre versioni della mascolinità a posizionarsi in relazione ad essa e legittima la subordinazione delle donne nei confronti degli uomini. Essa non implica l’uso della violenza ma una diffusa influenza trasmessa dalla cultura, dalle istituzioni e dalla persuasione.1 Nell’analisi testuale, poi, si seguirà soprattutto un approccio poststrutturalista, dando maggior rilievo alle rappresentazioni di genere e ai testi in senso lato che le veicolano. Verrà applicato al contesto cinese contemporaneo l’analisi dei discorsi – ‘foucaultianamente’ definiti – attorno al genere e in particolare attorno al corpo maschile. L’influenza dell’ideologia politica, poi, è particolarmente rilevante nel caso della Cina al momento del passaggio dal maoismo, in cui la sola visione del mondo possibile era quella marxista, e per la quale l’unico possibile criterio di definizione dell’identità era la “classe”,

1 Esistono nella teoria di Connell altre versioni della mascolinità, definite, sempre in relazione a quella egemonica, come «mascolinità complice» perché ottiene gli stessi benefici della mascolinità egemonica in termini di potere patriarcale senza esercitare lo stesso dominio; e «mascolinità marginali» o «mascolinità di protesta» perché escluse dall’associazione al modello egemonico e patriarcale. Ad esse è riconducibile la mascolinità di minoranze etniche marginalizzate. «La mascolinità agisce come un codice che regola non solo la disuguaglianza fra uomini e donne, ma anche la configurazione del potere all’interno del genere maschile» (Bellassai 2004, p. 28). 7 alla Cina postmaoista, in cui riemergono concetti più variegati e graduabili dell’identità indeividuale e non più solo collettiva quali il genere. Se la condizione della donna in Cina ha ricevuto grande attenzione da parte del mondo accademico, lo stesso non si può dire della costruzione di quel che anche relativamente all’ambito cinese era ritenuto «il genere invisibile» (Bellassai 2004), ossia la mascolinità. Anche per gli uomini il dovere di essere all’altezza di un modello rappresenta una condizione difficile e uno stato violento, dovendo dimostrare alla società la propria dignità e adeguatezza maschili. Anche se in molti casi gli intellettuali partecipano alla costruzione dei modelli, spesso sono costretti ad assecondare esigenze e richieste prodotte dalla società e dalla politica indipendenti e a volte contrarie alla loro volontà. Nel caso della Cina, gli ultimi tre decenni sono stati carichi di trasformazioni e innovazioni, che hanno imposto agli intellettuali (maschi) un adattamento forzato per poter mantenere le proprie prerogative sociali, culturali e politiche associate tradizionalmente al proprio genere e al proprio ruolo, e obbligandoli ad affrontare il difficile compito di provare la propria identità maschile e rinnovandone i presupposti. Anche se il presente lavoro si concentrerà sulla rappresentazione della mascolinità nell’ambito letterario, e in particolare nelle opere di Zhang Xianliang, l’importanza del più vasto discorso sulla mascolinità ha una grande rilevanza per la comprensione della Cina contemporanea, non solo per il periodo immediatamente successivo alla Rivoluzione Culturale, ma anche per la società cinese del Ventunesimo Secolo. La ridefinizione del concetto, prevalentemente performativo, della mascolinità è parte della ricostruzione della modernità delle classi dirigenti urbane: nell’epoca della globalizzazione anche le identità di genere vengono ripetutamente e continuamente rielaborate e negoziate per aderire ad alcuni modelli transnazionali di mascolinità, più o meno egemonici, ma sempre sanciti da una condivisione di caratteri comuni a livello sovranazionale. Nel campo dei male studies in ambito cinese gli studi scientifici sono effettivamente poco numerosi, nonostante si noti un significativo e crescente interesse per il settore negli ultimi anni. Delle tre ondate di studi sulla mascolinità a livello globale individuate da Edwards (2006), la terza è quella che, iniziata alla metà degli anni Novanta, è prevalentemente interessata alla questione della rappresentazione, in particolare nei media, della performatività del genere contro il ruolo sessuale; essa dedica una maggiore attenzione allo studio della mascolinità anche al di fuori delle società occidentali, chiarendo come sia ormai difficile parlare di singole versioni nazionali della mascolinità e ci si debba piuttosto

8 concentrare su interpretazioni di una mascolinità egemonica, frutto di uno scambio fra elementi e pratiche locali e globali. Nel caso della mascolinità cinese, tuttavia, gli studi principali prendono in considerazione in particolare la letteratura e i modelli tradizionali di mascolinità e come questi siano stati modificati – e quanto di essi si sia conservato – nel trapasso dal periodo classico all’epoca moderna. Le opere letterarie sono tradizionalmente una delle maggiori fonti di archetipi maschili (Yang 2011, p. 26) e infatti l’approccio all’argomento dal punto di vista della letteratura e del pensiero classici ha prodotto le prime opere sul tema: in particolare l’autore che per primo ha trattato specificamente il tema della mascolinità nella cultura cinese partendo dall’analisi di alcune figure letterarie è Kam Louie nel suo Theorising Chinese Masculinities. Society and Gender in China (2002). La diade concettuale che l’autore propone nell’interpretazione della mascolinità, intesa come identità graduabile, è quella fra wen 文 «abilità intellettuale» e wu 武 «forza fisica, abilità marziale»: come strumento analitico questa divisione permette di iniziare a classificare le figure più rappresentative della mascolinità in due distinte categorie contrapposte: ovviamente nella società confuciana, in cui era premiata soprattutto la cultura, che dava accesso alle più alte cariche dello Stato, la palma spettava sempre agli uomini che incarnassero la prima delle due versioni della mascolinità e quindi l’«uomo ideale» e più desiderabile risultava essere immancabilmente il letterato confuciano, anche perché deteneva il monopolio della rappresentazione e quindi descriveva sé stesso come preferibile per una donna di ottimi natali desiderosa di fare un buon matrimonio. Questo primo studio portò con sé un’ondata di interesse per questa nuova prospettiva sulla storia e la letteratura non solo della Cina, ma anche di altri Paesi dell’Asia orientale: ad esempio i volumi di saggi Asian Masculinities: The Meaning and Practice of Manhood in China and Japan (2003) a cura di Kam Louie e Morris Low e quella curata da Susan Brownell e Jeffrey Wasserstrom, dal titolo Chinese Femininities/Chinese Masculinities (2002). Queste opere rappresentano i primi risultati collettivi di un approccio al tema della mascolinità in ambito cinese o nel contesto dell’Asia orientale a partire da angolazioni diverse (storico, sociologico, letterario ecc.) ma nella comune convinzione che l’identità di genere declinata al maschile sia un aspetto degli area studies sull’Asia troppo a lungo trascurato o dato per scontato. L’immagine dello caizi, dello studente e del letterato confuciano, diventa il protagonista di un altro studio pionieristico della disciplina, The Fragile Scholar (2004) di Song Geng, che fonda un’altra importante coppia dialettica e analitica: quella fra yin 阴 e yang 阳, intesi in senso politico e sociale, come posizioni alternative e spesso compresenti di potere relativo, 9 ermeneuticamente molto più utili in ambito cinese della semplice distinzione fra maschile e femminile. I due termini sono più utili per definire l’identità sociale, di genere e politica del soggetto perché sono normalmente compresenti e non mutuamente esclusivi. Una stessa persona poteva essere yang nei confronti dei propri sottoposti (o come parte dominante all’interno di una relazione sessuale), e al tempo stesso yin di fronte ai propri superiori. Se la costruzione della mascolinità per questi autori avveniva principalmente in un ambiente omosociale, pensiamo in primo luogo alla mascolinità dello haohan 好汉 che popola romanzi quali «Sulle rive dell’acqua» Shuihu zhuan 水浒传,2 (oppure al riconoscimento reciproco dei letterati, Martin Huang aggiunge un elemento in più: nel suo Negotiating Masculinities in Late Imperial China (2006) ammette che la costruzione della mascolinità avvenisse nei tempi classici anche come distinzione da tutto ciò che era identificato come femminile, introducendo la mascolinità come concetto relazionale. Anche Giovanni Vitiello nel suo The Libertine’s Friend: Homosexuality and Masculinity in Late Imperial China (2011) aggiunge un ulteriore strumento analitico: egli ammette che wen e wu si siano reciprocamente contaminati nel momento in cui la dinastia Ming stava perdendo il suo potere e la colpa venne fatta ricadere sui letterati, incapaci di fare fronte alla conquista straniera e indirettamente responsabili di tale catastrofe nazionale; il risultato fu, nella rappresentazione, la nascita della figura di un cavaliere errante confuciano, pensato apposta per arginare la natura puramente contemplativa e imbelle dello studioso e superare una crisi della mascolinità che più volte si ripresenterà agli occhi degli intellettuali cinesi nei momenti di crisi politica nazionale. Il senso di responsabilità per la salvezza della patria, che già sentivano i letterati/funzionari confuciani sarà ereditato e nutrito ancor più dall’ideologia nazionalista e comunista nel corso del XX secolo: per questo, allorché il progetto di ricostruzione e di modernizzazione del Paese subì degli arresti o addirittura fallì, la colpa ricadde sulla classe dirigente intellettuale, provocando delle ferite nella stessa identità maschile degli intellettuali, definita primariamente dalla loro legittimazione a governare, ossia sempre la loro natura di maschi wen. Il miglior esempio di analisi della crisi della mascolinità cinese in seguito alla Rivoluzione Culturale, con particolare riferimento alla letteratura cinese contemporanea, è l’opera di Zhong Xueping, Masculinity Besieged?, Issues of Modernity and Male Subjectivity in Chinese Literature of the Late Twentieth Century (2000). L’approccio dell’autrice in questo caso è principalmente psicoanalitico e parte dal concetto di Kaja Silverman (1992) di

2 Non è un caso che la mascolinità di questi eroi popolari si costruisca in un ambiente definito «fiumi e laghi» jianghu 江 湖. 10

«complesso di marginalizzazione» vissuto dolorosamente dagli intellettuali cinesi e dall’élite culturale a causa del difficile reinserimento nella società nel periodo delle modernizzazioni e dal ricordo del recente passato appena poté essere rielaborata e raccontata l’esperienza della Rivoluzione Culturale. In particolare negli anni Ottanta si fece sempre più ossessivo il discorso sulla perdita della mascolinità cinese, sia per il confronto con modelli maschili più virili importati in Cina attraverso il cinema e i nuovi media della cultura pop, sia per la difficile ricostruzione del proprio ruolo di intellettuali dopo le devastazioni della Rivoluzione Culturale, che ne aveva pesantemente danneggiato il prestigio e la fiducia in sé. Si fece strada un diffuso discorso sul declino del maschile e la contemporanea ascesa del femminile, poiché sembrava che invece le donne, non solo nella rappresentazione ma anche nella realtà, riuscissero a fare fronte alla nuova situazione economica e sociale meglio degli uomini. Un discorso contemporaneo fu quello della ricerca dei veri uomini, così definita dal titolo di un dramma di Sha Yexin 沙叶新 (1939-) «Alla ricerca di un vero uomo» Xunzhao nanzihan 寻找男子汉 (1986). Molti articoli e monografie sull’argomento sono stati pubblicati negli ultimi anni, alcuni di taglio storico, altri di impostazione etnografica o sociologica; alcuni esempi possono essere Masculinities in Chinese History (2013) di Bret Hinsch e Men and Masculinities in Contemporary China (2014) di Song Geng e Derek Hird. Mentre sto scrivendo queste righe, poi, sono appena stati pubblicati e stanno per essere pubblicati altri due saggi, il primo scritto da Kam Louie e il secondo curato dallo stesso autore: Chinese Masculinties in a Globalizing World (2015) e Changing Chinese Masculinities: From Imperial Pillars of State to Global Real Men (2016). Il dibattito sulla mascolinità in ambito cinese, per quanto recente, si è svolto con interessanti interventi su aspetti specifici della società e della cultura cinese. Si assiste inoltre ad una crescente attenzione in ambito accademico per queste tematiche, basti considerare il numero di tesi di master o di dottorato, soprattutto in Paesi di cultura anglosassone, dedicate alla moltiplicazione e alla diversificazione dei modelli maschili nella Cina contemporanea o alla descrizione della mascolinità in alcuni autori specifici. Ne siano due esempi la tesi di master discussa da Zhou Kefen presso l’Università di Victoria dal titolo Unspoken Desire. Zhang Xianliang’s Autobiographical Trilogy and the Contemporary Chinese Intellectual (2006) e la tesi di dottorato di Annie Yang Yen Ning presso l’Università del Missouri-Columbia intitolata An Expedition into the Uncharted Territory of Modern Chinese Men and Masculinities (2011) o ancora alcune tesi di dottorato, fra cui quella di Ngai Ling Tun, Politics of Sexuality: The Fiction of Zhang Xianliang, Mo Yan and Wang Anyi (1994) 11 discussa presso la University of Wisconsin-Madison, quella di Fu Binbin dal titolo Corporeal Reform: Figuring the Body in Contemporary Chinese Narrative (1999) discussa presso la Purdue University, la tesi di Fang Jincai discussa presso l’Università della Columbia Britannica, The Crisis of Emasculation and the Restoration of Patriarchy in the Fiction of Chinese Contemporary Male Writers Zhang Xianliang, Mo Yan and Jia Pingwa (2004), e la tesi di dottorato discussa da Derek Hird all’Università di Westminster dal titolo White-collar Men and Masculinities in Contemporary Urban China (2009).

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1. IL CONTESTO STORICO: LA FINE DEL MAOISMO E IL DIBATTITO CULTURALE DEGLI ANNI OTTANTA

1.1. Introduzione

La morte di e la conseguente fine della Rivoluzione Culturale nel 1976 segnò progressivamente l’inizio di una nuova epoca, durante la quale la Cina riprese i contatti con la cultura e le letterature mondiali, oltre che con la propria tradizione premaoista. Dopo la dichiarazione ufficiale della conclusione della Rivoluzione Culturale compiuta dal successore di Mao Hua Guofeng 华国锋 (1921-2008) nell’Undicesimo Congresso del Partito Comunista Cinese dell’agosto 1977 ci fu un periodo di riassestamento del potere nel Partito dal quale emerse la figura di Deng Xiaoping e il suo progetto politico, economico e sociale delle Quattro Modernizzazioni e del Socialismo di Mercato in seguito. Il declino del maoismo e dello stesso comunismo sarà sempre più visibile non solo nelle dichiarazioni dei leader riformisti, ma anche nel generale scetticismo della classe intellettuale.3 A questa crisi di legittimità del Partito e dello Stato socialista si tentò di porre un freno ribadendo all’occorrenza i principî del comunismo e del nazionalismo, con il quale sarà sempre più concepita una nuova versione della modernità e della comunità immaginaria cinese. La vita pubblica, la convivenza come collettività e il mantenimento delle strutture di potere del recente passato (nonostante la revisione costituzionale del 1982), saranno così assicurati da una nuova retorica, politicamente strumentale, fatta di nazionalismo e della riscoperta del confucianesimo in una società sempre più capitalista, individualista e consumista. Nell’ambito culturale, il periodo definito Nuova epoca (xin shiqi 新時期) inizia ufficialmente con il Terzo Plenum dell’Undicesimo Congresso del PCC nel dicembre 1978, nel quale fu decisa una revisione degli assunti critici della letteratura e dell’arte socialista che permise di liberare la cultura dalla tutela politica cui era stata sottoposta fin dai «Discorsi di Yan’an sulla letteratura e sull’arte» Zai Yan’an wenyi zuotan shang de jianghua 在延安 文艺座谈会上的讲话 del 1942. Nel maggio del 1978 il Guangming ribao 光明日报 aveva pubblicato un articolo dal titolo «La pratica è il solo criterio per provare la verità» Shijian shi jianyan zhenli de weiyi

3 Tale scetticismo spesso prese anche la forma dell’opposizione politica diretta, come nel caso del movimento del Muro della Democrazia di Xidan, a Pechino (Xidan minzhuqiang yundong 西单民主墙运动) nel 1979. Si trattava di un luogo di discussione attraverso dazibao (poster murari eredità della Rivoluzione Culturale) sul quale venne avanzata la richiesta di una Quinta Modernizzazione, la democrazia. 13 biaozhun 实践是检验真理的唯一标准, in cui si esprimeva il dibattito sui criteri della verità e durante il già citato Plenum il Partito approvò la decisione per cui la pratica era il solo criterio per giudicare la realtà, sostenendo così la «liberazione del pensiero» sixiang jiefang 思想解放, ossia la concessione di una pluralità di idee e di tendenze, e la critica della politica decisa da Hua Guofeng dei «due qualsiasi» liang ge fanshi 两个凡是 , cioè il sostegno acritico a qualsiasi decisione politica fosse stata presa da Mao, e al rispetto incondizionato per qualsiasi direttiva stabilita da Mao, che avrebbe garantito la continuità con il regime maoista. Vennero rovesciati i giudizi sulle condanne agli elementi di destra e sui fatti di Tian’an men del 5 aprile 1976;4 venne cancellato lo slogan della centralità della lotta di classe e si spinse sulla costruzione delle quattro modernizzazioni (agricoltura, industria, forze armate, scienza e tecnologia). Nell’ambito della letteratura e della cultura ci fu un generale orientamento verso un nuovo ordine dopo il caos: venne condannato definitivamente il «Sommario» jiyao 纪要 della conferenza di Shanghai del 1966 che aveva dato inizio alla Rivoluzione Culturale e siccome la pratica era ormai l’unico criterio per giudicare l’opera d’arte, la critica non avrebbe dovuto più fondarsi su posizioni pregiudiziali e ideologiche. Nell’ottobre 1979 ci fu il terzo congresso nazionale dei rappresentati della letteratura (dopo più di venti anni) e vennero espresse richieste di democrazia nell’arte e la fine di ogni intromissione della politica nella letteratura, rievocando così la fioritura dei cento fiori del 1956, della democrazia nelle arti e della libertà creativa. Il concetto della responsabilità dell’autore, il suo impegno civile e politico furono indirettamente riaffermati, continuando la tradizione della letteratura realista del Novecento cinese;5 inoltre, la revisione delle condanne politiche precedenti e l’attenuazione della censura permettevano ora un’ampia varietà di stili e di temi prima vietati o politicamente rischiosi. La libertà concessa da Deng ovviamente non era priva di contropartite: quello che egli chiedeva in cambio agli intellettuali (e soprattutto agli accademici e agli scienziati, non solo agli scrittori) era un sostegno ideologico verso la sua nuova politica, che ancora non godeva del pieno appoggio da parte di tutte le anime del Partito, ancora diviso fra nostalgici e progressisti.6 Nonostante la libertà concessa al mondo della cultura, infatti, ci saranno ancora

4 La data si riferisce alle manifestazioni pubbliche dal significato antimaoista iniziate con la commemorazione della recente morte del premier Zhou Enlai 周恩来 (1898-1976). 5 Zhou Yang 周扬 (1908-1989) rilanciò il realismo critico soprattutto per arginare l’indagine della «Letteratura delle ferite», che sembrava poter iniziare a considerare anche le colpe di Mao (Chan 1988). 6 Per demolire quel che restava del potere di Hua Guofeng e degli ultimi irriducibili sostenitori dei «due qualsiasi» Deng Xiaoping e i suoi sostenitori fra il 1980 e il 1981 promossero una discussione sugli errori del Grande Timoniere. Nonostante venisse comunque riaffermato il socialismo, il risultato politico fu l’ammissione da parte del Comitato Centrale nel 1981 che Mao aveva commesso gravi errori nell’ultima parte della sua vita: per questo era condannata la deriva estremista degli anni precedenti. Tuttavia, la percentuale di errori fu del 30% contro un 70% di scelte corrette. La stessa scelta dello slogan della pratica come unico criterio per cercare la verità era il rovesciamento di una massima di Mao, che invitava a cercare 14 momenti in cui la politica cercherà di controllare le arti, sia per la valutazione da parte della critica ufficiale dei nuovi movimenti artistici e letterari, sia con esplicite campagne di controllo e di condanna. Ricordiamo che fin da subito, con le manifestazioni e i manifesti murari del Muro della Democrazia a Pechino, si ebbe fin dal 1978 un movimento culturale che presto divenne politico e che richiese l’aggiunta di una Quinta Modernizzazione, la democrazia. La risposta delle autorità fu la repressione e l’arresto delle personalità più in vista del movimento, in particolare Wei Jingsheng 魏京生 (1950-), ex Guardia Rossa autore del manifesto murario del 5 dicembre 1978 in cui chiedeva appunto la quinta modernizzazione. Già nel febbraio 1980 si tenne una conferenza per criticare alcune opere ritenute troppo critiche e quindi censurabili poiché i temi che affrontavano potevano essere perfino sediziosi:7 le città del periodo brulicavano di giovani tornati in massa dalle campagne in un mondo che non assomigliava più a quello che avevano lascitao. Molti di loro erano disoccupati e molte opere letterarie, che trattavano apertamente di corruzione e nepotismo, potevano scatenare la loro rabbia. Inoltre, nel 1981 si ebbe una nuova campagna di rettifica esplicitamente contro gli intellettuali, la prima della Nuova epoca, contro Bai Hua 白桦 (1930-); nel 1983 una seconda contro l’«inquinamento spirituale» jingshen wuran 精神污 染 e nel 1987 una terza contro la «liberalizzazione borghese» zichan jieji ziyouhua 资产阶 级自由化, senza contare gli accesi dibattiti sull’umanesimo, l’alienazione nella società socialista e sulla soggettività.8 la verità dai fatti: in questo modo Deng cercava di accreditarsi come pragmatico contro Hua Guofeng, erede designato di Mao e sempre più screditato proprio dalla sua associazione con la leadership precedente, ora a processo per i disastri della Rivoluzione Culturale (Spence 2013, p. 608-611). 7 Due delle opere prese in esame dalle autorità erano «Se fossi reale» Jiaru wo shi zhende 假如我是真的 di Sha Yexin 沙 叶新 (1939-) et al. e «Nei faldoni della società» Zai shehui de dang’an li 在社会的档案里 di Wang Jing 王靖. Ironicamente, lo stesso Partito Comunista, che aveva sempre invitato gli scrittori ad occuparsi di temi sociali e politici, ora convince gli autori a tenersi lontani sempre più dalla critica sociale (Chan 1988). 8 Nonostante il partito fosse ancora diviso fra liberali e conservatori, tutti temevano che un dibattito culturale incontrollato potesse degenerare in gravi minacce alla stabilità politica dello Stato. La prima campagna fu provocata dal timore, soprattutto fra gli anziani del partito, che si potesse creare un’alleanza fra intellettuali e operai che potesse dar vita ad un movimento simile a Solidarność in Polonia (Goldman 2002, p. 508). Bai Hua venne censurato in particolare per la sua sceneggiatura di «Amore amaro» Kulian 苦恋 del 1981 in cui aveva messo a confronto l’America e la Cina a vantaggio della prima e aveva descritto il ruolo di Mao come puramente negativo (Chan 1988, p. 87). La seconda campagna prese di mira le idee occidentali, che ai conservatori sembravano sediziose, ma venne interrotta dopo sole sei settimane su pressione di Hu Yaobang 胡耀邦 (1915-1989) e Zhao Ziyang 赵紫阳 (1919-2005), i principali sostenitori di Deng, che temevano una fuga degli investitori stranieri. Anche la terza campagna venne promossa dai conservatori, spaventati stavolta dalle dichiarazioni di 方励之 (1936-2012), ritenuto responsabile delle proteste studentesche del 1986-1987 che chiedevano un’accelerazione delle riforme politiche. Hu Yaobang si rifiutò di reprimere le manifestazioni e venne rimosso dalla carica di segretario generale del partito, mentre la campagna contro la «liberalizzazione borghese» (altro eufemismo per le idee politiche occidentali) prese di mira tre personalità: gli scrittori Wang Ruowang 王若望 (1918-2001) e Liu Binyan 刘宾雁 (1925-2005) e il collega di Fang Lizhi, Xu Liangying 许良英 (1920-2013). Anche Liu Zaifu 刘再复 (1941-) era stato criticato pesantemente dai conservatori durante il 1986. Tuttavia, queste campagne, nel nuovo clima creatosi, non ebbero lo stesso effetto di repressione e di deterrenza di simili campagne nel passato, anche perché gli intellettuali non vennero puniti con la stessa severità e non si piegarono a denunciarsi e criticarsi reciprocamente, né tanto meno a fare autocritica. Gli intellettuali non avevano più paura e godevano anche di contatti e notorietà all’estero, per cui sarebbe stato molto più rischioso colpirli. In tutti i casi, infatti, prevalsero considerazioni economiche e la necessità di salvare la faccia e mantenere buoni rapporti con investitori stranieri. 15

I periodici letterari ripresero le pubblicazioni; inoltre, lo spazio per una produzione non ufficiale si ampliò sempre più e si poteva ormai mettere in discussione non solo la Rivoluzione Culturale, ma tutta la produzione del periodo dei “diciassette anni” (1949-1966), oltre a riscoprire molti dei “fossili culturali” degli anni Trenta e Quaranta tenuti nascosti dalla storia letteraria comunista.9 Tutto il dibattito culturale degli anni Ottanta, anzi, può essere letto come un confronto fra cultura ufficiale e non ufficiale, e in quest’ultima convergevano in maniera inedita sia “cultura alta” che “cultura bassa” (Fumian 2012). Venne inoltre introdotto il pensiero critico e la letteratura di Taiwan, e la Cina si aprì al dibattito culturale mondiale, traducendo e accogliendo testi critici e oper letterarie. Tutte queste importazioni e riscoperte sottolineano soprattutto la convinzione da parte degli intellettuali negli anni Ottanta dell’indipendenza e dell’autosufficienza dell’arte e della letteratura e di conseguenza la possibilità di sperimentare e affrontare ogni possibile direzione artistica, non solo nei temi, ma anche nelle forme. Il periodo considerato ha molto in comune con il Quattro Maggio 1919, un momento di grande fioritura culturale e di grande apertura verso il mondo: le influenze della letteratura straniera e della filosofia occidentale anche in questo periodo si fanno evidenti e pervasive, anche in questo caso assorbite con la frenesia tipica dei giovani, ma anche dai meno giovani, che volevano tutti recuperare il tempo perduto durante i dieci anni della Rivoluzione Culturale. Inizialmente vennero riproposte le opere già presenti e tradotte durante gli anni Cinquanta e Sessanta ma tenute nascoste e furono tradotte molte altre opere. In particolare ora interessa soprattutto recuperare il dibattito più recente, la letteratura modernista (che in Occidente era già tramontata), e le teorie critiche e filosofiche più attuali. Diventa interessante soprattutto il modernismo,10 con le sue tecniche sperimentali, anche perché fin dagli anni Trenta era stato condannato e represso dalla critica di sinistra, e questo aveva accresciuto la curiosità e l’interesse di autori e lettori. Inoltre, avendo vissuto la Rivoluzione Culturale, gli scrittori sentivano di avere ormai anche le necessarie basi storiche e psicologiche, ossia la consapevolezza di una crisi storica ed esistenziale, per accogliere e fare propria la tragica visione del mondo del modernismo e poterne sfruttare gli strumenti formali innovativi. Inoltre, occorreva urgentemente svecchiare il mondo letterario cinese. Il

9 Fra questi i poeti modernisti degli anni Quaranta, definiti in seguito le «Nove Foglie» Jiuye 九叶, le opere di Lu Ling 路 翎 (1923-1994) e di Shen Congwen 沈从文 (1902-1988) e altri autori prima bollati come borghesi o decadenti. 10 «By modernism, the Chinese mean all kinds of esoteric literature ranging from the ‘authentic’ modernist literature of the 1920s and 1930s, to black humour, existentialist literature and Theatre of the Absurd» (Chan 1988, p. 98). In generale, anche senza essere definiti modernisti, molti esperimenti letterari degli anni Ottanta riveleranno la delusione degli autori per il realismo e il prevalere della soggettività e dell’irrazionalità. 16 concetto di modernismo, però, era inteso in maniera molto ampia dagli intellettuali cinesi e conteneva in sé tutte le avanguardie del Novecento. Anche molti dei temi di dibattito del Quattro Maggio e del periodo successivo riemersero in questa fase: il confronto fra l’Occidente e la Cina, fra modernità e tradizione, fra influenze straniere e autenticità cinese. Le influenze straniere sono evidenti, anche se molti autori cercheranno di sminuirne il peso sulla propria opera. Tutto il Novecento venne assorbito in maniera bulimica e spesso acritica ma l’effetto delle importazioni culturali sarà molto positivo: esso darà origine ad una nuova distribuzione in scuole e correnti (favorevoli, contrarie o critiche nei confronti delle suggestioni straniere), oltre a riattivare la tradizione autoctona e la sintesi fra cultura occidentale e quella cinese. L’aspetto principale del risveglio intellettuale e artistico di questo periodo, considerato il recente passato della politica e della cultura cinese, fu sicuramente la possibilità per gli intellettuali di poter nuovamente considerare la propria attività come sempre più libera dalle costrizioni imposte dal Partito e di concepire la letteratura come un’autonoma produzione di significati, con proprie leggi intrinseche, la prima delle quali divenne la ricerca e l’esplorazione del soggetto individuale, e non più la collettività o il corpo politico unito dal progetto utopico di un mondo ideale. Dal “noi” si passò decisamente all’“io”, pur mantenendo alcune caratterisctiche del periodo precedente: il monologo interiore, infatti, molto spesso è rivolto verso l’esterno, verso un pubblico (Jin 2004). Questa preoccupazione per l’emancipazione e la liberazione del soggetto è alla base della «febbre per l’estetica» che attraversò il mondo culturale cinese negli anni Ottanta, che preluse alla diffusione dell’estetica negli ambiti della produzione di massa e del consumismo negli anni Novanta, con la conseguente sudditanza al capitale e la sua trasformazione in bene di consumo (Tao 2005). Se nel decennio successivo il prevalere del consumismo provocherà la «negazione dell’umano» (Tao 2005, p. 111), negli anni Ottanta l’esaltazione dell’estetica sosterrà il discorso sull’umanesimo e sulla liberazione dall’alienazione – e quindi sulla riscoperta del soggetto – che costituirà il fulcro del dibattito intellettuale. Lo stesso Zhang Xianliang (2008) afferma che solo con la liberazione della persona può iniziare la liberazione del pensiero.11 Il tema del desiderio come dimensione fondamentale per l’individuazione del soggetto, poi, diventerà nella letteratura degli anni Novanta un’ossessione per il denaro e per il sesso come simboli esteriori del successo e in questa degenerazione materialistica e

11 «更重要的是那不止于思想上的解放, 一切都是从人的解放开始。没有人的解放, 便没有思想的解放。所以, 人们 才将那个时期称之为 “第二次解放”, 并且我以为那才是真正的 “解放” 。» (Zhang 2008, p. 4). «Ben più importante è non fermarsi alla liberazione del pensiero, tutto infatti inizia con la liberazione della persona. Se questa viene meno non vi è liberazione del pensiero. Perciò quel periodo viene chiamato “seconda liberazione”, e io credo che sia l’unica vera liberazione». 17 consumistica si compirà la definitiva liberazione dell’arte dalla politica. Infatti, nonostante gli autori degli anni Ottanta esprimano a più riprese l’intenzione di affrancarsi dalle imposizioni della politica, l’atteggiamento di molti, e non solo degli appartenenti alla vecchia guardia, sarà fondamentalmente ancora militante e finalizzato a svolgere una missione sociopolitica. Fino alla svolta dei primi anni Novanta, infatti, allorché anche gli ultimi tentativi di sperimentalismo saranno cancellati dalla resa al mercato e dalla dissoluzione delle correnti e dei gruppi, tutti gli autori e le scuole saranno spinti a scrivere dal tradizionale senso di responsabilità nei confronti della società che permetterà la sopravvivenza del realismo, pur contaminato da altri modi espressivi o da un perdurante spirito di rivolta contro l’autorità che produrrà gli esperimenti della letteratura d’avanguardia. Tuttavia, dopo i fatti di Tian’an men, che seppelliscono definitivamente la speranza di poter cambiare la Cina in termini politici, anche con mezzi culturali, e con il tour al sud di Deng Xiaoping nel 1992 si entra definitivamente nella fase postmoderna della storia culturale cinese, quella del socialismo di mercato. Il discorso umanista e illuminista della modernità iniziò a perdere credibilità, così come i termini fondamentali del dibattito sulla modernità in Cina fin dalla Rivoluzione Letteraria dei primi anni della Repubblica: le distinzioni di moderno e tradizionale, di cinese e straniero perdono i propri contorni e anche il discorso sulla soggettività e sull’individuo viene sostituito da un generale senso di frammentazione e di spaesamento che sembra infine il raggiungimento della “condizione (post)moderna”, provocata in questo caso dalla forza storica del potere politico e del mercato (Zhang Xudong 2003).

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1.2. La soggettività nel dibattito intellettuale del periodo postmaoista

Per soggettività intendiamo «[…] la condizione di essere una persona e i processi attraverso i quali si diventa persone; cioè come siamo costituiti come soggetti (biologicamente e culturalmente) e come facciamo esperienza di noi stessi» (Barker 2008, p. 215). In particolare, in un’ottica antiessenzialista, la soggettitività e l’identità sono formazioni culturali e sociali storicamente definite. Esse quindi non sono entità fisse e stabili ma «[…] una descrizione discorsiva ed emotivamente densa di noi stessi che è soggetta al cambiamento» (p. 216). L’identità è fondata a partire dalla somiglianza e dalla differenza, dal personale e dal sociale e la sua descrizione, insieme al carico emotivo che la accompagna, emerge in varie forme di rappresentazione. L’ansia per la ricostruzione della mascolinità, una delle principali preoccupazioni intellettuali e letterarie del periodo postmaoista, troverà molto spazio nella rappresentazione letteraria e questa ricerca dell’identità maschile, unita al bisogno di ritrovare la centralità dell’intellettuale nella nuova società, contribuirà al superamento della supremazia discorsiva della retorica maosta. La ricerca di un nuovo soggetto per una nuova epoca era motivata da tre diverse spinte: verso l’interno, verso il passato e verso l’Occidente (Cai 2004, p. 28); essa cioè avrebbe consentito di restituire al singolo la capacità di produrre significati, di rinunciare al passato maoista e alla sua creazione di un soggetto collettivo prendendo ispirazione dall’Occidente e dalla sua letteratura. Come abbiamo visto, l’eredità del Quattro Maggio era presa da molti come il punto di (ri)partenza di un generale progetto di ricostruzione culturale per un Paese troppo a lungo ostaggio della retorica rivoluzionaria, nazionalista e socialista, almeno fin dagli anni Trenta del Novecento. Per poter riportare il dibattito sui temi dell’umanesimo senza ripetere una rottura netta con la tradizione – ciò che del resto era diventata la cultura degli ultimi cinquant’anni – e senza sembrare del tutto succubi delle importazioni culturali, era necessario riprendere il filo spezzato con quel primo risveglio umanistico dell’epoca moderna e con i suoi valori, espressi già nei primi interventi dei riformatori di inizio Novecento: basti ricordare il saggio di Zhou Zuoren 周作人 (1885-1967), «La letteratura umana» Ren de wenxue 人的文学 (1918), oltre all’esempio di Hu Feng 胡风 (1903-1985), difensore della verità della condizione umana e dello spirito combattivo del soggetto contro l’affermazione di una letteratura oggettiva e propagandistica voluta dal Partito Comunista dagli anni Quaranta. Uno dei principî di quell’esperienza storica – e in generale di tutta la storia letteraria cinese, almeno nella sua versione confuciana – è sicuramente la concezione dell’utilità storica e sociale dell’intellettuale: per questo motivo la responsabilità di uscire 19 dalla Rivoluzione Culturale e dal suo vuoto culturale e morale venne assunta dagli intellettuali, che per primi si fecero carico di questa missione per ricostruire una prima forma di soggettività: quella dell’autore. Inoltre, come fa notare Rey Chow (1993, p. 331) la soggettività del Quattro Maggio, ripresa anche in questa fase postrivoluzionaria, era soprattutto da intendersi come il ripensamento della relazione tra l’autore, l’oggetto della narrazione e il lettore: per questo essa riassumeva il rapporto fondamentale fra intellettuale e masse, un rapporto che si farà sempre più teso e conflittuale, che produrrà differenze e opposizioni fra diverse correnti e autori con sensibilità e finalità diverse, ma soprattutto fra gli intellettuali e il Partito Comunista, che rivendicava il monopolio della rappresentanza delle masse. Non era così semplice per gli intellettuali ripresentarsi come difensori della dignità umana e dei valori umanistici dopo trent’anni di maoismo (e se consideriamo anche la guerra contro i il Giappone e la dittatura nazionalista precedente il numero degli anni aumenta), durante i quali essi erano stati obbedienti servitori di un potere dispotico. Coloro che erano stati perseguitati a causa della propria opera erano sicuramente “avvantaggiati” in questo caso, poiché era più facile per loro dimostrare la propria incrollabile fede nei valori che ora predicavano. Zhang Xianliang, imprigionato per vent’anni ma sempre fiducioso nel valore salvifico della cultura e della volontà umana, poté sicuramente e legittimamente inserirsi in questo progetto. Chi più di altri sosterrà la necessità di questo senso di responsabilità e della missione dell’intellettuale sarà Liu Zaifu 刘再复 (1941-), il maggior critico di quest’epoca, sostenitore della soggettività nella produzione e nella ricezione della letteratura: secondo lui lo scrittore avrebbe dovuto sentire la responsabilità, più che la libertà, di esprimere la propria epoca, alimentando l’etica pubblica; la prova di questa raggiunta sensibilità e la conseguenza della soggettività dello scrittore sarebbe stato un «senso di ansia» youhuan yishi 忧患意识 che fin dal Quattro Maggio aveva accompagnato gli intellettuali cinesi, spaventati dalla possibilità di non riuscire ad essere pienamente moderni e assediati da incertezze e preoccupazioni sulla propria individualità. Allontanandosi dalle teorie che fondavano la critica letteraria su leggi esteriori e “oggettive” e che si basavano essenzialmente sui rapporti economici nella società, egli valutava l’opera letteraria solo per il suo contenuto soggettivo e per la sua originalità, frutto entrambi della libertà creativa dell’autore. Si trattava del rovesciamento di fatto del realismo socialista. Durante il periodo maoista, da Yan’an fino alla Rivoluzione Culturale, l’eroe della letteratura comunista era divenuto sempre meno attivo e sempre più meccanicamente reattivo alle 20 sollecitazioni della realtà oggettiva – spesso solo costruita nella finzione – fino a diventare un ingranaggio nella macchina della rivoluzione, come Lei Feng 雷锋 (1940-1962). Il culmine si avrà proprio con la Rivoluzione Culturale, quando l’eroe, spogliato di caratteri realmente umani, divenne semplicemente una figura ideale, un «superuomo di massa» (Eco 1985) nel vero senso della parola, capace cioè di guidare il popolo senza il peso delle debolezze umane. Durante la Rivoluzione Culturale, quando i temi dell’amore e della famiglia, come anche i temi storici vennero praticamente cancellati in favore di opere a tesi di tipo politico, per lo più di ambientazione agricola, l’eroe viene descritto tipicamente come giovane, non sposato e spesso orfano, tutto ciò che lo mette fin da subito al servizio del popolo e del partito: la sua famiglia è il proletariato e la sua devozione al partito, che lo ha cresciuto, è totale. L’origine di classe, poi, è fondamentale: in base ad una sorta di eugenetica di classe, l’unico vero eroe comunista non può che essere figlio delle classi “rosse”. L’eroe maschile in particolare – ma spesso, a causa della neutralizzazione (wuxinghua 无性化) di genere nella rappresentazione artistica del periodo maoista, lo stesso si può dire per la donna – soprattutto se militare, ha un fisico forte, muscoloso, abbronzato, ha degli occhi grandi e penetranti e un’aria vigorosa, un aspetto franco e sincero e indossa vestiti da lavoro o una divisa (Yang 2002, p. 192). Sebbene siano degli eroi di cartapesta, nei romanzi della Rivoluzione Culturale i protagonisti maschili appaiono sempre molto forti e impavidi e questo come conseguenza delle tre caratteristiche fondamentali prescritte per la loro caratterizzazione: «elevato, grande e perfetto» (gao da quan 高大全12). In quella che sembra una sorta di kalokagathia di ritorno che, per quanto socialista, potrebbe sembrare molto aristocratica e “feudale”, l’eroe maschile della narrativa maoista al suo apogeo è essenzialmente corporeo e perde ogni profondità psicologica, è definito dalle sue azioni e non c’è alcuna discrasia fra ciò che pensa o desidera e ciò che fa: tutto in lui è prestabilito in maniera talmente normativa e prescrittiva da farlo diventare una minaccia per chiunque osi comportarsi umanamente e deviare dalla regola e dal modello. Tuttavia, questo eroe non è dotato di un corpo individuale, ed è quindi privo delle caratteristiche somatiche di genere: egli è piuttosto parte di un corpo collettivo, di cui è una particella, e in quanto tale rappresenta con i suoi attributi visibili la forza e la rettitudine della collettività. Le altre componenti della sua identità, compresa la mascolinità, sono del tutto accessorie (Wang Yu 2006). Questi eroi sono capaci di rinunciare ad ogni desiderio e ad ogni promessa di felicità per compiacere le autorità, sempre immancabilmente descritte come infallibili. L’etica del sacrificio che

12 Gao Daquan 高大全 è anche e non casualmente il nome del protagonista del romanzo più famoso del maggior autore di narrativa della Rivoluzione Culturale, Hao Ran 浩然 (1932-2008), «La strada dorata» Jinguang dadao 金光大道 (1972). 21 incarnano è a tutti gli effetti uno strumento di controllo e le stesse opere d’arte (romanzi, teatro, poesia) diventano narrative di controllo sociale. Gli eroi dei romanzi, poi, sono sempre onesti e integerrimi, sono sempre cortesi e generosi e non perdono mai la pazienza – contrariamente ai personaggi negativi – e soprattutto non cedono mai di fronte all’oppressione ma si ribellano sempre alle ingiustizie, commesse ovviamente da funzionari corrotti o deviazionisti (Yang 2002, p. 198-201). Come figure rappresentative di una classe, più che di un singolo, gli eroi dei romanzi obbediscono in questo caso senza sfumature né cedimenti alle indicazioni del realismo marxista più puro: il soggetto marxista rappresenta il mondo intorno a sé solo con l’ausilio dell’ideologia e non attraverso la propria esperienza personale. In questo è soggetto (nel senso della soggezione) ad una visione del mondo preconfezionata, con un’incontestabile pretesa di oggettività. Nel caso della letteratura maoista e massimamente nel romanticismo rivoluzionario, poi, si dà una solida interdipendenza fra letteratura e politica e una soggettività normativa anche da parte del narratore che, nell’atto di raccontare, in realtà prescrive. Questo procedimento viene definito da Yang Xiaobin (2000, p. 360) «magia estetica»13 che si fonda molto sulla dicotomia fra buono/positivo e malvagio/negativo con cui può assolutizzare la caratterizzazione dei personaggi e dare un quadro totalizzante della storia. La stessa apparente mascolinità dei personaggi rivoluzionari della letteratura maoista era inficiata dalla loro sottomissione al Partito, che riduceva questi maschi virili ad un ruolo relativamente “femminile” (Wang 2003, p. 46). Tale autoreferenzialità, tuttavia, raggiunse il suo culmine e il suo declino con la Rivoluzione Culturale e dimostra la crisi della rappresentazione e della modernità letteraria. Per quanto riguarda la mascolinità di questi personaggi, essa è estremamente pervasiva, tanto da contaminare perfino la femminilità delle eroine ma dall’altro lato è anche troppo astratta e artefatta per avere spessore e profondità. Allorché fu nuovamente possibile pensare e rappresentare la realtà in maniera originale e realistica, per quanto le icone del recente passato venissero sfruttate, rielaborate e reinventate nel mercato culturale, che ne fece ironicamente dei feticci consumistici (Tao 2005), i personaggi maschili delle narrative maoiste divennero il contraltare di una versione di una nuova mascolinità, interpretata secondo due modelli principali da un lato: quello muscolare tratto dalla cultura occidentale non meno che dal recupero di una mascolinità più rude, virile ed “eterodossa” del passato cinese (ad esempio quella degli haohan del Liangshanpo 梁山泊, sui quali spesso,

13 «The function of Maoist discourse lies in its aesthetic magic, which absolutizes the grand narrative by enforcing a subjectively established significative construction.» (Yang 2000, p. 360). 22 consapevolmente o meno – e nonostante la taccia di figure “feudali”14 – erano calcati gli eroi, soprattutto quelli militari e militanti, delle narrative rivoluzionarie); dall’altro lato, la versione, sempre tratta dalla tradizione, più ortodossa e più confuciana dell’uomo ideale come intellettuale. Anche in questo caso, del resto, la sopravvivenza del modello intellettuale è visibile nella superiorità della consapevolezza politica sulle doti fisiche negli eroi della letteratura maoista.15 Di sicuro, nell’epoca postmaoista gli eroi spesso non sono integerrimi o perfetti moralmente e fisicamente; al contrario, molto spesso i ricordi dolorosi, lo smarrimento e la crisi di identità degli intellettuali e del pubblico della letteratura in generale si rifletteva nella condizione di emarginati, di complessati o menomanti fisici o mentali dei personaggi della letteratura del periodo, fino al massimo del grottesco con la narrativa d’avanguardia, che renderà in forma letteraria, anche nella forma, la follia e la schizofrenia insite nel discorso della modernità e l’incapacità di conoscere realmente la verità da parte del soggetto (il lettore o l’autore).16 Tutti questi personaggi complicati rappresentano inoltre una risposta decisa al realismo fraudolento e menzognero dell’epoca precedente, e mettono in scena le difficoltà incontrate dagli individui nell’agire e nell’orientarsi in una nuova epoca. Come durante il

14 Basti pensare alla campagna contro Song Jiang durante la Rivoluzione Culturale. Un eroe maschile vicino al modello dello haohan è il protagonista del romanzo Hong gaoliang jiazu di Mo Yan, Yu Zhan’ao: in particolare, una caratteristica che condivide con i briganti del passato è il timore di soccombere alle lusinghe del sesso, rappresentate dalla seconda protagonista femminile, Lian’er; questo timore lo spinge a comportarsi in modo violento, come i fuorilegge del romanzo tradizionale «Sulle rive dell’acqua» Shui hu zhuan 水浒传, il cui legame omosociale di cameratismo non poteva essere messo in pericolo dall’intromissione della donna. 15 Valga su tutti l’esempio de «La canzone della giovinezza» Qingchun zhi ge 青春之歌 (1958) di Yang Mo 杨沫 (1914- 1995) in cui la protagonista realizza la sua emancipazione e la sua Bildung politica e sociale rinunciando all’amore romantico, per quanto libero, e all’individualismo (tipici del Quattro Maggio) innamorandosi di uomini dalla coscienza politica più matura, che lei ama per le sue qualità di leader e per la loro forza morale, oltre che del collettivo di cui vuole entrare a far parte. Anche in questo caso, però, la soggettività della protagonista è limitata rigidamente dalle prescrizioni letterarie della politica: l’amore della donna non può che essere devozione politica, di carattere quasi religioso, e la sua indipendenza è controllata dal partito; in questo caso la liberazione della donna è solo apparente, poiché essa è sempre sottoposta al controllo maschile, in questo caso sotto forma di una relazione insegnante-allieva: «[…] the knowledge of communist theory is in this context transformed into masculine power that demands women’s total submission to a different patriarchal order, the Communist Party» (Lu 1993b, p. 206). La relazione della protagonista con i personaggi maschili, come anche in altri casi, ad esempio ne «La ragazza dai capelli bianchi» Baimao nü 白毛女 (1945), è ancora la riproposizione delle storie di talento e bellezza (caizi jiaren xiaoshuo), come del resto anche le storie di Zhang Xianliang, in cui un giovane intellettuale di belle speranze viene salvato dalla donna, che lui poi abbandona (Wang 2003). È per questo che Kam Louie (2002) ha associato la storia di Zhang Yonglin, il protagonista dei romanzi autobiografici di Zhang Xianliang, allo studente Zhang, protagonista de «La storia di Yingying» Yingying zhuan 莺莺传, un chuanqi 传奇 di epoca Tang (618-906) scritto da Yuan Zhen 元稹 (779-831) e della sua versione teatrale, «Il padiglione occidentale» Xixiang ji 西廂记, dramma zaju 杂剧 di epoca Yuan (1260-1368) scritto da Wang Shifu 王实甫 (tardo XIII sec). 16 Per fare solo qualche esempio basti ricordare il protagonista del romanzo «Pa pa pa» Ba ba ba 爸爸爸 (1985) di Han Shaogong 韩少功 (1953-); il contrasto fra “sorgo degno” (gli antenati) e “sorgo indegno” (il narratore) in Hong gaoliang jiazu. Altri personaggi di Han Shaogong sono spesso disturbati oppure hanno problemi cognitivi, come ne «Il suono dell’oboe suonato dal vento» Feng chui suona sheng 风吹唢呐声 (1981) e ne «Il dizionario di Maqiao» Maqiao cidian 马 桥词典 (1984). Infine, il protagonista di «Metà dell’uomo è donna» Nanren de yiban shi nüren 男人的一半是女人 (1985) è afflitto dall’impotenza sessuale, provocata e dalla repressione politica. Tutte queste storture nella psicologia dei protagonisti rivelano non solo gli effetti dell’oppressione subita, ma per molti versi tradiscono anche la preoccupazione per un’espressione troppo diretta nel presente. È anche una resa nel significante della frattura del sé subita durante la Rivoluzione Culturale, la privazione di un «soggetto coerente, continuo, autonomo» che produrrà il sostrato psicologico per il postmodernismo cinese e gli esperimenti dell’avanguardia (Feuerwerker 1998, p. 210). 23

Quattro Maggio la società confuciana veniva accusata di aver danneggiato la personalità degli individui, anche in questo momento l’accusa per l’incapacità di comprendere la realtà e di averne una percezione affidabile cadeva inevitabilmente sui responsabili dei recenti cataclismi politici e sociali. Gli stretti rapporti fra soggettività del personaggio, la sua agency e la sua identità di genere sono stati ben analizzati da Lu Tonglin (1993) a proposito del romanzo «Sorgo Rosso» Hong gaoliang jiazu 红高粱家族 (1986) di Mo Yan: tenendo fermi tutti gli elementi di novità che contraddicono, superandola, la retorica rivoluzionaria, fra cui la scelta di banditi e fuorilegge come eroi della resistenza antigiapponese, gli elementi sovrannaturali che indeboliscono il realismo della narrazione, la sfasatura fra i piani temporali che permette di pensare “passati” alternativi nel racconto, l’uso quasi parodistico del superlativo contro il Mao wenti 毛文体 , il Maospeak che concretizzava la pretesa di un monopolio del significato, della memoria e della verità da parte del Partito, la soggettività è in particolare sottolineata dalle prospettive multiple della narrazione fra varie voci narranti e soprattutto dal rovesciamento conturbante fra oggettivo e soggettivo attraverso la personificazione di elementi oggettivi, come la natura (ad esempio il campo di sorgo) e il rovesciamento metaforico e il mescolamento simbolico fra mondo animale, mondo vegetale e mondo umano. Tutti questi elementi, soprattutto quando divengono paradossali, contribuiscono ad abbattere l’autorità della rappresentazione del realismo socialista e a dare un’immagine di forza e di dinamismo alla narrazione. L’associazione fra il campo di sorgo e il corpo femminile della protagonista rafforza l’oggettivazione della figura femminile riscontrata a più riprese nel romanzo, riecheggiando in questo la limitata soggettività femminile e la sua apparente emancipazione; la vera soggettività autonoma e motrice dell’azione è quella maschile: è il desiderio maschile che la oggettivizza in primo luogo e l’amore che la donna prova per Yu Zhan’ao è diverso da quello tipico del romanticismo rivoluzionario, fondamentalmente ideologico: la protagonista del romanzo ama l’uomo per la sua forza fisica e non sulla base di considerazioni morali o politiche, ma proprio contro di esse. L’individualismo emerge proprio in questo: nella libertà della donna di amare un uomo senza che questi rappresenti direttamente o indirettamente la rivoluzione e il partito, ma per la sua intrinseca mascolinità, intesa in termini di forza e di possanza personali. Mentre prima, quindi il desiderio femminile poteva essere giustificato, per essere puro, dall’attrazione per alti ideali e nobili aspirazioni, ora è desiderio fisico puro e semplice. Tuttavia, nota sempre Lu, il soggetto della narrazione e di questa versione dell’individualismo è sempre essenzialmente maschile, poiché è l’uomo ad essere dotato di maggiore agency e la conquista della donna rappresenta l’esibizione del massimo della 24 mascolinità: «Mo Yan’s subjecthood belongs to the man who conquers the most desirable woman» (Lu 1993b, p. 204). Mentre prima il soggetto maschile non aveva bisogno di altro che della sua incrollabile fede negli ideali rivoluzionari per ottenere automaticamente l’amore della donna, ora che l’ideologia non conta più molto e i corpi si ritrovano spogliati di ogni mascheramento sovrastrutturale, può ricorrere all’azione e anche alla violenza per affermarsi.17 Insomma, nell’ambito storico e politico del maoismo la definizione del soggetto creatore dipendeva in larga misura dall’apparato statale e dall’apparato ideologico che aveva, nel corso delle ripetute campagne di rettifica del pensiero – continuate fino agli anni Ottanta, pur senza la stessa efficacia del passato – e con la persecuzione degli intellettuali meno ubbidienti o che sarebbero dovuti essere d’esempio, annullato l’individualità degli intellettuali e li aveva trasformati in ingranaggi della macchina socialista. La rieducazione, di cui Zhang Xianliang fu vittima particolarmente resistente, era intesa come cura ed espiazione di una malattia o di una colpa che poteva essere emendata, una volta confessata e riconosciuta dal “peccatore”: nel caso di Zhang Xianliang il peccato originario era proprio l’esser nato in una famiglia borghese e sarà difficile per lui, anche dopo il rilascio e la riabilitazione, fare i conti con la sua identità. Sebbene la creazione soggettiva non fosse tollerata, la stessa successione delle numerose campagne di rettifica dimostra che lo spirito degli intellettuali non era facile da piegare; in molti casi era possibile anche mascherare la propria libertà creativa dietro una produzione letteraria fatta per la propaganda in base alle norme imposte: lo stesso Zhang Xianliang racconta in Zuppa d’erba (1994, p. 66-68) come fosse facile per i poeti e gli scrittori esaltare i leader e i dirigenti o cantare le imprese della politica avendo in mente tutt’altro, qualcosa che realmente potesse suscitare i loro sentimenti di amore e di devozione. Questo procedimento, che l’autore chiama «prendere a prestito un corpo per metterci l’anima» poteva essere ispirato dalla natura, dall’amore o da qualsiasi altro ricordo o pensiero per descrivere un personaggio o un evento; è come «quando ignori il tipo di contenitore in cui ti liberi l’intestino» (p. 68). Il tema della soggettività e della libertà del singolo vengono riportati nel dibattito accademico e intellettuale negli anni Ottanta a partire dalla discussione sull’alienazione nella società socialista iniziata da Wang Ruoshui 王若水 (1926-2002) e Zhou Yang 周扬 (1908-

17 Secondo Wang Yuejin (1991), nella sua analisi del film omonimo diretto da Zhang Yimou, utilizza la sua prospettiva della femminilizzazione dei maschi cinesi per spiegare l’ostentazione della mascolinità come tradimento di una profonda repressione e insicurezza maschile. Per rafforzare la sua interpretazione, Yu Zhan’ao viene descritto come esempio di mascolinità non egemonica, di una mascolinità puramente fisica che non avrebbe intaccato la struttura di potere dominante. Tuttavia, Zhong Xueping (2000) contesta questa interpretazione, riaffermando in maniera secondo me più convincente la «want-to-be-ness manifested in the performative acts of carnival in the film» (p. 36). 25

1989). Wang Ruoshui, da parte sua, era particolarmente interessato al tema dell’alienazione nel socialismo: egli criticava la posizione staliniana secondo la quale eliminando la proprietà privata venivano eliminate automaticamente anche le cause dell’alienazione e ribadiva che questa è provocata non solo dallo sfruttamento economico, ma anche da difetti strutturali del sistema socialista. Quando i capi del Partito si alienano dalle masse, come nel caso di Mao durante la Rivoluzione Culturale, la rivoluzione viene tradita e rovesciata. L’obiettivo principale della sua critica era soprattutto il culto della personalità, i privilegi della nomenklatura, il burocratismo, l’individualismo e la corruzione dei quadri (Chan 1988). Tutto ciò era considerato un tradimento dei valori umanistici del marxismo. Zhou Yang, riprendendo molte delle posizioni di Wang Ruoshui, in un articolo del 1983 intitolato «Un’indagine su alcune questioni riguardanti il marxismo» Guanyu Makesizhuyi de ji ge wenti de tantao 关于马克思主义的几个问题的探讨 sosteneva che il marxismo è una teoria in divenire e che quindi non può essere preso come una verità definitiva; inoltre, venne discusso il legame fra marxismo e umanesimo e la questione dell’alienazione,18 che poteva verificarsi nella sfera economica (alienazione del proprio lavoro da parte del proprietario dei mezzi di produzione), politica (alienazione dal potere politico) e ideologica (alienazione religiosa, culto della personalità) anche in una società socialista. L’articolo, com’era prevedibile, provocò un acceso dibattito. Quello che più veniva messo in luce era in questo caso la colpa non più dei singoli, in particolare degli intellettuali, ma delle autorità, che con la loro errata o troppo dogmatica interpretazione del marxismo avevano allontanato la politica dagli esseri umani, la cui dignità, libertà e creatività individuale sarebbero dovute essere riconosciute. In seguito Zhou Yang fece autocritica per il suo articolo, con la seguente campagna contro l’«inquinamento spirituale» (1983-1984) dalla quale furono travolti anche i prodotti letterari e culturali.19 Tuttavia, le campagne in questo periodo non ebbero la stessa

18 «Inteso in termini marxiani come straniamento, allontanamento dalla propria umanità provocata dalla ripetitività del lavoro manuale o dalla preferenza dell’avere all’essere nella società dei consumi In un’accezione più corrente e meno specialistica, lo stato di estraniazione, di smarrimento dell’uomo che, nell’odierna società e civiltà tecnologica, e nell’organizzazione dei ritmi della vita, si sente ridotto a oggetto, e pertanto colpito nella propria identità e strappato alla propria autenticità. In particolare, con riferimento all’attività lavorativa, senso di indifferente e quasi ostile estraneità al proprio lavoro, provocato soprattutto dalla mancata conoscenza delle sue effettive finalità, oltre che dal carattere macchinoso e ripetitivo, rigidamente predeterminato nei suoi modi e nei suoi ritmi, che ha spesso il lavoro, spec. nelle fabbriche.» (Vocabolario Treccani). Una splendida rappresentazione dell’alienazione nella letteratura del periodo è data dalla poesia di Shu Ting 舒婷 (1952-) «La catena di montaggio» Liushui xian 流水线 (1980). 19 I “malanni” che erano presi di mira erano «prendere il modernismo occidentale come direzione e sviluppo della letteratura e l’arte nazionale», «l’entusiasmo per l’espressione di un’astratta natura umana e un astratto umanesimo», esagerando con un cupo pessimismo e sentimenti di delusione, solitudine e paura e «prendendo l’espressione di sé come solo obiettivo» (Hong 2009, p. 279). Per questo anche il dibattito sull’umanesimo e sull’alienazione nel socialismo vennero coinvolti nella condanna: l’umanesimo poteva spiegare la storia umana solo nei termini di un’astratta natura umana e di valori umani altrettanto astratti, per questo era ritenuta incompatibile con il marxismo (Chan 1988, p. 102). La campagna venne interrotta con il discorso di Deng al Quarto Congresso degli Scrittori alla fine del 1984. Sebbene il Partito avesse fatto capire che poteva ancora interferire nell’attività intellettuale, la situazione tornò alla normalità e anzi venne nominato Zhu Houze 朱 厚泽 (1931-2010) alla guida del Dipartimento per la Propaganda. Egli voleva creare un clima più rilassato e vivace per 26 efficacia del passato e gli stessi autori non erano così intimiditi come prima: inoltre, la stessa politica era divisa e alla fine riprendevano sempre il sopravvento i moderati, interessati soprattutto al cammino delle modernizzazioni economiche. Anche nell’ambito più accademico, però, il tema della soggettività era riemerso con forza grazie a Li Zehou 李泽厚 (1930-) e alla sua rilettura marxista di Kant, o lettura kantiana del marxismo, nell’articolo del 1979 «Una critica della filosofia critica: uno studio di Kant» Pipan zhexue de pipan: Kang de shuping 批评那哲学的批判:康德述评. Egli riportava al centro la razionalità umana tentando di conciliarla con la teoria marxista, per creare una nuova nozione di soggettività. Sminuendo l’ambito sovrastrutturale, Li Zehou sosteneva lo sviluppo della soggettività dell’individuo in un mondo oggettivo, fatto di leggi economiche proprio nell’ambito della pratica, ossia del lavoro e della produzione materiale. Per questo la dimensione che Li enfatizza nella costituzione del soggetto e nell’acquisizione della conoscenza era quella sociale e storica, ossia la struttura marxista, mentre veniva contestualmente sminuito l’elemento psicologico e semiotico. Il passo ulteriore verso la rivalutazione della soggettività nella sfera della libertà espressiva e della creatività, venne compiuto da un teorico della letteratura, ossia Liu Zaifu che nel 1985 pubblicò l’articolo «Sulla soggettività in letteratura» Lun wenxue de zhutixing 论文学的主 体性 in cui, partendo dall’umanesimo come base teorica per «fondare un sistema teorico della letteratura e di ricerca nella storia letteraria con l’essere umano al centro» (Hong 2009, p. 283), condannava la funzione politica della letteratura. Per Liu la soggettività (zhutixing 主体性) era da intendere in senso più ampio rispetto al solo soggetto: quest’ultimo è l’essere umano o l’umanità nel suo complesso, mentre la soggettività rappresenta la forza dentro il soggetto (individuale, collettivo o l’intera umanità) che è esclusivamente umana e che si manifesta nel mondo oggettivo attraverso la praxis. Attraverso la sua azione, infatti, il soggetto crea il proprio mondo oggettivo, «[…] rendendo il mondo esteriore una prova dei propri poteri soggettivi» (Liu 1993, p. 58). L’arte e la letteratura sono appunto i mezzi del soggetto per incorporare l’oggetto e considerarlo come una parte di sé. La letteratura poteva ora liberarsi del determinismo teorico che stabiliva precisi comportamenti, sentimenti e azioni da parte dei personaggi dettati unicamente dalla costante preoccupazione della lotta di classe. Alla metà degli anni Ottanta, del resto, si era ormai diffusa una profonda «consapevolezza letteraria» (wenxue zijue 文学自觉), che insieme al

concedere la giusta libertà creativa agli autori. In questo era sostenuto da Hu Yaobang, che voleva un’atmosfera più liberale nell’accademia per spingere innanzi le riforme economiche. Dopo la campagna contro la «liberalizzazione borghese» il Dipartimento della Propaganda venne occupato dai conservatori 27 desiderio di un ritorno alla «letteratura in sé» (huidao wenxue zishen 回到文学自身), permise di pensare alla posizione unica della letteratura nell’ambito delle attività umane e diede vita ad una frattura con la precedente propensione degli autori a conferire un’importanza eccessiva alle questioni sociopolitiche. Anche fra i lettori, poi, stava scemando l’interesse per una letteratura troppo seria: secondo alcuni era un momento di esaurimento della letteratura, secondo altri era proprio il segnale dell’inizio di un movimento verso la sua piena maturità. Negli anni Ottanta si avrà soprattutto un grande sviluppo della narrativa ed evidente sarà, dal punto di vista tematico, la tendenza ad esprimere l’interiorità dei personaggi (xiangnei zhuan 向内转) anche con l’uso di simboli, flussi di coscienza, allegorie e altri metodi espressivi modernisti. Tuttavia, la teoria di Liu Zaifu fu fondamentale per riaffermare la soggettività nella letteratura anche dal punto di vista teorico e programmatico; secondo il critico la letteratura avrebbe dovuto avere quattro obiettivi: esaltare la natura umana; rinunciare al collettivismo dei valori tradizionali; rimettere in discussione la frattura mente/materia in una cosmologia dualistica e sfidare la teoria letteraria corrente. Con ogni evidenza la ricostruzione della soggettività per Liu doveva passare per la contestazione della teoria letteraria maoista e marxista. Il recupero della tradizione antecedente è evidente nell’assunto per cui la letteratura è per Liu lo studio degli esseri umani (wenxue shi renxue 文学诗人学) e il soggetto altro non è che l’essere umano (ren 人) o l’umanità in senso più ampio (renlei 人类); il mondo in tutto questo è solo l’oggettivazione (duixianghua 对象化) delle forze umane, un mondo di significati creati dal soggetto. Concordando con Li Zehou, anche Liu Zaifu sosteneva che solo quando il mondo oggettivo è integrato e incorporato pienamente nel soggetto come parte di esso, l’oggettivazione diventa completa e viene eliminato lo scarto fra soggetto e oggetto. In questo modo la letteratura smette di essere uno strumento epistemologico per diventare una produzione del soggetto, come tutto il mondo intorno a lui: il soggetto si libera dalla sudditanza verso il mondo oggettivo e non è più un automa sottoposto alle leggi marxiane della storia. Egli è libero, e in termini letterari questa soggettività si esprime come soggettività dello scrittore, come soggettività dei personaggi e soggettività del lettore (e del critico). Solo esseri umani dotati di autodeterminazione sono contemplati in questa teoria e non creature astratte, ideali e irreali guidate dalla necessità e private di ogni autonomia da forze estranee alla loro volontà (che quasi sempre è la volontà dell’autore, il quale a sua volta ubbidisce ad un’autorità politica sovraordinata). L’aspetto ulteriore della teoria di Liu Zaifu è l’autorealizzazione della soggettività dell’autore nel processo creativo: la creazione da parte dell’autore di personaggi liberi, dotati di volontà, desideri, debolezze e individualità 28 porta il loro creatore a sviluppare la propria soggettività spirituale (jingshen zhutixing 精神 主体性). Quindi la soggettività si può dire sia un concetto performativo: gli scrittori non esprimono solo sé stessi nella creazione letteraria ma acquisiscono la capacità di essere scrittori esprimendosi. Anche il concetto della soggettività del lettore è estremamente innovativo e in questo momento contribuisce a sostenere una generale ansia di liberazione: grazie all’esperienza estetica, infatti, il lettore può scuotersi di dosso di tutte le costrizioni sociali, economiche e politiche che lo alienano e sentirsi libero e confortato. Un altro esponente di spicco del mondo intellettuale che intervenne nel dibattito sulla soggettività e sul valore dell’individuo è Fang Lizhi 方励之 (1936-2012), un astrofisico dell’Università di Hefei nell’Anhui 安徽 che, con il sostegno del primo ministro Hu Yaobang 胡耀邦 (1915-1989), aveva contribuito al dibattito sostenendo i diritti individuali. Parlando all’Università Jiaotong di Shanghai aveva addirittura invitato gli studenti a lottare per i propri diritti, che egli descriveva come connaturati all’essere umano e non concessi dall’alto. Contrariamente al modello di intellettuale obbediente e ossequioso del potere, egli sosteneva la responsabilità degli intellettuali nella lotta per la democrazia e per la conquista dei diritti di tutti. L’invito di Fang ebbe effetto e gli studenti si candidarono alle elezioni locali di Hefei ma quando vennero ostacolati dai funzionari del partito, scoppiarono proteste che si diffusero anche a Pechino e Shanghai tra la fine del 1986 e l’inizio del 1987 (Goldman 2002, p. 510-511). Quest’ansia di liberazione e l’opposizione ai dogmi della politica in letteratura doveva molto anche alla liberazione della lingua e delle possibilità discorsive ed espressive della Nuova epoca; tuttavia, il soggetto creato in questa temperie culturale è ancora essenzialmente politico e deve molto anche al volontarismo e al ribellismo di epoca maoista e al primato della volontà nella formazione della storia. Saranno particolarmente gli intellettuali non appartenenti all’establishment, molti dei quali ex Guardie Rosse che, utilizzando gli stessi strumenti del passato, quali dazibao, samizdat, discorsi e dibattiti, diffusero idee spesso in contrasto con le politiche del governo. Si pensi anche solo al Muro della Democrazia e al suo movimento. 20 Opponendosi al partito, in questo caso, e alla sua versione ristretta, superficiale e pragmatica di modernizzazione (essenzialmente di natura tecnica ed economica), gli intellettuali erano piuttosto convinti che la modernizzazione dovesse partire da un cambiamento più vasto e profondo, che coinvolgesse anche l’aspetto filosofico e

20 Nel suo libretto «Indagine» Tansuo 探索, del marzo 1979, Wei Jingsheng 魏京生 (1950-) principale animatore del Muro della Democrazia, sosteneva che nel giro di poco tempo anche Deng Xiaoping sarebbe diventato un dittatore come Mao (Goldman 2002, p. 504). 29 politico. In questo modo sarebbe stato un progetto che riprendeva pienamente la traiettoria umanistica lasciata incompiuta dal Quattro Maggio. Fino al 1989 la possibilità di accompagnare lo sviluppo economico con un parallelo sviluppo del pensiero umanistico sembrava ancora realizzabile, grazie alla presenza di interlocutori all’interno della politica come Hu Yaobang e Zhao Ziyang 赵紫阳 (1919-2005), che riunivano intorno a sé anche molti intellettuali “organici” ma sempre convinti di uno sviluppo liberale della società e della cultura cinese.21 «La soggettività dei soggetti letterari per Liu Zaifu – lo scrittore, il personaggio e il lettore – è la loro libertà di costruire i loro propri significati» (Cai 2004, p. 41). Tuttavia, il soggetto creato da Li Zehou e da Liu Zaifu22 è ancora «olistico e teleologico» (Cai 2004, p. 42), sottomesso ad una collettività, se non quella politica, sicuramente quella sociale, in un revival del confucianesimo, delle sue prescrizioni e del suo autoritarismo. Quindi il soggetto postmaoista è ancora incapace di conquistarsi uno spazio privato completamente proprio e la ricerca della piena soggettività sarà carica di conflitti e tensioni fra individuo e società, soggettività autonoma e soggettività collettiva fino almeno agli anni Novanta, quando vincerà l’egoismo e l’edonismo e saranno superate e sconfitte tutte le istanze di liberazione politica. Parallelamente alla teorizzazione della soggettività nella letteratura, la creazione autonoma degli scrittori produceva le prime incarnazioni dell’umanesimo postmaoista mostrando sempre più indipendenza dai ristretti confini della libera espressione concessi o imposti dalle autorità politiche. Gli intellettuali, per quanto ancora condizionati dalla prevalenza teorica della struttura economica, erano ben consapevoli della sovrana importanza dell’elemento sovrastrutturale, e in particolare del linguaggio come vettore delle rappresentazioni e delle costruzioni discorsive: per questo il cambiamento nella definizione delle soggettività doveva essere realizzata essenzialmente attraverso nuove e innovative creazioni discorsive, che potessero colmare anche l’angoscia e la crisi di identità lasciata dalla delusione delle credenze maoiste e dal dispotismo semantico del Maospeak.23 Questo spiega anche perché

21 Hu Yaobang, addirittura, intenzionato a promuovere alcune riforme politiche, insieme a quelle economiche, nominò lo scrittore Wang Meng 王蒙 (1934-) ministro della cultura (fra il 1986 e il 1989). Hu e Zhao riuscirono in molti casi a proteggere molti degli intellettuali della loro cerchia; in particolare dopo la rimozione di Hu Yaobang e la campagna contro la «liberalizzazione borghese» del 1987. 22 Accanto ad essi vorrei ricordare anche i tre critici che avevano difeso e sostenuto la «poesia oscura» Menglong shi 朦胧 诗. Si tratta di Xie Mian 谢冕 (1932-); Sun Shaozhen 孙绍振 (1936-) e Xu Jingya 徐敬亚 (1949-). Siccome ognuno di essi aveva scritto un articolo nel cui titolo compariva il termine «emergere» jueqi 崛起 vennero definiti dai detrattori della nuova poesia «i tre jueqi» san (ge) jueqi 三(个)崛起 (Yeh 2010, pp. 654-655). 23 Occorre tenere presente che alla metà degli anni Ottanta l’influenza del dibattito filosofico internazionale iniziò a condizionare anche il mondo accademico cinese: in particolare sarà l’ermeneutica a divenire il paradigma predominante. Questo significa che non solo la decostruzione divenne interessante per i pensatori e i critici cinesi, ma anche la questione del linguaggio. Si fa strada quindi la preoccupazione poststrutturalista per l’esperienza da parte del soggetto dell’ordine 30 molte delle opere del periodo hanno come protagonisti gli intellettuali e la loro stessa opera: essi si ponevano come modelli per superare la crisi e al tempo stesso sottoponevano sé stessi allo stesso vaglio critico a cui era sottoposta la storia e la realtà sociale. La prima corrente letteraria di una certa importanza dopo la Rivoluzione Culturale fu la «Letteratura delle ferite» Shanghen wenxue 伤痕文学, che se rappresentò da un lato un tentativo di catarsi collettiva, non di meno era anche funzionale al sostegno politico alla nuova dirigenza, seguendo lo stesso schematismo dogmatico della letteratura precedente: i personaggi erano manicheisticamente descritti come vittime o carnefici, la narrazione era puramente esteriore e descrittiva e l’unico ambito di indagine erano appunto le ferite subite per colpa della Banda dei Quattro. Tuttavia, i personaggi non sono più gli eroi socialisti ma esseri tormentati, imperfetti e compromessi: erano vittime o carnefici delle circostanze storiche e non più artefici della storia. La rivalsa dell’umanesimo passa anche per la confessione onesta, che non trascuri alcun particolare, nemmeno il più imbarazzante e vergognoso. Contro la rappresentazione dell’uomo e dell’eroe del periodo maoista, asettico e astratto nella sua perfezione fisica e morale, ritrovano spazio la colpa, il delitto, i sentimenti più bassi e vili, che sono parte fondamentale della definizione e della descrizione compiuta di un essere umano. Senza un resoconto del male che gli esseri umani possono compiere o anche solo concepire – perché questo lato viene nascosto, taciuto o censurato – i personaggi rischiano di apparire disumani o, peggio, falsi e ipocriti, privi di contorni e di profondità umane. Un’altra suprema espressione della soggettività nella letteratura, e soprattuto dell’antagonismo linguistico contro un linguaggio stereotipato e banale fatto di slogan e parole d’ordine tratte dalle opere di Mao, fu sicuramente la «Poesia oscura» Menglong shi 朦胧诗, sviluppatasi addirittura già in epoca maoista in forma clandestina.24 In seguito si avrà la «Letteratura di riflessione» Fansi wenxue 反思文学 in cui l’ambito tematico si amplia e l’indagine sulle cause profonde delle sofferenze della Cina coinvolge simbolico (Zhang 1997, pp. 60-61). Tuttavia, resisteva ancora l’idea della modernità come progetto ancora incompiuto e quindi la necessità di mantenere la posizione del soggetto, mentre si procedeva verso la scoperta della postmodernità. 24 Si trattava del Gruppo poetico delle paludi di Baiyang (o Gruppo poetico di Baiyangdian) 白洋淀诗群 (in seguito noto come Scuola poetica delle paludi di Baiyang 白洋淀诗派), considerato il primo nucleo della poesia oscura successiva e della rivista Jintian 今天. Il nocciolo del gruppo era formato da alcuni poeti più anziani, studenti delle scuole superiori di Pechino, spediti nel distretto delle paludi di Baiyang nello Hebei. Questi erano principalmente, Genzi 根子 (Yue Zhong 岳 重 1951-) Duo Duo 多多 (Li Shizheng 李士征 1951-) Mang Ke 芒克 (Jiang Shiwei 姜世伟 1951-). Altri ragazzi provenienti da Pechino, dallo Shanxi e da altre aree visitarono questo distretto per scambiare opinioni sulla poesia con loro. Fra questi Bei Dao 北岛 (Zhao Zhenkai 赵振开 1949-), Jiang He 江河 (Yu Youze 于友泽 1949-). Non bisogna dimenticare nemmeno l’importanza dei molti circoli e club di poesia clandestina formatisi a partire dai primi anni Sessanta che riunivano soprattutto giovani figli della nomenklatura: fra questi la «Società poetica X» X shishe X 诗社, formata da Guo Shiying 郭世英, figlio di Guo Moruo; «La colonna del sole» Taiyang zongdui 太阳纵队; fuori da Pechino si ricordano il «Club Petöfi» Peiduofei julebu 裴多菲俱乐部 di Guiyang, attivo dagli anni Cinquanta e «Il salone dell’oca selvatica» Yeya shalong 野鸭沙龙 (Yeh 2010). Bei Dao era noto anche per aver scritto, come Zhao Zhenkai, una delle maggiori opere di narrativa clandestina del periodo della Rivoluzione Culturale, «Onde» Bodong 波动 (1974). 31 eventi storici precedenti, come la campagna contro la destra del 1957. Questa è sicuramente la letteratura che meglio si adatta a Zhang Xianliang, che venne appunto travolto dalla campagna del 1957, come i protagonisti dei suoi romanzi. In questo caso, le opere che più attrassero l’attenzione del pubblico e delle autorità furono la sceneggiatura di «Amore amaro» Kulian 苦恋 (1979), scritta da Bai Hua, e il romanzo «Uomo, oh uomo» Ren, a ren 人,啊人 (1980) di Dai Houying 戴厚英 (1938-1996). La prima opera, in particolare sarà un bersaglio della critica ufficiale e delle autorità politiche perché chiamava direttamente ed esplicitamente in causa le autorità politiche nelle sofferenze del protagonista, perseguitato ingiustamente durante la Rivoluzione Culturale, e che alla fine si domanderà se la Cina ama i suoi intellettuali. L’accusa mossa a Bai Hua di aver ampliato arbitrariamente l’ambito di ricerca delle colpe del recente passato, la conseguente reprimenda e la sua abiura possono anche scagionare in qualche misura Zhang Xianliang dall’accusa, mossa da molti critici, di eccessiva complicità con le autorità politiche o di eccessiva timidezza nella denuncia dell’autoritarismo comunista: per quanto nelle sue prime opere non ci sia traccia di risentimento verso i responsabili delle persecuzioni subite, in realtà anche Zhang Xianliang descrive le sofferenze di un intellettuale perseguitato dal potere maoista, ma ancora teme che il vento possa cambiare e in effetti l’esempio di Bai Hua intimidì o almeno insospettì nuovamente molti intellettuali. Anche il romanzo di Dai Houying si pone apertamente contro il passato, andando oltre la sola Rivoluzione Culturale: la protagonista è perseguitata dal senso di colpa per aver denunciato un compagno di classe come «elemento di destra» nel 1957; la Rivoluzione Culturale le apre gli occhi sulla vacuità della lotta di classe e capisce che il Partito avrebbe dovuto comportarsi in maniera più umana nei confronti del popolo. Il compagno di classe ritorna dopo anni di prigionia senza esser stato piegato e anzi decide di scrivere un libro per sostenere l’umanesimo. È evidente in questo caso la denuncia esplicita del maoismo e della sua deriva repressiva e antiumanista (Chan 1988). Sicuramente Zhang Xianliang cercava di partecipare con tutta la moderazione della vecchia guardia al progetto di riconciliazione nazionale fra Partito e intellettuali, collegando fra loro passato e presente, cultura cinese e straniera, il moderno e il tradizionale, il mondo privato e quello pubblico (Gunn 1991, p. 170), senza creare fratture troppo nette. L’esperienza storica e la sua ricostruzione diventa anche un tema della critica all’alienazione negli anni Ottanta; sarà difficile però per molti autori trovare una via personale e individuale nel mezzo di una crisi spirituale acuita da una modernità sempre più accelerata e anche per questo molti torneranno alle radici della cultura cinese. Il peso della storia anche in questo caso ricadde sull’arte, come unico strumento per ricomporre la distanza fra cronaca ufficiale e racconto 32 soggettivo, fra comunità e individuo, e per poter dare un senso alla storia recente ricollegando passato e presente. Un altro elemento che può avvicinare Zhang Xianliang alla letteratura di riflessione è la maggiore attenzione di quest’ultima per gli aspetti psicologici. La narrazione in questo caso passa dall’esteriorità all’interiorità e le radici della sofferenza e dell’alienazione vengono esplorate nell’esperienza personale e interiore degli individui. In particolare, Zhang Xianliang analizza come le condizioni materiali e i fattori economici, morali e sociali possano influire sul soggetto e creare gravi dissidi interiori in un intellettuale che, pur consapevole della propria coltivazione morale, è costretto a ricorrere ad ogni genere di bassezza e a rischiare di compromettere la sua stessa umanità per poter restare in vita. In ogni caso, anche nella letteratura di riflessione il soggetto resta legato alle condizioni storiche e sociali che ne fanno ancora una volta un soggetto politico, pur ottimisticamente convinto di poter cambiare la realtà nel futuro. Per quanto ancora teleologica (anche se non deterministica) e legata al volontarismo socialista come forza storica, questa visione del soggetto ha il pregio ulteriore di permettere una rilettura critica della storia non più in termini di forza collettiva ma di resistenza individuale. Sebbene Michael Duke (1985) noti giustamente come la preoccupazione per il male storico e politico impedisca spesso a questi autori di ritrovare le origini del male nella natura umana, a causa di una fede ancora molto salda nel determinismo materialista, sicuramente Zhang Xianliang si può distinguere perché riesce ad utilizzare anche altri strumenti epistemologici, fra cui una religiosità dalle sfumature panteistiche, la psicanalisi e l’uso di tecniche moderniste e surreali. Fra le tante prospettive inedite importate in Cina dalla fine degli anni Settanta, quelle che sicuramente ebbero maggior fortuna sono la psicanalisi freudiana, l’esistenzialismo sartriano e l’irrazionalismo nella sua versione nietzschiana. L’attenzione per i temi sessuali, infatti, in particolare la repressione sessuale e i suoi effetti, avevano aperto un ambito di riflessione in cui naturalmente si inserirono le categorie freudiane, senza contare la preoccupazione di molti autori per l’acquisizione di basi scientifiche e teoriche per sostenere l’indagine dell’inconscio e del flusso di coscienza. Anche in questo caso venne riallacciato un filo interrotto dalla nascita della Repubblica Popolare Cinese. Zhang Xianliang sarà uno degli autori che indagherà la libido e le distorsioni provocate dalla sua repressione sessuale (che nel suo caso coincide con la repressione politica), dalla regressione psicologica e dalla sua sublimazione del desiderio, in particolare nel suo romanzo più famoso, «Metà dell’uomo è

33 donna» Nanren de yiban shi nüren 男人的一半是女人 (Wang Ning 1993, p. 910).25 Il consapevole rifiuto della politica e l’affermazione dell’individuo erano degli atti di resistenza e di opposizione politica, non solo contro gli anni del maoismo ma contro l’alienazione che persisteva nella società socialista cinese. Quindi di fatto, anche solo nei modi e nelle forme, la poiltica rimane al centro delle preoccupazioni di questi autori. Appena emerse una nuova generazione di intellettuali, più politicamente scettici e iconoclasti, dopo la «Letteratura di riflessione» si avrà la ricerca di temi molto più innovativi e un ulteriore passo avanti nella costruzione della soggettività: la politica venne abbandonata del tutto in favore di un concetto autonomo della cultura e dell’estetica.26 Il revival del confucianesimo sostenuto dal discorso ufficiale della politica, che insisteva sulla società armoniosa, la stabilità e l’educazione, introdusse, contrariamente alle aspettative, riflessioni di segno totalmente opposto: come durante il Quattro Maggio vennero nuovamente messi in discussione il confucianesimo e la sua complicità ideologica nella crescente deriva autoritaria cinese, e non solo in termini politici. Il confucianesimo, infatti – come anche il maoismo, dietro il quale si può leggere la stessa pretesa monologica – aveva nel corso dei secoli sostituito ogni prospettiva filosofica e politica alternativa. Alcuni intellettuali, come Hu Jiwei 胡绩伟 (1916-2012), osservando il successo di altri Paesi asiatici, soprattutto quelli etnicamente e linguisticamente cinesi come Taiwan che, travolto dalla «Terza Ondata» (Huntigton 1991), stava diventando una democrazia, sottolineavano il ruolo fondamentale degli intellettuali e l’importanza della moralità nella politica, contro l’autoritarismo paternalistico del governo (Goldman 2002, p. 514).27

25 Altri esempi di indagine della sessualità in termini evidentemente freudiani sono «Felicità» Huanle 欢乐 di Mo Yan, in cui vengono esaminati due temi freudiani: il ritorno nell’utero (presente anche nel romanzo Xiguan siwang di Zhang Xianliang) e la lotta fra la pulsione di morte e la pulsione vitale; il flusso di coscienza rende questa indagine dell’inconscio particolarmente evidente. Altri autori che sicuramente furono influenzati dalle riflessioni freudiane sono Can Xue 残雪 (1953-) e Liu Heng 刘恒 (1954-). Anche in questo caso, come molto del dibattito sulla natura umana e la soggettività, l’infatuazione per Freud finì alla fine degli anni Ottanta e negli anni Novanta era praticamente tramontata (Wang Ning 1993, p. 912). 26 Anche la poesia dei gruppi riuniti nella definizione di «Terza Generazione» Disan dai shiqun 第三代诗群 sarà volutamente e polemicamente lontana dalla missione sociopolitica della poesia precedente, sia quella della prima generazione dei poeti ritornati (i vecchi poeti passati attraverso le persecuzioni maoiste come Ai Qing 艾青 1910-1996) che della seconda generazione, ossia la «poesia oscura» menglongshi 朦胧诗. È famosa l’espressione di Han Dong, appartenente al gruppo «Loro» Tamen 他们 della Terza Generazione, per cui «la poesia si ferma alla lingua» (shi dao yuyan wei zhi 诗到语言为止) e «l’unico dovere del poeta dev’essere di ordine estetico» (shiren de zerengan zhi shishenmei shang de 诗人的责任感只是审美上的) (Han Dong 1994, p. 162). La nuova poesia sarà infatti più colloquiale, concreta e individualista. Da ricordare inoltre, per il discorso in esame, che uno dei collettivi della Terza Generazione si chiamerà «Machismo» Manghanzhuyi 莽汉主义: i suoi membri, influenzati dalla Beat Generation, cercheranno di fare una poesia irriverente e dissoluta, demolendo ogni raffinatezza e ogni sublimità poetica con un linguaggio molto colloquiale (Hong 2009, pp. 355-356). 27 Come fa notare anche Zhang Xudong (1997) se nell’ambito delle humanities la liberalizzazione era dominante e il discorso sulla soggettività era centrale, nell’ambito delle scienze sociali invece prevaleva un neoautoritarismo di stampo confuciano ispirato a Singapore, la Corea del Sud e Taiwan. 34

Alla metà degli anni Ottanta si ebbe quella che venne poi definita la «febbre culturale» wenhua re 文化热 descritta da Wang Jing (1996) come un ritorno alla cultura autoctona e come il risultato della consapevolezza da parte degli intellettuali che la modernizzazione promessa non era alla fine giunta. Non potendo accusare il programma delle riforme, gli intellettuali utilizzarono una critica della cultura come alternativa. Di sicuro la febbre culturale fu una presa di coscienza e un’affermazione del ruolo dell’intellettuale nel progettare un futuro più moderno per il proprio Paese. In effetti, un’altra soluzione per la Cina era rappresentata, nel discorso intellettuale, dalla scienza e dalla democrazia, esattamente come già durante il Quattro Maggio. In questo caso, però, alle scienze “dure”, si aggiunsero anche le scienze sociali e tutta la panoplia della riflessione teorica occidentale dei trent’anni precedenti. Alla metà degli anni Ottanta, insomma, gli intellettuali erano pronti ad abbandonare la nostalgia, le recriminazioni e il senso di autocommiserazione precedente per abbracciare nuovamente la propria missione storica di avanguardia spirituale del popolo (Cai 2004, p. 47). Uno dei primi punti della discussione fu la possibilità di conciliare modernità e tradizione, mentalità confuciana e pensiero scientifico; ovviamente non si trattava di un gioco a somma zero e non mancarono posizioni mediane che cercavano di salvaguardare gli elementi razionali e moderni del pensiero confuciano anche nella contemporaneità. Il prodotto letterario di questo dibattito fu la «Letteratura della ricerca delle radici» Xungen wenxue 寻根文学, che in ambito culturalista faceva proprio, oltre al divario fra moderno e tradizionale, anche quello fra Cina e Occidente. In questo la letteratura degli anni Ottanta iniziava a distinguersi da quella del Quattro Maggio, che idolatrava i modelli occidentali. La preoccupazione degli autori della «Ricerca delle radici» era il timore di perdere la propria originalità, la propria autentica soggettività: la creazione di una letteratura postmaoista che non fosse più maoista ma che al tempo stesso fosse davvero moderna e autenticamente cinese era l’obiettivo di questa corrente letteraria, preoccupata appunto per la perdita delle radici nazionali. Il dibattito quindi si appuntò sulla letteratura modernista, definita da molti come “pseudomodernista” wei xiandai 伪现代 e guardata con il timore che potesse divenire un nuovo moloch al quale sacrificare l’individualità e l’originalità cinese. Piuttosto, guardando fuori della Cina si poteva prendere a modello il realismo magico sudamericano e il Nobel per la letteratura a Gabriel García Márquez nel 1982 convinse molti della validità di modelli “periferici” estranei alla direzione mainstream della letteratura mondiale. Ancor più importante fu poi la riflessione sul carattere nazionale e sulle responsabilità come individui e come popolo nelle recenti tragedie politiche della Cina. Quel che più conta, nel percorso 35 di costruzione della soggettività letteraria, è l’attenzione della «Ricerca delle radici» per un’essenza nazionale radicale che superasse le specificità locali e le contingenze storiche e che liberasse finalmente il soggetto da ogni sua definizione politica, anche se ancora una volta si riaffacciava un’identità e una soggettività collettivamente concepita. Il soggetto culturale così costruito era un’immagine di gruppo, non una manifestazione individuale ma un simbolo generico; pertanto, anche l’agency del soggetto era messa in discussione: se il singolo è solo il prodotto della cultura, agirà in maniera predeterminata e senza potersi definire autonomamente (Cai 2004, p. 53). Wang Jing (1996) rintraccia la soluzione al dilemma nella natura: se la cultura è determinista, la natura e gli istinti sono invece liberatori; ad esempio, la spiccata mascolinità dei personaggi delle narrative della «Ricerca delle radici» accentua proprio la libertà dalle costrizioni dell’appartenenza ad una “ideologia”.28 Come si capisce già dall’articolo del 1985 intitolato Wenxue de gen di Han Shaogong, che diede origine al dibattito sulle radici, questa ricerca era stata preparata dal dibattito sulla soggettività, sulla natura umana e sull’alienazione degli anni precedenti. Le fonti di ispirazione per la nuova letteratura, che in sé è anche un modo di immaginare la modernità, il futuro e il passato della Cina, non sono soltanto straniere, come il realismo magico sudamericano, ma anche genuinamente autoctone. Una di queste è la tradizione dei «Canti di Chu» Chuci 楚辞 con il suo sostrato religioso animista e sciamanico preconfuciano, a cui si aggiungono i zhiguai 志怪, le tradizioni folk e religiose taoiste e buddhiste, la cultura popolare e tutto ciò che era considerato tradizionalmente eterodosso, irrazionale o prerazionale. Il «non-razionalismo» fei lixing 非理性 riassume tutto ciò che per Han devia dalla vera arte e che si caratterizza sempre come razionale: «[…] la scrittura politicamente impegnata, il Neo-Confucianesimo, la scienza e il progresso» (Leenhouts 1996, p. 19). Questo spiega anche l’uso di tecniche “moderniste” nella sua opera e in quella di altri autori della corrente: la stessa relatività e la stessa irrazionalità si esprime al livello della forma e del racconto.29

28 «Nonetheless, the belief in that freedom persists. That is what makes the xungen heroes larger than life itself. What culture constrains, nature sets free. The contradiction in the xungen movement between the theory (the constrained subject) and literature (humans as the embodiment of unfettered instincts) foregrounds once again the dilemma of a dislocated cultural subject in search of self-regeneration and of a new enabling ethics for its enervated subjectivity. The theme of return to nature in a large corpus of this literature – to cite a few examples, Zheng Yi’s novels, A Cheng’s “Shuwang” (Tree king), Zhang Chengzhi’s “Beifang de he” (The river of the north) – delivers collectively a new hero of raw masculinity and spiritual cornucopia. He is, in fact, the very personification of nature itself.» (Wang 1996, p. 218). 29 Milioni di cinesi, non solo i giovani ma loro sicuramente più degli altri, specialmente colpiti dalla disoccupazione, erano confusi sul destino della Cina e sulle loro prospettive future e iniziarono a esprimere i loro dubbi e le loro ansie in forma artistica nella narrativa, nella musica, nei film, nella pittura e nella poesia. Un esempio della guida dell’irrazionalità nella poesia viene sicuramente dal movimento del «Non-non-ismo» Feifeizhuyi 非非主义, sorta di versione daoista del dadaismo (Spence 2013, pp. 640-641), che faceva parte della Terza Generazione di poesia. 36

L’identificazione con la natura e l’espressione di una vitalità senza freni – che si rivela spesso nella virilità e in tutte le qualità associate ad essa – diventa la possibilità non solo di superare la soggettività politica e di evitare l’imitazione di modelli stranieri, ma anche di imporsi sulla necessità culturale e fondare una nuova idea di soggetto per il futuro ripescando nel passato e nelle terre dimenticate non solo dalla modernizzazione nelle versioni occidentalizzante e comunista, ma perfino dal confucianesimo. Si rovescia nella contemplazione e nel rispetto per la natura l’atteggiamento aggressivo nei suoi confronti del periodo maoista, in particolare della propaganda del Grande Balzo in Avanti, durante il quale la missione collettiva della trasformazione della natura per fini politici ed economici era una conquista del “noi” contro l’elemento ostile che incarnava da secoli il fatalismo contadino nei confronti della terra e del clima. Ora, con un rispetto molto più umile, umano e daoista nei confronti della natura gli autori riscoprono il contatto del singolo, dell’“io” con la spontaneità della creazione, contro l’artificiosità e la freddezza della tecnica e della razionalità oggettiva. Come questa costruzione del soggetto culturale era al tempo stesso immaginata e creata (Cai 2004, p. 55), così anche la stessa ricerca della soggettività stava producendo la soggettività degli autori come liberi produttori di arte e dei lettori come liberi fruitori della stessa arte: «[…] il soggetto storico deve essere realizzato nella formazione del soggetto della rappresentazione. […] il soggetto autoriale/narrativo si assicura il proprio status come il soggetto storico moderno.» (Yang 2000, p. 359-360). La volontà di essere del tutto autonomi e di affermare la propria libertà da autorità esterne può facilmente spiegare la scelta di nuovi mezzi e tecniche espressivi, soprattutto quelli più innovativi e sovversivi presi dal modernismo, che sarebbero serviti a porre in essere un soggetto completamente nuovo e in maniera assolutamente originale. Tuttavia, il dibattito sulla necessità e la legittimità di questi strumenti espressivi produsse un lungo dibattito negli anni Ottanta, iniziato con la pubblicazione nel 1982 del saggio di Gao Xingjian 高行健 (1941-) intitolato «Esplorazione iniziale sulle tecniche della narrativa moderna» Xiandai xiaoshuo jiqiao chutan 现代小说技巧初探.30 Da un lato i sostenitori del

30 Gao Xingjian afferma in un altro intervento successivo, sempre sul modernismo, [迟到了的现代主义与当今中国文学 Chidaole de xiandai zhuyi yu dangjin Zhongguo wenxue «The Late-Coming Modernism And Contemporary Chinese Literature», Wenxue piping 文学批评 3 (1988), p. 13] che: «The primary manifestation [of Chinese modernism] was self- assertion, rather than self-denial witnessed in Western modernism. Endowed with Nietzschean tragic pathos, it affirms the value of personality rather than provides an impassive analysis of human nature. It raises objections to traditional feudal ethics and champions the cause of sexual love rather than throws away ethics in contempt and loses appetite for sexual love. It exposes the absurd in reality rather than looks upon absurdity as existence itself… It propagates the myth of masculinity instead of entertaining doubts about a human nature that takes the male sex as its given. It plays up the sense of loneliness but does not march toward nihilism from loneliness… [Western] modernism took as its point of departure the questioning of the old Western humanism. In contrast, ‘this [our] modernism’ rediscovers the once forfeited humanism under the specific conditions of Chinese social reality. It is, in addition, permeated with the spirit of romanticism… Not 37 modernismo affermavano che fosse una tappa necessaria per l’evoluzione della letteratura cinese e la sua liberazione dal realismo, ormai divenuto il genere ufficiale e troppo compromesso con la politica; dall’altro lato, i detrattori vi vedevano soltanto una manifestazione della sudditanza verso la cultura occidentale. Quest’attrazione per il modernismo, inizialmente esplorato da autori come Ma Yuan 马原 (1953-), Can Xue 残雪 (1953-), Liu Suola 刘索拉 (1955-) e Xu Xing 徐星 (1956-), nelle sue fasi iniziali dava grande peso alla «consapevolezza della forma letteraria» wenti de zijue 文体的自觉 ossia la «natura artificiale» xugouxing 虚构性 della narrativa, come anche alle variazioni delle tecniche narrative ispirate dagli sviluppi della narrativa occidentale come il nouveau roman francese. Questo tipo di narrativa divenne una tendenza nel 1987 e si avrà la nascita della «Letteratura d’avanguardia» xianfeng wenxue 先锋文学 con la pubblicazione di una serie di racconti e romanzi brevi. 31 L’enfasi sulla narrazione era la caratteristica più saliente dell’avanguardia all’inizio: gli autori erano più preoccupati per la forma delle storie e per la sperimentazione nella tecnica narrativa e consideravano la narrazione stessa come un oggetto di valutazione estetica. Contrariamente alla narrativa realista, che voleva creare l’illusione della verità per stabilire una corrispondenza con il mondo reale, essi dichiarano esplicitamente che la narrativa è una finzione. La narrativa di tutti questi autori è anche una sfida ideologica, poiché in essa non si riesce a rintracciare il significato politico, sociale o morale, e perfino i legami di causa ed effetto sono spesso piuttosto labili: per questo la rivoluzione nella forma diventa anche un sovvertimento ideologico. Tuttavia, la decostruzione del contenuto e del significato e l’attenzione per temi scabrosi come il sesso, la violenza, la morte non possono non essere ricondotti al ricordo della violenza e delle ferite spirituali della Rivoluzione Culturale. Non è del tutto frustrante e inutile quindi cercare simboli, allegorie, metafore e significati nella loro narrativa: è solo che il ricordo e la rievocazione della storia e delle esperienze umane e sociali è raccontata in maniera diversa, frammentaria, scomposta e quindi in sé significante. La narrativa di questo tipo rovescia il paradigma dominante per tutto il Novecento cinese, quello dell’impegno sociopolitico della letteratura. Una letteratura sovversiva della letteratura stessa, delle sue pretese umaniste e delle procedure della narrativa realista, oltre agli ideali progressisti e nazionalisti che avevano condizionato la letteratura fin dagli anni Venti. La conseguenza sulla soggettività

only has ‘Chinese modernism’ not replaced realism, but it has not turned into Western modernism either.» (Citato in Wang 1996, pp. 170-171, corsivo mio). 31 Fra gli altri autori della «nuova ondata» xinchao zuojia 新潮作家 ricordiamo Ge Fei 格非 (1964-); Su Tong 苏童 (1963-); Yu Hua 余华 (1960-); Sun Ganlu 孙甘露 (1959-) e Ye Zhaoyan 叶兆言 (1957-). 38 letteraria è l’annullamento di ogni preoccupazione umanistica e una spavalda autoaffermazione di libertà contro gli imperativi della politica: a questo punto l’atto stesso della narrazione diventa lo strumento per la formazione della soggettività e il linguaggio, la forma da mezzi di assoggettamento della politica durante il periodo maoista, diventano fondamentali nella definitiva emancipazione del soggetto creatore, indifferente a qualsiasi scrupolo morale e a qualunque vocazione sociale; inoltre, tramontano così le autorità produttrici di verità univoche, nella frammentazione del soggetto e nella denuncia dell’inattendibilità di verità assolute. Come espressione del postmodernismo in Cina, la letteratura d’avanguardia rappresenta il culmine della discussione sulla soggettività e il punto d’arrivo della riflessione sulla modernità: «[…] la postmodernità nella letteratura cinese è certamente una mentalità catastrofica, legata al disordine della razionalità e della soggettività del moderno.» (Yang 2000, p. 375).32 La stessa soggettività, che tanta fatica era costata mettere insieme, viene letteralmente smembrata nelle descrizioni sanguinolente di questi autori; se Ge Fei, nella sua ansiosa ricerca della soggettività maschile annulla e cancella la soggettività e la personalità femminile, privata di memoria e di passato e trasformata in un oggetto, Yu Hua, il più cruento e spietato narratore dell’avanguardia demolendo la soggettività, lascia per ultima la sua componente maschile. Quando alla fine del racconto «Un tipo di realtà» Xianshi yi zhong 现实一种 Shangang, dopo la morte, subisce l’asportazione degli organi, i testicoli sono lasciati per ultimi e questo lascia pensare Wang (1996, pp. 255-256) che si tratti di una forma di sentimentalismo per la propria mascolinità: l’impressione è confermata dal fatto che i testicoli, diversamente da altri organi, vengono trapiantati con successo e permetteranno al trapiantato di mettere al mondo un figlio. La sopravvivenza dell’identità maschile e la sua riproducibilità sembrano a loro volta una celebrazione della potenza maschile. La conclusione di Wang è che la morte assomiglia piuttosto ad uno scherzo e che la dissezione post mortem non è la dissoluzione del soggetto; dopo essersi fatto beffe dei cinque rapporti (wulun 五伦) per tutto il racconto, alla fine l’autore sembra da un lato riaffermare la presenza e l’importanza del soggetto, ma dall’altro mette ironicamente in dubbio la centralità del fallo nella stessa riproduzione, se è sufficiente che i testicoli passino da un uomo ad un altro perché il figlio sia una creazione e una replica del donatore.

32 «A postmodern subjectivity is a heterogeneous and self-questioning one, which breaches the absolute, rational, and totalistic oppression of both the external politico-historical Mao-Deng and the internal culture-literary modern» (Yang 2000, p. 375). Lo stesso Yang (2016) nota anche che pure la tradizione cinese, in particolare il daoismo e il buddhismo chan 禅 influirono sullo sviluppo della postmodernità in Cina. È vero anche, tuttavia, che nell’ambito poetico e cinematografico, si nota fra la fine degli anni Ottanta e gli anni Novanta un superamento del soggettivismo in nome di una maggiore oggettività. 39

Giunti al culmine del dibattito sul soggetto, rappresentato dalla negazione di ogni pretesa umanistica nella letteratura d’avanguardia, come si può precisamente definire il concetto di soggettività? Esso inizia la sua storia, come abbiamo visto, proprio con il Quattro Maggio: delusi dai progetti conservatori di semplice modernizzazione materiale del proprio Paese (riassunto nell’espressione di Zhang Zhidong 张之洞 Zhongxue wei ti, xixue wei yong 中学 为 体 , 西 学 为 用 «il sapere cinese come fondamento, il sapere occidentale come strumento»), gli intellettuali dell’inizio del Novecento si convinsero che fosse necessario rovesciare la mentalità profonda della Cina e abbattere un sistema sociale “cannibale” che negava la libertà individuale in nome di una costruzione gerarchica e relazionale del soggetto, tipica della filosofia sociale confuciana. La rivoluzione letteraria concepiva ancora la soggettività del singolo in termini di responsabilità (secolare e nazionale) verso la società, e questa responsabilità aumentò sempre più a mano a mano che la situazione nazionale si aggravava con la guerra contro il Giappone a scapito della libertà individuale. La libertà sessuale spesso agitata come stendardo della modernità divenne presto sottomissione a nuovi dogmi: la scelta del partner e la continenza sessuale erano fondamentali per migliorare le proprie capacità riproduttive e se prima certe prescrizioni mediche erano imposte dalla famiglia patriarcale, che voleva figli maschi per continuare la discendenza, ora le stesse norme (ammantate di maggiore scientificità) vengono dettate dallo Stato, che ha bisogno di una nuova generazione di cinesi sani e forti che possano realizzare l’utopia della modernizzazione e contraddice nei fatti la retorica del «malato dell’Asia orientale». Quindi il problema delle’mancipazione del soggetto da definizioni di sé che non fossero organiche e collettive si ripresentò ben presto, dopo la rivoluzione letteraria e filosofica del Quattro Maggio, che non riuscì a diventare una vera rivoluzione sociale e di mentalità anche a causa di motivi storici contingenti e sicuramente anche per la resistenza delle vecchie élite e per il progetto di una crescente sinistra estrema di impostare la modernizzazione su basi completamente diverse. Per quanto ancora molto “organico” e teleologico, il soggetto costruito durante il Quattro Maggio diventa, dopo gli esperimenti di modernizzazione radicale del maoismo, il modello da riprendere riallacciandosi all’umanesimo liberale di inizio Novecento. Tutto ciò però riconferma l’arretratezza del dibattito intellettuale nella Cina delle riforme: purtroppo, dopo anni di chiusura e di censura era difficile recuperare il tempo perso. Se in Occidente il pensiero poststrutturalista e la psicanalisi lacaniana avevano ormai da tempo ridiscusso la soggettività come prodotto del linguaggio e delle pratiche discorsive istituzionalizzate, nel contesto cinese il concetto più rivoluzionario della soggettività era ancora quello umanistico, 40 razionale e cartesiano frutto della commistione di Illuminismo, realismo e romanticismo che aveva prodotto il progetto del Quattro Maggio. Al tempo stesso, in Occidente, era stato anche messo in luce il potere dell’azione umana per produrre cambiamenti nella realtà discorsiva, soprattutto nell’ambito degli studi di genere: il linguaggio e le pratiche discorsive e performative diventano così forme di resistenza e di rinegoziazione della propria identità e soggettività maschile o femminile. In Cina, quindi, il punto di partenza è nuovamente la libertà individuale e la dignità del singolo e questo in un Paese in cui le libertà fondamentali erano state negate per decenni era comunque estremamente sovversivo: il discorso sulla soggettività e sulla natura umana sarà una sorta di te(le)ologia della liberazione contro le pretese di controllo della politica e contro il collettivismo. La nuova politica di Deng era piuttosto contraddittoria di fronte agli intellettuali e di fronte al loro rapporto con il progresso economico e tecnologico della Cina. Se da un lato i mali del passato erano stato denunciati, il timore che le istanze democratiche potessero aumentare la propria base di consenso spinse anche i meno “reazionari” fra i dirigenti politici, fra cui anche Deng, a riaffermare la natura leninista dello Stato-partito e quindi ogni tentativo di indebolire il ruolo e il potere del partito non sarebbe stato tollerato. Questa minaccia sarebbe stata poi realizzata nella repressione delle manifestazioni del 1989, allorché il partito con le sue azioni, dichiarò definitivamente tramontato il pensiero maoista e le speranze di uno sviluppo democratico in Cina dimostrando che l’unica base del potere sarebbe stata la forza, unita all’enrichissez-vous che avrebbe funzionato come oppio del popolo. Negli anni Ottanta, comunque, le dichiarazioni e le mosse della politica sembravano talmente altalenanti, ondivaghe e a volte contraddittorie da permettere agli intellettuali di sospettare che il clima stesse davvero cambiando e che anche per la Cina potesse aprirsi una primavera politica e culturale simile a quelle di altri Paesi socialisti, dove si discuteva altrettanto liberamente di alienazione, di culto della personalità e di umanesimo marxista. Tuttavia, ogni volta che gli intellettuali e soprattutto gli studenti cercavano di spingere verso un reale cambiamento, erano ostacolati da una dirigenza che prometteva una nuova epoca ma soffocava ogni speranza di sviluppo politico, preoccupata com’era del solo progresso materiale ed economico. Di fatto, quindi, a causa dei grandi cambiamenti interni e internazionali, e della relazione sempre più tesa fra il mondo intellettuale e la politica, si venne a creare una definitiva scollatura fra intellighenzia e partito. Diversamente dal Quattro Maggio, infatti, gli intellettuali capirono che non bastava creare un clima intellettuale e ideologico ricettivo e aspettare che le riforme politiche venissero concesse come conseguenza; occorreva piuttosto esigere riforme istituzionali e costituzionali che permettessero e garantissero la

41 libertà intellettuale ponendo limiti all’arbitrio del governo, solo così le riforme politiche sarebbero state possibili e il dibattito sarebbe stato libero (Goldman 2002, p. 515). Per questo molti intellettuali organici iniziarono a staccarsi dalla politica e a collaborare al dibattito intellettuale non ufficiale, insieme a parte della borghesia, a professionisti, studenti, attivisti ex Guardie Rosse. Nei think tank semiufficiali e non ufficiali della fine degli anni Ottanta emerse una nuova generazione di intellettuali impegnati politicamente, lontani dal modello del letterato del passato, come anche dell’intellettuale organico del periodo maoista, che pur conservavano i metodi di propaganda radicali della Rivoluzione Culturale. Quello che li univa era il desiderio di creare le basi di una società civile e la consapevolezza della missione sociale dell’intellettuale. Tuttavia, gli intellettuali in Cina erano privi di un’organizzazione come Solidarność in Polonia o Charta 77 in Cecoslovacchia che potesse rappresentare un’alternativa e un interlocutore politico. Per quanto per tutto il Novecento l’idea dell’intellettuale come agente del cambiamento sociale non sia mai tramontata ma si sia al massimo trasformata ed evoluta, il fondamento del cambiamento, ossia il legame con le classi subalterne e soprattutto i lavoratori, venne spesso a mancare. Siccome non era permessa alcuna dissidenza politica, l’unica alternativa per l’espressione individuale e per le critiche alla realtà sociale e politica era la letteratura: anche solo la liberazione dalle costrizioni formali precedenti si può leggere come forma di contestazione politica (Lee 1985);33 tuttavia, per quanto la letteratura di quest’epoca fosse radicale a volte nel suo sperimentalismo, no riuscì ad ottenere la stessa forza retorica delle novelle di Lu Xun (Gunn 1991). La morte di Hu Yaobang e il raduno che portò alle manifestazioni di piazza Tian’an men sembrarono realizzare il timore del governo di un’alleanza fra intellettuali e lavoratori. In realtà le manifestazioni saranno l’unico tentativo di formare un blocco antigovernativo, troppo tardivo per essere efficace. Alla fine emergerà la distanza fra il progetto politico di una nuova era, fondata sulla proposta di un nuovo progetto utopico di benessere e di apertura al mondo, e la speranza intellettuale di un futuro alternativo.

33 La difficoltà maggiore che attraverserà gran parte della letteratura cinese del Novecento, sempre «ossessionata dalla Cina», sarà proprio il giusto bilanciamento fra qualità artistica e impegno sociopolitico: anche in questa fase gli scrittori più affermati e maturi diventeranno presto relativamente conformisti e ubbidienti, mentre quelli più giovani, eredi dello spirito rivoluzionario maoista della Rivoluzione Culturale, saranno sì più scalmanati ma la loro opera sarà relativamente più acerba e debole dal punto di vista artistico. Se i primi cercheranno di raggiungere un compromesso e un nuovo equilibrio con le autorità politiche, che pure li avevano perseguitati duramente durante il periodo maoista, i secondi – cresciuti come rivoluzionari delusi – saranno meno concilianti. La stessa novità delle tecniche moderniste verrà applicata diversamente e con diverse finalità nella narrativa di questi ultimi: se Wang Meng usava il flusso di coscienza per rivelare il mondo dei sentimenti e dei pensieri di personaggi ingiustamente condannati dal mondo pubblico, Dai Houying utilizzerà il monolodo interiore e scene oniriche per contribuire al dibattito sull’umanesimo (e la sua conciliabilità con il marxismo) e l’alienazione provocata da un’ideologia fondata su una discriminazione di classe che impediva il riconoscimento della più profonda natura umana, che unisce tutti. I giovani autori tentarono ogni stile e ogni tecnica che potesse disturbare e infastidire le autorità critiche ufficiali, a volte anche senza comprendere in termini accademici le tecniche che usavano e senza considerare che in Occidente queste erano ormai obsolete (Gunn 1991, p. 174). 42

1.3. La soggettività maschile nella realtà sociale e nella rappresentazione nel periodo delle riforme

La liberazione del soggetto nell’ambito discorsivo e della rappresentazione letteraria e cinematografica trova corrispondenza nella contemporanea liberazione dei corpi nell’ambito sociale, economico e medico. Per molti versi, anzi, la produzione di discorsi normativi produsse effetti concreti sui corpi in contesti diversi: ad esempio, l’impotenza prodotta nel personaggio di Nanren de yiban shi nüren era essenzialmente il frutto dell’oppressione politica e del protagonista e della sua incapacità di risolvere le difficoltà psicologiche che derivavano da questa condizione. Come ha notato anche Zhong Xueping (2000) per l’ambito intellettuale, Judith Farquhar (2002) sottolinea come l’impotenza, riscoperta nel discorso medico durante gli anni Ottanta, fosse il frutto di un senso di stallo e dell’impossibilità di muoversi fra il passato maoista e un futuro in cui tutto stava diventando merce. La definizione del genere si accorda di volta in volta con l’esigenza della (ri)costruzione della nazione e della ripresa del progetto sempre incompleto della modernizzazione, un progetto da sempre condotto principalmente dagli intellettuali (maschi). Se nel periodo maoista essi erano stati perseguitati e complici di un potere dispotico che, anziché realizzare la promessa del paradiso socialista di un benessere generalizzato, aveva portato solo sofferenze e miseria, dopo la fine delle Rivoluzione Culturale gran parte degli intellettuali (maschi) cercarono di superare i complessi e i traumi subiti durante gli anni peggiori del maoismo riprendendo la propria missione di modernizzatori e di coscienza della nazione (conservando inconsapevolmente il ruolo affidato loro dal partito) ricostruendo ad un tempo il proprio ruolo di intellettuali e la propria identità maschile. L’indebolimento della mascolinità nel periodo postmaoista proveniva anche dalla consapevolezza di essere stati ormai esclusi dal progetto di modernizzazione: la fine della Rivoluzione Culturale era stata dovuta più al caso (la morte di Mao) che al loro intervento e anche il nuovo corso della politica cinese era stato deciso sulla loro testa da un potere, per quanto relativamente più magnanimo e paternalistico, altrettanto autoritario. Dato che il potere comunista durante la Rivoluzione Culturale e anche prima li aveva psicologicamente e simbolicamente evirati, togliendo loro ogni possibilità di azione, umiliandoli, sminuendoli e facendoli sentire perfino colpevoli di fronte ai propri concittadini (la massa dei proletari), negli anni Ottanta era importante per loro rimodellare sé stessi come avanguardia coraggiosa, moralmente solida e tenace, psicologicamente intatta e fisicamente temprata dalle esperienze sofferte. Ovviamente il tempo lascia sempre le sue tracce e per quanto venisse ripreso il

43 discorso modernizzatore e umanista del Quattro Maggio, l’educazione socialista e soprattutto la rieducazione maoista attraverso il lavoro e l’esilio nelle regioni più sperdute e aspre della Cina li avevano sicuramente corroborati, nella mente e nel corpo. Il modello della mascolinità socialista, l’eroe impavido e forte, può di nuovo essere un punto di partenza per quest’opera di ricostruzione, una volta aggiornato e spogliato dei suoi attributi ideologici e anzi mantenendone spesso l’innocente natura proletaria. Questi ad esempio sono spesso gli eroi delle narrative letterarie e cinematografiche della “Ricerca delle radici». Tuttavia, anche il filo della tradizione viene riannodato, riabilitando la figura dell’intellettuale, anche aggiornandone il modello nella nuova economia delle riforme: il manager Qiao di Jiang Zilong, ad esempio, per quanto fosse ancora un precoce tentativo di immaginare la mascolinità del prossimo futuro, dimostra quanto il sapere – tecnico o umanistico poco conta, ciò che conta è la sua applicabilità alla struttura di potere esistente e la sua efficacia nel generare e riprodurre il potere sociale del suo detentore – identifichi l’uomo di successo e quindi desiderabile per le donne e invidiabile per gli altri uomini. Durante l’epoca rivoluzionaria la necessità di segnalare e sottolineare la cesura netta con il passato dell’invasione militare straniera e delle umiliazioni inflitte dalle potenze straniere aveva prodotto un’esaltazione del ruolo del soldato rivoluzionario e la mascolinità rivoluzionaria era incarnata al meglio proprio da Lei Feng, simbolo della semplicità proletaria, del tutto antitetica alla sospetta sofisticatezza degli intellettuali, incapaci di obbedire davvero all’autorità e sempre pronti a dubitare e a far dubitare le masse, indebolendone lo spirito e la fede. Quello che si richiedeva al vero uomo socialista e rivoluzionario era una cieca fiducia nel leader supremo, Mao, che era anche la figura paterna per eccellenza, al quale sarebbe andata la devozione di tutti: il Partito era la nuova famiglia il cui padre era il Grande Timoniere. Anche per questo spesso l’eroe delle narrative maoiste era orfano. Addirittura, la vera autorità risiedeva solo in Mao, e non nel Partito, nel leader incaricato dalla storia di educare il popolo cinese e guidarlo verso il comunismo. Il timore ricorrente e crescente di Mao era proprio la possibilità che riemergessero atteggiamenti e pensieri borghesi come l’attaccamento al denaro, ai piaceri e ai privilegi e voleva a tutti i costi cambiare, più che la struttura economica (che avrebbe preferito, dovendo scegliere, mantenere arretrata), i cuori e le menti dei cinesi (Schram 2002). In questo, oltre a dimostrarsi erede del dispotismo imperiale, si può vedere in lui l’insegnante, il letterato, l’intellettuale supremo, l’unico in grado di poter stabilire i significati condivisi. Uno di questi significati era la parità fra i generi, anzi l’arbitraria e autoritaria negazione della differenza fra essi: le distinzioni di genere erano considerate arretrate e reazionarie. In

44 nome dell’obiettivo comune del raggiungimento della modernità (in questo caso in termini socialisti), uomini e donne sarebbero diventati lavoratori e per questo la mascolinità venne assunta come standard normativo anche per le donne, incoraggiate ad assumere tratti maschili (Hinsch 2013, p. 154). In nome del disprezzo per mode frivole e borghesi, la rappresentazione della donna acquisì caratteristiche sempre più maschili, mentre la femminilità venne sempre più identificata come controrivoluzionaria, individualista ed edonista, particolarmente durante la Rivoluzione Culturale. La stessa fitness fisica che era stata propagandata in epoca moderna nei termini militaristici e occidentalizzanti come disciplina callistenica, ora viene declinata nella sua versione comunista come espressione materiale dell’abitudine al lavoro e alla fatica. L’adeguatezza a tale modello sembrava garantire, soprattutto alla giovane generazione cresciuta nella Repubblica Popolare, la possibilità di crescere consapevoli di una mascolinità piena, vitale, e soprattutto riconosciuta e sancita da un’ideologica condivisa. Da qui discende anche la proliferazione del discorso medico e scientifico sul genere. Per quanto riguarda la mascolinità un tema molto sentito dopo la fine del maoismo in quest’ambito sarà quello dell’impotenza maschile. L’attenzione per questo disturbo nasceva dalla rinata capacità dei singoli di superare la vergogna sociale connessa a questa patologia, che in termini politici consisteva nel dimostrare desideri individuali. Everett Yuehong Zhang (2007) dimostra come nel periodo maoista il desiderio sessuale fosse negato e deprecato e molti pazienti non si facessero curare per non essere ritenuti colpevoli di voler soddisfare pulsioni individuali ed egoistiche, contribuendo così all’autorepressione e all’autocastrazione (simbolica oltre che, in questo caso, reale) degli uomini cinesi, che era essa stessa uno strumento di controllo politico.34 Ecco che nel periodo postmaoista emerge un ambito della medicina direttamente legato alle patologie del desiderio maschile, ossia la nanke 男科 (Zhang Yuehong 2007). La nascita di questa branca della medicina dimostra l’intersezione fra il crescente interesse per la salute sessuale e l’identità maschile e l’accettazione di un nuovo ordine morale che ammette la ricerca del piacere individuale. L’impotenza (yangwei 阳痿 «restringimento dello yang») diventa un tema estremamente

34 «[…] in socialist China, self-castration prevented the self-castrator’s status from falling. According to psychoanalitical theories, symbolic castration plays a role in normalizing the subject by making him identify with the father, after which he progresses beyond the Oedipus complex and becomes harmless to the social order in the name of the father. By internalizing the threat of the socialist state’s power, self-castrators identified with it as the moral authority, becoming harmless to the social order in its name.» (Zhang Yuehong 2007, p. 500). Inoltre, anche Zhong (2000, pp. 54-55) sottolinea come, al di fuori del discoros medico e riproduttivo, il sesso (xing 性) fosse automaticamente equiparato alla lascivia, all’oscenità (yin 淫). La riattribuzione al soggetto di connotazioni sessuali è una forma di resistenza e di opposizione alla negazione della passione erotica, prima assorbita dalla passione rivoluzionaria maoista. Il corpo senziente e desiderante diventa uno strumento di conoscenza e di espressione di una nuova soggettività postrivoluzionaria con cui affermare liberamente il desiderio, anche sessuale. 45 sensibile anche a causa della politica del figlio unico, una delle riforme del periodo denghista inaugurata nel 1979; tuttavia, la necessità di avere un figlio e sperabilmente un figlio maschio era comprensibile e ammessa anche durante il periodo maoista: lo Stato socialista infatti sosteneva la riproduzione ma la proprietà collettiva del corpo conduceva alla censura del desiderio individuale (Zhang Yuehong 2005). La vera novità del periodo postmaoista è il desiderio di recuperare la propria piena capacità sessuale anche per motivi non necessariamente riproduttivi ma anche soltanto ludici: aumentano così gli uomini che decidono di farsi curare per l’impotenza solo per il piacere e la soddisfazione della propria vita sessuale. Negli anni Ottanta il numero dei pazienti dei reparti di andrologia aumentarono significativamente, soprattutto per la cura dell’impotenza. Nel periodo postmaoista, infatti, eliminando l’alone morale che circondava l’impotenza, ma senza eliminare totalmente la vergogna personale che può provare chi soffre di questi disturbi, la consapevolezza del desiderio e della sua ricerca e soddisfazione come segno di una mentalità moderna, scientifica e consumista ha liberato i maschi cinesi dal timore di una ferita alla propria identità di genere, tanto più dolorosa quanto più sono numerose e libere le occasioni di consumare rapporti sessuali, anche al di fuori dell’ambito riproduttivo. D’altro canto, così facendo, aumentò il disagio di chi non fosse riuscito a superare la propria impotenza, psicologica o fisica che fosse: essa divenne quindi sinonimo di incapacità di essere un soggetto moderno. Il corpo divenne o tornò ad essere agente della decostruzione e ricostruzione linguistica e simbolica: per Lacan il linguaggio, o l’ordine simbolico, costruisce il soggetto nel suo sviluppo psichico attraverso la trasformazione del corpo in entità linguistica socialmente definita rompendo un ordine precedente e separando il soggetto da un’unità originaria – e quindi in termini essenzialmente traumatici. Per Foucault, che concepisce il corpo principalmente come campo di azione del potere e della conoscenza, esso tuttavia non è solo un prodotto discorsivo, ma è anche il frutto delle tecniche del sé che i singoli possono utilizzare per decidere della propria identità. Secondo Julia Kristeva (1986) le identità sono costituite semioticamente e simbolicamente con l’ingresso in un preciso ordine simbolico: perciò anche l’identità sessuale non è un’essenza ma una rappresentazione. Per questo gradi diversi di mascolinità e di femminilità possono essere intesi come condizioni funzionali di singoli soggetti che possono al tempo stesso occupare posizioni soggettive maschili o femminili. Il discorso assolutista annulla le differenze prodotte dall’ingresso traumatico nell’ordine simbolico sociale e patriarcale: esso impone delle distinzioni categoriche e uniforma i

46 soggetti35 ma la continua presenza dei corpi testimonia dell’artificialità dei discorsi, di fronte ad una realtà ben più eterogenea. Se il linguaggio non è neutrale ed è una forma di potere, l’affermazione del corpo all’interno dei discorsi li obbliga ad aprirsi alla sua stessa eterogeneità e permette il suo aggiornamento a nuove condizioni sociali e storiche e a nuove pratiche sognificanti. Il corpo non è quindi passivo e ricettivo ma attivo nel modificare i processi simbolici e linguistici. Butler completa la destrutturazione del discorso sull’identità sessuale affermando la natura discorsiva e artificiale non solo del genere ma anche della sessualità. Gli atti pratici e linguistici di tipo performativo (l’assegnazione di un nome, la formula solenne che dichiara due persone marito e moglie) ripetendo una serie di norme prefissate garantiscono la conservazione di un apparato di identificazione e di creazione dei soggetti. Questi si riconoscono in una precisa posizione normativa eterosessuale che li mette al sicuro dal timore dell’aberrazione e dell’abiezione e quindi dalla conseguente psicosi. Tuttavia, l’identificazione prodotta il legame emotivo verso l’oggetto delle proprie fantasie e l’idealizzazione di un oggetto di piacere produce anche l’esclusione del diverso e del deviante (Barker 2008, p. 299). Nella Cina postmaoista la riscoperta del corpo diventa una variabile decisiva nel processo di riconfigurazione della modernità e nella trasformazione simbolica della realtà. La scrittura del corpo non sarà una prerogativa solo delle scrittrici più giovani ma è una caratteristica trasversale ad un’intera generazione di autori nati negli anni Sessanta (Pozzi 2010), le cui basi sono però state poste da autori più anziani come Zhang Xianliang, che per primi riuscirono a trattare il tema della sessualità e della corporeità nella letteratura. Gli anni Ottanta videro un passaggio ideologico fondamentale dal «corpo collettivo» jiti 集体 al «corpo individuale» geti 个体 (Fu 1999), che ebbe effetti visibili anche nella produzione artistica. Con la fine del collettivismo e dell’etica del sacrificio che vi era connessa, aumentò la consapevolezza del corpo come fondamento della propria esistenza individuale, della completezza della soggettività personale e della soddisfazione dei propri desideri in una società che si muoveva sempre più rapidamente verso il consumismo. Anche la legge sul figlio unico contribuì a liberare il sesso dalla necessità della riproduzione, permettendo la diffusione di un concetto puramente ludico della vita sessuale.

35 L’ingresso nell’ordine simbolico della mascolinità spesso si struttura in precisi riti di passaggio che simboleggiano la separazione dall’originaria simbiosi con la madre e dal mondo indifferenziato dell’infanzia e l’accettazione nella società degli uomini. La frequentazione successiva del mondo maschile e dei suoi propri, come anche l’esibizione dei comportamenti e degli atteggiamenti riconosciuti come mascolini rappresentano il necessario momento performativo per la sanzione della propria idenità maschile (La Cecla 2010; Bourdieu 2009). 47

La definizione del corpo e della mascolinità divenne nel periodo postmaoista una delle coordinate della ricostruzione della soggettività in termini eminentemente discorsivi. Per quanto il dibattito sulla natura umana, sul soggetto e la liberazione dall’alienazione fosse piuttosto datato, alcune sue diramazioni, come appunto quella sul genere, risentirono notevolmente degli effetti di un discorso intellettuale che, inizialmente legato a concetti tradizionali, classici o maoisti, andò sempre più divergendo dalla realtà sociale, in cui si affermavano nuove versioni e declinazioni dell’identità maschile frutto dell’intersezione di elementi sempre più disparati. La mascolinità contemporanea cinese è il frutto di un’intersezione di elementi diversi, di diverse formazioni discorsive che interagiscono, locali e globali, attuali e tradizionali: il consumismo, il culto di un individuo autosufficiente, teorie neoliberali, temi nazionalistici, il discorso sulla perdita della mascolinità e della castrazione simbolica, la sensibilità da new man e una mascolinità più amorevole, il perpetuarsi del legame omosociale, la naturalizzazione delle differenze di genere nella biologia, 36 la rielaborazione di modelli storici degli attributi maschili e degli ideali confuciani nella nuova economia di mercato. La costruzione dell’identità di genere avviene non solo attraverso la collocazione in un preciso momento storico ma anche attraverso l’articolazione di una serie di discorsi, relativi alla classe, all’etnia, all’età, anch’essi storicamente determinati ed è quindi il prodotto di una serie di variabili sociali che danno vita ad una serie di mascolinità (intesa al plurale). A mano a mano che queste ulteriori variabili divennero preponderanti nella società cinese, che stava evolvendo verso un mondo sempre più globalizzato e consumistico, ecco che le varianti e le sfumature di un concetto graduabile e non monolitico come la mascolinità aumentarono di conseguenza. Questo, tuttavia, non escluse e non esclude il ricorso a categorie tradizionali e modelli localmente radicati dell’identità di genere; essi sono anzi spesso arricchiti dai nuovi modelli, senza esserne scalzati del tutto. A loro volta, forme di mascolinità più “moderne” e “borghesi” come quella dell’uomo d’affari, per quanto definite contro modelli più aristocratici della mascolinità, sicuramente ne conservano molti tratti. Fluttuante e mutevole, anche la mascolinità si rivela una «categoria inventata»

36 La “naturalizzazione” dei ruoli di genere e la loro inscrizione nella biologia iniziò già in epoca moderna e repubblicana, quando la biologia sostituì il confucianesimo come fondamento della differenza di genere in termini sessuali. I ruoli sociali erano distribuiti non più in base ad una funzione ma in base ad una distinzione fisiologica (Dikötter 1995, p. 9). Anche la costruzione discorsiva della “nuova donna” da parte degli intellettuali del Quattro Maggio ebbe notevoli conseguenze linguistiche: venne stabilito il termine nüxing come parte della coppia binaria essenzializzata ed esclusiva, di derivazione occidentale, di uomo (nanxing) e donna. L’identità sessuale non era più stabilità in base a rapporti di parentela, ma sulla base della fisiologia: la donna era definita in termini “scientifici” come priva di personalità e di essenza umana, facendone così l’esatto contraltare dell’uomo, che invece possedeva queste qualità. Se la donnna era definita come passiva, l’uomo attivo, se la donna era inferiore biologicamente e intellettualmente e priva di una presenza sociale, l’uomo era al contrario superiore in termini fisici e intellettuali, oltre che politici (Barlow 1994, p. 265-267). Anche dopo la fine del maoismo, tuttavia, sembra che le differenze biologiche siano state nuovamente essenzializzate nell’ambito medico e biologico (Song, Hird 2014, p. 223). 48

(Weeks 1991), il «prodotto di significati culturali attribuiti a certi attributi, capacità, disposizioni e forme di condotta in un preciso momento storico» (Nixon 1997, p. 301) in cui la rappresentazione svolge un ruolo fondamentale. Storicamente, il concetto di mascolinità nella cultura cinese Han ha sempre avuto molto a che fare con la capacità di formare una famiglia e di generare eredi maschi che proseguano la discendenza e questo è uno degli elementi tradizionali che ancora perdura nella definizione del maschio in Cina. Questo si traduce nella necessità di studiare sodo per trovare un buon lavoro e occorre farlo anche relativamente presto per poter così trovare una moglie e formare una famiglia. Sebbene la situazione delle campagne sia ancora molto più arretrata e quindi certi cambiamenti siano evidenti soprattutto nelle grandi città, in generale la tradizionale posizione di superiorità sociale degli uomini è notevolmente indebolita dall’ingresso delle donne nel mercato del lavoro, dalla loro indipendenza e dalle loro capacità economiche: gli uomini cinesi oggigiorno sono pertanto meno sicuri della propria posizione nella famiglia e nella società (Jankowiak 2003). Anche per questo l’impotenza divenne una ferita profondissima alla soggettività maschile e alla capacità di desiderare e di realizzare i propri desideri, che è il nuovo standard etico della società postsocialista:

[…] post-Mao Chinese society is not the only epoch in which sexual desire “exists” but it is the only one in which sexual desire is constructed as central to the subject of modernity (Zhang Yuehong 2007, p. 504).

Di conseguenza, il puritanesimo e il conservatorismo in fatto di sesso diventò indice di arretratezza e di attaccamento a valori ormai superati, oltre che di complicità con un potere ormai screditato, anche se ancora al governo. Infatti, sopravvivevano ancora fortissimi tabù attorno al sesso che colpivano in particolare i più giovani. Gli stessi concetti tradizionali della vita sessuale come attività dannosa per la propria salute – nel caso degli uomini la perdita di essenza yang – lasciano pian piano il posto ad una visione più scientifica del sesso come attività perfino salutare: solo negli anni Novanta, ad esempio, la masturbazione smise di essere vista come pericolosa nel discorso medico e, come ogni altra attività sessuale, cominciò ad essere ritenuta «enormemente salutare» (Jankowiak 2003, p. 439). Fino agli anni Novanta, poi, la verginità era un ideale per maschi e femmine, sia nelle campagne che in città e anche il sesso prematrimoniale non fu più disdicevole; anzi, gli appuntamenti informali, che non portavano necessariamente al matrimonio, divennero abituali negli anni

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Ottanta, anche se solo nel decennio successivo smetteranno di essere ritenuti segreti. In questo, non solo la politica del figlio unico ha cambiato molto le cose, ma ha prodotto una generazione, quella dei giovani degli anni Novanta, che ha trasformato sempre più il sesso in una personale ricerca del piacere, non solo per gli uomini, ma anche per le donne. Lo stesso passaggio nella retorica pubblica, nella pubblicistica e nella letteratura dalla penuria all’eccesso, dall’etica del dovere all’esaltazione del piacere e dalla necessità alla libertà produsse effetti non solo discorsivi ma anche pratici e concreti nella definizione dell’identità individuale e uno dei termini usati per rielaborare, anche polemicamente con il passato, la propria soggettività fu proprio il concetto di genere. Anche senza essere legato alla sessualità, la costruzione e la trasformazione dei ruoli di genere divenne un argomento fondamentale del dibattito pubblico. Harriett Evans (1995) sostiene che, sebbene comunemente si ritenga che il il sesso fosse considerato insignificante, deplorevole e addirittura frutto dell’individualismo borghese in epoca maoista, la legge del 1950 sul matrimonio, sottolineando la centralità dell’amore, aveva moltiplicato materiali educativi sulla sessualità e sull’identità sessuale che appiattivano il concetto di genere su fondamenti puramente biologici. Il discorso medico e scientifico prodotto di conseguenza essenzializzò le differenze fra uomini e donne sulla base della fisiologia e di una sessualità normativa, funzionale alla riproduzione e allo svolgimento di precisi ruoli sociali, nella famiglia, nell’economia e nello Stato. In particolare, ovviamente, questo discorso riconfermava e “naturalizzava” la tradizionale gerarchia di genere e la posizione di superiorità degli uomini e faceva ancora una volta della famiglia il luogo di espressione legittimo di una sessualità eteronormativa. Queste norme fissate dallo Stato colpivano soprattutto le donne, che erano vittime delle prescrizioni sul controllo della sessualità: erano infatti invitate ad accettare le attenzioni del coniuge, a non rinviare troppo il matrimonio e quindi a non studiare troppo. Giunti alla Rivoluzione Culturale, però, le cose cambiarono e ogni riferimento al sesso e alla distinzione di genere divenne sconveniente e osceno e perfino l’aspetto esteriore di uomini e donne era definito da una forzata androginia. Tuttavia, più la rappresentazione si faceva rigidamente moralistica, più la realtà era invece ricca di esperienze sessuali libere e liberatorie: in molti racconti di giovani inviati per la rieducazione nelle campagne (sia ragazzi che ragazze) si possono infatti ritrovare i ricordi delle prime, gioiose esperienze sessuali. Forse proprio a causa del puritanesimo dell’epoca precedente, alla fine della Rivoluzione Culturale la coltivazione della memoria del passato fa riemergere nel dibattito

50 pubblico anche il ricordo delle esperienze sessuali.37 Nonostante ciò, il pensiero medico si adeguò alle decisioni della propaganda politica e il discorso scientifico sul sesso rimase fermo agli anni Cinquanta e ai primi anni Sessanta. Pertanto, nella descrizione della sessualità, oltre a riaffermare la sola normatività dell’eterosessualità, fu ribadita anche la natura passiva e puramente reattiva del desiderio femminile, sottoposto all’autonomia del desiderio maschile. Questo ebbe effetti anche sulla definizione del genere: le caratteristiche associate alla femminilità sono appunto dettate dal rapporto di subordinazione all’uomo e ai suoi desideri. Le prescrizioni scientifiche sull’igiene sessuale, comunque, non risparmiavano nemmeno gli uomini, resi succubi di fronte ad un’entità ben più yang (in termini sociali), ossia lo Stato, la collettività, per la responsabilità che incombeva loro di generare figli sani: la continenza sessuale e il rifiuto di pratiche sessuali ritenute devianti diventavano degli obblighi molto rigidi, che permettevano alle donne qualche limitata forma di controllo della loro sessualità. Questo discorso scientifico, che mescola e fonde l’identità di genere e quella sessuale, tuttavia, è molto presente ancora oggi nella rappresentazione di uomini attivi e desideranti e di donne relativamente passive, la cui sessualità è ancora riproduttiva o rivolta ai bisogni maschili (Evans 1995, p. 385). Pur sostenendo ancora l’autorità maschile, il discorso scientifico dovette presto lasciare il posto ad una proliferazione di discorsi che complicarono notevolmente il quadro, e anche il potere statale smise di applicarsi a molti aspetti della vita individuale: lo stesso contesto del dibattito sulla sessualità e sulle identità di genere negli anni Ottanta cambiò. La definizione dell’identità di genere infatti non fu più prescrittiva e calata dall’alto, dal potere politico che fino a quel momento aveva prodotto o selezionato tutti i significati ammessi; ora la produzione di significati e di rappresentazioni venne sempre più assunta dai singoli. Nell’ambito sessuale, allo Stato è rimasto il controllo della legalità dei rapporti sessuali, della

37 Emily Honig (2003) sostiene che molte delle riflessioni sulla sessualità prodotte nel periodo successivo alla Rivoluzione Culturale fossero in realtà una proiezione del presente sul passato. Secondo l’autrice le storie che ricordano il sesso durante la Rivoluzione Culturale sono di due generi: le prime, prodotte alla fine degli anni Settanta, descrivono le punizioni per la violazione delle rigide norme sessuali; le seconde invece si concentrano sul racconto della liberazione sessuale contro quelle stesse norme e sono scritte in particolare durante gli anni Novanta. Le prime miravano a denunciare il periodo appena trascorso, le seconde contribuivano ad una discussione sul sesso ormai affermatasi nel dibattito pubblico. Esempi di opere che riportano nella letteratura il tema del sesso ricordando la Rivoluzione Culturale, il momento della massima repressione (polica e sessuale), sono ad esempio i romanzi di Wang Xiaobo, in particolare la già citata Huangjin shidai, ma anche la narrativa autobiografica dell’autrice sinoamericana Anchee Min (1957-), in particolare Red Azalea (1994). Spesso però, nei resoconti della propria esperienza di zhiqing, il sesso era descritto anche come un’ulteriore forma di violenza: le donne infatti furono spesso oggetto di stupri e furono etichettate come “donne facili”. Per questo le esperienze del sesso e della sessualità durante la Rivoluzione Culturale erano connotate profondamente in termini di genere: «[…] sexual experiences of the both reflected and perpetuated women’s subordination to men […].» (Honig 2003, p. 171). La rivolta sentimentale dei giovani contro la spietata persecuzione di ogni umana tenerezza da parte della politica era del resto iniziata con la produzione, la circolazione e la lettura clandestine della letteratura non ufficiale già durante la Rivoluzione Culturale con opere quali «Onde» Bodong 波动(1974) di Zhao Zhenkai 赵振开/Bei Dao 北岛 (1949-) (Hong 2009, pp. 249-254).

51 lotta alle malattie sessualmente trasmissibili e del controllo delle nascite, mentre la gestione della propria vita quotidiana, peraltro sempre più articolata e complicata dai cambiamenti socioeconomici dell’epoca delle riforme, è di esclusiva responsabilità dell’individuo, quello che Evans (2008) definisce «la ‘deregulation’ del genere da parte del mercato» (p. 71). Tutto ciò ha posto le basi per la liberazione della definizione dei ruoli e delle caratteristiche di genere da nozioni puramente biologiche e “naturalmente” gerarchizzate; tuttavia, la moltiplicazione e la differenziazione dei discorsi attorno al genere non ha scongiurato la sopravvivenza delle essenzializzazioni del passato, soprattutto nella pubblicità e nelle riviste destinate agli uomini della classe media urbana. Oltre a ciò, nella realtà persistono anche delle disuguaglianze nell’accesso al mercato del lavoro e nella distribuzione del reddito. Il concetto di genere nella storia cinese e in particolare nella storia delle sue rappresentazioni artistiche e letterarie è stato studiato da diverse prospettive, ricordate nell’introduzione. Dal punto di vista storico, la femminilità e la mascolinità e in particolare la loro frequente rielaborazione e ricostruzione sono stati usati come modelli evolutivi, per quanto normativi, per ridefinire nel corso del Novecento il concetto stesso di modernità e aggiornare l’identità maschile e femminile differenziandole da quelle tradizionali, oltre che per segnare delle precise linee di demarcazione fra rivoluzione e reazione e fra passato e futuro (Evans 2008). Per questo motivo la definizione degli ideali e della concezione della femminilità e della mascolinità non sono stabili ma mutevoli e il soggetto di genere non ha un’identità fissa, come lo stesso progetto di costruzione della modernità, ed entrambi si definiscono spesso per antitesi rispetto al proprio corrispondente nel passato o con il proprio riflesso nella cultura di Paesi stranieri. Anche il discorso ufficiale e intellettuale sui corpi, nella loro costruzione simbolica o nella loro rappresentazione estetica, concorre a definire il discorso più generale sulla modernità ed entra anche nel dibattito fra recupero delle radici cinesi e imitazione dell’Occidente, fra letteratura impegnata e letteratura postrivoluzionaria del quotidiano. Evans, in particolare, ci fornisce una definizione di «genere» (xingbie 性别 o shehui xingbie 社会性别)38 particolarmente completa ed esaustiva, che comprende anche il valore e l’importanza dei testi culturali intesi in senso lato come ogni pratica discorsiva significante:

38 Il termine cinese più diffuso per riferirsi al concetto di «mascolinità» è nanxing qizhi 男性气质, i cui sinonimi sono nanxing qigai 男性气概, nanzihan 男子汉 e yanggang zhi qi 阳刚之气; per indicare «maschilismo» si usa il termine nanxing zhuyi 男性主义 mentre per «virilità» si impiega solitamente nanzihan qigai 男子汉气概; infine, per l’aggettivo «virile, maschile» si usano nanziqide 男子气的 e nanxingde 男性的 (Zhang Bocun 2006, p. 9). 52

[…] gender refers to changing articulations of knowledge and power associated with the embodied practices of men and women, and that operate as a major principle of social and cultural organization, defining, legitimating and reproducing differences, knowledge of these differences, and the hierarchies embedded in them. Gender is thus constituted through historical and cultural practice. Cultural texts such as film, art and literature produce gender not through sociological or ethnographic analyses of women’s and men’s actions and relationships, but through descriptions and imaginings. Gender thus acquires meaning through cultural texts as well as social practices. (Evans 2008, p. 70, corsivo mio).

Lungi dall’essere un’essenza o un’identità permanente, il genere e il soggetto definito in termini di genere sono inconsistenti, fluidi e instabili, e si costituiscono attraverso la performance ripetuta di precise norme poste in essere attraverso pratiche discorsive e non- discorsive. In accordo anche con quanto scrive Judith Butler (1990, 1996) il genere, e quindi anche la mascolinità, diventa soprattutto una performance culturalmente definita e prodotta ed è difficile, se non discorsivamente altrettanto autoritario, stabilire una definizione univoca dell’“identità” maschile. Il linguaggio e le convenzioni sociali giocano un ruolo decisivo nel determinare il senso del genere: fin dalla scelta del nome per una persona e poi nei grandi momenti di passaggio della sua vita le norme sociali rappresentano un processo continuo che costituisce le differenze e i ruoli di genere in un ordine normativo eterossessuale. Il linguaggio e la reiterazione di tali norme danno forma e radici a queste definizioni. Il genere come categoria di analisi è legato alla costruzione sociale del maschile e del femminile, che è a sua volta influenzata dalla cultura, dalla storia e non dalla biologia. Essa è anche una categoria relazionale, definita molto dal rapporto con altri uomini e con le donne ed è anche una variabile relativa in termini storici e culturali: le definizioni del genere infatti variano nel tempo, nello spazio e possono coesistere nello stesso spazio versioni differenti del maschile e del femminile. Il concetto di genere, per lungo tempo appannaggio degli studi femministi, tuttavia, non riguarda solo la definizione della donna ma esiste una specificità della descrizione del genere maschile (Bellassai 2004). Grazie proprio al pensiero femminista e al dibattito sulla crisi dell’identità maschile si sono aperti degli spazi discorsivi su quel che è o dovrebbe essere maschile. L’identià maschile è stata per lo più definita in termini relazionali e negativi in base al suo contrario, proprio a causa della sua pretesa invisibilità e normatività, che ha subordinato anche gli uomini ad una precisa e doverosa rappresentazione di sé. Nella definizione della mascolinità, di cui si possono ormai rintracciare molte versioni culturalmente e geograficamente specifiche e forme ibride fra una

53 mascolinità transnazionale e localmente definita, rientra sicuramente la consapevolezza sociale della costruzione di un’identità condivisa con gli altri maschi, da cui discende un senso dell’onore e della dignità che è sempre precario e instabile, perché la propria identità di maschio “degno” deve essere ripetutamente provata tramite prove pubbliche che conducono al riconoscimento altrui. Questo tipo di prove possono essere le più varie e definiscono in parte i valori predominanti della società che li crea e li riproduce: dai riti di passaggio in cui viene messo alla prova il coraggio di un giovane agli esami imperiali nella Cina classica, che effettivamente segnavano l’ingresso nel mondo pubblico, quello del potere sociale, che garantiva l’ammissione nel mondo maschile e patriarcale. Il genere, più che fondarsi su una semplice opposizione, è soprattutto un concetto graduabile lungo un asse che va da un massimo di femminilità ad un massimo di mascolinità. Il massino di riconoscimento maschile nel mondo pubblico garantisce la massima distanza dal polo dell’infanzia, del femminile, del non maschile, che sono guardati con il timore della “degenerazione”. Colui che riesce ad acquisire e a padroneggiare i requisiti della propria identità di genere, tanto da farne una natura ormai inconsapevole, quel che Bourdieu chiama habitus, nel senso di una «legge sociale incorporata» (2009, p. 62)39 e somatizzata. L’habitus maschile si costruisce così attraverso un faticoso lavoro di socializzazione che produce una crescente e attiva differenziazione dal genere femminile, costruito culturalmente come sottomesso, debole e competente per tutto ciò che riguarda il mondo domestico, privato e dell’infanzia. La costruzione omosociale della mascolinità, che troviamo nella cultura classica cinese, sia nell’ambito della mascolinità più muscolare che in quella intellettuale, consiste in giochi sociali fra uomini che si articolano in sport, duelli, esami e ogni genere di confronti in cui mettere alla prova la propria adeguatezza ai valori dominanti che regolano la mascolinità e che implicano pertanto anche un addestramento costante del corpo e della mente. In questo gioco le donne sono merci nel mercato simbolico e stabiliscono spesso i rapporti di conflittualità o di solidarietà fra uomini. Il genere è una negoziazione possibilmente continua fra dato e nuovo, fra fisiologia e fisionomia (La Cecla 2010) in cui il linguaggio e la performance sono insieme determinanti poiché la pratica e l’esibizione del genere da un lato e dall’altro le rappresentazioni simboliche e i discorsi insieme definiscono la costruzione dell’identità di genere, a volte collaborando e a volte confliggendo. Se però il genere femminile è dato come “naturalmente” acquisito, il genere maschile è uno stato violento, sempre costitutivamente privo di un punto di arrivo: la conquista della mascolinità è un processo costante che non può essere

39 Per una trattazione sistematica del concetto di habitus nell’autore si rimanda comunque a Bourdieu (1972, 1980). 54 abbandonato se non si vuole essere ricacciati nel mondo femminile e pre-maschile o pre- adulto. Diverse performance maschili coesistono, come coesistono diverse versioni discorsive e normative del genere ed è evidente ormai che esistono delle forme egemoniche di mascolinità, accanto alle quali esistono anche forme alternative e antiegemoniche. L’esibizione del genere è instabile e mutevole: proprio perché manca una perfetta coincidenza fra sesso e genere, la mascolinità e la femminilità sono un modo per dare coerenza a questa discrasia. Perciò il genere «costringe e permette particolari espressioni e pratiche che son sempre legate alle contingenze del tempo e del luogo» (Lusty 2014, p. 3). I ruoli di genere non sono selezionati a piacimento per essere rappresentati, non vi è agency nei discorsi di genere: il genere non è rappresentato da un soggetto autonomo ma il soggetto è determinato dal genere; pertanto il genere è l’effetto più che la causa del discorso, che è sempre preesistente (Butler, Salih 2004). Quindi «non vi è identità di genere al di là delle espressioni del genere» (Butler 1990, p. 140) e ogni uomo è chiamato a rappresentare una serie di identità costituite discorsivamente (padre, colletto bianco, new man ecc.) e la performance di genere è determinata dalla situazione e dal contesto. Dal punto di vista sociologico, Connell (2002) ammette invece che i corpi che incarnano la mascolinità sono sia oggetti che soggetti della pratica sociale, in precisi circuiti di incorporazione sociale, usati soprattutto da gruppi dominanti di uomini per fondare i propri privilegi, far cui lo sport, il tempo libero, pratiche gastronomiche ecc. (Connell, Messerschmidt 2005) che stabiliscono la loro distinzione. Per Foucault (2004, 2008) la produzione discorsiva, le pratiche e formazioni discorsive che, attraverso apparati e istituzioni, agiscono sui corpi come luogo privilegiato per l’esercizio del potere fanno sì che non esista una forma essenziale di soggettività al di fuori del discorso. I discorsi poi sono anche portatori di specifiche posizioni storiche di agency e di identità per gli individui, che all’interno dei discorsi possono eventualmente negoziare e affermare entro certi limiti la propria idea di genere. La posizione del soggetto quindi si forma in relazione all’azione del potere sui singoli, che li rende soggetti nel senso della sottomissione al potere; tuttavia, le pratiche del sé, come l’acquisizione imitativa di attributi corporei, permettono di attuare una qualche forma di resistenza alla semplice sudditanza al discorso preesistente e di agire come decisori della propria identità. 40 Le tecniche del sé, quindi, permettono all’individuo di adattarsi alla propria posizione di soggetto e il singolo così articola la propria

40 Nella psicoanalisi freudiana i due concetti utilizzati per indicare la relazione del soggetto con l’oggetto sono la pulsione sessuale (il desiderio di avere l’altra persona) e l’identificazione (il desiderio di essere l’altra persona): la prima è una spinta possessiva, la seconda distruttiva e assimilatrice ed entrambe emergono durante lo sviluppo infantile insieme al complesso di Edipo, il momento in cui la definizione dell’identità di genere e della sessualità vengono fissate. 55 individualità attorno a specifiche rappresentazioni come una performance che ripete e conferma le norme discorsive. Foucault individuava le istituzioni normative che producono, diffondono e trasmettono discorsi di potere che creano i soggetti come sottoposti e come oggetto di studio e di prescrizione ma altri termini possono spiegare la differenziazione di posizioni soggettive diverse e in un certo modo negoziate fra l’individuo e le istituzioni normative: ad esempio, le pratiche non discorsive rappresentano proprio una frattura fra i testi discorsivi e le performance individuali; inoltre, anche il concetto di “sutura”, il processo in cui «un soggetto riconosce il suo io nel discorso di un altro» (Zito, Barlow 1994, p.12) o di “centratura” in cui il soggetto imita la posizione di potere altrui o anche di “frattura” locale in cui consistono gli «spazi culturali di differenza in cui i comuni soggetti sociali dimostrano la loro distanza dai termini dello Stato-partito» (Evans 2008, p. 87). Tutti questi processi di negoziazione e confronto mostrano delle possibilità di pratica e di autoidentificazione che sfidano una singola versione della modernità in termini socioeconomici, che poi si incarna nella mascolinità e nella femminilità “moderna” in linea con l’idea di progresso e di sviluppo teleologico globale. Inoltre, occorre aggiungere la differenza fra il momento dell’articolazione della produzione di verità e il momento della visibilità, in cui le relazioni fra persone e oggetti sono costruite in modo da farli apparire davvero come oggetto di conoscenza (Deleuze 2006). L’agency del soggetto, quindi non va trascurata: riprendendo da Laclau e Mouffle (2001) Hird sottolinea come sia possibile la dispersione di diverse posizioni del soggetto attraverso una varietà di istituzioni, rituali e pratiche in cui è strutturata una formazione discorsiva, che ha sì un carattere linguistico e cognitivo, ma ne ha anche uno materiale e relazionale. Per questo si possono dare delle reciproche interazioni fra elementi discorsivi e non discorsivi e possono così crearsi degli «assemblaggi» (Rose 1998, citato in Hird 2009), cioè combinazioni di elementi differenti che si mescolano in un preciso momento storico e in un preciso luogo attraversando elementi discorsivi e non discorsivi, producendo i soggetti ma venendo al tempo stesso modificati dai soggetti (Hird 2009, p. 23-24). Partendo dallo studio della società berbera della Cabilia, anche Bourdieu (2009) sottolinea la natura relazionale del maschile e del femminile e l’estensione del dominio maschile all’intero ordine cosmico, che porta a naturalizzare una costruzione sociale. Egli riporta l’attenzione sul momento pratico e sulla centralità dei corpi:

Il lavoro di costruzione simbolica non si riduce a un’operazione strettamente performativa di nominazione che orienta e struttura le rappresentazioni, a cominciare

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dalle rappresentazioni del corpo (cosa di per sé tutt’altro che insignificante); esso si conclude e si compie in una trasformazione profonda e durevole dei corpi (e dei cervelli), cioè in e attraverso un lavoro di costruzione pratica che impone una definizione differenziata degli usi legittimi del corpo, di quelli sessuali in particolare, la quale tende a escludere dall’universo del pensabile e del fattibile tutto ciò che segnala l’appartenenza all’altro genere – e in particolare tutte le virtualità biologicamente inscritte in quel “perverso polimorfo” che, secondo Freud, ogni bambino sarebbe – per produrre quell’artefatto sociale che è un uomo virile o una donna femminile. (Bourdieu 2009, pp. 32-33).

Per questo una precisa etica e un insieme di norme sociali vengono realizzate e “naturalizzate” nel comportamento, nell’abbigliamento, nell’atteggiamento del corpo e nelle maniere, producendo un habitus, o disposizione di genere, inseparabile dalla struttura, o habitudo, che lo produce e riproduce. Questi habitus «funzionano come matrici delle percezioni, dei pensieri e delle azioni di tutti i membri della società» (p. 44) e, con la loro apparenza di norme trascendenti e astoriche, perpetuano la rappresentazione della centralità e della dominazione maschile come naturale. In effetti, gli individui agiscono, comunicano e producono le proprie forme sociali e discorsive, soprattutto là dove la società diventa sempre più complessa e segmentata. Nella Cina degli anni Ottanta era ancora fortemente all’opera l’ideologia nel senso di Althusser, come «interpellazione», in cui il potere chiede alle persone, ai suoi soggetti, di rispondere con azioni o affermazioni già limitate da una posizione prefissata ma che permettono alle persone di diventare attori sociali ed esseri umani (Hall 1985). La ridiscussione del marxismo da parte di Althusser, poi, era utile per capire come ormai, anche in una società socialista, le identità di classe non fossero così compatte: l’ideologia come visione del mondo doveva comunque fare i conti con delle identità frantumate e segmentate. Quindi anche l’identità di classe non è più omogenea e sicuramente convive con altri elementi che possono concorrere a definire l’identità. I soggetti non sono più definiti in base ad una definizione “forte” ed essenziale, ma attraverso le differenze (Barker 2008, p. 221). Non era più possibile, nemmeno in Cina, essere maschi in maniera “naturale”, poiché anche l’identità di genere si era ormai rivelata come non naturale né essenziale ma artificiale, storicamente determinata e sempre soggetta alla différance (Derrida 1969), ossia ad una continua ridefinizione dei significati. L’acquisizione della posizione soggettiva maschile implicava una doverosa riflessione e ridiscussione dei postulati prima ritenuti scontati dell’identità maschile, avendo ormai la consapevolezza che essa è un costrutto culturale

57 soggetto al cambiamento. Ogni sistema sociale ha la sua ideologia e questa produce una struttura della personalità ben precisa (Wang Xiaoying 2002, p. 4, nota 5), tuttavia è ancora una volta il confronto fra l’individuo e la società a creare una soggettività autentica, che implica conflitto e perdite nella stessa costruzione della persona, ammettendo però tanto il conformismo che la resistenza. La posizione del soggetto è mutevole e cangiante anche all’interno di uno stesso individuo: diverse posizioni possono essere occupate simultaneamente in base alla relazione con gli altri e con la società. La soggettività è dinamica e stratificata, definita anche temporalmente e geograficamente, oltre che culturalmente. Se la struttura nella quale sono inseriti i soggetti si modifica o si indebolisce a causa di una trasformazione delle basi sociali di produzione e riproduzione degli habitus si può produrre una rivoluzione simbolica che scuote i rapporti di dominio simbolico e portare alla luce la differenza di genere e rimettere in gioco le giustificazioni tradizionali della distinzione e dei rapporti fra i generi. Se Françoise Héritier (1996) parla di «valenza differenziale dei sessi» come costante universale, Tani Barlow (1994) si riferisce alla realtà cinese utilizzando piuttosto dei «protocolli» di comportamento attraverso i quali la relazione cosmica fra yin e yang permette ai soggetti, in base ai cambiamenti storici, di raggiungere la propria posizione di genere in senso relazionale, naturale o normativo. Tradizionalmente, il genere femminile era definito in termini linguistici e discorsivi in base al suo ruolo nella famiglia41 ed era generalmente indicato come funü 妇女, come donna al servizio della famiglia, lo spazio sociale in cui poteva trovare la propria posizione di soggetto nell’ordine gerarchico dello yin/yang.42 Nella materia medica tradizionale questo stesso binomio dialettico individuava non tanto identità anatomiche, quanto piuttosto gerarchiche e relazionali in base soprattutto alle relazioni fondamentali confuciane (wulun 五伦). Allo stesso modo anche il genere era frutto di protocolli che stabilivano la differenza di parentela. Con l’avvento dello scientismo del Quattro Maggio il discorso intellettuale (essenzialmente maschile) costruì la categoria di nüxing 女性 «il femminile» in senso naturale e universale, come contrapposizione alle virtù maschili dell’epoca vittoriana in Europa, trapiantate in Cina insieme a molto del sapere occidentale. Per l’intellettuale e lo scrittore in questo caso il femminile diventava l’altro da

41 I tre termini tradizionali riferiti alla donna e che la definiscono in base al suo ruolo nella famiglia sono sono nü 女 (figlia) fu 妇 (moglie) e mu 母 (madre). 42 Secondo Chan (2008) la distinzione fra yin e yang non è priva di connotazioni essenzializzanti e normative e suggerisce una correlazione di attributi legati in senso assoluto al genere maschile e a quello femminile: gli uomini yang sono tradizionalmente forti e prendono l’iniziativa, mentre le donne yin sono deboli e passive. La distinzione fra yin e yang può essere vista in termini complementari, ma soprattutto in termini gerarchici (Chan 2008, pp 320-321). Questa descrizione in termini morali della coppia yin/yang si può far risalire a Dong Zhongshu 董仲舒 (179-104 a. C.) per il quale «lo yang è nobile e lo yin è vile» yang zun yin bei 阳尊阴卑 (Fang 2004, p. 123). 58 sé, utilizzato spesso per descrivere sé stessi per antitesi. Contemporaneamente alla nascita della categoria di nüxing, venne innescata dai primi contatti con l’Occidente e il Giappone anche una riflessione sul maschile, ora definito in termini “scientifici” come nanxing 男性. Sebbene gli intellettuali (maschi) capissero quale fosse lo sforzo da compiere in ambito discorsivo e concreto per riappropriarsi della propria dignità maschile mentre al tempo stesso tentavano di modernizzare il Paese cambiando la mentalità confuciana, tuttavia conservarono la centralità della famiglia. Nonostante attaccassero il sistema famialiare patriarcale, quindi, la struttura familiare jia 家 restava il fulcro della vita sociale e politica ed era determinante per la formazione del genere e quindi della mascolinità (Brownell, Wasserstrom 2002).43 Con la fondazione della Repubblica Popolare Cinese si passa nel discorso, soprattutto in quello medico, alla creazione del soggetto della funü, la donna rivoluzionaria costruita correlando la produzione economica e la riproduzione sessuale e ponendone la realizzazione in un lontano futuro, come parte del disegno utopico e teleologico del nuovo regime.44 Se prima la donna ottenenva il suo riconoscimento come soggetto nella famiglia (jia), ora lo ottiene dallo Stato (guojia). La donna doveva essere moglie, madre, suocera, nonna e al tempo stesso realizzare i compiti sociali e le responsabilità collettive dell’uomo. Uomini e donne erano definiti prima di tutto in base alla categoria della classe, che prende perfino il posto della differenza fisiologica per definire l’identità dei soggetti: gli stessi riferimenti che prima connotavano i due generi in base alla distanza concettuale e sociale fra esterno e interno (spazio yang pubblico e maschile e spazio yin domestico e femminile) ora sono superate in nome dell’incorporazione della donna in un nuovo spazio pubblico, che è quello del lavoro collettivo. Dopo la fine del maoismo si assiste ad una nuova stagione dell’essenza femminile, del nüxing, e le immagini che si diffondono nel periodo delle riforme mostrano spesso donne giovani, ben vestite, desiderabili che rappresentano il successo e la modernità urbana ma prive della agency concessa invece allo spettatore maschio, implicitamente eletto unico fautore del miracolo economico cinese, la cui mascolinità viene per questo esaltata nel processo (Evans 2008, pp. 77-78). Tuttavia, le strategie del mercato aprono nuove possibilità per l’articolazione della rappresentazione del genere e per la agency individuale: emergono

43 Per questo in epoca classica l’anatomia e la sessualità non influenzavano la definizione del genere: un uomo, anche omosessuale, capace di svolgere il proprio dovere biologico per la famiglia, non perdeva minimamente la propria identità maschile (Sommer 2002). Durante il «Movimento Nuova Cultura» Xin wenhua yundong 新文化运动 (1915-1923) la sessualità divenne una determinante della femminilità e della mascolinità, per poi essere cancellata sempre più fino al radicale puritanesimo della Rivoluzione Culturale. 44 Il termine venne usato per designare in particolare le donne come categoria sociale e non di genere: infatti sembra che lo xing, che significa anche «sesso», fosse poco adatto per l’ideale di androginia del periodo maoista (Brownell, Wasserstrom 2002, p. 31). 59 rappresentazioni anche contraddittorie della femminiltà e della mascolinità che contestano o arricchiscono la norma discorsiva non solo presente, ma anche del passato, e non solo quella cinese ma anche quella occidentale. I concetti tradizionali, però, sono ancora utili per spiegare cosa sia maschile e cosa sia femminile: se yin e yang (per quanto ancora ben presenti nel linguaggio medico) non indicano in sé precise e definite qualità di genere, ma piuttosto posizioni relazionali di tipo sociale, ecco che piuttosto la diade wen /wu è diventata lo strumento più diffuso per raccogliere in due categorie le varianti della mascolinità cinese attorno alle due polarità della coltivazione intellettuale e della raffinatezza da un lato (wen) e della forza fisica e delle abilità marziali dall’altro (wu). Nel passato era preferita la seconda delle due versioni, ma con l’avvento del confucianesimo la prima prese il sopravvento, perché divenne la mascolinità dei letterati e dei gentiluomini confuciani (junzi 君子) (Jankowiak 2003). In ogni caso, è la tensione e la dialettica fra le due versioni che produssero numerose forme intermedie e miste della mascolinità (Louie 2002). È difficile tuttavia concettualizzare nel dibattito degli anni Ottanta anche solo il termine di genere, poiché ci si scontra ancora con la retorica dell’ormai raggiunta uguaglianza fra i generi, octroyée dal Partito. Infatti, il discorso normativo è ancora molto forte da parte della politica in Cina e Ann Anagnost (1997) dimostra come lo Stato detenesse ancora il potere di definire le posizioni discorsive con strategie classificatorie e discriminatorie, soprattutto nella distinzione fra “arretrati” e “moderni”, che portava con sé anche una forte connotazione morale. Per fare ciò il potere politico si basava ancora su una serie di rituali che prendono la forma di «cerimonie di oggettivazione», che costruiscono i soggetti come esseri sottoposti non solo allo sguardo del potere ma anche del giudizio popolare. A questo potere, però, fondato sulla presunzione di parlare per il popolo, e al conformismo su cui si regge l’ordine simbolico dello Stato, si contrapponeva ormai la sfiducia popolare nell’ideologia, eredità dell’eccessivo potere rituale della Rivoluzione Culturale. In ogni caso, diversamente dall’opinione comune secondo la quale nell’epoca delle riforme e dello sviluppo economico il potere dello Stato si sarebbbe ritirato da molte sfere della vita pubblica, lasciando il posto ad un più razionale pragmatismo, si ritrovava ancora il potere, soprattutto dei leader locali, di stabilire i comportamenti corretti e la definizione performativa di precise etichette sociali sui soggetti (con effetti anche sui corpi), che ricordava ancora il potere di stabilire la posizione morale del cittadino in base alla classe di appartenenza (o alla classe nella quale era forzatamente incluso). Anche nella Cina postmaoista il concetto di classe restava ancora sotterraneamente al lavoro per definire ciò che era corretto da ciò che non lo è. Questo potere di distinguere fra corretto e scorretto o fra l’arretrato e il moderno si esprime attraverso «[…]

60 rituali di soggezione, di creazione dei soggetti; essi producono corpi docili che trasformano questi corpi in significanti che figurano in una narrativa dominante di progresso verso una modernità socialista» (Anagnost 1997, p. 106). Questi rituali rivelano la sopravvivenza del potere discorsivo della politica, ancora preoccupato di contenere ogni manifestazione eccessiva dei desideri individuali e naturali, come ad esempio il sesso. Tutti questi bisogni e desideri umani trovano così la funzione di raffigurare e rappresentare una forma di resistenza, che assume anche i connotati della resistenza politica e la letteratura, come anche altri medium, si fanno carico anche di questa necessità espressiva, remando contro la sola razionalità strumentale e materiale utilizzata ed esaltata dal partito per l’obiettivo del progresso economico. La ricostruzione della memoria (o per molti una salvifica scotomizzazione), la grande terapia collettiva per il superamento dei traumi del passato successiva alla Rivoluzione Culturale, comprendeva anche la ricostruzione della mascolinità, di una mascolinità adatta alla Nuova epoca. L’oppressione subita aveva lasciato molti uomini devastati e impotenti, tormentati e quasi evirati. Il sesso, per quanto liberamente praticato dai più giovani nel periodo maoista in dispregio delle prescrizioni ufficiali sull’astinenza e sulla salute riproduttiva, era uscito dalla definizione della mascolinità; da parte loro, invece, le donne avevano beneficiato maggiormente della retorica sull’unicità o neutralizzazione del genere, acquisendo molti degli stereotipi maschili e potendo contare, almeno nell’ambito discorsivo, della parità, se non di una certa superiorità, psicologica e morale, sugli uomini. Gli uomini, invece, per quanto ancora in vantaggio in termini sociali e lavorativi, ebbero notevoli difficoltà a ridefinire i contorni del proprio genere e i confini rispetto ad un “secondo sesso” non più tanto debole. L’apertura al mondo in epoca postmaoista, inoltre, ebbe pesanti conseguenze sulla definizione della mascolinità cinese: fu molto difficile il confronto con la mascolinità occidentale e giapponese, che incarnava i valori del successo, personale e nazionale, della forza fisica, della potenza e della fiducia di Paesi ancora in ascesa e consapevoli di essere i principali produttori di simboli e di modelli a livello internazionale, più ancora del mondo socialista in declino. Dal canto loro, invece, gli uomini cinesi si sentivano disorientati, privi di un modello unitario, come nel passato, e le molte possibilità della nuova società produceva più incertezze che fiducia. La nuova economia di mercato e le privatizzazioni, infatti, creando grandi masse di disoccupati, avevano minato il ruolo tradizionalmente maschile del breadwinner (mousheng 谋生): questa ferita alla mascolinità veniva spesso letta e tradotta nei termini dell’indebolimento del ruolo di genere assegnato agli uomini e rischiava anche

61 di creare degli squilibri sociali.45 Per questo il potere corse ai ripari ricreando il lavoratore come soggetto imprenditore e presentandosi come un potere patriarcale benevolo e paternalista (Yang 2010), sfruttando o incanalando anche la letteratura in direzioni strumentali. Piuttosto che vedere nelle proteste e nell’insoddisfazione sociale l’espressione di un serio problema politico e affrontare o ammettere la rinascita di una società stratificata in classi, sia la dirigenza economica che i funzionari governativi preferirono leggere e porre il problema in termini di genere. L’obiettivo della stabilità sociale, quindi, venne raggiunto anche attraverso la ricostruzione della soggettività maschile come fulcro dell’autorità familiare, mentre gli stessi lavoratori accettarono di essere l’oggetto delle nnuove narrative ufficiali. Per contrapporsi quindi all’indebolimento del ruolo maschile, la retorica governativa consisterà proprio nel rafforzare la mascolinità dei lavoratori, oltre ad enfatizzare il benessere del popolo come fondamento del potere, fino ad arrivare al concetto di una società armoniosa. Furono soprattutto i lavoratori a soffrire maggiormente per la fine del proprio prestigio e del proprio status, anche maschile, nel trapasso dalla società socialista alla nuova realtà delle riforme, tanto da rappresentare un gruppo che collettivamente rappresentava una carenza storica (Rofel 1999). Tuttavia, la crisi della mascolinità sembra essere soprattutto una costruzione discorsiva, più che reale (Yang 2010), che in questo caso rientra nella generale depoliticizzazione del dibattito pubblico nel periodo postmaoista, in cui la categoria di classe, che solo allora paradossalmente stava emergendo nella realtà sociale, era sopraffatta da altre definizioni della soggettività, individuale e collettiva, fra cui il genere.46 La costruzione del soggetto come dotato di genere, in particolare nel caso degli uomini, fu quindi sostenuta anche dalle autorità che, dopo aver costruito il soggetto socialista usando il concetto di classe, (che aveva dato ai lavoratori la consapevolezza della loro identità di contadini, operai o soldati), ora utilizzavano gli stessi metodi per inculcare nei singoli la responsabilità di essere uomini e di iniziare la costruzione di nuove forme di mascolinità, prendendo atto che i vecchi modelli non potevano più essere affidabili. Se quindi in passato le autorità comuniste nelle fabbriche incoraggiavano ritualmente i lavoratori a parlare delle loro difficoltà prima del 1949 (quel che veniva chiamato suku 诉苦 «parlare dell’amarezza»),

45 Per fare un esempio del possibile rapporto fra i problemi di genere e la rabbia politica citiamo la vicenda di Fu Yuehua, una delle attiviste del Muro della Democrazia arrestata dopo le manifestazioni del gennaio 1979. Dopo un matrimonio fallito subì ripetuti tentativi di stupro da parte del suo capo, che alla fine la licenziò; tutte le sue richieste di indagini e di giustizia furono inascoltate e molto probabilmente la sua partecipazione alle proteste fu causata dalle sue personali sventure di donna succube di un potere brutalmente patriarcale (Spence 2013, p. 597). 46 Venivano piuttosto preferiti termini come “strato sociale” (jieceng 阶层) oppure “occupazione” (zhiye 职业) (Yang 2010, p. 552). 62 per sottolineare così la liberazione operata dal PCC, e diffondere la coscienza di classe (Anagnost 1997), nella nuova epoca il percorso cui vengono sottoposti i lavoratori licenziati dalle aziende privatizzate e ristrutturate fece leva su un comportamento “da uomo”, sulla capacità di sopportare le difficoltà, sociali e psicologiche, che derivavano dalla perdita del lavoro, e dal confronto con la donna, che spesso restava l’unica in famiglia ad avere uno stipendio. Fra i risultati inattesi, o forse davvero sperati, delle confessioni degli operai vi era anche un aumento dell’antagonismo di classe e della perdita della mascolinità. Dal concetto di status e del relativo prestigio associato all’appartenenza all’aristocrazia operaia, si giunge ora ad una reale divisione in classi che avrebbe contraddetto i valori socialisti e quindi minato la legittimità del potere comunista, senza contare la crescente importanza allegata al reddito, al benessere economico e alla capacità di approfittare delle nuove opportunità lavorative mettendo a frutto il proprio talento imprenditoriale. Gli intellettuali più liberali, vicini a Hu Yaobang erano invece convinti che le riforme politiche avrebbero potuto alleviare il risentimento provocato dalle disuguaglianze economiche e dai crescenti casi di corruzione. Superata la crisi dovuta alle prime aperture e ai cambiamenti economici negli anni Ottanta, comunque, si rafforzò nuovamente il ruolo maschile come breadwinner della famiglia e riprese forza così la versione confuciana della mascolinità, mettendo da parte “strategie di resistenza” e rappresentazioni alternative che avevano portato a privilegiare l’aspetto fisico e corporeo dell’identità maschile.47 Il ritorno al confucianesimo e al nazionalismo come strumenti di governo della leadership postmaoista e post-Tian’an men hanno permesso di ricomporre in maniera tradizionale la figura del maschio contemporaneo: se prima versioni muscolari della mascolinità potevano apparire come espressione di una contestazione del potere, ora la figura dell’intellettuale/impiegato depoliticizzato è molto più strumentale per il mantenimento della stabilità e di conseguenza anche la mascolinità può incarnarsi ed essere “attuata” dagli uomini senza l’ansia precedente, o almeno senza la preoccupazione culturale e politica precedente, ma al massimo provando la naturale e tradizionale “ansia da prestazione” sociale. Permangono quindi idee legate al modello confuciano, che prescrivono ad esempio che «l’uomo comanda all’esterno, la donna all’interno [della casa]» nan zhu wai, nü zhu nei 男主外女主内, e al ruolo obbligatorio del maschio come marito, padre e breadwinner (che deve guadagnare più della moglie), senza

47 In un Paese come Taiwan, che per molti aspetti rappresenta una visione del futuro della Cina continentale è stata verificata la persistenza del modello “confuciano” della mascolinità e una generale refrattarietà dei giovani all’imitazione del modello muscolare (e occidentale) di uomo (Yang, Gray, Harrison 2005). Inoltre, anche nella Cina contemporanea, è provata la resistenza del modello tradizionale di mascolinità, e non solo a causa del revival confuciano alla metà degli anni Novanta, che con la sua enfasi sul gruppo, l’autorità e l’educazione intendeva puntellare ideologicamente lo sviluppo economico cinese contro l’immmoralità e l’individualismo del capitalismo occcidentale, sostenendo al tempo stesso l’apparato politico (ottenendo anche per questo il sostegno di Jiang Zemin). 63 rinunciare alle ricompense per tali obblighi, come il concubinato come segno di distinzione sociale (bao er nai 包二奶) (Song, Hird 2014, pp. 245-249). Leggendo il film Ermo 二嫫 (1995) di Zhou Xiaowen 周晓文 (1954-), Judith Farquhar (1999) mette a confronto le due figure maschili del film: il marito della protagonista, Ermo, e il suo vicino di casa: se il marito è economicamente e sessualmente impotente, il vicino è invece molto potente in entrambi i campi. Il marito è l’ex capovillaggio, non è più in carica e con l’avvento delle privatizzazioni non ha più il compito di organizzare il lavoro collettivo degli abitanti; la sua frustrazione, aggravata dal fatto che dipende economicamente dalla moglie, che gestisce una bancarella di spaghetti, lo porta a soffrire di impotenza. Questo è solo un esempio della demolizione di una mascolinità costruita in un’epoca e in un ambiente culturale e sociale profondamente diverso da quello delle riforme. La stessa impotenza, simbolica o fisica, era l’origine di un diffuso senso di frustrazione e di ansia per molti uomini che non riuscivano ad adattarsi o a integrarsi perfettamente nel mondo delle Quattro Modernizzazioni. Nella lettratura un esempio perfetto del senso di emarginazione e di alienazione di uomini che faticavano a inserirsi in una nuova epoca è «Neve nera» Hei de xue 黑的雪 (1988) di Liu Heng. Il protagonista, Li Huiquan, soprannominato Quanzi, si sente un essere superfluo da tutta una vita e dopo essere stato in carcere per tre anni si ritrova solo al mondo perché i suoi genitori adottivi sono morti nel frattempo; diventa un getihu 个 体户, ossia il proprietario di una piccola attività individuale, ma si sente doppiamente frustato: non può espandere il suo business e quindi non può diventare un vero capitalista ed è anche disprezzato dagli intellettuali. Questo non fa che aumentare il suo senso di alienazione in una città come Pechino, che nei primi anni Ottanta forniva sempre più stimoli al desiderio e miraggi di benessere. Diventa un habitué dei karaoke, dove conosce una cantante-prostituta per la quale prova sentimenti contrastanti: da un lato la desidera, ma dall’altro non sa nemmeno come parlarle e cosa dirle. Di conseguenza finisce con l’odiare e temere le donne, e così detesta e odia anche sé stesso. Simile al protagonista di «Naufragio» Chenlun 沉沦 (1921) di Yu Dafu 郁达夫 (1896-1945), finisce per masturbarsi ripetutamente, mentre è sempre più spaventato non solo dalle donne reali, ma dalle sue stesse fantasie di dominazione e di violenza sulle donne (Moran 2013, p. 161).48

48 La storia divenne anche un film, diretto da Xie Fei 谢飞 (1942-) e interpretato da Jiang Wen 姜文 (1963-), lo stesso attore che interperò Yu Zhan’ao in Hong gaoliang di Zhang Yimou. Il film si intitola Benmingnian 本命年 (1989). 64

Con l’inizio delle riforme tramontarono le vecchie figure eroiche del passato socialista, gli uomini d’acciaio come Wang Jinxi 王进喜 (1923-1970)49 di Daqing 大庆, che ancora rappresentavano l’ideale di sottomissione e di obbedienza al potere – qualità tradizionalmente femminili – che ora vengono contrapposte all’intraprendenza e all’indipendenza del nuovo uomo di successo. Per quanto queste figure del passato comunista fossero servite a incarnare il progetto di rafforzamento comunista della nazione cinese, ritemprata nell’acciaio delle fonderie e dei pozzi petroliferi, lasciarono il posto agli eroi del lavoro dirigenziale come il manager Qiao, che riassume in sé caratteristiche ancora piuttosto eterogenee e contraddittorie. Infatti il personaggio di Jiang Zilong è un integerrimo funzionario (qingguan 清官), un cavaliere errante (xia 侠), un burocrate comunista vecchio stampo, un capitalista della Cina precomunista (come poteva immaginarlo uno scrittore della fine degli anni Settanta) ma è anche un letterato confuciano frustrato per le condizioni della propria patria appena uscita dal maoismo: egli desidera che i migliori vengano promossi e che i pigri siano puniti, ammira i risultati degli stranieri ma al tempo stesso li disprezza, vuole apprendere da loro senza essere servile e senza perdere l’essenza della propria cultura (Louie 1984). Il manager Qiao, del resto, è il rappresentante di un potere che interviene proprio a emendare e ad aggiornare la mascolinità del lavoratore: punisce gli oziosi, si mostra inflessibile nel pretendere la maggiore efficienza dalla sua fabbrica e non esita a licenziare chi non è all’altezza del compito.50 Contro la «ciotola di riso di ferro» tiefan wan 铁饭碗, ossia il lavoro garantito per tutti, indipendentemente dai risultati concreti, tipico del periodo maoista, ora il prestigio del lavoro manuale deve essere ricostruito o difeso rendendo la sua un’occupazione davvero produttiva e non una rendita di posizione. Quello che emerge nel racconto di Jiang Zilong è anche un confronto con la serietà, la laboriosità, la precisione e l’ambizione degli stranieri (in particolare di tedeschi e giapponesi, rappresentanti non a caso di due potenze industriali sconfitte nella Seconda Guerra Mondiale), tutte qualità che aumentano la frustrazione del protagonista, che non vede la stessa dedizione al lavoro nei propri compatrioti. È in piccolo una raffigurazione di quello che è stato definito dal sociologo

49 Per una raccolta di immagini iconiche del periodo della Rivoluzione Culturale, si veda il sito internet curato dal prof. Stefan R. Landsberger . Ricordiamo inoltre che per festeggiare il sessantesimo anniversario della fondazione della Repubblica Popolare Cinese nel 2009, venne realizzato un film per cui Liu Heng scrisse la sceneggiatura, «L’uomo di ferro» Tie ren 铁人, diretto da Li Yin 力尹 (1957-), sulla vita di Wang Jinxi e degli altri lavoratori che trovarono il petrolio a Daqing nel 1959. Un museo dedicato a Wang Jinxi venne aperto a Daqing nel 2006 (Moran 2013, p. 170). 50 In questo Jiang Zilong ben interpretava le direttive della politica in questo momento: nel 1979 l’enfasi del Partito era posta sulla modernizzazione socialista e ciò significava anche un distacco fra Partito e governo, e una minor interferenza da parte del governo nell’attività di impresa. Veniva anzi affermato esplicitamente che il personale dirigente avrebbe avuto maggiori responsabilità nel raggiungimento dell’efficienza, premiando il lavoro ben fatto e punendo i lavoratori anche con il licenziamento (Spence 2013, pp. 590-591). 65

Aleksandr Zinov’ev (1922-2006) l’homo sovieticus, indifferente ai risultati del proprio lavoro, privo di iniziativa e di ambizione, succube delle autorità e sempre pronto ad approfittare dei beni comuni (1983). In questo caso, quindi, il confronto fra diverse figure maschili ideali non è soltanto rivolto verso l’esterno della contemporaneità, ma è anche interno e diacronico. Non riuscendo a costituire discorsivamente un soggetto «borghese», quella che venne creata dopo la fine del maoismo fu piuttosto una «personalità postcomunista» (Wang Xiaoying 2002), frutto dell’indebolimento ideologico comunista ma al tempo stesso erede del regime maoista. Questa personalità era essenzialmente nichilista e scettica, esausta per gli anni di forzato entusiasmo politico, di altruismo obbligatorio e di ascetismo comunista. Per questo, anziché vedere emergere in Cina un frugale e austero borghese weberiano, si ebbe piuttosto la nascita di un consumatore edonista ed egoista, privo di riferimenti etici di fronte alle tentazioni dell’economia di mercato. Tuttavia, egli è edonista senza essere individualista, poiché è incapace di «organizzare i suoi desideri e i suoi impulsi in una nuova costellazione di valori dopo il collasso del vecchio ordine» (Wang Xiaoying 2002, p. 8). Il ricordo del passato maoista, poi, crea in lui un rifiuto di ogni idealismo e un pensiero estremamente cinico, è un coacervo di desideri sfrenati tenuti a bada solo dal timore della forza. Questo tipo di personalità, tipico del periodo delle riforme, è inoltre intriso di risentimento contro le ingiustizie, al quale non riesce però a dare espressione politica, poiché al cambiamento economico non era corrisposta una parallela evoluzione politica. Il risultato fu l’ulteriore indebolimento dei valori morali che prese la forma della corruzione e della corsa all’arricchimento con ogni mezzo, lasciando che la retorica comunista sulla moralità collettiva circolasse inascoltata. Il partito infatti non fu in grado di trovare un sostegno ideologico alla nuova situazione delle riforme, divenuto un deserto morale, privo di una società civile che potesse dare una direzione al progresso materiale.51 La ricchezza divenne l’unica definizione dell’identità e dello status, rivelati dal consumo e dal piacere: l’arricchimento, «entrare nel mare» xiahai 下海, ossia dedicarsi agli affari, e anche la corruzione divennero mezzi per emergere e lo sforzo propagandistico delle autorità si rivolse allora alla creazione di eroi della nuova produzione, gli imprenditori, per ridefinire i valori sociali e dirigere lo sforzo collettivo verso la creazione di un’economia di mercato, cercando il più possibile di sminuire l’individualismo. Il risultato, come descritto da Wang, è un

51 Il partito cercherà ancora di promuovere una «civiltà spirituale» per dare sostanza morale alle modernizzazioni ma i suoi contenuti sono ancora in gran parte eredità del maoismo. Una forma negativa di promozione di nuovi valori saranno anche le campagne contro l’inquinamento spirituale o la liberalizzazione borghese. 66 traboccante edonismo economico, utile a sostenere i consumi, contro l’individualismo condannato per motivi politici. La crisi ideologica prodottasi dopo la fine del maoismo riportò alla luce visioni dell’identità che sembravano oramai superate in un Paese socialista: non solo il genere per l’identità individuale ma anche il nazionalismo come sorgente dell’identità collettiva. Il confronto con l’Occidente ripropose la difficile definizione di identità cinese in rapporto a tutto ciò che è straniero, mentre la “scoperta” delle minoranze – effetto secondario della rieducazione sulle montagne e nelle campagne dell’interno – portò alla necessità di rielaborare il concetto di “cinesità” anche all’interno di quella che non era più possibile pensare come un’appartenenza unitaria e compatta. Da un lato gli intellettuali cercarono di recuperare e di definire i valori e le caratteristiche associati alla nazione cinese o alle minoranze etniche, linguistiche e religiose, (anche per resistere alla retorica monologica dell’ideologia comunista, che imponeva un discorso unico di solidarietà e identificazione nel messaggio del partito e nel culto dei suoi leader); dall’altro lato e sempre più intellettuali e scrittori troveranno nell’individualismo occidentale la risposta ad una crisi di identità che era in effetti una crisi di appartenenza e della stessa possibilità di definire l’identità in termini abbastanza ampi da comprendere un’idea di collettività ormai in declino. Come parte di questo progetto negli anni Ottanta verrà compiuto un grande sforzo per fondare una nuova identità maschile cosmopolita e internazionale costruendo l’individuo anche nella sua componente di genere e rovesciando l’ideologia comunista, liberandosi discorsivamente dal dominio patriarcale del partito e del defunto padre Mao (Lu 1993a, p. 11). Alcuni strumenti utilizzati per recuperare l’identità del soggetto senza perdere di vista quella collettiva furono il nazionalismo e altri elementi identitari precomunisti e perfino preconfuciani. 52 Il nazionalismo, riesumato nell’epoca delle riforme, contribuì alla definizione della mascolinità, soprattutto nei suoi aspetti più aggressivi e revanscisti, alimentati dal clima di scontento per l’incertezza sociale e dal crescente ruolo della Cina nella politica mondiale. Internet poi fornirà un’arena nella quale sfogare le animosità e dare vita a vere comunità di angry young men mossi apparentemente solo dal patriottismo, ma che in realtà contribuiscono anche a formare nuove declinazioni della mascolinità.53

52 Secondo Sun Longji 孫隆基 (1945-), nella mentalità cinese non è molto sviluppato il concetto di individuazione (e di conseguenza nemmeno quello di individuo) e ognuno deve «uccidere sé stesso per diventare una persona» shashen chengren 杀身成仁; la prima preoccupazione dei cinesi è la sopravvivenza e per questo dipendono troppo dal gruppo per sviluppare l’individualità (citato in Huot 1993, p. 96 e 103). 53 I cosiddetti «giovani arrabbiati» fenqing 愤青, diventati particolarmente attivi e visibili sul web dopo il bombardamento dell’ambasciata cinese a Belgrado nel 1999 (Song, Hird 2014). Essi sono ultranazionalisti e spesso xenofobi e poiché sono prevalentemente maschi e «mettono in scena la passione, la violenza e il senso del sublime associati discorsivamente con 67

Il confronto e il contrasto con le minoranze poteva aiutare a riempire di senso la nuova definizione della mascolinità della maggioranza etnica Han. Se da un lato nella rappresentazione, non solo letteraria ma anche pubblicitaria, televisiva, commerciale, le minoranze interne, soprattutto quelle del sud, vengono spesso femminilizzate, creando quello che è stato definito un «orientalismo interno» (Schein 1997), in molti altri casi le minoranze del nordovest vengono addirittura ipermascolinizzate e gli stessi tibetani e mongoli si considerano spesso più autenticamente mascolini degli Han (Hillman, Henfry 2006). Tuttavia, è interessante notare che nella «Letteratura della ricerca delle radici» le figure eroiche e quelle più ammirate sono spesso rappresentate da uomini appartenenti alle minoranze etniche, che incarnano la quintessenza della mascolinità archetipica: se gli intellettuali maschi Han erano stati evirati e resi impotenti dal potere politico, il desiderio di una mascolinità esagerata può certamente essere letto anche come una forma di opposizione, di riscatto e di rivalsa – almeno a livello psicologico – contro il potere che li aveva sottomessi e umiliati. Questa mascolinità poteva essere ritrovata intatta solo fra le minoranze. Se la mascolinità marginale, sia geograficamente che discorsivamente, delle minoranze era essenzialmente la vecchia mascolinità degli haohan, quindi non certo quella egemonica, quest’ultima era ancora un’articolazione di elementi tradizionali e confuciani, fra cui la centralità della famiglia e la capacità di inserirsi con successo nella comunità. Tutti questi elementi erano tratti ancora dal passato maoista: fra questi l’obbedienza all’ideologia ufficiale dello Stato, il rispetto dell’autorità e l’orgoglio nazionalistico; infine, vennero aggiunte alcune componenti più visibili di una mascolinità transnazionale, soprattutto nelle città più sviluppate economicamente in cui i modelli diffusi a livello mondiale iniziavano ad essere recepiti e tradotti nella cultura cinese.54 Negli anni Novanta quello che prevarrà su tutti sarà però il modello maschile del breadwinner, capace di guadagnare e spendere soldi, che diverranno la misura del successo di un uomo e della sua mascolinità. L’edonismo, prima condannato attraverso versioni alternative e antiegemoniche della mascolinità, quale quella dello haohan fuorilegge o dell’eroe del lavoro, in questa fase divenne per analogia un ritorno alla preminenza della coltivazione morale e intellettuale del letterato confuciano e alla sua conseguente primazia sociale. La distinzione sociale, poi, in un momento in cui anche rozzi parvenu ottengono

la mascolinità», rappresentano una delle categorie della mascolinità contemporanea cinese (Song, Hird 2014, pp.115-118). In particolare, la loro qualità più mascolina è la rabbia.

54 Dal punto di vista della rappresentazione, poi, alcuni modelli transnazionali si sono inseriti nel repertorio della mascolinità cinese modificando in parte alcuni tipi maschili già presenti: il breadwinner, l’uomo d’azione e il ribelle (Hinsch 2013, p. 157). 68 potere e prestigio, avviene anche attraverso l’affermazione del concetto di pinwei 品位 (o gediao 格调), ossia il «buon gusto», che incorpora il capitale culturale della modernità e rappresenta l’espressione più visibile della suzhi 素质 (Song, Hird 2014), la qualità interiore che distingue l’élite appartenente alla «transnational business masculinity» (Connell 1998; Connell, Wood 2005), inserendosi nell’ideologia globale del consumismo. Da una mascolinità definita in termini statici e immutabili secondo le categorie della tradizione si passa ad una versione dell’identità maschile definita piuttosto dalla capacità di controllare, gestire e causare il cambiamento. Il mondo del consumo e del piacere associato alle esperienze ludiche e alla socializzazione sono indispensabili per una costruzione omosociale della mascolinità. Anche in questo caso, ovviamente, la realtà è ben più sfumata e alcune pratiche da haohan si conservano anche nella nuova mascolinità più abbiente e cosmopolita: sono infatti presenti versioni locali del new man, maturo, sensibile e premuroso, e del new lad, giovane molto più goliardico e maschilista. Il consumo, più che il semplice guadagno, li differenzia: se il primo spende per la famiglia o per la coppia, il secondo spende soprattutto per il proprio godimento e per la propria soddisfazione e considera le donne come una preda e un oggetto di piacere.55 Inoltre, anche in conseguenza del revival tradizionalista iniziato alla metà degli anni Novanta, ritorna ora, soprattutto fra le generazioni più giovani, il modello di un maschio molto più tenero (wenrou 温柔), gentile ed emotivo ma anche più libero politicamente: la parabola della mascolinità nel periodo postmaoista porta alla definizione di una mascolinità delicata e raffinata, cosmopolita e non più nazionalista e nativista, rimodellata in termini individualistici e non più collettivistici. «[…] l’uomo gentile si distanzia dalla politica autoritaria, incremendando così la sua autonomia» (Hinsch 2013, p. 167). Insomma, anche il contesto nel quale la mascolinità doveva essere ricostruita stava cambiando profondamente, ancor più con l’ingresso della Cina nella cultura e nella società consumistica degli anni Novanta. Tuttavia, l’epoca d’oro del dibattito sulla mascolinità sono sicuramente gli anni Ottanta: la letteratura dell’epoca, soprattutto quella femminile, e altre rappresentazioni popolari descrivevano spesso figure maschili effeminate o irresolute (Louie 1991), dando corpo a quella che venne definita la «ricerca di veri uomini», riprendendo il

55 Entrambi riproducono la mascolinità egemonica postfemminista. Il new man è anzi influenzato dal femminismo: è narcisista e ambivalente nella sua sessualità ed è definito più da ciò che consuma che da ciò che produce attraverso il lavoro. Ha assorbito il messaggio femminista sulla divisione del lavoro familiare ed è disposto a mostrare il proprio lato emotivo. Il new lad è un’immagine maschile nata negli anni Novanta, descritto come abituato a bere con gli amici, correre rischi, raccontare barzellette sconce, e soprattutto guardare le donne vestite in modo succinto. Rappresenta la reazione al femminismo, che ha creato il new man (Song, Hird 2014). Inoltre, fra loro vi è anche una discriminante generazionale: il new man solitamente è un uomo maturo, mentre il new lad è più giovane. 69 titolo del dramma di Sha Yexin Xunzhao nanzihan. Formule simili per indicare la mancanza di veri uomini56 in realtà precedettero la pubblicazione del dramma di Sha Yexin, che a sua volta era l’effetto di una preoccupazione che circolava da alcuni anni nella pubblicistica e che si farà sentire anche nella letteratura, che ora tenta di recuperare quelle qualità individuali prima negate nella rappresentazione agli eroi del realismo socialista. Sono molte le ragioni per cui la posizione sociale degli uomini si era indebolita notevolemente nel periodo delle riforme, soprattutto nel discorso intellettuale. Se durante il periodo maoista e soprattutto il suo apogeo, la Rivoluzione Culturale, le donne acquisirono ruoli, compiti e caratteristiche maschili57 era anche perché era considerato molto borghese, decadente e parassitario essere soltanto una casalinga, come anche preoccuparsi eccessivamente per il proprio aspetto e la propria bellezza. Al di fuori della rappresentazione, tuttavia, le donne restavano sottomesse agli uomini nella sfera sociale e familiare. L’emancipazione femminile era un argomento propagandistico che perpetuava la retorica della liberazione e della salvezza su cui si fondava gran parte del discorso sulla modernità in Cina fin dal Quattro Maggio,58 e come il progetto di modernizzazione era monopolio di intellettuali maschi, anche la liberazione che la donna attendeva dall’uomo riproponeva una precisa gerarchia fra salvatore e salvata e rafforzava la soggettività e l’individualità dell’intellettuale (Lu 1993a, p. 3).59 Questo discorso della liberazione e della salvezza venne replicato anche dal comunismo, che però – quanto meno nella rappresentazione – dichiarò le donne ormai emancipate ed equiparate agli uomini.60 Come abbiamo visto anche per la

56 Altre formule ricorrenti che riassumevano l’ansia di ricostruire la mascolinità perduta degli uomini cinesi erano «Assenza di veri uomini» Nanzihan queshi 男子汉缺失 e «I veri uomini sono scomparsi» Nanzihan juejile 男子汉绝迹了 (Wang Yu 2006). 57 Gli uomini, dal canto loro non acquisirono alcuna caratteristica femminile e non si fecero carico di alcun compito tradizionalmente femminile, il che può far dubitare della reale “neutralizzazione” del genere. Sicuramente questo discorso politico sull’uguaglianza di genere non fece altro che appesantire gli oneri delle donne, che saranno gli stessi anche nel periodo delle riforme, ma ai quali si aggiungerà il compito di sostentare la famiglia, poiché i mariti restavano spesso senza lavoro. 58 Basti ricordare quante volte la donna venne utilizzata come significante per la Cina e quanto il suo riscatto dal dominio patriarcale della tradizione venisse quasi immancabilmente descritto come metafora della salvezza nazionale, come accadeva spesso con i personaggi del teatro di epoca repubblicana, spesso calcati sulla Nora di Henrik Ibsen (1828-1906). 59 In alcuni casi questo progetto di liberazione o di creazione della donna moderna, corrispettivo della nuova identità pubblica dell’intellettuale non riesce: ne siano due esempi «Rimpianto del passato» Shangshi 伤逝 (1925) di Lu Xun 鲁迅 (1881-1936), in cui un giovane intellettuale cerca di salvare la donna con cui vive more uxorio ma che, non riuscendo a trovare alcun lavoro, decide vigliaccamente di abbandonare; l’altro caso è il racconto «Creazione» Chuangzao 创造 (1928) di Mao Dun 茅盾 (1896-1981), in cui un novello Pigmalione cerca di fare della moglie una donna nuova e moderna, solo per poi essere lasciato. Jing Tsu (2005) suggerisce che l’intento creatore del protagonista rivela inconsciamente il tentativo frustrato da parte di suo padre di formarlo adeguatamente perche potesse garantire la sopravvivenza della nazione e il rafforzamento della razza. 60 Il racconto «Orchidea lunare» Yuelan 月兰 (1979) di Han Shaogong sembra riecheggiare il racconto di Lu Xun citato nella nota precedente: è il racconto in prima persona di un membro di un gruppo di lavoro inviato in campagna per proteggere i raccolti e che per inesperienza avvelena tutti i polli di una donna, per la quale i volatili erano l’unica fonte di guadagno. Dopo aver visto svanire le speranze di poter pagare gli studi e la sanità per i propri figli ed essere stata picchiata dal marito, la donna si suicida (Zhang 2013, p. 91). Diversamente da molte altre storie del periodo, questo racconto, mantenendo criticamente la retorica della salvezza attraverso la metafora femminile, denuncia i disastri compiuti dalla politica sulla pelle delle persone umili e in particolare dei contadini. 70 mascolinità ferita degli operai smobilitati dalle fabbriche di Stato, a cui le autorità permettevano, anzi suggerivano di rielaborare il proprio risentimento sociale in termini di genere, anche nell’ambito più vasto del dibattito pubblico e del discorso intellettuale il rancore contro il potere castrante e iperpatriarcale del partito poteva essere espresso solo indirettamente. I Partito e i suoi capi avevano sì permesso agli uomini di conservare la propria autorità a livello familiare ma li avevano al tempo stesso privati di un’arena in cui dimostrare il loro valore, oltre ad averli in seguito spogliati anche del prestigio del lavoratore che era tutto ciò che restava del loro potere simbolico; in particolare, gli intellettuali, duramente criticati e perseguitati, si erano visti togliere gran parte del prestigio su cui si fondava anche la loro identità maschile. Se la creazione discorsiva della liberazione femminile fin dal 1949 aveva in qualche misura indebolito l’identità maschile, la neutralizzazione dell’identità di genere nella rappresentazione fra gli anni Cinquanta e Settanta acuì ancor più l’ansia di marginalizzazione maschile e portò durante la Nuova epoca ad una nuova essenzializzazione (benzhihua 本质化) delle differenze di genere. Il rinnovamento del discorso sulla mascolinità negli anni Ottanta sarà principalmente un tentativo da parte degli intellettuali di recuperare tutta la potenza (in senso lato), l’agency e la reputazione perdute con le umiliazioni e la castrazione simbolica subita dalla politica, con la quale essi avrebbero voluto collaborare e dalla quale avrebbero voluto ottenere onori e rispetto come i letterati del passato, ma dalla quale erano stati traditi, maltrattati e repressi. In particolare, i temi della castrazione e dell’impotenza, che hanno una valenza simbolica molto pregnante, vennero spesso trattati nelle opere di autori come Zhang Xianliang e Wang Xiaobo 王小波 (1952-1997). Per quanto le cose fossero cambiate dal 1976 in poi, la rabbia di questi uomini non poteva comunque essere rivolta contro le autorità politiche: coloro che ancora potevano sperare di esprimere liberamente le proprie opinioni furono presto disillusi dalle nuove campagne contro gli intellettuali negli anni Ottanta. Per questo motivo il risentimento degli uomini e in particolare degli intellettuali contro il partito venne riarticolato nei termini di una critica all’emancipazione della donna, che aveva indirettamente fatto vacillare la centralità dell’uomo nella società e quindi alla liberazione della donna era corrisposta una sensibile perdita di potere da parte degli uomini. In realtà la centralità dell’intellettuale si era perduta già da molto tempo, ma solo dopo la fine del maoismo si poté riflettere pubblicamente su questa perdita di potere sociale e quindi della definizione stessa della mascolinità. Nel periodo della Rivoluzione culturale gli intellettuali avevano visto il loro prestigio ridursi drasticamente, finendo per essere catalogati come la «nona categoria puzzolente» choulaojiu 71

臭老九 (Zhang 2008, p. 14)61 e quindi non erano nemmeno desiderabili come mariti o fidanzati, soprattutto nel caso in cui fossero stati condannati come elementi di destra o controrivoluzionari. Nel tentativo di riaffermare la propria autorità e autorevolezza, la questione del genere e della ricostruzione della mascolinità divenne una preoccupazione ricorrente nella letteratura degli anni Ottanta prodotta da scrittori (maschi), in un momento in cui, come se non bastasse, si stavano intromettendo nel discorso anche modelli maschili concorrenti provenienti dall’estero. In questo contesto, la mascolinità assunse valori diversi: poteva essere «l’affermazione dell’individualità dello scrittore maschio, la nostalgia per l’autorità culturale e una protesta contro l’ideologia comunista» (Lu 1993a, p. 8). L’interpretazione femminista mostra come anche questa preoccupazione dovesse tener conto di una definizione molto spesso negativa della mascolinità, come se, in quanto «genere invisibile» (Bellassai 2004), ossia un genere che non aveva normalmente bisogno di essere definito perché coincidente con l’universale e quindi sovraordinato al femminile in una gerarchia di potere pensata come “naturale”, non fosse possibile definirlo se non ricorrendo ad una distinzione contrastiva dal suo contrario, ossia dal femminile, e dalle versioni non egemoniche e non normative della mascolinità e della sessualità normativa. La stessa egemonia – in senso gramsciano – della mascolinità può però essere sfidata e destrutturata dai dominati che, attraverso una «lotta cognitiva», possono attuare delle strategie di resistenza e disconoscere le strutture stesse del rapporto di dominio. Lo stesso rapporto sessuale inteso in termini egemonici sancisce e determina il dominio del maschile per mezzo della sua scomposizione in una componente attiva e maschile e una femminile e passiva e «questo principio, crea, organizza, esprime e dirige il desiderio: quello maschile come desiderio di possesso, come dominazione erotizzata, quello femminile come desiderio della dominazione maschile» (Bourdieu 2009). Per questo motivo la sottomissione o l’impotenza, sessuale o sociale, è la peggiore umiliazione per un uomo, che si vede trasformato in donna. Come afferma Lacan (1974) il fallo come significante «[…] può esercitare il suo ruolo soltanto velato, cioè come segno della latenza da cui è colpito ogni significabile una volta elevato (aufgehoben) alla funzione significante» (p. 689) e quindi ogni esibizione del corpo maschile, soprattutto se carica di significati erotici, lo espone ad uno sguardo al quale tradizionalmente e “naturalmente” è sottoposto piuttosto il corpo femminile. Mostrare il corpo maschile o mettere in discussione la mascolinità – soprattutto se a farlo sono le donne

61 Si tratta dell’ultima categoria dopo i proprietari terrieri, i contadini ricchi, i controrivoluzionari, i degenerati morali, gli elementi di destra, i rinnegati, gli agenti del nemico, i capitalisti (Li 1995, pp. 27-28). Del resto, durante tutto il periodo maoista lo Stato-partito instaurò un sistema che esercitò un controllo sugli intellettuali più stretto di qualunque altro governante della Cina, compreso il primo imperatore Qin Shi Huangdi 秦始皇帝 (Goldman 2002, p. 500). 72

– femminilizza gli uomini e sminuisce enormemente l’identità e l’orgoglio maschile. Se tradizionalmente il corpo, il sesso e la riproduzione erano tutti ambiti legati soprattutto alla donna, sottoposta al potere simbolico dello sguardo maschile, che ne determinava autoritariamente anche la normatività corporea, ora che il dibattito sul genere si apre anche in Cina il corpo degli uomini viene traumaticamente sottoposto allo stesso scrutinio discorsivo e ne subisce gli effetti di potere. Da qui il senso di disagio degli uomini allorché la percezione del proprio corpo o del proprio ruolo sociale non si accorda all’immagine ideale stabilita dalle rappresentazioni, ora prodotte anche dalle donne, oppure alle esigenze di una società in evoluzione. La definizione della mascolinità e del genere avviene anche nella tradizione confuciana per contrasto,62 in particolare in confronto agli uomini che non si adeguano alla mascolinità normativa ed egemonica (ammettendo con questo forme non egemoniche di mascolinità) e soprattutto rispetto alla femminilità delle donne, che nel continuum della definizione di genere rappresenta il polo opposto dell’identità. Di fronte alle sfide della modernità, alle sue crisi e alle difficoltà psicologiche che essa provoca diventa spesso fondamentale ricostruire l’identità maschile attorno ad uno stereotipo normativo, corporeo non meno che simbolico, come fondamento dell’identità nazionale in pericolo (Mosse 1996). Al modello normativo si contrapponevano le figure dell’uomo poco mascolino, femmineo e scarsamente virile, su cui si innestavano gli stereotipi negativi della minaccia razziale e della degenerazione nazionale. Un altro pericolo per la mascolinità proveniva dalla minaccia della donna moderna e fatale, incarnazione della lussuria e del desiderio distruttivo, già presente anche nella tradizione letteraria cinese e ripresa anche nella letteratura del periodo repubblicano – basti pensare alle narrative moderniste di autori della Xin ganjue pai 新感觉派 come Mu Shiying 穆时英 (1912-1940).63 Forme non egemoniche della mascolinità in ambito cinese possono far pensare alla somiglianza posta da Confucio fra le donne e gli «uomini da poco» xiaoren 小人, affermando in questo modo in maniera autorevole e autoritaria l’esistenza di una versione normativa e ideale di mascolinità, quella wen fondata sul successo intellettuale e la conseguente ascesa sociale. Se anche fra uomini di lettere, identificati da una mascolinità wen, la competizione con altri letterati e il maschilismo nei confronti delle donne sono

62 La «valenza differenziale dei sessi» di cui parla, dal punto di vista dell’antropologia strutturale, Françoise Héritier (1996). 63 La misoginia dell’epoca contemporanea proveniva in particolare dal timore dell’ingresso della donna in ambiti che tradizionalmente appartenenvano agli uomini e che giustificavano il loro potere sociale. La femme fatale in Mu Shiying assume le sembianze della figlia priva di pietà filiale e corrotta dal consumismo o della sensuale seduttrice (Zhang Yingjin 2007). La ricostruzione della donna ideale nel periodo postmaoista (ad esempio in Zhang Xianliang) secondo coordinate tradizionali e confuciane sembra un modo per ridefinire anche la mascolinitù in base a schemi più consueti e rassicuranti in un momento in cui mancavano solidi riferimenti simbolici e culturali. 73 qualità ricorrenti, è soprattutto la mascolinità wu, tipica dello haohan, socialmente subordinato, che resiste al fascino femminile e predilige la solidarietà e la fratellanza fra maschi suoi simili (Louie 2002, p. 77). Lo caizi 才子, il giovane che desidera diventare un perfetto wenren, nel suo apprendistato (almeno nelle rappresentazioni che di lui vengono date da coloro che hanno superato le stesse prove, divenendo poi letterati) alla fine ottiene la carica burocratica, che lo avvicina all’imperatore – figura supremamente possente, paterna e yang – e conquista la donna grazie alla sua intelligenza e la sua raffinatezza. Nel caso i due obiettivi fossero stati in contrasto, però, il giovane avrebbe dovuto rinunciare alla donna per essere piuttosto ammesso al mondo massimamente yang degli affari pubblici, quello della politica, dell’inter homines esse, dal quale le donne sono escluse perché relegate principalmente nel mondo chiuso e yin della casa.64 Per questo l’autocontrollo e soprattutto il controllo sulle passioni e in particolare sul desiderio sessuale è una delle caratteristiche principali del wenren, colui che poi sarà chiamato a governare gli altri. Sebbene per gran parte della rappresentazione della mascolinità nei secoli passati ci si debba basare e fidare della testimonianza di uomini di lettere e di burocrati educati sui testi confuciani e nei valori da essi trasmessi, è verosimile che una tale versione della mascolinità ideale si sia radicata nella mentalità cinese anche perché il successo sociale era un prerequisito posto anche dalle donne per la scelta del partito migliore. Sicuramente la versione intellettuale della mascolinità, nelle sue declinazioni contemporanee, è ancora quella preferita in Cina; ovviamente, l’epoca maoista, con la sua esaltazione della mascolinità wu ha lasciato delle tracce, come anche il cinema e altre rappresentazioni provenienti dall’estero e l’adesione ai modelli transnazionali del new man e del new lad: tutte queste influenze condizionano le nuove versioni della mascolinità, come anche le preferenze femminili.65 Pertanto, un certo grado di coltivazione fisica (wu) è divenuta parte della fitness maschile moderna anche in Cina e del resto la mascolinità ideale e perfetta, anche in epoca classica, consiste nella compresenza di qualità wen e wu (Louie 2002, p. 16). L’importanza del lavoro come garanzia di solidità (wenzhong 稳重) del maschio si era conservata anche nel periodo maoista, e a questa si aggiungeva come qualità wen la consapevolezza ideologica comunista. Nella mescolanza dei due attributi la bilancia sicuramente pendeva dal lato ideologico se la predilezione delle donne, almeno nella rappresentazione, andava preferibilmente all’uomo

64 Anche in questo modo si può apprezzare la natura sovversiva di un romanzo come «Il sogno della camera rossa» Honglou meng 红楼梦, il cui protagonista Jia Baoyu 贾宝玉 preferisce vivere nella tranquillità domestica e sentirsi pulito come nell’acqua vicino alle donne piuttosto che sentirsi sporco di fango nella frequentazione degli uomini. 65 Si tenga presente che, se le norme sociali e familiari impongono agli uomini di sposarsi e fare figli, questa prescrizione è ancor più cogente per le donne, alle quali è richiesto di sposarsi presto per non rischiare di restare senza marito ed essere considerate shengnü 剩女 «ragazze rimasuglio». 74 dedito alla costruzione del socialismo, dotato di tutte le qualità migliori. L’emancipazione da questa concezione dell’amore come solidarietà e comunanza ideologica che porta un uomo e una donna a vivere insieme sarà anzi uno dei movimenti di liberazione della letteratura nel periodo postmaoista: le storie d’amore infatti evolveranno sempre più verso una definizione del sentimento amoroso come indipendente dalle variabili politiche. Nelle prime storie d’amore della Nuova epoca il compagno ideale non solo è ancora una persona totalmente dedita al lavoro ma è quasi sempre un uomo, mentre la donna, forse abbagliata dalle nuove possibilità economiche, è spesso descritta come pigra, egoista e venale. Ovviamente questo era un modo per intellettuali maschi di restaurare il proprio prestigio dopo la Rivoluzione Culturale (Louie 1989). A mano a mano che la società e il mondo della cultura si liberava dalla tutela politica e riusciva a criticare gli errori del partito nel recente passato anche la rappresentazione dell’amore si svincolò da questi cliché ormai datati facendo emergere l’aspetto puramente umano del sentimento. In particolare, alla metà degli anni Ottanta, fra il 1985 e il 1986, subito dopo la fine della campagna contro l’«inquinamento spirituale», si ebbe una stagione di particolare libertà di espressione in cui il temi sessuale trovò speciale attenzione da parte degli autori. L’amore, già nuovamente esplorato dal 1979, non era più solo un sentimento, ma un desiderio fisico.66 Staccare politica e sentimenti sarà una vera rivoluzione simbolica, come anche mettere in relazione i due elementi: se molti avevano perduto la capacità di amare o si erano lasciati condizionare dalla politica al punto di sacrificare i propri affetti, era anche questo da imputare ad un’autorità disumana. Inoltre, queste narrative erano meno compiacenti verso il potere, che preferiva proseguire il discorso del sacrificio di sé e della propria felicità in nome del bene collettivo. La cosiddetta «scrittura femminile» nüxing xiezuo 女性写作 era mossa dal desiderio delle autrici di questo periodo di fondare un nuovo paradigma per la scrittura e il consumo della letteratura da una prospettiva femminile, rivelando come tradizionalmente il discorso letterario fosse stato predominio di un’ideologia patriarcale monologica: introducendo nel discorso la voce femminile intendevano stabilire piuttosto un dialogo fra i due sessi (Wang Der-wei 1989, p. 237). Un altro elemento interessante da notare è che spesso la questione dell’identità femminile era trattata attraverso la tematica del matrimonio, come nelle storie di Zhang Jie, mentre ciò che significa essere un uomo passa invece per la sessualità, come nei romanzi di Zhang Xianliang (Zhong 2000, pp. 52-53).

66 In molti casi questo sentimento, ora fatto di carne e sangue, prendeva la forma di storie scritte da uomini sulle donne, che «rivelano di più sugli autori che sulle donne» (Chan 1988, p. 106). Queste storie, secondo Chan, dimostrano in questa fase un certo maschilismo e rivelano la persistenza di un’immagine della donna come oggetto sessuale. 75

Un ruolo fondamentale giocarono le scrittrici, e non solo Shen Rong 谌容 (1936-), che con «La mezza età» Ren dao zhongnian 人到中年 (1980) aveva descritto la pressione del lavoro fuori casa e dentro la casa cui erano sottoposte le donne nonostante la «liberazione del pensiero», ma anche Zhang Jie con «L’amore non va dimenticato» Aiqing, shi bu neng wangji de 爱情,是不能忘记的 (1979) e Zhang Kangkang 张抗抗 (1950-) con «Luci del polo nord» Beiji guang 北极光 (1980), iniziarono a distinguere il matrimonio dall’amore dando una voce autonoma anche alle donne.67 Zhang Jie e Zhang Xinxin nelle loro opere mostrano inoltre i limiti di una società in cui i ruoi di potere e di autorità sono ancora largamente occupati da uomini: le loro eroine, che spesso cercano la propria realizzazione nella carriera, sono costrette a mettere da parte il proprio amore e il desiderio di avere una famiglia (Roberts 1989). Il contrasto, spesso molto violento ed evidentemente misogino, con la donna è presente in molte narrative sull’individuazione del maschile degli anni Ottanta: la donna è variamente intesa come oggetto su cui l’uomo costruisce la sua soggettività oppure come variabile nascosta o trascurabile il cui unico scopo è mettere in comunicazione diversi uomini e stabilire la supremazia di uno di essi. La “scomparsa” della donna perfino dal titolo del racconto Fuxi Fuxi di Liu Heng, ad esempio – come anche dalla sua riduzione cinematografica (Cui 2003) – non fa altro che esaltare la soggettività e la sessualità maschile, riproponendo col suo ricorso al mito, per quanto ironico e “antistoriografico”, l’essenzializzazione dei ruoli sessuali e di genere del maschile e del femminile. Abolendo perfino il divieto dell’“incesto” come confine culturale distintivo,68 il racconto e il film fanno della donna la molla del desiderio maschile: questo si fa talmente pervasivo che, insieme alla ricorrente celebrazione dell’organo sessuale maschile, riconduce perfino al mito dell’autoriproduzione maschile (Huot 1993). La stessa sottomissione al desiderio maschile è all’opera in Hong gaoliang jiazu di Mo Yan, in cui l’eroismo androcentrico e la glorificazione della forza fisica sono usati per affermare la superiorità di un modello maschile muscolare sulle donne e sulle altre figure maschili, stabilendo così un soggetto

67 Nel racconto di Zhang Kangkang vediamo una protagonista indecisa fra tre amanti diversi, che rappresentano tre diversi modelli maschili: il primo è il figlio di un dirigente comunista interessato solo ai beni materiali e alla carriera, il secondo è uno studente universitario cinico e disilluso, mentre il terzo, quello che sembra essere il prediletto dalla protagonista, è un giovane lavoratore pieno di energia e di vita, dalla mascolinità prorompente. Lo stesso tema dell’amore clandestino, adulterino e delle molte storie d’amore, che contrasta con la casta dedizione al primo amore delle storie precedenti, è presente anche in racconti scritti da uomini e che vedono protagonisti degli uomini, in cui la donna è vista, come nelle storie tradizionali del genere caizi jiaren, come un ostacolo alla realizzazione delle ambizioni maschili, e quindi è legittimo abbandonarla, mentre lo stesso non è possibile per la donna (Louie 1989, p. 69). 68 I tre pilastri riconosciuti da Claude Lévi-Strauss nella struttura della parentela e quindi dell’identificazione del maschile e del femminile sono la proibizione dell’incesto, la divisione sessuale dei compiti e una forma riconosciuta dell’unione sessuale (Lévi-Strauss 2003). 76 maschile ideale, ripescato anche in questo caso da un passato mitico e atemporale, in cui i ruoli di genere erano ancora ben definiti.69 La rappresentazione del desiderio femminile in questo caso serve soprattutto a legittimare la preferenza della protagonista per il modello stabilito ma l’apparente libertà del desiderio femminile è limitata solo dall’accettazione della sudditanza all’uomo (Zhu 1993). Come per molti altri autori della «Ricerca delle radici», animati dalla nostalgia per un passato (o un altrove) in cui ritrovare la potenza maschile che sembrava perduta, anche in Mo Yan si vede la preoccupazione di costruire una mascolinità brutale in mezzo ai campi di sorgo, come conseguenza della «profonda delusione nei confronti dell’ideologia e dell’eredità culturale cinese ufficiali, che fosse quella comunista o quella confuciana» (Zhu 1993, p. 132). Prima di arrivare a discutere della rappresentazione nella letteratura, si possono prendere in considerazione altri medium con i quali questa preoccupazione venne discussa e sviluppata. Uno degli strumenti maggiormente popolari e quindi più efficaci per la nuova articolazione dell’identità di genere, in particolare quella maschile, furono gli sceneggiati televisivi. La televisione rappresentò forse il medium più pervasivo, capace di raggiungere tutte le fasce sociali e culturali e di offrire finalmente una soluzione escapista alla prostrazione provocata dalla propaganda comunista del passato: per questo i primi programmi televisivi, in particolare i dianshiju 电视剧, ebbero un grande ascendente e un immenso impatto psicologico sul pubblico. Molti sceneggiati quindi, ebbero la funzione di “testi” e rappresentarono immagini di una mascolinità molto virile ed eroica, cercando di rimediare al diffuso senso di perdita della mascolinità, costruendo «un’immagine illusoria della Cina» (Lu 2000, p. 28)70 nel tentativo di ricostruire anche la comunità immaginata della nazione cinese, sempre più messa in discussione dall’apertura al mondo. In effetti in Cina la televisione e altre forme di cultura popolare contribuirono sempre più ad integrare i cittadini- spettatori come soggetti della nazione; questo processo fu innescato e sostenuto dalle autorità, che potevano, attraverso il mezzo televisivo, imporre il proprio potere culturale, senza però escludere ovviamente la possibilità da parte degli spettatori di negoziare certi significati trasmessi. Nella cultura popolare infatti coesistono e agiscono meccanismi di «dominazione, di opposizione e di creazione culturale» (Rofel 1994, p. 702-703). Per ricreare l’immaginario

69 Choy nota anche che le saghe familiari della «Ricerca delle radici» e in generale della narrativa storica degli anni Ottanta- Novanta sono narrate da voci maschili. Questo perché le epopee familiari sono un patrimonio dei patriarchi, trasmesso di generazione in generazione ai maschi della famiglia. In questo le storie, soprattutto urbane, di Wang Anyi rappresentano il contraltare femminile di questo genere di racconti storici (Choy 2008, p. 233). 70 Sebbene molto più vicina alla cultura popolare, gli sceneggiati televisivi servirono a mediare fra le tre istanze culturali principali in un’epoca depoliticizzata, globalizzata e consumistica: l’ideologia ufficiale, ossia la produzione culturale sostenuta dal potere; la cultura d’élite (jingying wenhua 精英文化), che incarna il discorso intellettuale che mira a ricostruire l’umanesimo e la soggettività e una cultura “bassa” emergente (shimin wenhua 市民文化) (Lu 2000, p. 28). 77 condiviso, e anche i ruoli e le definizioni di genere si ricorreva all’esotizzazione e all’erotizzazione dell’altro: non solo le minoranze, ma anche lo straniero; anche la ricostruzione dell’immagine maschile passava per l’acquisizione di un’identità maschile transnazionale: molti sceneggiati e film mostrano rapporti amorosi fra cinesi e stranieri (o cinesi d’oltremare), altri mostrano la capacità del maschio cinese di diventare aggressivo e capace di competere nel campo del sesso e degli affari alla pari con i propri omologhi occidentali. La capacità degli uomini cinesi di trionfare su donne occidentali è non solo la vittoria della mascolinità cinese, ma anche il riscatto della nazione cinese. Questa preoccupazione però rivela una «soggettività maschile insicura» e afferma la necessità di rovesciare nella rappresentazione un discorso nazionalista intriso di autocommiserazione, di insicurezza e di un complesso di inferiorità postcoloniale (Lu 2000, p. 40).71 Questo diffuso senso di disprezzo di sé, che risale al periodo della penetrazione coloniale straniera in Cina, è frutto dell’ansia per il periodo di crisi ed è molto spesso utilizzato dalle autorità per instillare l’orgoglio patriottico, spesso opportunamente sfruttato per mantenere la stabilità politica interna e ricompattare la compagine nazionale attorno al Partito. Alcuni sceneggiati che ritraevano il mondo delle campagne e delle regioni meno progredite della Cina erano utili per conservare il ricordo delle proprie origini e delle proprie radici, oltre che per dare dignità ad un mondo che rischiava di essere travolto dalla marea della modernità globale;72 altri sostenevano la necessità di accogliere il confronto con la cultura straniera. Fra questi ultimi si ricordano principalmente gli autori de «L’elegia del fiume» Heshang 河 殇 (1988), un documentario in sei parti prodotto da alcune ex Guardie Rosse che ripercorreva la storia, i simboli e i mali della Cina. Nella serie, infatti, si cercava di spingere lo spettatore a reagire alla decadenza della Cina, a cui si era giunti a causa del dominio della tradizione e delle passate politiche del Partito. Nello spirito iconoclasta della Rivoluzione Culturale venivano mostrati i simboli della tradizione cinese per condannarne la mancanza di creatività, l’isolazionismo, il conservatorismo, mentre vengono esaltate le culture dell’Occidente e del Giappone come più coraggiose e aperte alla scoperta.73 Uno dei temi ricorrenti è infatti la frustrazione dell’intellettuale per il fatto che la Cina non era diventata una potenza alla pari

71 «The imaginary conquest of the white woman is a male defense mechanism, an attempt to do away once and for all with the stereotype and self-perception of inadequate Asian/Chinese masculinity and sexuality» (Lu 2000, p. 40). A questo proposito, soprattutto riguardo al periodo moderno, si veda Jing Tsu (2005). 72 Fra questi i documentari televisivi «Contadini» Nongmin 农民 e «L’est» Dongfang 东方, girati nel nordovest della Cina rispettivamente nel 1992 e nel 1993. Entrambe le serie presentano i valori tradizionali in maniera nostalgica, concorrendo a sostenere la retorica conservatrice sull’essenza nazionale cinese (Barmé 1995, p. 224-225). 73 Un simile atteggiamento estremamente critico nei confronti del proprio Paese e della propria tradizione culturale è dato dal libro «Brutti cinesi» Choulou de Zhongguoren 丑陋的中国人 (1984) dell’autore taiwanese Bo Yang che dal 1986 iniziò a circolare anche in Cina (Spence 2013, p. 641). 78 con i Paesi più sviluppati (Barmé 1995, p. 223). Inoltre, uno dei temi della serie, quello che più interessa qui e che perdurerà anche in seguito, è la critica degli intellettuali e del letterati del passato per la loro impotenza politica: essi erano stati incapaci di ottenere una vera indipendenza e questo aveva impedito loro di influenzare i governanti. Anche gli intellettuali più progressisti, infatti, non erano riusciti a liberarsi dalla necessità di adeguarsi o di associarsi ad un tutore politico per poterlo convincere a realizzare delle riforme (Goldman 2002, p. 514). Il documentario è anche l’espressione di un movimento culturale essenzialmente conservatore che si sviluppò negli anni Ottanta e che cercava di restaurare l’immagine dell’intellettuale come sovraordinato al Partito e alla masse che questo rappresentava.74 Il nazionalismo intellettuale che si esrpime in Heshang riportò alla luce lo sciovinismo spesso xenofobo, macerato negli anni del totale isolamento della Cina maoista, durante i quali alla propaganda antioccidentale si sommava quella antisovietica e in cui gli intellettuali iniziarono a preoccuparsi per le contaminazioni da parte della cultura straniera, considerata spesso decadente ed effemminata o femminilizzante. Se il corpo maschile «esiste solo come corpo collettivo» (La Cecla 2010, p. 57), costruito attorno a pratiche e discorsi imitativi e “naturalizzati”, ecco che il progressivo successo dell’individualismo nella società cinese, insieme al dibattito intorno all’identità maschile e alla trasformazione della Cina in parte di un mercato globale minacciavano sia la solidità del discorso nazionalista che la stessa costruzione della mascolinità. Il tentativo di conservare quanto più possibile una forma di corpo collettivo nel revival nazionalistico e confuciano, che avrà particolare successo negli anni Novanta, sembrava funzionale anche al mantenimento o al recupero di una mascolinità intatta e indiscussa, risolvendo il dibattito degli anni Ottanta sul declino del maschile. Soffermandosi in particolare sullo sceneggiato «Brame» Kewang 渴望 (1991), Lisa Rofel (1994) individua nei temi affrontati e nel procedimento adottato, che è sempre quello del suku di tradizione maoista, il desiderio del potere politico di incanalare i sentimenti e le passioni del pubblico e degli intellettuali in una direzione utile: immaginare cioè il percorso delle riforme come la costruzione di una nazione forte e indipendente che potesse dialogare e competere con altre nazioni avanzate. Questo «parlare delle amarezze» diventa quasi un genere, come la «Letteratura delle ferite», e serve a cooptare anche gli intellettuali in questo

74 Per quanto simile al Movimento del Quattro Maggio nella critica alla Cina come cultura “feudale”, in questo periodo però non vi fu alcuna vera inversione di valori perché il progetto potesse realizzarsi come nel 1919 (Gunn 1991). Il confucianesimo e il suo adattamento al mondo contemporaneo era al centro della riflessione della Scuola Culturalista, che conduceva una critica alla modernità in nome del passato, contro l’occidentalizzazione, e una ripresa del progetto del Quattro Maggio. In particolare, secondo questo orientamento accademico, era importante recuperare gli elementi locali ed etnografici profondi sedimentati nella tradizione culturale (Zhang 1997, p. 46). 79 nuovo corso della politica, dando loro la possibilità di ripresentarsi come martiri ed eroi e ricomporre così la loro perduta soggettività. Anche nello sceneggiato, infatti, il salvatore- salvato è l’intellettuale Luo Gang 罗冈 che riprende il suo posto da professore e incarna la speranza di un futuro migliore nella Cina delle riforme. Egli appare eroico anche per la sua raffigurazione della (perduta) mascolinità: pur restando un intellettuale, ha perso gran parte della delicatezza e dell’emotività che ora sono associate esclusivamente alla femminilità e all’uomo effemminato, mentre ha acquisito nel suo percorso qualità che prima erano solo dell’operaio o dello haohan, senza però identificarsi del tutto con questo modello. Egli è sempre intellettuale, ma temprato dall’esperienza e dal lavoro e il suo esempio dimostra che «[…] è nella soggettività intellettuale maschile che la nazione cinese troverà il suo futuro» (Rofel 1994, p. 714).75 Negli anni Novanta si avrà la definitiva celebrazione dell’uomo di successo, tanto che ci sarà perfino posto nella rappresentazione per il parvenu (baofahu 暴发户), l’arricchito con tanti soldi ma ancora senza la raffinatezza dell’uomo moderno (Song, Hird 2014). Inoltre, secondo Wang Xiaoying (2003), finisce la ricerca dei veri uomini perché ormai la figura dell’eroe maschile aggressivo si afferma con forza, soprattutto nella rappresentazione cinematografica76 e televisiva, facendo tramontare del tutto le idee di uguaglianza fra generi dell’epoca maoista, che ancora ossessionavano gli uomini negli anni Ottanta facendo loro temere il prevalere del femminile. Questo risultato si ottenne parallelamente anche con l’accentuazione delle caratteristiche femminili, soprattutto quelle più tradizionali (ad esempio il sacrificio e l’obbedienza), nella rappresentazione della femminilità. Anche la mascolinità iniziò ad essere concepita ed esibita, non solo nella rappresentazione, in una

75 Occupandosi degli sceneggiati televisivi più recenti, Song Geng (2010) ha verificato che l’immagine maschile che emerge è sempre più ibrida e che la progressiva integrazione della Cina nell’economia globale e la sua sempre più ampia apertura alla cultura proveniente dall’estero hanno prodotto anche una segmentazione delle rappresentazioni maschili e hanno cancellato i modelli confuciano e maoista della mascolinità, tanto che oggi figure assimilabili al «giovane delicato» (naoyou) xiaosheng (奶油)小生 della tradizione tornano ad essere estremamente popolari. Nei drammi televisivi più recenti si possono notare alcune ricorrenze: il nazionalismo nei drammi sulla guerra, incarnato da eroi patriottici ed espresso in tentativi di restaurare una mascolinità tradizionale continuando il discorso che lega mascolinità e nazione fin dalla fine dei Qing. Si nota anche un revival della mascolinità confuciana e maoista nella rappresentazione di temi confuciani come la lealtà, la pietà filiale, la fratellanza, la giustizia e anche la celebrazione di un nuovo tipo di uomo ideale, l’imprenditore (Song, Hird 2014). 76 Uno dei generi più diffusi del cinema sentimentale (ma anche della letteratura) è quello definito xiaomi bang dakuan 小 蜜傍大款 «la segretaria esce con il capo», ossia una storia d’amore tra un uomo d’affari o comunque ricco e una giovane donna di estrazione sociale inferiore, spesso – ma non necessariamente – la sua segretaria. La mascolinità ora è soprattutto definita in termini di ricchezza e l’uomo d’affari di successo, il dakuan 大款 pervade la cultura popolare. Un esempio di questo genere è «Sospiro» Yisheng tanxi 一声叹息 (2000), scritto da Wang Shuo e diretto da Feng Xiaogang 冯小刚 (1958-). In generale l’uomo d’affari è l’ultima declinazione del potente, del maschio definito dalla sua posizione sociale. Come forma di rappresentazione culturale, questo genere non solo riflette la realtà ma la costruisce, «dando forma a desideri che altrimenti potrebbero non acquisire profondità di significato» (Wang Xiaoying 2003, p. 147). Di fatto questo genere di narrazioni riportano al centro della rappresentazione la rinascita di un concubinato de facto, che permette di articolare anch’esso una mascolinità o una serie graduata di mascolinità fra loro gerarchicamente ordinate in termini di classe, prestigio e potere economico (sul tema delle er nai 二奶 «seconde mogli» si veda Xiao 2011). 80 versione molto più tradizionale, intesa in senso eminentemente wen, molto più delicata, e per alcuni relativamente o troppo femminile.77 Gli attori e cantanti più popolari attualmente sono simili al tradizionale «giovane delicato» (naoyou) xiaosheng (奶油)小生, il giovane studente della letteratura classica che durante la «ricerca di veri uomini» negli anni Ottanta era considerato troppo effeminato. In questo processo di “ingentilimento” della rappresentazione maschile sono intervenuti dei fattori sociali ed economici decisivi, fra cui la diffusione del modello transnazionale del metrosexual, 78 segno esteriore della collocazione della Cina nel mondo globalizzato; l’emergere della donna nel mondo del lavoro e la conseguente creazione a livello discorsivo della donna forte e mascolina (nü qiangren 女强人) e infine la capacità di spesa delle donne e dei giovani, che produsse a sua volta un loro notevole empowerment discorsivo nel ridefinire, in particolare dal punto di vista estetico, l’immagine della mascolinità ideale nei termini di una maggiore delicatezza, sensibilità e gentilezza, oltre che di affidabilità economica, del maschio cinese contemporaneo (Louie 2012). Quella che si sta creando, grazie a internet e a nuovi o rinnovati mezzi di comunicazione e grazie agli scambi culturali soprattutto a livello di cultura pop, è una versione soft e panasiatica della mascolinità che sfuma i confini fra i concetti tradizionali di maschile e femminile ma che, guardando la tradizione cinese, assume l’aspetto di un recupero di forme tradizionali originarie ed è riscontrabile anche nella sottocultura otaku, che in Cina ha prodotto il modello maschile dell’«uomo domestico» zhainan 宅男, altro genere di maschio “addomesticato”, sensibile e quasi infantile nella sua innocenza (Song, Hird 2014). I continui contatti culturali fra la Cina e il resto del mondo, comunque, stanno aumentando le possibilità retoriche e le pratiche discorsive relative alla mascolinità, permettendo perfino l’esibizione di mascolinità marginali, ibride e provocatorie che in molti suscitano ancora un senso di ansia per una “crisi della mascolinità” universalmente e ripetutamente lamentata (Louie 2014).79 Da un lato continua ancora la critica e l’ansia per la mascolinità perduta degli uomini cinesi ma si aggiungono anche altre preoccupazioni riguardanti il modo apparentemente poco

77 Sun Yunxiao 孙云晓 pubblicò un libro nel 2010 («Salvate i ragazzi» zhengjiu nanhai 拯救男孩) per opporsi alla moda delle star pop come Li Yuchun 李宇春 che confondono eccessivamente le differenze fra i generi e rischiano di “evirare” i giovani (Louie 2014). Anche Wen (2013) dimostra come nella cultura televisiva possano coesistere diverse forme di mascolinità, da quella più tradizionale a quella più anticonvenzionale. 78 Il termine è solitamente tradotto in cinese come dushi li’nan 都市丽男; altre varianti sono: dushi yu’nan 都市玉男 «Uomo di giada metropolitano» o bailing li’nan 白领丽男 «bell’uomo dal colletto bianco», huayang nanzi 花样男子 «flower male», dushi zhinan 都市质男 «Uomo di qualità metropolitano», chengshi xin nanren 城市新男人 «Nuovo uomo urbano» e dushi mei xingnan 都市美 型男 «Bel modello metropolitano» (Song, Hird 2014; Wen 2013). 79 Secondo Baranovitch (2003) il ritorno ad una versione più tradizionale di mascolinità è dovuto soprattutto al fatto che il capitalismo ha dato alle donne molto potere e quindi anche la capacità di dirigere e influenzare non solo la cultura ma anche la costruzione della mascolinità, tanto che anche gli uomini sono divenuti un bene di consumo per le donne. 81 maschile in cui i cinesi delle città si comportano e si muovono, rispetto alle rappresentazioni degli uomini occidentali e il timore che gli uomini cinesi non meritino le loro donne, poiché molte di esse sposano stranieri o possono decidere di non sposarsi affatto. Altri elementi che contribuiscono a rendere ancora problematica e mutevole la costruzione della mascolinità negli anni Novanta sono la profonda interazione fra la costruzione della mascolinità nella cultura pop e la crescita del nazionalismo nella Cina continentale durante gli anni Novanta; il consumismo; il movimento degli uomini in Occidente, che ha influenzato la società cinese negli ultimi decenni, in particolare il dibattito relativo a questioni come la mascolinità nei ruoli sociali, la liberazione maschile, i diritti degli uomini e la salute maschile, che ha prodotto un’intera branca della medicina, la nanke (Song, Hird 2014). Tutte queste manifestazioni della consapevolezza di genere da parte degli uomini cinesi trovano poi conferma anche nella rappresentazione: se negli anni Ottanta si nota spesso il tema della repressione sessuale – forse effetto di una liberazione ancora in fieri – negli anni Novanta i testi culturali, fra cui anche il cinema, danno una visione degli uomini come sessualmente più liberi, anche grazie al ritiro della politica da molte sfere della vita privata. Il desiderio, anche quello sessuale, si trova sempre più codificato nella logica dell’economia di mercato: per questo il desiderio maschile viene naturalizzato come un bisogno quando l’uomo possiede denaro e potere o come mancanza quando ne è privo (Zhong 2007). La mancata soddisfazione del desiderio, prevalente nel decennio precedente, veniva tradotta negli anni Ottanta come ricerca dei veri uomini; ora che invece l’identità maschile è riconquistata in termini di successo materiale la differenza fra gli uomini si basa sulla capacità di realizzare tali desideri. La figura dell’intellettuale, che negli anni Ottanta ancora sperava di ridiventare il modello di una mascolinità neotradizionalista, ora subisce un declino dovuto anche alle speranze fallite di guidare il popolo verso il cambiamento politico. Tuttavia, anche nella figura emergente e vincente dell’uomo d’affari resistono molti elementi di una mascolinità tradizionale: ad esempio il senso di responsabilità lavorativa e familiare, la necessità di formare una famiglia e avere dei figli (maschi) e la necessità di un riconoscimento sociale del proprio successo, anche solo in termini di capacità di spesa e di benessere. Sebbene gli uomini cinesi prediligano ancora le qualità wen nella descrizione della mascolinità più desiderabile, il timore di apparire troppo effeminati li porta a riconoscere la necessità di una compresente componente wu (Yang 2011, p. 102). Va notato inoltre che l’immagine ideale dell’uomo a partire dagli anni Novanta non proviene più dalle figure letterarie e la rappresentazione della mascolinità passa piuttosto per il cinema, la televisione, la pubblicità

82 e i nuovi media. Pur essendo ancora piuttosto disorientati nella definizione della propria identità maschile, i giovani della generazione successiva agli anni Ottanta non ammirano più tanto i padri di famiglia o gli insegnanti; tuttavia, caratteristiche ideali della mascolinità sono ancora, oltre all’altezza e alla bellezza, il senso di responsabilità, il coraggio, la sicurezza, l’autorevolezza e l’abilità lavorativa (Yang 2011, pp. 102-103).

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1.4. La soggettività maschile nella letteratura degli anni Ottanta

Il desiderio come motivo dominante e motore del racconto narrativa produce una narrativa che si potrebbe definire “individualistica” e “soggettiva”, frutto delle nuove preoccupazioni teoriche e umanistiche che riempivano il dibattito, non solo accademico, della Cina postmaoista. Nei primi anni dopo la Rivoluzione Culturale la prima preoccupazione degli autori interessati alla ricostruzione della mascolinità fu di curare la propria impotenza, intesa in senso lato, provocata dal dispotismo maoista. La castrazione simbolica subita dagli uomini cinesi durante il periodo maoista era dovuta all’irregimentazione e alla perdita del ruolo maschile non solo per gli intellettuali, che per tradizione si definiscono potenti in quanto controllori della rappresentazione vicini al potere, ma anche per gli uomini comuni, privati del tradizionale ruolo di detentori del potere decisionale all’interno della famiglia, perché usurpato dal partito, in nome del collettivismo. Per la prima volta nella letteratura cinese (Louie 1991) alla metà degli anni Ottanta alcuni narratori decisero consapevolmente di scrivere le proprie storie nei termini della sessualità maschile. La liberazione della donna nel periodo maoista era fondata anche sulla riduzione del potere economico e dello status degli uomini, ridotti come tutti a essere degli obbedienti ingranaggi dello Stato. Se non fosse bastato, le riforme e i grandi cambiamenti del periodo successivo non fecero che esacerbare la situazione, aumentando la frustrazione e l’insicurezza degli uomini, che si trovarono a ricostruire il proprio ruolo con gran fatica, assemblando discorsivamente elementi disparati provenienti dal passato, premaoista e maoista, oltre che da luoghi diversi: dalle regioni più arretrate dell’interno della Cina a Paesi ultramoderni al di là del mare. La crisi della mascolinità si fece infatti ancora più acuta con l’apertura alla cultura mondiale e il confronto con figure maschili molto virili come i divi del cinema d’azione (Sylvester Stallone e soprattutto Ken Takakura 高倉健80) che aumentarono così l’ansiadegli intellettuali cinesi per la ridefinizione della propria immagine maschile in un mondo globale. 81

80 Pseudonimo di Goichi Oda 小田 剛 (1931-2014) fu un idolo del pubblico cinese, soprattutto di quello giovanile negli anni Ottanta. In particolare il film del 1976 diretto da Jun’ya Satō 佐藤純彌 (1932-) Kimi yo Fundo no Kawa o Watare 君 よ憤怒の河を渉れ tradotto in cinese come «L’inseguimento» Zhuibu 追捕 (in inglese come Manhunt o Dangerous Chase) ebbe un grande successo fra i giovani e impose Ken Takakura come modello della mascolinità più virile (Wang Yu 2006, p. 22). 81 È il «complesso di ansia» youhuan yishi 忧患意识 che attanaglia gli intellettuali per tutto il Novecento fin dalle opere di Yu Dafu 郁达夫 (1896-1945). Zhong Xueping (2000) fa anche riferimento, come già ricordato nell’introduzione, al «complesso di marginalizzazione» di Kaja Silverman (1992). Entrambi i complessi sono legati alla frustrazione per l’incapacità di essere all’altezza della responsabilità di realizzare il progetto della modernità, vera ossessione per gli intellettuali cinesi per tutto il Novecento. 85

Negli anni Ottanta iniziò ad emergere e a diffondersi la formula retorica «lo yin sale e lo yang declina» yinsheng yangshuai 阴盛阳衰 per descrivere la relativa forza delle donne in confronto alla debolezza degli uomini e iniziò la ricerca, soprattutto discorsiva, della mascolinità e la sua ricostruzione anche in ambito letterario. Nei primi tempi la rappresentazione che pervase il dibattito e la produzione culturale cinese mostrava gli uomini cinesi come infantili, deboli, immaturi, impotenti ed egoisti, come gli uomini incontrati dalla protagonista di Xunzhao nanzihan di Sha Yexin, delusa nella sua ricerca dell’uomo ideale. Sarà soprattutto la letteratura femminile ad insistere sul tema, ovviamente, e in Zhang Jie, ad esempio ne «L’arca» Fangzhou 方舟 (1981), vengono descritti degli uomini egoisti, volgari e maschilisti, mentre le protagoniste cercano di fondare la propria autostima su valori che non siano stabiliti dallo sguardo e dall’opinione maschile. Il rovesciamento degli stereotipi femminili della moglie e della madre, confinate nello spazio domestico, non rappresenta soltanto la ricerca di un’identità indipendente per le donne, ma è anche una critica alle convenzioni letterarie nella raffigurazione delle donne.82 Tuttavia, anche gli autori maschi descriveranno personaggi maschili spaventati dai loro stessi desideri perché sanno segretamente di non avere la virilità necessaria per perseguirli o realizzarli: pensiamo ad esempio ad alcuni romanzi e racconti di Liu Heng.83 La stessa preoccupazione fa parte anche della discussione della «Letteratura della ricerca delle radici», che cercava di ritrovare i fondamenti dell’identità nazionale e cercava di sostituire la mascolinità collettiva del maoismo con una mascolinità individuale e nazionale per curare il complesso di inferiorità di fronte a certe manifestazioni della mascolinità giapponese od occidentale. La «Ricerca delle radici» era anche la ricerca di una mascolinità originaria, compiuta soprattutto attraverso la riscoperta e la rivalutazione le sue versioni più primitive, non toccate per secoli dal confucianesimo o dal maoismo. La figura del rocker Cui Jian 崔 健 (1961-) o ancor più l’attore Jiang Wen 姜文 (1963-) nel film Hong gaoliang possono essere considerati la risposta cinese ad una mascolinità muscolare e sfrontata proveniente dall’estero e per secoli denigrata nella rappresentazione letteraria cinese come inferiore e

82 Le protagoniste del romanzo sono divorziate e per questo l’«altro» e l’«alieno» in una società fondata sul matrimonio; esse poi sfidano il dominio patriarcale cercando la propria realizzazione professionale in un mondo prevalentemente maschile e nonostante le umiliazioni subite non rimpiangono la loro vecchia vita (Shen 1992). L’arca è l’immagine del tentativo da parte delle tre donne di trovare rifugio da un mondo burrascoso fatto di insidie, di ostilità e di emarginazione: nel mondo del lavoro infatti vengono trattate come rivali e nemiche dai loro colleghi maschi. La soluzione è la solidarietà femminile e un’amicizia sororale. Le questioni di genere emergono con forza anche nella produzione poetica: dopo le prime esperienze della Nuova epoca nei primi anni Ottanta si avrà anche una «poesia femminile», inaugurata in particolare da Zhai Yongming 翟永明 (1955-), ricordata soprattutto per una lunga poesia intitolata «Donne» Nüren 女人 (1986). 83 Possiamo citare il già menzionato «Neve nera» Hei de xue 黑的雪 (1988) e «La porta dell’inverno» Dong zhi men 冬之 门 (1992). 86 subordinata a quella supremamente yang del letterato, ormai anch’egli screditato per la sua complicità con il regime o la sua inefficacia come protettore del popolo. Nel tentativo di scardinare l’autoreferenzialità del discorso ufficiale e per contestare anche solo ironicamente e indirettamente l’effetto ideologico provocato da tale discorso, il tema della mascolinità divenne nella letteratura del periodo un mezzo per fare fronte a diverse lacune e preoccupazioni, condivise sia dagli intellettuali che dal pubblico. Da un punto di vista prevalentemente politico era necessario superare le narrazioni ancora politicamente inoffensive e strumentali della «Letteratura delle ferite» e provocare una riflessione molto più profonda, che indagasse anche le ragioni profonde delle persecuzioni e delle tragedie occorse nel Novecento cinese, in modo da poterle evitare in futuro. Quindi bisognava superare per prima cosa il trauma personale e collettivo del recente passato elaborandone non solo gli eventi ma anche le cause e rimediando psicologicamente e concretamente ai suoi sintomi: uno degli strumenti terapeutici fu la ricostruzione del ruolo dell’intellettuale e il superamento del «complesso di castrazione» yange qingjie 阉割情结 (Shi 2012, p. 168) che faceva di loro delle personalità ancora non del tutto sviluppate o deformate, perché bloccate nel timore di un padre spaventoso. In secondo luogo, occorreva, nei limiti della contestazione ammissibile, porre in essere un discorso alternativo a quello ufficiale e la mascolinità, soprattutto quella meno “normativa”, quindi più muscolare, incarnava lo spirito ribelle che ancora covava sotto la cenere nell’animo dei «giovani istruiti» zhiqing 知青, educati alla rivolta proprio da Mao. Anche la versione wen della mascolinità poté comunque essere opposta al predominio corporeo e discorsivo del Partito: l’intellettuale dimostra di essere libero di contestare il suo monopolio simbolico della politica perfino durante la rieducazione e di acquisire nel percorso verso la liberazione anche elementi della mascolinità wu e divenire così un uomo completo, volgendo la rieducazione di massa in una conquista personale. Inoltre, la mascolinità si inscriveva nel più generale progetto di riedificazione umanistica della cultura cinese, soprattutto in un momento storico in cui si poteva finalmente ridiscutere gli eventi passati e criticare entro certi limiti l’esistente, ossia le riforme economiche, alla cui base sarebbe dovuto esserci principalmente pensiero scientifico. Contro tale deriva scientista e materialista, molti autori rivalutarono l’irrazionalismo e la spontaneità, non solo recuperando il daoismo e il buddhismo chan 禅 come fece Ah Cheng 阿城 (1949-), ma anche la religione delle minoranze come Zhang Chengzhi 张承志 (1948-); in ogni caso, le figure maschili più forti, decise e impavide diventano non solo dei modelli di mascolinità, ma anche esempi di resistenza ad un acritico conformismo e alla continua oppressione del discorso dominante. 87

Secondo Yomi Braester (2003) la narrativa è il modo che molti testimoni del periodo della Rivoluzione Culturale potevano opporre al monopolio della ricostruzione storica offerta dalla storia ufficiale: rievocare e rivivere il trauma rielaborandolo nella scrittura romanzesca permetteva di ricostruire anche la propria personalità. Il processo di ricomposizione della personalità, tuttavia, passa spesso per la descrizione di una frantumazione psicologica che trova espressione formale nella moltiplicazione dei punti di vista e nella preliminare scomposizione della percezione, come se il trauma stesso fosse messo in discussione nella memoria personale e collettiva e dovesse coinvolgere anche il lettore nello sforzo di risignificazione degli eventi e dei ricordi. La stessa natura del ricordo deve essere definita: alla memoria si interpone spesso il sentimento, l’invenzione – che non è qui creazione letteraria ma alterazione volontaria o inconsapevole delle esperienze immagazzinate nella memoria – o anche l’oblio. La stessa opera di ricostruzione degli eventi traumatici è necessaria per resistere agli effetti anestetici della violenza, a costo di riviverne tutto il dolore; tuttavia, è importante restare coscienti del presente:

[…] it is in bearing witness to one’s own testimony that one acknowledges one’s experience as fundamentally untestifiable. Herein lies an unresolved paradox – a witness against history cannot exist without paying tribute to the witness for history (Braester 2003, p. 10).

Dopo il 1949 l’unico discorso ammesso fu quello maoista e nessuna testimonianza, resa attraverso il realismo critico nella migliore tradizione di Lu Xun 魯迅 (1881-1936), a cui ancora restavano fedeli i seguaci di Hu Feng 胡風 (1902-1985), poteva essere ammessa poiché poteva rappresentare una pericolosa contestazione del monopolio dell’ortodossia politica. Il modello di Lu Xun è fondamentale, perché egli aveva dimostrato con la pratica letteraria quanto gli intellettuali del Quattro Maggio affermavano nella teoria, e cioè che la storiografia, genere di prosa che nell’epoca classica era ritenuto superiore, dovesse essere sostituita dalla narrativa nella ricerca di una verità più soggettiva ma sicuramente più profonda e più accessibile al grande pubblico, sia per il mezzo espressivo usato (il baihua 白話), sia per il rovesciamento di verità tradizionalmente ritenute indiscutibili. Se nel contatto con la cultura occidentale la letteratura cinese era uscita trasformata, questo valeva anche per la storiografia: essa era divenuta un’attività scientifica volta a dimostrare le leggi del funzionamento e dell’evoluzione della storia mentre la narrativa aveva ricevuto già con

88

Liang Qichao 梁啟超 (1873-1929) la funzione didattica della costruzione di una nazione moderna e di cittadini consapevoli. Nel suo «Il diario di un pazzo» Kuangren riji 狂人日記 (1918) attraverso gli occhi di un folle, forse però molto più lucido dei suoi contemporanei (e in lingua vernacolare), Lu Xun riscrive la storia cinese come la cronaca di una civiltà di cannibali dediti solo a cibarsi (metaforicamente) gli uni degli altri opprimendosi a vicenda e sostenendo un sistema di sopraffazione reciproca. Secondo Henry Zhao (2001) la narrativa cinese riesce con Lu Xun ad emanciparsi definitivamente dalla sottomissione alla storia, con la quale aveva dovuto spesso scendere a compromessi, ad esempio costringendo gli autori di narrativa a mascherarsi da storici per rendere credibili e verosimili le proprie storie.84 La stessa esigenza, o meglio necessità, emerge nelle testimonianze dei sopravvissuti ai traumi del recente passato: la loro esperienza diretta dei fatti assottiglia fino a cancellarla la differenza tra finzione e realtà. Fino a che punto si può parlare quindi di fiction e non di reportage o diario? A partire da Lu Xun «la verità non va ricercata nell’ambito della storia, ma al di fuori di essa, là dove il linguaggio della storia non arriva, cioè sul versante opposto di quanto viene registrato» (Zhao 2001, p. 68); quindi, appena la gerarchia dei generi nel veicolare la verità si rovescia in favore della fiction e a sfavore della storiografia, anche la trasmissione del vero deve fare ricorso alla narrativa, restando comunque il più aderente possibile ad un realismo critico. Possiamo tuttavia chiederci – e la domanda resterà fatalmente senza una risposta univoca – se non sia piuttosto il peso della violenza subita e del dolore patito che distorce la possibile linearità storica/storiografica della narrativa della memoria e se lo stesso peso non imponga anche l’esigenza psicologica di camuffare e rielaborare gli eventi per salvaguardare l’equilibrio psichico dell’autore lasciando trasparire al tempo stesso la necessaria verità. Lo svuotamento del confronto pubblico sulla realtà sociale e politica, iniziato già durante la guerra di resistenza al Giappone nel 1937, crebbe sempre più ad ogni campagna di rettifica organizzata dal Partito Comunista, finché fu solo il partito a decidere i significati ammessi e il modo in cui trasmetterli: gli autori vennero ridotti al semplice ruolo di burocrati e propagandisti di partito. Quando il dibattito venne riaperto negli anni Ottanta per sostenere la de-maoizzazione e le politiche di riforma di Deng, gli scrittori faticarono a ritrovare i mezzi espressivi per comunicare la propria testimonianza storica personale.

84 Si pensi anche all’incipit evidentemente ironico di «La vera storia di Ah Q» Ah Q zhengzhuan 阿 Q 正传 (1921) in cui il narratore dichiara di voler registrare la storia del protagonista eponimo del racconto per la posterità facendo una sorta di parodia del genere biografico ufficiale. 89

Dopo la Rivoluzione Culturale riesplode la narrativa storica e autobiografica, la memorialistica e altre forme di racconto storico soggettivo, per resistere nuovamente al racconto del discorso ufficiale. La «Letteratura delle ferite» era ancora troppo schematica nella sua ricostruzione del passato e riproduceva con fini diversi la stessa retorica moralistica del passato. Racconti alternativi e narrativi della storia appaiono soltanto a partire dalla metà degli anni Ottanta, nella «Letteratura della ricerca delle radici» e nella «Letteratura d’avanguardia» per rivendicare la possibilità del soggetto di imporre un dialogo e una notevole frammentazione nella versione fino ad allora monologica e monolitica del passato: sfidando il discorso didattico maoista e la retorica pragmatica e progressiva del periodo denghista, molti scrittori proposero testimonianze parziali, marginali, soggettive e private della storia, sottolineando soprattutto la dimensione spaziale e corporea della memoria su quella meramente temporale (Choy 2008). Uno dei problemi che si presenteranno a questi autori sarà poi la ricostruzione dei mezzi espressivi, sui quali era necessario intervenire per poter ricostruire una soggettività che non poteva non essere inscritta nella lingua: così anche la letteratura capisce di aver bisogno di un nuovo linguaggio. L’esplosione della forma e l’erosione dell’attendibilità del racconto portati all’estremo negli esperimenti della letteratura d’avanguardia sono a loro volta significanti, poiché affermano quasi visivamente l’incapacità dell’autore di colmare lo scarto fra il sentimento o la testimonianza del momento passato e la sua ricomposizione verbale e narrativa nel presente. La stessa lingua cinese, così come era stata manipolata dalla politica, appariva a molti autori insufficiente per rendere conto dell’eccezionalità delle proprie esperienze o anche solo per tradurre sensazioni di frustrazione e rabbia contro quello stesso potere politico che aveva generato quella lingua; per esprimere certi sentimenti occorreva per forza una lingua nuova. È il caso in particolare dei poeti oscuri, che dalla fine degli anni Settanta cercheranno con il loro sperimentalismo ermetico di spezzare i vincoli del Maospeak. È impossibile però per gli intellettuali sfuggire al senso ormai profondamente e storicamente radicato nella loro coscienza della loro missione sociale e per questo la rappresentazione data dall’autore non può non essere considerato un servizio reso all’intera collettività, tanto più se restiamo nel solco della tradizione confuciana e marxista. Se ricordiamo poi, sempre ricorrendo a Henry Zhao (2001), che storicamente la narrativa in Cina svolgeva la funzione di canalizzatore e normalizzatore dell’«inconscio sociale, messo a tacere nei discorsi culturali “normali” ma lasciato libero nei generi letterari considerati inferiori» (p. 48), possiamo ben immaginare come la narrativa della memoria, sia nella forma della «letteratura

90 delle ferite» alla fine degli anni Settanta, sia nelle testimonianze successive, abbia permesso anche ad un pubblico di lettori più vasto di elaborare il trauma passato. Tuttavia, occorre tenere presente come il consumo di letteratura, e in particolare della narrativa, fosse limitato alle fasce più istruite e relativamente benestanti delle città, senza contare che negli anni Ottanta, oltre ad aumentare il benessere medio della popolazione urbana, nacque e si diffuse anche una letteratura di puro intrattenimento che contendeva ad una narrativa ben più “impegnata” il favore del pubblico. In un momento di relativa crescita economica e di maggiori possibilità per tutti, diventò difficile per gli autori che si sentivano ancora portavoce o interpreti del partito e delle masse, riuscire a farsi udire. Anche per questo motivo diventava difficile per gli autori “superstiti” come Zhang Xianliang rimettere in discussione con la propria opera quello stesso progresso e quella stessa modernità tanto celebrati durante tutto il Novecento e che avevano portato con sé anche i peggiori disastri del maoismo. Le scrittrici degli anni Ottanta lamentavano l’indebolimento dell’uomo e la sua relativa emasculazione di fronte al rafforzamento psicologico e sociale delle donne, anche grazie alla retorica maoista e alle riforme economiche. Zhang Jie e Zhang Xinxin, però, nonostante mostrino delle donne indipendenti che cercano di fare carriera in un mondo controllato dagli uomini, nella loro descrizione della donna, però, ritornano a modelli tradizionali: se queste protagoniste riescono in una certa misura a contraddire i tradizionali ruoli femminili, tuttavia, rimpiangono di non essere mogli e madri e deprecano la propria «mascolinizzazione» (Roberts 1989, p. 805). Zhang Xinxin, in particolare, mette in discussione il concetto di marito ideale inteso in termini tradizionali, ma non riesce a rovesciare il concetto tradizionale di mascolinità: per la protagonista di «Sullo stesso orizzonte» Zai tongyi de dipingxian 在同 一的地平线 (1981), se il marito svolge alcuni lavori domestici dimostra una debolezza e una mancanza di ambizione ben poco maschile. In questo modo conserva il concetto tradizionale di maschio virile (Roberts 1989). Anche gli uomini, messi di fronte all’esigenza di ridefinire la propria legittimità di costruttori della modernità e la propria consapevolezza di genere, si volsero verso la propria interiorità in cerca di risposte. Al dibattito si aggiunsero altre voci, che sostenevano la debolezza dei maschi cinesi: secondo lo scrittore di Hong Kong Sun Longji 孫隆基 (1945-) essi sono troppo legati alla madre per essere individui pienamente maschili e parla addirittura di «eunuchizzazione» taijianhua 太监化 del maschio cinese (citato in Louie 1991, p. 166). Anche secondo Wang Yuejin (1991) i maschi cinesi sono afflitti da un complesso di

91 femminilizzazione. Per entrambi la mascolinità era una delle caratteristiche fondamentali della soggettività dei maschi cinesi (Zhong 2000, pp. 30-34).85 Gli spazi di contestazione per la ricostruzione dell’identità, tuttavia, non erano molto ampi: il dominio politico e ideologico del partito impediva molte forme di rivalsa contro il vero potere patriarcale castrante rappresentato dal Partito. Per questo uno degli ambiti in cui la soluzione del «complesso di marginalizzazione» poteva più facilmente essere curato era la letteratura, l’ambito in cui l’autorità testuale degli intellettuali ora poteva essere riaffermata, anche se sempre nei limiti ora più ampi concessi dalla sovranità simbolica della politica. L’ambito della sessualità, anche nella rappresentazione, divenne nella Nuova epoca uno spazio di liberazione, in cui poter dare sfogo ai propri desideri repressi e riaffermare la natura umana contro la sua negazione, che aveva portato l’alienazione del singolo e della collettività. La stessa definizione della soggettività per gli intellettuali cinesi era fin dal Quattro Maggio definita in termini problematici, come una condizione difficile e preoccupante per il ritardo con il quale si era giunti alla modernità, per la possibile insufficienza del progetto e per il timore del suo fallimento. La ricerca sarà sempre alla radice del progetto di modernizzazione, come la continua riproposizione dell’utopia rivoluzionaria nell’epoca maoista, e quindi il senso di incompletezza, di insufficienza e di inadeguatezza degli intellettuali resterà sempre vivo al fondo, nonostante le fittizie certezze del periodo maoista. Il senso della crisi, che anche in Europa aveva prodotto e nutrito l’arte modernista e tutte le sue avanguardie, dopo essere stato centrale nel periodo moderno in Cina, si riaffaccia nel dibattito anche negli anni Ottanta, quando venne ripresa anche la discussione sulla soggettività. Il desiderio individuale diventò ancora una volta fondamentale per la definizione della soggettività, contro il moralismo confuciano e contro il puritanesimo maoista e anche in questo caso, come nel Quattro Maggio, occorreva recuperare molto del tempo perduto sul resto del mondo, alla ricerca della conferma di essere parte di una realtà mondiale più vasta: la modernità infatti non era solo una ricerca di identificazione, ma una lotta per il riconoscimento (Zhong 2000, p. 29). Questa identificazione (getihua 个体化) in questo periodo assunse anche i contorni di un distacco dal corpo collettivo (jiti 集体): come all’inizio del Novecento si cercava di sfuggire ad una definizione puramente relazionale e posizionale del singolo nell’ordine

85 Anche la scrittrice d’avanguardia Can Xue partecipò alla critica dei maschi cinesi contemporanei parodiando il desiderio nostalgico di mascolinità degli intellettuali della «Ricerca delle radici» (Zhong 2000, pp. 146-148). Questa critica è suggerita anche dalla forma utilizzata dall’autrice: con un realismo immaginifico e delirante Can Xue mette in discussione il realismo oggettivo della tradizione maoista e del Quattro Maggio, denunciando il progetto di modernizzazione degli intellettuali, un progetto essenzialmente maschile. Al dibattito parteciparono con le loro opere anche molti intellettuali e in particolare scrittori e scrittrici della diaspora: ricordiamo in particolare Amy Tan (1952-) e Maxine Hong Kingston (1940-) fra le scrittrici, che rimproveravano agli uomini la loro debolezza e il loro maschilismo e Frank Chin (1940-), scrittore e drammaturgo sinoamericano. 92 sociale confuciano, così ora la figura dell’uomo ideale e dell’eroe, che prima con estrema abnegazione rinunciava alla propria entità corporea in nome del tutto, è rappresentata da colui che ricerca il proprio corpo e desidera rafforzarlo, anche in termini nazionalistici e quindi collettivi. Inoltre, questa ricerca era anche un tentativo di identificarsi con qualcosa e di essere riconosciuto a livello internazionale: il tema della marginalizzazione e della femminilizzazione degli uomini cinesi divenne anche la molla di una reazione da parte degli intellettuali, che portò al desiderio di identificazione con ciò è forte: il nuovo eroe è il maschio che soffre perché percepisce i propri limiti e la propria debolezza ma al tempo stesso desidera superarla: infatti è la forza – fisica o mentale – ad essere la qualità prediletta e più visibile nelle nuove raffigurazioni del maschio, sia quelle provenienti dall’estero, che quelle prodotte in Cina (Zhong 2000, p. 46). Di certo, la preoccupazione principale di molte narrative del periodo è la marginalità della figura maschile e il desiderio di recuperare invece la centralità sociale e culturale dell’intellettuale, non solo come interprete e produttore della cultura ma anche come rappresentante della mascolinità egemonica. In una società tanto frammentata, segmentata e in via di sviluppo quale la Cina degli anni Ottanta, in cui convivevano “ideologie” o sistemi simbolici estremamente differenti fra loro, perché prodotti in diversi contesti geografici (città/campagna; Occidente/Cina) o in contesti temporali sovrapposti in cui la mascolinità socialista conviveva ancora con nuove interpretazioni della mascolinità, stava riemergendo il concetto tradizionale della supremazia sociale dell’uomo di lettere, giungevano nuovi modelli dall’estero e anche in Cina la figura dell’intellettuale e del dirigente comunista stavano convergendo verso il modello dell’uomo d’affari e del salaryman. Opere del periodo che si (pre)occupano principalmente della centralità della mascolinità dell’intellettuale sono sicuramente Fuxi Fuxi di Liu Heng, la storia di un proprietario terriero che nel 1944 “acquista” una giovane donna di ventun anni per poter finalmente concepire un figlio. Il racconto suggerisce la possibilità che il protagonista anziano soffra di eiaculazione precoce o di impotenza, ma in ogni caso di una preoccupante (per una mascolinità ancora concepita prevalentemente in termini riproduttivi) disfunzione sessuale. Quando Judou, la protagonista femminile che dà il titolo alla versione cinematografica della storia, non resta incinta, viene fatto oggetto della violenza del marito, che la accusa di essere sterile. La ragazza inizia una relazione con il nipote sedicenne del marito, Tianqing, e resta incinta di lui ma la violazione delle norme sociali sulla paternità e sul rispetto filiale diventerà una nemesi che punirà gli adulteri dopo anni e peserà sempre su di loro con il cupo presentimento

93 di una punizione divina. 86 La storia dimostra il tentativo maldestro ed evidentemente contraddittorio da parte di molti uomini di riaffermare la centralità maschile, partendo dalla cancellazione di Nüwa nel titolo, che sembra alludere alla cancellazione delle donne dalla storia e dalla cultura cinese (Huot 1993); questo è ancor più vero perché la storia riprende con tutta evidenza il mito della creazione originaria della mitologia cinese, collocando i personaggi in un’ambientazione chiusa e isolata dal mondo, puramente astratta che ricorda i monti Kunlun dove la coppia primordiale diede origine all’umanità con un incesto che nella tradizione è paradossalmente più accettabile di una relazione fra zia acquisita e nipote. Il rapporto fra i due può essere inteso anche come il passaggio da una società autoritaria, in cui il potere patriarcale considerava la donna come un possesso, ad una società in cui la donna e il maschio più giovane possono sperare di amare anche contro le convenzioni sociali, anche se alla fine vengono schiacciati. Infatti la narrazione descrive anche i cambiamenti storici che avvengono attorno alla famiglia nel corso di anni, fino al periodo postmaoista. Tuttavia, il peso della figura paterna e di un’autorità ormai apparentemente tramontata nell’ambito familiare rimane per anni a perseguitare i due amanti infelici e per molti versi l’imposizione di una disumana e spietata purezza, come anche la condanna morale che è incarnata dal vecchio marito passa al figlio Tianbai, che proprio negli anni Sessanta (il periodo della Rivoluzione Culturale) affronta il padre naturale rinnegandolo e condannandolo alla distruzione. Il fatto che poi negli anni Ottanta Tianbai possa riuscire nella vita e formarsi una famiglia non elimina il peso di un tale rimosso: la negazione della libertà sessuale in nome del perbenismo ideologico era un’altra delle colpe storiche da attribuire ad una rivoluzione fallimentare o solo parziale che ancora limitava il desiderio individuale. La descrizione dell’amore e della sensualità contro la normatività del legame matrimoniale e del sesso coniugale dimostra la forza del desiderio e la sua capacità di spezzare il dominio patriarcale, confuciano o maoista, e indirettamente rivela una denuncia delle costrizioni della politica.87

86 Il figlio di Judou e Tianqing viene registrato con il nome di Tianbai e come figlio legittimo del marito di Judou. Questo nega a Tianqing il riconoscimento come padre e marito: sarà infatti costretto a proseguire la sua relazione con Judou in maniera clandestina. Il marito di Judou resta paralizzato in un incidente dalla vita in giù e a quel punto i due amanti non si nascondono più ai suoi occhi. Alla scoperta di non essere stato capace in realtà di generare un figlio, il marito si sente invadere dal desiderio di morire, mentre nei suoi sogni si vede ancora virile e forte come in passato. Tianqing, legato dalla pietà filiale, non riuscirà – come invece vorrebbe Judou – a uccidere lo zio, che anni dopo morirà. A questo punto diventa difficile per i due continuare a vivere insieme in maniera rispettabile e si incontrano in una caverna. Negli anni Sessanta Tianbai scopre la madre fare sesso con Tianqing e pensa di ucccidere entrambi; Tianqing rivela al figlio la natura dei suoi rapporti con la madre ma Tianbai lo rinnega come padre e pochi mesi dopo Tianqing si annega. Dopo la sua morte, Judou mette al mondo prematuramente il secondo figlio di Tianqing, Tianhuang, e non poté nemmeno assistere al funerale del nipote-amante. A quel punto, però, era evidente per tutti nel villaggio che Judou non era stata fedele al marito, probabilmente nemmeno mentre lui era in vita. Alla fine del romanzo, ambientata negli anni Ottanta, si vedono Tianbai e Tianhuang sistemati socialmente e con una famiglia propria (Moran 2013, pp. 162-163). 87 Un’altra storia che, riecheggiando il racconto «Chuntao» Chuntao 春桃 di Xu Dishan 许地闪 (1893-1941), descrive un ménage à trois fra una donna e due uomini è «Il cane celeste» Tiangou 天狗 (1986) di Jia Pingwa 贾平凹 (1953-). Il cane celeste del titolo è un altro elemento mitico che rinvia all’essenza archetipica del desiderio e alla sua insopprimibile 94

Altri racconti dello stesso autore che si concentrano sul timore di una perdita dei valori maschili nella Nuova epoca sono «Testimoni inattendibili» Xu zheng 虚证 (1989) e «La porta dell’inverno» Dong zhi men 冬之门 (1992), sempre di Liu Heng che, insieme a Zhang Xianliang e Jia Pingwa 贾平凹 (1953-), è forse l’autore che con più evidenza si concentra sui temi della sessualità e del desiderio maschile. Nel primo di questi due racconti, Xu zheng, ritorna il conflitto e la discrasia fra doxa (l’opinione generale) e aletheia (la verità) che dal punto di vista narrativo si trasforma nell’inattendibilità del narratore o della narrazione e dal punto di vista dell’identità rende bene la difficoltà di rintracciarne e di darne un fondamento stabile. La storia è la ricerca dei motivi per cui un amico del narratore, Guo Puyun, si è tolto la vita annegandosi. Guo lavorava come operaio in una fabbrica vicino a Pechino, ma frequentava anche un corso di istruzione per adulti, aveva delle ambizioni letterarie ed era anche un provetto ballerino. Tuttavia, nella sua vita le cose non andavano per il meglio: per quanto fosse attraente per le donne non riusciva a parlare con loro, diventava nervoso e timido, e all’età di trentasei anni era ancora celibe. Le voci che circolavano era che avesse avuto una relazione con la sua maestra di ballo quando era diciottenne ma si diceva anche che fosse invidioso del successo degli amici, che fosse impotente, che fosse drogato, che cedesse spesso a pratiche onanistiche che producevano in lui un profondo senso di colpa, che provasse vergogna per essere stato accusato (ingiustamente) di aver rubato all’interno della sua unità di lavoro, o anche che fosse omosessuale e che una di queste o tutte queste ragioni lo avessero spinto al suicidio. Tutti gli amici, del resto, pur sentendolo spesso parlare dell’inutilità dell’esistenza, non lo avevano preso sul serio, pensando che non ci fosse nulla nella sua vita di cui potersi legittimamente lamentare e che il suo celibato fosse in realtà una sua scelta. Guo Puyun si sentiva emarginato e ridicolo, soprattutto dopo che, in seguito ad un incidente, il dermatologo gli aveva schiarito la pelle attorno ad un occhio: a quel punto si sente davvero un pagliaccio deriso da tutti. Il sospetto intorno alla sua impotenza fa pensare al narratore, poi, che l’incapacità erettile e fallica avesse compromesso anche la sua capacità intellettuale, e che non si sentisse più capace di creare. Il pene viene definito spirito e carne, un organo riproduttivo che contiene pensiero e aspirazioni umane. Nel finale la storia però si rivela esplicitamente fittizia – anticipando la dichiarazione di inaffidabilità della letteratura nella corrente d’avanguardia – quando il narratore si tradisce come il vero testimone inattendibile perché riferisce dialoghi che non avrebbe potuto sentire e si rivolge allo stesso amico suicida confessando di essersi mosso volutamente fra realtà e finzione. Qualunque

presenza nella natura umana. Da notare poi che il desiderio è incarnato dalla donna, sia come agente attivo che come oggetto passivo. 95 fosse la ragione del gesto estremo dell’amico, il narratore sembra convinto – e di questo trova una prova nel dialogo avuto con l’amico pochi giorni prima che morisse – che egli cioè non fosse in grado di sopportare alcuna sofferenza. Se la mascolinità è anche la capacità di sopportare grandi dolori e di uscirne rafforzato, l’amico purtroppo aveva ceduto al senso di ansia che si accompagna ad ogni ciclica crisi della mascolinità. Ciò che Guo Puyun voleva era l’estasi della creazione artistica ma, preso in trappola fra la realtà e l’immaginazione, ottenne solo la durezza delle sofferenze umane, che non era abbastanza tenace da sopportare. In Dong zhi men il protagonista maschile, rappresentante di una mascolinità marginale e angosciata, desidera senza poterla avere una donna che non è “abbastanza uomo” per poter avere.88 Il protagonista è ignorato da uomini e donne e rappresenta così il maschio invisibile e impotente, la cui immagine nel corso del tempo però viene caricata dei caratteri del vero uomo per poter così riaffermare il mito del potere maschile in una società ancora fortemente patriarcale (Zhong 2000, p. 80-83). Se la mascolinità era sotto assedio e l’ansia degli uomini cinesi aumentava sempre più nel confronto con immagini ritenute più mascoline nella produzione culturale straniera, la prima risposta data nella rappresentazione sarà la scelta di una mascolinità sovversiva dell’ortodossia: quella dei ribelli, dei briganti, dei fuorilegge. Viene quindi ripresa la figura, simile all’eroe dei film d’azione, lo haohan possente, violento e istintivo, per rinnovare e rafforzare la concezione cinese del maschio virile. Tuttavia, considerata l’importanza ancora e sempre attribuita alla famiglia anche nella definizione della mascolinità, queste figure apparivano ancora come marginali e perfino infantili. La loro incapacità di formare una famiglia infatti può spiegare la loro natura sanguigna, antisociale e prepotentemente maschilista (Ownby 2002). Già durante il periodo della Rivoluzione Culturale, soprattutto fra i giovani maschi delle città, si diffuse un crescente senso di smarrimento: il conformismo era premiato sopra ogni cosa e qualunque ambizione o esibizione di individualità erano condannate come pericolose deviazioni. L’infallibilità della figura paterna rappresentata da Mao però cominciò ad essere

88 Personaggio emarginato, come molti protagonisti della narrativa del periodo, Gu Shicai è un cuoco che in un villaggio dello Hebei, durante l’occupazione giapponese e lavora per gli invasori. Anni prima aveva lavorato in un forno il cui proprietario, divenuto oppiomane, aveva mandato in fallimento l’azienda per poi morire, mentre la figlia Shunying, di cui Gu era innamorato, era fuggita con un medico. Dopo la morte di quest’ultimo, Shunying ritorna al villaggio con una figlia e riapre il negozio del padre. Gu è ancora innamorato di Shunying ma lei nemmeno si ricorda di lui e lo ignora come del resto fanno tutti, che al massimo lo considerano oggetto di scherno. Shunying è oggetto di una corte aggressiva da parte dei collaborazionisti, alla quale Gu si oppone. Dopo che questi avevano umiliato Gu, essi vengono trovati morti e sembra che sia opera di Gu. Gu si dichiata a Shunying, dicendole anche di aver ucciso i suoi molesti pretendenti, ma lei non gli crede e lui la aggredisce e la uccide. Poco oltre però si scopre che era tutta una fantasia dello stesso Gu concepita mentre il padre di Shunying gli stava dicendo che se ne era andata dal villaggio con il forte e coraggioso fratellastro di Gu Shicai, che aveva ucciso i giapponesi e i collaborazionisti insieme a Shunying. Alla fine Gu avvelena il pasto dei giapponesi e dei collaborazionisti e si addentra in un campo minato per morire. Nelle ultime pagine scopriamo che la leggenda di Gu Shicai come indomito e impavido uccisore di nemici ancora circolava nel villaggio (Moran 2013, p. 164). 96 messa in discussione, come anche la devozione obbligatoriamente dovutagli. Le reazioni di fronte alla crisi provocata dalla rieducazione e dall’esilio nelle campagne produsse risposte diverse da parte dei giovani: alcuni si gettarono nel lavoro rivoluzionario, altri divennero del tutto apatici e nichilisti disperando per il futuro e così perdevano tempo inutilmente, rifiutando i modelli ufficiali della mascolinità, senza però saper crearne di nuovi. In questo caso occorre considerare lo smarrimento di alcune precise figure giovanili vissute invece nel culto di una sfrenata libertà giovanile, ossia dei giovani liumang 流氓 «i teppisti» (detti anche pizi 痞子) che popoleranno le storie di Wang Shuo 王朔 (1958-), rappresentanti di una controcultura che mirava a preservare l’eredità del ribellismo giovanile maoista in una società, quella della Cina postmaoista, che si riteneva molto più decorosa (Barmé 1992), ma anche molto felicemente smemorata. Essi, lungi dall’essere semplicemente i reietti e gli emarginati della nuova società delle riforme, erano i figli della nomenklatura comunista che nel periodo della Rivoluzione Culturale erano rimasti nelle città a scorrazzare liberamente, bulli spavaldi e arroganti, per le strade deserte, dando libero sfogo alla propria smania di sopraffazione e alle proprie esibizioni di immatura e prepotente mascolinità, soprattutto nei confronti delle ragazze della gang (Yao 2004).89 Nel loro caso, anche in seguito, fu proprio questo sfacciato e arrogante sfoggio di cinismo, di individualismo e anche di una rude mascolinità, riassunta nell’appellativo ye 爷, tipico del dialetto di Pechino,90 che verrà usato da loro come un titolo di nobiltà decaduta di fronte alle nuove figure dell’uomo “vincente” nella nuova società, in particolare il «riccone» dakuan 大款 e gli intellettuali, colpevoli di «opprimere la società cinese non meno che il potere politico» (Fumian 2012, p. 69). Il loro modello di mascolinità era un genere di mascolinità wu ispirato soprattutto a quello tradizionale dell’«uomo animoso» haohan 好汉 (Casacchia, Bai 2013, p. 610) i cui migliori esempi sono gli eroi del romanzo Shuihu zhuan, fra i quali vige un legame strettissimo fondato sul concetto di cameratismo e di fratellanza omosociale (McIsaac 2000; Mann 2000). Molti di questi nuovi eroi del Liangshanpo, anche senza essere teppistelli, delinquenti, ladruncoli e ruffiani, iniziarono a pensare di essere gli unici sudditi fedeli di un imperatore

89 Riferendosi in particolare all’opera memorialistica di Liang Heng 梁恒 (1954-), scritto con la moglie Judith Shapiro, Son of the Revolution (1983), Emily Honig (2003) descrive come questi giovani delle bande cittadine nel periodo della Rivoluzione Culturale si giurassero fedeltà reciproca come fratelli giurati davanti al ritratto di Mao e passassero le proprie giornate ad azzuffarsi, a bere, fumare sigarette e conquistare le ragazze. Le fidanzate, identificate come appartenenti ad un gruppo o ad un membro di una gang, spesso diventavano il bersaglio delle bande rivali. 90 «It has the implication of a man’s being the master of, or superior to, others, and it i salso a marker that implies a kind of male attitude, which is cocky, self-assured, and sometimes rude.» (Zhong 2000, p.115). La stessa Zhong Xueping sottolinea anche che l’atteggiamento da ye 大爷 rivela la consapevolezza, non solo in Wang Shuo 王朔 (1958-), ma anche in altri autori del periodo, della marginalità maschile e l’obiettivo di restaurare una maggiore virilità nella definizione dell’identità maschile. 97 che era stato tradito da funzionari senza scrupoli e di uno Stato sprofondato nell’anarchia; anch’essi rifiutavano il modello astratto di Lei Feng, per avvicinarsi piuttosto alle figure dei ribelli della narrativa popolare tradizionale. In una società ossessionata dalla perdita della mascolinità dei suoi uomini, e quindi della guida tradizionale del Paese e che stava entrando in un’epoca piena di contraddizioni e di incognite, era forse naturale che in larga parte del discorso e della rappresentazione riapparissero figure della mascolinità muscolare, violenta ed estremamente virile quali i banditi del romanzo Hong gaoliang jiazu di Mo Yan, frutto del ricordo dei banditi della tradizione e degli ideali maschili del maoismo. Come per gli eroi dello Shuihu zhuan la mascolinità dei personaggi di Mo Yan ruota spesso attorno alla misoginia e alla violenza: per ritrovare una mascolinità primitiva addirittura preconfuciana, si riafferma un «brutale potere maschile» che era una forma di reazione contro l’emasculazione dovuta a decenni di oppressione politica e contro la retorica della parità di genere nella propaganda maoista (Feuerwerker 1998, pp. 216-217). La particolarità di queste figure estremamente virili è anche di essere legate fra loro da vincoli di fratellanza e di lealtà, sul modello degli eroi di un altro grande romanzo tradizionale, il «Il romanzo dei tre regni» Sanguo zhi yanyi 三国志 演义. Infatti, il termine specifico per indicare il legame che unisce questi fratelli giurati (gemen’r 哥们儿) è appunto yiqi 义气, il «codice d’onore, [il] senso dell’onore» (Casacchia 2013, p. 1727). Per questo tutti coloro che non riuscivano ad essere all’altezza della nuova mascolinità ideale ed egemonica, quella dell’uomo d’affari, del tecnico, del salaryman, del consumatore, adottarono una versione alternativa e militante per confermare la propria soggettività maschile; e questo vale non solo per i piccoli delinquenti nostalgici del maoismo ma anche per i lavoratori immigrati dalle campagne, ancorati ai valori del passato e dotati della sola forza fisica per affermarsi nella modernità.91 La celebrazione della mascolinità marginale però si ritrova principalmente nelle narrazioni della «Ricerca delle radici»: i racconti di Zheng Wanlong descrivono personaggi maschili estremamente virili ma sempre ai margini della civiltà cinese e della società, come anche gli antieroi di Wang Shuo e gli altri personaggi deformi, malati e paranoici del periodo, che rimandano agli effetti traumatici dell’ideologia che si nota anche nel Kuangren riji. Molti personaggi della narrativa di questo periodo sono caratterizzati infatti da evidenti difficoltà a relazionarsi con il mondo, da alienazione e paura, dalla pura espressione di sé senza alcun

91 Anche il cinema, soprattutto quello di Hong Kong importato sul continente, contribuì con i film di arti marziali e di gangster alla diffusione del modello dello haohan e dei valori ad esso associati: la fratellanza, un machismo spesso violento e, soprattutto nel caso di film storici di arti marziali (spesso ambientati in momenti di crisi politica e sociale della storia cinese) l’idea per cui la salvezza nazionale fosse legata a doppio filo alla difesa della virilità dei cinesi. 98 confronto con il resto del mondo. Quest’emarginazione e la conseguente frantumazione del soggetto, fino a poco prima considerato cartesianamente unitario, è il frutto del trauma, diretto o indiretto (nel caso di scrittori più giovani) delle persecuzioni politiche, sedimentato nell’inconscio collettivo ma mai del tutto risolto. Han Shaogong, ad esempio, trova nei suoi personaggi afasici e in particolare nel protagonista del romanzo «Pa pa pa» Ba ba ba 爸爸 爸 (1985), il ritorno dell’intellettuale come soggetto che conosce e desidera e che è stato a lungo zittito dal partito ma che ha trovato un nuovo modo di esprimersi (Zhong 2000, p. 108). I personaggi mentalmente o fisicamente menomati inoltre rappresentano l’illusorietà della speranza nel progresso e nell’evoluzione lineare della storia verso la modernità, e spingono a riconsiderare il passato e le sue ferite ancora aperte (Choy 2008, pp. 234-235). La stessa intrusione dell’elemento patologico e della deformità si nota anche nella forma: la stessa narrazione si fa sempre più sconnessa e impenetrabile. Anche Mo Yan in Hong gaoliang jiazu esprime un confronto diretto fra il “sorgo degno” degli antenati e il “sorgo indegno” della voce narrante, rappresentata dal nipote dei protagonisti, che si sente inferiore e privo della mascolinità libera, passionale e sfrenata del nonno. Questo è anche un confronto fra diverse versioni della mascolinità ancora compresenti e sovrapposte nel contesto storico degli anni Ottanta: la campagna ancora preservava quelle qualità maschili del passato che molti zhiqing avevano osservato e ammirato durante la loro rieducazione. Come nel caso dei giovani istruiti, comunque, anche qui il sottotesto è molto critico: se la mascolinità è andata perduta, la colpa è di chi ha oppresso e sconvolto i maschi cinesi. Il fatto che il nonno del romanzo non sia in alcun modo condizionato dall’ideologia, nemmeno come partigiano antigiapponese, rafforza ancor più l’equazione fra mascolinità e libertà ideologica. Dal disprezzo di sé stesso e dal desiderio di essere qualcosa di meglio, come in Hong gaoliang jiazu, e quindi dal riconoscimento di sé (che è anche un riconoscimento della propria indegnità da parte altrui) inizia l’identificazione con un oggetto preferibile, che spesso è una figura maschile più forte e virile (Zhong 2000, p. 139). Un mascolinità energica e sanguigna quale quella decantata dai cercatori delle radici non è certo quella più desiderabile: non lo era nella tradizione confuciana e probabilmente non lo era nemmeno nell’epoca postmaoista, ma la sua celebrazione è l’espressione di una rivolta contro l’ordine simbolico non soltanto confuciano (a cui Han Shaogong oppone la riscoperta della tradizione di Chu 楚) ma soprattutto maoista e comunista. Non si deve poi sottovalutare la critica culturale alla modernità contemporanea degli autori, e in particolare allo sviluppo economico e alla società dei consumi. Come antropologi che si rechino nella giungla per capire, attraverso lo studio delle società primitive, 99 i meccanismi psicologici e sociali più profondi che nella propria cultura ormai non si notano più, gli autori della «Ricerca delle radici» partono (metaforicamente) alla ricerca dei valori scomparsi o minacciati di estinzione nella società moderna. Nell’ambito del dibattito sulla soggettività, questi autori riscoprono la memoria profonda della cultura cinese e l’esperienza personale, soggettiva della storia: il pensiero intuitivo contro la razionalità oggettiva, che conduce anche nella forma letteraria all’esplorazione dell’inconscio – individuale o collettivo – e di stati alterati o prerazionali della coscienza, è la guida per esperire in maniera innovativa ed eversiva il presente e il passato. Questa memoria profonda della cultura cinese è incarnata anche nei corpi e la polemica implicita nella riscoperta della mascolinità primitiva si nota anche nella tecnica letteraria, che è estremamente moderna e modernista e riecheggia lo sperimentalismo di Shen Congwen 沈从文 (1902-1988). Lo scopo della ricerca degli autori (maschi) della «Ricerca delle radici» sarà soprattutto il tentativo di trovare una cura al trauma storico per il singolo e un nuovo mondo di significati al di fuori della cultura ufficiale e della modernità, considerando a quale punto l’ortodossia violenta e la «dialettica dell’illuminismo» avevano condotto la Cina. Cantando tutto ciò che era stato per secoli marginale intendevano anche liberarsi del complesso di marginalizzazione che li colpiva come uomini, opponendo in alcuni casi anche una comprensione intuitiva, spontanea e più profondamente umana dei lavoratori e delle persone semplici alle astratte costruzioni razionali del discorso ufficiale maoista, mettendo a contrasto in modo romantico natura e cultura. Come il narratore di Hong gaoliang jiazu, anche altri autori della corrente erano preoccupati della degenerazione della stirpe cinese (zhong de tuihua 种的退化) e in particolare degli uomini e della loro qualità: per questo la natura diventa la fonte della forza vitale da riscoprire e rianimare. Il tema del ritorno è ricorrente e quindi anche il recupero del passato e dell’autentica identità cinese, spesso rintracciata nei simboli della natura come i fiumi di Zhang Chengzhi e in particolare il Fiume Giallo, e nelle persone che vivono maggiormente a contatto con la natura. La ricerca della potenza maschile nelle terre selvagge era anche la rivendicazione della potenza e della forza della nazione cinese. Come in altri momenti della storia cinese, ripartire significa anche rileggere e reinterpretare la storia, letteraria e politica, alla luce delle nuove possibilità discorsive che il potere offriva o concedeva e preparare un nuovo inizio. Anche in questo caso, come nel Quattro Maggio, la preoccupazione fondamentale degli intellettuali era definire cosa significasse essere cinese, che cosa fosse o dovesse essere la cultura e la letteratura cinese di fronte al mondo e in che modo gli intellettuali avrebbero dovuto affrontare i cambiamenti della modernità e diventare ancora una volta (dopo l’epoca imperiale e ora dopo l’epoca maoista) i fautori e i campioni 100 del rinnovamento. La «Ricerca delle radici» serviva a riaffermare la forza degli uomini cinesi, degli intellettuali (maschi) cinesi e della Cina agli occhi del mondo, che sembrava poter giudicare il Paese solo in base alla situazione storica e politica appena conclusa, e con esso il pubblico cinese. In sostanza, il recupero di figure maschili potenti e forti, da poter senza vergogna opporre a quelle provenienti dall’estero, avrebbe consentito di superare la debolezza dei maschi cinesi provocata da secoli di confucianesimo e soprattutto di maoismo. Quando gli autori della «Ricerca delle Radici» infatti sostenevano la cultura di Chu contro quella confuciana in realtà volevano soprattutto contestare il dominio egemonico di un’ideologia ufficiale, e quindi con tutta evidenza si riferivano soprattutto all’ideologia comunista. Nelle storie di Zheng Wanlong, per esempio, l’indagine sulle variegate radici della nazione cinese è anche una ricerca dell’identità del singolo, dello scrittore e del maschio, che nella figura del “vero uomo” può trovare anche una soluzione all’alienazione, sociale, nazionale, culturale e di genere. Nelle terre selvagge degli Oroqen ciò che è civilizzato è diverso nettamente da ciò che è arcaico, ciò che è Han non è affatto appartenente all’etnia locale, ciò che è cinese si rivela ben più complesso della vulgata tradizionale, ciò che maschile è nettamente diverso dal femminile. Riprendendo le tre scene fondamentali individuate da Mosher e Tomkins (1988), Louie (1992, p. 1122) individua nei racconti di Zheng Wanlong (1993) la scena di combattimento, la scena di pericolo e la scena di sesso rude. Tutti questi sono momenti, riti di passaggio, per la formazione del “vero uomo” nella sua versione più virile. Le sue storie, sorta di western cinesi in cui gli Han vivono in mezzo a selvagge minoranze etniche, esibiscono da un lato una certa tenera nostalgia per un passato perduto, dall’altro solleticano il sadismo inconscio del lettore di fronte alle scene di violenza razionalizzata dalla tradizione locale (definita a volte superstizione ma ancor più spesso fedeltà, zhong 忠 o yi 义). Se la minoranza etnica offre al lettore Han l’Altro archetipico con il quale esperire lo straniamento, con il quale confrontarsi e così indagare e ricercare sé stesso; ecco che valori considerato superati o perfino ridicolizzati in un contesto più “civilizzato” possono essere nuovamente nobilitati per superare l’alienazione. I valori del sacrificio, della sofferenza, della comunità, il rispetto per uomini capaci di grandi imprese e di atti di eroismo e la religione,92 sono presenti nelle storie di Zheng Wanlong e contrastano secondo Louie (1992) con il fatalismo tipicamente confuciano, che pervadeva gran parte della narrativa postmaoista e che mancava invece in questo genere di narrativa, che offriva una soluzione

92 Intesa molto generalmente come esperienza dello spirito: daoista, buddhista, animista, totemica, sciamanica ecc. La stessa attenzione è presente anche nelle opere di altri autori della «Ricerca delle radici», principalmente in Ah Cheng, ispirato dal daoismo e dal buddhismo. 101 ben diversa all’alienazione di cui si discuteva nuovamente negli anni Ottanta. Il ritorno alla natura e ai valori più genuini della vita dei pastori delle steppe erano una via di fuga dall’oggettivazione degli esseri umani realizzata dal potere alienante di un’ideologia che aveva l’aspetto di religione trascendente e dalla produzione di massa. Questo ritorno alla natura era anche, in termini psicanalitici, un recupero della sessualità e del desiderio sessuale e per gli uomini questo significava la pienezza della propria mascolinità, ritrovata proprio nel contatto con la natura e nel confronto/scontro con le persone più vicine alla natura e alla naturalità del desiderio. La «Letteratura della ricerca delle radici» era anche ed essenzialmente un progetto maschile, un tentativo di dare una risposta alla mancanza di veri uomini per le scrittrici e per gli scrittori usciti dalla Rivoluzione Culturale. Poiché avevano creato un discorso contrario alla deprecata mancanza di veri uomini, Cao Wenxuan 曹文轩 considera veri uomini autori come Jiang Zilong, Zhang Xianliang, Zhang Chengzhi e Liang Xiaosheng; le caratteristiche individuate dal critico negli eroi di questi autori sono: un aspetto esteriore freddo con sentimenti nascosti, una volontà indistruttibile, una straordinaria durezza e resistenza e uno spirito che non può essere piegato (citato in Louie 1991, p. 167). Uno degli autori che parteciparono alla ricostruzione della mascolinità nella letteratura in questo periodo e oltre fu Jia Pingwa. Una delle storie dell’autore che si possono collocare in questo primo periodo è «L’estremo dell’essere umano» Renji 人极 (1985), che descrive la vita di due personaggi estremamente virili durante e dopo la Rivoluzione Culturale, Guangzi e Lamao. Si tratta di due fratelli giurati, come gli eroi haohan e i wuxia 武侠 della letteratura cavalleresca. Essi si guadagnano da vivere castrando maiali e nei primi anni della Rivoluzione Culturale salvano una bella giovane, Liangliang, da una piena; il giorno successivo Guangzi torna a lavoro mentre Lamao durante la notte ha avuto un rapporto sessuale con la ragazza, che si sentiva in obbligo nei suoi confronti. Guangzi è furioso perché il fratello giurato si è lasciato andare come un animale (gli stessi che loro castravano) e Lamao si suicida, mentre la ragazza sparisce. Guangzi, in lutto per la morte del fratello, smette di castrare maiali e si dedica al ricordo dell’amico morto. Dopo i tre anni del lutto, durante una carestia Guangzi incontra un’altra donna, una contadina ridotta a mendicare; violentata da un gruppo di “rivoluzionari” e rimasta incinta, viene sposata da Guangzi. Il figlio rimane con lui dopo che la donna, già sposata, viene ritrovata dal primo marito e portata via. Si viene a sapere che poco dopo morirà di maltrattamenti da parte del marito. Guangzi ritorna pian piano alla normalità: torna a fare il castratore di maiali e cresce da solo il figlio. Nel frattempo, la Rivoluzione Culturale finisce e Guangzi incontra nuovamente 102

Liangliang, che era stata imprigionata insieme al padre, un insegnante, e viene a sapere che dal suo rapporto con Lamao era nata una figlia, andata perduta dopo il suo arresto. Lei è decisa a rovesciare la condanna del padre e ottenere giustizia. I due si sposano e risparmiano abbastanza denaro perché lei possa andare a Pechino a redimere la memoria del padre. Riesce nella sua impresa e ottiene il posto di insegnante in una scuola vicino a Pechino ma Guangzi non è in grado di adattarsi alla vita cittadina e sono così costretti a vivere vite separate. Il figlio di Guangzi cresce con la matrigna, che morirà dopo pochi anni. Al suo funerale Guangzi non mostra alcun segno di dolore e di tristezza ma da quel momento sarà sempre più introvertito e malinconico e penserà ad una possibile unione fra il proprio figlio e la figlia smarrita di Liangliang e di Lamao. Guangzi è il perfetto maschio rude, forte, incapace di compromessi, la cui mascolinità viene descritta come puramente esteriore, fisica e la cui interiorità riflette la stessa decisione, purezza e compattezza morale. Il simbolismo che si può identificare nella storia è lo stesso per molti versi presente in altre narrazioni: i due elementi più ricorrenti infatti sono l’acqua – elemento yin per eccellenza – dal quale la donna viene salvata, e la castrazione, metafora della perdita di virilità che ritorna ad esempio ne «L’età dell’oro» Huangjin shidai 黄金时代 (1992) di Wang Xiaobo e anche in Nanren de yiban shi nüren di Zhang Xianliang. Guangzi, inoltre, è la sintesi della mascolinità anche nella sua capacità di resistere alle tentazioni della carne e alla seduzione dell’altro sesso, come Guan Yu 关羽, personaggio storico-letterario del romanzo Sanguo zhi yanyi e considerato nume tutelare della mascolinità (Louie 2002). Solo i veri uomini, infatti, quelli maggiormente definiti in termini wu, sanno contenere il proprio desiderio: in questo modo dimostrano non di averlo superato o sublimato ma di esserne consapevoli e non ne rimangono vittime come le donne, succubi del possesso anche carnale di violentatori e mariti brutali, che vengono in questo modo esclusi dal novero dei veri uomini. La donna è invece l’elemento che giunge a rompere l’idillio maschile fra Guangzi e Lamao, che sappiamo essere stati promessi in matrimonio dai rispettivi genitori prima della loro nascita e sono evidentemente due gemen’r 哥们儿 immersi nella natura, come gli haohan del passato e come i liumang di Wang Shuo nel nuovo ambiente urbano. L’autocontrollo e il dominio del desiderio individuale si combinano e si articolano nello spazio-tempo della nuova Cina intersecando diversi discorsi, quello confuciano che prescrive il controllo come suprema qualità del gentiluomo che intende esercitare il governo sugli altri; quello della mascolinità “marginale” dei briganti del passato, definiti principalmente dalla loro solidarietà e dal loro cameratismo e dal relativo disprezzo per le donne, che possono essere un elemento di divisione e di discordia fra loro; e infine il discorso proveniente dall’estero del gentleman. 103

In questo caso, quella che nei tempi classici era la mascolinità marginale dei banditi diventa ora l’alternativa muscolare, non priva di una relativa nobiltà, per la riaffermazione della mascolinità fra la classe lavoratrice. Questo tipo di mascolinità relativamente rude e spontanea, ammirata e celebrata durante la Rivoluzione Culturale, serviva anche a ridare agli scrittori una rinnovata fiducia e una nuova dignità maschile, trovando al tempo stesso un senso alla propria esperienza della rieducazione. Diversamente dagli eroi borghesi creati da scrittori come Jiang Zilong, uomini che le donne possono desiderare e che gli uomini vorrebbero imitare, gli esempi maschili marginali che appaiono nelle narrazioni della «Ricerca delle radici» sono in un certo senso dei «macho eunuchs» (Louie 1991) poiché in realtà sono esclusi dalla vita familiare e spesso non hanno una prole e sono privi di qualunque forma di potere. Siamo comunque ancora in una fase di passaggio, in cui sopravvivono elementi della mascolinità proletaria precedente e ancora non sono state tracciate le nuove definizioni della mascolinità normativa del nuovo periodo. Per questo alcuni elementi della mascolinità confuciana si possono mescolare alle rappresentazioni di altri modelli maschili, mentre i rapporti fra classe, genere e potere sono ancora in corso di assestamento, sia nell’ambito simbolico che nell’ambito sociale e politico. Lo stesso autore è importante per tracciare il percorso degli intellettuali nella loro riflessione sulla mascolinità e sul destino della letteratura ben oltre il primo periodo postmaoista, e anche dopo i fatti di Tian’an men del 1989. Dopo quel momento di svolta, non solo politico ma anche culturale, gli intellettuali capirono l’inutilità e il rischio di pretendere di poter essere ancora una volta gli artefici e i promotori del cambiamento politico e ripiegarono, insieme al pubblico, su tematiche molto più intimiste e disimpegnate. Molti autori divennero uomini d’affari gettandosi nel mare e l’opera letteraria divenne ben presto un prodotto fra tanti, una merce da scambiare sul mercato letterario, in cui la promozione, del testo, dell’autore e dei contenuti iniziavano a giocare un ruolo decisivo. Il declino e il definitivo tramonto della mascolinità come componente decisiva dell’identità dell’intellettuale, sia nella sua versione macho, che nella sua versione tradizionalmente confuciana e “morbida” si avrà negli anni Novanta, quando emergeranno altri fattori decisivi per la definizione di sé che si collocano in corrispondenza di rinnovate intersezioni dei concetti di classe, prestigio sociale, potere economico e genere. La sanzione del successo economico diventa giustificazione morale e sociale del trionfo anche in termini di genere e allora si possono moltiplicare la versioni esteriori della mascolinità, mantenendo comunque il comune denominatore della superiorità sociale. Cantanti rock e attori dalle fattezze femminee, idoli delle giovani teenager, possono rappresentare una mascolinità desiderabile allo stesso livello

104 di quella incarnata dall’uomo d’affari cosmopolita. Nel primo caso il successo è dato soprattutto, oltre che dal guadagno e dalla visibilità nei media, dall’ammirazione dell’altro sesso; nel secondo caso invece il modello è desiderabile in termini di status, tanto per gli uomini che per donne. L’intellettuale, lo scrittore, il wenren confuciano (nei suoi diversi avatar, dal magistrato incorruttibile al funzionario comunista, al direttore della fabbrica ecc.) smettono in questa fase storica e sociale di godere dello stesso prestigio che era loro tributato nel passato e gli stessi autori se ne accorgono dolorosamente: alcuni decidono di adattarsi al nuovo contesto diventando essi stessi uomini d’affari, come Zhang Xianliang, altri descrivono nelle proprie opere la fine dell’autorità sociale e testuale dell’uomo di cultura. L’esempio migliore della decadenza della letteratura socialmente e politicamente impegnata, che dava anche ai suoi autori (maschi) almeno l’illusione testuale di essere l’élite intellettuale e quindi la guida e il modello del popolo, è il romanzo di Jia Pingwa «Capitale in rovina» Feidu 废都 (1993). Nel romanzo viene trattato proprio il declino della figura del fragile scholar (Song 2004), che nella letteratura tradizionale aveva sempre prevalso sulle altre forme più virili della mascolinità, nonostante il suo sentimentalismo e la sua fragilità, proprio grazie alla sua vocazione a governare e soprattutto al predominio testuale dei letterati, che descrivevano sé stessi come i più desiderabili fra gli uomini. In un mondo in cui il controllo della scrittura significava anche il monopolio simbolico della rappresentazione era più che naturale che personaggi letterari fisicamente deboli ma socialmente centrali finissero per raffigurare la versione più attraente del maschio. 93 Secondo Zhong (2007) Jia Pingwa, ancora ossessionato dalla «ricerca di veri uomini», tenta di ricreare la centralità dell’intellettuale riportando la mascolinità nell’ambito del sublime e della decadenza dei tempi classici, evocando, anche con i riferimenti alle prodezze sessuali del protagonista, classici quali il «Jin ping mei» Jin ping mei 金瓶梅 e il «Sogno della camera rossa» Honglou meng 红楼梦. Tentando di rimettere al centro la figura dell’eroe della mascolinità intellettuale, Jia Pingwa dimostra tutta la disperata nostalgia di una generazione di scrittori ormai privati della capacità di farsi sentire dal popolo e dal governo a causa della recente repressione di Tian’an men e del rilancio delle riforme da parte di Deng nel 1992. La storia vede protagonista Zhuang Zhidie 庄之碟, scrittore che vive nella città di Xijing 西京, versione fittizia di Xi’an

93 Da notare anche che storicamente, soprattutto durante i periodi di dominazione straniera quali la dinastia Qing, gli Han consideravano la vigoria fisica e le arti marziali come pratiche barbariche, tipiche di invasori la cui unica giustificazione a governare risiedeva nella forza bruta. 105

西安, al culmine della sua carriera ma vittima di una crisi di mezza età e del blocco dello scrittore. Il suo matrimonio sta andando a rotoli: mentre la moglie vorrebbe avere un figlio, lui è afflitto dall’impotenza. Tuttavia, rimane attraente per molte donne a causa della sua fama. Per ritrovare la sua identità e soprattutto la sua mascolinità, fa sesso con molte donne, fra cui una in particolare, che lo aiuterà a recuperare la sua potenza maschile.94 Un problema ulteriore nasce da una causa legale che gli viene intentata per la pubblicazione da parte di un giovane scrittore di una storia basata sulla relazione amorosa che Zhuang aveva avuto nei suoi primi tempi a Xijing con quella che ora era divenuta una donna molto potente nei circoli letterari della città e che fa causa all’autore e a Zhuang, ritenuto la fonte dei particolari della storia. Zhuang e l’autore del racconto, che rappresenta un vero e proprio alter ego del protagonista, sia per il destino condiviso che per il fatto di avere rapporti sessuali con la stessa amante, perdono la causa. Zhuang rinuncia a fare lo scrittore, lascia la moglie e infine parte per andare verso sud ma ha un infarto e sviene mentre è ancora seduto in treno. La stessa illusorietà del tentativo del protagonista di essere un maschio completo e desiderabile nella sua identità di intellettuale è rivelata dal nome del protagonista, Zhuang Zhidie che significa appunto «La farfalla di Zhuang», con evidentissimo riferimento all’aneddoto della farfalla del filosofo daoista Zhuangzi 庄子, metafora dell’inconsistenza dell’identità e della fragilità della coscienza. Incapace di trovare sicuri riferimenti a cui ancorare la propria identità e il proprio prestigio di scrittore, il protagonista resta sempre a metà nel suo percorso verso la piena mascolinità. Alienato e isolato, il protagonista cerca di affermarsi attraverso l’attività intellettuale, in particolare con lo strumento linguistico, e poi si afferma anche con una notevole attività sessuale. Tuttavia sembra dipendere sempre dall’altro sesso per sentirsi confermare nella propria identità di genere e questa relazione sembra fare di lui un bambino bisognoso di conferme materne e quindi l’antitesi del maschio. Il suo fascino nei confronti delle donne, però, dura solo finché resiste il suo potere testuale: allorché smette di essere uno scrittore famoso perde anche il suo potere di attrazione (Wang Yiyan 2003). Il senso di colpa e di ansia sfocia perfino nell’impotenza, frutto psicologico delle difficoltà degli intellettuali dell’epoca di trovare una nuova posizione nella crescente letteratura di mercato e nel mondo in cui si sta inserendo la Cina. Il protagonista non esprime più alcun lato valore sociale, non soffre per una causa più grande né sublima il desiderio sessuale in un superiore progetto culturale; spreca il suo tempo e la sua vita girando in tondo, esibendo come in «Città

94 A causa delle scene di sesso particolarmente esplicite, il romanzo fu bandito nella Repubblica Popolare dal 1994 fino al 2009 e l’autore subì pesanti critiche da parte del mondo letterario; tuttavia, la stessa fama di opera “pornografica” contribuirà al suo successo. L’opera inoltre venne presentata nel mercato letterario come un bestseller e paradossalmente diede inizio alla commercializzazione della letteratura (Lu 2007a) 106 assediata» Weicheng 围城 (1947) di Qian Zhongshu 钱钟书 (1910-1998), la sindrome dell’uomo moderno, mentre le sue energie vengono risucchiate da gesti compulsivi. Un altro elemento altamente simbolico e metaforico del romanzo è lo spazio liminale della cinta muraria urbana, su cui si gioca molto della vicenda: segnando il confine fra lo spazio istituzionale della città e la natura relativamente selvaggia che la circonda identifica la città come lo spazio dell’ortodossia culturale e della produzione testuale (Rojas 2009). Uno dei temi infatti è anche la distanza fra il valore letterario dell’opera e le attese del mercato: sia autori di secondo piano (come l’autore della storia incriminata) che autori affermati come il protagonista si vedono mettere a tacere da parte di poteri anonimi che «usurpano costantemente la loro abilità di controllare il significato dei loro testi e la disseminazione delle loro stesse immagini […]» (p. 273). Ancora, possiamo ritrovare la stessa preoccupazione per la ricerca di una decisa e solida identità maschile fra le autrici della «scrittura femminile», e ancora più fra le autrici ancor più recenti della «scrittura del corpo» shenti xiezuo 身体写作 come Zhou Weihui 周卫慧 (1973-), una delle cosiddette Bad girl writers o «belle scrittrici» meinü zuojia 美女作家 insieme a Mian Mian 棉棉 (1970-). In «Shanghai Baby» Shanghai baobei 上海宝贝 (1999) Zhou Weihui racconta la vita di una ragazza, Nikki 倪可 (detta Coco per la sua ammirazione per Coco Chanel), che misura la mascolinità dei due uomini nella vita della protagonista instaurando un confronto esplicito e corporeo fra un fragile ragazzo cinese, disoccupato e moralmente debole, Tian Tian 天天, psicologicamente ed economicamente succube della madre e che per giunta è tossicodipendente, e Mark 马可, un robusto e prestante ragazzo tedesco sessualmente molto dotato (Zhang 2016, pp. 388-390). Tian Tian, a causa dei suoi complessi e della dipendenza dalla droga è anche impotente, mentre Mark è ipermascolino ed estremamente, rudemente sensuale: «Qui vediamo la dinamica libidinale familiare nel confronto fra Cina e Occidente – ossia la femminilizzazione del maschio cinese e l’ipersessualizzazione del maschio straniero» (Lu 2007b, p. 57).95 Nuove autrici che, partendo da blog e da narrazioni online per poi approdare in libreria, hanno seguito la scia delle prime scrittrici del corpo completando il declino della letteratura pura, della letteratura impegnata e facendo della scrittura una forma di intrattenimento per la nuova borghesia urbana, sono Chun Shu 春树 (1983-) e Mu Zimei 木子美 (1978-). Il massimo dell’esibizione del sesso e del desiderio si ha infatti negli ultimi anni con la

95 Un altro autore che rientra nella scrittura del corpo è sicuramente il critico e scrittore Ge Hongbing 葛红兵 (1968-) e il suo romanzo «Il letto si sabbia» Shachuang 沙床 (2003) (Pozzi 2010), al netto degli aspetti patologici del protagonista, che si riflette anche nella forma, deve molto all’opera di Zhang Xianliang e di Jia Pingwa. 107 diffusione della letteratura su internet, i cui bestseller sono spesso i racconti delle vicende sentimentali e sessuali di giovani donne che capitalizzano il loro potere di seduzione e il voyeurismo dei netizens, che sentono di potersi ritagliare nella rete uno spazio di libertà incomparabile con la realtà concreta, in cui il peso della censura è ancora molto opprimente. Su internet, addirittura, per quanto spesso si faccia sentire l’intrusione dell’autorità sui contenuti visibili, si nota anche una relativa indulgenza verso forme di intrattenimento che possono efficacemente distrarre i cittadini che, nella loro identità di internauti, dirigono la loro attenzione e i loro impulsi di liberazione verso tematiche politicamente inoffensive (Lu 2007b, p. 67). La politica di genere e la sessualità diventano così strumenti di controllo politico, dopo essere stati invece mezzi discorsivi utilizzati dagli scrittori per affermare o almeno dichiarare la propria rivolta contro le costrizioni del biopotere statale. Il tema (e la realtà) della scarsità e della penuria, che aveva alimentato anche a livello libidinale il tema del sesso come liberazione totale del soggetto, ora si trasforma nel suo contrario: una retorica e un’esperienza dell’abbondanza che si traduce a livello discorsivo in un eccesso di percezioni e sensazioni che spesso ha purtroppo un effetto narcotico.

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2. TRAUMA, MEMORIA E RICOSTRUZIONE DELL’IDENTITÀ.

Il dolore e i traumi storici sono divenuti per la letteratura e la cultura cinese del Novecento una componente fondamentale, soprattutto dopo la liberazione del pensiero dalla fine degli anni Settanta. La letteratura il cinema e le arti hanno contribuito enormemente a rinnovare e ricreare le tragedie storiche al di fuori del dominio della storia ufficiale. Le sofferenza provocata dai traumi storici e dall’oppressione politica ebbero effetti devastanti sulla soggettività e su alcune sue singole componenti, fra le quali l’identità di genere. In particolare la percezione di sé da parte degli intellettuali cinesi legava strettamente la propria identità di uomini di cultura e di rappresentanti del potere sociale maschile. Nel caso di Zhang Xianliang, detenuto per vent’anni nel sistema concentrazionario e carcerario della Repubblica Popolare Cinese, l’esperienza della prigionia fu un lungo, doloroso ma costruttivo e originale percorso di riflessione per rielaborare la propria identità di intellettuale e ricostruire la propria mascolinità. Il trauma storico è il punto in cui si legano la storia e la psiche e il loro legame diventa visibile (Silverman 1992). A questo Zhong Xueping (2000) aggiunge un’attiva partecipazione del singolo nella formazione della propria soggettività sul piano sociale, politico, culturale e discorsivo. Il corpo è il luogo fisico e testuale su cui si concentra e agisce con violenza il biopotere. Il trauma e la responsabilità nei confronti di un Paese sempre in pericolo, sia durante il Quattro Maggio che dopo la morte di Mao compromette spesso il rapporto fra soggettività e oggettività, lirico ed epico e ciò che sembra personale diventa «allegoria nazionale» (Jameson 1986) e progetto collettivo. Il soggetto, preso in una rete di relazioni discorsive e testuali, fatica ad emergere davvero come entità a sé stante, soprattutto quando il discorso pubblico agisce talmente in profondità da deformarne la coscienza e i testi stessi diventano lo spazio per la formazione e per la deformazione del soggetto, per la sua costruzione e la sua distruzione. Dopo Mao, il discorso letterario reagì alla costruzione del soggetto comunista e all’enfasi sul corpo collettivo per ricominciare a pensare agli individui come soggetti autonomi, anche se purtroppo spesso ancora condizionati dalle fratture subite e dalle paure che ancora persistevano in loro, risultando quindi delle figure devianti o irrazionali. La deformazione, la costruzione e ricostruzione dei soggetti, sia in epoca maoista che in seguito, non si poté realizzare senza tenere conto dell’ambito ideologico in cui i soggetti erano immersi e del linguaggio che ne rappresentava l’arma principale: l’ideologia «interpella» gli individui come soggetti, come afferma Althusser, e li fa nascere nell’ambito

109 discorsivo e linguistico soggiogandoli e inchiodandoli a precise definizioni. Anche per questo dopo la Rivoluzione Culturale sarà fondamentale rivoltarsi contro lo strapotere del Maospeak. In un’epoca caratterizzata da grandi sconvolgimenti e da immani tragedie, il trauma diventa un’esperienza condivisa e diffusa. Le comunità reagiscono ai traumi cercando anche modi di commemorazione e di elaborazione del lutto, tentando di dare un senso agli eventi traumatici, che, per la loro intensità e spesso per la loro durata non possono essere inscritti nelle normali strutture cognitive e di senso e quindi hanno bisogno di strumenti di narrazione e di rappresentazione eccezionali. Se all’inizio l’opera postmaoista di Zhang Xianliang è ancora fortemente realista, a mano a mano che il ricordo evolve nella sua mente, la sua resa narrativa diventa sempre più onirica, fantastica, frammentaria. Per la sua natura estremamente soggettiva, poi, l’esperienza e il racconto del trauma non può che essere parziale e individuale, ma proprio per questo riesce efficacemente ad opporsi alle grandi narrative monolitiche della storia. Negli anni Ottanta la soggettività riscoperta divenne un criterio guida anche nell’esplorazione degli eventi del passato, e di come erano stati vissuti (o potevano essere vissuti) dai singoli, riempiendo le zone d’ombra della semplice annalistica e di narrazioni celebrative ormai inascoltate. Oltre a frammentare la consapevolezza collettiva dell’evento e a contraddire la sua interpretazione univoca e ufficiale, essa ha anche il merito di garantire la testimonianza dei fatti in tutte le loro parti e secondo molteplici prospettive, permettendo di attivare il processo di interpretazione e di significazione. Per questo i testi letterari sono fondamentali nella produzione del ricordo collettivo e nella conservazione della memoria anche se gli eventi narrati sono diversi dall’esperienza di ogni singolo lettore; in questo modo viene proseguito il progetto umanistico iniziato nel Quattro Maggio di emancipazione della letteratura dalla storiografia. La letteratura inoltre compensa la mancanza di giustizia nella realtà, considerando che, a parte quello della Banda dei Quattro, non ci furono grandi processi o epurazioni dopo la Rivoluzione Culturale. La rappresentazione letteraria, televisiva, cinematografica, oltre a contribuire alla riflessione sulle tragedie del recente passato, hanno salvato gran parte della memoria collettiva dal predominio discorsivo della storiografia ufficiale. Questo è ancor più vero se si considera che spesso l’esperienza traumatica e la sua rielaborazione ammettono la possibilità di una memoria immaginaria: nella letteratura trovano spazio e legittimità anche eventi a metà fra la realtà e l’immaginazione, fra il fatto e la finzione. Lo stesso trauma è una frattura non solo nella coscienza ma anche nella rappresentazione. Diventa difficile collocare in termini

110 spaziali e temporali il trauma, ma è quasi impossibile identificare un luogo del lutto e del dolore se non attraverso il ricordo e la ricostruzione letteraria. Questa «negazione topologica» (Berry 2008, p. 19), cioè la cancellazione dei luoghi fisici della violenza, conferisce alle ricostruzioni letterarie e cinematografiche degli eventi il valore supremo di commemorazioni e di elegie collettive. Il trauma infrange il linguaggio, la narrazione e il significato, senza i quali non si può scrivere la storia, e non la si può inscrivere in uno spazio o in un tempo definiti poiché i suoi effetti psicologici perturbano le normali coordinate mnemoniche, facendo apparire l’evento traumatico insieme presente e passato (Wang Ban 2004, pp. 114-115). Per questo il linguaggio narrativo dovrà trovare nuove forme, più esplicitamente soggettive e introspettive, per connettere presente e passato e dare un senso al ricordo traumatico, nello stesso modo in cui gli autori della «Ricerca delle radici» connettono il presente della modernità con il passato ancora vivente delle minoranze e delle campagne cinesi, dando così voce ad una nostalgia che era anche una critica al presente e un tentativo di lenire il senso di sradicamento. Pierre Nora (1984) pone una differenza decisiva fra storia e memoria: se la memoria è il patrimonio affettivo della comunità e dei suoi ricordi, che vanno pian piano sparendo; la storia invece occupa i luoghi impersonali della modernità e del cambiamento. La globalizzazione e la società di massa provocano la fine della società-memoria che garantiva la conservazione e la trasmissione dei valori. La storia è in questo confronto un deposito di società condannate all’oblio. La memoria è assoluta, viva, inconsapevole sempre in evoluzione, soggetta a manipolazioni e all’amnesia; la storia è una rappresentazione parziale e relativa del passato, la «delegittimazione del passato vissuto» (p. XX). Da qui la necessità di creare dei luoghi della memoria dove esprimere la commemorazione ritualistica del passato (ad esempio archivi, celebrazioni, anniversari), riconoscendo così che non esiste più una memoria spontanea, ma difendendo al tempo stesso la memoria dall’assalto della storia, che potrebbe impadronirsi dei luoghi.96 L’ansia di fronte alla perdita della memoria porta alla moltiplicazione delle testimonianze, all’accumulazione di ogni genere di tracce del passato condiviso, all’ansia archivistica e all’imposizione di un dovere di ricordare. Alla memoria-archivio e alla memoria-dovere si aggiunge la memoria-distanza: da un passato visibile, in cui si riconoscono le origini del presente, ad un passato invisibile, un passato vissuto non più come continuità ma come frattura: non si vedono più le origini ma si riconosce una nascita, una cesura da cui il presente riparte. Ciò va inteso come la ricerca

96 I luoghi della memoria sono prodotti dall’intersezione e dall’interazione di storia e di memoria e sono contemporaneamente luoghi materiali, simbolici e funzionali. È la memoria che detta e la storia che scrive (p. XXXVIII). 111 dell’identità «non come genesi la decifrazione di ciò che siamo alla luce di ciò che non siamo più» (p. XXXIII). Anche nella Cina postmaoista la percezione e la consapevolezza pubblica di una cesura storica, oltre alla riapertura della riflessione intellettuale e pubblica sulla storia, permisero la percezione del passato non solo come registrazione annalistica degli eventi ma soprattutto come raccolta di un patrimonio di esperienze personali che da sempre erano state sopraffatte dal megafono del potere e della storiografia ufficiale. La letteratura in questo progetto, come già aveva fatto Lu Xun con il Kuangren riji, giocò un ruolo fondamentale nel salvare la memoria dalla storia: «[…] in effetti, non si è mai conosciuto altro che due forme di legittimità: storica e letteraria» (p. XLII). Se la storia in Cina cerca di comporre un percorso teleologico ed evoluzionistico verso l’identità nazionale e la modernità attraverso il culto del cambiamento, la memoria conserva in un tempo ciclico e in una dimensione naturale il patrimonio culturale condiviso. Se nel Quattro Maggio e nel periodo socialista la scrittura della storia era mossa dalla costruzione di una continuità dal passato al presente per giustificare il progetto politico del presente, dagli anni Ottanta emergono piuttosto due tendenze: una è la mitologia del mercato globale e l’altro è il «polo della memoria» (Wang Ban 2004). Il tema del trauma in questa dialettica viene interpretato diversamente: se per la storia può essere superato e liquidato in nome del progresso, per la memoria esso persiste e anzi anche il presente glorioso delle riforme diventa fonte di nuovi traumi e sofferenze. Gli eventi traumatici e la loro rievocazione possono spezzare l’attaccamento emotivo alla comunità di appartenenza e la «matrice di significati condivisi» (Wang Ban 2004) che la sostiene e denunciare anche la crisi della storiografia. Per questo motivo spettava alla letteratura, al cinema e all’arte mantenere vivo il ricordo, per poter preservare ciò che dal passato al presente poteva andare dimenticato, conducendo al tempo stesso una critica al presente, rifiutando l’illusione di una facile guarigione collettiva dai traumi del passato, recente e più remoto, e affermando il valore di strutture di significato lontane da quelle ufficiali dominanti con cui poter dare conto di tutta l’eccezionalità e la vastità del trauma. Questa duplice tensione, fatta di ricapitolazione del passato traumatico e di critica ad un presente materialista ed edonista ha ispirato la definizione di Choy (2008) di «retro-fiction» per comprendere insieme le narrative storiche del periodo denghista preoccupate di contrastare l’interpretazione storica del discorso ufficiale. Se la storiografia ufficiale spiegava i disastri del passato come incidenti che potevano essere perdonati per poter andare verso il futuro, i romanzieri della nuova narrativa storica sostenevano piuttosto che le catastrofi provocate dall’utopismo, dall’insipienza e dalla megalomania umana erano

112 connaturate alla stessa ricerca della modernità. Per questo si temeva che le stesse tragedie potessero nuovamente ripetersi sotto l’ulteriore spinta della globalizzazione. La denuncia dell’ordine simbolico del maoismo come definitivamente tramontato nel periodo successivo alla Rivoluzione Culturale e la riscoperta della soggettività e dell’esperienza individuale della storia portano a concepire una profonda distanza fra la successione oggettiva degli eventi e il loro racconto, libero ormai dal determinismo storico marxista e da un’interpretazione necessariamente collettiva. Il conflitto fra individuale e collettivo produce la decostruzione del realismo e della sua attendibilità e crea narrative della crisi che dimostrano anche nella forma, nella struttura e nel punto di vista distorsioni e fratture prodotte dall’irrazionalità e dall’illogicità come paradigmi alternativi. In questo modo si approfondisce enormemente la distanza fra il racconto oggettivo e ufficiale della storiografia e un a versione alternativa fondata sulla memoria, soggettiva e creativa, tipico della letteratura e dell’arte. Questo racconto, poi, non è fine a sé stesso ma finalizzato a svolgere una missione sociale: il recupero cioè di un’esperienza totale del passato, affettiva ma anche estetica, tenendo anche conto delle scosse psicologiche che essa provoca e ricomponendo la distanza fra individuale e pubblico, così da superare la paralisi e l’«atrofia dell’esperienza che in Cina era dovuta ad una storia condizionata dal trauma e da una politica culturale autoritaria» (Wang Ban 2004, p. 103). Per questo il corpo è spesso al centro di queste narrative: esso è la superficie sulla quale restano impresse le ferite della storia, è il mezzo per conoscere profondamente quanto la mente non riesce a razionalizzare ed è lo strumento per realizzare il desiderio di liberazione. Quindi non è solo oggetto della violenza storica, ma anche forma fisica di un soggetto attivo, che spesso si accorge delle proprie possibilità proprio attraverso la coscienza della propria corporeità. Se la memorialistica relativa ai campi di prigionia può vantare una grande autorevolezza storiografica, le versioni romanzate della propria esperienza della prigionia nei laogai, condividendo i propri ricordi con il lettore e ricordandogli anzi il dovere della memoria, lo mette di fronte alla propria responsabilità e lo costringe a pensare a quel che egli avrebbe fatto e a come si sarebbe comportato nelle stesse circostanze.97 Anche se la natura letteraria dell’opera può sminuirne il valore storiografico e l’«effet épatant» (Williams, Wu 2004, p. 157), sicuramente può dare all’esperienza della prigionia e alla repressione politica estrema un significato metaforico per rappresentare la condizione moderna della Cina e offrire un

97 Molti autori sentono il dovere di conservare la memoria degli eventi più tragici, soprattutto della carestia del 1959-1962. Un esempio di un autore che volutamente raccoglie i ricordi più dolorosi della prigionia esplicitamente per creare un futuro migliore è Wang Ruowang (Mühlhahn 2004). 113 profondo ripensamento della vita nell’epoca turbolenta, dispotica e crudelmente utopica del Novecento cinese. La detenzione nel campo di lavoro viene spesso vissuta o quanto meno descritta nei termini di un’esperienza religiosa o come un percorso di conversione secolare dai contorni religiosi, anche per poter così dare un senso alla natura estrema del trauma. Spesso in Zhang Xianliang sono evidenti termini esplicitamente tratti dal cristianesimo e dal buddhismo per descrivere la propria storia di perseguitato e di martire politico e intellettuale sottoposto ad una prova tanto dura da poter essere spiegata solo come iniziazione ad una verità superiore degli altri esseri umani. Per dare ulteriormente senso a tale esperienza, queste verità apprese nella sofferenza sarebbero dovute essere rivelate ai propri simili dopo la liberazione, per poter spiegare il senso di un periodo difficile per tutti ma che non tutti potevano o sapevano razionalizzare e spiegarsi, recuperando ancora una volta il ruolo di coscienza del popolo. La stessa perdita di ogni valore morale e del senso di umanità che spingeva i detenuti a concepire il prossimo come un nemico nella lotta per la sopravvivenza era la stessa logica che stava dominando la Cina al di fuori dei campi. La fame e ogni altro bisogno fondamentale erano spinti all’estremo, così da indebolire il senso morale dei prigionieri e meglio assoggettare la volontà degli individui. Sottoposti a tale sottomissione gli esseri umani erano privati della loro identità soggettiva, dei loro pensieri e delle loro emozioni e divenivano simili a bestie, abbandonandosi alle azioni più riprovevoli. Questa situazione, oltre a descrivere tutta un’epoca, in particolare la grande carestia provocata dal Grande Balzo in Avanti, era forse anche un memento per la Cina del nuovo boom economico a non cedere troppo facilmente alla brama di possesso dimenticando i valori più profondi della natura umana. Immersi in un ambiente disumano e crudele è comprensibile che scrittori ancora dotati di sensibilità poetica cercassero rifugio nel mondo naturale, con il quale trovare la trascendenza e la libertà dal mondo della pura e opprimente necessità, che ora era paradossalmente quello umano (Kinkley 2006, pp. 86-87). La retorica dell’illuminazione religiosa, del resto, può essere intesa come forma di resistenza alla forzata conversione ideologica e psicologica dei detenuti da parte delle autorità: Zhang Xianliang dichiara ironicamente di essersi convertito al marxismo durante la prigionia e questo sembra quasi confliggere con il fatto che la conversione dovrebbe essere libera e spontanea e non obbligatoria. Comunque, è molto probabile, come racconta in particolare nel romanzo «Mimosa» Lühua shu 绿化树 (1984) che la sua conversione al marxismo fosse sincera ma anche polemica nei confronti della versione maoista del verbo marxiano.

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Anche se il laogai viene da alcuni vissuto come esperienza di conversione, solitamente i reduci della rieducazione fanno soprattutto attenzione agli aspetti etici e sociopolitici della detenzione, riflettendo in questo le fondamenta secolari (e confuciane) dell’etica nella cultura cinese (Williams, Wu 2004, p. 163). Per questo gli autori puntano spesso sulla necessità di rifondare la moralità e prendono su di sé la missione di ricostruirne le basi dopo gli eccessi del maoismo. Anche Todorov (1992), analizzando geli effetti della detenzione nei campi di concentramento nazisti e sovietici, sottolinea il bisogno di conservare l’idea della morale e dei rapporti intersoggettivi per opporsi alla disumanizzazione del lager e del gulag, espressione estrema di regimi totalitari fondati sul terrore e sulla violenza, che sopprimono nell’individuo la «volontà intesa come movente delle sue azioni» (Todorov 1992, p. 277). A questo punto il laogai serve a sottomettere non solo coloro che vi sono rinchiusi ma tutta la società, frantumata dal terrore generalizzato che spinge i singoli a sospettare e a temere perfino i membri della propria famiglia. In una situazione in cui tutti i legami di solidarietà e di affetto sono aboliti il potere dello Stato diventa effettivamente totale e si insinua nella sfera dei sentimenti e nei pensieri più segreti di coloro che non sono più individui ma sudditi obbedienti. Per questo il ricordo della prigionia, e ancor più la sua formulazione letteraria, serve anche come antidoto alla perdita della soggettività e come terapia collettiva per il recupero dei valori fondamentali dell’identità e della dignità umana. I temi dell’abiezione, dell’abbrutimento e della degenerazione dell’individuo attraverso la fame e la paura sono una costante nei racconti dei sopravvissuti dei laogai e mettono in guardia di fronte al rischio di perdere la propria natura umana e ridursi ad uno stato ferino e bestiale. In Zhang Xianliang vedremo in particolare come la fame rappresenti il principale pericolo per la perdita del senso di sé, che colpiva più acutamente gli intellettuali, psicologicamente e fisicamente meno preparati ad affrontare le difficoltà materiali e i suoi effetti degradanti. La fiducia umanistica nei propri simili che gli intellettuali ancora conservavano venne duramente scossa dall’esperienza della prigionia ed essi divennero spesso le vittime predilette non solo delle guardie, ma anche dei detenuti comuni. Una delle ragioni per cui Zhang Xianliang tenne addirittura un diario – sebbene in una forma talmente scarna e oggettiva da non poter destare sospetti – era un tentativo catartico, attraverso la scrittura, di conservare l’attaccamento alla propria identità di intellettuale (Williams, Wu 2004, p. 171). In questo modo era possibile per lui riuscire a tenere insieme in modo coerente il proprio passato, il presente e la speranza per il futuro.

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Il potere e l’importanza della memoria sono uno dei temi fondamentali dell’opera di Zhang Xianliang, oltre a rappresentare per lui la stessa creazione letteraria, il cui fine è proprio il perfezionamento morale degli esseri umani e il recupero del senso di umanità e di solidarietà.

[…] 想象力, 说到底就是记忆力的高度爆发。[…] 文学本身是使人善良起来的事 业。……所以, 最重要的, 是对人、对社会、对人生、对生活, 抱着一种同情的、热 爱的、谅解的、宽恕的、善良的态度。 L’immaginazione alla fin fine non è altro che l’esplosione massima della memoria. […] La letteratura in sé è un’attività volta al miglioramento morale delle persone… perciò la cosa più importante è adottare un atteggiamento di compassione, di amore, di comprensione, di tolleranza e di gentilezza nei confronti delle persone, della società, della condizione umana e della vita (Zhang 1987a, pp. 91-93).

Tutti questi valori umanistici erano andati perduti nel periodo maoista in nome della lotta di classe; nella Nuova epoca il compito della “rieducazione” collettiva venne assunto dagli intellettuali, intenzionati a fare la propria parte per cambiare la società e superare la propaganda disumanizzante che aveva imperversato in precedenza. Uno degli effetti dell’educazione maoista, tuttavia, era sopravvissuto, e si tratta in particolare della politicizzazione di ogni aspetto della vita. Contro questa tendenza molti scrittori e poeti del periodo postmaoista reagirono e lo stesso Zhang Xianliang tentò di ricomporre la frattura con il passato, che non era solo personale, ma nazionale. Quella che egli scelse per la sua opera narrativa infatti è una selezione di argomenti e di fatti della sua vita che rivestono un’importanza non solo individuale ma universale: non è una semplice cronaca della vita nei campi come molto spesso all’estero è stata interpretata, ma è la storia di un’anima nella cornice della rieducazione attraverso il lavoro. Egli non si sofferma sugli aspetti più sensazionali o sconvolgenti della prigionia, che avrebbe potuto sfruttare per descrivere sé stesso come un eroe, ma si concentra su una dimensione umana universale per partecipare ad una generale riconciliazione e ricostruzione nazionale, opponendosi al tempo stesso alla tentazione dell’oblio. In molti casi, infatti, anche nei suoi romanzi i personaggi parlano dal presente della composizione dell’opera e ripensano alle esperienze passate secondo una sorta di «teleologia della liberazione», ossia interpretando le vicende della prigionia secondo il risultato finale della scarcerazione e della riabilitazione. Quella che può essere anche la drammatica metafora di un intero Paese però rischia di indebolire la forza della condanna del passato. La stessa cosa, ovviamente, non può dirsi del diario, pubblicato da Zhang

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Xianliang nel 1994 con il titolo «Il mio albero bodhi» Wo de putishu 我的菩提树 , mescolando pochi appunti anodini scritti durante la prigionia ai commenti più articolati scritti in seguito. Di certo nella sua narrativa l’intreccio di passato e presente avviene in maniera più creativa e soggettiva: spesso non ci sono precisi e netti cambi temporali ma passato e presente si mescolano nella coscienza del protagonista creando forme di rappresentazione che esaltano il primato della memoria sul dominio della storia, ad esempio il flusso di coscienza ed episodi di realismo magico. Quello che emerge, però, soprattutto in «Abituarsi a morire» Xiguan siwang 习惯死亡 (1990), il più sperimentale dei suoi romanzi autobiografici, è anche la destrutturazione della coscienza e la difficoltà di ricostruire il corso della Storia. Forse la sovrapposizione dei tempi rappresenta anche ironicamente l’illusorietà del superamento del passato e della «sindrome post-laogai» laogai houyizheng 劳改后遗症, sia per l’individuo che per la società. Se il trauma distrugge la «matrice collettiva di significato che tiene in vita la continuità culturale e l’identità personale» (Wang Ban 2004, p. 114) anche la mascolinità e in generale l’identità di genere, come parte importante della concezione di sé del soggetto, viene sconvolta. Anche la mascolinità, come «orizzonte instabile di ideologie, soggettività e pratiche di rappresentazione di genere» (Lusty 2014) subisce gli effetti di una crisi simbolica provocata e rivelata dalla crisi storica. Se il genere esiste solo nella sua rappresentazione e nella sua esibizione, non è possibile una soggettività di genere coerente se non in base alla definizione dominante e alla pratiche che ne regolano la performance. Per sua natura quindi l’identità di genere è contingente e mutevole la letteratura diventa un mezzo importante per la riflessione sulla produzione e la riproduzione di un’identità maschile, sempre ritenuta minacciata e costitutivamente fragile. Se dal punto di vista politico la percezione dell’indebolimento del potere maschile diede origine, in Occidente come in Cina, ad una retorica della virilità e del rafforzamento del fisico nazionale della quale si fece complice anche il discorso medico, dal punto di vista letterario la frattura provocata dalla modernità nella sua forma più distruttiva e traumatica – la Prima Guerra Mondiale in Europa e la Rivoluzione Culturale in Cina – e il radicale trapasso da modelli maschili (e femminili) tradizionali ritenuti immutabili a quelli più moderni, produssero il tentativo di difendere una certa solidità e coerenza nella definizione di sé come uomini da parte degli autori che avevano subito una profonda ferita alla propria soggettività, anche nei termini della propria mascolinità. Sebbene la politica, soprattutto nei regimi autoritari continuasse a fornire un’immagine pubblica ben diversa dei reduci, la figura del maschio razionale, controllato e distaccato tramontò definitivamente con la scoperta 117 dell’isteria maschile nelle trincee della Grande Guerra che confermò l’esistenza dell’ansia, della paura e dell’amnesia degli uomini traumatizzati. Gli effetti dello spavento e dei traumi subiti entrarono tematicamente ma anche strutturalmente e formalmente nella letteratura postbellica, dando origine a narrative moderniste che cercavano di dare conto dell’inspiegabile tragedia vissuta e dei suoi riflessi sull’identità degli uomini. I poeti e gli scrittori mostravano la frantumazione e l’indebolimento della propria potenza maschile e della propria soggettività di genere, mentre altri (fra cui ad esempio i futuristi) spingevano alle estreme conseguenze il culto della virilità confermando tutti i timori che già prima della guerra circolavano sulla perdita della centralità del maschio e sulle minacce sessuali, razziali e di genere al suo potere. Comunque venne interpretata, la mascolinità divenne una categoria centrale nella riflessione sulla modernità, una categoria elastica e vulnerabile, adattabile e sovrapponibile al concetto di nazione in una cornice del tutto nuova e problematica.98 Yu Dafu per primo espresse la sofferenza personale come effetto della responsabilità intellettuale e maschile nei confronti della nazione: le mancanze del protagonista sono causa ed effetto dell’abiezione della Cina e di conseguenza anche dei suoi uomini, sempre più impantanati nella vergogna e nell’autocommiserazione. È importante anche notare che questa vergogna veniva alimentata dall’opinione negativa degli stranieri nei confronti dei cinesi e infatti il protagonista di Chenlun, la novella più famosa dell’autore, vive con grande difficoltà la sua identità di cinese in Giappone, dove viene chiamato spregiativamente zhinaren 支那人 (shinajin) e interiorizza il disprezzo subito indulgendo con un profondo senso di colpa nella masturbazione e rivelandosi incapace di consumare un rapporto sessuale con una prostituta giapponese, che in questo caso, per quanto donna, diventa superiore all’uomo cinese per la sua appartenenza ad una nazione “superiore” e quindi maggiormente yang. Il masochismo, il senso di colpa e la coscienza infelice (o la sua distorsione emotiva) portano alla distruzione del protagonista, come porteranno ad una fine grottesca e ingloriosa anche Ah Q, il personaggio di Lu Xun che riassume i difetti nazionali cinesi e che serve a stimolare un positivo senso di vergogna nel lettore, una spinta al miglioramento e alla maturazione di un popolo e di una classe di intellettuali che ancora si crogiolava nell’illusione delle “vittorie spirituali”. Il confronto con altri Paesi, con l’Occidente e con il Giappone, diventano per gli uomini cinesi il punto d’avvio – per quanto traumatico – per la

98 L’esperienza traumatica pone in essere una nuova gerarchia relazionale fra uomini per ridefinire con un ulteriore elemento (storico) la mascolinità: chi era passato per l’esperienza della guerra poteva essere descritto come un “vero uomo”, mentre gli altri potevano sentirsi sminuiti nella loro identità di genere. Anche in Cina, gli intellettuali che erano passati per l’esperienza traumatica del laogai, della rieducazione e della persecuzione politica potevano vantare una certa superiorità morale nella società postmaoista e per alcuni quest’ordalia venne tradotta anche in un’esperienza formativa e corroborante della propria virilità. Questa interpretazione della rieducazione è tipica degli scrittori della generazione più giovane, che si farà sentire dalla metà degli anni Ottanta, anche nella «Ricerca delle radici». 118 ricostruzione dell’identità nazionale e personale, anche maschile, fin dall’epoca moderna. La posizione degli intellettuali nella storia cinese è sempre stata di relativa collaborazione e complicità con il potere ma questo rapporto di contiguità spesso si trasformava in sofferenza per il trattamento ricevuto dai governanti: la riflessione sul proprio posto nella storia e sul proprio ruolo sociale riemerse non a caso nel periodo postmaoista. I letterati confuciani prima e gli intellettuali moderni poi trovarono sempre, però, delle strategie discorsive e psicologiche per resistere alla sofferenza causata dalle persecuzioni del potere, come singoli o come gruppo. Il masochismo e l’autocommiserazione sono infatti una forma di ripiegamento e di elaborazione da parte degli autori della propria marginalità: basti pensare al topos, risalente ai «Canti di Chu», del poeta che descrive sé stesso come donna abbandonata dall’amato, ossia il sovrano. Il senso dell’urgenza per la crisi nazionale poneva ancor più pressione sugli intellettuali, che vedevano messa a repentaglio anche la loro identità di uomini: il detto recita infatti che «in un mondo dominato dal caos emerge l’eroe» luanshi chu yingxiong 乱世出英雄, ed è proprio nelle difficoltà che emerge l’uomo di valore. Non riuscendo a fare fronte a questa crisi, e dovendo affrontare le proprie mancanze e lacune, l’intellettuale si trovava ripetutamente – in occasione delle crisi nazionali, anche in epoca premoderna – preso in una crisi personale che è il traumatico inizio della condizione moderna anche in Cina. La mancanza di agency da parte degli eroi di molte narrazioni del periodo moderno riflettono proprio questa incapacità di afferrare la complessità del mondo circostante e di agire efficacemente per cambiarlo e quindi una relativa inadeguatezza come intellettuale e come uomo. Dal punto di vista sessuale, poi, molto spesso queste figure maschili sono altrettanto impotenti ed emarginate e si consolano sfogando il proprio desiderio in forma surrogata, con la masturbazione e il voyeurismo, che è anche un desiderio frustrato di azione politica. Essere fra gli uomini e ottenere il riconoscimento della propria mascolinità da parte della società – e in particolare da parte della maggioranza degli altri uomini – diventa fondamentale ora che le legittimazioni tradizionali della mascolinità egemonica sono ormai tramontate. Infatti, se dall’epoca moderna si parla di intellettuali anziché di letterati è proprio per il maggior peso che l’impegno sociale e politico hanno nella definizione dell’uomo di lettere; tuttavia in questo periodo l’impegno attivo, paradossalmente e tragicamente, viene troppo spesso impedito o si rivela fallace ad ogni nuova crisi nazionale, che diventa anche un trauma personale per chi si considera difensore dell’integrità nazionale e coscienza del popolo. La sofferenza maschile femminilizza gli uomini poiché tradizionalmente è la donna l’incarnazione della sofferenza e del sacrificio, in quanto subordinate agli uomini. Yu Dafu

119 esprime già i temi del desiderio, del sesso e dei riflessi psicologici del desiderio, che è ancora vissuto in maniera colpevole e problematica. In Zhang Xianliang esso è impedito e proprio per questo è vissuto soggettivamente con un senso di liberazione: esso è uno degli strumenti della riappropriazione della natura umana dopo la repressione di un biopotere che era anche psicopotere. Con Yu Dafu la psicoanalisi freudiana e le sue categorie diventano parte determinante della definizione del soggetto, staccato dalla sua tradizionale descrizione relazionale e puramente sociale. Ora l’interiorità diventa componente essenziale dell’individuo moderno, che cerca una spiegazione e una soluzione scientifica alla propria condizione di ansia e di angoscia interrogando i differenti livelli della sua psiche. Il soggetto masochistico volge la propria abiezione in autoaffermazione e vuole sempre confessarsi ed essere ascoltato. 99 Questa indagine interiore e questa auto-dissezione comporta una sofferenza autoinflitta che confina con il masochismo e mette in discussione la stessa mascolinità degli autori che vi si sottopongono, che identificano il proprio destino con quello della nazione e si preoccupano ossessivamente per la modernizzazione del Paese e per il rischio sempre in agguato del fallimento, non solo come scrittori ma come uomini (Jing 2000). L’indegnità maschile descritta da Yu Dafu si ripropone anche nel ripensare il periodo maoista, in particolare l’incapacità di reggere l’abisso fra la propria identità pubblica di intellettuale e la propria identità privata di uomini. Gli intellettuali maschi, emasculati, intimoriti e repressi dallo Stato, persero anche la loro identità maschile, simbolicamente ma anche fisicamente. Lo stesso monopolio della razionalità del potere politico che gli uomini avevano difeso anche dopo il 1949 ora era travolto dalle conseguenze disastrose del maoismo. La potenza fisica e sessuale espressa nei loro personaggi e la ricerca ossessiva di questa potenza sono spesso una forma di compensazione e di negoziazione per la perdita del prestigio sociale; in questo le donne possono servire, anche solo nella rappresentazione, come banco di prova della propria mascolinità, almeno di quella fisica. Nonostante ciò, le donne, nella realtà e nella rappresentazione da loro stesse fornita, offrono nel periodo postmaoista una visione davvero poco lusinghiera dei maschi, muovendo al tempo stesso una più vasta critica alla realtà sociale, politica e familiare precedente ma anche attuale della Cina delle riforme. Se nel periodo moderno, però, come fa notare Berry (2008) il trauma era essenzialmente «centripeto» e innescava, in quanto riflesso dell’ossessione per la Cina, una

99 La stessa abiezione, il senso di colpa e la difficoltà di affrontare la memoria e la storia porta il protagonista del racconto «1986» Yi jiu ba liu nian 一九八六年 (1987) di Yu Hua a procedere ad una dissezione fisica del proprio corpo, surrogato di una dissezione psicologica e in questo trova il suo trionfo, perché riesce così ad evitare, lui professore di storia, di affrontare il ricordo. 120 spinta a «creare e cementare una nuova concezione moderna della “nazione cinese”» (p. 5), dopo la nascita della Repubblica Popolare, quando ormai il nuovo Stato socialista era diventato realtà, ogni traumatico disastro collettivo provocato da esso spingeva piuttosto a pensare a soluzioni transnazionali e globali per riformulare il futuro del Paese. In questo modo si ebbe un trauma «centrifugo», che permetteva un processo di ridefinizione della nazione attraverso narrazioni eterodosse e destabilizzanti che contestavano l’essenzializzazione delle comunità immaginarie. Questo processo avvenne nella Cina delle riforme nel mezzo della narrazione della modernizzazione capitalista, che supera quella illuminista dell’umanesimo, della ragione e della libertà per cancellare con la fiducia nel progresso materiale e nell’arricchimento individuale il ricordo della rivoluzione e delle crisi della modernizzazione. La memoria diventa così la critica del cambiamento, una forma di resistenza alle trasformazioni imposte dal cammino della globalizzazione e di un progresso prevalentemente quantitativo in un momento storico in cui la modernità rischiava di annullare la specificità della propria identità più autentica e della propria narrazione storica. La rieducazione degli intellettuali maschi nel sistema concentrazionario maoista è in una certa misura legato al controllo tradizionalmente esercitato dal potere sulla formazione e sulla mentalità dei letterati nella tradizione. Il pensiero confuciano, molto attento alla questione dell’educazione e della dirittura morale, insisteva spesso sulla correzione dei propri errori e della propria identità, secondo la massima del «rinnovamento di sé tramite il cambiamento» gaiguo zixin 改过自新; oltre al confucianesimo la riforma degli intellettuali “eretici” si basava anche su un fondamento religioso, particolarmente buddhista, del miglioramento morale di sé (ganhua 感化) utilizzato già in epoca repubblicana per costituire un nuovo sistema penitenziario su basi moderne, ma conservando alcuni elementi della tradizione (Dikötter 2002). Questa missione di riforma interiore dei prigionieri permane anche durante il periodo maoista, e consente anche di differenziare il sistema concentrazionario sovietico, fondato principalmente sul lavoro coatto, da quello cinese, in cui al lavoro forzato “educativo” (laojiao 劳教) si aggiunge la trasformazione psicologica e morale. Altri elementi accomunano invece i due sistemi di prigionia: la mescolanza di detenuti comuni con i prigionieri politici, l’uso delle razioni alimentari come strumento di coercizione e di punizione, le quote lavorative, l’organizzazione militare del lavoro e la condizione di semilibertà in cui ai detenuti era consentito di vivere ai margini dei campi in mezzo ai civili (Williams 2006). La sindrome postraumatica causata dalla liberazione in Cina si configura in particolare come sindrome da trauma prolungato dopo la detenzione nel laogai. Judith L. Herman (1992), 121 studiando i disturbi da sindrome postraumatica complessa nei sopravvissuti a traumi prolungati e ripetuti ha rilevato come il contatto prolungato con il proprio carnefice in una situazione di «controllo coercitivo» (p. 378) permetta di individuare disturbi postraumatici più complessi rispetto a quelli provocati dalla sindrome semplice, nel corpo, nella personalità e nella vulnerabilità al dolore, inflitto da sé o da altri. I tre maggiori sintomi rilevati infatti sono la somatizzazione e la dissociazione, che provoca stati alterati della coscienza che permettono alla vittima di modificare una realtà intollerabile attraverso la soppressione, la minimizzazione e il rifiuto. Spesso i detenuti riuscivano a raggiungere stati di trance simili all’ipnosi per sfuggire alla fame, al freddo o al dolore nelle allucinazioni positive. Questa fuga dalla realtà si traduce in una rottura della continuità fra passato e presente che si nota anche negli ex detenuti ormai liberi, ancora confinati psicologicamente nella loro prigionia. L’autoinganno che questi prigionieri utilizzano serve anche per supplire all’incapacità di darsi ragione del tradimento della realtà, della delusione per una fede o una fiducia calpestate. Alcuni riescono a conservare le proprie credenze, ma nella maggior parte dei casi il trauma lascia l’amarezza per essere stati abbandonati dalla divinità o dall’autorità. Questo provoca il terzo ordine di sintomi, quello legato ai cambiamenti affettivi, che si traducono in una profonda depressione, accompagnata da apatia o da una rabbia che però non riesce ad essere rivolta contro il carnefice nemmeno dopo il rilascio o la liberazione. Questa rabbia pertanto può essere interiorizzata o rivolta contro gli altri, che non sono stati capaci di aiutare il soggetto. I cambiamenti patologici infatti possono riguardare le relazioni con gli altri e la propria identità. Nel caso delle relazioni interpersonali, sembra essere ricorrente e quindi perfino voluta la distruzione da parte del carnefice dei legami sociali della vittima con chiunque altro e anzi la creazione di un rapporto privilegiato con lo stesso aguzzino, che distrugge il senso di autonomia della sua vittima attraverso il controllo del suo corpo e delle sue funzioni vitali. Imponendo questo controllo, il carnefice diventa colui che può infliggere dolore e umiliazioni ma anche concedere sollievo. Per ottenere questa dipendenza occorre che si crei il «legame traumatico» (p. 384) e che la vittima sia isolata dai suoi simili e regredisca ad uno stato psicologico di infantilismo in cui l’individuo è completamente passivo e obbediente, mentre ogni iniziativa autonoma è vissuta come pericolosa insubordinazione. Anche dopo la liberazione non è più possibile per l’ex detenuto una vita sociale normale come prima della detenzione, tutte le relazioni sono viste come questioni di vita o di morte e si traducono nei due estremi dell’attaccamento o della repulsione. Ancor più devastanti sono gli effetti sull’identità: tutte le strutture interiori che danno senso e scopo alla vita, compresa l’immagine del proprio corpo, sono distrutte.

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Nel caso di Zhang Xianliang, quanto meno nella sua opera narrativa, la consapevolezza di essere passato per un’esperienza tanto traumatica viene invece spesso volta in un successo e in un trionfo: egli percepisce chiaramente di aver subito un profondo cambiamento nel fisico, nei sentimenti, nel modo i vivere, negli ideali politici e nella sua concezione della felicità e in molti altri valori. Quello che secondo l’autore rappresentò la sua salvezza sono il lavoro e i suoi effetti sul corpo e sulla mente e la vicinanza dei lavoratori. Grazie al lavoro sentiva di aver sottomesso le forze della natura e la natura stessa era mutata e messa a sua disposizione: in questo modo aveva ottenuto una maggiore fiducia nella vita e recuperato la sua dignità e il suo orgoglio di uomo (Sybesma 1989a, p. 60). La vicinanza del popolo, inoltre, gli permise di sfuggire alla dipendenza psicologica nei confronti dei suoi carcerieri e degli altri compagni di prigionia e la compassione che poté ricevere dalle persone semplici, insieme alla consolazione della natura, l’esercizio fisico del lavoro e le letture, lo aiutarono a conservare il proprio equilibrio psichico. I rapporti interpersonali e il valore della socialità quindi fu una delle vie di fuga dell’autore per salvarsi dalla bancarotta morale in quella situazione. Il contatto con i veri lavoratori e non quelli descritti nella propaganda maoista, inoltre, gli permise di completare davvero la propria formazione marxista e di realizzare una contro-rieducazione, vedendo e vivendo di persona anche le difficoltà causate proprio dalle politiche di Mao. Anche per questo motivo, alcuni autori hanno criticato la debole denuncia di Zhang Xianliang leggendo i suoi romanzi (Wu 2006, p. 30), in particolare il critico Li Tuo 李陀 (1939-).100 Tuttavia, se nella prima produzione narrativa dell’autore la sua esperienza non sembra troppo dolorosa, nel ricordo e nella ricostruzione finzionale e diaristica successiva essa diventa davvero traumatica.101 Sicuramente però la vicenda di Zhang Yonglin, il protagonista dei suoi romanzi autobiografici, è tragica e fonte di tormenti psicologici ed emotivi crescenti, che rappresentano la condizione di un’intera generazione, particolarmente degli intellettuali. La condizione in cui essi erano ridotti durante la prigionia era infatti la negazione della loro stessa identità e della loro stessa ragion di esistere, ossia la loro individualità soggettiva e la

100 Li Tuo, commentando il romanzo «Mimosa» Lühua shu 绿化树 (1984), trovava poco credibile che un detenuto dei campi di lavoro potesse essere al tempo stesso protagonista di storie d’amore, che potesse alla fin fine trovare di che nutrirsi e che potesse anche riuscire scrivere. Secondo Link era difficile, a causa della censura e delle intimidazioni politiche, poter parlare degli aspetti peggiori del periodo maoista; inoltre era comprensibile che gli autori fossero psicologicamente restii a trattare nell’immediato gli aspetti peggiori della loro esperienza personale (Link 2000, pp. 145-146). Le idealizzazioni e gli understatement che si possono effettivamente rintracciare nella narrativa dell’autore sono possibilmente dovuti anche alla «sindrome del sopravvissuto», che provoca anche una relativa identificazione con i propri carcerieri (Kinkley 2006, p. 73). 101 Secondo Perry Link (1991) è problematico leggere oggettivamente la mentalità dell’autore dopo la sua liberazione poiché il senso di colpa per le sue origini borghesi venne talmente interiorizzato da sopravvivere anche dopo la sua riabilitazione. 123 loro creatività. L’alienazione di cui si discuteva nel dibattito intellettuale degli anni Ottanta aveva preso avvio proprio durante il maoismo e il campo di prigionia era il laboratorio in cui essa era stata portata al massimo grado, e inflitta proprio agli intellettuali, la categoria più temibile per il potere. La loro creatività, in un’ottica ancora piuttosto tradizionalista, ma che per molti era una soluzione allo sbandamento ideologico del periodo postmaoista, era tutt’uno per loro con l’identità maschile dell’intellettuale: pertanto la sua sottomissione fisica e mentale, che ne impediva concretamente e interiormente la libertà espressiva e critica, prendeva la forma di una dolorosa femminilizzazione, una riduzione al livello della semplice produzione materiale, assimilabile alla gravidanza nelle donne. Considerando questa forzata degenerazione dell’intellettuale maschio nel campo di lavoro si può capire come Zhang Yonglin si senta inizialmente addirittura indegno nei confronti della donna e ne abbia perfino paura quando la vede, soprattutto nel suo aspetto più seducente; quando poi recupera la sua forza fisica e la sua fiducia in sé attraverso un’alimentazione migliore, il lavoro o un atto di coraggio, ecco che ritorna l’orgoglio di genere (maschile) e sociale (intellettuale) e, come un novello studente confuciano chiamato a ricoprire incarichi burocratici dopo l’esame imperiale, abbandona e sacrifica la donna per seguire le sue elevate ambizioni politiche. Il campo di lavoro in questo senso non è soltanto un luogo speciale in cui avviene questa distruzione dell’individuo ma è la rivelazione più esplicita e “carnevalesca” di una realtà ben più diffusa e ordinaria: se «i lager sono la manifestazione estrema dei regimi totalitari […] rappresentano l’estremo degli stessi regimi totalitari di cui sono la manifestazione più intensa, più concentrata: la vera e propria quintessenza. Il che vuol dire che nella fattispecie costituiscono un estremo centrale e non già periferico» (Todorov 1992, p. 276). Offrendo un’analisi della narrativa di Zhang Xianliang alla luce dello studio psicanalitico di Bruno Bettelheim (1903-1990) sugli effetti della detenzione nei campi di concentramento, Jeffrey C. Kinkley (1991), nota come l’autore soffrisse per l’allontanamento dall’ambiente del campo di prigionia una volta liberato e provasse nostalgia per il mondo più semplice e più ordinato del campo. Questo è uno degli elementi che possono avvicinare l’esperienza dell’autore, riflessa nella sua narrativa, a quella dei detenuti dei campi di concentramento nazisti, di cui si occupò Bettelheim. Un altro elemento è certamente l’impotenza, di cui è affetto il protagonista nel secondo romanzo autobiografico di Zhang Xianliang, Nanren de yiban shi nüren. La paura di diventare impotenti, testimoniata da molti detenuti, li spingeva a mettere alla prova la propria potenza maschile con pratiche omosessuali o con la masturbazione ed era legata, secondo Bettelheim, all’ansia infantile della castrazione,

124 riaccesa dalla minaccia di castrazione da parte delle guardie del campo. La psicoanalisi più recente, tuttavia, sminuisce il fattore infantile per enfatizzare piuttosto le esperienze traumatiche dell’età adulta e sottolinea come anche l’impotenza sia un sintomo della sindrome da stress postraumatico.102 Anche Cong Weixi 从维熙 (1933-), uno scrittore considerato il capostipite della letteratura memorialistica sui campi di lavoro, descrive l’apatia e il distacco dalla realtà che la prigionia e l’abitudine al dolore e alla morte provocava nei detenuti e uno degli effetti della perdita degli stimoli emotivi era proprio l’impotenza (Williams, Wu 2004, p. 166). La stessa impotenza venne vissuta da Cong Weixi e da un altro reduce della rieducazione, Jean Pasqualini, alias Bao Ruowang 鲍若望 (1926-1997), anche a molti anni di distanza, come altrettanto persistenti saranno le scene di morte e di sofferenza che li perseguiteranno per molto tempo e che quasi li costringeranno a ricorrere alla scrittura per rivelare i propri tormenti e liberarsi anche psicologicamente ed emotivamente.103 Nelle opere di quella che venne definita «Letteratura del grande muro» daqiang wenxue 大 墙文学 ossia della letteratura, narrativa o memorialistica, sull’esperienza della prigionia nei campi di lavoro,104 a cui è ricondotto anche Zhang Xianliang, sono molte le testimonianze di continue fantasie sessuali, sogni erotici e polluzioni notturne che aiutavano i prigionieri a sfuggire alla realtà deprimente e a provare ancora la propria capacità di immaginare il sesso e di rassicurarsi a proposito della propria potenza maschile, che è anche per analogia simbolica la capacità dell’intellettuale di creare e di comandare. Un’altra fantasia frequente

102 Ad esempio Cathy Caruth (1995) sostiene la natura ricorrente dei ricordi traumatici e contraddice le teorie di Freud sulla repressione inconscia; la psicoanalisi sperimentale predilige la spiegazione fondata sul disordine da stress posttraumatico. Il trauma va inteso come sintomo patologico ma non come sintomo dell’incoscio, quanto piuttosto come sintomo della storia (citato in Wang Ban 2004). Wang Ban commentando la posizione di Caruth aggiunge: «The traumatized, we might say, carry an impossible history within them, or they become themselves the sympton of a history that they cannot entirely possess» (p. 105). 103 In un racconto dello scrittore taiwanese nativista Huang Chunming 黄春明 (1935-) «La piccola vedova» Xiao guafu 小 寡妇 (1975) il protagonista, Louie 路易, un GI americano in licenza a Taiwan, sogna di conquistare la bellezza cinese incarnata dalla protagonista femminile, che gioca con la trasgressione delle norme confuciane, le quali invece imporrebbero ad una casta “piccola vedova” una condotta esemplare. Louie tuttavia soffre di un’impotenza indotta dalle immagini traumatiche delle battaglie del Vietnam dalle quali è perseguitato, immagini che lo riportano alla violenza bellica, mescolata al sesso e al senso di colpa per una guerra che non comprende (Lupke 2016, p. 260). 104 Williams e Wu (2004, pp. 155-157) raccolgono i cosiddetti Prison Writings in quattro forme, due sono nonfictional e due fictional: la prima comprende memorie, diari, lettere, autobiografie e testimonianze scritte da ex detenuti del sistema detentivo (ad esempio le lettere di Wei Jingsheng per il periodo più recente, ma anche Zhang Xianliang, Cong Weixi 从维 熙, Wumingshi 无名氏 e Jean Pasqualini/Bao Ruowang 鲍若望 per il periodo maoista); la seconda comprende i reportage e gli articoli giornalistici di ex detenuti o che raccontano le vicende dei detenuti; il terzo tipo è la fiction scritta da ex detenuti, necessariamente però semiautobiografica o semibiografica (ad esempio Zhang Xianliang e Cong Weixi) ed è quella che venne definita propriamente daqiang wenxue; l’ultima forma di letteratura della prigionia è la narrativa o il teatro ambientati nei campi di prigionia, scritti da autori che non hanno avuto un’esperienza diretta del laogai. Nelle opere dell’ultimo tipo il campo e la prigione sono spesso la metafora di una condizione esistenziale o sociale che perdura anche dopo la fine del maoismo, come ad esempio la condizione della donna in «Prigione femminile» Nülao 女牢 di Ai Bei 艾 蓓 (Williams; Wu p. 158), oppure come simbolo della liberazione e punto di passaggio nella crescita del protagonista da un’ingiusta persecuzione al riscatto (Williams; Wu pp. 171-172). In quest’ultima categoria si possono inserire le opere di Yan Lianke 阎连科 (1958-) «Servire il popolo» Wei renmin fuwu 为人民服务 (2006) e «I quattro libri» Si shu 四书 (2011) (cfr. Jiang 2013) 125 fra i detenuti dei campi, riscontrabile anche in Zhang Xianliang, è la megalomania con cui essi immaginavano sarebbero divenuti dei capi proprio a causa delle sofferenze subite e sopportate. L’autoaffermazione del protagonista e dell’autore si nota non soltanto nella vocazione a comandare che lo spinge a cercare un futuro politico e ad abbandonare la donna, ma anche nella grandiosità delle descrizioni naturali e nello sfoggio della propria cultura, occidentale e cinese, che dimostra la resistenza della memoria e quindi l’attaccamento alla propria identità in un ambiente tanto spaventoso e ostile. Un altro tratto caratteristico del trauma dei campi di concentramento era la regressione all’infanzia: un rapporto quasi masochistico di totale dipendenza nei confronti delle guardie e dell’autorità, che spesso continua anche dopo la liberazione. La stessa regressione attanaglia anche il protagonista dei romanzi di Zhang Xianliang, che teme costantemente di essere ridotto non solo allo stato infantile, ma anche alla bestialità che vede nei suoi compagni di prigionia, preoccupati solo del cibo o del sesso, e che egli guarda con disprezzo e con un visibile senso di superiorità. Il protagonista però ritroverà con spavento la stessa regressione anche in sé stesso alla fine dei primi due romanzi, quando si troverà a dipendere come un bambino da una madre amorevole che lo nutre in Lühua shu e da una donna che per lui rappresenta solo la pulsione erotica del desiderio carnale in Nanren de yiban shi nüren. Anche per questo teme il potere della donna come responsabile o complice di questa regressione, della riduzione all’impotenza e della peggiore forma di reclusione per un intellettuale, ossia la confortevole prigionia domestica. La difficoltà di colmare la distanza fra passato e presente e la ripetitività del ricordo del trauma sono spesso al centro della narrativa di Zhang Xianliang. Le azioni e i pensieri del suo personaggio sono spesso spiegabili solo tenendo conto della distorsione psicologica provocata dal potere statale sul singolo, che poi è indotto – anche solo per la propria sopravvivenza – a ferire coloro che pure erano stati la sua salvezza, in particolare le donne. In questo modo, peraltro, forse in modo inconsapevolmente molto sadico, ma conforme ad una realtà sociale e ideologica estrema e crudele, riafferma la propria supremazia maschile infliggendo il proprio potere su chi viene a costituirsi come soggetto di tale potere, cioè proprio le donne. In tal modo però, contro ogni idea di modernità, anche nella sua versione maoista, ritorna il dominio maschile nella sua forma più tradizionale. Gli effetti del disordine postraumatico sono evidenti nella sua produzione narrativa: ansia, sospetto, confusione e ricordi ricorrenti di eventi dolorosi e spaventosi sono il fondamento anche del comportamento del protagonista maschile, che non va però identificato perfettamente con l’autore. Tuttavia, dopo la fine del maoismo, ogni opera – letteraria o

126 meno – che si occupasse del periodo maoista era ritenuta veritiera, una testimonianza di verità dopo e contro il regno della menzogna. Era difficile, del resto, per un intellettuale della vecchia guardia educato negli anni Cinquanta, rompere del tutto con il Partito e denunciarne tutte le colpe travolgendo anche le sue fondamenta ideologiche marxiste; inoltre, nel periodo di Deng si era riaperto il dilemma culturale fra l’abbraccio dell’Occidente e il recupero di una cinesità originaria. Questa scelta, che per gli autori di Heshang si risolveva a favore della cultura straniera, per Zhang Xianliang e per altri portava invece a prediligere l’attaccamento verso la propria patria, vista come una madre, magari severa e crudele ma sempre la propria madre. Inoltre, l’autore cerca sempre di dare un senso alla propria esperienza e di recuperare la propria identità di intellettuale al servizio della comunità, per il benessere e il progresso del Paese. Anche durante la prigionia, come racconta lo stesso autore nel suo diario, gli intellettuali detenuti tendevano ad identificarsi con le autorità che li punivano e ad accettare la rieducazione divenendone perfino complici, perdendo la capacità di pensare in maniera indipendente e giungendo a pensare di essere messi alla prova dal Grande Timoniere e di dover rafforzare la propria fede negli ideali del Partito. La visione degli intellettuali e della vita nei campi che Zhang Xianliang trasmette nelle sue opere narrative appare molto contradditoria, ambigua e a volte inattendibile, tanto da far parlare di «sincera ipocrisia» (Zhang Xianliang, citato in Barmé 1999, p. 463, nota 71), anche perché le vicende dei suoi personaggi ruotano soprattutto attorno ai sentimenti e sono molto romanzate. Del resto, i periodi su cui si concentra la narrazione dell’autore sono i momenti di semilibertà del protagonista ai margini dei campi di lavoro. Quella che crea Zhang Xianliang è una poco attendibile prigione romantica: era difficile che un uomo bollato come “elemento di destra” potesse essere scelto come marito da una donna, che sarebbe stata a sua volta considerata da un intellettuale inferiore di status. Eppure Zhang Xianliang nei suoi romanzi descrive spesso una relazione sentimentale fra un detenuto e una donna: quest’ultima è sempre idealizzata, poiché non corrisponde ad alcuna figura reale della biografia dell’autore ma è una sintesi delle caratteristiche tradizionali di una donna delle campagne. Così ogni protagonista femminile dei suoi romanzi è diversa, in modo da incarnare una particolare virtù e una specifica relazione con l’elemento maschile. Sono tutte figure materne che salvano il protagonista e rappresentano la popolazione rurale che salva il borghese, la madre perduta con la prigionia e l’assenza della donna durante venti anni di detenzione. L’eroe maschile, del resto, non è perfetto ed è spesso moralmente indegno o psicologicamente turbato ed è così portato ad agire in maniera vile, a volte consapevole della sua abiezione. Uno degli effetti di questa decadenza morale è l’abbandono e lo sfruttamento della donna che molti

127 critici hanno ravvisato nella narrativa autobiografica dell’autore: è proprio il processo di rieducazione che inficia e distrugge le doti morali e la capacità di amare, di provare fiducia e di stringere legami duraturi (Wu 2006, p. 39) ed è quindi lo stesso trauma a provocare la ripetizione del dolore non solo in sé stessi ma anche sugli altri. La logica della sofferenza, poi, riacquista i suoi connotati di genere: se l’intellettuale (maschio) soffre per mano dello Stato ed è in questo modo sottomesso e femminilizzato, un modo per ritrovare la supremazia maschile consiste nella riproposizione finzionale dei tradizionali ruoli gerarchicamente ordinati del maschile e del femminile in cui la donna recita la parte della madre amorevole, della sposa virtuosa e dell’amante sofferente, anche contro la realtà dei fatti. È anche una violenza divenuta sistemica, non solo nel campo ma anche nella Cina dell’epoca, a spingere l’uomo a concepire le identità di genere come fondate sulla prevaricazione e sulla distinzione sociale. Il sacrificio femminile diventa possibilmente anche una metafora per il destino degli intellettuali, ricorrendo al consueto topos letterario del funzionario allontanato che descrive sé stesso come donna abbandonata: la sofferenza inflitta alle donne è la stessa che subirono gli intellettuali durante la rieducazione. Il percorso del protagonista della narrativa autobiografica dell’autore descrive così la discesa nell’abiezione morale e fisica, oltre alla dipendenza psicologica da un’autorità paterna incarnata nella politica e nei suoi rappresentanti. Solo dopo la liberazione fu nuovamente possibile per l’autore prendere coscienza della drammatica distanza fra la realtà umana e materiale dei campi e la fallacia del discorso ideologico ufficiale. Anche l’incontro con i lavoratori “reali”, ben diversi da quelli descritti dalla propaganda, avvenne per Zhang Xianliang durante gli intervalli di semilibertà dai campi, durante i quali capì il valore concreto di un lavoro pratico, che permetteva di restare ancorati alla realtà, contro l’assurdità dei tempi che era costretto a vivere. La lotta psicologica che ingaggia è anche contro la percezione distorta che di sé stesso ha acquisito attraverso l’educazione e la retorica maoista, che ha fatto di lui un capitalista, un parassita e un nemico del popolo e lo ha costretto a pensarsi come tale, provando un profondo senso di colpa e il rimorso per i peccati di intere generazioni della sua famiglia. Il continuo ondeggiare fra una visione ufficiale di sé come capitalista, che lo conduce a detestare sé stesso, e il tentativo di riscattarsi ideologicamente e psicologicamente aggiunge una grande tensione narrativa ed emotiva alla vicenda del protagonista. Riuscendo alla fine a risolvere il dilemma trovando la sanzione della propria dignità umana, intellettuale e maschile nel popolo, scavalcando così il discorso ufficiale e sconfiggendolo con le sue stesse armi, Zhang Xianliang riesce al tempo stesso a riconciliare per sé e per la

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Cina il passato maoista e il presente delle riforme, ricongiungendo il continuum storico della modernità e salvando alcuni fondamenti necessari per la ricostruzione culturale della nazione. Facendo questo, inoltre, riesce a produrre una decisa per quanto sottile denuncia degli effetti disumanizzanti del maoismo e in particolare delle sue strutture di controllo sui corpi e sulle menti: l’abbandono della donna, l’atteggiamento ambivalente nei confronti dei lavoratori, misto di ammirazione e di senso di superiorità, l’occasionale ipocrisia e viltà del protagonista sono tutti effetti della distorsione emotiva e psicologica del lavoro coatto, delle privazioni e della prigionia. Alla fine delle storie spesso la donna viene abbandonata perché l’uomo ha perso la capacità di amare e di affezionarsi, di fare i conti con la propria coscienza e di accettare le proprie responsabilità; egli concepisce i rapporti umani solo in termini di interesse e infligge dolore anche a coloro che cercano di volergli bene. Queste difficoltà psicologiche e queste storture emotive si fanno sempre più evidenti e profonde a mano a mano che il protagonista, alter ego dell’autore, procede nella sua rieducazione e sente acuirsi il suo tormento interiore nel tentativo di resistere alla deformazione del suo spirito, che gli fa perdere l’obiettività e la razionalità necessarie per poter conservare la propria moralità e una corretta percezione di sé. È proprio nei momenti di pentimento, quando il protagonista si accorge di aver provocato il dolore o la rovina dei personaggi che lo avevano aiutato che emerge la «reverse remolding», ossia la ribellione del singolo e del soggetto ancora emotivamente e intellettualmente indipendente contro l’oppressione e la repressione della politica; tuttavia, nelle circostanze date, era impossibile per i personaggi agire diversamente e si può solo ricordare con rimorso, sperando che le stesse condizioni non si ripetano in futuro. Se nel periodo maoista il corpo collettivo creato dall’ideologia sottometteva i corpi dei singoli ritenuti devianti, malati o eretici e in ogni caso nocivi per la comunità, una volta “accantonata” la lotta di classe occorreva contenere il trauma anche linguistico e simbolico provocato dal maoismo ed evitare un nuovo trauma per gli intellettuali che si trovavano a vivere uno spaesamento epistemologico nella nuova epoca. La missione delle Quattro Modernizzazioni e del benessere del Paese e il loro effetto ideologico potevano supplire solo in parte ad un’elaborazione pubblica delle colpe piuttosto spiccia e limitata; gli effetti a breve e lungo termine del trauma ancora presente nella mente e nei corpi degli intellettuali, quindi, furono molto produttivi in termini di ricostruzione simbolica della propria identità, determinando una crescente varietà di risposte che si tradussero presto in nuove forme di rappresentazione di sé e della propria mascolinità nella creazione letteraria. La descrizione del presente e del passato passava attraverso il corpo e gli effetti della storia su di esso,

129 oppure l’immaginazione di un passato e di un futuro alternativo per la Cina si potevano rintracciare nella corporeità dei rappresentanti di minoranze non contaminate, non abbrutite o non emasculate da secoli di burocratismo confuciano, totalitarismo di sinistra o dall’ossessione della modernità in tutte le sue varianti. Tuttavia, il trauma come frattura simbolica con il passato e come timore di non essere ancora al sicuro, si tradusse in apparizioni fantasmatiche del passato e in personaggi spesso deformati nel corpo e nella mente. Tutte queste risposte simboliche sono l’effetto psicosomatico di un rinnovamento nella struttura simbolica provocato proprio dal trauma, che gli intellettuali dovettero risolvere da soli trovando i mezzi e le soluzioni psicologiche e formali aggiornando il consueto strumento del suku ma realizzando stavolta una più vasta riconciliazione nazionale, assolvendo ancora una volta (forse l’ultima) la loro missione storica. Se prima il suku nella sua versione comunista tentava di superare un trauma producendone di nuovi, segnando il confine simbolico e significante fra un «prima della liberazione» jiefang qian 解放前 e un «dopo la liberazione» jiefang hou 解放后 attraverso l’individuazione di classi nemiche e l’esercizio di una violenza anche solo verbale, ora gli scrittori, soprattutto quelli più maturi come Wang Meng 王蒙 (1934-) e Zhang Xianliang, tentano di assorbire il trauma senza produrre nuove fratture. Ecco che l’esperienza traumatica viene rielaborata come un sacrificio personale per la nazione.

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3. ZHANG XIANLIANG. BIOGRAFIA CRITICA DELL’AUTORE.

Zhang Xianliang nacque a Nanchino l’8 dicembre 1936 in una famiglia di ricchi industriali e funzionari legata al Partito Nazionalista Guomindang 国民党. Trascorse parte dei suoi anni giovanili fra Chongqing e Shanghai, la metropoli più moderna e occidentalizzata della Cina, dove rimase fino al 1949. Frequentò la scuola media a Nanchino fra l’agosto 1949 e l’agosto 1951 e sarà proprio in questo periodo che inizierà a pubblicare le sue prime poesie sulla rivista Xinhua Ribao 新华日报. Negli anni delle scuole leggerà molte opere di letteratura cinese e straniera in traduzione, oltre a sviluppare una passione per la musica e per il cinema. Successivamente si trasferì con la famiglia a Pechino, dove, in seguito alla separazione dei genitori, visse con la madre e una sorella minore. Qui continuò la sua educazione nella Scuola Media no. 39, dove si diplomò nel 1955. I legami con il Partito Nazionalista costarono al padre l’arresto nel 1952 per spionaggio, la prigione e la morte in carcere: per questo anche Zhang sarà bollato come appartenente alla classe borghese e vivrà sempre con un profondo senso di colpa le sue origini sociali. L’assenza del padre peserà notevolmente e significativamente nella vita e nella formazione psicologica dell’autore, che sarà sempre molto evasivo a proposito del padre, anche nelle sue opere: sappiamo solo che era un imprenditore con interessi in una serie di settori, fra cui la cantieristica navale (Nieh 1981). Nonostante venisse spesso colpevolizzato per le sue origini di classe, durante gli anni della scuola si avvicinò alla retorica idealistica di un “nuovo ordine sociale”. Nei primi anni Cinquanta la madre si trasferì a Pechino con i figli, e qui vissero in gravi ristrettezze economiche. Dopo essersi diplomato tentò di entrare all’università ma non vi riuscì, in parte per i suoi scarsi voti in matematica, scienza e chimica ma soprattutto – a detta dell’autore stesso – per le sue origini familiari: infatti era già stato bollato come «capitalista». Pertanto, nonostante la sua famiglia ormai non possedesse più molto, gli fu impedito di entrare all’università (Sybesma 1989a, p. 56). Secondo Hsia (2006), tuttavia, la sua mancata ammissione all’università fu dovuta presumibilmente alla sua cattiva condotta alle superiori, più che per alle sue origini familiari o al fatto di avere un padre in carcere. Sarebbe stato molto difficile anche trovare lavoro in una grande città e per questo Zhang Xianliang decise di cercarlo in una regione dell’interno, dove era più facile per giovani con un’istruzione poter trovare un impiego dignitoso. Inizialmente venne assunto come impiegato in un remoto villaggio presso il Fiume Giallo, nell’amministrazione della città di Jingxiang, nella contea di Helan nel Ningxia 宁夏, dove si trasferì con la madre e la sorella minore, e in seguito come insegnante 131 in una scuola quadri di Yinchuan 银川, il capoluogo provinciale. Dopo le sue prime prove letterarie si creò una certa reputazione locale, che gli fece guadagnare una posizione migliore come insegnante in una scuola per quadri nel Gansu 甘肃. Sebbene avesse iniziato a scrivere poesia fin dagli anni delle scuole le sue prime pubblicazioni risalgono agli anni dell’insegnamento: all’età di ventun anni, infatti, pubblicò una sessantina di poesie su diverse riviste, segnando così l’inizio delle sue traversie politiche, durate ventidue anni.105 Venne infatti etichettato come «elemento di destra» nel 1957, dopo la pubblicazione della poesia intitolata «Canzone del grande vento» Dafeng ge 大風歌 pubblicata nel luglio 1957 sulla rivista Yanhe 延河. La poesia, in sé una manifestazione piuttosto enfatica di amor patrio e di dedizione al socialismo, era forse troppo soggettiva: lo «je de la chanson» sembra coincidere con il «moi du poète» (Zumthor 1974), per quanto l’autore, nella lettera accompagnatoria allo stesso giornale affermasse che l’«io» nella poesia – effettivamente ripetuto un po’ troppo spesso per essere inteso in senso più lato – poteva essere anche sostituito da un «noi». Zhang Xianliang, forse piuttosto ingenuamente, voleva da un lato esprimere la sua dedizione alla nuova epoca socialista e quindi affermare la sua lealtà al nuovo governo (soprattutto considerate le origini sociali e l’appartenenza politica della sua famiglia) e dall’altro entrare sinceramente nel dibattito dei Cento Fiori (1956-1957) dando il suo primo contributo da intellettuale alla creazione di una nuova società. Nella lettera al giornale, Zhang Xianliang, ammettendo in una certa misura – come gli avevano fatto notare i redattori – di esprimere la rabbia giovanile, spiega quest’animosità con la constatazione che i giovani della sua epoca, i suoi coetanei, si erano ormai lasciati andare ad un molle edonismo a mano a mano che la vita si faceva più facile e aumentava il benessere: la poesia era stata quindi scritta per risvegliare la gioventù dormiente e per rovesciare una poesia fin troppo ottimista, in cui tutto trova soluzione alla fine e ogni problema viene sempre superato. In fin dei conti, comunque, questa lirica sarebbe passata facilmente inosservata, se non fosse stato per la successiva «Campagna contro gli elementi di destra» Fan youpai yundong 反右派运动 del 1957: sebbene fosse stato inserito nelle liste di proscrizione perché la sua unità di lavoro doveva per forza raggiungere la quota del cinque per cento di elementi da epurare, sicuramente le sue origini familiari furono determinanti nel renderlo un bersaglio della purga. Il comitato editoriale della rivista Yanhe definì la poesia antisocialista e reazionaria, finalizzata a «spazzar via ogni cosa nella società socialista» (Nieh 1981, p. 141).

105 Fra le sue prime poesie si ricordano «Notte» Ye 夜; «Canzoni cantate alla sera» Zai Bangwan chang de ge 在傍晚唱的 歌 e soprattutto «La canzone del grande vento» Dafeng ge 大风歌. In queste prime liriche, in particolare nell’ultima, sono stati riconosciuti echi di Walt Whitman e di Percy Bysshe Shelley (Zhou 2006, p. 21). 132

La stessa rivista, dopo aver stabilito il criterio in base al quale giudicarlo, per denigrare ulteriormente l’autore pubblicò la sua postfazione alla poesia: in essa Zhang Xianliang spiegava come il Grande Vento della sua lirica fosse effettivamente una nuova epoca che avrebbe cambiato tutto e metteva in guardia coloro che non erano stato battezzati dalla guerra o dalla lotta di classe e che quindi in quella fase si sentivano disorientati. Essi, continuava l’autore, non riescono a ottenere che una conoscenza superficiale dei tempi, poiché sono preoccupati solo dal proprio tornaconto: «non vogliono soffrire, non vogliono lavorare all’aperto. I loro problemi individuali li preoccupano più dei problemi collettivi» (Nieh 1981, p. 143). Sembra quasi una premonizione di quanto avrebbe di lì a poco sofferto proprio a causa di questa convenzionale poesia. La rivista Yanhe insistette nel condannare Zhang Xianliang affermando che la rivoluzione che auspicava l’autore di Dafeng ge non era una rivoluzione socialista e i cambiamenti che questo grande vento poteva portare erano solo le cattive notizie che giungevano dall’Ungheria dove, in seguito alla destalinizzazione, si ebbe una rivolta antisovietica e anticomunista. Secondo Zhang – continua lo Yanhe – se doveva sorgere una nuova alba, significava che fino ad allora la Repubblica Popolare Cinese era immersa nelle tenebre; che cosa poteva significare per lui “nuova vita” e “nuova era” se non il ritorno alla vecchia vita sotto il controllo dei capitalisti e dei proprietari fondiari? (Nieh 1981, p. 149). Se la condanna che ricevette attraverso il «Quotidiano del Popolo» Renmin Ribao 人民日报 nel gennaio 1958 poteva passare inosservata in una grande città in cui molti intellettuali ben più in vista erano ormai presi di mira dalle autorità politiche, nella piccola città in cui viveva l’autore era un fatto considerato molto grave. Fu in questa occasione che iniziò a scrivere obbligatoriamente confessioni su confessioni delle sue pretese eresie politiche. Fra il maggio 1958 e l’ottobre 1961 fu sottoposto alla rieducazione attraverso il lavoro nella fattoria di Stato Xihu nel Ningxia. In quegli anni la detenzione per l’autore significò soprattutto privazione del cibo, in particolare nel periodo del «Grande Balzo in Avanti» Dayuejin 大跃进 (1958-1962), nei primi anni Sessanta, quando la carestia e la penuria dei mezzi di sussistenza scarseggiavano drammaticamente per tutta la popolazione, e ancor più per i detenuti dei campi di lavoro e delle fattorie di Stato. La fame e la lotta per la sopravvivenza spinsero l’autore a ripensare la sua stessa condizione di essere umano e di intellettuale: spinto dal bisogno nel 1960 scappò dal campo e si trovò nella stazione di Lanzhou 兰州 come un mendicante, e si rese conto che la vita di una persona non può ridursi soltanto alla mera sopravvivenza materiale e che le aspirazioni di un individuo contano più di ogni altra cosa nella definizione di sé stessi e della propria dignità. Le sue aspirazioni 133 erano lo studio e la lettura, necessarie per poter giungere alla comprensione della dolorosa realtà contemporanea e di come si fosse giunti a tali estremi. Tornò alla fattoria di Stato di sua spontanea volontà e fu posto in isolamento: fu proprio durante questo isolamento che iniziò a studiare i classici del marxismo, a partire da Il Capitale di Karl Marx (Sybesma 1989a, p. 57). Per quanto potesse essere un’esperienza che avrebbe spezzato e piegato la volontà e lo spirito di chiunque, l’autore ebbe la forza morale di volgere questa situazione in un vantaggio, temprandosi fisicamente e mentalmente e uscendone rafforzato, anche intellettualmente. Non perse mai la speranza in una vita migliore e nella possibilità di poter un giorno essere chiamato, come i ministri leali ingiustamente allontanati dal governo nei tempi antichi, al cospetto dee potenti per poter riformare lo Stato e contribuire a migliorare la condizione del popolo. Nel 1961 venne rilasciato una prima volta, ma la situazione politica si stava facendo nuovamente molto tesa dopo la fine del Grande Balzo in Avanti e nell’Ottava sessione del Decimo Congresso del Partito Comunista Cinese nel 1962 Mao, per rilanciare il socialismo, affermò: «qualunque cosa accada non dobbiamo mai dimenticare la lotta di classe» (Hong 2007). Le origini familiari dell’autore continuavano a perseguitarlo anche in questa nuova fase, insieme all’etichetta di «elemento di destra». Per questo fu nuovamente accusato di essere un «controrivoluzionario» e condannato al lavoro coatto «sotto sorveglianza» nella fattoria di Stato Nanliang del Ningxia per tre anni: dall’ottobre 1961 al luglio 1963. Venne ancora una volta etichettato come «controrivoluzionario» e posto sotto stretta sorveglianza per tre anni, fino al gennaio del 1965. Prima che finisse di scontare la prima condanna, infatti, era stato lanciato nel 1963 il «Movimento di Educazione Socialista» Shehuizhuyi jiaoyu yundong 社会主义教育运动 che colpì anche chi era già detenuto. Quindi per Zhang Xianliang il lavoro sotto sorveglianza non fu più sufficiente e doveva essere rieducato ancora: per questo venne inviato nuovamente in un campo di lavoro. Facendo un confronto, secondo l’autore era peggio il lavoro sotto sorveglianza piuttosto che il campo di rieducazione attraverso il lavoro, dove le condizioni erano le stesse per tutti i detenuti senza discriminazioni. Nel luglio del 1965 fu rispedito alla fattoria Xihu dove rimase fino al gennaio 1968, quando tornò alla fattoria Nanliang per un altro periodo di lavoro forzato. Nel 1968 fu rilasciato ancora una volta, sebbene l’autore stesso preferisse restare, temendo che fuori dal campo potesse essere molto peggio per uno con i suoi precedenti sociali nel bel mezzo della Rivoluzione Culturale. Tuttavia, gli fu permesso di lasciare il sistema concentrazionario per tornare dalla sua famiglia, che allora viveva a Pechino; poté in questo modo incontrare la madre, che non vedeva ormai da dieci anni. Dopo essere rimasto in città

134 per soli tre giorni, venne preso dalle Guardie Rosse e rispedito nel Ningxia. Tornò nella fattoria di Stato da cui era partito e ci rimase fino al 1970, quando fu nuovamente incarcerato nei campi di lavoro. Dopo altri anni di lavoro coatto fu riabilitato soltanto nel 1979, poiché inizialmente il Comitato Centrale del Partito decise che coloro che sommavano una condanna come «elemento di destra» e «controrivoluzionario» non avrebbero potuto godere della piena riabilitazione. Questo era infatti il caso di Zhang Xianliang, che infatti dovette attendere tre anni dopo la morte di Mao e la caduta della Banda dei Quattro prima di ricevere una completa riabilitazione. In seguito poté nuovamente tornare al lavoro intellettuale: prima come insegnante fra il settembre 1979 e il gennaio 1980 e poi come scrittore. Già mentre insegnava ricominciò a scrivere, inizialmente articoli di saggistica e poi anche narrativa. Pare infatti che le sue tesi sulla filosofia e la politica economica venissero ignorate dagli editori, e per questo gli amici gli consigliarono di cimentarsi nella narrativa breve per attirare l’attenzione sul suo caso (Li 1991, p. 329). La sua prima apparizione come scrittore dopo il 1957 avvenne nel 1979, quando pubblicò la novella «Quattro lettere» Si feng xin 四封信 sul Ningxia Wenyi 宁夏文艺, rivista poi ribattezzata Shuofang 朔方. Sarà proprio dopo la pubblicazione di questo racconto che il mondo culturale si accorgerà della stessa esistenza dell’autore: il segretario del Comitato per la Cultura e l’Educazione del Ningxia riunì un comitato per esaminare il suo caso. Alla fine Zhang Xianliang sarà riconosciuto semplicemente come «elemento di destra» e quindi riabilitato insieme a tutti gli altri. Questo episodio dimostra con forza la performatività, spesso terribilmente ingiusta e arbitraria, di una definizione di sé proveniente dall’autorità o dalla società: era bastato un atto amministrativo per essere dichiarato, tutto d’un tratto, una “brava persona”. Una delle sue prime storie, che può a buon diritto essere fatta rientrare nel filone della «Letteratura delle ferite» è Shuang zhong se yu nong 霜重色愈浓 «Il colori spiccano di più nel grande gelo» del 1979. Al protagonista della storia, Zhou Yuan, viene consigliato dalla moglie di restare defilato e di non dare nell’occhio nella scuola in cui è appena tornato ad insegnare dopo due decenni di punizione come «elemento di destra». Lui vorrebbe invece finalmente realizzare le sue idee riformiste nell’ambito dell’educazione, ad esempio poter insegnare la filosofia confuciana anziché denigrarla come vorrebbero le autorità e come fa la maggior parte dei suoi colleghi. La moglie gli ricorda che proprio per questa sua schiettezza era stato condannato nel 1957 ai lavori forzati e perciò, sentendo il peso della responsabilità nei confronti della moglie e del figlio, promette alla moglie di essere più cauto e condiscendente. Il finale, come molte narrazioni della «Letteratura delle ferite» ha una 135

«coda luminosa» guangming de weiba 光明的尾巴 in cui l’eroe, prima ingiustamente condannato, ottiene finalmente soddisfazione e il giusto riconoscimento come intellettuale o in ogni caso come elemento utile per la costruzione del socialismo, in particolare del nuovo socialismo denghista. Anche in questo caso, quindi, la sezione locale del partito apprezza i suggerimenti sull’insegnamento avanzati da Zhou Yuan, che ottiene un posto di maggior responsabilità. Per quanto il finale di queste narrazioni, come anche in questo caso, lasci ben sperare per il futuro, il dolore del passato non si può cancellare né riscattare e lascia ben visibili le cicatrici dei traumi vissuti. Sebbene le sue prime prove narrative dopo la fine della rieducazione rientrino nella «Letteratura delle ferite», egli riesce a differenziarsi dalle sue formule semplicistiche e manichee per affrontare con sempre più coraggio temi tabù nel dibattito pubblico, facendoli uscire dalle discussioni fra intellettuali. In ogni caso, il «finale radioso» che aggiunge alle sue storie irritò molti lettori, soprattutto i più giovani, che gli rimproverano una certa complicità con il potere. Del resto, occorre comprendere la necessità per Zhang Xianliang e per molti autori come lui di poter essere pubblicati, cosa che non avrebbe potuto avvenire se non adeguandosi, anche preventivamente, alle richieste delle autorità politiche.106 Un altro motivo per cui molti autori della cosiddetta “generazione di mezzo”, quella degli autori “ritornati” o “riemergenti” spesso scelsero di compiacere le autorità e non diventare troppo critici e scomodi è di natura psicologica: molti di questa generazione avevano bisogno di dimostrare di essere stati condannati ingiustamente e di essere sempre stati fedeli al partito (Link 1991, p. 81) e di conseguenza di dimostrare a sé stessi che la propria vita – e soprattutto una vita di sofferenze – non era stata spesa invano.107 Inoltre, occorre anche mettere in conto l’ambizione, visibilissima in Zhang Xianliang, di poter lavorare per il partito. Questa collaborazione volontaria con le autorità da parte degli intellettuali veterani subì una frattura dopo i fatti di Tian’an men del 1989.108 A questo punto l’autore, divenuto una “persona nuova”, poté ottenere un posto di redattore della rivista Shuofang, che era pubblicata dall’Associazione per la Letteratura e l’Arte del Ningxia. Nel 1980 si sposò e l’anno successivo divenne padre. Nello stesso anno ottenne un

106 Altri autori della vecchia guardia che si possono associare a Zhang Xianliang sono Liu Binyan, Wang Meng, Zhang Jie, Shen Rong, Liu Xinwu 刘心武 (1942-), Feng Jicai 冯骥才(1942-): tutti costoro riescono a conciliare severe critiche delle condizioni sociali e politiche della Cina contemporanea con una sincera dichiarazione di lealtà al partito e di amor patrio. 107 Con grande intuizione, Perry Link nota anche che in Ling yu rou, il protagonista dichiara che «un figlio non rifiuta la propria madre perché brutta»: in questa frase il “figlio” rappresenta un intellettuale cresciuto dal partito e la madre è ovviamente la Cina. Aggiungerei che, mettendo a confronto la lealtà dell’intellettuale-figlio nei confronti della patria con il legame di sangue fra padre e figlio e facendo prevalere la prima sul secondo, si riafferma un valore tipico della propaganda e delle narrative socialiste di epoca maoista: la rinascita dell’orfano come figlio del partito e della Cina socialista, la perdita del legame familiare biologico in favore di una famiglia basata sull’appartenenza e sulla solidarietà di classe. 108 Zhang Xianliang venne condannato nel 1993 per aver commemorato i fatti della piazza nel giugno 1989 (Starr 2013, p. 175). 136 certo successo con la pubblicazione del racconto «La storia del vecchio Xing e del suo cane» Xing laohan he gou de gushi 邢老汉和狗的故事 e del romanzo breve «Spirito e carne» Ling yu rou 灵与肉, divenuto molto presto un film dal titolo Mumaren 牧马人 «Il pastore di cavalli». 109 Entrambe le storie sono una riflessione sugli anni appena trascorsi della Rivoluzione Culturale e dei precedenti cataclismi politici che avevano travolto l’intera Cina; per questo le sue prime opere si possono inserire nella riflessione letteraria che va sotto il nome di «Letteratura delle ferite». Nel racconto Ling yu rou il protagonista, Xu Lingjun, descritto dall’autore con evidenti tratti autobiografici, è un giovane già condannato nel 1957 come «elemento di destra» e anche come «controrivoluzionario» durante la Rivoluzione Culturale, che negli anni Ottanta, appena la Cina si riaprì al mondo esterno, poté rivedere il padre, partito all’estero prima di essere coinvolto nelle persecuzioni. Quest’ultimo, divenuto molto ricco, vorrebbe che ora il figlio si trasferisse all’estero per ereditare un giorno il suo impero economico. Trent’anni prima il protagonista aveva visto il padre nella concessione francese di Shanghai, quando era già separato dalla madre ormai malata e in fin di vita in ospedale, e viveva con la propria amante. Il padre poi era fuggito dalla Cina prima che il Partito Comunista Cinese prendesse il potere e la madre morì poco dopo. Il padre nel frattempo era diventato un grande imprenditore e finanziere, mentre il figlio, dopo anni trascorsi nelle regioni nordoccidentali della Cina come pastore di cavalli, capisce che il suo posto non può che essere accanto alle persone semplici e umili che aveva conosciuto sugli altipiani di loess e che non potrebbe mai abbandonare la propria patria per seguire il padre. Gli umili pastori di cavalli che erano diventati la sua famiglia non avevano mai creduto alla sua condanna come elemento di destra, o comunque non l’avevano mai giudicato se non per le sue azioni e con grande affetto gli avevano permesso di sopravvivere all’esilio nelle steppe del nordovest.110 Anche i cavalli che faceva pascolare lo avevano aiutato enormemente dal punto di vista psicologico e lo avevano spesso salvato dal suicidio quando questa soluzione gli sembrava la sola ormai possibile. Xu Lingjun si era anche sposato, per interessamento

109 Diretto da Xie Jin 谢晋 (1923-2008), lo stesso autore del film «Giocatrice di basket numero cinque» Nülan wu hao 女 篮五号 (1957) e in seguito di «Un villaggio chiamato Ibisco» Furongzhen 芙蓉镇 (1986), tratto dal romanzo di Gu Hua 古华 (1942-). Mumaren vinse un premio onorario al Festival di Manila del 1982 e anche alcuni premi in Cina e fu proiettato nella sezione Un certain regard a Cannes nel 1983. Lo stesso regista porterà sul grande schermo anche il racconto Xing laohan he gou de gushi con una pellicola dal titolo «Il vecchio e il [suo] cane» Laoren yu gou 老人与狗 nel 1993. 110 Questo è un particolare sempre presente nelle sue opere, e trova riscontro anche nella sua produzione saggistica: lo stesso Zhang Xianliang riconosce che fu una delle esperienze positive della sua rieducazione: «我应该再次表示感谢我们 中国老百姓的宽厚,农场的 “革命群众” 从来没有把我当作 “犯”。人们原来叫我 “老右”,这个 “老右” 带有亲昵 的意味;文革中我又被叫做 “老修”, “老修” 仍有亲昵的意味» (Zhang 2008, p. 14). «Devo ancora una volta ringraziare la comprensione dei nostri connazionali, le “masse rivoluzionarie” delle campagne non mi hanno mai trattato come un “criminale”. Mi chiamavano “destrorso”, dando a questo appellativo un tono di confidenza; durante la Rivoluzione Culturale fui etichettato come “revisionista”, dandogli sempre una sfumatura di intimità.» 137 degli abitanti della zona, con Xiuzhi, una rifugiata del Sichuan, colpito dalla carestia, e aveva avuto una figlia, Qingqing, che non poteva certo abbandonare per iniziare una nuova vita all’estero., Perfino la vita a Pechino sembrava al protagonista, che giungeva da un luogo e da un tempo remoto, troppo lontana dai propri valori e dalle proprie abitudini: i giovani che in discoteca ballano e sprecano le loro energie superflue lo mettono a disagio e lo disgustano, in particolare per la confusione di genere che si crea nella somiglianza fra ragazzi e ragazze.111 Il padre e il figlio sono simili nella carne ma nello spirito sono lontanissimi, ormai. Gli anni trascorsi in completa solitudine, circondato e accompagnato dagli animali lo avevano segnato profondamente e lo avevano costretto a riconsiderare tutta la propria vita: dagli anni del suo primo abbandono come orfano adottato dal partito, che gli permise di studiare fino alla laurea e gli aveva permesso di redimersi dalla sua origine di classe diventando un maestro elementare fino all’inserimento del suo nome nelle quote degli elementi di destra a causa delle sue origini borghesi. Non c’è recriminazione per quanto subito, ma anzi una certa gratitudine anche per il rafforzamento ottenuto, sia a livello fisico che mentale, negli anni della rieducazione: le braccia sono muscolose, le mani callose, il corpo tonico e agile. In confronto ai figli che il padre aveva in seguito avuto con l’amante, egli non può che considerarsi relativamente più abile e meritevole. Nell’incontro con il padre prende forma concreta il confronto fra il proprio io presente e l’io passato: il figlio di una facoltosa famiglia borghese di Shanghai era diventato un duro e tenace lavoratore: quanta gioia e quanto dolore nel processo di trasformazione! Immerso nella natura selvaggia del nord, insieme ai suoi cavalli, aveva anche provato la gioia di perdere la propria individualità, riducendo le proprie sofferenze e le proprie amarezze come preoccupazioni insignificanti di fronte allo spettacolo di una grandiosa totalità. Questo spettacolo naturale è ciò che più profondamente si poteva chiamare patria: non un concetto astratto o ideologico, ma assolutamente concreto ed esteticamente affascinante. La natura e il lavoro furono le due occasioni che lo studio non poteva sostituire: la lotta contro gli elementi gli avevano dato fiducia in sé stesso e la conoscenza della semplice saggezza degli abitanti locali aveva contribuito alla sua rinascita intellettuale su basi più concrete. Alla fine, superata la bufera della Rivoluzione Culturale, il protagonista poté nuovamente diventare un insegnante, sempre nella stessa regione, e poté così contribuire alla realizzazione delle Quattro Modernizzazioni. A fargli mettere radici ancor più profonde nel nordovest giunse anche un

111 […] 当他看到有柔和的乳白色的灯光中,像男人一样的女人和像女人一样的男人在他身边像月光中的幽灵似 地游荡的时候,却感到不安起来,就像一个观众突然被拉到舞台上去当演员一样,他无法进入要他扮演的角色。 (Zhang 1998a, p. 29) «[…] quando vide in quella morbida luce biancastra ragazzi simili a ragazze e ragazze simili a ragazzi ciondolare come spiriti nella luce lunare, iniziò a sentirsi a disagio; come uno spettatore spinto improvvisamente sul palco a recitare, non sapeva quale ruolo gli fosse richiesto». 138 matrimonio inaspettato con una donna semplice del luogo, poco istruita ma molto devota, affettuosa e onesta. Lei stessa, al momento della riabilitazione del protagonista, disse che per lei lui non era mai cambiato: anche se le autorità avevano cambiato opinione su di lui e lo avevano etichettato diversamente, per lei era sempre rimasto lo stesso. Anche per lei e per la figlia doveva tornare a quella che ormai era la sua casa: gli amici, la terra fecondata dal suo sudore, la famiglia: ecco le sue vere radici, non un padre ormai sconosciuto né i beni ereditati, ma quel che aveva creato con la propria fatica. Si ritrova in questa vicenda una delle matrici tipiche della narrativa comunista: l’orfano adottato dallo Stato socialista che riesce – anche alla fine di un penosissimo percorso di abbandono, solitudine, sofferenza e fatica – a trovare una nuova forma di appartenenza, creata dal proprio lavoro, dalla collaborazione con altri lavoratori e dalla formazione di una nuova famiglia, più solida perché non basata soltanto sulle relazioni naturali di consanguineità ma su un riconoscimento reciproco ed egualitario e sul proprio valore di lavoratore. L’incontro fra padre e figlio, quindi, si conclude con la consapevolezza di una distanza incolmabile: il padre tuttavia è contento di trovare un vero uomo, mentre il figlio capisce i propri meriti rievocando il percorso compiuto fino a quel momento. La conclusione dell’autore è che, per quanto la conoscenza intellettuale sia importante, l’esperienza emotiva è ancor più determinante, perché dà sostanza ad una conoscenza, che altrimenti resterebbe vuota e i sentimenti sono più importanti delle idee. I sentimenti del lavoratore sono il tesoro che il protagonista ha tratto dalla sua esperienza ventennale, che quindi non era stato tempo perduto. In questo il racconto si discosta dalla celebrazione delle sofferenze del passato visibile nelle storie della «Letteratura delle ferite»: in questo caso l’autore si scrolla di dosso il peso delle ferite per enfatizzare piuttosto la reintegrazione del protagonista nella società con l’aiuto del popolo, del proletariato. Questo è anche il simbolo della nuova ideologia pragmatica denghista: l’intellettuale viene salvato e rispettato dal proletariato e in certi casi anche rieducato con l’amore dal popolo, in contrasto con l’idea maoista di un’implacabile lotta di classe dai contorni anche morali fra un popolo essenzialmente “buono” e obbediente di buon grado al partito e alcune classi identificate come nemiche del popolo, fra cui anche gli intellettuali. Se dal punto di vista politico lo schema per cui in queste novelle le opinioni riformiste ed evidentemente denghiste – il pragmatismo economico contro la semplice lotta di classe – dell’intellettuale sono approvate dai lavoratori più umili, portatori del millenario buon senso cinese, d’altro canto si può notare come lo stesso schema serva, dal punto di vista letterario, come sanzione popolare della salvezza e della reintegrazione dell’intellettuale e della sua funzione sociale nella nuova società. Traendone le conseguente ideologiche, questo schema è addirittura

139 molto dirompente: se il partito, sempre autoproclamatosi rappresentante della volontà del popolo, ha condannato un intellettuale ad essere rieducato fra le masse, e se è il popolo ad assolvere lo stesso intellettuale, cosa si deve pensare della pretesa del partito di conoscere davvero la volontà del popolo e di esserne il rappresentante? Lo stesso intellettuale, educato fra le masse, viene davvero a conoscenza della volontà del popolo, non in base a preconcetti dogmatici ma per esperienza diretta, e capisce che quello che il popolo desidera è ciò che alcuni rappresentanti del partito più pragmatici e realistici vorrebbero realizzare: ecco che l’intellettuale recupera anche la sua funzione sociale restando nell’ambito del socialismo nella sua versione pragmatica, usando cioè la pratica come criterio per giudicare la realtà. Egli non è più però propagandista del partito, quel che era stato per necessità fin dai Discorsi di Yan’an del 1942, ma può essere finalmente tramite fra il popolo e il potere. Ecco che anche l’esperienza calamitosa della rieducazione può essere rivendicata come un merito e come una tappa indispensabile per (ri)diventare intellettuale. Anticipando alcuni temi della «Ricerca delle radici», nella novella l’autore presenta anche il tema della degenerazione maschile, in seguito centrale nella sua produzione: egli crea al tempo stesso una distopia e una discronia comunista e moderna, trovando (o creando fittiziamente) un’utopia pastorale e un’ucronia premoderna nelle steppe del nordovest, in cui ritrovare la mascolinità originaria perduta e incontaminata dal progresso storico e politico. Il cavallo allora simboleggia la mascolinità della vita selvaggia e delle minoranze; la mascolinità primitiva a cui corrisponde la libertà di esprimere il proprio corpo e la propria forza in una terra lontana dal controllo politico in un’identità maschile imperitura e immutabile, per quanto eccentrica, contro quella rivoluzionaria, estremamente costrittiva e troppo precaria. Il piacere di essere in questo caso lontano dai propri simili, se questi sono soltanto dei nemici, è chiarito anche dal rapporto con il cavallo, con la natura e gli animali, lo stesso attaccamento affettivo che ha il vecchio Xing con il proprio cane nella novella successiva. Molti degli stessi temi trattati si possono rintracciare infatti nella storia “gemella” Xing laohan he gou de gushi, in cui è solo un animale da compagnia a salvare l’essere umano dalla desolazione morale e dall’ostilità sociale che lo circonda. Questo fa pensare che in realtà (per quanto si cerchi di valorizzare anche per motivi politici contingenti l’esperienza del campo di lavoro) al fondo dell’esperienza dell’autore ci sia spesso una profonda delusione nei confronti dell’umanità. In effetti, a causa dell’effetto disumanizzante della fame, delle privazioni e della “lotta per la vita” che riducevano i detenuti a pensare solo alla propria sopravvivenza, restava ben poco spazio nell’animo per sentimenti di umanità e di solidarietà. In questa cornice si può comprendere l’effetto consolatorio della natura e delle

140 sue creature, prive delle feroci passioni e del desiderio di sopraffazione dei propri irriconoscibili simili. Nelle prime opere questo pensiero è solo accennato e suggerito, poiché l’autore seguì molto cautamente lo sviluppo della situazione politica contemporanea, per capire quanto potesse rivelare della propria esistenza passata e quanto forte potesse essere la sua denuncia. Le prime storie infatti non avanzano accuse o critiche troppo sfacciate e il racconto delle esperienze nei campi di lavoro si avrà solo in seguito. Tuttavia, alcuni elementi della visione dell’autore che si chiariranno col tempo nella sua produzione si possono evidenziare fin da queste prime pubblicazioni. Come già detto, il legame privilegiato fra essere umano ancora tale e natura, fra il protagonista, eroico portatore di valori umani ancora intatti, derogando al realismo sempre rispettato dall’autore, e animale è uno di questi elementi che col tempo si chiariranno meglio nella narrativa di Zhang Xianliang. Nel racconto Xing laohan he gou de gushi, infatti, tutta la vicenda ruota intorno all’attaccamento del protagonista per l’unica creatura che agli abbia sempre dimostrato affetto e fiducia, dopo aver perso anche l’amore per una donna. Lo stesso protagonista, similmente ai cani dei villaggi, che non hanno mai un nome e sono sempre chiamati solo “cani”, era noto solo con il suo appellativo di “vecchio Xing”. La storia è raccontata come una ricostruzione storica da parte del narratore che aveva conosciuto la vicenda del vecchio vedendo un acquarello realizzato dal vecchio che ritraeva il proprio cane, definito dal titolo dell’opera “un vero amico”, in seguito bastonato a morte dalle Guardie Rosse in ottemperanza al divieto di possedere cani e animali da compagnia. Il protagonista della novella era un contadino che aveva lavorato per una vita sui campi, senza riuscire mai a mettere da parte i mezzi per formare una famiglia e a quarant’anni, ancora scapolo, dovette accontentarsi di una moglie malaticcia, giacché i migliori partiti non avrebbero accettato di sposarlo. La moglie, però, per la sua salute precaria, morì nel giro di pochi mesi. Nel momento in cui vennero create le cooperative di villaggio, il vecchio Xing si gettò entusiasticamente nell’impresa, sapendo che da solo non avrebbe avuto le forze e i mezzi per resistere ai disastri naturali o umani e quindi cedette tutto quel poco che possedeva alla cooperativa. Appena sembrava che la sua vita potesse migliorare un po’ e che potesse ottenere i mezzi per sposarsi di nuovo, iniziò il Grande Balzo in Avanti e la vedova che il vecchio Xing stava per sposare non volle aspettare che ultimasse i suoi lavori per la produzione di acciaio e si trovò un altro uomo. La successiva e conseguente carestia costrinse ancora il vecchio Xing a restare scapolo perché le quote di cereali erano talmente ridotte che impedivano a chiunque di provvedere a qualcun altro. Ma il protagonista resta fiducioso e ottimista: la vita sarebbe presto cambiata e forse anche lui avrebbe avuto la possibilità di

141 sposarsi. Quando nel 1972 la provincia vicina soffrì per una terribile siccità, molti profughi in cerca di sostegno giunsero anche nel villaggio del vecchio Xing e una donna sui trent’anni si stabilì nella sua casa e venne pian piano riconosciuta anche dalle autorità locali come sua moglie. Era ormai il periodo della Rivoluzione Culturale e il concetto di legge era notevolmente rilassato: in questo caso bastava vivere insieme come marito e moglie per essere riconosciuti anche legalmente come tali. Tuttavia, nel villaggio cominciarono a correre notizie di una possibile bigamia della sua compagna, che infatti non voleva prendere la residenza nel villaggio del vecchio Xing. La donna iniziò subito a rendere la casa più pulita e confortevole per il suo compagno. La riflessione dell’autore a questo punto si concentra anche esplicitamente sulla “diversità” delle donne, in particolare per il modo in cui la moglie aveva trasformato la casa dentro e fuori. Ancora una volta, come già in Ling yu rou e poi anche in Xiao’erbulake la donna viene identificata come “naturalmente”112 associata allo spazio yin domestico, curatrice del rifugio dell’uomo dalle fatiche dello spazio esterno, dello spazio pubblico yang. Questo è sicuramente una delle ragioni per cui le narrative di Zhang Xianliang sono apparse ad una parte della critica come retrograde e maschiliste. L’autore in questo momento della novella riesce ad inserire anche una riflessione sul particolare tipo di amore dei lavoratori cinesi: esso è suscitato soprattutto da una condizione di sofferenza e di difficoltà e dalla necessità di sostenersi e incoraggiarsi a vicenda. Per questo non c’è bisogno di tanto romanticismo, né trova spazio in momenti di grande fatica e di fame. Questo tipo di amore, però è molto più profondo e creativo. Quello che il vecchio Xing desiderava, e che la sua nuova compagna poteva dargli senza nemmeno chiedere, era una tenera e premurosa cura dei suoi bisogni materiali: un pasto caldo e il rammendo dei vestiti dimostravano ampiamente l’attaccamento e il conforto della donna nei confronti dell’uomo.113 La felicità del protagonista viene infranta dalla rivelazione che in

112 «女人真是天生下来就和男人不一样的生物。» (Zhang 1998b, p. 8) «Le donne sono creature naturalmente diverse dagli uomini». 113 «我们中国人有我们中国人的爱情方式,中国劳动者的爱情是在艰难困苦中结晶出来的。他们在崎岖坎坷的人 生道路上互相搀扶,互相鼓励,互相遮风挡雨,一起承受压在他们身上的物质负担和精神负担;他们之间不用 华而不实的词藻,不用罗曼蒂克的表示,在不息的劳作中和伤病饥寒时的相互关怀中,就默默地传导了爱的搏 动。这才是隽永的、具有创造性的爱情。这个女人虽然不言不喘,但她理解邢老汉的感情;她不仅从不拒绝邢 老汉的温情,并且用更多的关怀作为回报。而一个贫穷孤单的农村老汉,要求得到精神上的慰藉与满足,也并 不需要更多的东西,一碗由他女人的手做出的面条,多加些辣子,一片由他女人的手补的补丁 […]。所以,邢 老汉在那几个月里就好像一下子年轻了十来岁,走起路来也是大步流星的,引得庄子里一个七十多岁读过私塾 的老汉逢人便说:“真是古人说得对:男子无妻不成家。你们看邢老汉,眼下就是发福了,红光满面,连印堂都 放光哩”» (Zhang 1998b, p. 9) «Noi cinesi abbiamo il nostro tipico modo di amare e l’amore dei lavoratori cinesi si cristallizza nelle difficoltà. Sulla strada accidentata della vita essi si sostengono, si incoraggiano e si difendono a vicenda, sopportano insieme il peso delle difficoltà materiali e spirituali; fra loro non c’è bisogno di parole ricercate, né di espressioni romantiche, nella solidarietà reciproca di una vita di lavoro fra malattie, fame e freddo si sente pulsare silenzioso il loro amore. Questo è davvero un amore profondo e pieno di creatività. Sebbene questa donna non dicesse una parola, capiva bene i sentimenti del vecchio Xing; lei non solo non rifiutava la tenerezza del vecchio Xing, ma la ricambiava con ancor più attenzioni. Ma il vecchio Xing, povero e solo, si sentiva soddisfatto e confortato, e quindi non aveva bisogno di molte cose: una tazza di spaghetti fatti dalla compagna con le sue mani, con una piccola aggiunta di peperoncino, una toppa cucita 142 effetti la sua compagna era già sposata altrove e aveva dei figli e che si era trasferita solo per aiutare la propria famiglia ad uscire dalla carestia; per di più la donna era sotto sorveglianza poiché proveniente da una famiglia di contadini ricchi e il suo villaggio non le avrebbe permesso di andare in cerca di cibo. Sarebbe stato difficile per lei ottenere un cambio di residenza e temeva inoltre di “contaminare” il vecchio Xing con la sua etichetta di classe. Il vecchio Xing, definito come il meno politicamente consapevole della comune, inizia a dubitare delle autorità politiche domandandosi come mai fosse ancora etichettata come contadina ricca, se era ormai ridotta a mendicare. Tuttavia, in questa fase della scrittura dell’autore, accuse dirette nei confronti del sistema politico si possono rintracciare solo velatamente e sicuramente solo allorché sono riconducibili, anche solo indirettamente, alla Banda dei Quattro. Il segretario locale del partito, invece, è descritto con tratti molto più umani e questa distinzione fra vertici incompetenti e dispotici e quadri locali comprensivi ed efficienti è uno dei tratti tipici della critica al recente passato all’inizio della Nuova epoca. La tragedia si abbatte nuovamente sul vecchio Xing, ancora una volta vittima delle decisioni politiche: la donna lo abbandonò dopo aver spazzato e pulito tutta la casa, dopo aver pulito e rammendato i suoi vestiti, le coperte e le scarpe. Il giorno seguente, tornando a casa trovò ad attenderlo davanti alla porta un cane randagio, che sarebbe poi divenuto la sua unica compagnia. Per un anno il protagonista attese che la sua compagna potesse tornare: non lasciandogli alcun messaggio di addio gli aveva permesso in qualche modo di sperare e il cane lo consolava della sua solitudine. Addirittura, il cane aveva gli stessi occhi docili e sinceri della donna e Xing pensava che il cane fosse addirittura un dono lasciato dalla donna alla sua partenza. Tuttavia, anche questa unica consolazione venne tolta al protagonista quando una nuova campagna politica si abbatté sul villaggio: venne ordinato di abbattere tutti i cani della zona perché consumavano cibo che poteva essere assegnato alle persone. Ciò che aggiungeva ancor più crudeltà a questa misura fu la capacità di molti di approfittare della situazione per lucrare sulla morte dei cani: essi infatti potevano essere venduti come carne nei mercati delle città. Solo il vecchio Xing resisteva e non voleva che il proprio unico amico fosse eliminato: sostenendo le sue ragioni, un anziano sostenne che questa misura doveva per forza far parte della campagna per criticare Confucio, giacché Confucio predicava la lealtà, la pietà filiale e l’integrità, tutte virtù che i cani possiedono. Per questo, per criticare Confucio si era cominciato col criticare i cani, altrimenti come potevano

da lei con le sue mani […]. Per questo il vecchio Xing in quegli ultimi mesi era ringiovanito improvvisamente di dieci anni, e anche la sua camminata era molto più spavalda, tanto che ispirò un settantenne del villaggio che aveva studiato e che diceva a tutti quelli che incontrava: “Davvero gli antichi dicevano bene quando affermavano che un uomo senza moglie è come senza una casa. Guardate il vecchio Xing, è improvvisamente ingrassato e il suo viso si è fatto tutto rubicondo e splendente”». 143 altrimenti essere fatti passare per nemici di classe? Cercando in extremis di difendere la sua posizione e di proteggere il proprio cane, il vecchio Xing si rivolge al caposquadra Wei, che si lancia in una tirata che esprime tutta la frustrazione dell’autore e di molti come lui che avevano sacrificato tutto della propria vita (e molti anche la propria vita) durante le assurde campagne politiche e sociali del maoismo, spesso portando a termine progetti in cui non credevano o di cui si vergognavano. In questo modo si fra strada la recriminazione da parte dell’autore nei confronti della politica, anche se vengono sempre salvati i quadri intermedi. Il caposquadra si chiede infatti perché era stato criticato in precedenza, forse solo perché aveva osato parlare in difesa di coloro che erano stati accusati di essere degli «elementi di destra». Per questo aveva capito che i vertici non sono contenti di un quadro troppo popolare fra la gente e che per soddisfare le autorità occorre soffrire un po’. Inoltre, le direttive che giungono dall’alto sono contraddittorie e speciose: senza i mezzi per “imparare da Dazhai” occorre ricorrere parzialmente all’economia di mercato, ma così si rischia di incorrere nell’accusa di capitalismo. La situazione è estremamente pericolosa: non si può sapere cosa riservi il futuro, forse altre accuse e forse un rilassamento del clima politico, quindi sarebbe stato meglio non opporsi direttamente alle autorità per una questione tanto semplice da risolvere e in futuro forse il vecchio Xing avrebbe potuto avere un altro cane. Il vecchio Xing a quel punto si arrende e il cane viene abbattuto. Il protagonista non capisce nemmeno perché tutto ciò sia avvenuto, sa solo vagamente che si tratta di “politica” e “lotta di classe”. La verità della politica e quella umana dei sentimenti vengono fatte scontrare direttamente e tragicamente: sono presentate ora come inconciliabili e niente di utile sembra poter essere tratto dall’esperienza del vecchio Xing, solo dolore e abbandono, che rendono la sua vita priva di senso. Poco tempo dopo, infatti, quando le ultime campagne si esaurirono e il latrato dei cani si poté nuovamente udire nel villaggio, il vecchio Xing venne trovato morto in casa sua. Un vecchio del villaggio commentò così: «Se la politica non fa progressi criticano Confucio! Se la produzione non migliora, allora uccidono i cani! Non è abbastanza che la gente soffra, anche gli animali devono soffrire. Se il cane del vecchio Xing fosse stato ancora in giro avrebbe abbaiato e dato l’allarme» (Zhang 1998b, p. 23).114 Se la dialettica di classe del maoismo viene superata o almeno contestata nella novella Ling yu rou, nella seconda si può notare anche la presenza di un funzionario non del tutto identificato con l’estremismo di sinistra di cui furono vittime i protagonisti delle prime narrazioni postmaoiste. Se l’alleanza fra intellettuali e popolo serve a dimostrare l’arbitraria ingiustizia subita dai primi

114 «政治上不去,批孔哩!生产上不去,大狗哩!整了人不够,还要整畜生!要是邢老汉的狗还在,它叫几声, 也让咱们早点知道……» (Zhang 1998b, p. 23). 144 ad opera delle autorità, molto spesso i rappresentanti del partito nelle narrazioni di Zhang Xianliang ricoprono appunto il ruolo dell’antagonista e attirano su di sé la responsabilità del male compiuto sugli intellettuali e sul popolo. In Xing laohan he gou de gushi, infatti, si può vedere come anche i funzionari di basso livello spesso fossero presi fra incudine e martello: erano costretti a implementare politiche palesemente assurde e ingiuste facendosi detestare dal popolo e spesso finivano coll’essere a loro volta vittime delle campagne di rettifica. Un altro elemento autobiografico del racconto consiste nella mancata esperienza con l’altro sesso: anche l’autore infatti fino ai quarant’anni non aveva avuto alcuna esperienza con le donne e tutta la sua vita sentimentale si era svolta nella sua mente: il suo sviluppo e la sua crescita umana ed emotiva erano più cerebrali che fisiche, più sogno ad occhi aperti che esperienza reale. In seguito pubblicò un altro racconto, «Treno espresso numero 43» Shisan ci kuaiche 十三 次快车: all’età di quarantatré anni inizia a descrivere gli eventi della sua nuova vita. È però nel 1981 che pubblicò il suo terzo lavoro di una certa importanza, dopo Ling yu rou e Xing laohan he gou de gushi, il primo ambientato nell’universo concentrazionario cinese: «Parole d’amore in una prigione di campagna» Tulao qinghua 土牢情话 sulla rivista Shiyue 十月, una storia d’amore tormentata fra un detenuto e una guardia, una ragazza di campagna ingenua e sentimentale tradita dall’intellettuale che doveva controllare. Questo è il primo di una serie di romanzi e racconti in cui l’autore descrive i tormenti fisici e spirituali di suo alter ego alle prese con la fame, gli stenti e l’oppressione e internamente con la ridefinizione della sua identità ideologica, sociale e sessuale ed è basato sulla sua reale esperienza di una prigione rurale nel 1970 e sui ricordi di una guardiana gentile e timida, ma pur sempre armata di fucile. Il romanzo, il cui sottotitolo è «Preghiera di un sopravvissuto» Yi ge gouhuozhe de qidao 一个苟活者的祈祷, rappresenta un passo avanti nella ricerca dell’autore nelle due direzioni della critica sociale e della confessione personale, in particolare nell’ambito sentimentale e sessuale. L’elemento dell’autenticità della confessione e dell’identificazione fra autore e lettore nell’uso della prima persona narrante rende questo tipo di narrativa particolarmente attraente nel periodo postmaoista. «Con la sola eccezione di Yu Dafu, probabilmente Zhang Xianliang è l’autore che più di ogni altro ha usato la narrativa confessionale per esplorare le relazioni fra sessualità e politica» (Ngai 1994, p. 49). In questo Zhang Xianliang è erede di una tradizione di prosa e di narrativa autobiografica e confessionale che risale almeno ai «Sei racconti di una vita fluttuante» Fusheng liuji 浮生 六记 di Shen Fu 沈复 (1810-1816 ca.). La confessione in questo caso non è solo

145 extranarrativa, quindi non riguarda soltanto la vicenda storica dell’autore, camuffata da racconto di finzione, ma la stessa narrazione è costruita come la dichiarazione di colpevolezza di un ex detenuto e delle proprie colpe nei confronti della guardia che era innamorata di lui. Alle colpe fasulle di cui erano vittime i condannati delle varie campagne contro le categorie prese di mira dallo Stato comunista, che erano ripetute ad nauseam nelle confessioni scritte obbligatoriamente per poter essere finalmente considerati emendati e rieducati, si sostituisce in questo caso – non senza una certa amara ironia da parte dell’autore – una confessione sentimentale ben più necessaria per un tradimento che, per quanto finzionale, non è meno riprovevole nella verità del racconto e nella plausibilità della realtà storica. L’intellettuale Shi Zai115 rivede dopo dodici anni in una stazione ferroviaria una donna, Qiao Anping, che era stata la guardia assegnata al suo controllo quando era detenuto per motivi politici in una prigione di campagna. Ora il protagonista è un affermato uomo di lettere mentre la donna sembra essere stata consumata da una vita di fatiche e di stenti e Shi Zai sente che la colpa è soprattutto sua. Lei stessa non sa nulla del suo tradimento e in questo modo la confessione si fa ancora più necessaria per ristabilire la verità di fronte al mondo. I contorni morali della confessione, strumento fondamentale per trovare l’assoluzione – sia in termini religiosi che laici – sono evidenti, come anche la tensione fra il bisogno di espiare con la rivelazione delle proprie colpe e il segreto desiderio di nascondere tutto anche a sé stessi e dimenticare. In ogni caso, la tensione morale e interiore del narratore è evidentissima: il desiderio di superare e lasciarsi alle spalle quello spiacevole e tormentoso passato deve in qualche modo essere realizzato, o con l’assoluzione e la comprensione altrui – in particolare si può contare sulla simpatia dei tanti che si trovarono in diversa misura costretti a barattare il proprio senso morale e i propri principî per poter sopravvivere, anche al di fuori del campo di lavoro – oppure con l’oblio. Una terza possibilità è forse quella che più aiutò l’autore stesso, almeno fino a quando non trovò la forza di rievocare i traumi del passato per riscrivere i suoi diari di prigionia nei primi anni Novanta, ossia la confusione fra ricordo e finzione. In una delle sue annotazioni del suo diario Wo de putishu si legge che spesso le confessioni rese in forma scritta durante la prigionia non erano attendibili e anzi spesso i prigionieri esageravano le proprie colpe per poter aver qualcosa da confessare, qualcosa che non avevano nemmeno mai pensato, ed esprimere così la loro lealtà assoluta al Partito (Zhang 1996 p. 11). In questo modo dimostravano di stare scrivendo la storia della propria vita e quindi di stare definendo la propria identità dal punto di vista esterno dello Stato:

115 Il nome del protagonista (石在) significa letteralmente «ci sono (ancora) pietre» ed è, secondo Ngai (1994, p. 55-56) un riferimento ad un brano di prosa in cui Lu Xun afferma che «Finché ci saranno pietre, i semi del fuoco non moriranno» ossia, finché ci saranno pietre occorre continuare a lottare per portare il cambiamento in Cina. 146 l’autobiografia era scritta per e da un altro soggetto (Starr 2013, p. 162). La loro prospettiva era quindi quella della storia e non della memoria, che invece trova nell’epoca postmaoista la sua rivalsa. In questo romanzo emerge finalmente nella produzione dell’autore il tema della persecuzione politica nel sistema concentrazionario, ed egli, sicuramente ora rassicurato dalla situazione politica, mette esplicitamente a confronto la storia ufficiale con la memoria personale. Nel laogai e nelle prigioni maoiste che l’autore conobbe ogni principio morale crollava immediatamente: di fronte all’inedia, alla paura e al dolore la compassione e la solidarietà umana sparivano immediatamente e ognuno era pronto a denunciare gli altri per guadagnare qualche favore o qualche vantaggio materiale. Si diffuse così per la semplice necessità di sopravvivere e difendersi l’abitudine all’ipocrisia, alla disonestà, alla falsità generalizzata. La confusione e la commistione di elementi reali e di elementi inventati, esagerati o minimizzati, nella sua narrativa, possono essere perciò uno strumento che l’autore impiega per denunciare l’intrinseca inattendibilità di certe confessioni, con in più un certo grado di derisione verso il pubblico dal quale ci si aspetterebbe un giudizio farisaico e un’ipocrita assoluzione. Questo ancor più in una narrazione, come quella in esame, che si gioca proprio sulla reciproca diffidenza, sull’ipocrisia interessata e sulla menzogna, tutti sentimenti che portano alla perdizione entrambi i protagonisti: non solo la guardia sarà tradita e punita, ma anche il protagonista perderà la propria integrità. La sua personalità esce frantumata dalla continua paura della morte e non riesce a capire chi siano gli amici e chi i nemici, temendo sempre di essere ingannato anche da chi vorrebbe amarlo, come Qiao Anping. Il superamento di certi traumi non poteva essere compiuto raccontando le vicende della prigionia, sarebbe occorso un percorso personale di rielaborazione culminato nella scrittura dei suoi diari: fino ad allora nella sua narrativa l’aspetto della sorveglianza e della punizione rappresenta per Zhang Xianliang solo un’ambientazione, l’unica possibile per chi aveva vissuto per ventidue anni l’universo concentrazionario del nordovest: non conoscendo la società contemporanea, voleva dare ai propri lettori un’immagine romanzata di quel che gli intellettuali avevano subito e di quanto potesse essere pericoloso per tutti tornare agli eccessi del passato. In questo si fece sicuramente sostenitore e partigiano delle riforme denghiste e di una dirigenza politica più pragmatica, capace di impiegare gli intellettuali anziché punirli e perseguitarli. La riprova sta nel fatto che per tutti gli anni Ottanta si dedicherà soprattutto a descrivere la liberazione del desiderio e l’espressione degli impulsi individuali, impresa ancor più esplicita se calata nella cornice del massimo della costrizione, della segregazione e della repressione: il campo di lavoro. Questo campo, però, funziona sia nell’ottica politica

147 che nell’immaginario letterario come una metafora e una sineddoche della società nel suo complesso: il campo è il frutto di una società repressiva e ingiusta e serve a spaventare e a reprimere non solo coloro che vi si trovano all’interno, ma forse ancor più coloro che si trovano al di fuori di esso. Tornando alla vicenda narrata in Tulao qinghua, vediamo l’innocente e analfabeta Qiao Anping innamorarsi pian piano dell’intellettuale Shi Zai, sia per il suo fascino di intellettuale (un topos delle narrative del genere caizi jiaren 才子佳人), sia per la prodezza dimostrata salvando una donna che rischiava di annegare dopo una tempesta e che altri non era se non la moglie del comandante del campo. Durante l’alluvione il protagonista ha una prima dimostrazione della depravità e della bestialità dei suoi simili che, anziché aiutarsi gli uni con gli altri, si colpiscono fra loro. Nonostante l’eroismo dimostrato da Shi Zai, il comandante, che odia profondamente gli intellettuali, distorce i fatti e fa credere che sua moglie sia stata salvata da Qiao Anping. Il protagonista inoltre viene a sapere di essere rimasto orfano della madre e questo acuisce la simpatia e il senso di protezione (materna) di Qiao Anping nei suoi confronti, oltre all’ammirazione che lei prova per la sua cultura. Vediamo già all’opera il modello della «feeding mother» (Gang 1999) nella guardia Qiao Anping, che si prende cura di Shi Zai dandogli delle razioni in più e mostrandogli comprensione per i suoi “problemi politici” e addirittura danza per lui: quando, come ogni mattina, le guardie si esibiscono nella danza di fedeltà a Mao sul piazzale davanti alla prigione, lei si mette davanti alla sua finestra in modo da essere vista da Shi Zai, che si sente subito attratto dal suo corpo. Sebbene lei gli appaia come un angelo innocente sceso nell’inferno del campo, Shi Zai non si fida di lei poiché non solo è una guardia ma una persona di una classe sociale “corretta”: ad esempio, quando lei cerca di mostrargli simpatia conversando, lui non si fida, temendo che voglia estorcergli una confessione. Tuttavia, non può negare a sé stesso di essere attratto fisicamente dal suo corpo, ma al tempo stesso teme il fucile che lei porta sulla schiena e quindi si strugge fra desiderio e paura, desiderio e pericolo. Ciò che lo spingerà ad essere ancor più coinvolto sentimentalmente nei suoi confronti è la situazione del campo: un alto funzionario del partito era stato rinchiuso nella prigione dopo essere stato denunciato all’inizio della Rivoluzione Culturale ed era in seguito morto per le percosse subite. Temendo che per mantenere il segreto sulle cause della sua morte il capo del campo avrebbe ucciso i compagni di cella del funzionario, fra cui anche Shi Zai, i prigionieri decidono di inviare una lettera alla vedova per spiegarle che la morte del marito non era stata accidentale e chiedendole aiuto in cambio della verità. Per poter inviare la lettera, i detenuti incaricano Shi Zai di consegnarla a Qiao Anping dicendole che

148 si trattava di una lettera personale. Agendo per amore, Qiao Anping acconsente e si trova suo malgrado implicata nel complotto. Una notte, poi, Qiao Anping porta Shi Zai nei boschi e gli rivela di aver sentito che ci sarebbe stata una sessione pubblica di lotta nella prigione in seguito alla quale avrebbe avuto luogo un linciaggio dei detenuti e che probabilmente lo stesso Shi Zai sarebbe morto, per questo aveva organizzato la sua fuga per il giorno successivo. Travolti dalla passione, i due fanno l’amore. Il giorno successivo Shi Zai sarà il primo ad essere interrogato nella sessione di lotta e uno dei guardiani responsabili lo accusa di non fare abbastanza per riformarsi fingendo inoltre di conoscere le sue attività all’interno della prigione. A questo punto Shi Zai cede e, temendo che l’attrazione di Qiao Anping fosse stata fin dall’inizio una trappola, confessa la sua relazione e il piano per l’evasione, senza fare i nomi degli altri detenuti coinvolti. Era una confessione estorta non per motivi politici ma solo sfruttando il puro e semplice istinto di sopravvivenza. Quella stessa notte Qiao Anping viene arrestata e stuprata dal guardiano, al quale sarà poi forzatamente sposata. Il tema della sessualità e del desiderio in questa narrazione emerge con una certa evidenza, anche se ancora in termini piuttosto pudicamente autocensori: l’incontro nei boschi, che il protagonista ammette resterà per sempre fra i suoi ricordi, viene sfumato in alcuni puntini di sospensione e l’esperienza sessuale si consuma in due minuti, un baluginio di tenerezza che porterà sempre nel cuore come sostegno emotivo. In effetti il tema della sessualità è solo accennato per ora ed espresso indirettamente attraverso insinuazioni e immagini indirette; ad esempio, quando il protagonista ammira il corpo della ragazza dice: «Non avevo mai visto un corpo di sangue e carne che fosse capace di irradiare una simile bellezza» (Zhang 1994b, p. 72);116 inoltre, sotto lo sguardo di Qiao Anping e delle altre guardiane il protagonista acquisisce consapevolezza del suo stesso corpo e della propria mascolinità, che rischia in effetti di perdersi in un mondo esclusivamente maschile, soprattutto per quanto riguarda l’elemento dell’(etero)sessualità: lavorando sotto il sole insieme agli altri detenuti Shi Zai capisce che il duro lavoro coatto è anche un’occasione per scolpire e abbronzare il proprio corpo e acquisire così un certo orgoglio maschile;117 anzi, la privazione di ogni forma di potere e il rovesciamento delle tradizionali gerarchie di potere in una situazione in cui le guardie sono donne armate e i lavoratori detenuti maschi, fa ammettere al protagonista di essere un novello Ah Q che, di fronte alla vittoria altrui, volge la sconfitta in una vittoria spirituale rivendicando in maniera quasi infantile la superiorità intrinseca della sua identità maschile: «Anch’io sono una persona, e sono un maschio. In quel momento la mia sensibilità

116 «我从来没有见过,一个有血有肉的躯体会放射出这样美的光辉。» (Zhang 1994b, p. 72). 117 «[…] 不禁有一种男子汉的自豪感» (Zhang 1994b, p. 81). «[…] Non potevo non provare un certo orgoglio maschile». 149 maschile avrebbe potuto farmi ottenere un po’ di soddisfazione e creare una vittoria spirituale da Ah Q: anche se voi portate i fucili, la mia forza basta a schiacciarvi» (Zhang 1994b, p. 82).118 Secondo la convenzione della «prigione romantica»,119 il protagonista, vincendo l’amore della guardia, che rappresenta il potere, realizza il suo riscatto e la sua vittoria, riaffermando in questo caso anche il predominio del maschile sul femminile. In questo confronto con la donna, che detiene il potere e amministra potenzialmente la morte con il suo fucile sempre sulle spalle, a prevalere è il legame omosociale e la solidarietà con gli altri detenuti maschi. Tuttavia, Shi Zai sente di essersi abbassato al livello dei suoi deprecabili guardiani approfittando dei sentimenti della ragazza per i propri scopi e così sembra aver rovesciato il topos del rinnovamento spirituale in un’ulteriore prova dell’effetto moralmente degradante dei campi, in cui il protagonista non può trovare alcuna speranza di riscatto e di affermazione della superiorità morale dell’intellettuale. Il sacrificio femminile che lui stesso ha provocato tradendo Qiao Anping diventa in questo romanzo la salvezza del protagonista maschile e un ribaltamento dei ruoli di genere in suo favore. L’ipocrisia e la falsità appresa nei campi è forse all’opera anche nella narrazione: quanto è sincero il pentimento di Shi Zai? E la masochistica accettazione della punizione assorbita durante la prigionia non potrebbe in qualche modo aver condotto il narratore ad esagerare le proprie colpe? Di certo l’opportunismo dimostrato e il senso di vergogna che perdura anche dopo la liberazione demoliscono ogni pretesa romantica del racconto e rafforzano invece il realismo di una progressiva depravazione morale causata dal totalitarismo e dai suoi strumenti di controllo. A partire dal 1981 Zhang Xianliang iniziò una serie di romanzi che avrebbero dovuto descrivere i problemi della Cina contemporanea: per primo uscì «Seme di drago» Longzhong 龙种 (1981), il cui protagonista è un nuovo segretario di partito in una fattoria di Stato che cerca di cambiare i metodi di produzione della fattoria. Il secondo è «Lo stile maschile» Nanren de fengge 男人的风格 (1982), che descrive anch’esso le vicende di un segretario di partito a livello municipale e le sue innovative idee relativamente alla politica e alla società.

118 «我也是人,而且是男人。这时,我那男性的敏感总会使我得到一点满足,还产生一种阿 Q 式的精神胜利:别 看你们拿着枪,我的气势就足以压倒你们。» (Zhang 1994b, p. 82). 119 Questo, come anche altri romanzi e racconti dell’autore, descrive una storia d’amore sullo sfondo della prigionia e riprende la convenzione letteraria della «prigione romantica» individuata da Victor Brombert (citato in Williams, Wu 2004, pp. 182-183). Questo romanzo però descrive particolarmente bene questa convenzione perché racconta una storia d’amore fra un detenuto e una guardia. Questa convenzione infatti descrive il trionfo di un personaggio ingiustamente condannato sulle forze sociopolitiche che lo hanno punito; egli, per provare la sua vittoria contro l’apatia e il disprezzo da parte della donna, che rappresenta il potere, deve dimostrare la sua desiderabilità in maniera concreta: «il fatto stesso di avere accesso ad una compagna appartenente all’élite rappresenta una vittoria sulla prigione, con le sue norme sul celibato e i suoi trattamenti generalmente disumanizzanti» (p. 183). Tuttavia, esistono alcune significative differenze fra il modello della prigione romantica e le storie di Zhang Xianliang (Wu 2006, p. 37). 150

Nel romanzo l’autore va oltre la propria esperienza biografica e mostra direttamente il suo impegno politico collegando la letteratura alla politica attuale, ribadendo ancora una volta la sua fede nel modello tradizionale dell’intellettuale organico al potere. Nel romanzo compaiono anche le sue preoccupazioni per i rapporti di genere e fra i generi. Le vicende raccontate nel romanzo sono due: la vicenda di Chen Baotie 陈抱贴, leale membro del partito deciso a portare avanti le politiche di apertura della nuova dirigenza comunista, e la sua vita familiare con la moglie. Se nella sua vita pubblica sostiene le idee del partito di fronte alla gente facendo discorsi utopici e ispirati, difendendo anche gli errori del partito e facendo sempre ricorso al patriottismo, in famiglia è una persona molto diversa: è infatti un marito crudele e possessivo. Sebbene la moglie desideri la sua vicinanza e un po’ di affetto, lui la considera a malapena e nemmeno le sorride. Inoltre, in casa vuole sempre essere ascoltato e ubbidito, escludendo la moglie dalla sua vita pubblica, rifiutandosi di parlarne con lei e di ascoltare i suoi suggerimenti. Quella che lui desidera è una donna sottomessa e modesta, una donna ideale presa dalla tradizione. In molti aspetti assomiglia anche ai personaggi della Rivoluzione Culturale, privi di qualità che li identificassero come appartenenti ad un genere e privi anche di una vita sessuale, totalmente concentrati nella loro devozione al partito: la vita familiare quindi rappresenta in questo un ostacolo e un impedimento. Nel romanzo inoltre, appare chiaramente come la letteratura e gli intellettuali debbano mettersi al servizio della politica, così come le donne devono servire gli uomini (Zhou 2006, p. 27). Si tratta di due romanzi a tesi, scarsamente apprezzati dalla critica poiché sacrificano il realismo e il ritmo alla teoria e alla dimostrazione della devozione dell’autore per le politiche denghiste. Sembra quasi che l’autore non sapesse trattenersi dall’elaborare e pubblicare, anche se in forma narrativa, le proprie idee sul buon governo nella nuova temperie delle riforme. I critici furono piuttosto duri e ne spiegarono l’insuccesso con la preoccupazione dell’autore di difendere le politiche del partito a scapito della qualità letteraria dell’opera. Il successivo lavoro, il terzo della serie sui problemi sociali e politici contemporanei, è «Discendenti del fiume» He de zisun 河的子孙 (1982), dedicato al destino dei contadini cinesi. Il fiume del titolo è ovviamente il Fiume Giallo, sineddoche della Cina: il racconto narra di un contadino disposto a prendersi la responsabilità di un crimine commesso da un burocrate del partito e scontare la pena prevista al suo posto in cambio dell’appoggio che questa guanxi 关系 ad alto livello può fruttargli. Un’altra opera dello stesso periodo è «Shorblak: La storia di un camionista» Xiao’erbulake – Yi ge qiche siji de gushi 肖尔布拉 克 ——一个汽车司机的故事 (1983), la vicenda di un ragazzo istruito spinto dalla necessità 151 a stabilirsi nello Xinjiang e a trovare lavoro come camionista sulle piste desertiche del far west cinese. La storia è narrata direttamente in prima persona dal camionista, che sta dando un passaggio ad un giornalista, e ancora una volta – come sempre accade nelle storie di Zhang Xianliang – trova ampio spazio la descrizione delle travagliate storie d’amore del protagonista. Un altro elemento ricorrente è rappresentato dalle difficoltà politiche sullo sfondo, che rappresentano spesso l’origine e la causa dell’infelicità, delle incomprensioni e delle complicazioni sentimentali fra i personaggi. La pubblicazione del romanzo breve Xiao’erbulake avvenne nello stesso anno, il 1983, in cui l’autore divenne membro della Conferenza Consultiva del Popolo Cinese. Nel romanzo vengono nuovamente trattati i temi di Ling yu rou, ossia del superamento delle difficoltà da parte dei lavoratori riuniti insieme e del reintegro dell’intellettuale nella società. La storia è narrata da un conducente di camion, che racconta al suo passeggero, un giornalista, la storia della propria vita. Egli era un giovane istruito e di grandi speranze, costretto dalle difficoltà del Grande Balzo in Avanti a lasciare la scuole e a tornare nel 1960 nella casa dei genitori per prendersi cura di loro; in seguito saranno proprio i genitori ad insistere perché il figlio se ne andasse a cercare fortuna altrove. Per questo decise di andare nello Xinjiang 新疆 a cercare un lavoro e una sistemazione. Arrivato all’avamposto cittadino in cui tutti i nuovi arrivati dall’est del Paese cercavano lavoro, venne inizialmente assunto come insegnante, a causa della sua istruzione, ma poi, per colpa di due giovani ragazze provenienti dalla sua stessa regione che, pur scarsamente istruite, avevano tentato di farsi assumere anch’esse nello stesso posto facendo il suo nome (in realtà l’avevano conosciuto in quella località e avevano saputo da lui che assumevano insegnanti), venne considerato un bugiardo e licenziato prima ancora di iniziare a lavorare. Se la prese con le ragazze, per aver infranto i suoi sogni di diventare un docente ma presto si accorse che avevano solo cercato, come tutti, di trovare la sistemazione migliore in una terra straniera e impietosa appoggiandosi sull’unica persona con la quale potevano avere qualche legame. La vera causa del suo triste destino, come ammette il protagonista, era la situazione del Paese: se le cose fossero andate diversamente in quegli anni sarebbe diventato un professore universitario. Il protagonista del racconto divenne un camionista e dall’elenco dei camion ha guidato, che il protagonista sciorina al suo passeggero, ci si accorge dello scorrere del tempo nella Repubblica Popolare Cinese fino ai giorni delle riforme e dell’apertura: da un camion sovietico ad un camion ceco, uno romeno e infine un camion giapponese. La filosofia di questo personaggio è semplice e richiama ancora il pensiero del suo creatore: la vita è fatta soprattutto di esperienze difficili che sole possono temprare e dare la giusta prospettiva e la giusta comprensione degli eventi storici e sociali, oltre che

152 delle emozioni umane. L’età di un camion, infatti, non ha a che fare con il tempo ma con i chilometri percorsi ed è così, secondo il narratore, anche per le persone: alcuni hanno cinquanta o sessant’anni ma se non hanno mai vissuto difficoltà sembrano ancora giovani, altri hanno faticato fin dalla loro giovinezza e a quarant’anni sono già vecchi; solo le persone che hanno vissuto tempi difficili possono raccontare qualcosa di interessante, qualcosa di cui valga la pena scrivere. Inoltre, come sul camion, occorre sempre guardare la strada davanti a sé e solo di tanto in tanto un’occhiata nello specchietto retrovisore; se invece si guarda sempre indietro si finisce fuori strada. Nel frattempo i genitori del protagonista erano morti entrambi e nel 1964 era tornato una volta a rendere omaggio alle loro tombe. A questo punto non aveva più nulla che lo legasse alla sua provincia d’origine. Inizia la Rivoluzione Culturale e nessuno si fida più di nessuno: ognuno veste un’armatura per non lasciare trasparire i propri sentimenti e i propri pensieri. In quel periodo il protagonista viene convinto a sposarsi dal suo mentore, il camionista anziano che gli aveva insegnato il mestiere. Tuttavia, nello Xinjiang non era facile trovare una ragazza, gli uomini erano nettamente più delle donne. Alla fine sposò una ragazza dello Shaanxi 陕西 “venduta” dalla zia per difficoltà economiche. Per il protagonista il matrimonio diventa una questione molto importante: sebbene la sua categoria sociale fosse praticamente immune dagli attacchi del periodo, era fondamentale anche per lui costruire un rifugio sicuro nel quale trovare riparo dalla malignità e dall’ipocrisia del mondo esterno, un ambiente confortevole fatto di sentimenti e di premure reciproche.120 La moglie che aveva “acquistato” era bravissima in casa ma non aveva alcun affetto per lui; nemmeno con il tempo riuscì a sviluppare alcun attaccamento per lui, continuando sempre a comportarsi come una serva con il suo padrone. Anche a letto, lei non si toglieva mai di dosso la corazza che tutti indossavano allora, quindi il suo ambiente domestico non era molto diverso dal caos esterno. Le difficoltà familiari vengono descritte a questo punto come peggiori di quelle politiche o finanziarie: «le difficoltà familiari sono più tormentose di quelle politiche o economiche: se vieni attaccato politicamente ma hai una famiglia amorevole, tornando puoi trovare un po’ di consolazione; sebbene povero, se hai una buona moglie, tutta la famiglia può vivere serenamente. Ora che avevo incontrato una moglie simile, stavo peggio che da scapolo» (Zhang 1991, p. 354).121

120 «在社会上,好人能够装得出来,假积极也能骗张奖状、捞个党票,唯独在家庭里头,一年三百六十五天的过 日子,晚上还要同床共枕,感情的好坏是绝对糊弄不了对方的。» (Zhang 1991, p. 352) «Nella società la gente può fingere di essere buona e conquistare meriti, ma è solo in casa, dove si vive trecentosessantacinque giorni all’anno insieme, condividendo sempre lo stesso letto, che i veri sentimenti non possono essere nascosti al partner». 121 «我告诉你,家庭的苦恼要比政治上、经济上的挫折和困难更折磨人。要是在政治上挨了斗,但有个和和美美 的家,回来也能寻点安慰;家里穷,可老婆好,一家人也会过得高高兴兴的。现在我碰上了这样的老婆,简直 比我单身汉时候还苦恼。» 153

La mancanza d’amore della sua compagna era facile da spiegare, in realtà: era stata costretta dagli eventi a separarsi dal suo vero amore, un giovane partito per l’esercito che le aveva promesso di sposarla prima di partire. Ora che era stato congedato ed era arrivato nello stesso villaggio per cercarla, cominciano a diffondersi voci di una tresca clandestina fra la moglie e un giovanotto del suo stesso villaggio. Le voci giungono anche al protagonista e un giorno li sorprende insieme in casa a parlare: la verità viene a galla e il protagonista decide, molto nobilmente, di farsi da parte e di concederle il divorzio perché potesse sposarsi con il suo vero amore ed essere felice. Questa non è la fine delle sue traversie amorose, perché il protagonista poco dopo ebbe modo di incontrare un’altra ragazza: questa viaggiava insieme ad un bambino di quattro anni, che si scoprirà in seguito essere suo figlio. La donna cerca un passaggio e vista l’ora ormai tarda non si fida a salire su un camion con un uomo sconosciuto (il narratore ammette che spesso le donne che chiedevano passaggi venivano molestate o stuprate dai camionisti); tuttavia, il bambino è malato e ha bisogno di cure mediche. Il protagonista, faticando a vincere la diffidenza della ragazza, riesce a condurli all’ospedale più vicino che, trattandosi dello Xinjiang, distava parecchi chilometri. Alla fine comunque il bambino guarisce e il protagonista si affeziona subito a lui e alla madre, tanto che diventerà la sua seconda moglie. Anche la vicenda della ragazza è molto triste e complicata: proveniente da una famiglia capitalista era partita nel 1964 per lo Xinjiang con l’intento di rieducarsi e aiutare a costruire la regione di confine. Inizialmente aveva lavorato come insegnante ma nel 1967 un gruppo di “ribelli” aveva preso il controllo della sua unità di lavoro e lei era stata inviata a svolgere lavori manuali. Era contenta inizialmente perché convinta di essere stata rieducata dai contadini poveri ma poi venne stuprata da un quadro locale, il padre del bambino che porta con sé. Dopo aver fatto visita ai suoi a Shanghai, disse loro che si era sposata nello Xinjiang e lasciò il bambino da loro; quando iniziò nel 1971 la campagna contro Lin Biao e contro Confucio i genitori della ragazza furono travolti e vennero anch’essi inviati nelle campagne per la rieducazione e lei dovette tornare a Shanghai per riprendere il bambino e portarlo nello Xinjiang. Era a quel punto che aveva conosciuto il protagonista. Interessante ricordare una frase che si riferisce al racconto che la ragazza fa della propria vita al camionista ma il cui significato va ben oltre la vicenda narrata per descrivere la posizione dell’autore nei confronti della scrittura e del ricordo delle proprie esperienze: «So che stava parlando a me, ma ancor più a sé stessa: non solo non voleva suscitare la mia compassione, né chiedermi maggiore aiuto, voleva superare la sua vita passata, per poter affrontare difficoltà ben più grandi, ben più numerose.» (Zhang 1991, p.

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378).122 Un’altra dichiarazione di poetica arriva nel momento in cui il bambino, adottato dal camionista e ormai cresciuto, dice che vuole fare lo scrittore e che vuole parlare nelle sue opere del padre e della madre; alla replica del padre, che sostiene che ci sono cose più importanti e personalità più eroiche di cui parlare, il figlio risponde: «Ma papà, non capisci: l’essenza della letteratura è la verità. Io credo che tu e mamma siate persone reali.» (Zhang 1991, p .382).123 Il titolo del racconto non è solo il nome della località alla quale era diretta la “giovane istruita” di Shanghai, ma è anche la metafora fondamentale della storia: solo coloro che hanno bevuto alle sorgenti amare sono veri tesori del Paese, con dei cuori d’oro e solo loro possono formare dei legami umani indissolubili. Nonostante le critiche, per molti aspetti giustificate, per la sua rapida condiscendenza nei confronti della nuova politica, laddove ci si sarebbe aspettati un grado maggiore di critica per quel che l’autore aveva sopportato, si può leggere nella descrizione del lavoro e della sofferenza inflitta ai lavoratori una critica all’industrializzazione e alla modernizzazione del Paese: seguendo lo strumento satirico tradizionale del «prendere in prestito il passato per criticare il presente» jiegu fengjin 借古讽今, se il lavoro servile nei campi era tanto duro bastava poco per fare il parallelo con le condizioni nelle fabbriche e trasmettere la consapevolezza che tanto del patrimonio industriale e infrastrutturale era stato ottenuto a prezzo di indicibili fatiche e privazioni, oltre che di un pesantissimo effetto sulla natura (Zhang 1996, p. 39). L’immagine del cavallo, così frequente nelle opere autobiografiche dell’autore, tanto da essere il simbolo del nordovest, è associata alla durezza delle fatiche lavorative e all’eroismo dei pionieri che colonizzavano le pianure americane;124 tuttavia, se i pionieri erano spinti dalla fame, dal bisogno e dalla speranza di arricchirsi, i lavoratori coatti del regime maoista non avevano nessuna di queste speranze e la fame non era mai vinta dal lavoro. Questo non significa che Zhang fosse del tutto organico al nuovo corso politico del socialismo di mercato, anzi ebbe molti problemi con la censura a causa della natura esplicita della sua narrativa in occasione delle campagne politiche contro il mondo della cultura: ad esempio, durante la campagna contro la «liberalizzazione borghese» del 1986 il suo Nanren de yiban shi nüren sparì temporaneamente dalle librerie e un destino simile ebbero anche alcune sue opere successive.

122 我知道她是说给我听,更是说给自己听:她既不是想引起我的同情,也不是想求得我更大的帮助,她是要把 自己过去的生活捋一遍,以应付更大,更多的困难。 123 “爸爸,这你就不懂了,文学的生命是真实。我认为你和妈妈都是真正的人!” 124 我很喜欢马。它们总使我联想到英雄的事业:去开拓疆土!去开拓疆土!…… (Zhang 1995a, p. 33). 155

Divenuto nel 1981 uno scrittore professionista, entrò come membro nel Presidio dell’Associazione degli Scrittori Cinesi, oltre a ricoprire altre cariche politiche e intellettuali.125 Nel 1986 inoltre entrò nel Partito Comunista Cinese. Per questo non è del tutto esagerato affermare che lui stesso si indentifichi con l’establishment politico. Per quanto favorevole ad uno sviluppo democratico, non sarà mai appassionatamente schierato a favore dei riformatori più radicali, forse a causa del timore ormai profondamente radicato negli anni della prigionia di poter anche inavvertitamente spiacere alle autorità. Ad esempio, nel periodo della campagna contro la «liberalizzazione borghese» fu uno dei pochi artisti a sostenerne la necessità e la correttezza. Se il suo giudizio sulla campagne del passato – il Grande Balzo e la Rivoluzione Culturale in particolare – è nettamente negativo, lo stesso non si può dire delle campagne successive, quando lui stesso era ormai entrato fra le autorità culturali. Una delle attenuanti che gli si possono concedere è il fatto di essersi formato per ventidue anni esclusivamente come marxista, non solo leggendo i classici del pensiero ma restando anche immerso nell’esperienza più diretta della repressione per ogni deviazione dall’ortodossia. Alla fine della sua rieducazione riemerse nel mondo culturale come un “fossile vivente”, obbligato a recuperare molto del tempo perduto leggendo e informandosi, ma incapace di abbandonare una forma mentis faticosamente acquisita e difficile da rimettere in discussione immediatamente. Solo agli inizi degli anni Novanta, rievocando le esperienze del passato e riscrivendo i suoi diari di prigionia poté in una certa misura esprimere pubblicamente riserve e recriminazioni nei confronti delle autorità, anche le più elevate. Zhang Xianliang ha più volte affermato che il marxismo lo aveva aiutato a comprendere la società ed esso continuò ad costituire il fondamento del suo pensiero: se fu apertamente favorevole alle Quattro Modernizzazioni e alle riforme economiche, non si può dire lo stesso dell’idea di democrazia, che per lui significava soltanto una maggiore tolleranza: anche parlando della democrazia, sembra avere dei dubbi sulla possibilità di applicarla in Cina, dopo tanti anni di dispotismo (Zhang 1987a, p. 206). Tuttavia, la sua incrollabile fiducia nel ruolo che gli intellettuali possono giocare nel futuro del Paese è da un lato parte del pensiero tradizionale e della venerazione per l’autorità intellettuale riconducibile al confucianesimo, dall’altra si inscrive perfettamente nella nuova propaganda delle Modernizzazioni, per il successo delle quali il sostegno degli intellettuali e degli scienziati era ritenuto vitale. Del resto, era anche il timore che l’estrema sinistra potesse di nuovo prevalere che lo convinse a sostenere l’alternativa

125 Dal 1984 fu Vicepresidente dell’Associazione delle Arti e della Letteratura del Ningxia, Presidente della sezione del Ningxia dell’Associazione degli Scrittori e membro della Sesta Conferenza Politica Consultiva del Popolo Cinese. 156 realista e moderata di Deng Xiaoping. Per lui «il marxismo non è tanto una guida per l’azione politica immediata, ma piuttosto una filosofia che può aiutare a comprendere l’uomo e la società» (Sybesma 1989a, p. 64). Per quanto riguarda le sue opinioni riguardo la letteratura del suo tempo, egli rimase sempre un fermo sostenitore del realismo, anche se nelle sue opere si possono facilmente evidenziare elementi postmoderni, d’avanguardia o riconducibili ad una sorta di «realismo magico». Le qualità sottolineate da Zhang Xianliang come presupposti di una buona scrittura sono l’osservazione della realtà sociale, ossia delle persone nel loro ambiente, il sentimento come sostegno di questa osservazione, l’esperienza della vita e una profonda e vasta cultura, che vada dalla musica alla pittura, dalla filosofia alla storia. Come molti altri autori, più o meno giovani, della Nuova Era, anche Zhang Xianliang lamenta il fatto che la letteratura cinese sia rimasta isolata dal resto del mondo per più di venti anni e che quindi, pur negando che esista un metro assoluto e internazionale per valutare la letteratura, essa sia rimasta indietro di venti anni. La musica è una delle discipline che egli considera importanti per la formazione di uno scrittore, poiché le qualità musicali e ritmiche della scrittura sono fondamentali e sono sicuramente molto curate nella sua prosa, come anche le qualità pittoriche e poetiche. In ogni caso, per Zhang Xianliang un autore non può ignorare la politica e non può quindi scrivere solo della vita quotidiana. Questa sembra essere anche una critica a molta della narrativa neorealista degli anni Ottanta, concentrata soprattutto sulle vicende e i sentimenti personali degli abitanti delle città. Piuttosto, ancora una volta, la letteratura avrebbe dovuto collaborare alla costruzione di una nuova società e l’esperienza accumulata dagli scrittori era il punto di partenza per un’analisi critica della realtà sociale, che si poteva compiere ancora attraverso gli insegnamenti del marxismo. Ancora una volta, in termini marxisti, viene invocata la responsabilità sociale dell’intellettuale nei confronti del Paese sotto la guida del Partito, indipendentemente dal grado di libertà personale dell’autore, che può pertanto passare in secondo piano. Tanto meno è possibile coltivare, in quest’ottica, un’arte fine a sé stessa. C’è tuttavia un certo grado di interesse corporativo in questo: cambiare la realtà sociale nel senso indicato dal Partito con le riforme significava creare un ambiente favorevole ad un dibattito maggiormente aperto e ad una maggiore “democrazia” in cui la letteratura potesse prosperare insieme alla società.

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Nel 1984 iniziò il suo più ambizioso progetto letterario, ossia la serie detta «Rivelazione di un materialista»126 Weiwuzhuyizhe de qishilu 唯物主义者的启示录.127 Essa sarebbe dovuta consistere di nove romanzi e racconti e sarebbe dovuta essere la saga di un giovane poeta inviato in campagna per la sua rieducazione e della sua lotta per potersi riformare socialmente e liberarsi dei residui della sua formazione liberale e delle sue origini borghesi. I primi cinque romanzi avrebbero trattato le esperienze del protagonista prima del 1979, e gli altri quattro delle sue vicende successive.128 La prima opera di questo progetto fu «Mimosa» Lühua shu 绿化树, pubblicato nel 1984. Il romanzo, insieme ad altri due capitoli del suo grande progetto, Nanren de yiban shi nüren e Xiguan siwang, formerà la «Trilogia dell’amore» Aiqing sanbuqu 爱情三部曲. Questa prima storia racconta le vicende del protagonista quasi omonimo dell’autore, Zhang Yonglin, nel corso di due mesi fra il dicembre 1961 e il gennaio 1962. Il protagonista è appena stato rilasciato da un campo di prigionia e spedito in una fattoria di Stato nel Ningxia, dove lavora come bracciante sotto la supervisione delle autorità del campo in condizione di semilibertà. L’unica differenza rispetto al campo è la fine delle sessioni di lotta e della vita in comune con gli altri detenuti; le persone con cui può ora vivere a stretto contatto sono semplici e onesti lavoratori, non più i criminali comuni e i prigionieri politici che frequentava prima nel campo di lavoro. Sono gli anni del Grande Balzo in Avanti e della grande carestia da questo provocata e in questo periodo anche il protagonista soffre pesantemente la fame insieme all’intera nazione. La salvezza per il protagonista giungerà proprio da una donna della zona, Ma Yinghua 马缨花, che lo soccorrerà come amorevole «feeding mother», dandogli anche l’affetto e la comprensione che lo aiuteranno a recuperare la propria forza e la propria umanità. La donna appartiene alla minoranza musulmana degli Hui 回, ammira la cultura d Zhang Yonglin e lo riporta alla salute e alla fiducia in sé stesso che aveva pian piano perso insieme alle sue forze nel corso della sua rieducazione. In particolare, la scazzottata con uno dei tanti pretendenti della donna, vinta dal protagonista alla fine del romanzo, è fondamentale

126 L’autore confessò di aver preso ispirazione per questo suo progetto dallo scrittore russo Aleksej Nikolaevič Tolstoj (1883-1945) e dal suo ciclo intitolato «Ordalia» (1918), dedicato alla riforma ideologica degli intellettuali nati e cresciuti nella Russia zarista durante i primi anni dell’Unione Sovietica. Il debito nei confronti dell’autore russo trova conferma nella citazione utilizzata in apertura del primo dei romanzi della serie, Lühua shu: «在清水里跑三次,在血水里浴三次, 在碱水里煮三次» «Strizzato tre volte nell’acqua, bagnato tre volte nel sangue, bollito tre volte nella soda caustica» (Zhang 1995a, p. 1): in questo modo viene descritto il percorso degli intellettuali per riplasmare il proprio pensiero e diventare “persone nuove”. Il termine qishi 启示 viene reso a volte anche come «Apocalisse», poiché è con questo bisillabo che viene tradotto il relativo libro della Bibbia, oltre al titolo del film di Francis Ford Coppola Apocalypse Now (Gang 1999, p. 186). 127 Anche detta Weiwulunzhe de qishilu 唯物论者的启示录. 128 Alla domanda sul perché proprio nove romanzi, l’autore rispose che sarebbero state le sue nove sinfonie e che nel giro di diciotto anni – tanto stimava di poter ancora scrivere – sarebbe stato in grado di completare il suo progetto senza lasciare l’opus incompiuto come molti compositori (Sybesma 1989b, p. 72). 158 per recuperare in pieno la propria identità maschile, oltre alla capacità di studiare, scrivere e soprattutto per ottenere il riconoscimento da parte della donna del suo ruolo di intellettuale, che temeva di aver perso nel campo di lavoro, dove si era ridotto alle più elementari funzioni biologiche e ai più bassi istinti animali. Nel romanzo, tuttavia, per quanto il protagonista sembri opporsi ideologicamente alla propaganda maoista della lotta di classe e di un’identità di classe addirittura congenita, sospetta che queste idee abbiano una qualche misura di verità, giacché gli sembra di aver sfruttato Ma Yinghua e gli altri lavoratori. Alla fine verrà denigrato presso le autorità da un altro pretendente della donna e sarà spedito nuovamente in un lontano campo di lavoro; alla fine del suo resoconto, l’autore, ormai scampato alla rieducazione e pienamente reintegrato nella società postmaoista, ringrazia i lavoratori del nordovest per aver sollevato il suo morale e il suo spirito in quegli anni difficili. L’autore comincia così ad emergere nel mondo intellettuale successivo alla Rivoluzione Cultura e si riafferma come autore della vecchia generazione ritornata. Michelle Yeh (2010) addirittura definisce Zhang Xianliang «probabilmente il romanziere più popolare degli anni Ottanta» (p. 698); sebbene fosse stato molto spesso al di qua della censura riuscì comunque a trattare temi politicamente sensibili nelle sue opere. Anche Hsia (2006, p. 13), pur rimproverandogli la sua fedeltà al partito, ha parole di grande elogio nei suoi confronti, e lo paragona – per lo meno per quanto riguarda la sua «creative insight», anche se non per la sua effettiva produzione – a Zhang Ailing e a Shen Congwen, mettendolo al di sopra di romanzieri come Lao She e Mao Dun. Sempre nell’anno 1984 pubblicò il racconto «Romantico cannone nero» Langman de hei pao 浪漫的黑袍, divenuto poi un film diretto da Huang Jianxin 黄建新 (1954-) dal titolo «L’incidente del cannone nero» Hei pao shijian 黑袍事件 (1986). Si tratta di una satira di ambientazione urbana con pennellate di commedia dell’assurdo. È la storia di Zhao Xinshu, un interprete dal tedesco appassionato di scacchi cinesi che, dopo aver perso il pezzo del cannone nero durante un viaggio, invia un telegramma all’amico con cui aveva giocato in un’altra città perché gli invii il cannone appena l’avesse trovato. I funzionari della sicurezza che intercettano la corrispondenza privata leggono il messaggio e lo interpretano come l’inizio di un complotto per contrabbandare dell’artiglieria nella città e mettono Zhao sotto inchiesta. Ci si mettono di mezzo anche i funzionari locali del Partito Comunista, che tengono una riunione dopo l’altra per capire di che complotto si tratti mentre i capi del Partito nella fabbrica di Zhao decidono la sua sospensione dall’impego. La sua sostituzione con un nuovo interprete incompetente che parla molto male il tedesco porta ad una richiesta ufficiale da parte dell’ingegnere tedesco affinché Zhao ritorni al suo posto; non solo: la sostituzione 159 di Zhao mette in serio pericolo un impianto per un errore di traduzione. Alla fine, dopo che ogni pista investigativa aveva portato soltanto in vicoli ciechi, le autorità finalmente chiedono a Zhao che cosa intendesse per “cannone nero” e scoprono che intendeva semplicemente il pezzo degli scacchi. La satira è evidentemente diretta contro la burocrazia e l’apparato di partito ossessionato dalla conservazione dello status quo con ogni mezzo, e non tanto dalla creazione del socialismo. È anche una riflessione sulla verità e sul rapporto delle autorità con il popolo. Il romanzo principale di Zhang Xianliang, quello che gli diede celebrità fra il grande pubblico e fra la critica nella Cina degli anni Ottanta è sicuramente «Metà dell’uomo è donna» Nanren de yiban shi nüren 男人的一半是女人, pubblicato nel 1985. Fu il primo romanzo dal 1949 a trattare nella Cina continentale il tema del sesso e dell’identità di genere, particolarmente quella maschile, attraverso l’esperienza sessuale; inoltre, opera fondamentale in un’epoca di transizione quale la metà degli anni Ottanta, riuscì a tracciare un vastissimo bilancio umano dell’intellettuale cinese contemporaneo mettendo in correlazione la ricostruzione della sessualità e della soggettività dell’individuo con il superamento dei traumi politici dei trent’anni precedenti. Come in Lühua shu, anche in questo romanzo il protagonista è sempre l’alter ego dell’autore, Zhang Yonglin, che sposa e infine divorzia da Huang Xiangjiu 黄香久, una donna del tutto diversa da Ma Yinghua, al termine di un difficile percorso di ricostruzione e riscoperta della propria virilità e “autarchia” di maschio e di intellettuale. La restaurazione della propria mascolinità, in questo caso, è il veicolo attraverso il quale l’autore esprime la propria indignazione contro l’annullamento della natura umana e l’alienazione provocata dalla politica. L’organizzazione visibile del testo è fatta di cinque parti, ma la sua struttura tematica è composta da due metà. La prima parte del romanzo è ambientata nel 1967, quando il protagonista ha trentun anni ed è stato appena promosso capo di un grande gruppo, con la responsabilità su sessanta prigionieri. In un’occasione Zhang Yonglin ha per caso la possibilità di vedere nuda Huang Xiangjiu che si fa il bagno in un ruscello. La seconda parte inizia nel 1975, quando il protagonista ha trentanove anni e, ancora vergine, conosce Huang Xiangjiu fuori dal campo: entrambi sono stati scarcerati dal campo e sono ora lavoratori ex detenuti. I due si sposano ma Zhang non riesce ad avere rapporti sessuali con la consorte a causa dell’impotenza di cui è vittima: le possibili cause della sua disfunzione erettile possono essere la repressione del desiderio, durata anni, la sua mancanza di esperienza e la relativa disparità di competenza in ambito sessuale con la sua compagna; il lavoro manuale massacrante, la dieta insufficiente, ma soprattutto il clima di oppressione e di terrore del 160 quale era rimasto ostaggio per anni nel campo. Un giorno il protagonista, inoltre, scopre di essere regolarmente tradito dalla moglie con un quadro del campo di nome Cao Xueyi 曹学 义 e nella disperazione per la perdita di ogni titolo di mascolinità (la sua identità di intellettuale, di marito, di uomo libero e senza complessi) si abbandona a conversazioni immaginarie con un castrone, con il quale discute infatti della castrazione degli intellettuali cinesi, con Otello, simbolo della gelosia, con Song Jiang 宋江, capo dei banditi del Liangshanpo nel romanzo Shuihu zhuan, simbolo della mascolinità più rude e muscolare nella tradizione cinese (insieme al Guan Yu del romanzo Sanguo zhi yanyi) e infine Karl Marx, guida spirituale di un appassionato neofita. Oltre a queste figure, sono molti gli elementi simbolici, umoristici e metaforici nell’opera e qui si mostra compiutamente un altro caposaldo dell’abilità letteraria come la intende l’autore: la capacità cioè di utilizzare «descrizioni e immagini simboliche e metaforiche, reali o irreali, precise o indefinite, per creare mondi immaginari molto profondi» in cui immergere il lettore e che egli deve riempire e portare in vita usando la propria immaginazione, la propria esperienza, la propria sensibilità estetica: questo può dar loro un «ineffabile piacere estetico» (Martin, Kinkley 1992, p. 82), diversamente da quanto erano abituati a fare gli autori cinesi normalmente, esprimendosi troppo direttamente ed esplicitamente. In questo modo si poteva ad un tempo recuperare il passato cinese e abbracciare nuovamente il resto del mondo. In questo romanzo, come si è visto anche in Tulao qinghua e in Renji di Jia Pingwa, il controllo dell’elemento yin per eccellenza, ossia l’acqua, diventa metafora dell’esibizione di una mascolinità potente ed essenziale, non intaccata dal controllo superficiale del potere. Il protagonista recupera la fiducia in sé stesso proprio domando le acque, salvando dall’annegamento uno degli abitanti del posto e soprattutto guidando i contadini nel prendere le necessarie contromisure contro l’allagamento dei campi e dei villaggi. La sua cultura e l’inaspettato coraggio dimostrato (forse frutto della disperazione, che gli consentiva di rischiare la vita) ricompongono la sua personalità e gli danno anche il carisma e l’autorità per guidare gli abitanti durante l’emergenza, superando quindi anche coloro che traevano il potere solo dalla propria uniforme. Questa ritrovata identità yang, tradizionalmente propria degli intellettuali, che con la cultura giustificavano il proprio diritto a governare, gli restituisce la consapevolezza di essere ancora un intellettuale capace di dirigere la società per il meglio: in questo trova compimento e sanzione la sua piena mascolinità. La sera stessa, scaldandosi nel letto insieme a Huang Xiangjiu ritrova anche il desiderio sessuale e riesce ad avere un rapporto completo con lei. Avendo così recuperato la sua virilità e il rispetto della moglie, che inizia a trattarlo meglio e non più come un “uomo a metà”, pensa che forse 161 il suo matrimonio potrà renderlo felice. Tuttavia, le liti fra i due non smettono: lui le rinfaccia a più riprese il tradimento con Cao e lei gli rimprovera l’abitudine di scrivere sul suo diario idee “sediziose”, ossia opinioni favorevoli alla fazione riformatrice di Deng Xiaoping, che ancora non aveva prevalso nel partito perché era ancora in corso la Rivoluzione Culturale: se il diario fosse stato trovato sarebbe stato pericoloso per entrambi. Zhang Yonglin però è convinto ora più che mai di poter essere utile al suo Paese come intellettuale e non vuole affatto abbandonare le sue ambizioni: decide di lasciare piuttosto la moglie, anche se è soprattutto grazie o attraverso di lei che era stato in grado di recuperare tutta la sua energia e la sua sicurezza.129 In questo romanzo emergono finalmente in maniera compiuta le due principali preoccupazioni tematiche dell’autore, i due ambiti in cui con più evidenza si esprime la sua originalità di scrittore: il desiderio sessuale e la sessualità da un lato e l’effetto disumanizzante delle privazioni e delle sofferenze nei campi di lavoro dall’altro. Il romanzo rappresenta il vertice dell’arte dell’autore, che vi fonde, intrecciandoli, i due temi ed è sicuramente originale anche per questo collegamento fra repressione politica e inadeguatezza sessuale. Se nei campi di lavoro questo legame è molto stretto ed evidente, lo stesso si può anche affermare per la società cinese durante il governo maoista (Williams 2008, p. 299). Nei suoi ventidue anni trascorsi fra campi di rieducazione attraverso il lavoro, lavoro sotto sorveglianza, dittatura delle masse e prigioni, l’autore visse momenti di acuto terrore e di totale disperazione e sperimentò condizioni di estrema prostrazione, fisica e psicologica. Tuttavia, di questa sua traumatica esperienza egli conserva con una certa nostalgia anche alcuni ricordi piacevoli, quelli dei pochi momenti di soddisfazione e di felicità. La sofferenza maggiore proveniva sicuramente dalla mancanza di serenità mentale e di stimoli intellettuali, oltre che della speranza di poter un giorno mettere a frutto le proprie capacità e i propri talenti. Non poteva leggere i libri che avrebbe voluto, non poteva leggere nemmeno i giornali e spesso le uniche occasioni di esercitare la propria lingua in maniera costruttiva era offerta dalle sessioni di studio collettive e dall’interminabile e ripetuta redazione delle proprie confessioni politiche. La fame fisica e l’aridità intellettuale sono le torture che più tormentarono l’autore nei suoi anni di prigionia. Oltre a questo, ovviamente, anche l’assenza di amore e di affetti fu un tormento difficile da sopportare: proprio a causa dello stigma sociale rappresentato dal suo status sociale e dalla sua condizione economica non poteva

129 Secondo Martin Huang l’uomo che voglia adeguarsi alla mascolinità normativa nell’epoca classica deve saper resistere all’influenza femminile per non tradire la sua missione (Huang 2006, pp. 186-187). 162 avere alcuna moglie né tanto meno una famiglia. Per questo, il solo piacevole diversivo a questa condizione di abbandono emotivo era rappresentato dalle fantasie romantiche e dalla contemplazione della natura. Lo stesso autore ricorda come sia stato doloroso sopportare la perdita di tutti i diritti, perfino del diritto di amare e di essere amato e di essere ridotto al livello di una bestia da soma, mossa dal solo istinto di sopravvivenza. La natura umana non è qualcosa di astratto, ma è la somma di tutti i rapporti sociali (Zhang 1987a, p. 11). Un altro cambiamento che lo stesso autore nota in un suo saggio autobiografico è quello compiuto su più livelli: da quello fisico a quello psicologico, da quello emotivo a quello politico. Molti dei suoi concetti sulla vita, sull’amore, sulla felicità e sulla stessa condizione umana sono cambiati durante il suo lungo processo di “rieducazione”. L’autore stesso ha notato come, attraverso il duro lavoro, si sia condotti a ridefinire sé stessi in termini positivi: conquistando la natura e sottomettendo le forze naturali, egli ottenne un’incrollabile fiducia in sé stesso e nella propria vita, oltre alla propria dignità e orgoglio di uomo (Zhang 1987a, p. 19-20). Anche il contatto con le persone semplici e umili conosciute nelle regioni sperdute in cui i campi e le fattorie avevano sede contribuì a cambiare la sua mentalità e a farlo crescere come autore compiutamente comunista. A questo ovviamente servirono anche le sue letture, scelte apposta per poter portare a termine una rieducazione della cui necessità ad un certo punto lo stesso autore si convinse. Ma soprattutto la conferma della realtà sociale intorno a lui fu importante per fondare la sua fiducia anche nel popolo cinese, nei lavoratori il cui rude e grossolano aspetto esteriore contrastava con la gentilezza e la cordialità con cui lo trattavano sempre. Da questo incontro sorprendente l’autore si sentì particolarmente commosso e perfino illuminato: saranno infatti proprio queste le figure che riempiranno le sue narrazioni degli anni Ottanta sull’esperienza della prigionia, quelle che più incarneranno i sentimenti e i concetti fondamentali nella sua crescita umana e intellettuale. In definitiva, ciò che permise all’autore di sopravvivere non solo e non tanto materialmente e fisicamente ma soprattutto spiritualmente ed emotivamente saranno il conforto dei lavoratori, l’influenza dei paesaggi naturali della madrepatria, l’effetto corroborante (anche per l’animo) del lavoro fisico e l’ispirazione delle opere di Marx e di Engels. Tutto questo permise all’autore di sopravvivere durante i difficili anni della sua “riforma” (Zhang 1987a, p. 4). Divenuto nel 1986 membro dell’Associazione degli Scrittori Cinesi e presidente della Federazione dei Circoli Letterari e Artistici del Ningxia, ebbe modo di leggere i diari di alcuni studenti e sviluppo così l’idea di un nuovo romanzo, uscito nel 1987, dal titolo «Buongiorno amici» Zao’an pengyou 早安朋友, che sviluppa appunto il tema del desiderio

163 sessuale fra gli studenti delle scuole superiori.130 Mentre gli studenti si stanno preparando per affrontare il gaokao 高考, l’esame di ammissione all’università, seduti uno accanto all’altro, uno studente per caso stende il braccio per sgranchirsi e tocca il seno di una sua compagna, Xu Yinhua, che urla inorridita. Travolta da sentimenti di paura, vergogna e una sorta di eccitazione, questa scoppia a piangere. L’evento tuttavia innesca una ridda di emozioni dentro di lei che la portano pian piano alla consapevolezza della propria sessualità. I suoi sogni infatti le rivelano la portata dei suoi desideri e, non potendo dar loro forma compiuta né tantomeno realizzarli, inizia a masturbarsi. Xu Yinhua è la figlia di una famiglia di arricchiti delle riforme economiche: il padre è un costruttore che, ormai realizzatosi socialmente e ottenuto un certo benessere per la propria famiglia, vuole anche il prestigio dell’appartenenza in qualche modo alla città. Siccome i due fratelli di Xu Yinhua sono già sposati e sistemati, è su di lei che incombe il peso di dare alla famiglia una laureata che possa vivere in città, con tutte le comodità connesse. Tuttavia, per quanto si sforzi di assomigliare alle proprie compagne di classe e sembrare più urbana, è sempre una ragazza di campagna, che tradisce ancora una certa goffaggine nell’imitare le ben più disinvolte ragazze di città. Inoltre, è anche la ragazza più vecchia della classe, perché poté iscriversi solo quando il padre ebbe fatto abbastanza soldi. La distanza fra la vita in città e la vita in campagna, dove ancora viveva la sua famiglia nell’episodio in cui, per vedere i grandi cambiamenti portati dalle riforme economiche, la classe di Xu Yinhua visitò le campagne e anche la sua casa: di fronte alla foto di due star giapponesi in vestito nuziale appese al muro, al posto in cui un tempo c’erano le foto dei leader politici, le compagne di classe si mettono a ridere e iniziano a fare commenti sul miglior abbigliamento per un matrimonio e sull’abito che ognuna di loro avrebbe indossato al proprio. Appena le studentesse furono partite, il padre, furioso, esplode in un’invettiva sull’impudicizia delle ragazze, che pensano al matrimonio alla loro età! Le ragazze fecero finta di non sentire, ma una di loro poi ebbe a dire che non erano andate in campagna per niente, almeno avevano ricevuto una lezione sul pensiero “feudale”. Anche questo ferì profondamente Xu Yinhua, che si chiuse in camera a piangere. In un’altra

130 Il romanzo, considerato anch’esso piuttosto scabroso come Nanren de yiban shi nüren, non poté essere pubblicato in volume dopo la sua uscita sulla rivista Shuofang. È inoltre interessante notare come quest’opera anticipi già molti dei temi della letteratura dei giovani «Post-1980» Balinghou 八零后, ossia i ragazzi nati negli anni Ottanta e giunti a maturità alla fine degli anni Novanta e dei primi anni Duemila. La loro narrativa descrive le difficoltà dei giovani studenti alle prese con l’esame di ammissione all’università, il gaokao 高考, la scoperta dei sentimenti e soprattutto della sessualità, l’angoscia della crescita e delle aspettative familiari e sociali nei confronti della generazione dei figli unici (Fumian 2012). In effetti lo stesso Zhang Xianliang era consapevole di avere, insieme agli altri autori della «Nuova epoca», aperto la strada a molti scrittori più giovani in molti campi: «[…] “新时期文学” 开创了今天文学繁荣的后面。今天的 “八〇后”,不可想象 我们那时需要多么大的勇气来闯一个又一个 “禁区”。我们为后人开辟了道路。» (Zhang 2008, p. 19). «[…] la “Letteratura della nuova epoca” ha dato inizio alla successiva fioritura letteraria. I Balinghou di oggi non possono nemmeno immaginare quanto coraggio ci occorse allora per esplorare le “zone proibite”. Noi abbiamo aperto la strada ai posteri.» 164 occasione, quando le sue amiche andarono a passare una serata a casa sua, si confrontarono su alcuni argomenti: che cosa avrebbero fatto se non avessero superato l’esame di ammissione all’università, quali erano i loro idoli e quali i loro ideali. Le sue amiche dissero che, se non avessero superato il gaokao avrebbero fatto un viaggio intorno al mondo, oppure sarebbero divenute scrittrici, oppure si sarebbero suicidate; i loro idoli erano Da Vinci, Margaret Thatcher, Madame Curie e Sophia Loren, soprattutto per il suo atteggiamento verso gli uomini, che si poteva riassumere nell’espressione «sono io che conto». Anche l’attrice cinese Liu Xiaoqing viene ammirata dalle ragazze. Xu Yinhua tuttavia non aveva mai pensato a queste cose e quindi non sa come rispondere; quando le amiche le chiedono di citare una personalità qualunque che ammirasse, lei nomina un quadro dirigente del Comitato Centrale ma per le altre ragazze questo tipo di personaggi non contavano perché si è obbligati a dire che li si ammira anche se non è vero. I loro ideali poi comprendono il fare soldi, ottenere un dottorato, diventare scrittrici ma ancora una volta Xu Yinhua non sa che dire e risponde che vorrebbe diventare un funzionario. Anche questo è un sogno ormai obsoleto perché i funzionari guadagnano troppo poco. L’origine dell’ammirazione di Xu Yiinhua per i funzionari del governo viene anche in questo caso dalla fame, altro Leitmotiv nella narrativa di Zhang Xianliang: quando era bambina tutta la famiglia dipendeva dalle distribuzioni di grano assegnate dal segretario locale del partito e tutti si sforzavano sempre di accontentarlo. Giunte a descrivere il proprio ideale di uomo, qualcuna disse che avrebbe voluto un uomo come Alain Delon, un’altra sostenne l’importanza del portamento e dell’eleganza, un’altra la cultura, un’altra citò l’esempio di Jane Eyre; Xu Yinhua non aveva mai pensato a questo genere di cose: dovendo rifletterci sul momento le vennero alla mente una serie di forme maschili che non rappresentavano nessuno in particolare, ma solo una vaga idea di “uomo”.131 Il ragazzo che per sbaglio aveva sfiorato il seno di Xu Yinhua viene invitato dalla scuola a ritirarsi, come se avesse volontariamente molestato la sua compagna. Gli altri studenti pensarono subito che fosse un abuso da parte della scuola e alcuni studenti maschi giunsero addirittura a guardare con disprezzo Xu Yihua, come se fosse colpa sua. Il dolore che Xu Yinhua dovette sperimentare in quel momento le parve perfino più acuto della fame sofferta in passato. Xu Yinhua cerca addirittura di difendere il ragazzo, che aveva diviso con lei il banco per molto tempo e non l’aveva mai trattata come una contadinotta, ma la direzione non si cura affatto di lei, dicendole che la questione era sistemata e che pensasse

131 L’opera ricorda per molti versi, anche per il sottofondo psicanalitico, il dramma di Frank Wedekind «Risveglio di primavera» Frühlings Erwachen (1891) in cui si racconta il risveglio dei desideri sessuali in un gruppo di giovani adolescenti che si trovano a vivere in una società estremamente puritana e repressiva nei confronti del sesso; le loro pulsioni si palesano soprattutto nei sogni, provocando distorsioni e tragedie nella vita dei ragazzi. 165 solo a studiare. Ad un certo punto diventa sempre più evidente la parentela di questa storia con la novella Chenlun di Yu Dafu, stabilendo così una diretta filiazione fra i due autori che più si sono impegnati per superare il tabù del sesso nella rappresentazione letteraria e di conseguenza hanno tentato di aprire il dibattito sulla vita sessuale, soprattutto fra i giovani, in modo che fosse un argomento di cui poter discutere liberamente e per evitare appunto che ignorandoli i problemi psicologici si facessero irrisolvibili. Il parallelismo con la novella di Yu Dafu è evidente nel momento in cui la narrazione entra direttamente nella psicologia della protagonista, mostrando le pagine del suo diario, nel quale esprime tutto lo spaesamento per i suoi nuovi sentimenti e la sua incapacità di controllarli, confessando di cedere spesso alla masturbazione ed esprimendo soprattutto il suo senso di colpa. Come il protagonista della novella di Yu Dafu, anche Xu Yinhua legge su una rivista che l’autoerotismo è un’abitudine malsana e una pratica peccaminosa. 132 Distratta più dal rimorso che da una reale patologia, nei giorni successivi sente di non potersi concentrare su nulla, ma di essere occupata interamente dal pensiero del sesso. La sera cede irresistibilmente alla masturbazione e subito dopo si rimprovera per la sua debolezza. Lo stesso autore descrive questo “vizio” associandolo al consumo di oppio: autodistruttivo e dannoso per la salute della nazione. La colpa, quindi, come già per Yu Dafu, non nasce solo da un torto fatto al proprio sistema nervoso, alla propria capacità riproduttiva, ma a tutta la nazione e Xu Yinhua in particolare si sente in colpa di fronte ai genitori e agli insegnanti, oltre a sentirsi diversa e inadeguata rispetto alle sue solari e spensierate compagne di classe. Tuttavia, assecondando la propria libido, i due protagonisti sono allo stesso modo incapaci di resistere ad un atto che provoca al tempo stesso piacere e rimorso. Tutto ciò conduce la ragazza a consumare la propria salute nell’angoscia di una colpa sociale: perde il sonno e l’appetito e tuttavia deve fare ciò che ci si attende da lei: andare a scuola e prepararsi per il grande esame. Come in Langman de hei pao anche in questo caso un evento di poco conto, sotto l’effetto della paura e di una sorta di isteria collettiva per tutto ciò che trasgredisce l’ortodossia e la routine, viene ingigantito fino a provocare una catastrofe. Il tono in effetti è in questo caso molto più tragico che satirico, giacché alla fine Wang Wenming, il ragazzo che aveva urtato per errore il seno di Xu Yinhua, tenta senza successo il suicidio e la protagonista, invece, si suicida davvero perché era diventato impossibile per lei reggere il peso dello stress dello

132 La ragazza avrebbe voluto saperne di più e in libreria aveva anche adocchiato un libro utile sulla psicologia della pubertà: voleva comprarlo ma si vergognava troppo ad acquistarlo poiché era considerato un “libro pornografico” e c’era sempre qualche cliente davanti alla bancarella dei libri (anche qualche dipendente della scuola) e per di più il venditore di libri era un uomo. I timori di Xu Yinhua diventano terrore quando il padre, spaventato per lo stato di salute della figlia, decide di portarla dal medico: lei teme che questi si accorga della sua abitudine serale di masturbarsi, ma ovviamente nulla di ciò emerge dalla visita. 166 studio, del senso di colpa per quel che era scaturito da un banalissimo incidente e per la sua quotidiana abitudine di masturbarsi per trovare qualche fugace sollievo dalle fatiche del giorno. Anche gli adulti alla fine hanno la loro parte di responsabilità, poiché sarà lo stesso insegnante a domandarsi se per caso quanto accaduto non fosse anche colpa della scuola, che nel tentativo di chiudere un caso insignificante, aveva creato una tragedia. La ragazza lascia una lettera al professor Wu per spiegargli che la sua morte non aveva a che fare con Wang Wenming ma che leggendo il suo diario egli avrebbe capito: era infatti l’impossibilità di reggere il peso del divario fra moralità pubblica e desiderio individuale che l’aveva schiacciata: perfino la parola “masturbazione” non poteva essere usata in pubblico. Per questo il professore si sente meno in colpa: come avrebbe potuto educare i suoi ragazzi alla vita sessuale se non se ne può parlare liberamente, tanto meno a scuola? La censura su certi argomenti e la repressione sessuale poteva portare solo infelicità e disordine emotivo. I tentativi di suicidio e i suicidi riusciti, purtroppo numerosi fra i giovani cinesi, erano il risultato di un’inadeguata educazione sessuale e della repressione sessuale dei giovani. Poiché il romanzo trattava un tema ancora piuttosto scottante e imbarazzante nella Repubblica Popolare Cinese, venne bandito nella Cina continentale e pubblicato a Taiwan. Lo sperimentalismo dell’autore, visibile già nel realismo magico che permea Nanren de yiban shi nüren, trova il suo apice nel romanzo che chiude la trilogia dell’amore e in effetti anche il progetto della «Rivelazione di un materialista», che non sarà mai portata a termine come progettata inizialmente. Stiamo parlando di «Abituarsi a morire» Xiguan siwang 习惯 死亡 (1990). In questo romanzo si chiude la vicenda dell’intellettuale perseguitato, alter ego dell’autore (anche se nel romanzo resta anonimo), le cui vicende e la cui storia sono in larga misura autobiografiche, per quanto l’autore abbia affermato più volte che i dettagli della vita del protagonista sono frutto di invenzione (Williams 2008, p. 301). Il protagonista è un intellettuale, un noto scrittore ex detenuto dei campi di lavoro della Repubblica Popolare che intrattiene relazioni adulterine in maniera quasi compulsiva con altre donne e con prostitute durante un giro di conferenze fra Parigi, New York, Atlantic City e San Francisco. Da un lato la sua esuberanza sessuale è il frutto della precedente e lunga astinenza forzata dovuta alla prigionia e alla vita in un regime violentemente puritano quale quello maoista; dall’altro, nell’atto sessuale il protagonista rivive il momento di una sua esperienza traumatica del passato, nella quale aveva temuto davvero di perdere la vita: ogni volta che ha un orgasmo infatti vede una pistola che gli spara alla testa. Dal punto di vista narrativo, la sovrabbondanza del desiderio sessuale è l’esatto contraltare dell’impotenza precedente e di sicuro questo contrasto ci rivela molto anche della diversa situazione storica: se prima 167 l’intellettuale avrebbe voluto agire ma era castrato dal potere, nella presente situazione sociale e politica, in cui è molto più vicino al potere e crede di avere libertà di azione e di decisione, egli è in realtà ancora vittima delle pressioni dello Stato, anche solo nella forma del trauma precedente; inoltre, se il protagonista è estremamente attivo in ambito sessuale, sembra non provare davvero piacere, ed è questa la vera crisi che colpisce non solo l’intellettuale, che ne è consapevole, ma tutta la classe media che può permettersi molti beni che sarebbero stati inimmaginabili fino a poco tempo prima ma ha scambiato una versione ristretta della libertà e la gratificazione materiale per il vero benessere, senza fare davvero i conti con il passato.133 Senza una profonda e collettiva rielaborazione delle ferite del passato i traumi subiti sarebbero tornati presto o tardi a produrre le stese distorsioni psicologiche e le stesse catastrofi del passato.134 Per questo mi permetto di non condividere del tutto l’opinione di Hsia (2006) sul contenuto compromissorio dei romanzi lunghi dell’autore, considerati come celebrazione politicamente ottimistica delle riforme di Deng: ritengo che, senza essere troppo esplicitamente critico, l’autore sia riuscito ad articolare una serie di dubbi sulla realtà presente e sulla ricostruzione del passato e abbia contribuito ad una relativa contestazione del potere, sempre nei limiti della sua formazione e del ricordo delle persecuzioni subite, che potevano anche ripetersi, seppure in forma più lieve. La censura, l’intimidazione politica, il timore di affrontare eventi terribili, l’orgoglio nazionale e il timore di essere ritenuti corresponsabili dei fatti spiegano in parte, secondo Link (1991), il desiderio di non entrare troppo nel dettaglio dell’orrore vissuto. Quando Zhang Xianliang iniziò a pubblicare, poi, erano i primi anni Ottanta e la stessa «Letteratura delle radici» era ormai considerata troppo arditamente critica dal Partito (Link 2000) e la stessa produzione di Zhang Xianliang venne toccata dal controllo politico: in particolare, la censura che colpì alcune sue opere, ritenute “scandalose” testimonia della difficoltà di trovare una via mediana e sicura fra la sicurezza politica e la libertà creativa. Lo stesso Hsia infatti riconosce che Zhang Xianliang voleva prima di tutto essere pubblicato e aveva così tanto da dire da non voler scambiare la propria indipendenza artistica per la tranquillità di un impiego come burocrate o propagandista. Il terrore di essere ucciso con un colpo alla testa per il protagonista del romanzo è dovuto al ricordo di quando, in un campo di lavoro, era stato risparmiato per miracolo, insieme ad una ragazza di dieci anni, mentre tutti gli altri detenuti radunati erano stati uccisi a fucilate.

133 L’eccesso sessuale inoltre, come anche nel romanzo Feidu (1993) di Jia Pingwa, non fa che preannunciare la prossima impotenza sociale dell’intellettuale: in una sorta di sublimazione rovesciata, la difficoltà o l’impossibilità di essere ascoltato come scrittore si trasforma nella ricerca di compensazione nella sfera sessuale. 134 È interessante notare che il romanzo venne pubblicato quasi contemporaneamente alla repressione delle manifestazioni di piazza Tian’an men del 1989. 168

L’incapacità di superare il trauma di questa scena provoca una frantumazione nel soggetto narrante e in una certa misura spiega anche la difficoltà vissuta anche dall’autore nel ricostruire il proprio io. È soprattutto per semantizzare la forma e il significante che in questo romanzo l’autore fa un ampio uso di tecniche moderniste come l’analessi e la prolessi, il montaggio cinematografico di scene a volte incongruenti, rapidi cambiamenti di persona narrante dalla prima alla terza persona, sviando e confondendo il lettore, che davvero fatica a ritrovare un senso compiuto e una coerenza interna degli eventi narrati, evidentemente filtrati da una coscienza compromessa. Inoltre, anche il senso di colpa tipico dei sopravvissuti all’orrore di un trauma prolungato nei confronti dei «sommersi», si trasforma in cinismo, in questo caso cinismo maschilista e sfruttamento sessuale delle donne che il protagonista incontra. È lo stesso cinismo vissuto e sofferto durante la prigionia, incarnato in particolare dalle guardie, ma non meno dai compagni di sventura, resi disumani dall’ansia di sopravvivere. Tuttavia, la descrizione troppo esplicita e scandalosa del tema sessuale portò anche questo romanzo ad essere temporaneamente bandito nella Repubblica Popolare Cinese. Nei primi anni Novanta Zhang Xianliang fu uno degli autori che fecero il “salto” nel grande mare dell’economia di mercato, fondando e dirigendo diverse compagnie. 135 Questo ovviamente spiega anche il calo della sua produzione letteraria, che non raggiungerà più i livelli degli anni Ottanta. Quasi tutte le sue compagnie hanno sede a Yinchuan, nel Ningxia, la stessa regione in cui venne relegato negli anni della rieducazione e questo si può spiegare con un sincero attaccamento per quella terra; pertanto ancor più sincero è l’affetto dimostrato da molti suoi personaggi per le remote terre in cui erano stati confinati. Il suo appoggio alle riforme economiche e la sua stessa esperienza di imprenditore possono far pensare che la rieducazione di un «elemento borghese» non avesse sortito alcun effetto nemmeno dopo venti anni di lavoro forzato; dall’altro lato, le stesse esperienze possono invece rivelare la sua piena aderenza alle politiche del Partito anche quando questo sosteneva l’arricchimento individuale e la costruzione di un socialismo di mercato. Zhang Xianliang stesso rappresenta in effetti questa natura apparentemente ossimorica di socialista e di capitalista: convintissimo della validità del pensiero marxista, non rifiuta certo la possibilità di costruire un maggior benessere per sé e per la nazione, dopo gli anni della miseria e della fame.

135 Questa sua duplice e contraddittoria identità di membro del Partito Comunista Cinese e di imprenditore (tecnicamente in violazione delle regole del partito) attirò sull’autore una serie di critiche, che si aggiunsero a quella principale di non aver attaccato l’autoritarismo postmaoista come aveva fatto con il totalitarismo maoista. Alcuni lo hanno anche criticato per aver descritto nelle sue opere degli intellettuali sempre docilmente obbedienti al Partito e per non aver sfruttato le sue cariche politiche per difendere gli intellettuali nei momenti di irrigidimento della politica culturale. A queste si possono aggiungere le critiche femministe nei confronti di un certo maschilismo in alcune sue opere e la censura ufficiale nei confronti di opere che trattano troppo esplicitamente il sesso. 169

Altre opere dell’autore, sempre di carattere autobiografico, ma non narrativo sono i diari della prigionia, la cui prima parte fu pubblicata in Cina con il titolo di «L’ansia è conoscenza» Fannao jiu shi zhihui 烦恼就是智慧 su Xiaoshuojie 小说界 nel 1992. Il seguito, inizialmente progettato dall’autore, con un titolo invertito, ossia «La conoscenza è ansia» Zhihui jiushi fannao 智慧就是烦恼 non vide mai la luce, perché l’autore ritenne necessario trattare l’opera come un tutt’uno e, una volta conclusa anche la seconda parte, fu pubblicata in un unico volume come «Il mio albero bodhi» Wo de putishu 我的菩提树 (1994).136 Il diario consiste di brevi annotazioni dal diario originale della prigionia e di un commento più esteso che l’autore ha aggiunto in seguito per chiarire la descrizione degli eventi e i sentimenti suscitati dalle esperienze vissute. Come ebbe a dire lo stesso autore, vent’anni di silenzio erano stati anche un’occasione per gli autori cinesi, nel silenzio forzato della persecuzione, per immergersi nel proprio pensiero e sviluppare una comprensione originale della società e della vita (Martin; Kinkley 1992, p. 81). Sebbene si tratti di un diario, si parla spesso di quest’opera come di un romanzo (Williams 2008, p. 301) e anzi quest’ambiguità sul genere letterario aggiunge fascino alla sperimentazione dell’autore. La vicenda è ambientata fra il 1960 e il 1961 in un campo di prigionia del Ningxia, e il “romanzo” mette a confronto le note scritte all’epoca con il commento scritto trent’anni dopo. Le note erano necessariamente molto sintetiche,137 altrimenti l’autore, oltre a rischiare di essere punito per aver scritto pensieri controrivoluzionari, non avrebbe potuto riavere il suo diario all’uscita del campo. Quel che emerge dal diario non sono solo le sofferenze che si possono immaginare di un lavoro massacrante in condizioni climatiche estreme, ma anche la quotidiana lotta con la meschinità, la volubilità e la crudeltà delle guardie, oltre che la falsità, l’opportunismo e l’avidità dei propri compagni di sventura. Del resto, là dove la fame spinge l’umanità al limite della sopportazione fisica, non c’è molto spazio per sentimenti di solidarietà, di compassione e di generosità: la stessa contemplazione della sofferenza altrui diventa una consolazione. Questo è il grande fallimento del sistema concentrazionario maoista: il suo intento dichiarato era di livellare le individualità e di trasformare dei “criminali” in uomini nuovi in senso socialista ma in realtà trasformò degli esseri umani in bestie. Un altro motivo per cui l’autore afferma di aver scelto di scrivere questo diario/romanzo è la necessità di conservare la memoria del passato: soprattutto nella Cina a lui contemporanea troppe persone sceglievano di non affrontare il passato. La cosa più

136 La traduzione inglese del diario è stata divisa in due parti: Grass Soup (tradotto anche in italiano come Zuppa d’erba) e My Bodhi Tree. 137 L’autore ricorda infatti che le note non registrano gli avvenimenti e i pensieri che doveva tenere a mente, ma quelli che non doveva assolutamente registrare (Zhang 1994d, p. 10). 170 importante, poi, testimoniata dal diario è l’importanza della scrittura: era stata proprio la penna a permettergli di sopravvivere, non solo perché aveva sostenuto la sua attività mentale e intellettuale, ma anche perché come detenuto istruito aveva potuto godere di incarichi relativamente favorevoli e quindi di un’alimentazione lievemente migliore della norma. Certo, il ricordo non è del tutto privo di rischi: esso obbliga a ripercorrere il passato e rivivere episodi spiacevoli e dolorosi. Tutte le sue opere descrivono sempre le vicende dell’autore e hanno quindi un taglio evidentemente autobiografico e, per sua stessa dichiarazione, politico (Liu 1994): egli racconta sempre come i pensieri e il corpo stesso di un essere umano possa essere coartato e plagiato in condizioni estreme e disumane. Tuttavia, se nelle prime opere scritte dopo la sua riabilitazione non sembrano esserci particolari risentimenti nella voce dell’autore, ma un tono prevalentemente neutro, distaccato e controllato – anche a causa della situazione politica non ancora del tutto sicura e affidabile – nel diario commentato emerge finalmente un cambiamento di registro: dall’ironia si passa al sarcasmo e dalla neutralità al rancore, il cui principale obiettivo non è altri che Mao Zedong. Il titolo stesso del suo diario, l’albero delle meditazione buddhista, fa riferimento all’illuminazione raggiunta dall’autore durante i disastri del maoismo, in particolare durante il Grande Balzo in Avanti, quando smise definitivamente di credere nel grande progetto di Mao. La sua narrativa, infatti, non solo per il suo aspetto autobiografico, ma anche per l’ironia che la contraddistingue, è sostanzialmente politica. 138 Egli infatti, fin dagli ultimi anni della Rivoluzione Culturale, fu un grande sostenitore di Deng Xiaoping e delle riforme economiche promosse dagli elementi più moderati del partito. Sembra perfino che l’autore fosse un convinto sostenitore della possibilità per la Cina di evolvere in senso democratico: a mano a mano che la struttura economica evolveva in senso liberale, anche la sovrastruttura ideologica, secondo l’autore, sarebbe progredita verso la democrazia o almeno verso un governo maggiormente rappresentativo e trasparente con i propri cittadini e una qualche tipo di sistema democratico sarebbe emerso (Sybesma 1994, p. 56). Nei primi anni del Ventunesimo secolo l’autore cambiò interessi e scelse come temi piuttosto una satira sulla Cina contemporanea di ambientazione urbana. L’ultimo romanzo dell’autore si intitola «Centosessanta milioni» Yiyiliu 一 亿 六 e venne pubblicato nel 2009. In quest’opera l’autore ritorna ancora una volta al tema del sesso, ma in una chiave diversa: ora, anziché occuparsi dell’impotenza e delle sue implicazioni politiche o psicoanalitiche, oppure del desiderio erotico e del rimorso che a volte ne consegue, usa la sessualità soprattutto per

138 «我曾偏激地说我写的所有小说都是 “政治小说”» «Affermavo con decisione che tutta la mia narrativa era “narrativa politica”» (Zhang 1997, p. 2). 171 il suo potenziale comico. Il ricco proprietario agricolo Wang Caogen deve per forza mettere al mondo un figlio, altrimenti dovrà portare su di sé la vergogna per aver posto fine alla discendenza della famiglia Wang nel suo villaggio natale. Come recita la formula confuciana che prescrive le virtù fondamentali ad un uomo retto: «La peggiore mancanza per un figlio è non lasciare eredi» Bu xiao you san, wu hou wei da 不孝有三,无后为大 . 139 Il protagonista ha due figlie, con la propria moglie e con l’amante, ma non riesce più a metterle incinte. Decide così di fare un test dello sperma e le analisi rivelano che è diventato completamente sterile. Il dottor Liu, che ha seguito Wang Caogen, trova la soluzione dopo aver analizzato lo sperma di un giovane piuttosto ingenuo relativamente al sesso di nome Lu: il suo sperma contiene addirittura centosessanta milioni di spermatozoi per millilitro di sperma. Ecco trovato il donatore, subito soprannominato “Centosessanta milioni”. A questo punto inizia la vicenda comica: dopo una serie di situazioni imbarazzanti, complicate ed equivoche, alla fine “Centosessanta milioni” decide, pur senza entusiasmo, di ingravidare la moglie di Wang, che ottiene alla fine un erede.140 Forse a causa delle drammatiche vicissitudini della sua vita, l’autore è convinto dell’inevitabilità del caso e della fatalità degli eventi, quindi la sua fede nella necessità non è solo storica ma individuale e biografica. Egli è convinto che ognuno ha il suo particolare destino: il suo fu di sopravvivere. Dopo l’ordalia subìta sono due le occasioni biografiche che ancora rattristano e indignano l’autore: la sua infanzia, soffocata negli anni della guerra civile e le opportunità perse a causa soprattutto della Rivoluzione Culturale. Il senso di una sopraffazione storica del soggetto e della privazione dei migliori momenti e delle occasioni irripetibili della giovinezza e dell’infanzia si avverte in tutta la sua struggente tenerezza nelle sue maggiori narrazioni relative a questi momenti. Il racconto che più di ogni altro cerca di riscattare i sentimenti e i ricordi malinconici dell’infanzia, vissuta in un momento in cui eventi ben più grandi sottraevano l’attenzione di tutti, anche nella memoria storica e collettiva, è sicuramente «Il primo bacio» Chuwen 初吻 (1984), primo capitolo della serie di narrative pensate apposta per ricostruire la vicenda personale della sua crescita come

139 Questa è una delle prove del fatto che la mascolinità confuciana non era concepita solo in termini sociali, ma anche biologici: il possesso di un pene, infatti, diversamente che nella cultura occidentale, in cui esso è importante soprattutto per il perseguimento del piacere maschile, nella tradizione cinese rappresenta in primo luogo una pesante responsabilità dovuta in cambio del potere patriarcale ereditato dagli antenati maschi. Quindi la castrazione, simbolica o fisica, è sempre un insulto al padre, dal quale si è ereditato questo privilegio e quest’onere (Brownell, Wasserstrom 2002, p. 27). 140 Il tono molto leggero e divertito dell’autore in quest’opera ha fatto tracciare anche un parallelo con le huaben 话本 (novelle in lingua parlata) «Commedie silenziose» Wu sheng xi 无声戏 di Li Yu 李渔 (1611 – ca. 1679), una delle quali racconta infatti in maniera comica del desiderio di un ricco mercante di proseguire la discendenza familiare (Williams 2008, p. 302). 172 persona e come intellettuale, «Il corso dei sentimenti» Ganqing de licheng 感情的歷程,141 la prima parte del progetto della «Rivelazione di un materialista», che comprende il racconto summenzionato e i due romanzi Lühua shu e Nanren de yiban shi nüren. Il racconto, scritto dopo vent’anni di rieducazione, ma ambientato durante l’adolescenza dell’autore, scompone l’autore collocato nel 1984, la voce narrante idealmente collocata nel passato precomunista, all’epoca della guerra civile che lo separerà dal suo primo amore e, considerata la fama che già l’autore si era costruita di «autore ritornato», rivela anche il suo sé vissuto durante gli anni del maoismo, il controrivoluzionario. È l’inizio della ricerca e della ricostruzione della propria personalità, attraverso la ricomposizione di tutte le sue porzioni, partendo proprio dalla sua identità umana precedente l’avvento del totalitarismo che ridusse l’individuo ad un’etichetta politica.

我朦胧地意识到我开始成为一个人, 一个个人, 我的幼稚和天真都将从茧中蜕变而 出, 成为独立的意志力。 Confusamente presi coscienza di essere diventato un uomo, un individuo; la mia innocenza e la mia ingenuità infantile erano in procinto di uscire dal bozzolo per trasformarsi in volontà autonoma. (Traduzione di Mario Sabattini e Paolo Santangelo, Zhang [1985a] 1997, p. 272).

Questa consapevolezza, non casualmente, è provocata nel racconto dalla passione amorosa e dal primo bacio da parte della ragazza. La riaffermazione della propria identità sentimentale, sempre affermata attraverso il confronto con la controparte femminile, oltre che di quella intellettuale, sarà il tema portante di tutta la sua narrativa autobiografica, in cui dimostrerà di essere in grado di avere i mezzi intellettuali ed emotivi per resistere alla repressione della politica. È anche una sorta di fondamento della propria utopia personale, opposta a quella politica del maoismo: il racconto descrive il primo amore del protagonista- narratore, dietro il quale si riaffaccia l’autore, dopo decenni di silenzio nella letteratura cinese, alla vigilia della caduta di Nanchino durante la guerra civile. La ragazza che lo accompagna nella scoperta dei suoi sentimenti acerbi è figlia di una famiglia nazionalista che alla fine lascerà la Cina per Taiwan. L’innocenza di una ragazza, macchiata dal cinismo

141 Si può tradurre anche come «Il processo storico dei sentimenti». È interessante notare che il romanzo di Aleksej Nikolaevič Tolstoj, «Ordalia», che abbiamo già citato come fonte di ispirazione per il progetto dell’autore era stato tradotto in cinese come Kunan de licheng 苦难的历程, ossia «Il processo storico della sofferenza» (Gang 1999, p. 186). Oltre a questa prima parte del progetto, che avrebbe raccolto in totale nove romanzi in tre parti (senza specificare quante opere per ogni parte), ci sarebbe stata una «Il processo storico del risveglio intellettuale» Wuzhi de licheng 悟知的历程 e «Genesi» Chuangshiji 创世纪 (Hsia 2006, p. 14). 173 e dal pessimismo dovuti alla sua infermità (è infatti paralizzata dalla vita in giù) sembra essere anche il simbolo della fine dell’innocenza di un intero Paese, la stessa innocenza con cui il protagonista affronta l’incontro con l’amore, ignaro dell’ordalia emotiva e fisica che lo stava aspettando.142 In questo senso la ragazza del racconto anticipa molto delle figure femminili della sua produzione successiva, anche per la sua debolezza e per la sua natura fantasmatica. Infatti, oltre ad associarla spesso al colore bianco del lutto, il narratore, che ricorda gli eventi dopo molti anni, è convinto che lei sia ormai morta, e immagina che di lei siano rimasti solo i denti che lo avevano morso. Come vedremo per altri romanzi successivi, il tema della donna morta, della donna fantasma e dello scheletro della donna saranno ricorrenti nella narrativa dell’autore e rimandano in parte anche alla fantasia nostalgica del ritorno ad una romantica purezza di sentimenti che il protagonista/autore teme di poter perdere per sempre crescendo e diventando adulto in un ambiente estremamente spietato e crudele, ma non cederà mai alle troppo facili lusinghe dell’autocommiserazione. Pur apparendo ad alcuni critici troppo maschilista e tradizionalista, ad una lettura più attenta la sua produzione rivela una grande profondità umana e anticipa perfino molti temi che diventeranno rilevanti non solo nel dibattito letterario, ma anche nella società cinese degli anni successivi. Ad esempio, i rapporti fra uomini e donne, il trauma storico e psicologico della prigionia, dell’impossibilità di esprimersi e dell’indottrinamento ideologico, il ruolo dell’intellettuale nella Cina contemporanea e in particolare dello scrittore in una cultura di massa e commerciale. Opere che in qualche modo possono essere associate a quelle di Zhang Xianliang sono ad esempio «1986» Yi jiu ba liu nian 一九八六年 (1987) di Yu Hua, una novella in cui il trauma differito della Rivoluzione Culturale, a dieci anni esatti dalla sua conclusione, si esprime in maniera distorta e atroce in una serie di automutilazioni del protagonista, che rievoca, anche fisicamente, il dolore di quel periodo in un momento in cui tutti si crogiolano nel benessere economico appena raggiunto. 143 Un tributo a Zhang Xianliang, soprattutto alla sua coraggiosa riscoperta del tema sessuale e del desiderio, oltre

142 Alcuni riferimenti del testo possono anche far pensare ad una parentela del racconto con il film «L’angelo della strada» Malu tianshi 马路天使 (1937) di Yuan Muzhi 袁牧之 (1909-1978): il riferimento ai giochi di prestigio che il protagonista impara da alcuni profughi delle regioni cadute in mano ai comunisti e l’importanza della finestra, da cui la ragazza inferma guarda il mondo come uno schermo cinematografico. Il riferimento al cinema infatti è sottolineato nel racconto dalle riviste cinematografiche che la ragazza legge. Anche la perdita dell’innocenza è un tema del film che si ritrova nel racconto, mentre la speranza in un futuro migliore che è presente nel film nella novella è quasi sarcasticamente contraddetto dallo scarto temporale fra tempo interno della narrazione e tempo esterno della composizione e dalla consapevolezza storica che lettore e narratore condividono in una sorta di complicità epistemologica. 143 Andrew F. Jones (1996), nella postfazione alla raccolta The Past and the Punishments in cui è raccolta anche la novella «1986», nota che «It would be easy to read the piece as a narrowly political allegory. Easy, but misleading. The madman, after all, is treated rather nicely by the Red Guards. His madness goes deeper than mere historical circumstance. Instead, it represents a meditation on the ways in which history, culture, and language collaborate with our seemingly innate capacity for brutality and callousness to create political violence» (p. 271). 174 che della condizione emotiva degli intellettuali nel periodo delle riforme, si ritrova nel romanzo «Amore in una valle di broccato» Jinxiu gu zhi lian 金绣谷之恋, parte della trilogia dell’amore (Sanlian 三恋) di Wang Anyi 王安忆 (1954-), in cui la protagonista incontra un famoso romanziere, che molti identificano appunto in Zhang Xianliang, ad una conferenza sul monte Lu, innamorandosi perdutamente. Tornata a casa, non ricevendo alcuna notizia da lui, capisce che era soprattutto innamorata della propria immagine creata dall’amore per lui (McDougall, Louie 1997, pp. 411-412). Zhang Xianliang morì il 27 settembre 2014 all’età di settantotto anni.

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4. ANALISI DELLA TRILOGIA AUTOBIOGRAFICA DI ZHANG XIANLIANG

4.1. «MIMOSA» LÜHUASHU 绿化树144

La vicenda del romanzo, narrato in prima persona e sempre di natura confessionale, come quasi tutte le opere dell’autore, inizia il primo dicembre del 1961 e segue il prigioniero Zhang Yonglin, nel suo trasferimento al di fuori del campo, in un villaggio del nordovest cinese nel quale lavorerà accanto ai contadini e ai pastori della zona. Prima di uscire dal campo ottiene da un ricercatore universitario in filosofia, anch’egli rinchiuso nello stesso campo, una copia de Il Capitale di Karl Marx, che sarà il suo livre de chevet, anzi il suo unico libro e il suo vero e proprio cuscino per tutto il periodo della sua «rieducazione sotto la sorveglianza del popolo». Regalandogli il libro, il ricercatore gli suggerisce di trovare in esso il motivo per cui trovavano dove si trovavano: il protagonista gli chiede se intende dire loro due o la Cina e in effetti il dubbio è legittimo e attraverso il romanzo e l’ausilio della lettura di Marx l’autore cerca di fornire una risposta che valga per tutta la nazione. Infatti, come dice il ricercatore, il loro destino di intellettuali è legato strettamente a quello del Paese. Il romanzo venne scritto in un periodo in cui da un lato il Partito, che ancora manteneva il potere di definire il ruolo e la direzione della letteratura, e dall’altro gli intellettuali cercavano di raggiungere una forma di riconciliazione. Per questo vennero tollerati molti esperimenti stilistici e tematici. La lettura de Il Capitale permette al protagonista di leggere la realtà degli anni Sessanta come una perversione del marxismo originario e lo stesso stile del romanzo è ispirato dalla natura letteraria, dalle allusioni e citazioni che riempiono il classico marxista. L’ambientazione in una terra di confine, poi, per sua natura eccentrica e liminale, permette di trattare l’ortodossia in maniera più libera e originale. I temi dell’identità, della correttezza ideologica, sociale, linguistica e di genere vengono messi alla prova là dove e nel momento in cui il controllo su di essi si è meno rigido: non è un caso che questo romanzo e il successivo, Nanren de yiban shi nüren, siano ambientati nei brevi intervalli di semilibertà dalla prigionia del campo e descrivano con attenzione e profondità il confronto fra un reduce della rieducazione (che quindi in teoria ha assorbito gli insegnamenti del partito) e gli abitanti dei margini (che invece sono lontani geograficamente e temporalmente dalla necessaria rigidità ideologica richiesta ai cittadini cinesi dell’epoca).

144 Il titolo dell’opera, tradotto letteralmente, porterebbe piuttosto a «Alberi che rinverdiscono», ossia la traduzione letterale del nome della mimosa in cinese. Lo stesso termine è quasi sinonimo di mayighua 马缨花 tradotto come «mimosa», anche se indica piuttosto un tipo di rododendro (Rhododendron Delavayi). In questa trattazione si segue la traduzione più diffusa del romanzo, che è al tempo stesso una dedica alla sua protagonista femminile, Ma Yinghua 马缨花. 177

Tutta la narrazione è intrisa dall’ossessione della fame e dall’esasperata ricerca da parte del protagonista e degli altri detenuti di qualunque cosa sia commestibile. Essi cercano in tutti i modi di sopravvivere, sfruttando ogni mezzo a loro disposizione per ottenere del cibo e risparmiare calorie preziose per poter sopravvivere. Lo stesso protagonista confessa di aver fatto ricorso ad astuzie poco lodevoli per procurarsi un po’ di nutrimento in più rispetto all’insufficiente razione quotidiana: prima utilizza un recipiente diverso da quello degli altri detenuti che sembra delle stesse dimensioni ma, essendo più profondo, convince i cuochi a dargli sempre una porzione più abbondante per pareggiare la quantità di rancio dato agli altri prigionieri; in seguito, ottenuto il permesso di recarsi nella città più vicina, inganna con un trucco matematico un venditore di ortaggi facendosi dare una maggiore quantità di carote. Se da un lato questi piccoli successi, dovuti alla sua intelligenza e quindi al suo status di intellettuale, lo riempiono di un orgoglio da Ah Q145 e lo fanno sentire al di sopra degli altri prigionieri, anche del famigerato “Capo”, come lui condannato come «elemento di destra», ma orgogliosamente proveniente da una famiglia povera; il suo senso di superiorità intellettuale resiste anche quando gli altri detenuti si dimostrano molto più scaltri e spregiudicati nella ricerca del cibo, ma dall’altro lato lo fa sentire così in colpa da togliergli il sonno al pensiero che stava forse riemergendo la sua congenita natura di borghese, capitalista e sfruttatore, che non era stata cancellata dagli anni trascorsi nei campi di lavoro. Il suo senso di colpa si può leggere ad un livello secolare come il timore di essere retrocesso e riportato nell’inferno del campo, l’uscita dal quale era stata celebrata come un ritorno a casa; d’altro canto il testo è pervaso da così tanti riferimenti religiosi da far pensare ad un percorso di redenzione di cui il momento narrato rappresenta il Purgatorio.146 Immagini di

145 «我觉得我比他高尚,比他有更多的精神上的享受,虽然没有找到黄萝卜,我还是心满足地、带着一种精神胜 利的自豪感追上了大车。» (Zhang 1995a, p. 12). «Anche se non avevo trovato alcuna carota mi sentivo comunque contento pensando al mio status superiore. Mi affrettai dietro al carro, orgoglioso di aver ottenuto una vittoria morale». 146 Lo stesso autore ad un certo punto afferma di sentirsi come Dante nella Divina Commedia, proprio a proposito della sua intrinseca natura borghese, che condannava tutta la sua classe sociale e lui come suo ultimo rappresentante. Febbricitante dopo aver truffato il negoziante, sente di meritare la punizione: «我口渴,我口渴得像嘴里含着一团火,但毫无办法,我把这种折磨看作对我的惩罚。我默念着但丁的《神曲》: 从我,是进入悲惨之城的道路; 从我,是进入永恒的痛苦的道路; 从我,是走进永劫的人群的道路。 我所属的阶级覆灭了,我不下地狱谁下地狱?» (Zhang 1985, p. 59). «Ero così assetato che mi sembrava di avere un fuoco nella bocca ma non potevo farci nulla, pensavo che tale tormento fosse la mia punizione. Mi ricordava la Divina Commedia di Dante: Per me si va nella città dolente Per me si va nell’eterno dolore Per me si va fra la perduta gente La mia classe era condannata e se non fossi andato io all’Inferno, chi se no?». Un altro riferimento a questo percorso mistico si ha quando il protagonista pensa che gli altri, avendo parenti e connessioni in città possano trovare la via per sfuggire all’inferno ed essere assunti in paradiso, mentre Zhang teme che resterà per sempre in quel Purgatorio: «[…] “十七层地狱” 也好,对他们来说不过是个过渡,他们很快就能上天堂。只有我, 是注定要在这里呆到全然不可预测的未来,也许直呆到老、到死的。» (Zhang 1995a, p. 20). «[…] un inferno di 178 punizione e di retribuzione sono onnipresenti nel testo: ad esempio, dopo aver frodato il negoziante, saltando per evitare un corso d’acqua ghiacciato, cade nel torrente e perde metà delle carote ottenute con l’inganno e per giunta si ammala. I riferimenti alla retribuzione/punizione (secolare o religiosa) e alla Commedia dantesca147 possono anche permettere ad un lettore occidentale di associare la protagonista femminile, che ad un certo punto salva dall’Inferno della fame ad una Beatrice, una donna angelicata e salvifica. La mancanza di una guida, del resto, porta anche ad un senso di smarrimento nel protagonista, ancora disorientato dalla raggiunta libertà: egli stesso si rende conto di essere ormai abituato ad essere comandato e di aver bisogno di tempo per abituarsi alla sua nuova condizione.148 Tuttavia, la ritrovata libertà materiale e corporea porta con sé la libertà di pensare e di sentire: il primo contatto con la bellezza è la vista della natura, mentre il canto del carrettiere Hai Xixi 海喜喜 gli riporta alla mente la poesia rimasta dormiente nel suo cuore. Rendendosi conto inoltre che si tratta di una canzone d’amore, anche i sensi assopiti si risvegliano pian piano: la canzone folk, espressione della spontanea sensualità e popolare e di una mascolinità originaria ben rappresenta l’incontro con una cultura incontaminata dalla politica e questa forse è la ragione profonda del suo entusiasmo per la liberazione: non si trova più immerso e soffocato dal totalitarismo.149 La fame tuttavia è ancora la principale molla di ogni sua azione e tiene lontani tutti gli altri sentimenti e tutti gli altri desideri. I due baozi donatigli dal cuoco del campo il giorno della sua partenza vengono subito tesaurizzati e il protagonista decide di divorarli segretamente, lontano dagli sguardi famelici degli altri detenuti. Vengono tutti sistemati in una baracca nel

diciassette livelli per loro è poca cosa, per loro è solo un passaggio e presto saranno in paradiso. Solo io resterò qui per un futuro imprecisato, forse fino alla vecchiaia, fino alla morte.» 147 Al di là del riferimento colto, se vogliamo intendere in maniera oggettiva le vicende di Zhang Yonglin come appartenenti variamente al “modo alto-mimetico” e al “modo basso-mimetico”, la sua è in effetti una commedia nel senso di una «incorporazione dell’eroe in quella società a cui egli è per natura idoneo» (Frye 2000, p. 46). In senso alto-mimetico quest’incorporazione prende le forme «della lotta fra la società repressiva e quella ideale [come] lotta fra due livelli di esistenza, il primo simile o peggiore al nostro mondo, il secondo incantato e idilliaco.»; nel modo basso-mimetico l’incorporazione «[…] implica più frequentemente un avanzamento sociale» (pp. 60-61). 148 «我一面悄悄地打量他,一面在心里分析自己不安的原因。最后我发觉,原来我是被人管惯了,呵叱惯了。虽 然我意识到我今天获得了自由,成了一个“自食其力的劳动者”,但在潜意识下,没有管教和呵叱,对我来说倒 不习惯了;我必须跟在一个管我的、领我的人后面。» (Zhang 1995a, p. 13-14). «Mentre lo misuravo analizzai dentro di me le ragioni della mia inquietudine. Alla fine scoprii che ero stato sorvegliato e comandato. Sebbene oggi sia consapevole di aver ottenuto la libertà, e di essere divenuto un lavoratore che si guadagna da mangiare con il proprio lavoro, tuttavia sentivo inconsciamente di non essere abituato a non avere qualcuno che mi controllasse e mi desse ordini. Ho assolutamente bisogno di seguire qualcuno che mi controlli e mi guidi.» 149 «[…] 歌词毫不掩饰,毫无文采地表现了赤裸裸的情欲。我 […] 发现世界上没有那一个民族的情歌有如此大胆、 豪放、雄奇、剽悍不羁。什么“我的太阳”、“我的夜莺”、“我的小鸽子”、“我的玫瑰花”…… 统统都显得极为软弱, 极为苍白,毫无男子气概。于是,我二十五岁的青春血液,虽然因为营养不足而变得非常稀薄,这时也在我的 血管中激荡迸溅。» (Zhang 1995a, p. 17 passim). «Le parole della canzone non nascondevano nulla, e mostravano esplicitamente un desiderio senza pudore. Scoprri che non c’è canzone al mondo altrettanto audace, ardita, eroica e sfrenata di quella canzone folk d’amore. Qualunque “O sole mio”, “Mio usignolo”, “Mia colombella”, “Mia rosa” sarebbe apparsa estremamente fiacca, scialba e priva di virilità. Perciò il mio giovane sangue di venticinquenne, sebbene rarefatto da una nutrizione insufficiente, in quel momento si stava agitando nelle mie vene.» 179 villaggio in cui occorre sistemare finestre e stufa: siccome Zhang Yonglin aveva imparato nel campo come fare le stufe di mattoni, viene nominato caposquadra dal capogruppo Xie. In questo modo, sempre ricorrendo a stratagemmi e piccole furbizie, riesce ad evitare il primo giorno di lavoro (tanto poteva contare sui due baozi come rancio, negato a chi non usciva a lavorare) e a rimediare dell’altro cibo, utilizzando l’avanzo di pasta di miglio datagli dai cuochi per incollare la carta di giornale alle finestre. Ironicamente, i due baozi vengono poi mangiati dai topi, lasciando il protagonista a lottare contro la fame il secondo giorno, quando dovrà inventarsi un’altra scusa per restare in camerata e scansare il lavoro. Ricordandosi di come fosse riuscito in passato ad uscire vivo da un mucchio di cadaveri, sa di poter resistere e sopportare grandi sofferenze e ora è anche convinto di poter imparare da chi è campione di resilienza, ossia i contadini, conosciuti proprio come «coloro che sopportano» shou ku ren 受苦人.150 Tuttavia, nasce in lui il dubbio che tanta capacità di sopportazione possa essere anzi deleteria, perché conserva il corpo ma distrugge a poco a poco lo spirito, la speranza e la volontà, le fonti stesse del sentimento. Il vuoto che crea dentro di sé, fonte ad un tempo di delusione ma anche di conforto, oltre ad avere sempre i contorni di un apprendistato religioso, diventa perfino ironico quando a distanza di poche righe lo stesso “aspirante monaco” Zhang Yonglin rivela, certamente spinto dalle circostanze eccezionali, un animo piuttosto gretto ed egoista. Una volta entrati nella camerata, infatti, Zhang occupa subito il posto contro il muro, perché più riparato dal freddo e protetto dall’avidità e dall’invadenza altrui: egli così si allontana subito dai suoi simili prendendosi un altro piccolo privilegio. Un ulteriore particolare che aggiunge ironia alla scena è l’affermazione dell’autore, che capisce come mai i monaci scelgano di meditare contro i muri, anche se di certo la scelta dei monaci è dettata da motivi meno venali, e dal fatto che il libro che usa come cuscino è Il Capitale di Marx. Poco oltre, però, è lo stesso autore a rendersi conto che quel libro era la sua unica ancora di salvezza, il suo unico legame con il mondo dell’intelletto, l’unico mezzo per elevarsi al di sopra del mondo del cibo e, aggiungerei, dell’ossessione per il semplice valore di scambio delle merci, visibile nel calcolo delle quantità di cereali che si potevano ottenere e degli scambi possibili da effettuare con coloro che avevano contatti con l’esterno e potevano farsi mandare cibo e altri prodotti.

150 Anche il lavoro dei campi era noto come «andare a soffrire» shou ku qu 受苦去 (Zhang 1995a, p. 52). Essere finalmente fra i contadini e non più fra i criminali del campo di lavoro gli permette inoltre di farsi direttamente un’idea chiara dei lavoratori, non più idealizzata e astratta: la loro rudezza e il loro ottimismo contrastano con la descrizione della propaganda e sicuramente anche con la personalità dei detenuti dei campi (Zhang 1995a, pp. 45-46 e Zhang 1985, p. 53). L’episodio della pila di cadaveri appartiene all’esperienza reale dell’autore: dopo essere fuggito tre volte dal campo nei primi anni Sessanta, per due volte viene ricatturato e la terza ritorna volontariamente perché non potrebbe sopravvivere da fuggitivo. Viene punito con la privazione del cibo per una settimana. Alla fine del periodo viene dato per morto e gettato su una pila di cadaveri, fuori dalla quale riuscì a trascinarsi per tornare nel mondo dei vivi come un Lazzaro risorto. 180

Egli capiva quanto la fame lo stava trasformando in un essere vile e spregevole, ma aveva anche la consapevolezza della vacuità della semplice sopravvivenza, poiché era costretto a vivere solo per restare in vita e non aveva grandi ideali che dessero un senso alla sua esistenza: l’unico che gli era stato fornito era la «rieducazione», ma anch’essa sembrava non essere stata raggiunta se ancora si comportava come un capitalista sfruttatore. Tuttavia, nel mezzo della fame più atroce anche questo è un segnale, inserito ovviamente dal narratore, della presenza di una coscienza soggettiva che emerge particolarmente nelle condizioni più difficili, quando ancora non c’è molto spazio per la speranza e il personaggio si trova ancora nel mondo della pura oggettività e della materialità.151 L’alternativa, suggeritagli dal suo stesso stomaco, era affrontare la realtà in modo da poter resistere alla fame, condizione ormai esistenziale di un’intera nazione e non più solo individuale.152 La strada scelta per farlo pertiene alla riscoperta dell’individuo e del soggetto libero e paradossalmente questa strada era la lettura di Marx. Per poter opporsi alla falsa interpretazione di Marx occorreva tornare all’originale testo sacro.153 Continua così il sottotesto religioso della storia: per combattere silenziosamente gli eretici che danneggiano un’intera nazione con la propaganda del pauperismo e dell’ascetismo, l’unica soluzione è ritrovare la pienezza ideologica e orale nel senso del consumo alimentare e della produzione discorsiva, nel verbo originario del fondatore. Si tratta di verbo che possiede un corpo e ridona corpo in un mondo che nega le necessità biologiche e di un verbo che offre una soddisfazione interiore che non può essere tolta, mentre invece i baozi sono rubati dai topi. Quindi la narrazione procede in maniera altalenante fra l’estasi mistica della rivelazione marxista e una realtà fatta di fame, di un lavoro massacrante e umiliante e della compagnia forzata di persone infide. La descrizione dei lati più vili e deplorevoli della natura umana fa parte della straordinaria onestà dell’autore, che volendo mettere a nudo ogni aspetto, anche i più oscuri e inconfessabili, dimostra da un lato di aver introiettato la lezione maoista dell’autodenuncia, ma soprattutto testimonia la sopravvivenza dell’onestà dell’intellettuale martire di una verità

151 我不认为人的堕落全在于客观环境,如果是那样的话,精神力量就完全无能为力了;这个世界就纯粹是物质 与力的世界,人也就降低到了禽兽的水平。宗教史上的圣 徒可以为了神而献身,唯物主义的诗人把崇高的理想 当作自己的神。我没有死,那就说明我还活着。而活的目的是什么?难道仅仅是为了活?如果没有比活更高的 东 西,活着还有什么意义? 可是,现在我是一切为了活,为了活着而活着。(Zhang 1995a, p. 27). 152 但是肚皮给了我最唯物主义的教育。你不正视现实吗?那就让你挨挨饿吧?我目前的境遇是铁的现实!Zhang 1995a, p. 29). 153 Wang Xiaoying (2002, p. 12) registra che nel periodo postmaoista, la «personalità postcomunista» era ormai disgustata dal marxismo, in ogni sua versione, perché accusato di essere la radice di ogni male della Cina dal 1949 in poi. Nella coscienza popolare, oltre ad essere oggetto di ridicolo e di sospetto, era associato al dogmatismo, all’ipocrisia, alla fantasia e alla follia. 181 umana e non soltanto storica e riavvicina così i suoi lettori alle debolezze umane troppo a lungo bandite dalla rappresentazione confessandosi onestamente. In questo Zhang Xianliang si rivela erede di Tolstoj e di Rousseau. Dopo aver finito la stufa per il gruppo, Zhang Yonglin si reca a guardare i cavalli e viene coinvolto nel lavoro di spalatura del letame. Un altro elemento ricorrente infatti sono gli escrementi animali, ammucchiati in cumuli: da un lato ci dicono che gli animali non soffrivano la stessa carestia degli uomini e anzi, ironicamente, le loro deiezioni rappresentavano un ulteriore motivo di fatica per gli uomini che le dovevano spalare. Il letame inoltre rappresenta la fatica più abietta, che contrasta nettamente con gli elementi più lirici della natura circostante. Nel romanzo sono spesso le donne ad essere associate al lavoro di spalatura del letame e del compostaggio, materia organica inerte e putrida: come la donna controlla il cibo, essa controlla anche il risultato della digestione, di cui il processo di rieducazione del protagonista è una metafora. In questa occasione incontra le donne e la sua fantasia viene ulteriormente stimolata, soprattutto perché una di loro, che in seguito sapremo essere Ma Yinghua, la sua salvatrice, gli si rivolge in maniera tanto gentile, dopo anni di insulti e abusi verbali, da commuoverlo. Dopo la prima giornata di lavoro, durante la quale aveva sprecato molte energie (tanto da fargli invocare Lazzaro come patrono degli invalidi), Zhang finge di dover riparare la stufa per poter sfuggire al lavoro e risparmiare così le sue forze. Come premio per il suo lavoro di costruttore di stufe viene inviato dal capogruppo Xie nella città vicina e qui si colloca l’episodio della truffa ai danni del negoziante. Guarito dalla febbre dopo essere caduto nel fiume, rimane di nuovo in camerata anziché andare a lavoro e inizia «solennemente» a leggere Il Capitale, riconoscendo nella prefazione alcune sue riflessioni, in particolare la constatazione di essere l’ultimo rappresentante di una classe condannata, l’agnello sacrificato alla nuova epoca, condannato a espiare le colpe dei propri predecessori, come i figli degli alcolisti e dei sifilitici. 154 Questo riferimento ad un’eugenetica di classe riporta il discorso lontano dalle speranze di un progresso lineare e inarrestabile della storia di un Paese che stava rincorrendo il benessere negli anni Ottanta: come per altre «retro-fiction» anche in questo caso il sospetto di una colpa ancestrale, di un atavismo sepolto ma ineluttabile instilla il sospetto che non tutto dipenda dalla volontà del

154 «我 […] 有一种被献在新时代的祭坛上的羔羊的悲壮感:我个人并没有错,但我身负着几代人的罪孽,就像 酒精中毒者和梅毒病患者的后代,他要为他前辈人的罪过备受磨难。» (Zhang 1995a, p. 54 passim). «Sentivo tragicamente di essere l’agnello sacrificato sull’altare della nuova epoca: io personalmente non avevo commesso alcun errore, ma sulle spalle portavo il peso delle colpe di alcune generazioni, come un discendente di alcolisti o di sifilitici deve subire le tribolazioni causate dalle colpe dei suoi predecessori». La stessa preoccupazione era condivisa da Shi Zai, protagonista di Tulao qinghua. Ngai (1994), leggendo la narrativa di Zhang Xianliang come eminentemente confessionale, vede nella conversione politica di Zhang Yonglin un effetto del suo senso di colpa. 182 singolo o della collettività e che nella storia non ci sia solo uno sviluppo evolutivo, ma anche momenti di involuzione e che questi si possano anche ripetere in futuro. La dialettica fondamentale fra spirito e carne si acuisce allorché è costretto ad abbandonare la lettura per la fame: è evidente che lo spirito non può sostenersi senza la soddisfazione dei bisogni fondamentali del corpo. Il primo passo per ricostruire sé stesso come intellettuale e come persona è quindi sfuggire alla schiavitù della fame, con la quale il potere tiene schiavi i suoi sudditi. La fame provata durante la lettura dà corpo alla parola e le stesse parole usate da Marx per descrivere il valore d’uso delle merci – contrapposto ora al semplice valore di scambio, l’unico che prima il protagonista capisse nella sua bestiale ricerca del cibo – diventano una sorta di cibo spirituale, di un genere più materico rispetto a quello offerto dal discorso maoista. Zhang infatti assapora la parola “mais” anziché concentrarsi sul suo significato. La fame gli ha forse donato anche una maggiore consapevolezza del messaggio marxiano, una consapevolezza ora più concreta. Il protagonista rappresenta in maniera intuitiva e corporea la riscoperta della praxis marxiana e dell’umanesimo kantiano che Li Zehou e Liu Zaifu stavano conducendo nella Nuova epoca: Zhang Yonglin è spinto dalla sottomissione al mondo oggettivo dei bisogni a ignorare il valore dell’esistenza umana ed è sottoposto ad un’ontologia che mette al centro la natura e non l’essere umano. Per la formazione della soggettività non basta la coscienza del mondo ma occorre che gli esseri umani siano consapevoli della propria esistenza e si confrontino con il mondo: «la coscienza umana non solo riflette il mondo oggettivo, ma lo crea» (Liu 1993, p. 64). Per questo la creazione letteraria è un modo per dare corpo alla propria soggettività e riprodurre il mondo oggettivo dandogli la propria impronta. Il cibo si carica anche di significati erotici allorché nella scena entra Ma Yinghua, che giunge a salvarlo come un angelo. Appartenente alla minoranza musulmana degli Hui come il carrettiere Hai Xixi, questi vive con la figlia ma senza marito e in casa sua non manca mai il cibo, portato dai molti suoi pretendenti. Dopo aver passato anni a pensare solo a questioni pratiche, ora Zhang vede affacciarsi alla sua mente i pensieri più romantici e le ambizioni più elevate. Con la scusa di fargli fare dei lavori in casa sua, Ma Yinghua lo rifocilla perché è preoccupata per la sua magrezza e il suo pallore155 e in seguito gli farà rifare il suo kang 炕, sapendo quanto è bravo con le stufe. La costruzione del kang, però, innesca la rivalità

155 A proposito dell’opera teatrale Baimao nü, la propaganda comunista sosteneva che la nuova società avrebbe trasformato i fantasmi in persone: «旧社会使人变成鬼,新社会使鬼变成人» «La vecchia società faceva delle persone dei fantasmi, la nuova società trasforma i fantasmi in persone» (citato in Gang 1999, p. 162); mentre Zhang Xianliang dimostra il contrario: Ma Yinghua infatti dice a Zhang Yonglin: “[…] 那天我看你,脸都发灰了,跟伊不利斯一个样……” (Zhang 1995a, p. 64) «[…] quando ti ho visto quel giorno, eri grigio in volto, proprio come un iblīs» [伊不利斯 Yibulisi significa Iblīs, il nome arabo di uno spirito maligno]. 183 con il carrettiere Hai Xixi, altro frequentatore della casa di Ma Yinghua, che ritiene di essere più bravo. Questo confronto fra due uomini e due idee di mascolinità, sul terreno del lavoro manuale, si risolve con una vittoria di Zhang, più abile per la sua preparazione intellettuale: aveva infatti imparato quel lavoro nel laogai. Quello che poi contribuisce a rendere orgoglioso e soddisfatto il protagonista è il fatto che il suo lavoro sia stato pagato con del cibo, non elemosinato ma guadagnato, e di essere riuscito ad ottenere anche il rispetto di lavoratori che apprezzavano il lavoro manuale. Ora Zhang è sulla strada per la costruzione di una mascolinità nuova, non più del tutto intellettuale e nemmeno puramente fisica: è questa la sua personale regola per una più profonda rieducazione, una mescolanza di preghiera marxista (ora) e di pratica lavorativa (labora). Ora la sua coscienza è pulita perché non deve più arraffare il cibo con l’inganno e di questo deve ringraziare non il partito o i suoi rappresentanti ma il popolo e i suoi valori.156 Potendo ora pensare ad altro oltre al cibo le sue ambizioni possono crescere, insieme alla speranza di mettere a frutto i propri talenti, emulando al contempo figure della mascolinità lavoratrice quali Hai Xixi. Una delle scoperte del protagonista nella lettura di Marx è la superiorità del lavoro manuale, che egli associa allo studio e alla scrittura: egli rifiuta la divisione fra lavoro manuale e lavoro intellettuale cercando di nobilitare il secondo nella retorica maoista associandolo ad un lavoro “di schiena”. Nel tentativo di «coinvolgere lo stile in una storia di riconciliazione sociale sotto un’autorità marxista restaurata» (Gunn 1991, p. 167), Zhang Xianliang si distingue da altri autori nel cercare di realizzare la riconciliazione di cui si parlava fra partito e classe intellettuale negli anni Ottanta. Lo strumento utilizzato fu proprio la lingua, in particolare la parlata regionale e marginale del nordovest: con essa poteva rappresentare l’incontro e la pacificazione fra l’élite istruita e il popolo.157 Tuttavia, l’assimilazione della parlata regionale avviene su un motivo molto più antico e premoderno, quello della fame. Il tema predominante del romanzo infatti è proprio quello della fame, uno dei topoi più diffusi e utilizzati anche nella letteratura del Novecento, come ben dimostrato da Gang Yue (1999) e da Wang Dewei (2004). Gang Yue in particolare, sottolinea lo stretto legame che si era creato nel discorso comunista fin dall’epoca di Yan’an fra l’aspetto politico e quello

156 «因为饱,我可以想食物以外的事情了。» (Zhang 1995a, p. 73) «Poiché ero ben nutrito, potevo pensare ad altre cose all’infuori del cibo». 157 Nella sua intervista a Rint Sybesma (1989a) Zhang Xianliang elenca le qualità necessarie per uno scrittore: dopo aver ricordato la musica, le arti e la poesia cita soprattutto il popolo: occorre sapere osservarlo ed esplorare le loro condizioni di vita, ossia la società (p. 65). Anche l’esibizione della propria erudizione, classica e occidentale, essenzialmente premaoista, ben visibile in Lühua shu, serve a collegare idealmente, almeno a livello culturale, il passato e il presente. Secondo Hsia (2006) questa erudizione può essere provocata anche solo dalla rievocazione dei sentimenti e delle impressioni di un giovane intellettuale, che associava automaticamente un paesaggio o una persona alle sue reminiscenze letterarie, musicali e artistiche. 184 estetico della fame, poi superato allorché la dimensione estetica si oppose a quella politica nel periodo postrivoluzionario. Se il discorso politico descrive la fame come la necessaria spinta alla rivoluzione, la sua interpretazione estetica ne fa un’esperienza più vasta, etica, legata al sempre insoddisfatto appagamento del desiderio. Quindi al livello ideologico e metaforico della fame si aggiunge quello corporeo ed emotivo. L’aspetto estetico della fame, poi, ha anche una valenza etica, perché riporta l’etica all’interno del marxismo culturale attraverso l’ammissione del desiderio. In questo diventa molto originale ed essenziale il contributo di Zhang Xianliang che, reintegrando il marxismo classico nel dibattito, apre nuove possibilità per l’interpretazione del tema della fame nella generale ricostruzione culturale degli anni Ottanta. «Paradossalmente, i testi sulla penuria materiale hanno offerto del cibo simbolico per la continua ricostruzione del corpo politico. La fame, quindi, giunge alla sua stessa consapevolezza nella scrittura del desiderio» (Gang 1999, p. 149).158 La fame e l’ignoranza delle masse contadine, le prime ad essere alienate dei frutti del loro lavoro in una società e in un’economia prevalentemente agricola come quella cinese, erano considerate da Mao due strumenti efficacissimi per la diffusione e la popolarizzazione del marxismo fra di esse: esse non avevano la cultura per capire una lettura diretta de Il Capitale, ma erano abbastanza affamate da accettare il nutrimento ideologico in una lingua comprensibile, fatta soprattutto di metafore alimentari, la più famosa delle quali è «mangiare i ricchi» chi dahu 吃大户.159 Questo atto tutto politico si realizza quando le rivolte contadine spogliano i ricchi proprietari di tutto ciò che di commestibile essi possiedono, la loro vera ricchezza e la loro fonte di potere e di distinzione sociale. Un altro obiettivo era la demolizione delle autorità claniche dei templi ancestrali e degli anziani, l’autorità religiosa degli dèi locali e l’autorità maschile dei mariti, realizzata abolendo la segregazione delle donne e dei poveri dai banchetti nei templi ancestrali. Questo punto, oltre a dimostrare la forza della traduzione del discorso rivoluzionario nei termini di una sollevazione contro la carestia e la fame (la migliore e più efficace resa di tale progetto per la realtà cinese), indica

158 Altri autori che hanno riletto il passato, quello più recente e quello precedente alla rivoluzione comunista del 1949, alla luce del tema della fame e del desiderio alimentare sono Lu Wenfu 陆文夫 (1927-2005) con il suo romanzo «Il gastronomo» Meishijia 美食家 (1983) e Wang Ruowang 王若望 (1918-2001) con la sua «Trilogia della fame» Ji’e sanbuqu 饥饿三部曲 (1980). Ambientato per due terzi prima della presa del potere da parte dei comunisti nel 1949, quest’ultimo romanzo descrive la parabola tragica di un fedele comunista. Nella prima parte il protagonista, imprigionato a sedici anni in una galera nazionalista per attività comuniste, riesce a sopravvivere mangiando ogni cosa sia edibile, per quanto disgustosa. Partecipa anche ad uno sciopero della fame per ottenere migliori condizioni di vita e la fame in questo caso è certamente un necessario test per diventare un perfetto comunista, una prova di resistenza, una dimostrazione della propria fede rivoluzionaria e del proprio spirito di sacrificio e abnegazione per la vittoria finale. Se nella prigione del Guomindang lo sciopero ha successo, tanto che il protagonista riesce ad ottenere anche dei libri, nella sua successiva esperienza delle prigioni maoiste, Wang non otterrà né cibo né alcun testo che non fosse stato scritto da Mao. 159 L’espressione viene usata da Mao nel «Rapporto d’inchiesta sul movimento contadino nel Hunan» Hunan nongmin yundong kaocha baogao 湖南农民运动考察报告 (1927). 185 un altro elemento importante nel nostro discorso: la privazione del cibo, intesa sia nel senso della produzione, che della circolazione e soprattutto del consumo, diventa un mezzo per sminuire la mascolinità e quindi la potenza simbolica di ogni autorità paterna che non discendesse dal Partito. Il discorso maoista allora si prodigò per la creazione di nutrimenti spirituali in forma di parole per soddisfare la fame e il desiderio rivoluzionario delle masse proletarie in un movimento circolare fra produttori del cibo materiale (i contadini) e i produttori del cibo spirituale (gli intellettuali). 160 Dopo i Discorsi di Yan’an, infatti, l’intellettuale nell’interpretazione maoista non poteva più essere lontano dal popolo ma doveva raccogliere le forme artistiche, gli strumenti e i materiali della propria arte dal popolo, per poi offrirgli un nutrimento per lo spirito che compensasse il nutrimento materiale ricevuto. Anche questa «relazione di mutuo nutrimento fra il produttore materiale e il produttore culturale» (Gang 1999, p. 156) è importante per comprendere il romanzo Lühua shu, in particolare il rapporto di mutuo sostentamento fra Ma Yinghua e Zhang Yonglin. Quel che risulta ironicamente messo in risalto, però, è un rapporto di aiuto e nutrimento unidirezionale, più che reciproco: se nell’immaginario maoista l’intellettuale avrebbe fornito al popolo il cibo spirituale con il quale ripagare il cibo materiale, nel caso di Zhang Yonglin la sua natura di intellettuale emarginato, rinnegato dal potere, gli impedisce di produrre alcunché per il popolo. Del resto, nei fatti il rapporto ideale di mutuo sostentamento fra agricoltura e ideologia era stato rotto proprio dal potere che, nella sua predilezione per l’aspetto ideale/ideologico dello scambio aveva trascurato la realtà materiale del bisogno alimentare e aveva così sbilanciato disastrosamente il rapporto. In queste condizioni, la legittimità del potere per il popolo – e di questo poteva essere consapevole solo chi fosse a contatto diretto con esso – era compromessa, ed era solo una questione di tempo prima che una nuova dirigenza e una nuova schiera di intellettuali illuminati prendesse il potere e cambiasse le cose. Questa probabilmente è la sorgente ideale delle speranze di un intellettuale come Zhang Yonglin di poter essere nuovamente utile al proprio Paese. Tuttavia, come Gu Gang 顾岡 nel romanzo di Zhang Ailing 张爱玲 (1920-1995) «La canzone del germoglio di riso» Yangge 秧歌 (1954), l’intellettuale inviato nelle campagne per raccogliere materiale per scrivere una sceneggiatura cinematografica per un film sulla riforma agraria, è costretto prima di tutto a nutrirsi di cibo concreto (che nella realtà scarseggia) e solo poi potrà modificare la realtà esaltandola, nell’ottica del romanticismo

160 «La rivoluzione comunista è una rivoluzione della fame e la letteratura e l’arte rivoluzionarie hanno ad un tempo riflesso e nutrito la fame rivoluzionaria dei contadini» (Gang 1999, p. 156). 186 rivoluzionario, creando al tempo stesso del cibo spirituale. È difficile infatti trovare ispirazione e riuscire a trascendere la propria animalità per realizzare un’opera d’arte prima di aver allontanato i bisogni materiali. Con grande sarcasmo e una certa dose di pessimismo, l’autrice aveva già prefigurato il destino e i dilemmi degli intellettuali cinesi, soprattutto quando in seguito si troveranno di fronte al Grande Balzo in Avanti e alla Rivoluzione Culturale. Retrospettivamente, questa speranza viene elaborata e metabolizzata come una riscrittura dell’eredità rivoluzionaria in termini diversi: una nuova semantica di tempi di abbondanza che utilizza però la vecchia sintassi della miseria, cercando di rappresentare ai lettori e a sé stessi il dramma di un periodo fosco, di cui forse si vorrebbe troppo facilmente perdere il ricordo.161 Gang Yue mostra come sia Zhang Xianliang che Ah Cheng, in particolare con il suo «Il re degli scacchi» Qiwang 棋王 (1984) aggirano il maoismo attivando antiche fonti della scrittura (il marxismo classico per Zhang Xianliang e il daoismo per Ah Cheng) e nella loro scrittura fondono il cibo e le parole per rispondere alla ricerca di un nutrimento simbolico alla metà degli anni Ottanta. Del resto, se la scrittura è un «atto di solidarietà storica», ossia «un rapporto tra la creazione e la società, […] il linguaggio letterario trasformato dalla sua destinazione sociale, […] la forma colta nella sua intenzione umana e legata così alle grandi crisi della Storia» (Barthes 2003, p. 12), si può spiegare la compresenza storica di diversi utilizzi di una medesima lingua e anche di uno stesso stile per finalità diverse, anche se non nei termini politici, particolarmente marxisti, della funzione letteraria: se infatti «il linguaggio non è mai innocente» poiché le parole portano con sé e dentro di sé il ricordo dei significati precedenti – e nel caso della scrittura maoista il significato delle parole non era davvero mai privo di una differenza intrinseca e di una definizione lapidaria e inappellabile162 – la scrittura diventa il «compromesso tra una libertà e un ricordo» (p. 14).

161 «Condizioni sociali nuove devono produrre strutture semantiche nuove» (Zhang 1996, p. 57) 162 Sempre nella definizione di Barthes (2003), la scrittura politica ha «il compito di congiungere in un sol tratto la realtà degli atti e l’idealità dei fini. È per questo che il potere, o l’ombra del potere, finiscono sempre per istituire una scrittura assiologica […]. La parola diventa un alibi (cioè un altrove e una giustificazione). […] l’alibi del linguaggio è nello stesso tempo glorificazione e intimidazione.» (p. 17) E ancora: «Legata a un’azione, la scrittura marxista è diventata rapidamente, in effetti, un linguaggio del valore. […] Nell’universo staliniano, dove la definizione, cioè la separazione del Bene e del Male, occupa ormai tutto il linguaggio, non ci sono più parole senza valore e la funzione della scrittura finisce per essere l’economia di un processo: non c’è più alcuna dilazione tra la denominazione e il giudizio […].» (p. 19). La deriva ultima di questa tendenza è la scrittura poliziesca, propria dei regimi autoritari, in cui i termini sono volutamente distorti per offrire una versione unica, emendata e corretta, della realtà: «[…] la scrittura funziona come una buona coscienza e […] ha per missione di far coincidere in modo fraudolento l’origine del fatto e la sua più lontana trasformazione, dando alla giustificazione dell’azione la garanzia della sua realtà.» (p. 20). 187

[…] la scrittura è dunque essenzialmente la morale della forma, è la scelta dell’area sociale nel cui ambito lo scrittore decide di situare la Natura del proprio linguaggio. Ma quest’area sociale non è affatto quella di un effettivo consumo. Non si tratta di scegliere il gruppo sociale per cui scrivere: lo scrittore sa bene che salvo a prevedere una Rivoluzione, ciò può essere unicamente per la stessa società. La sua è una scelta di coscienza, non d’efficacia. La sua scrittura è un modo di pensare la Letteratura, non di divulgarla. (Barthes 2003, p. 13).

La vecchia sintassi maoista, quella che produceva il discorso della rivoluzione come nutrimento spirituale della fame (materiale o spirituale) si arricchisce di nuovi termini, o nuovamente semantizzati, in cui la fame diventa ciò che realmente è, nei suoi aspetti più crudi e corporei, basti pensare alle descrizioni estremamente realistiche dei morsi della fame in Lühua shu e il riferimento amaramente ironico fatto dal suo autore al film di Charlie Chaplin, in cui il protagonista crede che il suo amico sia un tacchino. Il discorso invece torna ad essere composto di parole, che però si caricano anch’esse di un valore alimentare e corporeo. In tutto ciò, la retorica dell’eccesso e della penuria viene anch’essa rovesciata, come viene spezzato il legame fra parole e cibo, investiti entrambi di un evidente contenuto metaforico. Oltre alla semplice constatazione, espressa in forma letteraria da molti autori, per cui la Rivoluzione Culturale era stata la fine della tradizione culturale cinese, sia nel senso culinario e gastronomico che nel senso della cultura letteraria, l’aspetto estetico e quello politico vengono nuovamente scissi, aggiungendo una componente etica nella rilettura dell’epoca della “carestia culturale” fra il 1966 e il 1976 e l’epoca della carestia materiale precedente, coinvolgendo in un’unica critica tutto il trentennio maoista e riconducendo il ricordo della povertà nella spinta alla modernizzazione economica e politica. La fame del benessere stava producendo nuove fonti di capitale simbolico e stava dando nuovi argomenti agli scrittori per rileggere anche il recente passato. Nel caso specifico di Zhang Xianliang in Lühua shu, il suo rovesciamento dell’opposizione dialettica fra penuria ed eccesso prende la forma di una sovrabbondanza verbale e soprattutto di un grandioso sfoggio di cultura: tutto il testo infatti è attraversato da citazioni e riferimenti estremamente colti, che possono far pensare all’educazione dell’autore acquisita prima della sua carcerazione, come anche alle nuove possibilità di istruirsi e rimettersi in pari con la cultura mondiale dopo la fine della Rivoluzione Culturale. Di sicuro, tutte queste esibizioni di erudizione sono evidenti intromissioni del narratore nella vicenda del suo protagonista, che ribadiscono da un lato la stretta associazione fra i due ma li allontanano al tempo stesso 188 portando la narrazione altrove e in un altro momento. Anche le loro due vite sono evidentemente differenti: se Zhang Yonglin vive solo per procacciarsi del cibo, saltuariamente consolato dalle parole di Marx, il narratore Zhang Xianliang, sazio e soddisfatto nella sua condizione di scrittore affermato, può permettersi di diffondersi con un certo compiacimento e senza timori nel piacere della narrazione.163 Se alla mancanza di ogni bene materiale fa da contrappunto l’eccesso verbale, è in questo modo che viene superata la fame: riappropriandosi della libertà di conoscere e di esprimersi dopo un ventennio di miseria culturale. Questo eccesso, quasi una bulimia verbale, prende la forma non solo delle citazioni colte, ma anche delle coloriture locali del dialetto dei contadini, delle forme più espressive della loro lingua, espressioni poetiche e divagazioni liriche, in particolare nella descrizione ecfrastica della natura, il gergo politico, e concettose formule filosofiche (soprattutto le citazioni da Il Capitale). La crudeltà del campo di lavoro e della rieducazione viene provocata anche dalla fame, che portava i corpi allo stremo e giustificava ogni azione vile, abietta e perfino violenta, annullando l’umanità e la personalità degli individui. È sicuramente la prova più difficile, perché riguarda la stessa sopravvivenza. Il primo test di Zhang Yonglin, perciò, è estremamente difficile. La violenza si fa diffusa e permea anche il linguaggio, complice il fatto che non esistono alternative alla produzione “culturale” degli slogan e delle affermazioni dei capi, se non forse la semplice saggezza dei popolani incontrati fuori del campo. Alla penuria del cibo si accompagna la mancanza dei libri, tranne – nel caso fortunato del protagonista – Il Capitale di Marx, unica “Bibbia” ammessa per un «elemento di destra» che deve dimostrare di essersi convertito alla vera fede comunista. Nei vent’anni della sua rieducazione, Zhang visse da vicino un’epoca di estrema “oralità” nel duplice senso della soddisfazione alimentare (frustrata) e dell’eccesso verbale (effettivo), fatto soprattutto di parole d’ordine, slogan, formule retoriche e ideologiche stereotipate. Come gli disse lo spettro di Marx nel suo romanzo successivo, Nanren de yiban shi nüren: «[…] la cosa buffa è che nella vostra epoca non si sono sviluppati il cervello e le mani, ma la bocca.» (Zhang 2005, p. 178). 164 La stessa oralità si nota nella regressione del protagonista alla fase infantile in cui è costretto dalla dipendenza alimentare da Ma Yinghua, la sua «feeding mother» (Gang 1999, p. 195).165

163 Vengono in mente a questo proposito anche i suoi diari della prigionia, pubblicati nei primi anni Novanta: Gang Yue (1999) vede nello sdoppiamento dell’autore fra annotazioni del passato e commento del presente (narratore-narrato; il mondo diegetico e il mondo riflessivo) anche la metafora di una contraddizione storica, ossia la difficile esperienza storica di una società che cercava di dare un senso al proprio passato catastrofico (p. 186). 164 «“[…] 可笑的是:你们这个时代,不是脑、不是手,而是嘴这种器官特别发达的时代。”» (Zhang 2012, p. 155). 165 Simile in questo a Hu Yuyin, protagonista del romanzo Furongzhen (1981) di Gu Hua. Sul ruolo delle due protagoniste come nutrici si veda Shen (1992). 189

Non è del tutto contraddittorio che la Rivelazione (o, più precisamente, l’Apocalisse) di un materialista inizi proprio con un’illuminazione religiosa: da un lato Marx era considerato una divinità, dall’altro è proprio attraverso una retorica tinta di misticismo e di ascetismo, simile nella sintassi a quella maoista, che si poteva più efficacemente superare il discorso della rinuncia, del sacrificio e della sopportazione dei bisogni e dei desideri materiali diffusa dallo stesso maoismo in nome dell’obiettivo finale, ma sempre irraggiungibile, della rivoluzione. Come abbiamo già visto, la fame nel discorso maoista era stata trattata e utilizzata come molla e spinta alla rivoluzione, ma una volta ottenuto il potere la retorica della rivoluzione non si interruppe e la fame continuò ad essere usata per spingere alla consapevolezza di classe e per provare con la sua sopportazione la propria fibra morale e le virtù politiche del vero rivoluzionario.166 Come ha messo in evidenza Wang Ban (1997), nella mitologia maoista la spinta utopica verso una rivoluzione continua – o una rivoluzione continuamente ricapitolata e riaffermata – si fonda sul concetto del «sublime maoista», in cui tutto ciò che «puzza di umano, ossia i desideri individuali e collettivi: l’appetito, i sentimenti, la sensibilità, la sensualità, l’immaginazione, la paura, la passione ecc. sono repressi in modo che il troppo umano è sublimato con violenza nel superumano e perfino nell’inumano» (p. 1). Questo ha permesso a Wang (2004) di rovesciare provocatoriamente l’opposizione fra penuria ed eccesso nel discorso maoista: anziché di scarsità la fame indica il suo opposto, perché è equiparabile ad una spinta della libido per la rivoluzione e il comunismo che rimane sempre inappagata: «è facile riempire il corpo con il cibo fisico, ma lo spirito non può mai avere abbastanza cibo ideologico» (p. 123). Lo stesso sublime maoista, che in ambito estetico diventava una forza che schiacciava la vita e annullava la soggettività individuale, produceva una forma di soggettività surrogata, una soggettività maoista a cui erano connaturati dolore e piacere e che nell’annientamento di sé trovava la propria celebrazione, tanto da diventare addirittura esaltazione di sé (Wang 2004, p. 238). Riportando al centro del discorso il cibo materiale e ridandogli lo spazio che gli compete, quello di semplice nutrimento dei corpi, veniva recuperato il valore del desiderio e della sua soddisfazione naturale. Il discorso romanzesco, nell’interpretazione bachtiniana, ancora una volta parodia e sfida il discorso ufficiale più elevato e ne rappresenta il contraltare sovversivo (Bachtin 1979).

166 «The Chinese Communist hunger discourse has always entertained a component of self-willed hunger as a physical testimony to ideological strength. In theory, it reminds one of traditional religious fasting as a trial of self-purgation through self-negation, but in practice, it echoes more the (neo-)Confucian tenet of curbing one’s corporeal welfare while asserting one’s moral rectitude. […] Chinese historiography is full of accounts of model figures who have starved to death to assert their moral or political integrity.» (Wang 2004, p. 140). 190

In questo l’autore chiama a testimonio il popolo, che con la sua saggezza pratica e la sua profonda umanità capisce meglio dei chierici l’importanza dei bisogni primari. Dall’altro lato, per porre fine a questa retorica della sopportazione della fame fisica e dell’esaltazione della fame ideologica, l’autore si avvale dell’autorità morale e filosofica del primo profeta, le cui parole sono intrise di benevolenza e concretezza, tanto da essere perfino un cibo, ad un tempo spirituale e materiale. Leggendo Marx il protagonista scopre la logica trasformativa della natura e della coscienza, l’oggetto e il soggetto (Lu 2007a, p. 47). Il racconto “religioso” diventa anche politico, nel senso attuale del termine, quando si pensa al dibattito sull’alienazione nella società socialista. Se intendiamo questa alienazione in termini materiali, è evidente quanto i cinesi siano stati privati del frutto del loro lavoro, soprattutto i contadini e i lavoratori forzati protagonisti del romanzo. Anche facendo attenzione alla frattura fra mente e corpo si può notare quanto lontana fosse la rivoluzione socialista dal soddisfare entrambi: la retorica che abbiamo delineato era tutta sbilanciata dal lato dello spirito, della mente, del principio speranza, a scapito dei veri bisogni del popolo, quelli che nel testo sacro erano contemplati fin dai primi capitoli dedicati al valore delle merci. La stessa alienazione è vissuta e visibile lungo tutto il romanzo, che è l’ordalia di un intellettuale che tenta di ricongiungere mente e corpo superando contemporaneamente la fame fisica e il deserto spirituale e umano. Il traguardo di questo percorso di redenzione è la ricostituzione del soggetto desiderante, capace di respingere la retorica maoista con due strumenti presi a prestito da essa: il contatto diretto e reale con il popolo (non la costruzione puramente discorsiva del “popolo”) e “ciò che il maestro disse” (ipse dixit/ziyue 子曰). In questo modo la soggettività e la legittimità del desiderio possono trovare giustificazione nell’orizzonte ideale e retorico del comunismo anche in epoca postmaoista. Non potendo infatti presupporre una rivoluzione – come indicava Barthes – Zhang Xianliang pensava e scriveva nella stessa e per la stessa società nella quale era stato “rieducato”. La forza d’animo del suo spirito e del suo intelletto, poi, si notano nella capacità di resistere all’indottrinamento facendo da sé la propria (ri)educazione comunista e riuscendo là dove la violenta e disumana pedagogia maoista aveva fallito. Dopo aver anzi sopportato l’iniziazione religiosa maoista e aver sofferto per anni fame, privazioni, lavoro duro ed essersi purgato di ogni lettura “borghese”, scopre all’inizio di questa sua Rivelazione che era tutto sbagliato e inefficace e che il percorso verso la Verità passava piuttosto attraverso il corpo. Non a caso infatti il primo capitolo di questa personale apocalisse è dedicato alla fame, che non è solo il più elementare bisogno fisiologico e il presupposto per la costruzione di un soggetto senziente e

191 pensante, ma anche il fondamento ideologico per la ricostruzione nazionale. Ecco perché ne Il Capitale vi era la ragione per cui gli intellettuali erano confinati nei campi di lavoro. Non sarà facile, comunque, per il protagonista venire a capo delle molte contraddizioni nel suo animo fra la sua pretesa natura borghese e i risultati della sua rieducazione, fra l’istinto animale e la fame rabbiosa che lo portano ad azioni riprovevoli e la sua coscienza, fra la sua identità di «elemento di destra» e gli altri detenuti, come anche la distanza fra l’intellettuale e il popolo. Sarà in particolare il testo di Marx ad arginare la decadenza morale. La stessa lettura che ne dà e l’interpretazione che ne trae è essenzialmente fisica: quando assapora termini quali «grano», «caffè», «tè», «pane» nelle prime pagine del testo, pur essendo per sua ammissione privo delle basi filosofiche per poter penetrare fino in fondo il significato di certe affermazioni, si rivela invece un ottimo esegeta, soprattutto per il tempo in cui venne scritto il romanzo, ossia l’epoca delle riforme. Gustando e godendo della poetica venalità di certe parole in altre condizioni trascurabili riesce perfino a calmare i morsi della fame con il piacere del testo: «come il consumo estetico decostruisce il dualismo di corpo e mente, le parole diventano i portatori materiali per la ricostruzione della memoria storica» (Gang 1999, p. 192). In questo modo, depoliticizzando Marx, Zhang riesce a rinnovarlo in una nuova epoca e a dargli cittadinanza nella Cina degli anni della prosperità, liberando il suo messaggio dalle incrostazioni propagandistiche e sublimatrici che ne avevano filtrato il contenuto materiale e concreto per lasciare solo il puro messaggio teoretico: la sua quindi è una lettura estremamente originale e creativa, che è stata definita «estetismo materialista» (Gang 1999, p. 193). L’allontanamento da sé, o se si preferisce l’alienazione del protagonista, e lo strenuo sforzo per farvi fronte è un tema che attraversa tutto il romanzo, al quale contribuiscono vari elementi. Il primo di essi è l’ironia che attraversa il racconto a vari livelli: è un’ironia testuale, un’ironia infratestuale, intertestuale ed extratestuale: se da un lato abbiamo una distanza romanzesca fra l’io dell’autore e lo «egli» barthesiano del racconto, al tempo stesso si ha nel racconto in prima persona del protagonista un’ulteriore e ambigua distanza temporale fra l’io del presente (il 1983) e quello del passato; l’ambiguità è data dall’imprecisata identificazione dell’autore storico (Zhang Xianliang) con il protagonista fittizio (Zhang Yonglin). Questa serie di ambiguità e di lievi straniamenti per una vicenda che si suppone abbia una parvenza di attendibilità storica – anche se sappiamo che, fin dal Diario di un pazzo, la letteratura si pone a livello epistemologico come alternativa della storiografia – aumentano la portata universale di un racconto che riesce a prescindere e ad astrarre dal particolare per abbracciare una vicenda umana più profonda e un’esperienza storica

192 maggiormente condivisa, quasi universale. Quest’ironia riafferma l’autorità narrativa contro la narrativa autoritaria e dimostra la volontà di opporsi all’assurdità della storia. A livello intertestuale, poi, l’autore contesta ironicamente l’autorità del testo marxiano, la sua verità assoluta: ci si può domandare infatti se la dipendenza e la resa dell’autore/narratore/protagonista a Marx nel mezzo della carestia non sia stata soltanto una forzatura dovuta alla penuria anche culturale. In questo la donna, che cura e salva dalla fame e dalla morte, permette di sfuggire all’(auto)indottrinamento e la prova possono essere le tante citazioni presenti nell’opera dalla cultura occidentale e dalla tradizione culturale cinese, testimonianze di un’alternativa alla sottomissione dell’unico libro permesso, Il Capitale. L’ironia del racconto opera anche ad altri livelli: da un lato mette alla berlina il progetto della rieducazione facendo scaturire dal soggetto stesso e dalla contingenza della sua vita una rieducazione alternativa, personale, fondata su una sensibilità non intaccata dagli anni di sofferenze e indottrinamento, una rieducazione casuale e spontanea al di fuori di quella istituzionale; dall’altro lato l’illuminazione che il protagonista raggiunge ha dei contorni più religiosi e idealistici che materialistici in senso strettamente marxiano; inoltre, la sua “apocalisse” è un processo che non ha pretese dogmatiche né autoritarie ma vale solo nella sfera psichica ed emotiva del soggetto, è una conquista del tutto individuale e forse non del tutto riuscita in termini maoisti. Si può includere fra gli aspetti ironici anche l’atmosfera religiosa che attraversa il testo (che del resto è una confessione), nonostante la dichiarazione di ateismo del protagonista; infine, le molte citazioni dotte di cui il romanzo è cosparso dimostrano efficacemente una sfasata sovrapposizione fra il Zhang narrato nel passato, preoccupato dei bisogni fondamentali, e il Zhang narrante nel presente, che può liberamente mostrarsi colto ai limiti dell’estetismo, e può anche far dubitare della sua reale conversione al materialismo: quanto sa in effetti il popolo di Dante, Goethe, Byron, Beethoven? Quel che appare è la registrazione storica e biografica, anche se contraddittoria, del motto Primum vivere deinde philosophari. L’alienazione del soggetto continua nella dipendenza alimentare del protagonista: dapprima essa è uno strumento di sudditanza alla politica (metaforicamente, il padre, il super-io), in seguito è una forma di assoggettamento alla donna che con fare materno lo salva dall’inedia (in questo caso, il principio materno, femminile, come anche la passione dell’Es). L’emancipazione alimentare sarà il punto di partenza per la sua più alta libertà e la sua definitiva maturità: solo mettendo da parte la soddisfazione del bisogno

193 elementare/alimentare potrà scegliere liberamente la propria strada e diventare capace di realizzarsi come intellettuale.167 L’ultima forma di alienazione, quella forse meno immediatamente visibile, è quella etnica: sebbene il concetto di differenza etnica, linguistica, religiosa, non trovi spazio nella retorica maoista degli anni Sessanta (durante i quali il romanzo è ambientato), tuttavia, nella nascente letteratura della «Ricerca delle radici» essa ritornò ad essere una dimensione estremamente rilevante nella definizione, o ridefinizione, della “cinesità”. L’occidentalizzazione degli anni Ottanta aveva provocato una reazione nei circoli letterari che portò alla nascita di un rinnovato interesse per le terre più lontane della Cina, quelle più “esotiche” (o costruite come tali dallo sguardo dell’etnia maggioritaria Han) e per molti versi, quelle più mascoline: sottolineando l’importanza dell’alienazione nelle storie di Zheng Wanlong, Kam Louie (1992) sottolinea come «mentre in ogni racconto l’autore possa stare raccontando un’esperienza molto personale, ciò che emerge non è un senso di intimità, ma un mondo straniato, in cui gli uomini sono uomini, le donne donne, i cinesi cinesi e i selvaggi selvaggi» (p. 1122). La preoccupazione principale dell’alienazione in Zheng Wanlong, non diversamente da Zhang Xianliang, è la l’ansia di recuperare l’identità di un “vero uomo” in un mondo che cambiava molto rapidamente. Anche in Zhang Xianliang i riferimenti agli altipiani del loess sembrano una reminiscenza delle origini mitiche del popolo cinese, che ricordano anche l’attaccamento alla propria terra del protagonista del racconto Ling yu rou. L’identità nazionale, tuttavia, non è unitaria ma composita e nel suo romanzo il popolo è nello specifico la minoranza musulmana degli Hui, descritta ricorrendo anche ad elementi linguistici esplicitamente esotici e stranianti.168 La distanza fra sé e gli altri che lo circondano è distinta anche da una precisa connotazione di genere, come in Zheng Wanlong: la donna è ancora più donna, ossia viene iperfemminilizzata, mentre l’uomo, rappresentante della minoranza, il carrettiere Hai Xixi viene ipermascolinizzato. Di essi, poi, l’autore ammira la cultura semplice e spontanea, che

167 Questo e altri particolari hanno fatto sospettare Sheldon Lu (2007a) che la conversione di Zhang Yonglin sia solo apparente e che in realtà il soggetto descritto da Zhang Xianliang non riesca a mescolarsi nel corpo collettivo, a trascendere la propria natura perché sa e rimane consapevole di essere più istruito e più sensibile dei lavoratori che lo circondano. Da un lato la sua comprensione del testo di Marx gli è permessa dalla sua origine borghese: pur privo di una solida preparazione filosofica egli capisce i termini che il pensatore utilizza perché erano gli stessi che venivano discussi nella sua famiglia; se alla fine del romanzo dichiara la sua gratitudine a tutte le Mimosa della Cina sperando che possano coprire tutto il Paese (sfruttando l’analogia floreale), tuttavia la vera Mimosa è assente: mentre il protagonista è divenuto un intellettuale di successo, della donna del popolo che lo aveva salvato non c’è più alcuna traccia. Dopo la rieducazione, evidentemente fallita o discutibile, il legame fra intellettuale e lavoratori è ancor più incerto (pp. 48-49). 168 Ad esempio Iblīs per indicare un demonio, kāfir (kafeile 卡费勒) «infedele» in arabo (in cinese yijiaotu 异教徒) e dušman (dusiman 杜斯曼) «nemico» in persiano (in cinese reso come chouren 仇人) come insulti, tutti termini riferiti in diverse occasioni al protagonista. Notevole il fatto che la distanza e la differenza fra il popolo e sé stesso sia indicata proprio da espressioni poco lusinghiere, anche se in casi diversi fra loro: Ma Yinghua gli dice che sembra magro e grigiastro come un «demonio» (Iblīs appunto) e Hai Xixi durante una colluttazione lo chiama «infedele» e «nemico». 194 si esprime soprattutto nella poesia delle loro canzoni, sempre intrise di sentimento e di passione, libera dalle costrizioni emotive della politica. La spontaneità del popolo quindi è il migliore antidoto alla politica ed è vivendo fra di loro e confrontandosi con loro, portatori di identità di genere più autentiche e incontaminate, che si possono riscoprire valori censurati e negati nella Cina della politica. In tal modo è possibile per il protagonista, spiantato senza radici e senza legami stabili, ritrovare una famiglia nella quale ricostruire la propria identità in maniera tradizionale, ritrovando delle figure adatte per la propria crescita sentimentale, sfuggendo all’opprimente autorità paterna del partito. La donna è il modello della devozione e della gentilezza femminile senza grande cultura, sulla scia della «donna amorevole» descritta da Rey Chow (1991) e propria della tradizione confuciana: «È una virtù per l’uomo avere talento, per la donna non avere talento è una virtù» nanzi you de bian shi cai, nüzi wu cai bian shi de 男子有的便是才,女子无才便是德. La donna diventa così la figura retorica della redenzione. Hai Xixi, al contrario, diventa un modello da imitare: sebbene non sia istruito, e abbia addirittura abbandonato la scuola, la sua forza e la sua abilità lavorativa lo rendono il maschio ideale nell’ambiente in cui vive.169 Egli capisce solo cosa significhi riempirsi lo stomaco, una verità che l’autore ammette di aver impiegato venticinque anni a comprendere, ma può considerare con disprezzo l’intellettuale Zhang Yonglin che non riesce in quelle condizioni a procurarsi di che sopravvivere. L’altra strada per la redenzione e per la costruzione della propria coscienza è quindi la via del popolo. Grazie ai lavoratori sani, forti e onesti, egli può dare avvio ad una propria rieducazione, trovando in loro uno specchio che gli rinvia la sua stessa abiezione: capisce così i suoi difetti e i suoi limiti. Grazie a loro inoltre recupera le forze, il suo amor proprio e la capacità di pensare e di desiderare (Wu 2006). Anche in questo caso non è un percorso facile, poiché è anch’essa disseminata di contraddizioni e di incomprensioni difficili da risolvere. Dopo essersi guadagnato il pasto con il proprio lavoro, Zhang Yonglin inizia ad acquietare la sua coscienza e a provare invidia per le abilità di lavoratore di Hai Xixi, che ora rappresenta il suo nuovo modello di una perfetta mascolinità nel suo nuovo ambiente, in cui è proprio il lavoro manuale a rivelare l’intelligenza e il carattere di una persona. Il senso di colpa dell’intellettuale si ripresenta anche nel confronto con il robusto e rude Hai Xixi: il desiderio personale, anche nella forma del bisogno fisiologico, è la prima fonte di vergogna perché viene scambiato per egoismo e per parassitismo, come quando è costretto dalle

169 «[…] 他本人就是个外表看起来粗豪不羁、暴躁蛮横而心地却是纯朴的、多情的、具有悲壮性格的少数民族兄 弟!» (Zhang 1995a, p. 159) «Dall’aspetto può sembrare rozzo, irascibile e rude ma in realtà aveva un carattere semplice, appassionato e generoso tipico dei nostri fratelli delle minoranze». 195 necessità a ricorrere ai raggiri e ai furti per mangiare. Hai Xixi viene rappresentato come il vero soggetto desiderante e libero, che capisce cosa significhi volere qualcosa per sé, e nelle condizioni specifiche è anche in grado di guadagnarselo, con il lavoro ma anche con il furto, senza però gli stessi scrupoli morali del protagonista. Lui, come anche Mimosa, rappresenta il popolo, con i suoi meriti e le sue colpe, che sono tali solo se si vuole moralizzare l’ideologia. In effetti, non basta vivere fra il popolo come insegnava la retorica maoista dello scambio nutrizionale, occorre condividerne il destino ed entrare nei loro sentimenti. È comunque difficile riuscire a comunicare in questo caso, gli equivoci e i conflitti sono inevitabili: Ma Yinghua non capisce cosa sia la poesia, pur essendo capace di cantare delle canzoni molto appassionate, e le poesie classiche di Li Bai la fanno solo ridere. Lei però è molto libera e più intraprendente di lui in ambito sentimentale: lo invita ad andare da lei ogni sera, nonostante l’imbarazzo di lui: forse anche per questo Ma Yinghua riesce a rappresentare la minoranza come depositaria di una libertà sessuale ormai perduta per gli Han, o forse serve a descrivere la donna come detentrice di un relativo potere sull’intellettuale che va oltre il controllo del cibo. Essa rappresenta la celebrazione della vita: il cibo, l’amore, la riproduzione (è madre di una bambina, Ershe 尔舍), la sua sfrontatezza e la sua spensieratezza, unita al suo spirito pratico e apparentemente prosaico ne fanno l’incarnazione delle migliori virtù del popolo, lontano dalle stilizzazioni e dalle semplificazioni della propaganda. La sua libertà nel ricevere gli uomini trasforma la sua casa in quello che viene definito dalla voce comune l’«Hotel americano» Meiguo fandian 美国 饭店,170 con un riferimento a ciò che la gente del luogo immaginava dell’America: un luogo di abbondanza e di promiscuità. Tuttavia, non c’è nessuna malignità in questo soprannome e tutti trattano Mimosa con grande gentilezza e rispetto. Sebbene si faccia ancora scrupolo di frequentare la sua casa, Zhang Yonglin non può farne a meno e si reca da lei ogni sera per rifocillarsi, sempre però sentendosi in colpa, e temendo di incontrare il maggior frequentatore del posto, Hai Xixi. Se Ma Yinghua ama ascoltare le storie fantastiche che Zhang le racconta, tratte dalle favole occidentali o dal «Racconti fantastici dello Studio Liao» Liaozhai zhiyi 聊斋志异, Hai Xixi durante i racconti lo contraddice o lo contesta in continuazione. 171 Da una lato questo episodio descrive la funzione della letteratura in

170 Gang Yue nota come nella carestia generale, l’abbondanza di cibo venga risignificata come immorale e ciò coinvolge anche la proprietaria della casa, che dispensa il cibo ottenuto dagli uomini poiché giovane, seducente e senza marito (Gang 1999, p. 199). Il fatto che abbia già una figlia, del resto, po’ suggerire ai più maliziosi che si tratti di una «scarpa rotta» (poxie 破鞋), come venivano definite spesso le donne considerate ormai “perdute” per la moralità pubblica, fattasi particolarmente rigida soprattutto nel periodo della Rivoluzione Culturale. 171 Qui Gang Yue fa notare come l’oralità, intesa come attività alimentare e di conversazione, sia all’opera nello spazio ambiguo dell’Hotel Americano, in cui «le relazioni sociali sono ristabilite fuori dai parametri sanzionati dallo Stato» (Gang 1999, p. 200). 196 un’epoca di grandi cambiamenti economici: il narratore si adegua ai gusti del pubblico e soprattutto racconta in cambio di cibo, di un compenso; Hai Xixi invece rappresenta il vecchio modello maoista del proletario rude e zotico, privo di fantasia e con un evidente risentimento antiintellettualistico,172 alimentato sicuramente dalla rivalità amorosa. In tal caso la rivalità rimanda in particolare all’oggettivazione della donna, usata nel loro contemporaneo interesse per lei come strumento di riconoscimento da parte degli uomini e come merce di scambio simbolico nel loro rapporto. Sarà anche attorno al confronto per conquistare la donna, o almeno il diritto esclusivo di accedere alla sua abitazione, che si costruirà la mascolinità del protagonista fino all’inevitabile scontro con il “maschio dominante”. Il suo rapporto con Hai Xixi è piuttosto conflittuale anche interiormente per Zhang Yonglin: da un lato lo ammira per la sua rudezza e per il suo coraggio (e di conseguenza depreca sé stesso come debole e incapace), dall’altro nutre un forte risentimento nei suoi confronti perché si sente continuamente punto nel proprio orgoglio: a mano a mano che riguadagna le sue forze con un’alimentazione migliore, anche il suo amor proprio riprende vigore. Quasi come fosse la cavia di un enorme esperimento scientifico, sente che ormai qualunque cosa ingerisca viene trasformata in cellule: così il cibo materiale, come anche le esperienze vissute. Per la generazione degli scrittori tornati dalla Rivoluzione Culturale, molti dei quali erano confluiti poi nella «Ricerca delle radici», era essenziale dare un senso alla propria esperienza e farne un motivo di orgoglio, un po’ per non dover pensare che tante sofferenze fossero state vane, un po’ perché con quelle esperienze erano diventati adulti e uomini, riscoprendo le origini della propria civiltà, quindi senza dover ricorrere a modelli stranieri. Quello che Zhang invidia soprattutto in Hai Xixi è il carattere: in qualunque lavoro l’importante è la perizia e se Hai fosse stato in grado di eguagliarlo nella scrittura sarebbe divenuto in grande autore. Il confronto con Hai Xixi non si fa attendere: dovendo trasportare il letame e distribuirlo poi sui campi, i carrettieri lavoravano con gli ex detenuti per caricare e scaricare lo sterco dei cavalli. Dapprincipio la lotta si fonda sulla forza fisica e la sopportazione della fatica: Hai Xixi è noto per essere il carrettiere più veloce e, sferzando a tutta forza i cavalli con la sua frusta, che maneggia con estrema abilità, costringe Zhang a tenere il suo passo. Ormai rafforzato dalla sua nuova dieta,173 però, Zhang gli tiene testa, caricando e scaricando il

172 Ricordiamo una delle massime di Mao: «Le persone nobili sono le più stupide, le persone umili sono le più intelligenti» (Ning 2015, p. 71). 173 Questa può essere letta anche come una critica al potere e al suo modo di gestire e organizzare il lavoro: se si nutre meglio un detenuto, egli lavorerà di più e con maggior lena; il lavoro forzato e incentivato solo dalla propaganda non può che convincere i lavoratori ad evitare le fatiche con ogni pretesto, senza contare che una manodopera ben nutrita lavora di più e lavora meglio. Era necessario superare il semplice e inefficace stimolo ideologico in nome di un’economia che ammetta una giusta mercede del lavoro. È anche questa una conferma del sostegno alla politica delle riforme. 197 letame, e si toglie ad un certo punto la giacca esibendo il petto alla luce del sole e ricordando a noi un passo già citato di Tulao qinghua.174 Nel frattempo, Hai Xixi si limitava a guidare il carro menando la frusta, evidente simbolo fallico di predominio patriarcale. Tuttavia, Zhang trionfa e anzi sfida il carrettiere a fare un altro viaggio con il carro. La sua prodezza lavorativa, esibita davanti al capogruppo Xie e alle donne lo riempiono di orgoglio, tanto che si rende conto di avere dei muscoli, con i quali avrebbe potuto farsi strada nel mondo, senza più aver bisogno della cultura, che in quel posto non serviva molto. Si reca nuovamente da Ma Yinghua, sicuro di non dover più vergognarsi o sentirsi a disagio perché sa di essersi guadagnato il suo pasto. Tuttavia, c’è ancora qualcosa che non va: anche se è affamato non riesce a mangiare. Nel calore familiare di una casa abitata da madre e figlia, e nella quale il ruolo di padre si addice di più ad Hai Xixi, si sente fatalmente superfluo e ancora una volta senza radici. Preferisce perciò restare affamato, piuttosto che creare problemi agli altri. Il giorno successivo lo scontro con il rivale Hai Xixi peggiora: questi cerca di colpirlo con la sua frusta e Zhang risponde difendendosi con la forca e poi, provocato più volte davanti al pubblico delle donne al lavoro con parole offensive, inizia la zuffa fra i due. Furioso, Zhang attacca Hai con la forca e finisce per colpirlo con una pedata all’inguine, dritto nella sua mascolinità… È interessante poi che la rissa venga conclusa dai lavoratori che, dopo essersela risa, intervengono a difendere lo «studioso», mentre Ma Yinghua recupera la forca di Zhang, rimasta conficcata nel cumulo di letame e gliela restituisce come uno stendardo del trionfo. Lei stessa gli fa notare il suo petto nudo: nella lotta Hai gli aveva tolto tutti i bottoni. La sera stessa Zhang si reca come al solito a casa di Ma Yinghua per trovare il calore, la vicinanza emotiva e l’amore di cui aveva bisogno. Ora che la partita sembra vinta e il rivale sconfitto la donna può essere legittimamente sua, mentre Hai Xixi è ora l’intruso. Zhang ha dimostrato il suo valore come lavoratore e come maschio capace di reagire alle provocazioni e difendere il proprio onore. Sente ora di essere tornato alla normalità, al mondo degli uomini dopo esserne stato lontano;175 perfino i ricordi del passato sono ormai immersi nelle tenebre.

174 «而这时,我越干越有劲,倒不完全是为了向他应战,而是我欢快地感觉到了我青春的活力。我已经解开了我 棉袄的扣子,在十二月的暖融融的阳光下,敞开了我像手风琴键似的胸膛。» (Zhang 1995a, p. 94). «E in quel momento più lavoravo e più mi sentivo forte, e non era solo perché avevo accettato la sua sfida, ma perché percepivo con gioia la forza della mia giovinezza. Avevo già sbottonato la giacca e nel tiepido sole di dicembre esibivo il mio petto simile ad una fisarmonica». Come in Fuxi Fuxi di Liu Heng, dove molto spesso i personaggi maschili si crogiolano al sole, anche in questo caso immergersi nel sole, nell’elemento yang per eccellenza, riporta alla luce ed esalta la mascolinità del personaggio (Huot 1993, p. 90). Un altro elemento yang che spesso ritorna nelle storie dell’autore, ambientate nel paesaggio del nordovest, è il vento. 175 «这种意义只有我能体味得到。这就是人的正常生活的恢复;不是出世,而是又回到人的世界中来。» (Zhang 1995a, p. 106). «Questo significato potevo apprezzarlo solo io. Era il recupero della normalità della vita umana; non era una nascita, ma un ritorno al mondo degli uomini.» 198

La casa di Ma Yinghua, anzi, funziona proprio come luogo della normalità e del riconoscimento del suo agire come normale, come uomo normale. La prova postagli di fronte dall’ambiente circostante era stata superata e i lavoratori della zona lo avevano accettato come uno di loro: ecco cosa significa vivere insieme al popolo e condividerne il destino.176 Mimosa si prende cura di lui come una madre177 dopo la lotta e anzi chiude la porta perché Hai Xixi non si presenti; Zhang ora si sente finalmente a proprio agio nella sua casa e non si vergogna di essere servito. Questo però dimostra che è ancora per molti versi vittima degli istinti animali e che si trova quindi su una falsa pista verso la sua rinascita come intellettuale. Per ora è riuscito solo a guadagnarsi il rispetto degli abitanti della zona, e soprattutto l’amore e la considerazione di una donna della minoranza centrasiatica, per la quale uno “studioso” è solo qualcuno capace di raccontare storie e di suscitare la sua compassione, mentre solo un uomo in grado di faticare e di lottare e attaccare se colpito nella sua dignità maschile poteva conquistare il suo amore.178 Sebbene si senta infuso della «potenza maschile» 男性的激情 nanxing de jiqing e della rudezza delle steppe, come anche della spontaneità «rude e sfrenata» 粗犷不羁 cuguang buji del popolo delle steppe, i ricordi del suo passato e la sua sensibilità poetica lo rimandano inevitabilmente alla sua inguaribile natura “borghese”, che altro non è se non la cultura e i suoi effetti spirituali, che purtroppo – nonostante i suoi sinceri sforzi – gli impediscono di trovare un profondo contatto con il popolo dei lavoratori. Anche se l’amore che Mimosa esprime è molto più franco e appassionato di quello ideale che si era immaginato, la distanza fra sé e il popolo amorevole si può misurare nell’episodio successivo in cui Zhang cerca di baciare Mimosa, che invece si ritrae e gli suggerisce di non farsi del male e di tornare piuttosto ai suoi libri.179 Ecco che emerge allora un’altra fonte di alienazione, accanto a quella etnica, nei confronti del popolo che lo circonda, ed è quella sociale: i ricordi della vita precedente dell’autore ora appaiono coerenti con l’opinione

176 «农工们赞赏的笑声和谢队长开始放任、终而叱责海喜喜的态度,再好不过地说明了他们全体都认为结果应该 如此。我通过了这个环境对我的考核;他们,这种环境中成长起来的正常人,接纳了我成为他们行列中的一员。 » (Zhang 1995a, p. 106). «I lavoratori scoppiarono in una risata di apprezzamento e anche il caposquadra Xie inizialmente non interferiva, alla fine rimproverò l’atteggiamento di Hai Xixi, e gli spiegò bene che tutti loro ritenevano che il risultato dovesse essere quello. Superai l’esame postomi da quell’ambiente; loro, cresciuti in quell’ambiente, avevano accettato che diventassi un membro della loro comunità». Questa sensazione è poi rafforzata dall’affermazione di Ma Yinghua: «“你, 倒挺像咱们的人!”» «Ma tu assomigli davvero a noialtri!» intendendo in senso ampio i lavoratori, i contadini, i discendenti dei coloni provenienti da Samarcanda nell’Asia Centrale. 177 «表现出雌兽护仔的偏袒» «Mostrando l’inclinazione di una madre [femmina di animale] che protegge il cucciolo». 178 «对她来说,仅仅是个“念书人”,仅仅会说几个故事,至多只能引起她的怜悯和同情;那还必须能劳动,会劳 动,并且能以暴抗暴,用暴力手段来维护自己的尊严,才能赢得她的爱情。» (Zhang 1995a, p. 108). «Per lei ero solo qualcuno che “legge libri”, qualcuno che sapeva raccontare storie, al massimo potevo suscitare la sua compassione e tenerezza; per questo dovevo per forza saper lavorare, essere capace di lavorare, e combattere la iolenza con la violenza, difendere la mia dignità con mezzi violenti, solo così sarei riuscito a vincere il suo amore.» Interessante notare che il termine originale 尊严 zunyan «dignità» viene tradotto nella versione inglese del 1985 come «manhood» (Zhang 1985, p. 108). 179 «“行了,行了…… 你别干这个…… 干这个伤身子骨,你还是好好地念你的书吧!” » (Zhang 1995a, p. 113) «“Va bene, va bene… non farlo… ti faresti del male, continua a leggere i tuoi libri, va’!». 199 incancellabile del popolo nei confronti delle persone istruite, naturalmente considerate socialmente superiori. Nel suo tentativo di baciare Ma Yinghua, poi, lo stesso protagonista legge ancora l’istinto di prevaricazione e di sfruttamento della sua classe, oltre all’ipocrisia per essersi presentato inizialmente come un monaco mendicante; egli crede che, recuperando le forze, i suoi demoni siano nuovamente riemersi. Come uscirne, allora? La tentazione della preghiera e della via religiosa è forte, ma come può un materialista cedervi? Chi pregare? Il popolo che faticava ancora ad accettarlo pienamente? La divinità da invocare, ormai lo sappiamo, è ovviamente Marx, ma il percorso che lo conduce alla soluzione e alla spiegazione del perché lui e la Cina si trovino in tale situazione non è altrettanto facile per il protagonista, che dovrà compiere un viaggio iniziatico dalle tinte apertamente religiose e, considerando l’ambientazione degli altipiani del nordovest, è qualcosa di molto simile ad un’iniziazione sciamanica. In termini psicanalitici, inoltre, possiamo rintracciare in questo momento un’altra tappa della formazione del soggetto: dopo le pulsioni amorose rinate con il recupero delle sua forza fisica, adesso emergono le pulsioni di morte: la sua vergogna infatti lo spinge a desiderare di morire. Ironicamente si accorge di come prima, quando non aveva nulla da mangiare ed era addirittura uscito vivo da una pila di cadaveri, desiderava più di ogni altra cosa vivere; ora che era ben nutrito invece e poteva sperare di sopravvivere, emerge una meditazione più problematica attorno alla vita. Questo è il segno che la preoccupazione per la vita biologica è ormai superata e ora emerge una distanza dalla vita come semplice shengming 生命 che è la prova dell’emergere dell’esistenza, di una consapevole distanza di riflessione sulla propria vita che riesce a contemplare anche la sua fine con timore. Nel romanzo, anzi, la morte viene inscenata come un passaggio simbolico – come nei riti sciamanici o nei riti di passaggio – e in sogno Zhang si immagina ormai del tutto privo di corpo, una testa che vaga in una foresta buia (altro simbolo yin), nella quale ode le risposte alle sue domande sulla vita e sulla liberazione dalla sofferenza per raggiungere il paradiso (tiantang 天堂). La risposta che ottiene in sogno è «trascendere sé stesso» chaoyue ziji 超越自己 e per farlo occorre che si connetta con la «saggezza dell’umanità» renlei de zhihui lianxiqilai 人类的智慧联系起来 ascoltando il consiglio della donna, ossia leggendo i libri o meglio, il libro: Il Capitale. Rinasce così in lui la gioia di essere vivo e di poter creare, si immerge nella lettura e nella natura, accettando la sofferenza e il rimorso come forme della coscienza e parti dell’esperienza della vita. Ora, anziché recarsi da Mimosa, resta in camerata a leggere Marx, preferendo il cibo spirituale a quello materiale; ora il suo stomaco non interferisce più con la sua lettura e può apprezzare il senso del testo e la sua poesia. Le citazioni da Il Capitale presenti nel romanzo ora spiegano 200 anzi il passaggio compiuto dal protagonista: spiegando il concetto di valore di scambio, Marx dichiara che un oggetto deve attraversare un processo di transustanziazione, abbandonando la sua forma corporea per passare dalla necessità alla libertà; questo era in effetti ciò che Zhang Yonglin aveva vissuto e possiamo qui capire la critica marxista allo stesso regime maoista: le persone stesse erano trattate come merce, come oggetti. Nel deserto culturale e spirituale in cui si trovava Zhang non poteva avere coscienza di ciò; ora la lettura di Marx, filtrata dalla soggettività dell’autore e dall’intuizione dell’intellettuale, permette di ottenere un’interpretazione idealistica più che materialistica del testo e della realtà circostante. Si può anche avvertire una certa mise en abîme del romanzo, che è spesso un suggerimento di interpretazione del testo e una sua intensificazione: così come il romanzo sta parlando di sé stesso, anche il testo citato sta parlando del romanzo e del suo protagonista. Tale meccanismo lavora insieme all’ironia per sovvertire ciò che appare troppo solido e autoritario e permette quanto meno di prendere una certa distanza critica. Poiché Zhang fa notare che Il Capitale è una summa di ogni campo del sapere, che cita diffusamente Shakespeare e Sofocle come prove di come le merci diventano denaro, e siccome l’autore sta facendo lo stesso nel suo romanzo citando molte fonti colte, possiamo legittimamente immaginare che stia elogiando anche Lühua shu, associandolo al classico di Marx. Il romanzo appare così legato soprattutto alla sua realtà storica, alla ridefinizione del posto dell’intellettuale nella vita sociale del Paese e la sua relazione con le altri classi sociali, in particolare il proletariato, nei confronti del quale egli ha acquisito una maggiore consapevolezza e una maggiore umiltà, comprendendo sulla propria pelle la fatica di nutrire tutti; inoltre, cerca di parificare la produzione delle parole con la produzione del cibo, mettendole in una relazione di scambio fra loro. In questo caso, però, la produzione di parole è produzione letteraria libera, in cui anche le parole di Marx possono essere chiamate in causa per essere possibilmente rilette criticamente. Anche riguardo alla funzione della letteratura, Il Capitale diventa una guida: la funzione letteraria o poetica del testo, unita al pensiero, aumenta la sua funzione strumentale e quindi la bellezza diventa perfino una forza morale, capace di cambiare il modo di pensare delle persone.180 Questa funzione redentrice del pensiero ben espresso permette di convincere più efficacemente delle sessioni di critica e della vuota verbosità dei chierici. Zhang si sente deciso a rieducarsi e, per quanto si senta indietro nella sua riforma personale, i suoi compagni di prigionia lo sono ancora di più,

180 «[…] 语言文字是能够创造奇迹的。它们创造的奇迹是在人的心灵里。它们能把读者固有的思想击碎、分裂, 然后再重新排列组合。艺术会使人陶醉,思想也会使人陶醉。» (Zhang 1995a, p. 124). «La lingua e la scrittura sono un miracolo creativo. Il miracolo della creazione avviene nello spirito umano. Possono colpire e frantumare il pensiero interiore del lettore e poi ricomporlo di nuovo. L’arte può inebriare le persone, ma anche il pensiero può farlo». 201 interessati ancora soltanto al cibo, al riposo e al sesso. Il desiderio di trascendere sé stesso, poi, è accentuato dalla consapevolezza, tinta di vergogna, di essere inguaribilmente borghese: il suo desiderio della donna è la manifestazione della sua brama di possesso. Desiderando il corpo della donna rischia di stravolgere l’insegnamento maoista e di compromettere la sua rieducazione, oltre a rovinare il suo rapporto con il popolo. In questa fase della sua riforma attraverso il lavoro, Zhang cerca ancora di mostrarsi un alunno coscienzioso e si sforza di superare e sublimare i propri desideri individuali proseguendo da autodidatta la propria educazione socialista. Il realismo della narrazione resiste ancora alla deriva romantica riuscendo a controllare la tensione, sempre visibile e fonte di pathos, fra sublimazione e soddisfazione del desiderio. Nonostante i suoi impulsi siano tenuti sotto controllo, la loro forza è dichiarata proprio attraverso la preterizione con cui afferma di non volerli assecondare e tale forza viene ingigantita dalla loro interpretazione nell’epoca delle riforme. La stessa forma confessionale del romanzo, implicitamente denunciata come troppo simile alla scrittura delle confessioni obbligatorie all’interno del campo di lavoro, viene messa in discussione nella sua capacità di restituire la verità. Per questo siamo legittimati a dubitare dell’attendibilità di un narratore che potrebbe benissimo essere inaffidabile e «sinceramente ipocrita». Tuttavia, in questo caso il desiderio sessuale non è ancora del tutto al centro della soggettività del protagonista, ma è piuttosto il bisogno alimentare. Esso poi porta con sé, in maniera forse confusa dopo una lunga astinenza, una serie di altri desideri, fra cui quello sessuale, che però viene sublimato in nome della sua identità di intellettuale, che impone la rinuncia a tutti gli ostacoli verso la carriera ufficiale. Sebbene nei dettagli siano permessi alcuni dubbi, connaturati alla stessa rivelazione di un’anima messa a nudo, la sostanza della confessione, la sua verità universale e storicamente necessaria nel periodo della pubblicazione resta intatta: i desideri individuali sono insopprimibili e fanno parte della natura umana; nemmeno il regime più coercitivo e opprimente possono cancellarli o sostituirli. Rivedendo Mimosa, Zhang si accorge che per lei non era cambiato nulla e che non si sentiva in alcun modo imbarazzata per quanto era accaduto fra loro, anzi si domandava perché lui non andasse più da lei. Capendo di averla giudicata male, basandosi su idee preconcette e distinzioni troppo astratte e rigide, salvando comunque le categorie marxiste di status e di classe, le uniche vere ed efficaci per lui, ritorna a casa di Ma Yinghua per leggere il suo libro. Per lei era normale che un uomo leggesse e studiasse: suo nonno era stato uno “studioso” e quindi per lei è anche un ricordo d’infanzia. Zhang addirittura scrive che Ma Yinghua riteneva normale per una donna avere un uomo che studia accanto a sé e che le donne cinesi

202 per secoli hanno sempre avuto questa splendida fantasia.181 Contraddicendo quanto fino a poco prima l’autore riteneva la mascolinità ideale e preferibile per una donna, quella fisica, in questo passaggio riemerge uno stilema convenzionale della letteratura classica per cui la donna (secondo gli uomini) considera l’intellettuale, lo studioso, lo studente di belle speranze, come la scelta migliore di un partner. Possiamo immaginare che dopo la sua morte simbolica, Zhang Yonglin abbia accettato la sua identità di intellettuale e messo da parte il tentativo di somigliare ai rudi lavoratori del nord, incarnazione della mascolinità dello haohan. Ora che preferisce Marx a Ma Yinghua, lo spirito alla carne (in senso alimentare e sessuale), è capace di stare lontano dalla sua casa e ci torna solo perché lei insiste, ma emergono ora in lui desideri e ambizioni ben più grandi. Leggendo Marx scopre un altro passaggio che gli parla direttamente della sua stessa condizione: il lavoro è un processo nel quale uomo e natura collaborano: cambiando il mondo esterno l’uomo cambia la sua stessa natura e sviluppa i suoi poteri latenti. Forse con una certa forzatura, oppure per inconsapevole serendipità, ma più realisticamente per l’esigenza psicologica di spiegare a sé stesso perché “si trovava in quella condizione”, Il Capitale dà un senso agli anni di rieducazione. Il percorso di sofferenza per cambiare la Natura e la sua natura profonda fino a quel momento era stato del tutto inconsapevole e rozzo, privo di consapevolezza e animato solo dall’istinto di sopravvivenza; ora che ha ripreso lo studio può davvero prendere contatto con la saggezza dell’umanità e trascendere sé stesso. Considerando però la placida inconsapevolezza di Mimosa, inizia a pensare che fra di loro ci sia una distanza incolmabile e riemerge allora l’aristocratico distacco dell’intellettuale dai propri simili, siano essi i compagni di prigionia o i lavoratori della zona. Paradossalmente, la tenerezza fra i due aumenta proprio in questo momento e Zhang giunge anche a dirle che l’ama, sentendo al tempo stesso la distanza fra loro aumentare sempre più.182 La strada dell’imitazione del popolo non aveva funzionato per conquistare Ma Yinghua, poteva al massimo servire per assomigliare di più ad Hai Xixi, che però Ma considerava un buono a

181 «那容光焕发的脸,表明了她在这种气氛里得到了一种精神上的享受;她享受着一个女人的权利。后来,我才 渐渐感觉到,她把有一个男人在她旁边正正经经地念书,当作由童年时的印象形成的一个憧憬,一个美丽的梦, 也是中国妇女的一个古老的传统的幻想。» (Zhang 1995a, p. 132) «Il suo viso radioso e splendente dimostrava che in quell’ambiente aveva raggiunto un certo godimento spirituale, quello del privilegio di una donna. Solo in seguito mi resi pian piano conto che per lei avere accanto un uomo che leggeva libri con serietà era un’immagine degli anni d’infanzia di cui aveva nostalgia, un bel sogno, e un’atavica fantasia tradizionale delle donne cinesi». 182 «我既然已经成为正常人,既然已经续接上了过去的回忆,她这种爱情的方式和爱情的语言,就隐隐地令我觉 得别扭,觉得可笑。我虽然不愿意她发现我与她之间,有着她不可能拉齐的差距,但我却开始清醒地意识到了 这种差距。» (Zhang 1995a, p. 137) «Giacché ormai ero diventato una persona normale e avevo recuperato la memoria del passato, quel suo modo di amare e le sue parole d’amore mi facevano sentire in imbarazzo e mi sembravano ridicole. Sebbene non volessi che lei lo scoprisse, comincia a capire molto chiaramente che fra noi c’era un abisso incolmabile.». Questo è uno degli elementi che hanno fatto parlare di maschilismo del romanzo: ora che sembra possibile per Zhang poter amare Mimosa e che anche lei ricambi, è lui non ne vuol sapere perché sente di “valere di più” e pare quasi considerare con sufficienza l’attaccamento della donna nei suoi confronti. 203 nulla, preoccupato solo di riempirsi la pancia. Aggiungendo alla mascolinità del lavoratore il recupero della sua identità di intellettuale e di letterato, in versione marxista e non più confuciana, ecco che Zhang diventa, quanto meno nella rappresentazione, un partito ideale. Se poi procediamo alla metaforizzazione classica della donna come referente concreto del potere, del sovrano, della Cina, ecco che l’uomo di cui la patria ha bisogno è l’intellettuale illuminato e temprato dalle esperienze sul campo (in tutti i sensi), e non di un semplice lavoratore manuale. Questa insistenza sul concetto di alienazione non può essere casuale né secondaria in un romanzo che fa del messaggio marxiano il Vangelo con il quale superare il disagio psicologico dell’internamento e della vita in un ambiente estraneo.183 Hegel e soprattutto Marx, infatti, intendono l’alienazione come lo straniamento dalla propria originaria natura umana provocato dal processo di oggettivazione dell’economia capitalista. Il fatto che lo stesso straniamento fosse possibile anche in un Paese comunista – e questo romanzo ce ne fornisce la verità romanzesca – è davvero sovversivo. Il tentativo dell’autore è comunque di conciliare i due corni del dilemma nell’ottica della stessa logica congiuntiva, finalizzata cioè all’armonia degli opposti, che anima il marxismo e la stessa filosofia cinese e che aveva permesso il successo della dialettica hegeliana anche in Cina. Se nella mente del protagonista i concetti espressi da Marx non sono del tutto nuovi, perché li ha assorbiti vivendo in una famiglia borghese che parlava continuamente di denaro, di valore, di scambi e di merci, ora la sua digestione e metabolizzazione di Marx e del suo nutrimento intellettuale produce una Aufhebung, un «superamento conservatore», che dà vita ad un risultato del tutto diverso dal messaggio originale e dalla sua realizzazione concreta nella realtà. La sintesi finale, il nobile sterco filosofico della lettura personale è un nuovo modo di ragionare e di guardare al mondo: non la prospettiva maoista o comunista ma un’interpretazione libera e personale di ciò che Marx significa per il singolo. Il suo messaggio è così al tempo stesso una scatologia e un’escatologia. L’individuo e la sua soggettività è superata ma conservata nonostante il quadro ideologico marxiano venga ancora mantenuto come unico possibile orizzonte di senso. Anche in questo l’autore è davvero rivoluzionario: un Marx sottratto al clero, sottratto all’universalismo della sua chiesa e divenuto divinità personale. La dialettica marxiana quindi è lo strumento per fare fronte alle contraddizioni della realtà e per riprendere la propria identità di cinese, di uomo, di intellettuale e di maschio nel confronto con l’Altro: le

183 Ciò che Freud [1919] (2013) chiamava Das Unheimliche, «inquietante, sinistro» (Dizionario Tedesco-Italiano Paravia) ossia il «Perturbante». Letteralmente, in tedesco il termine indica ciò che è estraneo al proprio Heimat, ciò che non è familiare. 204 minoranze, la donna, il proletario, il maschio virile. Tutto ciò assomiglia molto ad una riforma protestante condotta eroicamente e segretamente da uno spirito ancora in grado di riflettere autonomamente; in questo forse Zhang Yonglin è l’ultimo della sua razza e solo al mondo. Anche per questo, non solo per la familiarità acquisita in casa con i termini economici, per l’autore non c’è nulla di oscuro nel libro di Marx.184 Zhang Yonglin, per quanto affamato, appare pian piano come un simbolico divoratore, onnivoro e imperterrito, che mangia tutto intorno a sé: la donna che lo sfama, Marx, la natura. Tuttavia, i tempi non sono ancora maturi per una tale bulimia e fallisce nella sua ansia di possesso: questa spinta è piuttosto degli anni in cui il libro si colloca e in cui vive il narratore, gli anni Ottanta, in cui gli intellettuali potevano finalmente celebrare il loro banchetto intellettuale, commerciale e anche corporeo nella più vasta festa delle riforme economiche. Anche in questo Zhang Xianliang fu un precursore di scrittori più giovani e anticipa le preoccupazioni stilistiche e tematiche di autori successivi. La compresenza della natura testuale del corpo come significante su cui viene incisa con violenza la storia, e la natura corporea del testo stesso, fatto di «segni che sollecitano interpretazione e inducono piacere nel lettore» (Choy 2008, p. 186), portano Choy alla definizione ulteriore di «gastrotext» allorché la violenza storica è rappresentata dalla fame. A questo punto la fame e il cibo, spesso i termini addirittura feticisti, diventano gli unici strumenti per raccontare e spiegare la storia, come in alcune opere di Mo Yan, Su Tong 苏童 (1963-) e Liu Heng Anche la scatologia, insieme alla fissazione alimentare, diventa un sostituto della libera espressione orale (Choy 2008) 185 e in questo caso gli escrementi rappresentano ad un tempo la degradazione subita e la condanna del passato ma anche la purificazione morale del soggetto. Mentre Zhang Yonglin continua a leggere il testo sacro, pian piano trascende sé stesso e il luogo che lo circonda, come il soggetto descritto da Marx trasforma la natura intorno a sé e dentro di sé. In termini marxiani la liberazione dal processo di oggettivazione, per quanto descritto da Marx, oltre che come una liberazione dalla società capitalista e dal suo sistema di produzione che divide le classi e le priva del prodotto del loro lavoro, anche come una liberazione da un Dio al quale l’uomo ha ceduto i propri poteri: per questo la liberazione del soggetto viene descritta in termini religiosi, come se si volesse tornare a dipendere da una divinità, per quanto secolare.

184 «[…] 马克思的书在我眼里就没有一点枯燥的晦涩的地方 » (Zhang 1995a, p. 139) «Il libro di Marx ai miei occhi non aveva alcunché di noioso o di oscuro». 185 Anche Choy fa riferimento all’impietosa analisi di Sun Longji, secondo il quale i maschi cinesi sono fermi alle fasi orale e anale e non riescono a raggiungere la fase fallica compiuta, restando pertanto degli uomini non sviluppati psicologicamente, troppo legati alla madre e desiderosi di tornare nel ventre materno (Choy 2008, p. 200). 205

Cibandosi delle parole di Marx a casa di Ma Yinghua, Zhang si allontana sempre più da colei che gli sta accanto, che invece resta sempre ferma nella sua “arretratezza”. Anche questa differenza, tuttavia, ci rimanda alla sintassi maoista con una nuova semantica: l’arretratezza di Ma Yinghua infatti può essere intesa anche come mancanza di consapevolezza politica e quindi di scarsa attrattività per l’eroe comunista, sempre votato alla costruzione del socialismo, della rivoluzione e della salvezza nazionale.186 Se però nella semantica maoista il popolo, anche se non istruito, era sempre portatore di una saggezza superiore e poteva sempre insegnare agli intellettuali, ora il messaggio è diverso: pur amando il popolo in astratto e volendo il suo benessere, l’intellettuale sa di meritare condizioni migliori e desidera un’anima affine con cui poter parlare. La differenza che si instaura e che riemerge, a sua volta, è un retaggio della tradizione della superiorità del modello intellettuale maschile wen sul quello puramente fisico wu, che consiste in questo momento nello scambiare l’erudizione confuciana con la consapevolezza politica comunista. Zhang Yonglin, molto vicino ai modelli classici, in questo caso riscopre la propria natura intellettuale e aristocratica e per lui trascendere sé stesso sembra a questo punto aver trasceso quel sé che gli era stato imposto dagli anni di vita nella Repubblica Popolare Cinese e soprattutto nei campi di lavoro. Ora che si ricorda di essere un intellettuale aumenta il suo senso di superiorità anche morale su Mimosa e quella che prima gli sembrava solo disinvoltura nei confronti dell’altro sesso da parte sua ora gli appare come un comportamento equivoco, e aumenta così il suo distacco da lei.187

186 Il romanzo Qingchun zhi ge di Yang Mo è l’esempio perfetto della coincidenza di virtù politiche e di virtù estetiche, e anzi della preminenza delle prime, nel dettare la scelta del compagno ideale. Anche questo, del resto, è un retaggio della tradizione della superiorità del modello intellettuale maschile wen sul quello puramente fisico wu, la differenza consiste nello scambiare l’erudizione confuciana con la consapevolezza politica comunista, anche non sostenuta dalla conoscenza specifica dei testi dottrinari. Anche Wang Yu (2006) dà conto di alcuni esempi in cui l’eroe comunista, che non è colto né istruito, riesce comunque a conquistare l’amore della donna perché dotato di un pensiero “progredito” (sixiang xianjin 思 想先进); nella Nuova epoca si avrà invece la rivalsa dell’intellettuale (Wang Yu 2006, p. 27). 187 […] 每天晚上我都在马缨花家里如饥似渴地汲取着这种精神的享受。然而,随着我“超越自己”,我也就超越 了我现在生存的这个几乎是蛮荒的沙漠边缘。[…] 但是,我知道她根本不会看出此刻我对她的心理状态。这种 心理状态连我自己都有点害怕。既然她还是一个未脱粗俗的女人,既然我又恢复了过去的记忆,而成为一个“知 识分子”,可是我现在又还受着她的恩惠,那么,我和她,目前是一种什么关系呢?[…] 她,当然不能说是芳汀、 玛格丽特、艾丝梅哈尔达这类我所熟悉的沦落风尘的女子的艺术形象,但是,那“美国饭店”一词总使我耿耿于 怀,总使我联想到杜牧、柳永一类仕途失意而寄迹青楼的“风流韵事”。[…] 我开始“超越自己”了,然而对她的感 情也开始变化了。这时,如歌德在《浮士德》里说的:“两个灵魂,唉!寓于我的胸中。”一方面,我在看马克 思的书,她要把我的思想观点转化到劳动者那方面去;一方面,过去的经历和知识总使我感到劳动者和我有差 距,我在精神境界上要比他(她)们优越,属于一个较高的层次。 (Zhang 1995a, pp. 139-140 passim). «[…] Ogni sera a casa di Ma Yinghua cercavo bramosamente questo genere di soddisfazione spirituale. Tuttavia, cercando di “trascendere me stesso”, al tempo stesso trascendevo quella terra desertica e quasi desolata in cui in quel momento lottavo per sopravvivere. […] Tuttavia, sapevo che lei stessa non intuiva il mio stato d’animo nei suoi confronti in quel momento. Perfino io aveva quasi timore della mia condizione psicologica. Dato che lei era una donna ancora non dirozzata, mentre io avevo recuperato il ricordo del mio passato, ed ero diventato un “intellettuale”, che tuttavia subiva i suoi favori, qual era il legame attuale fra noi? […] Lei sicuramente non si può dire che assomigliasse all’immagine letteraria di donne “cadute” come Fantine, Marguerite, Esmeralda, che mi erano tanto familiari, anzi, quell’espressione “Hotel Americano” mi metteva sempre a disagio e mi fave pensare piuttosto funzionari frustrati nella loro carriera ufficiale del genere di Du Mu e Liu Yong e al genere di storie d’amore ambientate nei bordelli. […] Avendo iniziato a “trascendere me stesso”, sentivo 206

Quello che ricompare è infatti il vecchio divario fra classi dirigenti detentrici del potere simbolico e i lavoratori, che rivela che la solidarietà fra intellettuali e lavoratori non poteva che essere passeggera e solo imposta dalla fame fisica. Il distacco dal padre (il partito, dispensatore unico della verità) nella liberazione dalla fame e nella scoperta di una verità più profonda, diventa ora un distacco dalla madre (dispensatrice del nutrimento ma non del sapere) che aveva permesso a Zhang di sopravvivere e rivoltarsi contro il padre e diventare adulto e indipendente. Ora Zhang sa che deve allontanarsi anche dalla madre, altrimenti rischia di restare bloccato in un mondo protetto e rassicurante ma avvilente spiritualmente e forse cerca dentro di sé di denigrare Ma Yinghua per giustificare il suo bisogno di lasciarla. Un altro timore che lo perseguita è il rischio di dipendere anche sentimentalmente da lei. A livello ideologico, il popolo è trattato in maniera tutt’altro che idealistica, come avveniva invece nella precedente propaganda maoista: se da un lato, per poter risultare più vera e credibile, la descrizione del popolo è volutamente più realistica, con tutte le contraddizioni e i difetti dei suoi rappresentanti, dall’altro questi ultimi riempiono delle caselle preconfezionate leggibili alla luce di una mentalità effettivamente più tradizionale: la donna si occupa del cibo e occupa uno spazio chiuso, quello tipicamente yin della casa; Hai Xixi è l’uomo rude e muscoloso, adatto al lavoro manuale, rappresentante di una mascolinità wu conservatasi nelle steppe e più adatta al contesto ma poi inevitabilmente sottomessa dalla predominante mascolinità wen, che vince anche nelle condizioni più inattese. In questo era stata la donna, naturalmente attratta dal maschio wen, a giocare il suo ruolo di adiutrice, allontanando al tempo stesso il maschio wu e segnando la vittoria dell’intellettuale. È ancora la donna la merce simbolica da contendere agli altri maschi per conquistare l’egemonia. In questa fase, però, diversamente dalle narrative del passato in cui era sempre il lavoratore, dotato di maggiore preparazione ideologica (anche se di minore cultura) a prevalere nello scambio simbolico dell’amore femminile, e quindi a prevalere sugli altri maschi, ecco che l’intellettuale riprende il sopravvento, anche grazie alla sua natura di genere, socialmente e fisicamente costruita. Alla riconquista della centralità sociale nell’epoca delle riforme corrisponde così anche nella rappresentazione una riappropriazione della superiorità della propria versione della mascolinità, arricchita dalle esperienze subite e da alcune formule ideologiche del passato maoista. Nella scelta da parte di una donna appartenente al

comunque mutare i miei sentimenti verso di lei. In quel momento, come dice Goethe nel Faust: “Due anime! Due anime convivono nel mio cuore.” Da un lato, mentre leggevo il libro di Marx, lei portava il mio modo di pensare dal lato dei lavoratori; dall’altro lato, le esperienze del passato e la conoscenza mi facevano capire che fra me e i lavoratori c’era una grande distanza: sul piano spirituale mi sarei elevato al di sopra di loro e sarei salito ad un livello superiore.» Ecco riemergere la speranza religiosa di un’assunzione in cielo. 207 proletariato, infatti, possiamo ancora leggere la sanzione del popolo, che sceglie ora come propri rappresentanti gli intellettuali, attribuendo loro un potere politico autonomo.188 Si può leggere questa storia, quindi, anche come reazione alla narrativa e alle narrative maoiste che idealizzavano il proletariato a spese degli intellettuali, che invece ora tornano al centro della scena, soprattutto considerando il contesto extratestuale delle Quattro Modernizzazioni. In un mondo preoccupato per i bisogni fondamentali come il cibo, il vestiario e il sesso, come nella visione confuciana, il protagonista è mosso principalmente dall’ambizione del wen. Per questo, come gli autori del passato, deve prima di tutto apprendere il «il sentimento, il desiderio» qing 情; inoltre, l’associazione tradizionale fra il qing e l’«immagine naturale» jing 境 è rispettata anche nel romanzo attraverso la contemplazione della natura e la personificazione della protagonista femminile come incarnazione della nazione. Perciò, attraverso la scoperta del qing e del jing per mezzo di Ma Yinghua, Zhang Yonglin è capace di ricevere il nuovo wen secolare de Il Capitale (Gunn 1991, p. 168). La vicenda di Zhang Yoglin continua e ci si avvicina ormai alla Festa di Primavera, tradizionalmente il momento più di ogni altro associato alla celebrazione del cibo e della famiglia. Quest’occasione non può che acuire il dolore del protagonista che, pur avendo ora a disposizione del cibo, lo gusta in privato, al chiuso, e non in maniera conviviale come gli altri suoi compagni di prigionia, i quali possono anche aspettare con trepidazione la possibilità di festeggiare in famiglia. Lui invece non ha una famiglia e si sente ancor più sradicato in questo momento; come dice l’adagio «Quando giungono le feste, si pensa doppiamente ai propri cari» Mei feng jiajie, bei si qin 每逢佳节倍思亲. Oltre a provare pena ripensando alla madre, l’unica persona che ancora lo sa in vita e che attende il suo ritorno, forse dentro di sé prova anche il senso di colpa, per aver goduto dell’assistenza alimentare di una donna generosa che gli ha fatto da madre mentre altri erano morti di fame, non tanto nei dintorni del campo in cui ora vive, ma soprattutto nella Cina del Grande Balzo e della grande carestia successiva. Anche per questo gli viene nuovamente la tentazione di sposare Mimosa e di mettere radici nella steppa e continuerà fino alla fine a vagheggiare questa

188 Se negli anni Cinquanta e Sessanta erano prevalenti le storie in cui una donna dotata di cultura si innamorava di operai o di contadini con poca istruzione ma sinceramente comunisti, nella Nuova epoca sono frequenti le storie in cui una donna di scarsa cultura si innamora di un intellettuale. Questo dualismo fra centralità dell’intellettuale e marginalità della donna incolta mette in scena la dialettica fra “civilizzato” e “ignorante” (wenming yu yumei de chongtu 文明与愚昧的冲突) che acquisisce spesso connotati di genere: il maschio è spesso un zhiqing inviato in campagna o un giovane tornato al villaggio natale dopo aver ricevuto un’istruzione altrove; le persone “ignoranti” invece sono quasi sempre giovani ragazze della campagna innocenti ma dotate di grande immaginazione che sentono il richiamo della modernità. Attraverso la storia d’amore, le giovani donne ottengono la salvezza nel mondo della modernità grazie all’illuminazione portata dagli intellettuali (maschi). Un esempio è dato da «Famiglie di Jiwowa» Jiwowa de renjia 鸡窝洼的人家 (1984) di Jia Pingwa (Wang Yu 2006, p. 28). 208 possibilità, mentre al tempo stesso sente quanto sia inutile e impossibile per lui condannarsi alla semplice sopravvivenza fisica accanto a lei, tornando consapevole di quanto grande sia la distanza fra loro. Il suo altalenare fra questi due desideri è provocato dallo smarrimento psicologico lasciatogli dalla fine delle preoccupazioni materiali: per lungo tempo non aveva pensato al suo futuro ma ora che aveva iniziato a riflettere e aveva aumentato la sua consapevolezza politica studiando il marxismo gli sembrava di avere iniziato una nuova vita e sentiva così di dover cercare ciò che il suo cuore desiderava.189 Il suo sradicamento e la sua orfanità parlano inoltre della sua mancanza di un padre e della condizione di un’intera generazione di giovani sottomessi all’autorità del partito e privati di modelli maschili affidabili. La sua solitudine di fronte a Mimosa aumenta anche perché, mentre lui si crea grandi dilemmi dentro di sé, lei invece sembra pensare solo al cibo: mentre lui si era “evoluto” emancipandosi dal bisogno alimentare, colei che meglio rappresenta il popolo resta sempre attaccata a quel pensiero, pur non avendo vissuto la carestia. Forse si era illuso di potersi immergere nello spirito e nella coscienza del popolo, nonostante il doveroso peana che gli rivolgerà nel finale. Era stato proprio il partito a spingerlo alla fame e quindi alla vicinanza con il popolo; ora che può trascendere questa realtà banale si sente destinato a qualcosa di meglio e si stacca dal popolo, di cui riconosce i meriti e per il quale prova affetto e sincera ammirazione; tuttavia, come il figlio istruito di umili genitori, sente con dispiacere di dover rinunciare all’affetto per i cari per inseguire i propri ideali e le proprie ambizioni. Il desiderio di riuscire a staccarsi da Mimosa, poi, lo porta a pensare anche che sia davvero una donna di facili costumi. Mimosa, la donna custode della casa e del cibo, è l’elemento statico della vicenda, colei che minaccia di bloccare il dinamismo delle figure maschili, non solo del protagonista ma anche del girovago Hai Xixi. In effetti questi, ormai amico di Zhang Yonglin, decide di andarsene, riconoscendo di non aver più nulla per cui restare, siccome Ma Yinghua sembra fatta apposta per Zhang. I due appaiono al carrettiere una coppia perfetta: una donna e uno studioso. La discussione con Hai sembra illuminante

189 «[…] 因为我一旦“和人类的智慧联系起来”,从马克思的书中得到了“顿悟”,我生命中就仿佛孕育出了一个新 的生命。这个生命顽强地要去追求一个愿望。愿望还不太明确,因为任何人,包括马克思,也没有把共产主义 社会描绘得很具体周详。这个愿望还只是要去追求光辉的那种愿望,要追求充实的生活以至去受更大的苦难的 愿望。 可是,我在她的施恩下生活,我却不能忍受了,我开始觉得这是我的耻辱,我甚至隐隐地觉得她的施舍玷污了 我为了一个光辉的愿望而受的苦行。于是,事情就到了这一步:不是断绝我和她这样的交往,就是结合成为夫 妻。» (Zhang 1995a, p. 144) «Poiché una volta ho tentato di “prendere contatto con la saggezza dell’umanità”, e aumentato la mia consapevolezza politica studiando il marxismo, mi sembrava di essermi imbarcato in una nuova vita. E questo mi spingeva a cercare ciò che desideravo. Tuttavia, che cosa fosse non lo sapevo chiaramente, poiché nessuno, nemmeno Marx, aveva descritto la società comunista in dettaglio. Quindi ciò che desideravo era solo una vita più ricca e più piena che comprendesse anche grandi difficoltà. Però non potevo più sopportare di vivere della sua generosità e iniziai a provare vergogna come se la sua carità viziasse il mio desiderio di luce e le difficoltà che dovevo sopportare. Pertanto, tutto si riduceva a questo punto: o rompevo la mia relazione con lei o saremmo diventati marito e moglie.» 209 anche a proposito del confronto fra necessità e libertà e della dialettica fra idealismo e materialismo e con una sfacciata ironia mette ancora una volta in discussione la realtà della rivelazione di un materialista: essa è sì una rivelazione ma ha ben poco di materialista, del resto i due termini «rivelazione»/«apocalisse» e «materialismo» sembrano fin da subito piuttosto contraddittori e alla fine uno dei due deve per forza prevalere sull’altro. Hai Xixi suppone che il libro letto ogni sera da Zhang fosse qualcosa di simile ad un Corano, mentre Zhang cerca di spiegargli che è un testo da cui si possono imparare le leggi dello sviluppo sociale, che non si possono trascendere ma che una volta comprese possono ridurre le sofferenze degli esseri umani; inoltre questo sviluppo sociale è come il tempo atmosferico: può essere previsto ma è inevitabile. Questa «inevitabilità» biranxing 必然性 viene interpretata da Hai come il volere di Allah, ma aggiunge che esiste anche la libera volontà del singolo. Questo spinge Zhang a riconoscere che, anche ammettendo il valore del materialismo marxista, anche lui aveva ancora la sua libertà di scelta, come tutti intorno a lui. Se allora il marxismo è corretto, perché stavano morendo di fame? Questo a causa «dei nostri errori», dice Zhang, ma sarebbe stato più corretto imputare gli errori di valutazione e di calcolo ai dirigenti, mentre gli errori “temporanei” del popolo non potevano deviare dal cammino corretto e dalla validità del marxismo. Alla fine Hai consiglia caldamente a Zhang di sposare Ma Yinghua, tanto di certo non poteva aspettarsi di partecipare agli esami imperiali né di essere reclutato da alcuno e quindi tutto il suo sapere in quelle condizioni era inutile. Tutta la scena, poi, si svolge con il sottofondo della macellazione degli ovini in preparazione per il Capodanno cinese. Sebbene non fosse un prigioniero, Hai Xixi deve andarsene di nascosto perché, essendo un lavoratore infaticabile, è fondamentale per completare i lavori e il capogruppo Xie vuole che torni indietro. Appena si accorgono della sua assenza, infatti, Xie invia degli uomini a cercarlo sotto la neve per convincerlo a tornare. Si tratta di un proforma, tanto sanno tutti che è ormai irreperibile. In questo modo, però, il narratore ha la possibilità di presentare meglio il capogruppo Xie, descritto come il rappresentante bonario e comprensivo del partito a livello locale. Anche lui però, guardato più a fondo, appare più complesso. Anch’egli, ad esempio, ragiona solo in termini alimentari, prova di quanto la carestia avesse condizionato non solo la struttura economica, ma anche la sovrastruttura ideologica del periodo e ancora per lungo tempo in seguito: quando assegna dei compiti per i detenuti promette sempre una contropartita in cibo e forse dimostra anche la posizione delle autorità, abituate a ottenere obbedienza e lavoro duro in cambio di poche calorie in più. Inoltre, anche Xie consiglia a Zhang di sposarsi con Mimosa, aggiungendo un’altra forzatura nella sua vita e

210 intromettendosi non solo nella sua vita privata ma anche nel suo stesso futuro. Tuttavia, gli permette di sperare, riconoscendo che le cose potrebbero cambiare e che quindi potrebbero avere un destino migliore in futuro. Il finale diventa una lunga ed enfatica celebrazione delle virtù del popolo, dei lavoratori che lo hanno aiutato, assistito, ispirato. Per quanto si studino i classici del marxismo, solo la vita insieme al popolo può suscitare un sincero amore per il popolo e produrre dei veri marxisti. Questi diamanti grezzi, i lavoratori reali, non esistono in astratto, esistono solo nella realtà e sono ben più complicati, con i loro pregi e difetti, delle figure ideali che vengono usate dalla propaganda. Tuttavia, ancora viene data una rappresentazione molto ironica di come sia impossibile per Zhang comunicare e sentirsi a proprio agio con Mimosa, che sembra sempre far precipitare le fantasie romantiche del protagonista nella più bassa venalità: la donna angelicata diventa fin troppo umana e, come Marx nell’ambito politico, rappresenta l’oscillazione fra l’ideale e il reale, fra idealismo e materialismo, fra aspirazione e contingenza. Lei non sembra intenzionata a sposarlo, anche perché le preoccupazioni della vita matrimoniale segnerebbero la fine del suo studio e dovrebbe lavorare duramente tutto il giorno per mandare avanti una casa. Allora, sempre imbevuto di romanticismo, Zhang crede che sia per senso di sacrificio che lei non voglia sposarlo e che lo faccia per il suo bene, dando ancora una prova della superiorità morale del popolo, mentre lui non era riuscito a capirla perché non si era mai sacrificato per nessuno. Crede perfino che il suo desiderio di trascendere il proprio io fosse dettato da ragioni egoistiche. Ora la amava davvero e non era più semplice gratitudine. Le parole che l’autore mette in bocca a Ma Yinghua sembrano molto artefatte e, oltre a prestarsi a interpretazioni maschiliste, hanno anche un valore politico: Ma Yinghua infatti lo invita a non essere come gli altri uomini, che non vanno da nessuna parte, lui deve studiare; fintanto che lui studierà, a lei non importa di lavorare duramente per lui. Se si sposassero, però, lei non riceverebbe più tante provviste in regalo da altri uomini. Le parole di Ma Yinghua, se da un lato sembrano quelle di una madre più che di una compagna, appaiono come il riconoscimento e la sanzione della superiorità dell’intellettuale, ricevuta direttamente dalla portavoce del popolo, che così riconferma il valore tradizionalmente attribuito ai letterati come loro rappresentanti, nella convinzione tutta confuciana che opereranno certamente per il bene comune. Ovviamente anche Zhang dentro di sé è d’accordo con Ma Yinghua: studiare era la sua vocazione, anche se il suo orgoglio maschile gli impedisce di dipendere dal lavoro di una donna e ancor meno dal fascino di una donna per vivere. Nonostante tutti nei paraggi rubassero o ricorressero a trucchi per riempirsi lo stomaco e quindi non esistesse più un

211 solido codice morale, Zhang non vuole continuare a vivere con lei in quei termini: avrebbe perso ogni «amor proprio maschile» nanren de zunyan 男人的尊严. L’insistenza di Zhang nel voler sposare Ma Yinghua sembra piuttosto l’obbedienza ad un’autorità, quella delle figure maschili che gli avevano consigliato di farlo (Hai Xixi e il capogruppo Xie): è quello che loro avrebbero fatto e per aderire al modello che loro gli offrivano. Anche Zhang sembra desiderarlo ma questo dimostra ancora la sua immaturità e una sorta di bovarismo politicamente indotto: dopo anni senza poter scegliere nulla per sé non riesce a prendere una decisione se non in base a principî morali astratti dalla situazione e una sensibilità puramente letteraria. La sua idea di matrimonio allora si scontra ironicamente con la praticità di Mimosa, che di fronte alla di lui insistenza gli dice di prenderla lì, in quel momento, dato che sembrava tanto smanioso. Dentro di sé sente di provare un amore puro e le dice che è meglio aspettare il matrimonio. Gli eventi però iniziano a precipitare e la redenzione che sperava di raggiungere attraverso il testo sacro e la donna-angelo fallisce. Denunciato da un compagno della brigata – probabilmente il “Capo” – a causa della fuga di Hai Xixi, di cui Zhang sembrava molto amico, viene inviato in una zona ai piedi delle colline in cui il lavoro era talmente duro da far parlare ai detenuti di una «Porta dell’Inferno» gui men guan 鬼门关. Dal Purgatorio, quindi, finisce all’Inferno ancora una volta perché le autorità avevano deciso di aggiungere il suo nome alla lista dei prigionieri da trasferire. Tuttavia, Zhang non è già più la stessa persona: ora che si era rimesso in salute grazie a Mimosa e che aveva imparato i fondamenti del marxismo poteva affrontare ogni situazione si trovasse di fronte. In quella nuova squadra di lavoro non poteva incontrare nessuno e quindi, sebbene Mimosa fosse andata a trovarlo, non poté rivederla mai più, anche perché in seguito sarà ancora condannato e trasferito più volte.190 La politica, quindi, si intromette ancora una volta nella sua vita impedendogli di realizzare un desiderio tanto tormentoso, quello di sposare Ma Yinghua. Si può rintracciare ancora un altro esempio di ironia, sempre di tipo testuale: anche se si tratta della rivelazione di un materialista e della nascita di un uomo nuovo, un proletario educato al lavoro e all’azione, in realtà nel testo appare ben poca azione. Tutto il romanzo è

190 Sempre a proposito dell’atmosfera religiosa del testo, quando parla della prigione delle fattorie in cui finirà nel 1970, dice che assomigliava all’Inquisizione Romana. «[…] 一九七○年,我被投进农场私设的监狱。那种监狱,不属于公 安机关管辖,没有一条现代监狱的规章,纯粹是中文版的罗马宗教裁判所。» (Zhang 1995a, p. 175). «Nel 1970, finii nelle prigioni delle fattorie: quel genere di carcere non dipende dagli apparati di sicurezza né è gestita secondo le regole di una prigione moderna, è semplicemente l’edizione cinese dell’Inquisizione Romana.» Perry Link (2000, n. 137, p. 54) ricorda le parole di Liu Zaifu, che in una conferenza del 1986 aveva esaltato la visione morale di Tolstoj e di Dostoevky, i quali esprimevano i concetti di peccato e di pentimento presenti nella cultura russa: secondo Liu la cultura cinese non contemplava questi concetti ma avrebbe dovuto coltivarli per poter fare i conti con una catastrofe morale quale la Rivoluzione Culturale. 212 occupato dal flusso delle riflessioni dell’autore e l’uso della prima persona contraddice l’oggettivismo che ci si aspetterebbe da un convinto converso al marxismo. Le vicende infatti coprono solo pochi giorni, ma la vita interiore del protagonista riempie quasi tutto il racconto, conferendo importanza suprema ad un soggettivismo che già di per sé rappresenta il superamento del realismo maoista. Quando Zhang è costretto a lasciare Mimosa, ecco che gli eventi riprendono a correre a velocità sempre più elevata, e in un solo capitolo passano di colpo dieci anni. Nell’ultimo capitolo Zhang Yonglin/Zhang Xianliang ci parla dal 1983 e rivela di aver tentato di rintracciare in seguito Mimosa, senza successo. Il passato è ancora molto doloroso ma va conservato e recuperato: la sua esperienza era servita a fare di lui un uomo nuovo e ad iniziare una nuova vita: conoscendo da vicino i lavoratori era riuscito ad innescare una vera rieducazione dentro di sé, una riforma che aveva i contorni di una conversione religiosa. Nella tragica penuria culturale degli anni della Rivoluzione Culturale, durante la quale era impedito agli “elementi di destra” perfino di leggere le opere di Mao, mentre era assegnato ad una scuola elementare per costruire una stufa, Zhang lesse in un’enciclopedia la definizione di «Mimosa» (mayinghua 马缨花): è una pianta curativa, un rimedio naturale ad una serie di problemi fisici e psicologici, ha anche un nome alternativo, ossia lühuashu 绿化 树, ed è capace di resistere all’espansione del deserto. Ovviamente si rivela qui la natura metaforica della pianta e della persona: lavoratori indefessi, generosi e amorevoli come la protagonista femminile rappresentano una barriera contro la desertificazione morale, sentimentale e anche materiale della Cina. Un altro nome della pianta, quello più comune, poi, è hehuanhua 合欢花, termine più figurativo (si basa sulla congiunzione dei due lati delle foglie durante la notte), che rimanda anche al senso dell’unione sessuale e al desiderio carnale. Tuttavia, come ne «Il nome della rosa» (1981), anche a Zhang ormai non resta più che «il nome della mimosa».191 La stessa mescolanza e sovrapposizione del tema della fame fisica e della fame spirituale ritorna nel periodo postmaoista, quando il ricordo del passato viene filtrato attraverso il dolore provocato dalla coesistenza della penuria alimentare e di quella culturale. Soddisfatta nell’immediato la fame fisica, quella spirituale sarà molto più difficile da spegnere. La fame

191 Da notare che l’autore che prima di Zhang Xianliang ha utilizzato in un racconto la mimosa come simbolo di redenzione personale, in questo caso però privo di ogni addentellato collettivista, senza cioè legare la salvezza personale alla salvezza della patria, è Yu Dafu in «Quando sboccia la mimosa» Mayinghua kai de shihou 马缨花开的时候 (1932). Nella novella un malato di itterizia viene curato in un ospedale di Shanghai da un’amorevole infermiera che è la sua sola compagnia, finché non viene trasferita in un ospedale di Hong Kong. Il personaggio appare come disperatamente bisognoso di amore, di amicizia e di cure. Senza fare appello ad alcuna soluzione “collettiva” quali il nazionalismo, la tradizione o la religione, il protagonista trova conforto solo nelle poesie di Baudelaire (Lu 2007a, p. 42-44). 213 di Zhang Yonglin ricorda quella di Guo Su’E nel romanzo di Lu Ling 路翎 (1923-1994), «L’affamata Guo Su’E» Ji’e de Guo Su’E 饥饿的郭素娥 (1943), in cui l’autore rappresenta la «forza primitiva del popolo e la liberazione attiva della personalità» (Hu Feng, citato in Wang 2004, p. 120) e anche nel caso di Mimosa, essa esprime gli istinti primordiali ritrovati nella vita delle frontiere per la «Ricerca delle radici». Guo Su’E è condotta dal desiderio di soddisfare la carenza affettiva nella sua vita a placare una serie di brame che comprendono, oltre alla pienezza alimentare, anche la pulsione sessuale; tuttavia, anche lei è ancora incapace di dirigere coscientemente i propri desideri e di capirne la portata o la necessità e questo la spinge a manifestare dei comportamenti considerati devianti e psicotici. Vittima di ogni stimolo esterno, nella temporanea soddisfazione dei suoi impulsi trova solo il vuoto ed è ancora incapace di far proprio il messaggio maoista del nutrimento spirituale. Anche dal punto di vista linguistico le somiglianze con l’opera di Lu Ling sono molte: come nota Wang (2004), «il linguaggio del desiderio trova la sua espressione preliminare nel desiderio del linguaggio»: la ricchezza verbale e retorica della narrativa di Lu Ling rende metaforicamente, attraverso il mezzo linguistico, la difficile soddisfazione di una ricerca del significato, che assomiglia ad una fame inestinguibile. Anche in Zhang Xianliang la sovrabbondanza retorica e stilistica, unita all’esibizione della propria cultura (letteraria, geografica, musicale ecc.) esprimono correlativamente l’eccesso di significanti, che però difficilmente riescono a controbilanciare la penuria materiale e di significato. Molte delle opere degli anni Ottanta, anche senza toccare volutamente il tema del ricordo della fame storica sopportata negli anni precedenti, sono intrise del fantasma della fame, come anche l’inconscio collettivo cinese. Per fare solo un esempio, nell’opera di Mo Yan si nota la celebrazione dell’abbondanza, della vitalità originaria e di una terra che offre nutrimento, dalla predominanza del corporeo e del materiale. Molte delle sue opere sono attraversate dal tema del nutrimento ma, diversamente da Zhang Xianliang in cui il cibo ricopre ancora un valore metaforico, la ricorrenza quasi ossessiva e carnascialesca del tema alimentare in Mo Yan è molto concreta e contrasta con l’idea di una spiritualità superiore, fino all’incontro fra umano e bestiale, e contro ogni potere repressivo (Zhang Yinde 2003). Un esempio della sua attenzione a questo tema è «Carota trasparente» Touming de hong luobo 透明的红萝卜 (1986), una sorta di Cuccagna, un’utopia popolare e infantile che di per sé è già una parodia delle costruzioni utopiche, millenaristiche o politiche, in questo caso creata da un ragazzo per sfuggire ad una realtà fatta di fame e difficoltà (Riemenschnitter 2008, p.184). Come dicevamo, la fame non è soltanto un tema storico che molti autori sentono la responsabilità di trattare, ma è un altro argomento per riportare al centro della riflessione la 214 soggettività del personaggio e dell’autore. La controprova di ciò è data dal contrario del desiderio alimentare, ossia il rifiuto del cibo, il digiuno e l’anoressia. Manfred M. Fichter (1987) sostiene che la stessa anorexia nervosa (il genere di anoressia patologica distinta dall’anorexia mirabilis, quella più precisamente ascetica e religiosa) che Kafka rappresenta nel racconto «Un artista della fame» Ein Hungerkünstler (1922, tradotto anche come «Un digiunatore») e di cui egli stesso sembrava affetto, è una forma di annullamento del soggetto e della soggettività, un annichilimento della propria identità che prelude all’età del modernismo. 192 Facendo il percorso contrario, Zhang Xianliang riafferma il valore del realismo, del soggetto individuale, dei suoi bisogni e desideri, della sua importanza e della sua insopprimibile presenza nella letteratura cinese.

192 Dedito anima e corpo alla scrittura, Kafka si negava sistematicamente ogni altro piacere materiale, anche nel tentativo di diventare mascolino, forte e duro come il padre, dimostrando un’invincibile forza d’animo, e paradossalmente vinse la battaglia contro il padre con la forza dimostrata per diventare debole (Fichter 1987, p. 371). La negazione di sé e la fame autoimposta diventano così esperienze di molti suoi personaggi, fra cui anche Gregor Samsa ne «La metamorfosi» Die Verwandlung (1915): «The common theme of The Metamorphosis and The Hunger Artist is that of “the craving for unknown nourishment”.» (2003, p. 372). Un’altra opera accomunata alle altre due già citate è «Indagini di un cane» Forschungen eines Hundes (1922), che consiste in un esperimento di digiuno. La stessa scrittura era per Kafka causata da ragioni masochistiche, prodotte da un conflitto edipico e da un legame non risolto con la madre. Altri studi hanno provato un disordine narcisistico e una frammentazione del sé nell’autore, che reprimeva in sé anche il desiderio sessuale attraverso la sublimazione: i suoi digiuni e il suo ridotto peso corporeo servivano anche a ridurre la pulsione sessuale (Fichter 1987, p. 375). 215

216

4.2. «METÀ DELL’UOMO È DONNA» NANREN DE YIBAN SHI NÜREN 男人的一 半是女人

Nanren de yiban shi nüren è sicuramente il romanzo più controverso dell’autore, quello che meglio riassume i suoi interessi tematici e quindi le sue preoccupazioni relativamente all’identità di genere, al rapporto fra questa e l’identità politica e il progetto di ricostruzione del soggetto nell’epoca postmaoista. Il protagonista è sempre Zhang Yonglin, ancora prigioniero del sistema di riforma attraverso il lavoro. In questo romanzo vengono descritte le sue vicende fra il 1966 e il 1976. Come l’autore, egli ebbe la sfortuna di essere dichiarato prima «elemento di destra» e poi anche «controrivoluzionario» durante la Rivoluzione Culturale. Il romanzo è diviso in cinque parti, anche se la vicenda amorosa che costituisce il nucleo del romanzo si può dividere in due fasi: nella prima, fra il 1966 e il 1967, Zhang Yonglin è rinchiuso in un laogai nel Ningxia, dove incontra per la prima volta Huang Xiangjiu, una detenuta imprigionata per «relazioni illecite con gli uomini». In una scena Zhang ha la fortuna di poter osservare di nascosto la donna, che ancora non conosce, mentre si fa il bagno in uno stagno. La visione scatena una ridda di emozioni nel suo animo, fra queste anche e soprattutto la paura di essere visto e denunciato da lei e di essere perciò punito per la sua impudicizia. La seconda fase, che si colloca storicamente nel 1975, è ambientata otto anni più tardi: il protagonista vive nuovamente in uno stato di semilibertà ai margini del campo e lavora nelle fattorie della zona. Incontra nuovamente Huang Xiangjiu con la quale intrattiene una relazione che infine diventa matrimonio. Diversamente da Zhang Yonglin, però, lei è già stata sposata due volte ed è molto più esperta in materia di amore e di sesso. In questo lei appare in molti aspetti superiore a lui: prima di tutto perché non è colpevole di reati politici, quindi nella situazione del momento è relativamente più libera legalmente; poi perché è esperta nell’ambito sessuale, in cui il protagonista non ha alcuna esperienza, e poi perché in quanto donna non perde la sua identità femminile, che viene implicitamente essenzializzata. Mentre l’uomo, e in particolare l’intellettuale ha bisogno del riconoscimento sociale per fondare la propria identità maschile, la donna, soprattutto attraverso il sesso, viene spesso definita come naturalmente femminile.193 Sarà proprio sul sesso, però, che si combatterà la lotta per il riconoscimento da parte del protagonista.

193 «原来就是女人, 女 “坏分子” 也是女人» (Zhang 2008, p. 17). «Alla fine è proprio una donna, un “cattivo elemento donna è pur sempre una donna». Implicitamente, l’uomo, una volta definito “cattivo elemento” perde la propria definizione di maschio. L’essenzializzazione dei ruoli di genere sembra ricondurre alla posizione di Shen (1992) che interpreta la produzione di Zhang Xianliang come un ritorno all’opposizione maschio/femmina nei termini di una dialettica fra mente e 217

La stessa notte delle nozze Zhang, incapace di consumare l’atto sessuale, scopre di essere divenuto impotente e dà la colpa alla repressione subita, che ha soppresso le sue pulsioni sessuali e la sua stessa mascolinità. Oltre a ciò, la moglie non gli risparmia il suo disprezzo per la sua inadeguatezza maschile e lo considera ormai un “mezzo uomo”. La donna, diversamente da Ma Yinghua nel romanzo precedente, è molto più disinibita e libera sessualmente e tradisce il marito impotente con il locale segretario di partito, Cao Xueyi.194 Non sfugga a questo punto la natura del rapporto fra il detenuto Zhang e il rappresentante del partito, non solo a livello di potenza maschile ma anche di potere politico: inizia a delinearsi anche per il protagonista l’origine della propria privazione di power-potency. L’allontanamento dal potere e l’incapacità di esprimere il proprio potenziale come intellettuale, combinato con gli effetti psicologici della cattività e dell’oppressione nel campo di prigionia avevano di fatto condizionato l’autodefinizione di sé da parte di Zhang e sminuito pesantemente la sua identità di uomo di lettere e di uomo tout court. La privazione del suo ruolo di marito è un’ulteriore ferita al suo orgoglio maschile e un passo avanti nella demolizione della sua mascolinità. Come ha notato Hanna Bøje Nielsen (1999) nel suo discorso relativo al film «L’aquilone blu» Lan fengzheng 蓝风筝 (1993) del regista Tian Zhuangzhuang 田壮壮 (1952-), l’usurpazione letterale e metaforica della figura paterna del protagonista da parte del partito e la sua sostituzione simbolica con il ritratto di Mao e con l’assistenza e la protezione fornita dal partito conduce inevitabilmente alla perdita di riferimenti maschili e quindi ad una relativa perdita di virilità del protagonista. La sua famiglia infatti è privata per tre volte della guida di un padre, in assenza del quale è solo il partito a comandare: non solo i padri ma tutte le figure maschili sono costrette a rinunciare alla loro indipendenza e alla loro autonomia per obbedire al partito.195 Nel film anche le figure più mascoline sono pian piano sottomesse all’iniziativa del partito e quindi perdono il proprio carattere maschile, proprio

corpo, fra cultura e natura: l’uomo rappresenta il mondo delle idee mentre quello femminile è il regno della necessità materiale. 194 In questo modo si possono vedere le conseguenze dell’essenzializzazione dei caratteri attribuiti ai due poli della diade yin/yang: se la donna yin non è debole e passiva ma si mostra attiva e capace di prendere l’iniziativa dimostra un comportamento deviante dalla norma (Chan 2008, p. 321). In questo caso Huang Xiangjiu rappresenta lo yin anche nella sua pericolosità e oscurità: il disordine, l’eccesso, la passione sconvolgente sono attributi riassunti nel termin quasi omofono yin 淫, che utilizza infatti il radicale dell’acqua, elemento yin per eccellenza (Santangelo 2009, p. 39). 195 È interessante notare come anche nel romanzo di Hong Ying 虹影 (1962-) «La figlia della fame» Ji’e de nü’er 饥饿的 女儿 (1997), che racconta la vita della madre durante il Grande Balzo in Avanti e i suoi propri ricordi, la protagonista – ossia la stessa autrice – confessa di essere stata tradita dai suoi tre padri: il suo padre naturale, il padre adottivo e il professore che fu per un periodo il suo amante prima di suicidarsi. Nell’interpretazione di Wang (2004) Hong Ying era spinta da una fame profonda: stanca del cibo spirituale rivoluzionario, ambiva ad un «genere di cibo ben più sensuale: un pasto completo, l’amore, il sesso. […] Sia in senso letterale che simbolico, la fame incarna la sua esperienza del diventare donna» (p. 146). Anche nel caso di Zhang Xianliang, come abbiamo visto per il suo romanzo Lühua shu, la fame rappresenta il primo passo per la consapevolezza della propria esistenza fisica ed emotiva. 218 con il fine di privare le famiglie di una guida e una protezione: non a caso nel film la madre del protagonista rappresenta la società. In questo modo il controllo del partito sulla società è immediato e somiglia al potere che il patriarca esercitava tradizionalmente nella famiglia. Lo stesso trauma è quello vissuto da Cong Weixi e raccontato in «Verso il caos» Zou xiang hundun 走向混沌 (1989): la separazione dalla moglie, dalla madre e dal figlio e la distruzione dell’armonia familiare si tradusse per il protagonista nell’incapacità di svolgere il suo tradizionale ruolo di marito, padre e figlio; così anche Zhang Xianliang, separato dalla madre e dalla sorella, smette all’improvviso di essere la figura maschile e il breadwinner della famiglia (Williams, Wu 2004, p. 164). La devastazione dei legami familiari toglie di mezzo ogni possibile resistenza al potere del partito e replica in forme e modalità diverse un potere che nella tradizione era indiscusso, riproponendo un patriarcato simbolico e fingendo di aver abbattuto e superato quello concreto. Ovviamente, questa perdita di riferimenti morali e di un modello maschile da imitare porta gravi disastri nel film di Tian Zhuangzhuang, dove i giovani sono spinti a nutrire una rabbia e una confusione interiore che si trasformano in violenza e vendetta quando diventano Guardie Rosse. I giovani imparano a comportarsi nella società dalla loro figura paterna surrogata, ossia il Partito, e riproducono la stessa violenza che avevano visto esercitare dai suoi rappresentanti, colpendo soprattutto le figure che incarnavano l’autorità morale e intellettuale, ossia gli insegnanti o i capi di partito caduti in disgrazia. Per Tian Zhuangzhuang e per altri appartenenti alla generazione delle Guardie Rosse, l’oppressione paterna era demolita dallo stesso potere concesso alla gioventù dalla figura alternativa del Padre, ossia Mao, che determinava il senso della storia. Con il film, come anche con le opere d’arte di altri membri della stessa generazione, si cercava di ricostruire la memoria e di realizzare un recupero della propria autonomia soggettiva e del proprio ordine interiore, pur sottoponendosi volontariamente e dolorosamente alla rievocazione dei traumi subiti (Zhang Xudong 2003, p. 637).196 Tornando a Zhang Xianliang, vediamo anche in questo caso l’intervento di una figura politica, Cao Xueyi, che rappresenta il Partito e che contribuisce in prima persona e non solo come ingranaggio di un sistema repressivo più vasto nel colpire l’origine di una possibile opposizione al potere patriarcale del Partito, ossia la coscienza della propria identità maschile, oltre che l’autostima dell’intellettuale. Depresso e abbattuto dalla sua impotenza e

196 Oltre alla «Ricerca dei veri uomini», nella letteratura della Nuova Epoca è presente spesso anche una «Ricerca dei padri» Xunfu 寻父. Ad esempio, in «Fiumi del Nord» Beifang de he 北方的河 (1987) di Zhang Chengzhi 张承志 (1948-) il Fiume Giallo viene descritto come un padre dal protagonista e non più come la madre della nazione. Il romanzo segna l’inizio della ricerca di padri simbolici della tradizione nazionale nel’ambito della «Ricerca delle radici» (Wang Yu 2006, p. 26). 219 dal tradimento della moglie con Cao, Zhang intrattiene nella sua immaginazione delle lunghe discussioni filosofiche con alcuni personaggi storici e di fantasia, presi dalla storia cinese e dalla letteratura occidentale, che rappresentano a livello simbolico alcune possibili soluzioni alla propria tragica e disperata condizione e che fanno slittare il realismo della narrazione verso il realismo magico. Queste figure sono Marx, Otello, Zhuangzi, Song Jiang. Inoltre, un altro animale simbolico con il quale intrattiene un dialogo molto profondo e illuminante è un cavallo castrato con cui l’intellettuale paralizzato e umiliato si identifica. L’animale castrato rappresenta una sorta di correlato oggettivo o di metafora della condizione esistenziale del singolo e della classe intellettuale durante gli anni del maoismo. La situazione politica sta cambiando: nel partito sono in corso dei cambiamenti che preludono alla fine del dominio dell’estrema sinistra e all’avvento di una dirigenza più concreta e pragmatica e il protagonista sente che forse nella sua vita avrà ancora la possibilità di essere richiamato al cospetto del potere ed essere impiegato al servizio della nazione. Decide quindi di riprendere i suoi studi e le sue riflessioni politiche, che scrive in un diario. Nel frattempo, inoltre, in occasione di un’inondazione, riesce anche ad evitare che i campi vengano allagati salvando quasi da solo i raccolti e gli abitanti: l’abilità di domare le acque con il suo coraggio, la sua intelligenza e la sua preparazione fisica (era l’unico a saper nuotare) gli ridonano la fiducia in sé e gli fanno conquistare l’ammirazione della moglie che gli si concede la notte stessa: superando tutti i suoi complessi, in quell’occasione il protagonista riesce a vincere l’impotenza e a fare l’amore con Huang Xiangjiu. In questo modo, lei lo rende nuovamente un uomo completo. Questo sembra confermare la visione di Judith Butler (1996) in base alla quale il corpo della donna è un terreno di conquista e che, in base ad un’ontologia riduzionista ed essenzialista fondata soprattutto sul linguaggio, la donna viene ridotta soltanto ad un utero e in particolare nella morale confuciana deve rispettare i ruoli linguisticamente e socialmente definiti di figlia, moglie e madre. La situazione politica cambia nuovamente con la morte di Zhou Enlai e sembra che gli estremisti di sinistra possano riprendere il sopravvento. Nel frattempo, anche il rapporto con la moglie peggiora sempre più, fra litigi in cui si lanciano reciprocamente accuse e contumelie. Alla fine Zhang divorzia dalla moglie e decide di andarsene per seguire il proprio destino e realizzare le proprie ambizioni politiche. Il ruolo giocato da Huang Xiangjiu, un’altra donna abbandonata dall’intellettuale, ha fatto pensare ad alcuni critici, soprattutto quelli che adottano una prospettiva relativamente

220 femminista, ad un messaggio reazionario e maschilista nel romanzo (Zhou 2006). 197 Secondo me invece è evidente che la separazione è la dimostrazione di una dedizione ben più grandiosa e ambiziosa da parte del protagonista ed è effettivamente la dimostrazione della sua capacità di sacrificarsi: egli rinuncia all’amore, alla sicurezza domestica e alla soddisfazione delle sue necessità e dei suoi piaceri in nome della sua profonda vocazione alla realizzazione politica e anche per evitare che il suo nuovo impegno politico possa danneggiare sua moglie. Secondo altri critici, però, il romanzo fu un grande successo perché nella Nuova Era la letteratura era ancora di fronte ad una crisi e se un romanzo simile era stato comprato soprattutto dai giovani è perché si mormorava che si trattasse di un romanzo erotico. Questo pregiudizio nei confronti dell’autore sopravvive ancora oggi e se in una libreria cinese si chiedono le sue opere – in particolare quella in esame – si possono notare sorrisini complici e sentire pure, come se fosse un avvertimento, che “si tratta di un autore pornografico”. Alla fine, la critica femminista in particolare, ha fatto dell’autore uno sciovinistico difensore della dominazione maschile sulle donne, per il trattamento riservato alla comprimaria del romanzo e per la descrizione fin troppo esplicita del sesso, che sembra fare della donna un pretesto per stuzzicare gli infimi istinti dei lettori, attirati proprio dalla pruriginosità di un romanzo ritenuto osceno (Wei Junyi sul Wenyibao del 12 dicembre 1985, citato da Sybesma 1989b, p. 74).198 Forse era piuttosto la critica e l’interpretazione delle opere ad essere ancora piuttosto tradizionalista. Le prime critiche, tuttavia, senza trascurare il merito del romanzo di concentrarsi sulla dignità della natura umana e la rappresentazione del desiderio, non potevano evitare di assumere anche implicazioni politiche, poiché nel contesto cinese tutto ciò che prima era negato o trascurato e che veniva riportato all’attenzione negli anni Ottanta, era politicamente

197 L’opinione della critica cinese fu molto divisa su quest’opera: alcuni sostennero che il romanzo non chiariva molti aspetti: se la donna crea l’uomo, egli non le appartiene e lasciando il punto senza spiegazioni il romanzo non raggiunge alcuna profondità filosofica; viene lodata la sua capacità di esplorare i desideri umani e quindi di inaugurare una riforma dei concetti sociali, fra cui la consapevolezza sessuale, necessaria per riformare il sistema sociale. Inoltre i critici considerano anche la sua capacità di indagine introspettiva dell’animo umano, delle tensioni fra l’uomo e la società, i desideri umani e il loro manifestarsi, oltre alla capacità degli esseri umani di controllarsi e di adattarsi all’ambiente (Huang Siwei sul Yangcheng wanbao del 13 gennaio 1986, citato in Sybesma 1989b, p. 73). Sempre nella critica viene biasimata l’indifferenza del protagonista nei confronti del prossimo e di lui resta solo la sua fame sessuale e fisiologica, la sua mentalità patriarcale che gli fa ripudiare la donna che lo ha aiutato: in apparenza il divorzio finale è motivato dall’adulterio, ma in realtà secondo i critici più impietosi è motivato solo dalla raggiunta soddisfazione del desiderio sessuale, in assenza del quale Zhang Yonglin non sente più alcun bisogno della sua compagna. Resta con lei solo perché non può ottenere altrove ciò di cui ha bisogno e non è in grado di sacrificarsi per lei (Luan Junlin sul Liaoning ribao del 14 gennaio 1986, citato da Sybesma 1989b, p. 73-74). 198 Shen Yichin in particolare, considera Zhang Xianliang e Gu Hua come rappresentanti di una visione tradizionale, patriarcale e maschilista della donna. Secondo Shen nelle opere di questi due autori, in particolare in Furong zhen, Lühua shu e Nanren de yiban shi nüren, la donna è una costruzione maschile, vittima del desiderio e del voyeurismo degli uomini. La loro oggettivazione nei romanzi poi è sottolineata dalla loro associazione agli oggetti. Zhang Xianliang differisce nella caratterizzazione delle sue eroine perché attribuisce loro molta più intraprendenza e un’autonoma capacità di desiderare; tuttavia, esse sono ancora le dispensatrici di cure e di piaceri per l’uomo. La femminilità (in senso tradizionale) delle eroine viene esaltata anche per far spiccare la mascolinità dei protagonisti maschili, che si pongono sempre come i protettori delle donne. Vengono così ricostruiti i ruoli tradizionali assegnati al maschile e al femminile (Shen 1992). 221 sensibile. Per questo il tema della sessualità, volutamente caricato di sfumature politiche dallo stesso autore, diventa anche l’argomento utilizzato contro di lui. Le critiche negative, insomma, erano molto puritane e anche considerando il protagonista del romanzo in maniera più indulgente, soprattutto nel momento dell’abbandono della moglie, prevale sempre una visione essenzialmente morale della letteratura: sia che vengano condannate le descrizioni esplicite dei rapporti sessuali fra i protagonisti, sia che siano lodati l’eroismo e l’abnegazione di Zhang Yonglin, che sacrifica le gratificazioni corporee per seguire le proprie ambizioni, è sempre una lettura morale o moraleggiante dell’opera a prevalere. In realtà il tema del romanzo che, come abbiamo visto, rappresenta un passaggio dell’evoluzione della personale esplorazione da parte dell’autore sul valore politico delle emozioni, è piuttosto la capacità delle pulsioni erotiche di liberare l’essere umano e, nel caso specifico, di mettere un intellettuale (maschio) nelle condizioni di seguire il proprio cammino naturale, ossia lavorare per il bene comune come saggio consigliere di un governante illuminato. Zhong Xueping (1994), infatti, afferma con efficacia che Zhang Xianliang, costruendo la natura umana attorno al tema di un desiderio sessuale descritto come assolutamente naturale mostra come la repressione politica, assolutamente innaturale, distorca quella stessa natura umana, e descrive inoltre il desiderio come connotato esplicitamente in termini di genere. Il desiderio è maschile e la soggettività che esso fa risorgere è anch’essa prettamente maschile. Secondo Zhong Zhang Yonglin occupa al tempo stesso la posizione di oggetto dell’oppressione politica e del soggetto parlante e desiderante, con la donna come luogo dell’espressione di tale desiderio, quindi a sua volta oggetto del desiderio e dell’oppressione maschile.199 Zhong interpreta la posizione dell’autore come fortemente patriarcale e tradizionale: se il dominio della politica è di pertinenza maschile e quindi anche l’oppressione politica è rivolta contro l’uomo inteso senza connotazioni di genere, alla donna spetta l’ambito del genere, sia per la definizione del genere femminile che della costruzione della mascolinità; offrendo una lettura attenta del tema del genere, tuttavia, sottolinea come la soggettività maschile sia stata esaltata nel romanzo mettendola in relazione non solo con il tema della politica, ma anche con il tema del genere, realizzando anzi entrambe le soggettività di genere nell’ambito politico (Zhong 1994, p. 191). Di sicuro nel romanzo il corpo è prevalente rispetto allo spirito, diversamente da quanto avveniva in una delle sue prime opere, Ling yu rou. Le critiche moralistiche che si

199 Quest’interpretazione può essere indebolita dal fatto che invece Huang Xiangjiu è in effetti essa stessa soggetto desiderante, anzi è sessualmente ben più attiva del protagonista maschile e nei suoi rapporti col marito è sempre lei a prendere l’iniziativa.

222 concentrano solo sull’ultimo episodio del racconto, ossia l’abbandono della donna da parte del protagonista, si possono facilmente superare se si considera l’episodio come il punto d’arrivo di un processo di evoluzione psicologica che coincide con la ricerca della propria identità attraverso la sessualità. Per quanto molti critici abbiano giustamente sottolineato l’intreccio della politica e della sessualità, nel romanzo predomina sicuramente l’aspetto emotivo, che prevale sulla Storia e sugli eventi subiti dai protagonisti: se consideriamo anche solo lo svolgimento della trama, essa è scandita dalla vicenda amorosa e dalla crescita sentimentale del protagonista e i momenti che contano sono quelli che vedono presenti i due protagonisti e la loro storia d’amore. È la loro compresenza che permette la narrazione e li rivela come soggetti a pari livello, sia dal punto di vista “politico”, che dal punto di vista sentimentale. Il romanzo è anche uno studio della persecuzione degli intellettuali e l’autore confessa le proprie vicende, dando una profonda impressione della veracità dei fatti narrati, come se facesse il resoconto delle proprie esperienze reali. Forse per questo il lettore è portato a leggerne solo la superficie, credendo si tratti della descrizione, a tratti fantasiosa e cosparsa di particolari magico-realistici, della prigionia dell’autore ormai universalmente conosciuto come sopravvissuto delle persecuzioni maoiste. Lungi dall’essere un semplice reportage politico, è in realtà un viaggio mentale e sentimentale attraverso l’inconscio del protagonista e di molti che, come lui, avevano subito la stessa sorte. La riforma del protagonista in questa fase è più avanzata che in Lühua shu e appare più cinico e fatalista, mentre Huang Xiangjiu non è la donna angelicata che era Ma Yinghua, poiché essa stessa è indurita dal lavoro forzato e dalla prigionia. Una delle cause dell’impotenza di Zhang Yonglin è anche la mancanza della possibilità di immaginare un coinvolgimento romantico con la donna: lei è essenzialmente la rappresentante della materia e del bisogno, in questo caso del sesso. Huang Xiangjiu pensa solo al futuro e desidera fare sesso senza particolare trasporto emotivo, mentre Zhang, in quanto intellettuale dalla sensibilità romantica, vorrebbe trovare una consolazione alla propria solitudine e una realizzazione delle proprie fantasie letterarie sull’amore. Entrambi però sono psicologicamente deformati dall’esperienza del campo di lavoro e questa distorsione si riflette anche in un rovesciamento dei loro ruoli di genere: lei è più intraprendente in fatto di sesso mentre Zhang, ancora vergine a trentanove anni,200 è relativamente passivo. In particolare, il trauma prolungato della violenza subita, hanno impresso nel protagonista la paura della soddisfazione del piacere, in particolare di quello

200 Particolare autobiografico confermato dall’autore: «虽然我四十岁还孤身只影,从未与女性有过交往» (Zhang 2008, p. 16). «Sebbene avessi quarant’anni ero del tutto solo, e non avevo mai avuto rapporti con le donne». 223 sessuale: ogni volta che il desiderio emerge o viene stimolato inconsapevolmente – come di fronte ad una donna discinta che fa il bagno – compare subito il timore della punizione. A questo si deve nella sua mente l’associazione fra le pulsioni erotiche e le immagini di dolore e di morte che abbiamo già incontrato parzialmente in Tulao qinghua, dove la guardiana Qiao Anping era sempre associata al fucile che portava sulle spalle, e che sarà ancor più visibile ed esplicita in Xiguan siwang. Il sesso, la donna e il desiderio, perciò, sono spesso collegate alla morte, alla punizione e alla castrazione (Wu 2006). La debolezza e la vulnerabilità psicologica del protagonista-autore lo conducono innanzitutto a riverire le guardie come sostituti della figura paterna, della quale era stato privato. Come detto già a proposito del film Lan fengzheng, anche in questo caso, e ancor più nel caso dell’orfano Zhang Xianliang, il partito fornisce surrogati dell’autorità paterna e in tal caso sono proprio i capisquadra e i capi divisione che diventano gli insegnanti e le guide di chi cerca sinceramente di rieducarsi e diventare un uomo nuovo. Ovviamente il lavoro è lo strumento principale di questa educazione: gli intellettuali sono il bersaglio privilegiato dei guardiani, che li prendono in giro per la loro debolezza e vengono loro imposti i lavori più pesanti come forma di punizione. Tuttavia, il lavoro duro viene accettato dal protagonista come mezzo per mettere alla prova la propria resistenza fisica e morale e per temprarsi, facendo di necessità virtù, non potendo resistere o protestare. Essere intellettuali era addirittura un impedimento alla riforma e nel periodo maoista “stupido” era perfino un elogio.201 Questo doloroso rovesciamento dell’identità del protagonista provoca spesso in lui una sorta di fariseismo di reazione, un atteggiamento da Ah Q, per cui le punizioni subite e le umiliazioni inflittegli diventano un motivo di orgoglio e di elevazione spirituale e inconsciamente si sente prediletto dall’autorità (Tam 1989, p. 57). La vera e più deleteria repressione è quella dei desideri umani, che riduce i detenuti al livello delle bestie. Mentre gli altri detenuti parlano di sesso, sognano le donne e immaginano di poterle avere, tentando in questo modo di resistere alla repressione della propria natura umana da parte del potere, il protagonista, ancora inesperto in materia, conserva ancora una briciola di nobiltà intellettuale e, temendo che la sua sensibilità sia consumata dalle fantasticherie oscene degli altri detenuti e che possa diventare lui stesso un bruto, preferisce piuttosto crearsi delle fantasie più romantiche e sentimentali, in particolare sognando le visite del fantasma di una donna del passato suicidatasi perché maritata a forza ad un uomo che

201 «[…] 这时“傻子”正是一个带荣誉性质的褒扬词,譬如说,场部那个每天清晨起来打扫厕所的、比谁都机灵的 水利技术员,好不容易才脱掉“知识分子”的皮,取得“傻子”的光荣称号,入了党。» (Zhang 2005, p. 85). «[…] in quel momento “stupido” era proprio un titolo onorifico, ad esempio, per quell’ingegnere idraulico che ogni giorno puliva i cessi, che era più intelligente di chiunque altro, era difficile potersi liberare della pelle di “intellettuale”; ottenere la nobile qualifica di “stupido” permetteva di entrare nel partito.» 224 non amava. 202 Questa sua propensione a non partecipare alle attività del gruppo può dimostrare la sua capacità di astrarsi dai valori condivisi dalla massa e quindi la forza di resistere ad una riforma del pensiero che era essenzialmente una resa al conformismo e alla riduzione degli esseri umani alla pura e semplice essenza animale attraverso l’uso politico della fame. Il fantasma che il protagonista sogna suggerisce a più livelli che la vecchia società patriarcale in realtà non è stata superata: per prima cosa il fatto che si tratti di un fantasma, quindi a livello narratologico un elemento della classica letteratura fantastica; in secondo luogo, si tratta di una donna suicidatasi perché, nonostante la legge del 1950 sul matrimonio che garantiva la piena libertà matrimoniale, la ragazza era stata data in moglie secondo le vecchie usanze e senza il suo consenso; in terzo luogo, a livello propagandistico, essa è la smentita dello slogan secondo il quale «la nuova società trasforma i fantasmi in uomini».203 Questo slogan, formulato per riassumere il popolarissimo dramma «La ragazza dai capelli bianchi» Baimao nü 白毛女 (1945) può essere inteso anche come rievocazione delle origini e delle promesse disattese della rivoluzione comunista: nella sua nuova versione come dramma rivoluzionario modello, infatti, la storia non comprende più la “spettralità” della protagonista, che invece è un’eroina comunista peraltro del tutto asessuata, che dimostra inoltre come nel nuovo contesto della Rivoluzione Culturale – la stessa cornice del romanzo in questione – il tema del sesso è diventato completamente tabù. Questa fantasticheria più eterea e incorporea (in tutti i sensi del termine) sul sesso è ancora un tentativo del protagonista di distinguersi dagli altri rozzi prigionieri e di indugiare ancora nel creare unilateralmente un’immagine ideale e tradizionale della donna secondo le norme della femminilità classica, mettendola a confronto con le donne del campo, prive di grazia, gentilezza e pudore e perfino degli

202 Questa figura collega idealmente la Rivoluzione Culturale al passato “feudale” della Cina e non si tratta dell’epoca classica ma appena degli anni Cinquanta: come la donna era stata repressa, anche Zhang lo era stato (bie 憋) per lungo tempo (Wu 1992, p. 21). La donna fantasma infatti rivela al protagonista di essere stata anche lei ingannata dagli slogan degli altoparlanti, in realtà la parità fra uomo e donna e la libertà di matrimonio erano solo illusioni. La repressione di Zhang è ancor più profonda perché sembra essere autoinflitta. La ragazza, prima di sparire all’arrivo degli altri detenuti dice a Zhang: «“你是我的好人人!你别学广播喇叭说大话。我给你唱个歌吧。我好久没唱了。我一直憋着哩,我 要唱给我喜欢的人听。”» (Zhang 2012, p. 25). «Sei una brava persona. Non devi ascoltare i paroloni degli altoparlanti. Canterò per te. È molto che non canto. Mi sono sempre trattenuta ma ora voglio cantare per qualcuno che mi piace.» Allorché Zhang spiega perché sia diventato impotente alla moglie, utilizza proprio il termine bie 憋: «“压抑,就是,就 是‘憋’的意思。 […] 在劳改队,你也知道,晚上大伙儿没事尽说些什么。可我憋着不去想这样的事,想别的;在 单身宿舍,也是这样,大伙儿说下流话的时候,我捂着耳朵看书,想问题……憋来憋去,时间长了,这种能力 就失去了。”» «“Inibizione vuol dire… vuole dire ‘repressione’! […] “Nel gruppo dei detenuti, lo sai, la sera i compagni ne parlavano sempre. Ma reprimevo questi pensieri e pensavo ad altro. Anche nel dormitorio degli scapoli era lo stesso, e quando i compagni ne parlavano, mi tappavo le orecchie e leggevo, riflettevo… A furia di reprimermi il tempo è passato e ho perso quella capacità.” […]» e lei risponde che potrebbe essere malato dalla nascita, allora lui la attacca, facendole notare maliziosamente che lei ha molta più esperienza di sesso. Così lei risponde: «“你为啥还提过去?你这个废人!半 个人!”» «“Perché tiri in ballo il passato? Invalido! Mezzo uomo!”» (Zhang 2012, p. 121-122). 203 Cfr. nota 155. 225 attributi fisici della femminilità. Anche questa è una responsabilità politica e storica del Partito Comunista: erano state le sue scelte politiche infatti a segnare la fine delle virtù femminili, il sovvertimento dei valori e l’annullamento della cultura tradizionale.204 Non è un caso che il fantasma della ragazza amorevole e gentile si dilegui proprio al ritorno degli altri detenuti: trovatosi alienato in molti modi all’interno del campo – perché intellettuale, perché originario del sud, perché ancora vergine – nelle sue fantasie riversa la sua brama di amore e di distinzione intellettuale, poiché la sua fantasi(m)a è effettivamente di origine molto colta, tratta dal Liaozhai zhiyi di Pu Songling (Wu 1992, p. 3). Un altro motivo per cui non cede altrettanto facilmente alle fantasie sulle donne è la sua conoscenza degli insegnamenti tradizionali, buddhisti ma anche confuciani, per cui la donna è un demone (spesso uno spirito-volpe) che rischia di distruggere la sua mente, di strappargli la sua conoscenza del bene, la sua moralità, la sua educazione e la sua saggezza. I suoi timori sono molto probabilmente alimentati anche dalla sua ingenuità sessuale: pur essendo adulto è ancora per alcuni aspetti infantile ed è sicuramente condizionato dalla repressione sessuale nella quale è cresciuto. In termini psicoanalitici, infatti, Zhang Yonglin è ancora privo di precisi concetti dell’identità sessuale e di genere: non sa cosa sia di preciso una donna e un uomo e quindi non conosce nemmeno sé stesso in termini sessuali, possiede solo un’idea generale, astratta e “collettiva” della femminilità basata su resoconti altrui. In tal modo, il romanzo diventa subito un’esplorazione personale con pochi riferimenti a disposizione alla ricerca di un equilibrio nella relazione dialettica fra sessualità e identità (Tam 1989, p. 58). L’episodio in cui il protagonista sogna la ragazza suicida, è anche un residuo della tradizione letteraria cinese: la dimensione onirica, infatti, è quella in cui si possono mettere legittimamente in discussione i fondamenti morali della società e dare libera espressione ai desideri del soggetto, altrimenti costretto all’obbedienza dei precetti della castità, della devozione e dell’obbedienza, anche se nel sogno cinese «non troviamo alcun senso di ribellione contro l’ordine morale» (Santangelo 1998, p. 213). Inoltre, il sogno è anche uno strumento di conoscenza e di comprensione della realtà, «una pausa di rigenerazione al contatto con la dimensione atemporale dell’eternità e un temporaneo oblio della propria immagine sociale» (p. 223). Questo vale sicuramente anche per Zhang Yonglin in questo momento del suo

204 Questo tema ritorna, insieme a tutti gli altri fantasmi, nel romanzo del nostos, ossia Xiguan siwang: «他看见她惊讶地 转过身来的那刹那闪现出了十九世纪的优雅,一种在古代花瓶上方能见到的线条。那种优雅已经被各式各样革 命的飓风刮得无影无踪,只偶然会在这个或那个女人身上找到一星半点残迹。女人真是天生的活化石。» (Zhang 1995b, p. 232). «Vedendola girarsi sorpresa ebbe l’immagine di un’eleganza del Diciannovesimo secolo, le linee che si possono vedere su un vaso antico. Quel genere di eleganza era stata spazzata via da ogni genere di rivoluzione, si potevano solo casualmente scorgerne delle tracce su qualche donna. Le donne sono per natura dei fossili viventi.» 226 percorso: egli ha bisogno di ridiscutere la realtà intorno a sé, pur senza alcuna intenzione di sovvertire l’ordine sociale e la struttura ideologica (di per sé strutturante), e di sospendere almeno per qualche istante la visione di sé proiettata dallo sguardo e dall’opinione altrui; in sostanza, vuole smettere di essere soltanto un prigioniero per riacquistare la propria identità profonda di intellettuale e di maschio desiderante, Pigmalione di una donna ideale. La sua prima esperienza con la visione di una donna avviene proprio nel campo, quando vede Huang Xiangjiu, incarcerata proprio per la sua condotta licenziosa, che si fa il bagno in un ruscello. Lo sguardo desiderante, anche in questo caso connotato in termini di genere (maschile) oggettiva lo spettacolo, ossia in questo caso la donna: il ricorso alle categorie dei rapporti patriarcali e alla pura guida dei sensi è dovuta all’inesperienza dell’autore e dal silenzio e dalla censura dell’educazione socialista riguardo al sesso. Gli unici strumenti a disposizione del protagonista sono appunto i modelli maschili tradizionali e la sua stessa insopprimibile natura di maschio desiderante, utilizzata anche come antidoto ai traumi e divenuta col tempo un habitus, una strategia di resistenza umana là dove non restava altro all’uomo, spossessato di ogni altra identità. Questo pone in essere in ogni caso una dialettica fra soggetto desiderante e oggetto desiderato che, senza intenti maschilisti ma per la semplice natura di un’attrazione eterosessuale, fa della donna un oggetto «portatrice di significati imposti dagli uomini» (Zhong 1994, p. 179). Per questo, anche in un ambiente repressivo, le relazioni fra i due sessi vengono essenzializzate e “naturalizzate” come nell’ordine patriarcale che sembrava ormai tramontato dopo il 1949. Tuttavia, il potere repressivo ancora impedisce al soggetto (maschile) di raggiungere il suo obiettivo, ossia il recupero della sua dignità di genere: confuso e disorientato, non sa come interpretare la visione della nudità femminile e subito interviene dentro di lui il meccanismo di controllo a cui era abituato, fatto soprattutto di inibizione e punizione: il suo primo pensiero è di incorrere in qualche grave conseguenza per il desiderio che inevitabilmente sente dentro di sé. Tutto ciò che era pulsione e passione, soprattutto se per una soddisfazione personale e individuale, era immancabilmente censurato e punito, tutte le forze, fisiche e spirituali dovevano essere tese verso la realizzazione del socialismo e il rinnovamento di sé, le forze del singolo dovevano essere spese per imprese collettive e così anche i sentimenti individuali potevano essere espressi solo collettivamente. Inspiegabilmente per Zhang Yonglin, tuttavia, la donna gli sorride e forse interpreta questo sorriso come segnale della disponibilità della donna ma il terrore a questo punto aumenta e scappa, ferendosi con le canne che crescevano ai bordi dell’acqua, che già in qualche misura anticipano la punizione temuta. L’autocontrollo di cui

227 dà prova è in realtà una volontaria soppressione del desiderio, la negazione della propria soddisfazione sentita autonomamente come proibita. Sebbene questo controllo sia sicuramente indotto dalla paura e inculcato nel corso di anni di rieducazione, viene volto dal protagonista, alla maniera di Ah Q, in una vittoria spirituale, come il risultato della propria educazione e quindi della propria superiorità di intellettuale, ma la sua goffa reazione non fa che anticipare la sua impotenza a venire. Questo, tra l’altro, a dispetto del fatto, o forse proprio per il fatto che lo stesso Zhang Yonglin si lamenta dell’incapacità di pensare, studiare e scrivere all’interno del campo e quindi del suo progressivo e inesorabile tralignare. Tuttavia, la consapevolezza della natura scandalosa e della pericolosità del proprio desiderio ritorna con insistenza nel protagonista quando, pochi giorni dopo, vede Huang Xiangjiu minacciarlo da lontano con un falcetto, come se volesse ucciderlo. In questo modo è proprio la donna a dare corpo al timore della distruzione per il suo “peccato. In sostanza, il conflitto interiore a questo punto è ben delineato fra la spinta alla realizzazione del suo desiderio e l’ostacolo sempre posto dal super-io, che incarna l’interiorizzazione di una severa autorità. Quest’autorità, che prima era rappresentata dai guardiani, in seguito, nonostante la sua condizione di semilibertà, Zhang la ritroverà in Huang Xiangjiu. Il loro matrimonio, infatti, ripeterà la relazione prigioniero-guardia e questo contribuirà all’impotenza del protagonista (Wu 2006). La seconda parte del romanzo vede i due protagonisti, Zhang Yonglin e Huang Xiangjiu otto anni più tardi: sono entrambi ex detenuti e vivono nei dintorni del campo in una fattoria di Stato. Zhang è stato incarcerato due volte e ora è un pastore di pecore e Huang è stata sposata due volte e per due volte ha divorziato. Mentre lui fino a quel momento ha conosciuto solo la repressione politica, lei è ancor più smaliziata ed esperta rispetto al loro primo incontro. Il simbolismo del romanzo è estremamente ricco e permette molte interpretazioni: c’è vi ha visto a questo punto in Zhang una figura cristologica (Tam 1989) e chi nel rapporto fra i due una versione della coppia originaria, Adamo ed Eva (Wu 1992); il serpente in questo caso è rappresentato dal segretario locale del partito Cao Xueyi.205 Egli incarna l’autorità a cui Zhang si sente ancora e più che mai sottomesso ed è il tentatore della donna, che infatti lo tradirà proprio con lui, peggiorando la sua condizione di prostrazione psicologica e la sua conseguente impotenza.

205 Cao Xueyi 曹学义 intrattiene una relazione clandestina con Huang Xiangjiu 黄香久; Zhang, rientrando, vede non visto Cao uscire da casa sua ed esclama fra sé: «[…] 这个冲撞了伟大的亡灵的人居然是个共产党员。真是不可思议!» (Zhang 2012, p. 155). «Quell’uomo che aveva offeso il grande spirito [Marx] era un membro del partito comunista. Inconcepibile!».

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Come già detto, Cao Xueyi rappresenta il partito anche come sostituto della figura maschile nella coppia una volta inibita e negata la mascolinità del protagonista. Quest’ultimo è in questa fase ancor più tormentato di prima, giacché si trova ad essere invischiato in una sorta di complesso di Edipo nell’interiore ribellione che sente di nutrire contro Cao, ma al tempo stesso nel timore della castrazione, che in effetti emergerà proprio nell’incapacità di consumare l’atto sessuale. L’emasculazione dei maschi cinesi nei campi di lavoro prende la forma di una sottomissione lacaniana al Nome del Padre: allora la suprema figura paterna non può che essere Mao, che proibisce ogni libera espressione delle pulsioni libidinali e produce negli intellettuali, tradizionalmente servizievoli verso il potere, un complesso di impotenza difficile che sarà superare. Mao infatti sosteneva la necessità di enfatizzare l’impiego dell’ideologia come pratica sociale e durante la Rivoluzione Culturale divenne particolarmente evidente il tentativo di trasformare ideologicamente il soggetto in suddito, eliminando, allontanando e disciplinando tutti coloro che ancora sembravano voler resistere a questo indottrinamento e che potevano con il loro spirito critico indebolire tale progetto. Riportando l’attenzione sul soggetto e rivelando la persistenza del desiderio e dell’ambizione personale, solo temporaneamente inibite dal terrore politico, il progetto autobiografico di Zhang Xianliang è una grande denuncia di questo tentativo di sottomissione delle coscienze. In quanto uomo di cultura, mosso più dall’intelletto che dal proprio corpo, incarcerato a vent’anni e quindi cresciuto nell’isolamento e nella repressione sessuale più completi, sempre circondato da altri uomini, egli è a questo punto incapace di concepire l’aspetto carnale del rapporto con la donna e continua a idealizzare la bellezza femminile, memore ancora del primo momento in cui aveva visto Huang Xiangjiu nuda. Per quanto si fosse sentito in quell’attimo riflesso in lei e in un certo senso “stuprato”, 206 non riesce a vederla altro che come una madre amorevole. Questo anche perché in fin dei conti il protagonista, sebbene sicuramente mosso anche dal desiderio di conoscere il corpo femminile e il sesso, voleva prima di tutto ottenere un posto sicuro dove poter riprendere a studiare ed elaborare le proprie idee sulla politica. La degradazione dell’intellettuale è evidente anche nel contrasto fra le sue romantiche fantasie letterarie sulla donna e sull’amore e la realtà, nella quale è costretto a sposarsi con una donna che di sicuro non è più tanto angelica. La donna però, custode dello spazio domestico, poteva dargli un rifugio nel quale potersi concentrare e scrivere di nuovo: tutto ciò poteva essere possibile solo avendo una casa e uno spazio privato proprio, ovviamente curato da una donna, che lo avrebbe anche sollevato da molte

206 In effetti il protagonista crede perfino di aver consumato un atto sessuale semplicemente osservandola nuda: «我的童 贞是在她身上丧失的呀!» (Zhang 2012, p. 72). «La mia verginità si era perduta sul suo corpo». 229 delle cure quotidiane legate al corpo. La donna quindi, oltre ad essere la moglie che fornisce la soddisfazione corporea dell’amplesso e della sfera emotiva, è anche la madre che si prende cura di tutti i bisogni materiali. Continua così la regressione psicologica del protagonista, che va di pari passo con la sua regressione culturale: negli anni trascorsi in mezzo a persone rozze e incolte ha scritto solo confessioni e autocritiche, spendendo le proprie risorse mentali solo per procurarsi da mangiare ed evitare le punizioni. Entrambi in realtà hanno subito gli effetti di una prolungata esposizione alla violenza e al terrore e questa differenza emerge anche dalle diverse risposte al loro rapporto: nell’arco degli otto anni trascorsi fra i loro due incontri entrambi sono cambiati, divenendo più avviliti, demoralizzati e disincantati di fronte al mondo e ai sentimenti umani e hanno sviluppato un atteggiamento di generale diffidenza nei confronti dell’umanità intorno a loro e di servilismo nei confronti dei superiori. 207 Dopo essere divenuto mandriano di pecore, Zhang Yonglin si sente ancor più solo di quanto lo fosse fra gli altri carcerati che, per quanto volgari, gli garantivano un certo cameratismo e la possibilità di costruire e riconoscere la propria mascolinità in termini omosociali (almeno potenzialmente, dato che non partecipava volentieri alle loro spacconate sessiste) e gli permettevano almeno di praticare la propria lingua e non perdere del tutto il contatto con la realtà. Forse è anche questa solitudine una delle ragioni della necessaria identificazione del protagonista con la natura, la personificazione immaginaria degli animali e il contatto con alcune figure mitiche che discorrono con lui. Sta di fatto che il romanticismo e i teneri sentimenti che prima ancora poteva provare ora svaniscono insieme alla sua delicatezza intellettuale e rimane solo il desiderio primitivo, la brama di conoscere carnalmente una donna. Se nel loro primo incontro lei rappresenta soprattutto una bellezza ideale, identificata con la natura (perché appare immersa in essa), ora essa incarna solo il desiderio fisico e a livello razionale il protagonista è anche disposto a rinunciare ad una compagna che condivida o almeno comprenda la sua erudizione e le sue passioni politiche pur di trovare l’eremo di cui ha bisogno. Questa speranza si trasforma in disperazione e in delusione allorché la donna si rivela ben diversa da quella che immaginava e soprattutto si dimostra molto differente da lui. Zhang scopre che lei è egoista e avida e che non ha alcun interesse per le questioni intellettuali, mentre lei sperava che avrebbe potuto migliorare il suo status sposando un intellettuale e non condivide alcun interesse del marito, anzi considera pericoloso interessarsi di politica. A

207 Huang Xiangjiu, durante un litigio con il marito, pur nella rabbia del momento, gli rivela che all’epoca del loro primo incontro avrebbe voluto denunciarlo alle guardie per guadagnare dei punti di merito. 230 questo si aggiunga il disprezzo che lei gli riserverà quando emergerà la sua impotenza. Anche lo spazio privato in cui Zhang pensava di trovare rifugio si rivela essere invece una prigione, in cui le sue aspirazioni rischiano di naufragare in una confusione di oggetti e di trivialità domestiche. Lo stesso protagonista ammette che «la vita che aveva creato mi circondava strettamente, d’un tratto persi me stesso e cominciai a sostituire me stesso con lei. […] Il passato non sapevo più dove fosse finito».208 Un timore di perdersi e di morire come essere pensante e indipendente viene rafforzato dopo il primo rapporto sessuale con la moglie, descritto come una lotta primordiale dalla quale egli esce sconfitto.

女人啊女人!我要逐渐地熟悉你。[…] 这是一片滚烫的沼泽,我在这一片沼泽地 里滚爬;这是一座岩浆沸腾的火山,既壮观又使我恐惧;这是一只美丽的鹦鹉螺, 它突然从室壁中伸出肉乎乎黏搭搭的触手,有力地缠住我拖向海底;这是一块附 着在白珊瑚上的色彩绚丽的海绵,它拼命要吸干我身上所有的水分,以致我几乎 虚脱;这是沙漠上的海市蜃楼;这是海市蜃楼中的绿洲;这是童话中巨人的花园; 这是一个最古老的童话,而最古老的童话又是最新鲜的,最为可望而不可即

的……人类最早的搏斗不是人与人之间、人与兽之间的搏斗,而是男性与女性之 间的搏斗。这种搏斗永无休止;这种搏斗不但要凭气力、凭勇气,并且要凭情感、

凭灵魂中的力量、凭先天的艺术直觉……在对立的搏斗中才能达到均衡、达到和 平、达到统一、达到完美无缺,而又保持各自的特性,各自的独立…… 但我在这场搏斗中却失败了!我失去了自己的特性,失去了自己的独立。 (Zhang 2012, pp. 116-117). Ah, donna! A poco a poco ti conoscerò! […] Era una palude bollente da cui tentavo di uscire; era un vulcano col magma in ebollizione, vista spettacolare e terribile allo stesso tempo; era uno splendido nautilo che allungava all’improvviso dalle mura i suoi viscidi tentacoli, mi stringeva con forza e mi trascinava negli abissi; era una spugna dai colori sgargianti su un corallo bianco che voleva succhiarmi tutta l’acqua dal corpo quasi fino a farmi collassare; era un miraggio nel deserto; era un’oasi nel miraggio; il giardino del gigante delle favole; era una favola antichissima, la più antica e contemporaneamente la più recente, la più desiderabile… La lotta più remota del genere umano non era stata fra uomini, né fra uomini e animali, ma fra il maschio e la femmina. Una lotta interminabile, che non si basava solo sulla forza e il coraggio, ma anche sulle emozioni, sulla forza di spirito, sulle intuizioni artistiche innate… Nel confronto si poteva finalmente raggiungere

208 «她所创造的生活紧紧地包围着我,我一下子失去了自己,并开始用她来代替我。[…] 过去,不知留在了什么 地方。» (Zhang 2012, p. 114). 231

la parità, l’uguaglianza, l’unione, la perfezione, ma anche mantenere ciascuno le proprie peculiarità, la propria indipendenza… Ma io avevo perso! Avevo perso le mie peculiarità, avevo perso la mia indipendenza. (Zhang 2005, pp. 139-140).

Incapace di trovare un equilibrio e nemmeno un senso preciso alla vita sessuale, sprofonda nel sentimento della morte e Tam (1989) vede nella corrente e nell’acqua dei precisi simboli di morte, sempre legati al timore della punizione come conseguenza della soddisfazione di un desiderio. Per quanto riguarda il simbolismo acquatico in questo punto del romanzo, evidentemente e ripetutamente riferito al corpo di Huang Xiangjiu, è anche una sottolineatura della sua femminilità, della sua spaventosa natura yin. Immagini che piuttosto segnano con forza l’ambiente in cui si svolge la “lotta del sesso” sono quelle casualmente presenti sulla parete della camera da letto, tappezzata di giornali: una di queste è la foto di un massacro compiuto dalle forze statunitensi a May Lai in Vietnam, mentre sulla coperta sono presenti dei trattori, simboli politici del progresso rurale garantito dal Partito. Queste immagini, mescolate fra loro, ripropongono l’intromissione della politica nella sfera privata dei sentimenti e con una vivida violenza ricordano, neanche tanto subliminalmente, che Zhang è ancora sottomesso all’autorità castrante della politica e che non è davvero uscito dal campo di lavoro. Inoltre, i trattori, oggetto del desiderio (di modernità, di potenza, di distinzione) e simbolo erotico nell’immaginario della Rivoluzione Culturale, diventano indicatori metaforici della potenza maschile, della capacità di arare il terreno e di coltivare il campo rappresentato dal corpo femminile che, in ossequio alla costante dell’«allegoria nazionale», è anche il corpo della nazione.209 L’intervento del partito nel rapporto fra moglie e marito è totale allorché il segretario Cao diventa l’amante della moglie e sostituisce Zhang nel talamo nuziale. Si realizza in un senso imprevisto l’insulto, che era anche uno dei paradossali insegnamenti di Mao, per cui il più colto è il più stupido: nonostante la sua cultura, Zhang Yonglin è incapace di svolgere i più elementari doveri di un maschio e quindi perde ogni rispetto là dove, privo di ogni altro status, se non quello di controrivoluzionario, sono la potenza sessuale e gli istinti più bassi a decidere della dignità di un uomo. Infatti la moglie non tarda a insultarlo chiamandolo “mezzo uomo” e “storpio” e lui stesso sembra ossessionato da un profondo senso di colpa e di inferiorità. Vittima di una prolungata repressione e della sistematica distruzione della

209 «Third-world texts, even those which are seemingly private and invested with a properly libidinal dynamic – necessarily project a political dimension in the form of national allegory: the story of the private individual destiny is always an allegory of the embattled situation of the public third-world culture and society» (Jameson 1986, p. 69). 232 natura umana da parte del totalitarismo di sinistra, egli è privato della sua virilità, della capacità di amare e di vivere una vita normale. Nella sua disperazione il protagonista si rivolge alla natura e alla cultura. Egli infatti intrattiene un dialogo con un cavallo castrato impantanato nel fango, che secondo il narratore forse ha imparato a parlare come effetto dell’indottrinamento maoista: vivendo nella stalla vicino all’altoparlante e mangiando giornali forse l’animale ha sviluppato questa capacità, come gli uomini l’hanno persa. Il castrone gli rivela come tutta la classe intellettuale cinese sia stata castrata e che il terrore che sente è il risultato di una serie di traumi e di una condizione di spavento permanente che hanno conficcato nella sua mente un proiettile simbolico. Quest’immagine in particolare spiega anche la paura di Zhang per i fucili.210 Secondo il cavallo la sua impotenza parte dalla mente, dall’inibizione del desiderio dal punto di vista psicologico: smontando al contempo il mito di Sima Qian 司马迁 (145-86 a. C.), che scelse la castrazione piuttosto che la pena capitale per poter ultimare il suo «Memorie dello storico» Shiji 史记, il cavallo aggiunge che Zhang è stato ferito nella mente, più che nel fisico come lo storico di epoca Han (206 a. C.-220 d. C.), e per questo vive di inerzia e fa tutto quel che gli viene ordinato, proprio come il cavallo. Per questo anche inconsapevolmente o vigliaccamente complice della situazione politica: se almeno il dieci per cento degli intellettuali cinesi fossero stati dei veri uomini la Cina non si sarebbe ridotta com’era (Zhang 2005, p. 151). 211 La sofferenza e l’abiezione vengono esaltate, il masochismo si volge in megalomania per fare inoltre della propria condizione un assoluto: la propria castrazione è la stessa di tutti gli intellettuali e di un’intera nazione. L’esempio di Sima Qian, poi, conferma che la creazione letteraria è anche funzione della potenza sessuale e la castrazione, reale o simbolica, impedisce di affermarsi come intellettuali. Questa evirazione, che dipendeva in larga misura dal terrore politico e dai traumi che esso aveva

210 Il proiettile in testa è l’immagine ricorrente nei deliri del protagonista del successivo romanzo Xiguan siwang. L’immagine della morte ad opera di un proiettile sparatogli in testa gli si presenta sempre in occasione dell’orgasmo. Ricordiamo, poi, solo a titolo di curiosità, senza voler insinuare che ci sia necessariamente una sicura derivazione psicanalitica, che Freud, analizzando le paure di un bambino di cinque anni spaventato dai cavalli, aveva rintracciato l’origine di tale fobia nel complesso di Edipo: il cavallo, animale minaccioso e castrante, sarebbe stato il simbolo dell’autorità paterna (Freud 1976). 211 «如司马迁那样,却是和我一样在心理上也受了损伤,所以你在行动上也只能与我相同:终生无所作为,终生 任人驱使、任人鞭打, 任人骑坐。[…] 我甚至怀疑你们整个的知识界都被阉掉了,至少是被发达的语言败坏了, 如果你们当中有百分之十的人是真正的须眉男子,你们国家也不会搞成这般模样。不知道你感觉如何,我每天 听那个大喇叭就听腻了。难道即使在你们所擅长的语言方面,也再翻不出新的花样了?” » (Zhang 2012, p. 128- 129). «Come Sima Qian e come me hai subito dei danni psicologici, perciò non puoi che assomigliarmi nel comportamento: non ti importa di nulla, hai bisogno di qualcuno che ti dia ordini, che ti frusti e ti cavalchi. […] Dubito perfino che tutti voi intellettuali siate stati castrati, o quanto meno se siate stati rovinati dallo sviluppo della lingua. Se fra di voi ci fosse un dieci per cento di uomini davvero virili, il vostro Paese non sarebbe ridotto in questo stato. Non so che cosa provi, io sono stanco di sentire ogni giorno quegli altoparlanti.»

233 provocato nelle menti degli intellettuali, rischiava però di durare ben oltre la liberazione dalla prigionia e la fine del maoismo. L’oppressione politica non solo produce la repressione sessuale, ma distrugge anche il desiderio di creazione degli intellettuali, aggravando la loro impotenza poetica. Il fucile, spesso associato a figure femminili o al contatto con l’elemento femminile, diventa tutt’uno con il timore della relazione sessuale. La paura dell’arma da fuoco infatti era evidente anche in Tulao qinghua, in cui essa era sempre associata alle donne sorveglianti del campo. Se intendiamo il fucile come corrispondente simbolico del fallo, ecco che si può evidenziare un pericoloso rovesciamento di genere, perfettamente coerente con un’epoca di grandi stravolgimenti in cui ogni ordine morale e sociale era sistematicamente violato. Il timore suscitato nel protagonista così diventa in definitiva quello della penetrazione, che si aggiunge ad una castrazione già pienamente compiuta dal sistema repressivo che lo tiene ostaggio. Il fucile, del resto entra nel famoso adagio maoista secondo il quale «Il potere politico nasce dalla canna del fucile» qiang ganzi limian chu zhengquan 枪杆子里面出政权.212 In questo caso la penna, ossia il potere simbolico dell’intellettuale, è del tutto inibito e solo il fucile, detenuto dai suoi oppressori, determina le posizioni sociali. Gli intellettuali – è anche il succo del messaggio del cavallo – sono stati evirati e resi impotenti: non possono più agire e sanno produrre solo vuota retorica; la loro castrazione li ha privati delle loro capacità morali e intellettuali e lo stesso Zhang Yonglin teme a questo punto di diventare un uomo inutile, incapace perfino di realizzarsi come marito e padre. La delusione del protagonista nei confronti di Huang Xiangjiu, tanto diversa dal suo ideale femminile, solo immaginato attraverso il fantasma dell’infelice ragazza suicida, rappresenta anche l’insoddisfazione degli intellettuali per lo stato della Cina all’epoca e anche questo sentimento contribuisce al senso di inutilità per ogni tentativo di creazione e di azione. Anche gli intellettuali tuttavia sono ritenuti corresponsabili: da sempre organici al potere non seppero resistere all’oppressione e in molti casi diventavano perfino complici e corresponsabili della loro persecuzione. Il fallimento di Zhang Yonglin come procreatore è anche un fallimento come creatore, come “poeta” nel senso proprio del termine: se il destino della Cina deve essere sempre lo stesso, allora lo stesso protagonista preferisce non mettere al mondo nessuno. A questo punto il cavallo replica che se non è in grado di esercitare l’atto creativo fondamentale, ossia l’atto sessuale, non potrà creare nient’altro.

212 Mao aveva sottolineato anche la compresenza di un’altra arma per la vittoria comunista, ossia la penna (biganzi 笔杆 子), l’arma ideologica. 234

Questa è l’esplicita connessione fra atto sessuale e creazione letteraria: da questo momento il recupero della potenza sessuale sarà anche l’emancipazione di un intellettuale dalla sottomissione alla politica. Ecco la soluzione del dilemma iniziale: per resistere alla politica e al suo pervasivo dominio occorre recuperare il controllo del desiderio e della capacità di soddisfarlo, che passa necessariamente attraverso la liberazione dall’oppressione mentale del campo, della società o della famiglia. In questo modo gli intellettuali potranno restaurare la propria completezza psicologica e quindi la propria piena mascolinità. Il desiderio, in particolare quello sessuale, è il criterio attraverso il quale nel corso del Novecento si è a lungo letta la storia della liberazione e della costruzione di sé contro le forze dello Stato, quindi del potere politico e del potere economico. In particolare la psicoanalisi ma soprattutto il pensiero di Michel Foucault vedono nel desiderio lo strumento principale con il quale il singolo interpreta e negozia la realtà intorno a sé. Per Foucault la repressione sessuale stessa deve essere riletta come il desiderio di evocare la sessualità attraverso la rivelazione di un segreto e questo spiega perché la storia moderna dell’Occidente, più che una storia di silenzi e censure intorno al sesso, è la storia di un’esplosione discorsiva intorno al sesso e un’incitazione al discorso di verità relativo ad esso, che produce in sé piacere, il «piacere dell’analisi»:

Quel che è caratteristico delle società moderne non è che abbiano condannato il sesso a restare nell’ombra, ma che siano condannate a parlarne sempre, facendolo passare per il segreto. […] Abbiamo almeno inventato un piacere diverso: piacere della verità del piacere, piacere di conoscerla, di esporla, di scoprirla, di lasciarsi prendere dal fascino a vederla, di dirla, di cattivare e catturare gli altri attraverso di essa, di confidarla nel segreto, di scovarla con l’astuzia; piacere specifico del discorso vero sul piacere. (Foucault 2008, p. 36, 66).

Tutto lo sforzo compiuto sulla costruzione di discorsi di verità e di normatività intorno al sesso andava di pari passo con l’immane progetto “confessionale” in cui «la confessione è un rituale discorsivo in cui il soggetto che parla coincide con il soggetto dell’enunciato; è anche un rituale che si dispiega in un rapporto di potere» (p. 57) rivolto all’assoggettamento degli uomini, nel duplice senso di creazione di soggetti e di sudditi, ma che serve anche alla creazione della propria identità soggettiva.

L’individuo si è per molto tempo autenticato in riferimento agli altri e attraverso la manifestazione del suo legame con essi (famiglia, rapporto di vassallaggio, protezione); 235

in seguito lo si è autenticato attraverso il discorso di verità che era capace o obbligato a fare su sé stesso. […] L’uomo, in Occidente, è diventato una bestia da confessione. (Foucault 2008, pp. 54-55).

La costruzione del soggetto individuale è quindi passata in Occidente attraverso l’esplorazione e l’esibizione della propria libertà sessuale e questo fu un modello di progresso e di modernizzazione imitato o almeno ammirato anche altrove. Anche la trasgressione sessuale è stata usata come «momento fondamentale nella formazione della soggettività moderna» tanto che la sessualità divenne un «distintivo fondamentale dell’identità e una chiave per la verità del sé» (Felsky 1995, p. 174-175). La libertà di perseguire e realizzare i propri desideri sessuali, soprattutto i più “eretici”, compresa anche la pornografia, divenne una forza liberatoria e antiautoritaria, sia in termini religiosi e morali che in termini economici.213 Insomma, il nesso fra l’espressione sessuale, in termini corporei e di rappresentazione, e una modernità portatrice di libertà si fissò e rimase in molti ambiti. Anche in Cina questo discorso, inizialmente in veste scientifica, si affacciò nel dibattito sulla modernità214 e anche la riflessione letteraria ne venne immediatamente condizionata: basti ricordare l’ansia sessuale che perseguita i personaggi delle novelle di Yu Dafu e delle prime opere di Ding Ling 丁玲 (1904-1986). In epoca moderna, insomma, si afferma un discorso liberatorio sulla sessualità nei suoi legami con il potere e l’idea della sessualità come fondamento della conoscenza del proprio corpo, del proprio animo e quindi della propria identità. Tuttavia, con il 1949 l’immagine di una «moderna persona sessuata» (Larson 1999, p. 430) venne di fatto distrutta pian piano e la descrizione della vita sessuale venne sempre più censurata come borghese e dannosa per il benessere collettivo. Il partito comunista vedeva il sesso solo nella sua finalità riproduttiva e ne faceva uno strumento per finalità collettive215 ma non di certo un piacere rivoluzionario (Larson 1999). Gli autori che ripresero a scrivere o che iniziarono a scrivere dopo la Rivoluzione Culturale erano ben consapevoli di trattare un argomento che, senza apparire troppo apertamente politico, aveva tutte le caratteristiche di un movimento di massa, poiché anche i lettori condividevano l’interesse per la sfera intima del piacere individuale. L’esplosione discorsiva sul sesso si verificò nella letteratura e nel cinema cinesi fra gli anni Ottanta e ancor più negli anni Novanta e tale

213 Secondo Herbert Marcuse (1968) il corpo come strumento di piacere è un mezzo per la lotta contro i tentativi del capitalismo di appropriarsene, per questo il desiderio è un atto rivoluzionario. Come le relazioni umane e sessuali in particolare potevano essere liberate, così anche i rapporti di potere e di produzione. 214 Basti ricordare il lavoro di Zhang Jingsheng 張競生 (1888-1933), noto come “Doctor Sex” xing boshi 性博士 (Dikötter 1995). 215 Anche il matrimonio era uno strumento della rivoluzione maoista e forse solo per questo qualche pubblicazione medica e scientifica sul sesso continuò ad essere pubblicata negli anni del maoismo (Evans 1995). 236 esplosione serviva a «compensare la fine della passione rivoluzionaria» (Larson 1999, p. 432). In questo modo, il passato maoista, attraverso la chiave del sesso, poteva prima essere criticato e poi modernizzato: Zhang Xianliang prima usa il sesso per liberarsi dell’oppressione ideologica, fisiologica e formale del passato per poi esprimere e rafforzare sé stesso attraverso i propri personaggi. Quel che qui importa soprattutto ricordare è il rilievo del sesso a livello discorsivo per la consapevolezza e la realizzazione del soggetto individuale contro ogni esperienza di massa in vista di una concreta proposta di modernità.216 Una delle conseguenze dell’impotenza del protagonista è un senso di inferiorità nei confronti della moglie e il peggioramento della sua prigionia mentale, che si approfondisce allorché scopre la tresca della moglie con il segretario del partito Cao. Considerandolo lui stesso come un surrogato del padre, della figura maschile di riferimento, è difficile per lui ribellarsi e recuperare il suo ruolo. La consolazione giunge piuttosto dall’incontro immaginario con alcune figure intellettuali tratte dalla cultura cinese e straniera con le quali cerca, con una notevole dose di narcisismo e di megalomania, di mettersi su un piede di parità per aumentare la propria dignità maschile. Si può pensare che il generale rovesciamento dell’ordine sociale e morale consueto che avesse provocato, prima ancora della formulazione dell’espressione «lo yin sale e lo yang declina»,217 uno sconvolgimento dei ruoli di genere tale da causare distorsioni nella realtà e nella mente del protagonista. Per questo si può spiegare l’intrusione di elementi magici e sovrannaturali, che rappresentano la capacità del protagonista di dialogare con la natura e di trarne risposte e consolazioni; tuttavia, è anche un esempio di quella che Wang (2004) descrive come la «seconda infestazione», ossia la riapparizione nella letteratura cinese alla fine del Ventesimo Secolo di fantasmi e revenants che erano stati banditi dalla tradizione realista del Quattro Maggio e ancor più da quella socialista, il cui

216 «This expression of individual subjectivity is embedded in a trajectory that follows a route from the specific and the individual (yet mass) experience of revolution in China, presented through a subjectified stance, through the sexualisation of revolutionary passion and the wake-up call it provides, to a final goal of a modernized cultural nationalism validated by the eventual flight to America» (Larson 1999, p. 434). Una traiettoria simile si verifica anche nella trilogia autobiografica di Zhang Xianliang, infatti alla fine il protagonista trova l’apice della modernità e della liberazione sessuale nei suoi viaggi all’estero in Xiguan siwang. Quando la rivoluzione tradisce le sue promesse e quando delle sue due anime (quella repressiva e quella liberatoria) prevale solo la prima, il desiderio collettivo deve lasciare il posto al desiderio individuale. 217 Come nel romanzo «Destini dei fiori nello specchio» Jinghua yuan 镜花缘 di Li Ruzhen 李汝珍 (1763-1830), in cui lo sconvolgimento iniziale dell’ordine delle stagioni è provocato dall’imperatrice Wu Zetian, che rappresenta al meglio il prevalere dello yin e quindi il rovesciamento del normale ordine cosmico, che vorrebbe piuttosto il dominio dell’elemento yang, ecco che anche durante la Rivoluzione Culturale il potere politico era indebitamente detenuto da un’altra donna, Jiang Qing 江青 (1914-1991). Utilizzando il criterio interpretativo di Song (2004) e intendendo quindi la diade yin/yang in termini sociali e di relativa posizione di potere e di genere, possiamo vedere come, oltre alla violazione dell’ordine cosmico al livello del governo, anche il dispotismo violento e opprimente del potere politico rappresenti bene questo rovesciamento. L’oppressione degli intellettuali da parte di un potere indebitamente yin li confinava in una posizione estremamente subordinata, quindi ancor più “femminile” (sempre in termini sociali e di potere) di quanto normalmente non fossero nei rapporti con il potere normalmente yang del governo. Quindi la privazione di potere e la delegittimazione dell’intellettuale, sfociata in una loro relativa femminilizzazione e infantilizzazione non fece altro che approfondirsi durante il ventennio delle persecuzioni contro la destra prima e soprattutto della Rivoluzione Culturale poi. Zhang Xianliang fu uno di coloro che più ne soffrirono e che più apertamente e compiutamente riuscì a descrivere questa “degenerazione”. 237 imperativo era appunto l’«esorcismo» di queste presenze, per «riflettere e rettificare la realtà» (Wang 2004, p. 272). Man mano che il realismo perdeva il suo predominio nella letteratura cinese, la riapparizione del fantasma e delle narrative “fantasmatiche” cambiò anche la configurazione e la percezione della realtà, aggiungendo una dimensione fantasmagorica, grottesca e carnevalistica simile a quella dei romanzi di denuncia della fine dell’epoca Qing. Rifacendosi anche a Derrida, Wang ricorda che il revenant «non arriva semplicemente dal passato, ma anticipa piuttosto un ripetuto ritorno nel futuro.» (Wang 2004, p. 279). Fare i conti con la pretesa morte del marxismo significa vivere con lo spettro del ritorno (dello spettro) di Marx e questo intensifica il trauma storico, che non è solo il ricordo del passato o la nostalgia della rivoluzione, ma anche il timore che la storia non sia ancora iniziata e l’ansia per come potrebbe essere il futuro (Zhang Xudong 2003, p. 638). Lo spettro però è anche uno strumento di resistenza: dal punto di vista narrativo è il soprannaturale e il magico che durante il periodo maoista era bandito e che pertanto non può che appartenere storicamente al periodo della pubblicazione del libro, ossia gli anni Ottanta, mentre dal punto di vista tematico e intellettuale è la riproposizione del passato e dei suoi valori, contro il presente del racconto in cui solo il materialismo e la fredda oggettività del reale e delle leggi storiche potevano essere ammesse nel dibattito culturale. Il fantasma della donna che appare al protagonista quando ancora riesce a fantasticare sulla donna ideale è appunto il ritorno di un idealismo romantico frutto di passate letture: per questo il sogno è proibito, non solo perché eroticamente provocante ma anche perché culturalmente rivoluzionario, proprio perché “reazionario”.218 Esso è anche un rovesciamento dei temi della letteratura rivoluzionaria, annullati nell’esperienza personale dell’autore e del protagonista e denunciati pertanto come esistenti soltanto in una rappresentazione fasulla e ipocrita: il revenant è anche un revivant che nega la sottomissione alla politica del soggetto e compie un percorso a ritroso verso l’umanesimo del Quattro Maggio, lo stesso che si stava compiendo nel dibattito intellettuale degli anni Ottanta in Cina.219 Tutte le figure con cui intrattiene un colloquio immaginario rappresentano diversi atteggiamenti e soluzioni alla sua condizione, ma in definitiva egli decide di seguire il consiglio indiretto di Marx e di scardinare la struttura della società cinese partendo proprio

218 A proposito di fantasmi, Ngai (1994, p. 99) suggerisce che tutto il racconto potrebbe essere interpretato come la confessione di un fantasma e che quindi alla fine del romanzo il protagonista in realtà muoia. Ciò tuttavia metterebbe in dubbio la veracità del racconto e l’effetto della confessione. 219 Il tema della fame, insieme al revenant della violenza, ricorrente nella letteratura cinese del Novecento, è rovesciato nei suoi presupposti ideologici e narratologici: da forza storica incarnata nei corpi del popolo e della gente comune, che si trova costretta a passare all’azione scegliendo la rivolta, come ad esempio la fame in «Milleottocento picul» Yi qian ba bai dan 一千八百担 (1934) di Wu Zuxiang 吴组缃 (1908-1994) e le inondazioni del romanzo «Acque» Shui 水 (1931) di Ding Ling 丁玲 (1904-1986), che svolgono la funzione di stimolo oggettivo all’azione rivoluzionaria, nel caso di Zhang Xianliang la fame e l’inondazione diventano spinte alla rivolta individuale e non alla rivoluzione collettiva. 238 da quel momento di semiprigionia per cambiare la Cina e la sua stessa vita. Dopo il misticismo di Zhuangzi, che rappresenta la via della non-azione, Marx incarna il ritorno dell’azione. L’ironia con cui la figura viene presentata, analizzata in particolare da William Callahan (1994), serve a resistere al potere del discorso marxista: rovesciando il discorso binario su cui si fonda la modernità (corpo/mente; natura/cultura; moderno/arretrato ecc.) e anche la struttura simbolica del trauma (prima del trauma/dopo il trauma), l’autore cerca una via mediana che fonda gli elementi positivi di un discorso egemonico con la possibilità di una personale utopia alternativa a quella ufficiale. Se il discorso sulla modernità non è ironico perché cerca di fondare unità cognitive coerenti e normative, la giocosa rimessa in discussione dei suoi pilastri permette di contestare anche i suoi risultati storici. Superando le dicotomie fra Occidente e Oriente, Antico e Moderno le figure che evoca rappresentano insieme un’eterotopia in cui sono tutte presenti. Marx in particolare, ultimo dei personaggi evocati, mescola strettamente il destino personale e il futuro della nazione e pronuncia frasi ironicamente non marxiste: in questo modo Zhang Xianliang riesce ad «aprire uno spazio critico per la dissidenza in Cina» (Callahan 1994, p. 293). I personaggi evocati dalla sua immaginazione sono anche delle figure maschili che lo aiutano nella competizione e nello scontro con la figura paterna incarnata nel segretario Cao, a sua volta rappresentante di un potere politico ormai delegittimato. Zhang vuole trovare una figura paterna alternativa con cui identificarsi: vuole non solo denunciare il padre ma rimpiazzarlo con sé stesso emancipandosi (Zhong 1994, p. 189). Alla fine, però, come in Lühua shu, la figura paterna prescelta è la guida spirituale e filosofica di Marx, che descrive ancora una volta la condizione degli intellettuali: come il marxismo è stato snaturato, falsato e ridotto a semplici slogan, così anche gli intellettuali erano stati castrati e mutilati per motivi strumentali. L’evocazione di Song Jiang rappresenta anche una critica al periodo storico poiché la sua figura era stata usata dalla propaganda ufficiale nella campagna contro Deng Xiaoping, a cui era associato per lo stesso crimine di “capitolazionismo”. Anche Zhang Yonglin, come Song Jiang, era stato maltrattato politicamente ma mentre la soluzione ventilata da Marx per i suoi problemi è estremamente razionale, quella di Song Jiang è coerentemente molto violenta e autodistruttiva: egli consiglia a Zhang di uccidere la moglie e l’amante e di organizzare una banda di combattenti per liberare la corte dai ministri malvagi e fondare una dinastia retta. Se quindi si può intendere Song Jiang come incarnazione dell’Es di Zhang Yonglin, allora Marx può benissimo esserne il super-io razionale e paterno (Wu 1992). Inoltre, la natura fantasmatica della figura di Marx è testimoniata dall’analogia con il fantasma della donna che era apparso al protagonista in precedenza: la donna vuole parlare

239 di amore mentre Zhang Yonglin preferisce parlare di teorie politiche e rivela al fantasma di stare studiando per poter costruire una società più giusta, anche se nel suo rapporto con Huang Xiangjiu sembra essere troppo pieno di sé per avere con lei un rapporto di piena parità e per trattarla con giustizia e comprensione. Anche con Marx si crea un equivoco: mentre Zhang vorrebbe parlare di filosofia e di teoria politica, il fantasma di Marx preferisce discorrere della sua vita sentimentale. In realtà lo fa sempre con un sottotesto metaforico che rinvia all’intreccio onnipresente fra politica e sessualità: l’impotenza del protagonista è denunciata come prodotto dell’impossibilità di una reale azione, in un periodo in cui prevale la forza bruta, l’istinto primordiale e la vuota ripetizione di slogan sull’intelligenza e l’uso critico della ragione. L’impotenza infatti è inseparabile dalla distruzione del linguaggio, che è lo strumento degli intellettuali: «[…] il significato delle parole è rovesciato e gli intellettuali sono costretti a restare in silenzio.» (Yeh 2010, p. 651). Essa è anche l’effetto dell’incapacità di superare la tensione fra il desiderio di essere un uomo normale, e quindi di poter possedere la donna, e la paura di non esserne in grado. La storia procede proprio verso il recupero di una posizione normale dell’uomo, non solo nel suo rapporto con la donna, ma anche nello stesso ordine sociale (Zhong 1994, p. 181). L’adulterio della moglie diventa una questione politica e l’insoddisfazione del protagonista si volge verso la struttura di potere esistente, incarnata sempre dal segretario Cao, di fronte al quale egli è subordinato: Zhang si trova così dominato non dalla donna ma dall’uomo che ha il potere di possedere la sua donna e pertanto il controllo della donna diventa così un atto politico (Zhong 1994, p. 190). Occorre pertanto un’occasione per esibire la propria identità maschile e suggerire un’alternativa al potere dogmatico del partito, spodestando il padre. Quest’occasione sarà l’inondazione che colpisce la zona, che lo rende un eroe agli occhi degli abitanti dei villaggi circonvicini, mentre il segretario Cao si dimostra nella stessa occasione incapace di gestire l’emergenza. Ecco che la giustificazione a governare da parte dell’uomo e dell’intellettuale viene rifondata: ad un potere autoritario e volubile viene sostituita un’idea più tradizionale220 ancora solidissima del governante illuminato che riesce ad assicurare il benessere del popolo. Come nell’antichità le dinastie dimostravano di aver perso il proprio diritto a governare, il mandato celeste (tianming 天命), allorché alluvioni,

220 Basti pensare a Yu il Grande Da Yu 大禹, primo sovrano della Dinastia Xia 夏 (2100-1600 a. C.), nominato erede dall’imperatore Shun 舜 per la sua abilità nel controllo delle acque. La stessa figura semimitica era stata utilizzata da Lu Xun in «Antiche storie rinarrate» Gushi xinbian 故事新编 (1935), in particolare nel racconto «Domare le acque» Lishui 理水, per ridicolizzare gli intellettuali che in tempi calamitosi si dedicavano a vuote discussioni accademiche e alla calligrafia, e per criticare i funzionari governativi che si limitavano a organizzare giri di ispezione e raccolte di beneficenza. È evidente nella storia di Lu Xun il confronto con Yu e i suoi accoliti, che invece si dedicano con impegno ad un duro lavoro sotto un sole cocente (Sorokin 1988, p. 126). 240 siccità, piene improvvise rendevano palese l’incapacità dei monarchi di controllare le acque e quindi di regnare, anche nel caso di Zhang Yonglin la sua perizia e il suo coraggio nel domare l’alluvione ed evitarne gli effetti più disastrosi lo rendono il successore di una dirigenza che aveva con ogni evidenza perso il diritto di comandare. Questo è il momento in cui il protagonista riesce a superare il suo senso di inferiorità e l’incapacità di agire: dopo le soluzioni suggeritegli dalle figure storiche e fantastiche con cui aveva immaginato di dialogare, ecco che la chiave era il ritorno alla tradizione, a cui al massimo si poteva aggiungere un ritorno alla «vitalità primitiva» acquisita durante la sua vita in mezzo a persone semplici, incolte e vili e che sarebbe servita agli intellettuali per prevalere nella lotta per la sopravvivenza (Wu 1992, p. 21).221 Dal punto di vista politico, quindi è un fatto estremamente significativo poiché si tratta dell’affermazione di una nuova interpretazione del socialismo, affine storicamente al trapasso dal maoismo al denghismo; dal punto di vista psicologico, invece, la vittoria morale di Zhang Yonglin rappresenta il superamento della sudditanza e del timore nei confronti del segretario Cao e dell’autorità che egli incarna. Riuscendo perfino a dare ordini al segretario Cao egli può rovesciare il rapporto di forza fra sé e l’autorità, liberando la propria psiche dal dominio del super-io. Inoltre, la sua riuscita come lavoratore soddisfa anche la generale “eroticizzazione” del servizio per il popolo che era stata imposta dal maoismo come surrogato delle pulsioni erotiche spontanee e individuali: condizionato dalla logica del maoismo il protagonista e l’autore realizzano la Bildung dell’eroe come lavoratore modello che, nell’ambiente total(itaria)mente collettivista in cui vive, ottiene potere e piacere dal servizio per il popolo (Farquhar 2003, p. 167). Del resto, sicuramente, la sua trasformazione in lavoratore modello gli permette di entrare a far parte della massa, della collettività dalla quale prima si teneva a distanza e dalla quale era escluso a causa di una perversa «rettifica dei nomi» zhengming 正名 che aveva fatto di lui un paria:222 partecipando al lavoro collettivo e ottenendo successo e riconoscimento riacquista la sua dignità e la sua soggettività, oltre ovviamente al suo prestigio di maschio e di intellettuale. La sua morte simbolica nell’acqua e la sua rinascita dopo un nuovo battesimo223 lo fanno diventare una persona del tutto nuova, non solo ai propri occhi ma ancor più agli occhi degli altri, rendendo evidente l’importanza del riconoscimento sociale nella definizione di genere

221 In questo modo viene anche rivalutata la propria esperienza della rieducazione: anche solo per una necessaria rielaborazione e interiore giustificazione psicologica la durezza della vita appena trascorsa fra fatiche, lavoro massacrante e privazioni di ogni genere – senza contare la continua minaccia di morire – acquisisce un valore morale e un’impagabile utilità pratica. 222 Commentando Michel de Certeau, Anagnost (1997) afferma che «To be named is to be heteronomous; it means to be absorbed into another’s reality, to be subject to the rule of the other» (p. 106). 223 All’acqua, supremo elemento yin, vengono anche ricondotti il nord, le terre fredde e il mondo dei morti e dei fantasmi: ritornare dall’acqua è in questo caso anche una sorta di resurrezione (maschile). 241 e di status. Lo stesso segretario Cao è costretto ad ammettere la sua ingegnosità e il suo coraggio e la moglie lo guarda ora come un uomo completo: tornati a casa, lei gli prepara una zuppa di zanzero 224 e lo accudisce come madre e come moglie. La rinascita del protagonista non è completa finché non riesce a vincere la battaglia contro di lei: la lotta contro l’elemento yin passa dal controllo delle acque alla sopraffazione del mistero femminile nella donna.225 Riuscendo a “prevalere” anche sulla donna, i rapporti di potere vengono rovesciati anche nell’ambiente domestico (yin), dopo aver ritrovato la propria posizione anche nell’ambito della vita sociale (yang). La sua riacquisita mascolinità si esprime anche in maniera aggressiva nei confronti della donna, mentre lei comincia a comportarsi in modo più gentile e premuroso e questo segnala il ritorno nella società del concetto di genere in termini visibilmente asimmetrici (Farquhar 1999, p. 169). La distanza fra Huang Xiangjiu e Zhang Yonglin aumenta sempre più proprio dal momento in cui quest’ultimo recupera la propria potenza maschile: lei crede di averlo trasformato in un uomo completo, dal “mezzo uomo” che credeva fosse, e spera finalmente di poter costruire con lui una tranquilla vita familiare; lui, invece, che sente di essere diventato pienamente uomo grazie ad un atto pubblico di coraggio, sente che ora che ha sottomesso l’elemento yin, non può consegnarvisi accettando di essere solo un uomo di famiglia e desidera di più. La sua realizzazione ora può quindi compiersi solo nell’ambito pubblico dello Stato. Anche il cavallo castrato, che il protagonista ora cavalca (raffigurando così un evidente simbolo di potenza maschile), riconosce il nuovo valore acquisito da Zhang Yonglin, sentendone la potenza e la forza rinate. Questa sua forza gli permette di rivoltarsi con successo contro il piccolo mondo della casa e della famiglia che gli si stava stringendo intorno, limitando le sue ambizioni. Ora che la sua identità sessuale e di genere è riconquistata, e che il suo complesso di castrazione è esorcizzato, può cercare la sua realizzazione ideologica e sociale. Anche in questo caso la soluzione individuata dal protagonista è tratta dalla tradizione, sicura fonte di risposte in mondo che stava demolendo tutti i principî consueti:226 si tratta di mettersi al servizio di un sovrano retto, dopo essere

224 Questa zuppa si ritiene abbia un effetto benefico per il recupero della vitalità e della forza dell’uomo (Tam 1989, p. 65) ed è l’esatto contraltare della zuppa d’erba che era costretto a mangiare nel campo durante la grande carestia dei primi anni Sessanta per poter sopravvivere. Ora il timore superstizioso che la donna gli sottragga i fluidi vitali è superato in nome della sua funzione di alma mater. 225 Come nel loro primo incontro sessuale, anche in questo caso il corpo femminile viene associato nel testo ad elementi che richiamano l’acqua. Solo un esempio: «“你好了!” 她的声音从很深很深的水底浮上来。[…] “你还……能吗?” 水底又浮上来模糊的声音。“能!” 我恶狠狠地说。» (Zhang 2012, p. 177). «“Sei guarito!” La sua voce emerse dal fondo di acque molto profonde. […] “Puoi ancora…?” una voce indistinta emerse dal fondo delle acque. “Sì!” urlai furiosamente». (Zhang 2005, p. 201 con lievi modifiche da parte mia). 226 La stessa idea di famiglia era degenerate in quell’epoca: «罗宗祺叫我娶老婆是为了写论文、马老婆子劝我别离婚 是为了送牢饭,原来这就是现代的家庭观念!» (Zhang 2012, p. 224-225) «Luo Zongqi me la fece sposare per poter 242 stato allontanato ingiustamente da funzionari corrotti e da sovrani ingiusti, e di poter così giovare con la propria cultura al bene del Paese. Il recupero della propria fiducia e della propria pienezza maschile sono fondamentali ora per poter sfidare l’autorità paterna (il partito nella persona del segretario Cao) e l’autorità materna (la moglie) per potersi emancipare e costruire la propria identità di adulto. Se però riesce a mostrarsi duro e aggressivo nei confronti della moglie, non riesce a fare altrettanto con Cao, che ancora incarna formalmente l’autorità. Per adesso il protagonista rivela solo al cavallo che intende andarsene per sete di azione e che per farlo vuole divorziare dalla moglie. Nel frattempo inizia l’autunno e comincia a scendere una forte pioggia, che simboleggia ancora una volta il prevalere dell’elemento femminile; per dare sfogo al desiderio di agire e soprattutto di creare, che il sesso non può sostituire – basti pensare alla riluttanza del protagonista ad avere figli, che lo legherebbero ancor più alla casa – inizia a scrivere un diario, sul quale annota le proprie idee politiche.227 Si tratta di un atto piuttosto rischioso, come l’esempio dello stesso Zhang Xianliang e del suo diario di prigionia, poi pubblicato come Wo de putishu, ci ricordano. Era anche un esercizio complicato, poiché anche il cervello negli anni della prigionia si era arrugginito e occorsero alcuni mesi prima che Zhang potesse nuovamente dare una certa scorrevolezza ai propri pensieri. I litigi con la moglie diventano inevitabili e, mentre si rinfacciano a vicenda le colpe del passato, lei lo accusa di scrivere del materiale compromettente e lo ricatta minacciando di consegnare il diario alle autorità. Per questo il suo desiderio di crearsi un piccolo regno pacifico in cui perfezionare le proprie idee politiche viene frustrato, perché evidentemente lo scambio che immaginava di realizzare con la moglie si rivela una truffa e una forma di sfruttamento. L’atteggiamento passivo che all’interno caratterizza il protagonista ha un rovescio esterno particolarmente aggressivo, che lo porta a sfogare sulla moglie la propria frustrazione. Il litigio degenera ma è l’occasione per Zhang Yonglin di rompere con la moglie. La lotta, verbale in questo caso, si configura anche come uno scontro di potere: i rapporti fra i due sessi nella famiglia si erano rovesciati poiché dalla sua défaillance sessuale era lei che aveva predominato nella coppia; inoltre, lei non aveva alcuna scrivere i miei saggi, la vecchia Ma mi sconsigliava di divorziare per avere qualcuno che mi portasse del cibo in galera. Era quella l’idea di famiglia all’epoca!» (Zhang 2005, p. 250 con lievi modifiche da parte mia). 227 Se la psicoanalisi potrebbe vedere qui un caso di sublimazione, in realtà più che la sostituzione del sesso con un atto creativo più elevato, si tratta del superamento del sesso e del recupero di un desiderio più puro. Forse si è compiuta, con la soddisfazione del desiderio sessuale, l’evoluzione psicologica del protagonista da bestia ossessionata dai bisogni più elementari a essere umano pensante animato da ambizioni più nobili. Se poi vogliamo affidarci alle parole del protagonista, il successo nell’atto sessuale provoca per associazione la pulsione, ancora insoddisfatta, all’impegno politico: «政治的激 情和情欲的冲动很相似,都是体内的内分泌。» (Zhang 2012, p. 81). «Il fervore politico e l’impulso sessuale sono molto simili: entrambi sono secrezioni del corpo» (Zhang 2005, p. 99). Se il sesso stimola come la politica, è ovvio che Zhang sia intimidito e inibito da una donna tanto navigata quanto per lui pericolosa, esattamente come è represso e paralizzato dalla politica (Ngai 1994, p. 90). 243 condanna politica sulla testa, diversamente da lui. Quando il segretario Cao inizia a frequentare la loro casa, poi, la posizione di Zhang nella famiglia peggiora ancor più e la moglie smette perfino di lavare i suoi piatti e i suoi vestiti. In seguito ai continui litigi e al deteriorarsi del loro rapporto, Zhang cerca di sfuggire al suo possibile ricatto giungendo perfino a distruggere i propri scritti: dopo aver saputo che il primo ministro Zhou Enlai era morto, infatti, temendo una nuova ondata di repressioni, diede fuoco al suo diario promettendogli di ricordarlo sempre e di riconoscerlo come un figlio, con la promessa di pubblicarlo un giorno. È significativo come il diario sia considerato esplicitamente come un figlio, il frutto della sua più autentica creazione.228 La decisione però non è facile da prendere, anche perché la situazione politica è cambiata nuovamente e sembra che ormai non ci siano più ostacoli alla sinistra più estrema. Inoltre, Zhang Yonglin non riesce a staccarsi facilmente dalla moglie e dalla sua casa: dentro di lui si agitano ancora molte remore e paure, quelle più profonde risalenti alla prigionia, mescolate alle più recenti. La sequenza del sogno in cui di volta in volta si identifica in diversi animali, sempre seguiti da una canna di fucile che minaccia di ucciderlo, ben dimostra ancora, nonostante gli sforzi fatti fino a quel momento, la paura da cui è attanagliato e la chiaroveggenza della sua stessa disumanizzazione.229 L’identificazione con gli animali è un meccanismo ricorrente per esprimere l’impotenza del soggetto di fronte alle forze violente della storia, della natura e del fato.230 Anche nel romanzo in esame molto spesso le metafore

228 «它是有生命的东西,它是我的心血,它是我大脑中的化合物。[…] 我都会记得你,就象人总能认出自己的孩 子。而必将有一天,我要把你向人民公开出来。» (Zhang 2012, p. 219) «Era una cosa dotata di vita, era il mio sangue, era un distillato del mio cervello. […] Ti ricorderò sempre, come si riconosce sempre il proprio figlio e verrà sicuramente il giorno in cui ti rivelerò al popolo.» (Zhang 2005, p. 245). 229 我有点害怕。但我还能听见她细如游丝的呼吸,在这即将“败”了的家中悄悄地索绕。一会儿,这种一强一弱 的、连续不断的、在空中飘浮着的如游丝般的呼吸,渐渐象蛇一样弯曲成一个蓝幽幽的、非常圆的光环,乍看 起来象月全食,但定睛一着,却是一个其大无比的、铺天盖地的枪口。光环中间一片深不见底的黑暗,顶头就 是一颗子弹,直直地瞄准着我。我大吃一惊,挣扎着逃命。而在挣扎间我却成了那只不见了的灰猫,在炉台上、 案板上、餐桌上又蹦又跳。可是那枪口还是对着我。 于是我倏地又变成了我们丢失的鸭子,缩在鸭窝里面,但 那枪口正好堵着门,对着我躲藏在旮旯。还是变成老鼠吧!刚一动念,我就成了老鼠。但在往洞里钻的时候, 洞里倒先跑出来无数如黄豆粒大的小人,打着小旗,举着小标语,一出洞就四处狂奔,象一颗颗射出的子弹。 […] 我想跑出这片血的沼泽,一抬头,却又看见那个蓝幽幽的枪口。它一直对着我,它始终对着我…… (Zhang 2012, p. 228-229) «Avevo un po’ paura. Ma potevo ancora sentire il suo respiro sottile aleggiare in quella casa che stava per andare in rovina. Dopo poco, quel respiro fievole, forte e poi debole, interrotto e ripreso, fluttuante nell’aria, si attorcigliò pian piano come un serpente in un cerchio di luce azzurro perfettamente tondo. A vederlo sembrava una totale eclissi lunare, ma a ben guardare era la canna di un’enorme fucile, che copriva il cielo e la terra. Dentro il cerchio luminoso era così buio da non poter vedere il fondo e vi era un proiettile puntato dritto contro di me. Ero sorpreso e lottavo per mettermi in salvo ma mentre scappavo mi trasformai in quel gatto grigio che era sparito e saltavo sui fornelli, sul tagliere, sul tavolo da pranzo con quel fucile sempre puntato verso di me. Perciò mi mutai rapidamente nell’oca che avevamo smarrito, rannicchiata nella sua tana, ma quel fucile bloccava l’ingresso e mirava all’angolo in cui ero nascosto. Allora facciamo che mi trasformo in topo! Appena detto divento un topo. Ma prima che potessi infilarmi nella tana, da questa uscirono innumerevoli omuncoli grandi come fagiolini di soia, che agitavano bandierine e reggevano piccoli slogan; appena usciti dal buco corsero tutt’intorno, come proiettili. […] Volevo scappare da quella palude di sangue. Appena alzai la testa, però, rividi quella canna di fucile azzurrognola. Era ancora puntata su di me, era sempre stata puntata su di me.» 230 Questo è particolarmente evidente nel finale del romanzo «Vivere!» Huozhe 活着 di Yu hua (Wedell-Wedellsborg 2013, p. 272). 244 legate al mondo animale si riferiscono alla degradazione dei prigionieri nel campo: ad esempio i detenuti in uniforme nera sono equiparati alle formiche. Addirittura, molto spesso vi è un altro genere di rovesciamento dell’ordine cosmico: gli esseri umani sono equiparati alle bestie e il processo di degradazione a cui sono sottoposti spesso li rende davvero inumani, mentre gli animali sono dotati di caratteristiche e sentimenti più umani, come il castrone. Nella dialettica fra soggetto e oggetto – che anche nella tradizione è il confronto fra osservatore e natura, fra qing 情 e jing 境 – i termini vengono rovesciati. Nel suo sogno il protagonista attraversa varie fasi di trasformazione, come se ripercorresse l’evoluzione del genere umano, dall’animale all’uomo, ma sempre preso di mira dal fucile che rappresenta il potere politico e la sua capacità di trasformare gli uomini in bestie con le sue campagne di repressione. Anche in questo modo si riafferma il valore umanistico della libertà contro la realtà politica dell’epoca e a livello psicanalitico viene riaperta la sudditanza nei confronti del potere fallico del padre. Il confronto con il segretario Cao per ottenere il divorzio dalla moglie, risoltosi a favore di Zhang, lo rende libero dalla tutela del suo superiore. Ora può davvero allontanarsi dalla casa e dalla famiglia per partecipare alla costruzione del futuro della Cina e sentirsi realizzato. In questo modo si può anche spiegare il titolo del romanzo: la donna può aiutare l’uomo a realizzare solo la metà della sua identità, rievocando il mito del Simposio di Platone, ma la metà più importante per il protagonista è quella sociale e pubblica (Tam 1989, p. 68), alla cui ricerca Zhang Yonglin parte a questo punto abbandonando il piccolo mondo domestico e ribellandosi contro la pervasiva sfera dell’ideologia, che insieme deprimono e conculcano gli uomini di talento. Guardando il romanzo da un’altra prospettiva, tuttavia, si può anche suggerire che quella “metà dell’uomo” sia un genitivo soggettivo, ossia che la donna sia in realtà una costruzione esclusivamente maschile: nel testo infatti vediamo tutti i fatti descritti dalla prospettiva del protagonista e le figure femminili sono costruite in base alla sua soggettività. Le due rappresentanti del genere femminile costruite dall’immaginazione dell’autore e messe a contrasto sono la donna-fantasma ideale, che per definizione non esiste e la donna concreta ma dozzinale. La donna ideale, rappresentata dal fantasma di una giovane suicidatasi negli anni Cinquanta perché non voleva piegarsi ad un matrimonio combinato, “incarna” le virtù femminili dell’amore puro, platonico, incorporeo (non foss’altro che per la sua natura di fantasma), la fedeltà incondizionata all’amore ideale e alla libertà di poter amare, al punto di preferire la morte al compromesso. Dall’altro lato, invece, abbiamo la realtà nei suoi aspetti più triviali e volgari, ossia il matrimonio con una donna dalla dubbia moralità che tenta il protagonista con la prospettiva di una vita familiare soffocante, deprimente e

245 castrante. Nelle condizioni in cui si trovava il protagonista del romanzo egli non poteva sperare molto di più, di certo non la realizzazione dell’ideale, rappresentato nella sfera sentimentale dal fantasma, per definizione irreale e inconsistente. Tuttavia, in entrambi i casi occorre affidarsi alle parole del protagonista e forse la realtà delle cose, come l’irrealtà dell’immaginazione che suscita i fantasmi parlanti, è ben diversa da come viene presentata. Si tratta infatti di una Bildung dall’ideale al reale, dall’infanzia all’età adulta, alla fine della quale, dopo aver utilizzato i sentimenti, l’amore e il sesso per riprendere contatto con la realtà e con la propria identità di intellettuale sepolta sotto uno strato di rudezza e di ferinità, il protagonista si sbarazza di entrambi per inseguire ciò che conta davvero. Per lui il matrimonio con Huang Xiangjiu è un apprendistato del maschio adulto: non è deluso dai precedenti della futura moglie, né dalla sua identità “impura”, ma piuttosto dalla sua mancanza di cultura e di maturità politica. Questo si può provare facendo un confronto con Ma Yinghua: anche lei era relativamente libera sessualmente – anche se la sua appartenenza ad un’altra etnia le poteva permettere un certo grado di esuberanza e di eccentricità normativa – ma non è considerata impura se non nel momento in cui il protagonista vorrebbe liberarsene. È il loro comportamento che differenzia le due figure femminili, non l’etichetta, che autore e narratore sanno bene, per esperienza storica, essere arbitrarie e fasulle: Ma Yinghua è fedele e molto pratica: rappresenta una Cina moralmente retta che resiste alla corruzione, ma che forse si trova solo fra le minoranze; Huang Xiangjiu, se può essere ritenuta moralmente reprensibile, è però vittima dello stesso sistema repressivo che schiaccia la natura umana del protagonista.231 L’incontro con la donna è una tappa fondamentale per diventare un uomo in senso pieno e per liberarsi dei complessi di inferiorità che lo attanagliano, soprattutto nei confronti degli altri maschi. La conquista della donna non ha molto valore in sé per la sua conquista della mascolinità, ma ha valore solo in senso omosociale: nel campo di lavoro Zhang non era riuscito a ottenere la sanzione della sua superiorità di intellettuale e spiccare così fra gli altri uomini, era solo un altro detenuto, incapace però di mettersi al livello degli altri; riuscendo a diventare per prima cosa “marito” nell’ambito privato, può completare infine la propria crescita diventando anche leader in

231 Se vogliamo connotare politicamente le figure femminili dei suoi romanzi, possiamo vedere in Huang Xiangjiu l’incarnazione della Cina dell’epoca, resa egoista, calcolatrice, amorale e ipocrita dalla realtà politica e dall’indigenza. In un’intervista con Rint Sybesma, Zhang Xianliang afferma infatti «Il denaro non corrompe la gente, ma la povertà sì»: i precedenti decenni di economia pianificata avevano reso i cinesi pigri, avidi e corrotti (lan 懒, chan 馋, tan 贪) e privi di qualunque senso della competizione. «Se Mao avesse avuto l’opportunità di andare avanti altri venti anni i cinesi sarebbero divenuti totalmente scemi» (Sybesma 1994, p. 53). Il fantasma della ragazza suicida in questo modo diventa il suo perfetto contraltare: essa è la riproposizione del modello della donna casta che preferisce la morte ad ogni compromesso ma così facendo non cambia la realtà. Possiamo ricordare a questo proposito le parole dello studioso di epoca Song 宋 (960-1279) Cheng Yi 程颐 (1033-1107): «Morire di fame è una questione molto triviale; perdere la propria castità è una vergogna gravissima» (citato in Wang 2004, p. 140). 246 ambito pubblico. Per questo la donna è solo metà dell’uomo. Il fatto che Huang Xiangjiu sia così diversa dalla tipica bellezza tradizionale, pudica e modesta, e sia anzi essa stessa desiderante, aggiunge validità alla tesi per cui quella di Zhang Xianliang non sia una visione maschilista atavica e patriarcale, ma la possibilità di ricostruire la mascolinità in un momento ben più critico della Cina classica utilizzando soltanto come guida alcuni elementi di quel periodo. A ben pensarci, infatti, sia l’amore ideale che l’amore profano intervengono in due momenti diversi della vicenda del protagonista: prima, mentre era ancora confinato nel campo di lavoro e voleva resistere alla banalizzazione del sesso descritto in termini molto volgari dagli altri detenuti, come anche alla “maschilizzazione” del genere femminile attraverso i capelli corti e alla stessa divisa dei prigionieri maschi, si era creato un’intemerata fantasia della femminilità ideale, non insudiciata dalla realtà circostante, anche perché non aveva ancora alcuna esperienza del sesso reale né della vita di coppia. Quando poi venne rilasciato dal campo e messo a lavorare nelle fattorie circostanti, era ormai troppo segnato dalla vista di Huang Xiangjiu nuda per poter resistere al richiamo del sesso, senza contare la motivazione ben più utilitaristica di trovare una sistemazione in cui poter studiare e scrivere senza essere controllato, cosa assicurata solo da una casa propria. La curiosità e la fretta di conoscere finalmente il corpo femminile e di trovare un luogo sicuro lo convinsero a sposarsi, illudendosi che Huang fosse la donna che lui sperava che fosse, o che almeno condividesse le sue stesse opinioni e ambizioni politiche, anche perché la sua stessa raffinatezza da intellettuale gli impedivano di vedere nel matrimonio la sola gratificazione sessuale. Ma anche in questo caso, la sua costruzione della donna era fallace e destinata a deluderlo. Questo è anche un difetto della stessa classe intellettuale e degli effetti della repressione politica non solo nell’immediata sfera emotiva e sessuale, ma anche sulla stessa capacità di comprendere la realtà e di agire con consapevolezza. La sovrapposizione della sfera sentimentale e di quella politica nel romanzo rimanda anche allo svuotamento da parte delle autorità dell’istituzione matrimoniale, usata solo come pretesto o semplice abitudine, finché non si intromette una denuncia o una delazione a rompere ogni legame fra i familiari in nome dell’assoluta fedeltà al partito. La coincidenza fra sentimento e politica rimanda anche alla privazione per i prigionieri di ogni profondità morale, di ogni esperienza emotiva e sessuale e della loro stessa umanità, tanto che alla fine agiscono in preda ai più bassi istinti nuocendosi a vicenda; infine alla castrazione degli intellettuali, incapaci ormai di ogni spirito critico e indipendente. Privi dell’esperienza della realtà, essi cadono facilmente vittime di raggiri anche molto pesanti: lo stesso destino dell’autore venne segnato da una poesia del tutto

247 anodina in condizioni normali. A ciò va aggiunto che la realtà che hanno di fronte è intrisa a tal punto di politica che è il partito a crearla, narrarla e modificarla a piacimento, mentre gli intellettuali non hanno modo di capire come assecondarla se non annuendo ad ogni comando e obbedendo ad ogni contrordine. Il mondo in cui il protagonista vive la maggior parte della sua vicenda è poi situato a metà strada fra il campo di lavoro e il mondo civile, e in esso si mescolano le regole di entrambi: se il campo poteva addirittura sembrare un luogo protetto dalle campagne politiche che imperversavano all’epoca della Rivoluzione Culturale, questo spazio liminale partecipa di entrambi e in esso si rappresenta il dramma di una repressione ad un tempo emotiva e politica. La denuncia dell’autore, in particolare, prende di mira gli effetti disumanizzanti e distruttivi della repressione sessuale nella Cina contemporanea – ancora non esauritasi con la fine del maoismo, come dimostra anche solo lo scandalo provocato dall’opera Zao’an pengyou dello stesso autore – che provocano la distorsione della sfera sentimentale e soprattutto la soppressione della spinta creativa della parola. Rendendo sessualmente impotenti e inoffensivi i singoli, il potere politico riesce anche a impedire loro di esprimersi e di capire sé stessi. Uno dei personaggi del romanzo è colui che viene chiamato il Muto, poiché è stato reso incapace di esprimersi a parole per il terrore di dire qualcosa di troppo: egli incarna in pieno un’afasia politicamente indotta che impedisce a chiunque, e ancor più dolorosamente agli intellettuali, di farsi sentire ed eventualmente di dissentire. Se la Rivoluzione Culturale è spesso associata ad una rivoluzione sessuale, il momento della liberazione dei sentimenti e delle pulsioni, essa viene descritta come tale in particolare da Wang Xiaobo in Huangjin shidai (1992). La stessa opinione riguardo alla degenerazione degli intellettuali, o quanto meno il timore di essa, era sicuramente condivisa anche da questo autore più giovane: nella sua rappresentazione carnevalesca della Rivoluzione Culturale, descritta come un’orgia assurda di violenza e di sesso, egli dà una raffigurazione maliziosamente sovversiva del periodo come di un’utopia personale di liberazione proprio grazie al desiderio sessuale. Egli procede quindi a demolire anche linguisticamente le pretese di controllo e dominazione della politica sugli intellettuali. Questo «fallogocentrismo»232 individuato da Berry (2008, p. 265) nella Huangjin shidai è un meccanismo per fare fronte al timore di un’evirazione simbolica, rappresentata perfettamente dalla scena del romanzo in cui il protagonista assiste alla castrazione dei tori. La sessualità, descritta come il fulcro della ricerca dell’identità nel Novecento, sia in Cina che in Occidente (Larson 2003), è in Wang

232 Definizione di Derrida per indicare una fissazione sul fallo e sul linguaggio da parte del soggetto maschile per affermare il proprio potere sessuale e sociale. 248

Xiaobo un mezzo per resistere alla sottomissione da parte del potere e alla castrazione del soggetto: il protagonista del suo romanzo infatti è concentrato sul proprio pene come strumento del suo potere.233 Con Zhang Yonglin egli condivide la soluzione della riflessione di un intellettuale su di sé: l’esperienza sessuale diventa la «via maschile» verso la conoscenza (p. 37). Tuttavia, mentre Wang Xiaobo resiste al potere esibendo un atteggiamento indifferente alla realtà politica e concentrandosi sinceramente sulla propria interiorità per realizzare una piccola utopia sessuale lontana dalla società, Zhang Xianliang è pronto a rinunciare alla sua relazione sessuale appena riesce, superata l’impotenza, a immaginare un nuovo futuro per sé come intellettuale. Se da un lato quindi per Zhang Yonglin la sessualità e il rapporto con la donna ha un significato politico e la politica prevale per lui, per Wang Er, il protagonista di Huangjin shidai, la vita sessuale è direttamente in contrasto con la vita politica e il servizio per il popolo è irrimediabilmente denunciato come falso e ipocrita (p. 50). Mentre Zhang Xianliang descrive ancora un’utopia per molti versi politicamente collettiva e un’immagine dell’intellettuale di tipo tradizionale, Wang Xiaobo ha realizzato nel suo romanzo un’utopia sentimentale del tutto individuale. Sicuramente, però, l’esempio di Zhang Xianliang aprì la strada alla riflessione dell’autore più giovane. La vera rivoluzione in un contesto in cui ogni regola è sovvertita in nome del rovesciamento programmatico di ogni aspetto della società e del vivere civile, è il ritorno alla tradizione. Nel caso della sessualità si tratta del ritorno ad una sessualità normativa matrimoniale, che può anche essere un rifugio alla generale ipocrisia sociale: sotto la facciata della rispettabilità socialista e della dedizione alla rivoluzione molti comunque perseguivano i propri desideri, sessuali o alimentari che fossero – basti pensare al segretario Cao, che grazie alla sua influenza diventa l’amante di Huang Xiangjiu. Lasciamo da parte il fatto che, una volta raggiunto questo ideale perduto e compiuta la sua missione in quest’ambito, il protagonista inizi a disinteressarsi della vita matrimoniale. C’è in effetti qualcosa di più elevato di cui occuparsi, qualcosa di più importante da restaurare e da riportare alla normalità. Un altro tema importante che si lega a questo è il progetto del futuro e della modernità attraverso la sessualità e la libertà del desiderio: nella sua ricerca della donna e della domestic bliss, il protagonista ha forse in mente anche la costruzione di una piccola utopia personale e nazionale nel bel mezzo di un mondo repressivo, legato ad un passato epurato da ogni sconcezza, in cui si esprime al meglio il puritanesimo maoista e lo sfruttamento di tutte le passioni umane individuali per soli fini politici collettivi. Superare il bigottismo

233 Un personaggio che nel pene racchiude e dimostra la sua enorme potenza maschile è il patriarca del romanzo «Nel paese del cervo bianco» Bailu yuan 白鹿原 (1993) di Chen Zhongshi 陈忠实 (1942-), uno degli autori della «Ricerca delle radici». 249 dell’ideologia nella propaganda e l’anarchia sessuale nella realtà, soprattutto localmente, significa anche poter costruire un’alternativa per il futuro della Cina e contribuire ancora una volta al progetto della modernità che era da sempre l’ossessione degli intellettuali cinesi. In questo senso il sesso diventa uno strumento per la liberazione del singolo e della nazione contro il passato e la descrizione della Rivoluzione Culturale solo come epoca di repressione mentre, aggiungendo l’elemento erotico, si può iniziare un discorso critico che smonta a posteriori la propaganda monolitica del maoismo politico, rivelando che sotto la superficie della devozione al partito e al suo leader le emozioni e le normali pulsioni sessuali – per quanto vissute spesso come peccaminose e pericolose – esistevano ancora ed erano soddisfatte. Accogliere questa realtà può ridare fiducia anche nella “normalità” del proprio Paese e dei propri compatrioti e permettere così di guardare alla costruzione di un futuro altrettanto normale, in cui la Cina non si differenzi come caso clinico dal resto del mondo, soprattutto da un Occidente in cui la liberazione sessuale era da molto tempo una realtà consolidata. Inoltre, il desiderio nell’autore può essere nel suo caso un tentativo di dirigere in senso universale un’animosità ancora difficile da esprimere o sottaciuta, ossia la critica verso il sistema repressivo e il suo puritanesimo che in realtà non era cambiato con la fine del maoismo. Quest’animosità si spegne pian piano procedendo verso l’illuminazione buddhista e l’allontanamento dal desiderio inteso anche come violenza politica filo-denghista e anti- maoista. Infatti è solo con i diari scritti nei primi anni Novanta che l’autore riesce a fare davvero i conti con il suo passato e alla «Rivelazione di un materialista» si sostituisce l’albero bodhi di una più serena e onesta accettazione del passato. La storia è narrata in prima persona attraverso la focalizzazione del protagonista e occorre quindi distinguere l’autore dal narratore, soprattutto l’autore della prefazione, che rappresenta Zhang Xianliang/Zhang Yonglin molti anni dopo e il protagonista, che sembra scrivere la sua storia in presa diretta, è un giovane e immaturo sé stesso. In questa prospettiva Yenna Wu (1992) interpreta il resoconto del protagonista come poco affidabile e credibile, proprio a causa delle sue qualità antieroiche. A causa di quelle che si potrebbero chiamare dei disturbi cognitivi, forse il protagonista legge in maniera errata alcuni episodi della sua vita che potrebbero anche dirigerla in una direzione ben diversa: ad esempio, se Huang Xiangjiu si occupa della casa e del marito forse lo fa per creare un ambiente accogliente e compensare le diffidenze reciproche e la frustrazione per il fallimento della loro vita sentimentale, mentre Zhang Yonglin, distratto dal suo senso di inferiorità, crede che lei voglia imprigionarlo nella casa. La soggettività esasperata del protagonista-narratore lo

250 conducono a immaginare una realtà forse diversa da quella oggettiva e non abbiamo modo di saperlo, possiamo solo fidarci del suo punto di vista. Questo dimostra ancor più il predominio della soggettività sul pensiero e sulla descrizione oggettiva della realtà. Sebbene Zhang Xianliang sia divenuto celebre per essere un autore realista, la sua opera maggiore è talmente intrisa di elementi fantastici, surreali, immaginari e soggettivi da diventare quasi inattendibile e il fatto che la cornice storica, quella dei campi di lavoro, sia autobiografica aggiunge più che togliere valore a questo giudizio: essa costituisce una sorta di esca con cui l’autore distrae il lettore superficiale, interessato solo ad un resoconto da arcipelago gulag, e lo induce a credere a tutte le vicende veramente importanti, ossia quelle più intime e personali. Se infatti la sua impotenza è psicologica e non fisica – prova ne sia che guarisce superando d’un tratto i complessi che lo facevano sentire inadeguato – i suoi comportamenti fanno pensare a una sintomatologia tipica della PTSD, ossia il Disordine da stress post-traumatico, acquisito in anni di sofferenze nei vari centri detentivi per i quali era passato, lui come anche il suo autore. Alcuni sintomi sono sicuramente la sua megalomania, che crea un ironico contrasto fra la sua situazione attuale e le sue ambizioni di governo. Convinto di poter agire per aiutare Deng Xiaoping a prendere il potere e migliorare le condizioni della Cina, dimostra di non riuscire a concepire la realtà in maniera oggettiva, mentre la sua impietosa intransigenza verso Huang Xiangjiu per il suo adulterio lo indentificano come un caso clinico di PTSD, incapace di perdonare negli altri la minima mancanza perché vive nel terrore della trasgressione alle regole e ha introiettato il sorvegliante, la figura paterna. Sebbene riesca a superare la sua identità dimidiata, fa ancora molta fatica a distinguere la realtà dalla fantasia e spesso si comporta in modo intollerante, misogino o sociopatico (Williams 2008, p. 299). Il protagonista, incapace spesso di scegliere, di prendere decisioni ben ponderate, solo gradualmente riesce ad accorgersi della realtà intorno a sé: ecco che il disturbo cognitivo e l’immaturità del detenuto catapultato in una vita sociale a lui estranea si abbattono su di lui in una sorta di masochismo involontario, con conseguenze perfino ironiche (Wu 1992) nel contrasto fra il tono riflessivo dell’io narrante e il tono a volte sfrontato dell’io narrato. Del resto siamo portati effettivamente a credere a tutto ciò che racconta, soprattutto al livello della narrazione storica: tutti i particolari della vita nel campo e intorno ad esso sono fuori della portata conoscitiva del lettore, che deve necessariamente fidarsi del sopravvissuto. Inoltre, nel periodo successivo alla Rivoluzione Culturale, tutti i resoconti dei sopravvissuti e dei reduci erano considerati veritieri o quanto meno verosimili. Questa verosimiglianza coinvolge anche tutto il contenuto romanzesco: anche le vicende inventate acquisiscono

251 maggior verità e soprattutto la prospettiva dell’autore diventa assoluta. Ma ad una lettura più attenta, e anche sulla scorta di quanto lo stesso autore ci rivela delle condizioni di vita nei campi e dei riflessi psicologici e cognitivi di quella vita, dobbiamo per forza porci l’interrogativo: quanto di tutto questo è attendibile? Anche considerando affidabile la descrizione del contesto storico e rispettando la testimonianza del reduce, qual è la proporzione di invenzione nel romanzo, e soprattutto: quanto ha influito la distorsione dei sentimenti e della percezione che il narratore ammette di aver subito negli anni della prigionia sulla descrizione degli eventi? Forse, anche seguendo la destrutturazione della verità storica iniziata già con Lu Xun, negli anni Ottanta ormai la verità oggettiva cominciava a diventare tutto sommato relativa, soprattutto nelle opere di finzione: dopo anni di falsità ideologiche e propagandistiche la fede in una verità univoca era pressoché tramontata, e questo è ben visibile in narrazioni letterarie e cinematografiche in cui viene appunto rappresentata la scomposizione della realtà in prospettive multiple e spesso inconciliabili; del resto, poi, ormai contava di più la verità soggettiva dei sentimenti, merce fino ad allora molto, troppo rara, più che un esatto resoconto storico mai del tutto credibile. Per questo possiamo scindere l’ambito storico e memorialistico, che riguarda la cornice del romanzo, e la verità romanzesca che prevale nel bilancio. Anche il processo di crescita, maturazione e formazione del protagonista è un percorso di progressiva illuminazione, di consapevolezza: l’io narrante e l’io narrato sono divisi da «una differenza d’età e d’esperienza» (Genette 2006, p. 301) 234 e, senza voler associare il romanzo di Zhang Xianliang alla Recherche, anche in questo caso possiamo individuare un progressivo avvicinamento alla «rivelazione» di una verità. La stessa inaffidabilità o scarsa attendibilità del racconto fornitoci dal giovane io narrato emerge nella descrizione della moglie: forse lei non era davvero tanto egoista, insipiente e gretta, forse il maschilismo esibito dal protagonista e la sua ambizione, che gli fa dimenticare tutti coloro che gli stanno accanto, sono mezzi usati dal narratore adulto/autore per sottolineare il narcisismo e l’idealismo dell’antieroe del romanzo e farsene gioco. Questo stesso narcisismo ed egocentrismo lo portano a ignorare gli altri e i loro sentimenti (Wu 1992, p. 10). Il senso di rimorso che si può rintracciare nelle parole del narratore adulto allora

234 «La Recherche a questo punto si separa dalla tradizione del Bildungsroman per avvicinarsi a certe forme della letteratura religiosa, come le Confessioni di sant’Agostino: non solo il narratore ne sa (e in maniera tutta empirica) più del protagonista; egli sa in assoluto, conosce la Verità – una verità a cui il protagonista non s’avvicina con un movimento progressivo e continuo, ma che al contrario, e malgrado i presagi e i preannunci da cui si fa precedere qua e là, si abbatte su di lui nel momento in cui egli se ne trova, in un certo senso, più che mai lontano.» (Genette 2006, p. 301). La stessa natura confessionale dell’intera opera di Zhang Xianliang ha molto di religioso e di foucaultiano nel senso del disvelamento di segreti inconfessabili: se durante la prigionia i segreti inconfessabili che l’autore era obbligato ripetutamente a mettere per iscritto erano di natura politica, nella sua produzione narrativa essi diventano segreti personali, intimi e perfino imbarazzanti. 252 possono anche dimostrare la condanna per il proprio comportamento nei confronti di Huang Xiangjiu e una recriminazione per gli errori di gioventù. A questo punto si può ipotizzare, sempre sulla scorta di Wu (1992) che si tratti della satira di un intellettuale sviato dalla propaganda a sacrificare il proprio benessere e la propria felicità per perseguire delle vaghe ambizioni politiche. I simboli e le metafore, soprattutto quelli tratti dalla natura, occupano un posto importante nel romanzo: le canne dei giunchi che feriscono il protagonista dopo il suo primo incontro con Huang Xiangjiu possono apparire come simboli fallici che rappresentano la vitalità primitiva di cui ancora manca, inoltre essi feriscono il protagonista mentre si allontana dopo aver visto Huang Xiangjiu nuda, rievocando il timore della punizione per il suo desiderio. Ma è soprattutto l’acqua, la sua sovrabbondanza e la sua assenza a costituire l’elemento simbolico principale: essa è il simbolo femminile per eccellenza e rappresenta il mondo yin, il mondo delle passioni e del sesso. In questo modo, tale simbolo e spesso riferito al personaggio di Huang Xiangjiu: come si è già visto, è nell’acqua che lei si mostra la prima volta al protagonista ed è con riferimenti al mondo delle acque e dell’umidità che viene descritto il suo corpo. Anche l’umidità atmosferica gioca un ruolo nel definire la prevalenza dell’elemento yin nella storia: se nella prima parte prevale l’equilibrio delle acque delle risaie e degli stagni, nella seconda parte è l’eccesso a prevalere: da un lato l’aridità dell’altopiano, in cui solo sotto le ascelle di Huang si trova ancora dell’umidità, 235 e dall’altro lato l’inondazione e le piene dei fiumi. Il superamento di queste condizioni estreme coincide anche con il recupero o il raggiungimento ex novo di un equilibrio da parte del protagonista nel bilanciamento fra yin e yang nella sua stessa vita e questo è un altro esempio del legame e dell’accordo fra natura e protagonista. Il raggiungimento della potenza maschile è risultato di un controllo dell’elemento yin in diversi ambiti: dalla piena del fiume al rapporto con la donna; ritrovando la propria superiorità o quanto meno una certa solidità yang, egli può di nuovo affermarsi legittimamente come governante. 236 Il superamento della confusione generata in lui dall’elemento yin è dimostrato dalla calma con cui, dopo l’alluvione, riesce a contemplare il corpo nudo di lei, senza l’eccitazione tremebonda delle prime volte e si può

235 «在无边的干燥的空气中,只有她腋下有一点温暖的湿润。» (Zhang 2012, p. 57). «Nella sconfinata aria secca solo sotto le sue ascelle c’era un po’ di tiepida umidità.». Secondo Wu (1992) l’aridità rappresenta la liberazione del protagonista dal pensiero del sesso e la possibilità di preservare la propria identità e la libertà di riflettere. Anche Bourdieu (2009), studiando la cultura cabila, mostra come la distinzione oppositiva fra maschile e femminile si inserisce in un «sistema di opposizioni omologhe» fra le quali il secco e l’umido, il fuori (pubblico) e il dentro (privato). 236 Anche la luna, altro simbolo yin, trova ampio spazio nella narrazione: essa fa da sfondo all’espressione degli stati d’animo del protagonista, riflettendo con la sua comparsa e scomparsa l’indecisione di Zhang Yonglin, e conferma la verità di ciò che è avvolto nella semioscurità rispetto alla realtà illuminata dal sole. In questo modo il pallido lucore lunare stimola e accompagna la riflessione e le fantasie del protagonista (Seng 2010). 253 supporre che il desiderio della donna e del suo corpo sia perfino la metafora di una brama di svelare e di conoscere la verità (Fu 1999, p. 54).237 È inoltre interessante notare che esibizioni di mascolinità corporea in Lühua shu e in Tulao qinghua, nelle scene in cui il protagonista scopre il petto di fronte alle donne, avvengono sotto la luce del sole (yangguang 阳光). Inoltre, dopo il fallito abbraccio a Ma Yinghua in Lühua shu, quando il protagonista cerca di baciarla, egli in seguito afferma di sentirsi svuotato della propria energia, la stessa di cui prima si sentiva ricolmo, avendo appena conquistato l’amore e il rispetto della donna.238 Se il modello concettuale fondato sulla diade yin/yang può sembrare ormai superato, in realtà nell’orizzonte ermeneutico dell’autore, e ancor più del protagonista, esso era ancora attendibile e produttivo: Susan Mann (2011), supportata anche dalle ricerche di Tani Barlow (1994) e di Harriet Evans (1995) conferma che prima della Nuova Epoca, in cui il pensiero scientifico essenzializza nuovamente le differenze di genere come costitutivamente maschili e femminili e le incorpora nel sesso fisiologico, la distinzione principale era basata appunto sulla bipolarità yin/yang che «dava forma alle vecchie credenze sulla differenza di genere incorporata» (Mann 2011, p. 101).239 James Edwards (1976), citato dalla stessa Mann, inoltre, conferma che il generale silenzio intorno alle questioni sessuali in epoca maoista favorì la circolazione di idee tradizionali sul sesso: in particolare si consigliava agli uomini di conservare accuratamente la propria essenza yang evitando di sprecare le proprie energie nel coito, mentre le donne erano invitate a non sollecitare troppo gli uomini, perché possibilmente ansiose di restare incinte, altrimenti avrebbero portato all’impoverimento del seme maschile.240 Infine, Harriett Evans (1995)

237 Questa ricerca della conoscenza ha anche dei risvolti di genere: se la donna rappresenta la conoscenza e la verità, è l’uomo che deve scoprirla: l’uomo è il soggetto della ricerca e la donna viene così oggettivata. Ciò avviene in particolare e non a caso allorché il protagonista realizza la propria piena mascolinità e prende coscienza del proprio ruolo di intellettuale ormai potente. 238 «[…] 我真的像死了一般,刚才那如爆炸似的激情的拥抱,仿佛已耗去了我全部的生命。» (Zhang 1995a, p. 114). «[…] Mi sentivo davvero come morto, nel suo abbraccio di poco fa in cui l’eccitazione esplodeva, era come se la mia intera vita fosse già consumata». 239 Secondo Evans, poi, i concetti di yin e yang negli anni Cinquanta vanno intesi diversamente dalla tradizione: essi non sono più complementari ma asimmetrici, con la prevalenza di un autonomo e attivo desiderio maschile yang sulla passività, sullla gentilezza e sulla reattività dello yin; pertanto il desiderio femminile, libero dalla stimolazione maschile, è visto come pericoloso, anormale e aberrante (Evans 1995, pp. 372-373). 240 Anche in questo caso non si può fare a meno di pensare alle novelle di Pu Songling e alla tradizione dei chuanqi in cui il giovane viene simbolicamente messo in guardia di fronte al pericolo di una donna predatrice sessuale e vampira di essenza yang. In particolare, si pensi alla lunga tradizione degli spiriti volpe, continuata fino all’epoca Qing (e sotto altre vesti ancora continua nell’immagine di una più secolare e concreta femme fatale), assetate di essenza (jing 精) o di energia (caibu 採補). L’atto sessuale, poi, nella tradizione taoista, è da intendersi come scambio di fluidi e di essenze: ad esempio viene raccomandato di prendere il jing o la forza materiale (qi 气) dalla bocca della donna attraverso la saliva. La fonte più importante sul folklore legato alle volpi è Yuewei caotang biji 阅微草堂笔记 di Ji Yun 纪昀 (1724-1805), in cui si fa riferimento anche ai fantasmi come entità succhiatrici di essenza vitale, ma mentre questi ne hanno bisogno per conservarsi e non svanire, gli spiriti volpe vogliono raggiungere l’immortalità. Inoltre, solo gli spiriti femminili vogliono assorbire l’essenza jing attraverso il contatto intimo con gli uomini, perché gli spiriti maschili, essendone incapaci, devono uccidere le persone per ottenere lo stesso risultato. Sia i fantasmi che le volpi, quindi, nella loro natura predatrice di essenza yang sono espressioni del polo opposto, lo yin, inoltre temono la luce del sole (elemento yang) e il contatto con persone troppo yang, cioè troppo sane. Ovviamente, nella tradizione e nella letteratura sono presenti anche molti esempi di spiriti volpe 254 sottolinea come il tema sessuale non fosse completamente tabù durante l’epoca maoista: la legge sul matrimonio del 1950 aveva posto al centro della vita familiare l’amore e la libertà di scelta del partner, così da permettere la circolazione di molti materiali medici e didattici. Anche il pensiero eugenetico, che aveva avuto una certa fortuna nella pubblicistica di epoca repubblicana (Dikötter 1998), sembra essere ancora presente nella riflessione dell’autore: quando spera di poter superare la propria natura borghese sposando Ma Yinghua, spera al tempo stesso che i suoi figli possano avere del sangue operaio nelle vene. 241 La stessa eugenetica, sempre nel quadro della salvezza nazionale e del sacrificio del singolo per la collettività, entrava nella stessa legge sul matrimonio, che sconsigliava a chiunque soffrisse di disordini mentali, malattie ereditarie e perfino di impotenza di contrarre matrimonio. Questo, nella più generale legittimazione del sesso unicamente come attività riproduttiva, significava la negazione del sesso a chiunque fosse ritenuto “inadeguato” (Evans 1995, p. 367). Ad accompagnare la riflessione scientifica attorno al sesso nel periodo successivo vi era anche la proliferazione di un discorso letterario e cinematografico sullo stesso tema, che può benissimo essere percepito come la liberazione da un’autorità non solo politica ma anche religiosa, che agiva attraverso una serie di tabù e di credenze tradizionali ai quali la censura maoista, se non li aveva addirittura alimentati, aveva di certo permesso di sopravvivere. La naturalezza del desiderio, anche nell’opera postmaoista di Zhang Xianliang, viene così reinscritta in una più generale riscoperta della natura umana, che non poteva non avere a sua volta significativi risvolti politici. La satira del romanzo si appunta anche sull’aspetto linguistico e dimostra come il gergo politico abbia condizionato non solo la lingua, ma anche i rapporti interpersonali: nel caso dei litigi fra i due coniugi, sembra addirittura che essi conducano un interrogatorio reciproco. Anche in questo modo il romanzo dimostra come la politica si sia intromessa nei rapporti fra le persone e nei sentimenti umani, rovesciando i valori e confondendo le prospettive, deviando le normali pulsioni verso la sola direzione della rivoluzione e distorcendo i desideri e le passioni degli esseri umani. Gli slogan appaiono ovunque, anche nei giornali che tappezzano la camera di Zhang Yonglin e Huang Xiangjiu, le frasi di Mao vengono lette in continuazione dagli altoparlanti e non c’è scampo dalla presenza del Mao-pensiero e del Maospeak. La parola diventa uno strumento di governo e di controllo, con cui spaventare e sfruttare soprattutto gli intellettuali, che vengono talmente conculcati e inibiti da perdere

benefici e soccorrevoli. Tuttavia, molto spesso, proprio perché incarnata nella figura di una donna desiderabile, essa rappresenta la minaccia della tentazione carnale per il saggio, il letterato e in generale il maschio. (Hammond 1996) 241 «[…] 我还这样想,我和她结婚,还能改变资产者的血统,让体力劳动者的新鲜血液输在我的下一代身上。» (Zhang 1995a, p. 165). «Pensavo anche a questo: se la sposassi potrei anche cambiare il mio sangue borghese, e far fluire nelle vene dei nostri figli il sangue fresco dei lavoratori» (Zhang 1985, p. 167 con lievi modifiche da parte mia). 255 perfino la capacità di parlare. Spinti a credere agli slogan che sostengono che «il più stupido è il più intelligente» e nel tentativo di rifare la propria cultura in senso più materiale e pratico, molti prigionieri si lasciano andare. Il Muto, personaggio divenuto afasico per colpa delle persecuzioni e degli interrogatori subiti, è anche un enigma: non si capisce infatti se soffra davvero di un disturbo postraumatico o se finga per evitare altri interrogatori; in ogni caso, come per l’impotenza di Zhang Yonglin, anche il Muto soffre della somatizzazione della paura ed è spinto al silenzio e alla passività. 242 Da un lato la politica si intromette continuamente nella vita dei singoli, anche nei suoi aspetti più privati, come l’attività sessuale,243 ma dall’altro anche i singoli possono impiegare il sesso per resistere alla totale politicizzazione della loro vita. In effetti lo stesso autore sembra segnare con questo romanzo un passo in avanti nell’articolazione della sessualità, sia a livello personale e psicologico, che al livello storico e della rappresentazione letteraria.

242 Come notano Williams e Wu (2004) l’impotenza era una patologia assai diffusa tra i detenuti dei campi di lavoro maoisti. «This wide-spread impotence seems to have stemmed from a combination of chronic undernourishment, exhaustion from long hours of daily forced labor, puritanical Maoist ideology, and the psychologically debilitating round of mutual vilification and self-denunciation» (pp. 99-100). 243 Oltre all’intrusione di Cao nella vita familiare di Zhang, si ricordi ancora le immagini politiche di cui è ricoperta la camera di Zhang e Huang e i trattori ricamati sulla loro trapunta. Secondo Wu (1992) la violazione compiuta da Cao nei confronti di Huang Xiangjiu, personaggio identificato con la terra e con la Cina stessa, è una contaminazione della patria: allo stesso modo il tradimento da parte di Huang fa da contraltare al tradimento compiuto dalla sua patria nei confronti di Zhang come intellettuale (Wu 1992, p. 19). 256

4.3. «ABITUARSI A MORIRE» XIGUAN SIWANG 习惯死亡

Il terzo romanzo della serie autobiografica dell’autore è quello che meno si concentra sul ricordo delle proprie vicende biografiche per creare piuttosto una riflessione sul significato, il valore e il peso della memoria, oltre che dei suoi riflessi nella realtà presente, sulla posizione della Cina e dei suoi intellettuali nella nuova situazione mondiale e storica della Cina negli anni Ottanta e sulla possibilità di affrontare e di comunicare il trauma passato e di poterlo ricreare in una forma profondamente e perfettamente comprensibile attraverso il mezzo della scrittura. La letteratura è così uno strumento per elaborare il trauma della prigionia. Il dolore divenuto abitudine dopo anni di internamento provoca una frantumazione del soggetto in Zhang Xianliang e ciò si nota esplicitamente in questo romanzo, in cui il protagonista – che solo presumibilmente è sempre Zhang Yonglin, dato che non viene mai nominato244 – si sdoppia e addirittura si divide in tre nella versione originale del testo.245 Uno degli aspetti più notevoli nelle altre opere è la tenuta psicologica del personaggio di fronte a prove tanto difficili. La sua è la testimonianza di una grande tenacia, nutrita di grandi valori, in primo luogo la funzione salvifica della cultura e l’aiuto fondamentale della donna nella ricostruzione della propria identità. Zhang Xianliang fa parte degli scrittori riemergenti o ritornati, dopo le campagne contro gli intellettuali degli anni Cinquanta. Mentre questi autori pensavano a sé stessi come esiliati puniti per colpe proprie all’interno di un sistema razionale di premi e punizioni quale la dittatura socialista della RPC, i giovani istruiti, invece, che spesso erano stati Guardie Rosse, si consideravano vittime di tempi assurdi e di circostanze storiche del tutto anormali. Dopo essere stati descritti come l’avanguardia della rivoluzione e gli eredi della Lunga Marcia, erano stati spediti in campagna a lavorare con i contadini una volta esaurita la loro utilità politica. Gli autori esiliati a partire dagli anni Cinquanta, però, isolati dalla cultura mainstream del loro periodo e del decennio della Rivoluzione Culturale, soffrirono molto

244 Il ricordo di un episodio in cui il protagonista esce vivo da una pila di cadaveri dopo essere stato dato per morto, comune a questo romanzo e a Lühua shu, permette di ipotizzare che si tratti dello stesso personaggio. 245 Nella traduzione inglese del romanzo le persone vengono ridotte a due. Parlando dell’influenza di Shen Congwen sugli autori successivi, Jeffrey Kinkley rivela che «China’s spiritual and existential literary explorations in the late twentieth century recapitulated those of Shen Congwen and other modernists, much as the 1980s cult of “subjectivity” (主体) repeated the earlier generation’s discovery of the self. Shen split himself and an imaginary female companion into conscious and subconscious personalities to explore desire, memory, and illusions of reality in “Gazing at Rainbows” (看红录, 1941). In “Water and Clouds” (水云, 1943), a psychological autobiography contemplating how libido had shaped his romantic life and works, he cleaved his soul into mutually questioning narrative voices: ego, alter ego, and superego (cf. Zhang Xianliang’s [1936-2014] Getting Used to Dying [习惯死亡, 1989].» (Kinkley 2016, p. 187). Una simile scomposizione del soggetto in termini psicanalitici in cui la voce dell’Es coincide con quella del proprio fallo è presente nel romanzo di Alberto Moravia (1907-1990) Io e lui (1971). 257 per la privazione della lettura e della scrittura, ma ebbero anche della possibilità di restare lontani dalle forme letterarie degli anni più turbolenti e più culturalmente depressi della storia cinese contemporanea; questo permise loro di riprendere la loro attività di scrittori con rinnovato interesse e zelo in un’atmosfera del tutto nuova e molto più stimolante, riuscendo, pur faticando per rimettersi in pari dopo anni di isolamento, ad acquisire stili, temi e motivi del periodo della «liberazione del pensiero» sixiang jiefang 思想解放 (Hong 2007, p. 268- 269).246 In Xiguan siwang la sofferenza del protagonista è davvero insostenibile e assume i contorni di un incubo dal quale è impossibile scappare; per quanto il protagonista nel suo presente postmaoista cerchi di trovare rifugio nell’amore e nel sesso con le sue amanti, i ricordi traumatici della (paura della) morte continuano a perseguitarlo e «lo alienano al punto di disumanizzarlo» (Hong 2007, p. 304). I ricordi di quel passato diventano una prigione fuori dalla prigione fisica e sembra perfino che la riforma attraverso il lavoro sia divenuta – attraverso la tortura psicologica protratta dalla sua mente e attraverso la Nachträglichkeit247 – una violenta rieducazione della propria percezione della realtà condotta dal soggetto stesso, per quanto inconsapevolmente. Questa prigione interiore è ancor più disumana e disumanizzante, poiché impedisce al soggetto di trovare le coordinate della propria presenza e il senso della propria missione di letterato in un mondo già di per sé incomprensibile per un viaggiatore nel tempo quale ogni autore ritornato si sentiva nella Cina degli anni Ottanta. La divisione del protagonista in un “io”, un “tu” e un “lui”, sperimentata quasi contemporaneamente al romanzo «La montagna dell’anima» Lingshan 灵山 (1990) di Gao Xingjian, rappresenta uno dei maggiori esperimenti narrativi dell’epoca e una delle vette del modernismo letterario della nuova epoca. Considerato da Yeh (2010) il capolavoro dell’autore, Xiguan siwang è anche la dimostrazione della capacità dell’autore di scrivere non soltanto per il mercato, come molti altri scrittori contemporanei, opponendosi coraggiosamente anche alla censura ufficiale. Il romanzo, infatti, venne bandito dopo la sua pubblicazione per la natura troppo esplicita e scandalosa delle scene erotiche. Diversamente da Gao Xingjian, famoso per non accettare

246 Secondo Hong Zicheng (2007) Zhang Xianliang può essere collocato anche nella produzione detta «narrativa di problemi» wenti xiaoshuo 问题小说, ossia un’indagine letteraria sulle responsabilità della Rivoluzione Culturale e sulla natura e le origini dei problemi sociali più immediati e urgenti negli anni Ottanta. Hong individua un procedimento ricorrente nella stesura di questo tipo di narrativa, una «struttura concettuale» guannianxing jiegou 观念性结构 (p. 299) che si sviluppa nell’elaborazione di un tema, seguita dalla sua analisi e dalla sua riprova. A questo a volte si può aggiungere un commento da parte dei personaggi, alla cui vicenda è affidata anche la rivalutazione dei fatti del recente passato. 247 Il termine freudiano Nachträglichkeit si riferisce all’azione differita o all’effetto ritardato, un ricordo che può diventare trauma a distanza di tempo. «The intensity of the stimulus disallows the possibility of immediate response and implants into deep unconscious the psychic agitation, which lies dormant until years later, when relevant circumstances occur to reactivate the traumatic affect. In other words, trauma is a psychic affect that, not perceived instantly or directly, only inhabits the unconscious as deferred and unrepresentable experience» (Yang 2002, pp. 48-49). 258 compromessi sulle sue opere, Zhang Xianliang accettò un compromesso con il mercato occidentale, permettendo che nella versione inglese le tre persone in cui il personaggio era diviso nell’originale, venissero ridotte a due, un “io” e un “lui”, così da rendere l’opera più accessibile ad un vasto pubblico. 248 Questo permette di capire anche il dibattito, che attraversò la critica negli anni dell’apertura, sul doppio standard con cui la letteratura veniva prodotta in Cina: alcuni autori infatti erano accusati di scrivere più per compiacere il pubblico occidentale piuttosto che per i propri compatrioti. Come altri autori modernisti quali Ma Yuan e Can Xue, che contestano efficacemente il ruolo del narratore onnisciente e autoritario del realismo socialista ed esprimono al tempo stesso il desiderio di essere alla pari con la letteratura occidentale (Jones 2016, pp. 314-315), Zhang Xianliang in Xiguan siwang si dimostra anch’egli inserito nella letteratura d’avanguardia della fine degli anni Ottanta e l’inizio degli anni Novanta. La sua trilogia autobiografica si può dire che copra lo spettro della produzione letteraria del periodo postmaoista: Lühua shu è un esempio della «Letteratura delle ferite» o anche «del grande muro»249 e per molti elementi già anticipa la «Letteratura della ricerca delle radici». Per quanto ancora tematicamente legato al contesto della detenzione, il secondo romanzo autobiografico, Nanren de yiban shi nüren, è centrato particolarmente su un tema, quello della ricostruzione o la riscoperta della mascolinità, che è una delle preoccupazioni tematiche principali della «Ricerca delle radici». Il terzo romanzo, Xiguan siwang, ancora indirettamente influenzato dalla sua esperienza di prigioniero dell’arcipelago laogai, è però, quanto meno nella forma, pienamente postmoderno e d’avanguardia. La scomposizione della voce narrante in tre è interessante anche come forma di «retro-fiction» (Choy 2008) in cui all’unica voce della storiografia ufficiale l’autore oppone non solo la propria versione ma una pluralità di voci che dimostrano il tramonto della prospettiva puramente cartesiana dell’unità di corpo e mente nella descrizione del soggetto. Questa rilettura del passato è, come ricorda Choy, anche una riflessione sul presente e sul futuro del proprio Paese e in effetti nel romanzo trovano spazio esplicitamente un confrotno con un altrove fuori della Cina e il futuro in cui la vicenda e la vita stessa del protagonista finiranno. Le sue voci quindi sono un coro di contestazione e di critica al passato della politica e al presente del benessere. Tuttavia, rispetto ai suoi romanzi precedenti, con Xiguan siwang le cose si complicano: in questo terzo capitolo della sua saga autobiografica l’autore sfrutta le possibilità residue del

248 La stessa divisione nel romanzo di Gao Xingjian venne lodata dai critici occidentali (Yeh 2010, p. 700). 249 Michelle Yeh lo considera, insieme a Cong Weixi, l’iniziatore della «Letteratura del grande muro». Tuttavia, per la varietà e la profondità dei temi da lui trattati, la stessa Yeh riconosce che non si può ridurre Zhang Xianliang solo a questa definizione (Yeh 2010, p. 651). 259 realismo, esplorando al tempo stesso le nuove frontiere della sperimentazione formale, mettendo in discussione entrambi i modi narrativi e ampliando lo spazio interstiziale fra i due. Al tempo stesso, questa ambiguità metodologica permette di rendere anche formalmente la frattura e il confronto fra la Cina, ancora faticosamente intenta a ridefinire la propria identità culturale, e l’Occidente, principale fornitore di modelli alternativi alla tradizione autoctona e al realismo socialista. Paradossalmente, proprio mentre in Occidente la letteratura si stava muovendo dal soggetto all’oggetto (pensiamo anche solo al Nouveau Roman francese), in Cina gli scrittori tentavano ora di riportare la riflessione sul soggetto, spezzando i canoni del determinismo politico. Lan (1996) sostiene in maniera convincente che il romanzo, lungi dall’essere una pura e semplice sperimentazione di tecniche e temi modernisti, è piuttosto una combinazione di realismo e di modernismo. Se Zhang Xianliang aveva già rotto con le imposizioni del realismo socialista in ambito tematico, portando al centro il tema del sesso e della liberazione dell’intellettuale, con questo romanzo fa un passo ulteriore contestando anche le regole formali del romanzo socialista, spingendo inoltre ai limiti dello scandalo l’elemento sessuale, sempre trattato con evidenti implicazioni politiche. Il raggiungimento della libertà sessuale è il perseguimento della libertà politica espressa con altri mezzi e il protagonista si concede il massimo della licenza creativa; inoltre, non è un caso che nel romanzo tale libertà prenda corpo fuori della Cina: l’Occidente (come già in Lühua shu, in cui la casa di Ma Yinghua era chiamata maliziosamente L’“Hotel americano”) è visto come il luogo della lascivia e della decadenza, ma sicuramente anche della liberazione sessuale, che equivale per approssimazione alla liberazione politica. Nonostante ciò, questa liberazione non può mai essere completa, almeno a livello psicologico, poiché il protagonista è sempre perseguitato dalle immagini della violenza subita e soprattutto dal trauma supremo della paura di essere ucciso. Ogni volta che raggiunge un orgasmo, infatti, compare davanti ai suoi occhi l’immagine di un fucile che gli spara e il fantasma che qui ritorna, il revenant per eccellenza, è il suo stesso passato, è lui stesso in un altro luogo e in un altro momento: anche per questo la sua stessa coscienza si frantuma in tre persone diverse, mentre la morte fisica viene dichiarata fin dalle prime pagine come estremamente difficile. Come per il pazzo del diario di Lu Xun, anche Zhang Xianliang spesso dubita dei propri ricordi e della veridicità della ricostruzione che offre; di certo è spesso in dubbio sull’adeguatezza della lingua e della forma nel rendere conto dell’eccezionalità delle sue esperienze.250 Come poter rendere in parole per il lettore un trauma ripetuto, protratto e

250 Lo stesso autore è consapevole di quanto la lingua avesse iniziato a degenerare a partire dagli anni Cinquanta: le stesse parole avevano acquisito significati del tutto nuovi, ed erano diventate «rozze e indistinte» (词语变得粗糙,变得模糊). 260 logorante senza sminuirlo e definirlo in termini comprensibili e razionali? Come rendere in modo completo l’attendibilità e la terribilità del documento parlando da sopravvissuto e non da «sommerso»? Nella trilogia di Zhang Xianliang sembra di cogliere un processo di crescente elaborazione dei fatti raccolti nel ricordo e una contemporanea disgregazione della forma e dello stesso soggetto narrante, come se il tempo trascorso potesse permettere una riflessione sul dato mnemonico che ne rimette continuamente in dubbio la realtà e l’attendibilità, oltre a mescolare ad esso elementi di invenzione, per deliberate esigenze letterarie, oppure per un inconsapevole accavallarsi del ricordo reale con ricordi fittizi o immaginari. Nella testimonianza degli autori sussistono sempre contraddizioni e limiti: anche nel caso dei sopravvissuti dei campi cinesi, essi non potevano dire di aver visto l’orrore fino in fondo come coloro che non erano mai tornati (Levi 1986); il ricordo inoltre è inevitabilmente distorto e il linguaggio (linguistico e narrativo) consueto si rivela inadeguato a rendere l’eccezionalità della tragedia. Per questo motivo, in Xiguan siwang il protagonista del romanzo si divide in due: una terza persona, che rappresenta il testimone e una prima persona che invece è il sopravvissuto del trauma (Mühlhahn 2004) e la trama non riesce a trovare coerenza nel difficile dialogo fra coscienza e ricordo, fra memoria volontaria e involontaria. L’“io” che dà inizio alla narrazione dichiara che da tempo voleva uccidere “lui” e che alla fine ci riuscirà quando egli avrà compiuto sessantacinque anni. Se la vicenda inizia nel 1959 in un campo di lavoro del Ningxia, infatti, quando per la prima volta il protagonista e già sdoppiato e “raccontato” da una prima persona estranea a lui. Sempre nel primo capitolo la vicenda passa nel futuro, e precisamente nell’anno 2000, e racconta la sua dipartita, che sembra quasi coincidere con la fine della sua rieducazione. Tutto quello che viene collocato in mezzo a questi due momenti è la vita del protagonista, come se essa fosse solo un tempo in prestito, una forma di inerzia fra la consapevolezza della propria mortalità e la risoluzione del dilemma esistenziale.251 Il momento iniziale nel campo di lavoro, del resto, assomiglia al momento di illuminazione totale che travolge anche il pazzo di Lu Xun, e che rappresenta anche l’inizio della letteratura moderna cinese (Huang 2007): il protagonista del romanzo di Zhang Xianliang, vedendo la luna come se fosse la prima volta, riconosce in essa la forza vitale (zhaoqi 朝气) e non ha il coraggio di impiccarsi come avrebbe voluto fare inizialmente. Tutte le lune viste da lui successivamente saranno solo pallide imitazioni di quella luna

Sapendo di essere tornato da un altro periodo della storia cinese, egli sa che usando le stesse parole cui era abituato difficilmente riesce a farsi capire dal lettore odierno (Zhang 2008, p. 5). 251 Zhou (2006) vede nei due pronomi un preciso riferimento all’identità divisa del protagonista in corrispondenza del momento della sua prima esperienza della morte: “lui” si riferisce a Zhang Yonglin prima della sua rinascita, mentre “io” indica il personaggio nel presente. 261 originaria. Si tratta di una prima prova di morte, che però tornerà sempre a perseguitarlo nella sua vita civile; inoltre, quello è il momento in cui inizia lo sdoppiamento fra l’“io” e il “lui”, che potranno essere di nuovo uniti solo nella morte. Da quel momento, poi, la vita diventa solo una convenzione, un’abitudine, e inizia anche l’ossessione di lui per il mondo delle parole, al di fuori del quale, ossia in una realtà puramente materiale, egli si accorge che non vuole realmente vivere. Nell’anno 2000, poi, vedendo un annuncio per la cura delle malattie del corpo attraverso la morte corporea e la conservazione dello spirito nell’immaginazione dell’anima, “io” lo convince a sottoporsi a quel trattamento, tanto più che aveva ormai raggiunto l’età nella quale, secondo il «Classico della medicina dell’Imperatore Giallo» Huangdi neijing suwen 黄帝内经素问, i suoi reni si sarebbero ammalati e il suo pene si sarebbe avvizzito.252 Il suo desiderio è quello di entrare in paradiso, ma quale paradiso? Quello cristiano, quello musulmano, quello buddhista? La risposta è: quello comunista, l’utopia comunista. Tuttavia, ogni grande visione e ogni ideale eroico erano ormai finiti ai suoi occhi e non potevano più provocare in lui alcun sentimento: era stato ormai talmente logorato dalle numerose morti vissute da non poter più provare nulla. Piuttosto che cercare l’utopia, voleva rimettere insieme il suo spirito. Per questo ora cercava la morte. Lo strumento del suo suicidio sarebbe stato una delle armi da fuoco che avevano sempre attratto l’attenzione dell’io narrante, soprattutto nei negozi all’estero: esse tentavano l’io, che voleva tenerle in mano. Questo avrebbe infatti soddisfatto la sua idea di mascolinità.253 Pertanto acquista una pistola e dopo aver guardato a lungo dentro di essa decide dove puntarla per farla finita: “io” alla fine – ed è la persona che ha preso il sopravvento sulla terza persona – spara a “lui” scegliendo un punto del suo corpo estremamente simbolico: il pene. La testa è esclusa perché aveva già ricevuto troppi proiettili immaginari, il cuore nemmeno perché era già stato saccheggiato e tradito più volte. Siccome però egli aveva calpestato le donne tanto quanto era stato a sua volta calpestato da altri più potenti di lui, era il pene che meritava la punizione. Fino a quel momento la società aveva sbagliato obiettivo. Morendo con un sorriso sulle labbra, l’io vede davanti a sé una figura cristologica, immediatamente circondata dalle mura di una prigione, sulle quali sono scritti i terribili slogan della rieducazione: «Cambiare in bene il male – il futuro è glorioso»

252 «人到了 65 岁,肾气大衰,天癸枯竭, 和女人恋爱和做爱的心思与精力都一蹶不振。» (Zhang 1995b, p. 185). «Una volta giunto a sessantacinque anni, i reni si ammalano e il pene avvizisce, il pensiero e l’energia per amare e fare l’amore con le donne si esaurisce del tutto». 253 «我想象掂起一支枪来朝谁开那么一枪一定很合乎他所崇尚的男人的风度。 » (Zhang 1995b, p. 187). «Immaginavo di tenere in mano una pistola, per puntarla su qualcuno; questo, più di qualunque altra cosa si adattava alla sua idea di mascolinità». 262 e «Da ciascuno secondo le sue capacità – a ciascuno secondo i suoi bisogni».254 Questo è l’ingresso nel paradiso comunista. Il ritrovamento della propria identità però non è certo una conquista senza fatica: se nelle opere precedenti era sempre un io confessionale a dominare la narrazione, ora compaiono altre persone, altri lati della personalità con cui l’autore vuole dialogare e fare i conti. La conclusione di un difficile percorso psicologico di crescita e di maturazione alla fine fa emergere la terza persona del Romanzo, che

[…] segnala e completa il fatto romanzesco […] e fornisce ai […] consumatori [del romanzo] la sicurezza di una fabulazione credibile e tuttavia continuamente espressa come falsa. Meno ambiguo, l’«io» è perciò stesso meno romanzesco: esso è dunque nello stesso tempo la soluzione più immediata, quando il racconto si mantiene al di qua della convenzione letteraria […], e la più elaborata, quando l’«io» si situa al di là della convenzione e tenta di distruggerla riportando il racconto alla falsa naturalezza di una confidenza. […] In molti romanzieri moderni, la storia dell’uomo si confonde con la parabola della coniugazione: partito da un «io» che è ancora la forma più fedele dell’anonimato, l’uomo-autore conquista a poco a poco il diritto alla terza persona, via via che l’esistenza diventa destino, e il soliloquio Romanzo. Qui l’apparizione dell’«egli» non è l’inizio della Storia bensì il termine di uno sforzo che ha potuto dar luogo, liberandola da un mondo personale di umori e di movimenti, a una forma pura, significativa, e perciò subito svanita, grazie allo sfondo perfettamente convenzionale ed esile della terza persona. (Barthes 2003, pp. 26-28).

La distanza sottintesa alla moltiplicazione delle persone del protagonista serve a mettere in scena anche una rappresentazione dello scarto temporale fra il momento del trauma e la vita del protagonista nel presente (il futuro nella narrazione). In questo modo l’autore può confermare il superamento dell’epoca della modernità, quella della rivoluzione e del radicalismo maoista e inaugurare l’epoca postmoderna, ancora concepita come progetto futuro rispetto al presente della scrittura. Egli però non appartiene più a quest’epoca, e ne vive solo una parte, prima di soccombere. Lo stesso trauma storico non può essere evocato senza la necessaria distanza temporale e critica: nella sua confessione l’autore ha bisogno ad un tempo di creare in sé il testimone della propria vicenda e di parlare al pubblico, fingendo di dialogare solo con sé stesso.

254 «改恶从善,前途光明。各尽所能,各取所需。» (Zhang 1995b, p. 188). «Cambiare il male in bene, il futuro è glorioso. Da ciascuno secondo le sue abilità, a ciascuno secondo I suoi bisogni». 263

Parlando del cinema postmaoista, Zhang Xudong (2003) descrive il trauma come evento culturale proprio dell’epoca postrivoluzionaria, quando, nella sua forma di ricordo, esso può diventare esperienza sconvolgente prescindendo dall’esperienza concreta del passato: una «catarsi postrivoluzionaria» (p. 628). La storia appare così solo quando il momento traumatico viene riempito di immagini dell’esperienza personale e l’individuo dà loro un contenuto basato sulla propria memoria, riempiendo la storia di un significato, per questo «la vittimizzazione e il trauma sono mezzi privilegiati di esperienza, che promettono soluzioni formali e psicologiche ad un disorientamento ideologico» (p. 629). 255 L’autobiografia infatti non è tanto un processo riproduttivo quanto ricostruttivo e maggiore è l’intervallo di tempo fra gli eventi e la loro ricostruzione, maggiore sarà il grado di narrazione, autoriflessione e interpretazione: attraverso il ricordo l’individuo cerca di ricordare gli eventi del passato e di raggiungere un modo per esprimere sé stesso, alterando nel processo la propria soggettività (Mühlhahn 2004, p. 112-116). Il bisogno di trascendenza e di sublimazione che attraversa quasi come un percorso mistico e religiosa la trilogia256 si rivela anche in questo caso, in cui la morte ripetuta è un sacrificio continuo che esorcizza la spensieratezza borghese del personaggio e del periodo storico, così come la rivoluzione continuamente ribadita e rilanciata serviva nel progetto maoista ad evitare l’imborghesimento della società. In questo modo, oltre a conservare il modello maoista, l’autore riafferma il valore personale e storico dell’ordalia subita. Il tema della morte è inoltre legato anche al desiderio sessuale e alla potenza maschile: nonostante sappia quale sofferenza lo aspetti, il protagonista cerca sempre l’appagamento sessuale per dimostrare ad un tempo la propria vigoria maschile e la propria capacità di sopportare il dolore e la paura, replicando la scena originaria del suo trauma e assumendosi il ruolo paterno del castratore e punendosi da solo dopo l’atto libidinale (Lan 1996).257 In questo pendolo fra piacere e punizione si nota la consapevolezza del proprio ruolo di intellettuale ormai integrato e ammirato e dall’altro l’assorbimento del compito di punirsi, continuando la sua rieducazione in quanto «nemico del popolo». L’oscillazione del pendolo, che causa

255 «In other words, trauma and victimization must also be understood literally, that is to say, allegorically, as a product of the general pessimism and sense of defeat permeating the post-Tiananmen liberal intellectual world» (Zhang Xudong 2003, p. 629). 256 La sua rinascita era avvenuta più volte nei romanzi precedenti: prima con la sua educazione da autodidatta su Il Capitale in Lühua shu e poi con la resurrezione dalle acque in Nanren de yiban shi nüren. 257 Michel Berry interpreta il frequente intreccio di sessualità e di morte come un meccanismo narrativo e psicologico per far fronte al trauma: «[…] sex alternately provides a means of subverting, supplanting, superseding, or serving as a stand- in for various forms of violence. While the specific ways it does so vary widely, the startling frequency with which eros and thanatos crisscross, complement each other, and sometimes collide points to the conflation of sex and ecstasy with violence and pain as a fundamental aspect of the psychic and cultural imagination of trauma» (Berry 2008, p. 18). La mescolanza di amore e morte si può ritrovare fin dal racconto Chuwen in cui la ragazza di cui il protagonista si invaghisce e che è appassionata di cinema, gli mostra i trentasette modi di morire nei film che conosce e poi i trentasette modi di baciare degli attori nei film, provocando lo svenimento del ragazzo. 264 un profondo dolore nel protagonista, è anche il tentativo sempre frustrato di curare un eccesso con un altro, di allontanare la minaccia della morte con il piacere sessuale.258 A questo punto inizia la narrazione vera e propria, la vita di uno scrittore di successo reduce dei campi di lavoro e delle purghe maoiste. Per quanto sia divenuto benestante, possa viaggiare per il mondo e sia amato da molte donne – confermando così la desiderabilità tradizionale dell’intellettuale per le donne – è sempre perseguitato dalle immagini traumatiche della prigionia, che gli rovinano ogni piacere. Anche il profumo della soia, che molto spesso lo aveva salvato dalla fame e dall’inedia, torna a volte a confortarlo come una Madeleine plebea nei posti in cui soddisfa il desiderio di giacere con una donna. L’aspetto più sconcertante, ma anche centrale del romanzo, è che durante i suoi numerosi rapporti sessuali con diverse donne, al momento dell’orgasmo vede una pistola sparargli direttamente in testa. Come aveva detto “io”, il protagonista aveva già ricevuto molti proiettili in testa: era stato infatti punito proprio per la sua natura di intellettuale, ed era quella la parte del corpo che lo aveva reso colpevole. Inoltre, alla fine si suicida proprio perché è convinto di non poter più trarre piacere dal sesso e per questo la vita gli sembra priva di senso: la sua frenetica vita sessuale, infatti, appare soprattutto come la sfida alla morte di una vittima delle persecuzioni politiche (Ngai 1994, p. 104). Come la sua paura del fucile può essere spiegata come il timore di una spietata e castrante figura paterna anche la perforazione provocata dal proiettile immaginario in occasione dell’orgasmo può essere associata alla stessa penetrazione che fa dell’intellettuale maschio un soggetto femminile o femminilizzato nel momento stesso in cui crede di riaffermare la propria mascolinità con l’atto sessuale, di cui si dimostra in tal modo l’insufficienza come strumento per il recupero della propria identità di genere. L’unica figura paterna che avesse conosciuto l’autore anche nella sua incarnazione romanzesca era infatti l’autorità dei guardiani e dei rappresentanti del partito; inoltre, il valore metaforico del proiettile è spiegato anche in Nanren de yiban shi nüren, quando il cavallo castrato rivela al protagonista che gli intellettuali cinesi avevano tutti un proiettile nella propria testa. In questo modo l’esuberanza e l’iperpotenza maschile esibita in questo

258 Jing Tsu, sulla scorta di Gilles Deleuze, ricorda che il soggetto masochista, è portato a difendere sé stesso dai dolorosi sacrifici sociali che deve fare in quanto soggetto: per questo evita la realtà ed è spinto al feticismo «con tale zelo ed entusiasmo da usurpare la minaccia della castrazione rimettendola in scena e intensificando quella minaccia per mano di una donna» (Jing 2000, p. 290). In questo modo la sospensione e l’attesa sono cruciali, perché rappresentano l’orizzonte temporale soggettivo di resistenza all’ordine imposto al soggetto. Il masochista vuole essere percosso e ferito non per vittimizzare sé stesso ma piuttosto la figura paterna che è in lui, e anche per questo il masochista cerca ogni occasione per confessarsi e rivelarsi. Il soggetto cerca così di eliminare da sé la figura paterna, che però è sempre presente e, torturandola in sé stesso, la fa anzi rivivere, anche se lo scopo principale è la celebrazione del soggetto rinato nel segno della donna/madre. Lo stesso Freud notava come il feticismo nascesse dal desiderio di sconfessare la castrazione: utilizzando l’esempio della fasciatura dei piedi, dimostrava come gli uomini cinesi apprezzassero le donne perché si sottoponevano ad una castrazione che altrimenti sarebbe toccata loro (Jing 2000). L’amore per una nazione offesa e aggredita, è l’amore per sé stessi in maniera masochistica.

265 capitolo della saga autobiografica è puramente apparente: se la potenza maschile è tutto ciò che resta all’intellettuale, ancora sottoposto al controllo di un potere autoritario e castrante in termini sociali e “confuciani”, lo stesso momento del piacere viene demolito dal costante timore (che in sé è anche una rievocazione) della morte. Il potere maschile si esprime piuttosto con la potenza della rappresentazione, che però è in questo caso inficiata da una memoria dissociata e dall’incapacità psicologica e concreta di realizzare davvero la propria ambizione. Questo blocco si esprime nella frammentarietà della narrazione, semantizzando la forma. Inoltre, se consideriamo anche «la dimensione spettrale della narratività, […] il meccanismo psicoanalitico che fa della narrazione uno stratagemma per prevenire la morte […] ripetendola» (Wang 2004, p. 270)259 emerge come la stessa ripetizione finzionale della morte serve ad esorcizzarla, quanto meno dalla propria psiche. Ma al tempo stesso non si può non condividere il dubbio di Zhong Xueping (2000) secondo la quale, riprendendo l’analisi di Silverman (1992), la ripetizione del motivo della morte non è solo un tentativo di superare il trauma ma anche l’espressione del desiderio di restare con quel trauma cedendo alla pulsione di morte che spinge a rivivere esperienze dagli effetti paralizzanti, che rendono normalmente il soggetto passivo e l’ego incoerente. Mentre Silverman, ritiene che la mascolinità marginale alla fine accetti la sua marginalità, Zhong invece sostiene che il protagonista del romanzo rimetta al centro, attraverso il tema della morte, la centralità del sacrificio maschile e quindi la sua mascolinità. Il tema del masochismo e dell’esaltazione megalomane del proprio dolore, sebbene frutto anch’esso di una mente traumatizzata, viene spesso volto in successo e in trionfo, anche per recuperare la propria fiducia e dignità maschile. La mescolanza del realismo e del modernismo nel romanzo di Zhang Xianliang si nota là dove l’autore non riesce ad annullare del tutto la propria voce e la propria presenza soggettiva, ma deve assolutamente commentare direttamente gli eventi e le vicende. Del realismo sicuramente mantiene la funzione sociale della letteratura, che non può essere un semplice esercizio retorico o uno svago personale, ma deve influenzare la realtà sociale e politica intorno a sé. Anche il tema della soggettività, comunque, viene trattato in questo caso nella maniera sovversiva tipica del modernismo: la tecnica e la struttura del romanzo infatti è una celebrazione della soggettività dell’autore. L’umorismo nero che emerge in alcuni episodi, in particolare nel rinvenimento di uno scheletro nel campo di lavoro è uno di questo elementi

259 «[…] the spectral dimension of narrativity, which calls attention to the ties between narrative, the repetition impulse, and the death wish. I have in mind the psychoanalytical mechanism that makes narrative a ploy to pre-empt death – a precondition of all humanity – by rehearsing it.» (Wang 2004, p. 270). 266 catalizzatori della soggettività, che al tempo stesso sottolinea la disperazione e il vuoto spirituale di chi vive molteplici morti e anche di chi vive in un’epoca senza più un pensiero forte e confortante, oltre ad essere un memento a vivere una vita piena consapevoli del proprio passato e delle possibilità future.260 La scoperta dello scheletro femminile viene descritto come la visione di una donna nuda: alla voce che ci fosse una donna nella steppa tutti gli uomini si eccitano, e lo saranno anche dopo aver capito che si tratta solo delle ossa di una donna, che effettivamente, non poteva essere più nuda. La contemplazione di quelle ossa diventa anch’essa un fatto politico: quello scheletro ironicamente diventa il risultato della politica maoista, che nel pretendere sacrifici dai cinesi li aveva perfino spolpati della carne. Lo scheletro è anche la sintesi dei due temi centrali del romanzo: la violenza politica e il tema erotico; in questa ironica mescolanza di amore e di morte emerge, consapevolmente o meno, la stessa riflessione di Baudrillard (1984) e prima ancora di Bataille (Sontag 2003) sulla carica erotica e quasi pornografica della morte nell’immaginario contemporaneo e nell’iperrealtà in cui si smarrisce l’orizzonte del senso. La stessa oppressione politica è l’origine della frantumazione del soggetto, che a livello narratologico esprime bene la prospettiva modernista di una realtà che non può essere compresa con un’interpretazione oggettiva e unilaterale, ma che è sempre fluida, incostante e filtrata necessariamente dal soggetto. Il soggetto a sua volta non è unitario ed è quindi privo di una percezione unilaterale e oggettiva dei fatti. Anche la società viene condannata come responsabile di «vite personali anormali».261 Anche il tempo, variabile della coscienza, non è più lineare né progressivo, ma è scomposto e multidirezionale e per questo la narrazione non è più lineare ma interrotta dalle associazioni dell’inconscio e della memoria. Ciò non è solo un’imitazione di modelli stranieri, poiché anche il sogno della farfalla di Zhuangzi

260 Ciò che aggiunge forza e anche ironia all’immagine è anche il suo inserimento in una lunga tradizione di amletiche contemplazioni di teschi e scheletri, di cui dà conto Idema (2014), una tradizione che parte dal racconto di Zhuangzi che ridà vita ad un teschio, fino alla rielaborazione da parte di Lu Xun della stessa storia in chiave satirica in Gushi xinbian. L’immagine dello scheletro ritrovato da Zhuangzi era legata alla predicazione di Wang Chonyang 王重阳 (1113-1170) fondatore del Daoismo Quanzhen 全真 nel Dodicesimo Secolo: «On the one hand, the abandoned skeleton by the roadside stimulates the passing observer to lament the brevity of human life and the foolishness of those who do not timely seek salvation. On the other hand, every one who neglects to pursue enlightenment can be compared to a walking corpse, a living skeleton.» (Idema 2014, p. 2). L’immagine è anche rappresentativa di una delle caratteristiche fondamentali del postmoderno e della sua espressione nella letteratura (Wang Ning 1993), ossia la letteratura d’avanguardia: la parodia e la descrizione ironica della violenza e della morte. Tale parodia spesso, come in Yu Hua, prende la forma di una rilettura di storie classiche: in questo caso sembra di assistere nuovamente alla riapertura della tomba di Du Liniang ne «Il padiglione delle peonie» 牡丹亭 Mudan ting (1598); solo che in questo caso il corpo dell’amata non riprende vita ma è solo uno scheletro. 261 «[…] 不正常的社会进程造成了众多命运的不正常» (Zhang 1995b, p. 227). «Uno sviluppo anormale della società produce l’anormalità della vita collettiva». Lo stesso narratore del romanzo Xiguan siwang ammette di essere stato deformato dalle sue esperienze: «他想到肯定有人终生在追求平凡而最后却极不情愿地成了不平凡的人,譬如他自 己。卓越的不平凡全是被环境所逼,完全跟盗窃和杀人相同。» (p. 233) «Capì che alcuni trascorrono tutta la vita cercando di essere normali, ma alla fine scoprono con grande disappunto di essere anormali, come lui stesso. L’estrema anormalità era stata provocata dall’ambiente, come capita ai ladri e agli assassini» 267 ritorna con forza per mettere in dubbio il presente e, nel caso di Zhang Xianliang, anche per criticarlo, riproponendo sempre il passato e il suo fantasma.262 Anzi, è lo stesso protagonista ad essere un fantasma, un residuo del suo stesso passato, e del passato dell’intera nazione tornato ad infestare un presente troppo facilmente sedotto dall’oblio e dal benessere materiale. Un’altra caratteristica del romanzo modernista, o ancor meglio del romanzo postmoderno è la sua natura frammentaria: in linea con il concetto del testo e della letteratura come “traccia”, il romanzo si presenta come una raccolta di lacerti, come anche di brevi lampi di coscienza e di memoria da parte del protagonista e della sua triade interiore, che produce una narrazione appunto schizofrenica. L’ansia, la depressione, la rassegnazione del protagonista sono sentimenti molto moderni nell’ambito cinese, per quanto forse tardivi nel contesto letterario mondiale. La confessione dell’autore, iniziata con Lühua shu, ora si fa sempre più destrutturata e anche il legame con la propria memoria, fondamentale per ogni racconto autobiografico, sempre più labile. Tuttavia, del realismo l’autore conserva, oltre alla funzione sociopolitica della letteratura, anche la logica del mondo in cui vive. Vedendo nella sua contemporaneità la memoria collettiva svanire e perfino essere rinnegata in nome del progressismo e dell’ottimismo del nuovo corso politico ed economico, Zhang Xianliang rifiuta l’oblio e la menzogna e denuncia ancora una volta lo spettacolo crudele, assurdo e carnevalesco del passato, cercando con difficoltà di ricomporlo e di incorporarlo nel suo presente, dimostrando l’effetto narcotico e deviante dell’oppressione politica anche sulla capacità di tenere unita la propria mente e la propria memoria. Paradossalmente, la frantumazione del soggetto e la varietà di prospettive attraverso la quale la realtà viene letta è qualcosa che deriva dal presente: la realtà attuale del protagonista, ormai affermato, è troppo bella per essere vera, sembra perfino un sogno e per questo è descritta come tale; dall’altro lato, la formula realista e l’oggettività narrativa – per quanto mitigata dall’ironia e dalla malinconia – sono riservate ad una realtà che l’autore conosceva fin troppo bene: il passato della prigionia (Lan 1996). Vi sono anche particolari relativi alla psicologia del narratore, i quali rivelano la presenza dell’autore e la sua soggettività, infusa nel protagonista, e ancora una volta la natura

262 «[…] 吻她的时候你只要闭着眼就会在两个梦中失去自己:究竟在十几个劳改犯同睡的号子里你独自在被窝里 搂着女游击队长或女医生睡觉时真实的,还是就在一张床上做爱时真实的?» (Zhang 1995b, p. 209) «Baciandola puoi solo perderti in due sogni a occhi chiusi: è vero che sei tu, prigioniero in mezzo a una decina di altri detenuti, a sognare di baciare una gurerrigliera oppure una dottoressa nel sonno, o è vero che sto facendo l’amore su un letto?». Secondo Yang Xiaobin (2000) una delle origini della letteratura d’avanguardia è anche il recupero del pensiero daoista e del buddhismo zen, in cui il soggetto lirico può essere dislocato e decentrato, contribuendo al senso di esilio del soggetto finzionale e narrativo e rimettendo anche in discussione la linearità del tempo storico e la possibilità di comprendere come un tutt’uno la vicenda del soggetto.

268 confessionale della trilogia. La figura della madre, fondamento emotivo della sua vita, e il suo legame con lei, ad esempio, vengono descritti come la base di tutti i suoi rapporti con le altre donne. In questo emerge anche la sua totale mancanza di esperienza con le donne, già emersa in Nanren de yiban shi nüren e ammessa anche dall’autore stesso, incarcerato in giovane età e rimasto lontano dall’altro sesso per molto tempo. Lan (1996) nota anche che la discrasia fra modernismo e realismo nel romanzo si assottiglia sempre più a mano a mano che la narrazione si avvicina alla fine e la sua ricerca di libertà, che era anche una fuga dalla Cina, e si risolve nel ritorno alla propria patria, come il ritorno alla madre dopo le avventure con altre donne. In particolare, il protagonista ritorna dalla sua vecchia amante, nelle montagne degli altopiani centrosettentrionali. La donna, nei venticinque anni della loro separazione era stata sposata con tre uomini e in lei ritroviamo le figure femminili che davvero avevano aiutato il protagonista a ricostruire la propria coscienza e la propria soggettività maschile negli anni delle maggiori difficoltà: rivediamo Ma Yinghua e anche Huang Xiangjiu. In questo modo la storia, letta anche come una sorta di caizi jiaren xiaoshuo, è innovativa rispetto alla matrice originaria: anziché abbandonare la donna che gli aveva permesso di crescere e diventare l’intellettuale di successo che poi era divenuto, egli ritorna da lei, rinunciando a molte delle lusinghe della modernità e di una grande libertà sessuale ed economica. Il ritorno alla madrepatria, identificata anche con i lavoratori che la popolano, con la natura che le dà corpo e anima indipendentemente da qualunque potere sia temporaneamente al comando, riprende lo stesso sincero patriottismo mostrato dall’autore nelle sue prime opere, soprattutto quella che gli costò la denuncia e la condanna a vent’anni di reclusione, Dafeng ge. Questo ritorno alle origini, tuttavia, si compie nell’opera di Zhang Xianliang attraverso una lunga ordalia che lascia tracce profonde nel suo animo e nella sua produzione: Xiguan siwang, pur conservando temi e intenzioni simili a quelli delle sue prime prove, è ben diverso da esse: la sua forma, che acquista un valore significante e perfino politico, indica come venga esaltato al massimo grado lo spirito soggettivo dell’individuo, contro il collettivismo autoritario della narrativa socialista. I temi trattati, poi, sono nettamente diversi: il sesso e, in questo romanzo, la morte da un lato scandalizzano e incrinano il generale ottimismo dell’epoca, mettendo al centro la vita interiore e la volontà del singolo, in vista della costruzione di un nuovo umanesimo. Ritornando a Braester (2003) si può spiegare anche la coesistenza di due modi tanto diversi di narrare come il modernismo e il realismo: se la resa letteraria della sofferenza è impossibile da veicolare in maniera completamente oggettiva, la scrittura diventa la raffigurazione vertiginosa e quasi pittorica della confusione, della paura,

269 dello sconvolgimento della coscienza; inoltre, la poetica maoista pretendeva la piena identificazione fra autore e masse ed escludeva la possibilità di molteplici significati attribuiti alla realtà.263 Quando fu possibile, nella Nuova Epoca, contestare il monopolio della rappresentazione e della significazione del realismo socialista, gli autori si trovarono privi di mezzi formali e linguistici per ricreare la storia recente. Nel caso di Zhang Xianliang, a proposito di Wo de putishu (ma il ragionamento può essere applicato anche a Xiguan siwang), Braester nota che: «[…] in quanto vittima o narratore, l’autore non ha alcun accesso diretto alla sua esperienza. […] Il narratore dubita della veracità dei suoi ricordi e perfino della sua salute mentale.» (Braester 2003, p. 24). Mentre fa i conti con l’inattendibilità dei propri ricordi, l’autore sfida anche la sfera pubblica, mettendola a confronto con la sua realtà interiore: per questo la testimonianza di Zhang Xianliang è importante non tanto per la descrizione di fatti reali, né per i pensieri privati ma per «gli interstizi in cui la narrativa, il tempo e la storia cessano di esistere» (Braester 2003, p. 146).264 La frantumazione del soggetto dopo anni di prigionia hanno reso talmente debole la sua personalità da fargli addirittura dubitare di essere mai stato integro.265 Si può pensare che la scrittura di Xiguan siwang sia la definitiva liberazione dell’autore, e quindi la conclusione della sua terapia di riabilitazione post-traumatica contro il potere schiavizzante di una scrittura autoritaria e spesso forzata: basti pensare alle numerose confessioni obbligatorie scritte durante la prigionia, a cui i prigionieri, e in particolare gli intellettuali, finivano sempre per credere, perdendo invece la fede nella cultura che avevano conosciuto e imponendosi di seguire ciecamente i capi anche negando la realtà, diventando pennivendoli di regime e infliggendo a sé stessi una ferrea autocensura. Tuttavia, questa liberazione dell’autore è messa in discussione dalla persecuzione delle immagini del passato e dall’incapacità, nonostante il passare del tempo, di superare il trauma: se prima le difficoltà materiali e la penuria di cibo permettevano facilmente di trovare un senso alle proprie azioni e ai propri pensieri, ora che è stata raggiunta l’età dell’abbondanza (ancor più se si pensa che il romanzo è in parte ambientato perfino in un prossimo futuro), e quindi ci si può facilmente soffermare a riflettere sulla propria vita, è ancor più difficile rivedere e rivivere gli episodi più traumatici. La ripetizione del dolore in seguito ad una vittimizzazione prolungata infatti è parte dei disturbi di una sindrome postraumatica (PTSD):

263 «True to Marxist doctrine, Mao regarded literature as a reflection of society rather than as a form of negotiating with different perceptions of reality.» (Braester 2003, p. 22). 264 È lo stesso spazio interstiziale di cui parla Lan nel descrivere in termini formali l’abilità dell’autore di esplorare la distanza fra modernismo e realismo. 265 All’inizio di «Il mio albero bodhi» Wo de putishu 我的菩提树 (1994), l’autore si presenta dicendo che «Un coltello affilato aveva tagliato a metà la mia vita – la metà di cui ero consapevole era stata gettata in questa landa sterile. Dove fosse l’altra metà non ne avevo idea; non ero nemmeno sicuro di essere stato integro prima.» (Zhang 1996, p. 9). 270 i fenomeni di ripetizione infatti ne sono uno dei sintomi tipici: «[…] [nella] forma di ricordi intrusivi, esperienze rivissute in termini somato-sensoriali, o repliche in termini comportamentali del trauma» (Herman 1992, p. 386). La lingua e le sue sfumature potevano essere sempre usate contro i detenuti e solo gli intellettuali erano in grado di padroneggiarle; essi non temevano le percosse, ma le parole e le critiche scritte. Essi rischiavano più di altri perché, diversamente dai criminali comuni, considerati «contraddizioni interne al popolo», erano «contraddizioni fra il popolo e il nemico» (Zhang 1996, p. 77). Questa linea di demarcazione fra gli intellettuali e il popolo aveva anche impedito al protagonista di avere dei rapporti umani, il «grande maestro», ossia Mao, lo aveva separato da tutti, perfino da sua madre.266 Togliendo ad un uomo ogni diritto, compreso quello di amare e di essere amato, resta solo la natura animale, che cerca la mera sopravvivenza; la natura umana non è astratta, ma è la somma dei rapporti sociali: se anche il corpo è sano e la sussistenza è garantita, la mente in queste condizioni non può che subire dei danni. Nella prigionia non potevano esserci rapporti sociali normali e quindi il rischio era di degradarsi e di perdere la propria identità di intellettuale. (Zhang 1981b, p. 358).267 La scrittura del diario durante la prigionia, come unica fuga nella libera creazione, per quanto sintetica e oggettiva, rappresentava un mezzo fondamentale di resistenza e di riaffermazione della propria identità di intellettuale e di scrittore. La stessa interpretazione sovversiva e disturbante della scrittura si ritrova allora in Xiguan siwang, scritto però quando le costrizioni fisiche e materiali della vita nei campi di lavoro erano superate, in un’epoca in cui però la difficoltà maggiore consisteva piuttosto nel conservare il ricordo e l’esperienza di un soggetto coraggiosamente contrapposto alla realtà oggettiva. «Se il trauma è vissuto come l’esistenza in un altro mondo, per Zhang la penna ha tiene insieme i due mondi.» (Braester 2003, p. 151). Se la stesura del diario di prigionia, avvenuta nel 1994 segna, con il passaggio dalla narrativa autobiografica alla prosa memorialistica, la fine del suo percorso

266 La critica nei confronti della politica prende di mira direttamente Mao, responsabile della ripetuta morte (e quindi del trauma prolungato) del protagonista: «我叹息还是毛泽东说得对,我和你之间根本 “没有共同的语言”。对不起!我 尽管被她老人家杀死了一百次但正是因为他杀我的次数太多而使我习惯于用他的意思去判断人间的一切,包括 你我的爱情在内, 如果你我之间还有爱情的话。» (Zhang 1995b, p. 303). «Temo che Mao Zedong avesse ragione a dire che fra noi “non c’è un linguaggio comune”. Mi dispiace! Anche se il vecchio mi ha ucciso un centinaio di volte, è proprio per tutte le volte che mi ha ucciso che sono abituato ad usare le sue parole per giudicare la realtà umana, compreso il nostro amore, se c’è ancora amore fra noi.» 267 «当一个人完全认为自己有罪,除了劳动权之外被剥夺了一切社会权利,甚至被剥夺了爱与被爱的权利以后, 剩下的还有什么呢?只有一种动物的求生本能罢了。我躯体健康,但大脑却有了病变,开始出现精神上的返祖 现象。人性不是抽象的,是一切社会关系的总和。而当时我所处的社会关系,也许会造成别的什么种种人,但 决不会造就出一个作家。» (Zhang 1981, p. 358). «Quando una persona crede fermamente di essere colpevole e, tranne il diritto di lavorare, è spogliata di tutti i diritti, compreso il diritto di amare e di essere amato, che cosa ne resta? Solo l’istinto animale alla sopravvivenza. Fisicamente ero sano, ma la mia mente aveva subito dei danni e iniziavo a mostrare segni di involuzione. La natura umana non è astratta, è la somma dei rapporti sociali. Ma i rapporti sociali che avevo all’epoca potevano forse creare qualche altra specie di uomo ma non certo uno scrittore.» 271 di redenzione – e non è casuale un ulteriore riferimento religioso nel titolo del diario – Xiguan siwang ne è ancora la penultima tappa, quella in cui le certezze della ragione e le possibilità della rielaborazione finzionale vengono messe alla prova prima di riflettere pacatamente e ricostruire il passato. Xiguan siwang è l’apice del trauma, il romanzo in cui esso dà i risultati psicologicamente più devastanti, tali da intaccare perfino il linguaggio, la causalità e la linearità temporale del racconto: esso ci fa perfino dubitare che l’autore/narratore possa riuscire a superare il peso e gli effetti del trauma. Nel diario, invece, abbiamo la prova che esso è stato definitivamente elaborato e metabolizzato, riscoprendo ancora il valore salvifico della scrittura, anche se scriverlo significa rivivere le stesse dolorose esperienze e la coscienza si spezza ancora nel ri-membrare il proprio io del passato.268 In una certa misura, quindi il romanzo e il diario sono strettamente connessi e dimostrano l’incomunicabilità – anche a sé stesso – dell’esperienza traumatica attraverso la scrittura, la cui unica utilità a questo punto sembra la riproposizione del trauma stesso. La difficoltà di gestire la distanza fra passato e presente, fra scrittura e realtà, fra l’io passato e l’io presente sono alla base dello sperimentalismo di Xiguan siwang, dal quale non è estranea l’insopprimibile tradizione del realismo nel dare un senso, personale e sociale, alla scrittura. Il realismo si sente ancora nella concezione della letteratura come missione, nel prevalere del contenuto sulla forma (per quanto sperimentale sia), nell’uso di mezzi linguistici condivisi dal pubblico implicito; il modernismo invece appare soprattutto nell’esaltazione del soggetto e della coscienza individuale, libera dalle convenzioni logiche dell’oggettività, dall’asservimento al lettore e dall’autorità della tradizione e nello sfasamento delle persone dell’autore e dei piani temporali della narrazione. Se la memoria e la sua conservazione sono importanti, sia per l’individuo che la collettività, il suo esercizio, tuttavia, è tanto doloroso quanto necessario: nel romanzo il narratore si domanda se non sia più facile per la letteratura smettere di rivivere il passato e limitarsi a descrivere un glorioso futuro, lo stesso che molti immaginavano nel periodo delle riforme. È sicuramente più facile – prosegue il narratore – illudere il popolo con promesse, o addirittura portarlo alla morte, piuttosto che svegliarlo.269

268 La scrittura del presente ridà corpo al passato e riattizza il dolore: «Zhang draws atttention to how writing reinforces the traumatic experience at a nearly corporeal level.» (Braester 2003, p. 154). 269 «[…] 我听人说没有忘却便没有幸福,我才知道我以后全部的不幸并非环境所逼而是出于自己非凡的记忆力。 […] 如果文学不去描写和叙述过去,只向人们展示美妙的前景(那里肯定存在着一个光辉的“意义”),我们一定 生活得比现在幸福得多。[…] 我又悟到了要使人死亡和痴迷比叫人清醒容易得多。» (Zhang 1995b, pp. 322-323) «[…] Si dice che senza oblio non c’è felicità: io so che le mie disgrazie non sono state provocate dall’ambiente ma dalla mia eccezionale memoria. […] Se la letteratura non descrive e racconta il passato, mostrando alle persone solo uno splendido futuro (in cui sicuramente sopravvive un senso di “radiosità”), potremmo vivere molto più felicemente di adesso. […] Ho capito che è molto più facile illudere o far morire le persone piuttosto che risvegliarle». In questo sentiamo certamente un’eco del dilemma della casa di ferro di Lu Xun, di cui parla l’autore nella prefazione a «Chiamata alle armi» Nahan 呐喊 (Denton 1996, pp. 238-242). 272

L’anno di pubblicazione del romanzo sarà anche l’anno delle proteste di piazza Tian’an men, dopo le quali gli intellettuali, nuovamente controllati e sospettati dalle autorità politiche, rinunceranno all’impegno politico e alle sperimentazioni dell’avanguardia per abbandonarsi alle lusinghe della letteratura commerciale di massa. Se apparentemente le opere di Zhang Xianliang non sembrano particolarmente critiche nei confronti del potere, possiamo considerare anche solo la natura innovativa e perfino sovversiva della forma: come per Wang Meng, che appartiene alla sua stessa generazione di scrittori e che per molti versi ebbe esperienze simili, l’attenzione alla scrittura, al “come” più che al “cosa”, e soprattutto l’utilizzo di una forma radicalmente lontana dai dettami del realismo ispirata da accorgimenti modernisti, rappresentano «una forma letteraria di dissidenza» (Lee 1985, p. 160).270 Autori realisti che ora si prestano a simili esperimenti infatti non abbandonano l’ancoraggio alla realtà ma liberano la realtà dal peso della politica: in particolare, il mescolamento di piani temporali implica in sé un confronto evidente fra passato e presente.271 Senza contare la centralità della soggettività che emerge da un flusso di coscienza molteplice, in cui intervengono tutte le voci di un soggetto non più unitario ma frantumato, quindi ancor più vicino alla realtà psicologica di quanto non fosse il realismo classico. Il romanzo è una ridiscussione di temi già trattati dall’autore, in questo caso in maniera più polemica che nelle altre opere e più esplicitamente critica nei confronti delle autorità. Il patriottismo di Ling yu rou sembra ora lasciare il posto ad una maggiore acrimonia verso i responsabili delle sofferenze individuali e nazionali. I fantasmi delle sofferenze passate ritornano tutti insieme e anche per questo è dura per il soggetto sostenerne l’assalto e restare integro. La fame, già tema centrale di Lühua shu, diventa l’esperienza che più può far maturare un individuo e fargli anche dubitare del proprio governo (Zhang 1995b, p. 218). Il romanzo è infatti anche una condanna dei difetti nazionali cinesi, fra cui il rispetto per

270 Secondo Edward Gunn (1991, p. 169) Wang Meng utilizza il monologo interiore e il flusso di coscienza per esprimere una maggiore vicinanza ai propri personaggi e rivelare la loro intrinseca onestà e integrità, approfondendo la distanza fra la loro identità pubblica, definita dallo Stato, di «nemici del popolo» e la loro identità reale di devoti e generosi servitori del popolo e amanti della nazione. Queste tecniche, però, secondo Gunn non sono sovversive ma anzi dovevano aiutare a ricostruire l’immagine del Partito negli anni Ottanta e permettere la riconciliazione fra Stato e intellettuali. L’esempio citato da Gunn è il racconto di Wang Meng «Voci di primavera» Chun zhi sheng 春之声 (1980) in cui viene messo a confronto lo sviluppo economico della Germania e della Cina e viene comunque sottolineato il progresso materiale compiuto dalla Cina dal 1949 in poi (Gunn 1991). Nella novella si può sentire perfino un’eco dello Yu Dafu di Chenlun nell’allocuzione diretta del protagonista alla propria patria e soprattutto nell’invito a diventare più ricca. 271 Leo Ou-fan Lee (1985) si riferisce in particolare ai romanzi brevi di Wang Meng «Saluto bolscevico» Buli 布礼 (1979) e «Farfalla» Hudie 蝴蝶 (1980). L’altro autore che Lee considera un critico innovatore dei temi e delle forme maoiste è Gao Xiaosheng 高晓声 (1928-1999), che utilizza formule linguistiche e stilemi narrativi prima estremamente politicizzati in una chiave del tutto nuova, restituendo la lingua e un’identità senza implicazioni politiche agli abitanti delle campagne, abbandonando ogni esaltazione eroica delle masse contadine. Già la letteratura delle ferite e quella di riflessione in realtà tematizzavano questo confronto fra passato e presente e segnarono la fine dell’età dell’“epica” e la rinascita del “lirico”, insinuando spesso la fallibilità dell’autorità politica che, al di là della contingenza storica, non incarna automaticamente l’etica hegeliana e il cui giudizio può quindi essere sempre discusso. 273 l’autorità, per quanto dispotica essa sia, e l’abitudine all’oppressione (Zhang 1995b, p. 236). Anche per questo la ricerca della libertà e la sua esperienza diretta si compie attraverso il viaggio al di fuori della Cina. La frammentazione del soggetto è anche un portato della distanza fra presente e passato e di una vasta ridiscussione del passato come regno della possibilità – e in questo caso di possibilità mancate, di fallimenti e di svolte catastrofiche. Cosa avrebbe potuto capitare se i fatti storici fossero stati diversi, non solo quelli personali dell’autore, ma anche quelli della nazione: pertanto la difficoltà di ricostruire sé stesso getta dei dubbi anche sull’identità nazionale e sul fallimento del progetto di modernizzazione della Cina, messa a contrasto con la modernità raggiunta altrove.272 Dal punto di vista formale, questo confronto è rappresentato dalla giustapposizione a volte stridente fra elementi del realismo autoctono e del modernismo d’importazione. I tormenti del protagonista, quindi, sono gli stessi degli intellettuali che riprendevano dopo decenni la riflessione sull’identità cinese e sulla possibilità di essere parte della cultura mondiale, oscillando fra orgoglio nazionalista e salvaguardia della propria tradizione da un lato e un complesso di inferiorità, accompagnato da una spietata iconoclastia esterofila, dall’altro. Il romanzo è anche il diario di un uomo che sta morendo o quanto meno che sappiamo per certo essere sul punto di morire in un terribile suicidio rituale, un condannato in attesa di un’esecuzione di cui sarà lui stesso il boia. Le esperienze di morte, del resto, lo hanno lasciato svuotato, disperato e privo di ogni idealismo. Dopo aver tentato una prima volta il suicidio, infatti, fa una seconda esperienza della morte quando, dato per morto per inedia nel 1961, viene gettato su un mucchio di cadaveri riuscendo però a uscirne vivo.273 Rivede poi in sogno questa scena, in cui due detenuti che spogliavano i cadaveri del mucchio, vedendo le ridotte dimensioni del suo pene,274 però, due sciacalli che spogliavano i cadaveri, ne ebbero pietà, dicendo che sarebbe stato meglio mandarlo nell’aldilà con i vestiti addosso, altrimenti anche gli spiriti avrebbero riso del suo pene. Le parole dei due lo avrebbero condizionato per tutta la vita e ci avrebbe pensato ogni volta che avrebbe fatto l’amore con una donna, provandone vergogna. Dopo aver scavato le fosse per le vittime dei campi di

272 Quest’indagine del resto, oltre ad essere una delle eredità di Lu Xun, era un tema della ricerca delle radici: in seguito alla pubblicazione del primo volume dei «Pensieri sparsi» Suixiang lu 随想录 (1979) di Ba Jin 巴金 (1904-2005), in cui l’autore ammetteva di aver ceduto alle pressioni politiche ed essersi reso complice delle persecuzioni di altri intellettuali, Liu Zaifu invitò i propri connazionali a inaugurare un periodo di autoriflessione (ziwo fansi 自我反思) e di autopentimento (ziwo chanhui 自我忏悔) e di seguire l’esempio di Ba Jin affinché certe tragedie non potessero ripetersi (Cai 2004, p. 51). 273 L’episodio viene citato di sfuggita anche in Lühua shu, il che fa pensare che fosse una reale esperienza dell’autore, che infatti nel suo diario Wo de putishu ricorda che ogni volta che in seguito vedeva o toccava la carne di animali, riandava col pensiero a quell’episodio e sentiva conati di vomito. Per questo rimase «praticamente vegetariano» per il resto della sua vita (Starr 2013, p. 167). 274 Definito «grande quanto un baco da seta» («像蚕豆一样大的阳具»; «这小伙子的毬跟他妈的蚕豆那么大») (Zhang 1995b, p. 300). 274 lavoro, inoltre, subì la tortura di una finta esecuzione, la sua terza esperienza di abitudine alla morte.275 L’atmosfera mortifera, inoltre, è rafforzata dalla consapevolezza del lettore che il protagonista, per quanto possa trovare temporaneo sollievo nelle sue esperienze, presto morirà suicida. L’amore, il sesso e la morte si trovano intrecciati a livello individuale e soprattutto per esigenze direttamente psicologiche: soltanto attraverso il sesso il protagonista poteva ancora continuare a tenere insieme la sua coscienza, provare la sua mascolinità e avere coscienza di essere ancora vivo. Se le sofferenze e i traumi subiti avevano tutti un’origine politica, l’ossessione per il godimento sessuale diventa l’esorcismo della memoria e più le immagini della morte tornano a perseguitarlo, più egli reagisce trovando consolazione e rifugio nell’atto sessuale, che è la celebrazione della vita. Anche per questo la visione dello scheletro rinvenuto nel campo di prigionia viene caricato di significati erotici, oltre che strettamente tanatologici. Tortura e piacere sembrano poi fare parte della sua idea di sesso, che appare colorarsi di sfumature sadiche e masochistiche. La stessa oscillazione fra piacere e paura può spiegare anche la commistione significante fra il realismo, il piacere della propria realizzazione di intellettuale, e il modernismo, la disperazione per la vanità della letteratura. Tuttavia, per quanto comprensibilmente distorta possa essere il suo desiderio sessuale, rimane l’unica via di fuga dall’indifferenza, dall’apatia e dall’odio che gli erano stati inculcati durante la sua rieducazione, durante la quale il suo «insegnante» (ovvero Mao) aveva cercato di strappare dal suo cuore perfino l’amore per sua madre, sostituendo ogni sentimento con l’odio di classe e l’amore per il Grande Timoniere. Anche per questo il protagonista confessa di cercare nelle donne la propria madre e di voler usare il corpo delle donne con cui fa sesso per tornare nel ventre di sua madre, dimostrando ancora una volta un desiderio di protezione e di sicurezza che lo fa però regredire visibilmente e dichiaratamente allo stadio infantile. Ancor più succube del genitore-insegnante si scopre quando incontra l’amante di suo padre e rivede in lei la sua donna ideale: in questo modo ritrova suo padre in sé stesso attraverso la donna, che a sua volta rivede il padre nel figlio. Ngai nota in questo una tappa fondamentale della narrativa confessionale dell’autore, che ritrovando le figure chiave della sua vita, ossia la sua famiglia, può davvero riconciliarsi con la sua identità e fare i conti con la colpa di avere origini borghesi (Ngai 1994, pp. 112-113). La riscoperta delle sue origini è anche il mezzo con cui mantenere solidamente la propria identità anche

275 Chloë Starr sottolinea giustamente come la scena della sua esecuzione fasulla sia molto simile a quella di Ah Q: «[it] exploits to the full the tension between naïve, surface acceptance of Party thought and a deep subsurface irony, and stands as a comment on the reading of the past itself» (Starr 2013, p. 174). Dopo aver notato con orgoglio il gran numero di persone accorse per assistere alla sua esecuzione, il sole viene descritto come particolarmente brillante, facendo così un riferimento esplicito a Mao. 275 in un contesto ormai globalizzato: nonostante i suoi viaggi all’estero, egli decide alla fine di tornare in Cina. Negli anni Novanta il progetto di modernizzazione si realizzerà nella versione fin dall’inizio auspicata dalle autorità politiche, che temevano che la liberazione dell’economia potesse condurre ad una liberazione eccessiva delle coscienze e a rivendicazioni politiche che avrebbero minato il potere del partito: la definitiva delusione delle aspirazioni politiche lascerà il posto ad una generale disillusione nei confronti del progetto di liberazione della soggettività in termini politici e si avrà la vittoria della modernizzazione materiale, del successo personale, del consumismo, del godimento privato, dell’economia di mercato (socialista), della cultura pop.

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5. CONCLUSIONI

Nella tradizione letteraria cinese la crisi nazionale era stata molto spesso legata metaforicamente e allegoricamente ad una parallela crisi della mascolinità e del ruolo dei letterati in quanto rappresentanti del potere (Huang 2006). Le crisi nazionali, che spesso erano contemporaneamente crisi politiche di legittimità, coinvolgevano anche i letterati e gli intellettuali che erano sempre molti vicini al potere: queste crisi quindi diventavano anche crisi del ruolo sociale maschile e della stessa mascolinità, sempre tradizionalmente pensata come dominio wen sancito dal potere e sostenuto dalla centralità sociale dell’uomo colto. Nella storia moderna cinese, la stessa preoccupazione aveva mosso anche gli intellettuali dell’inizio del Novecento: anche per loro l’angoscia, la frustrazione e la sofferenza di intellettuali (maschi) provocata dalla decadenza nazionale spesso diventavano metaforicamente e allegoricamente la condizione di un’intera nazione. Anche dopo gli anni del maoismo spetterà agli intellettuali cercare una soluzione alla catastrofe morale e spirituale della Cina, tentando di recuperare le componenti filosofiche e psicologiche di una rinnovata soggettività, individuale e collettiva. La letteratura come proposta di modernità acquisì ancora una volta una funzione fondamentale per l’elaborazione e lo scioglimento di un senso di crisi che ormai sembrava essere inseparabile dallo stesso cammino della modernità. La percezione di una crisi della mascolinità, che iniziò ad essere avverita e discussa anche nella Cina degli anni Ottanta, era strettamente connessa alle incertezze politiche, alle incognite economiche e alla necessità di una generale ricostruzione simbolica e linguistica nella nuova epoca. Le risposte date dagli intellettuali e dagli scrittori saranno di vario genere, proprio grazie alla relativa libertà concessa nel dibattito culturale, e dipenderanno anche da svariati fattori: dall’età relativa, dal genere, dalla provenienza geografica, dalle esperienze del recente passato. L’esempio di Zhang Xianliang è quello di un intellettuale della vecchia guardia che, nonostante venti anni di detenzione nei campi di lavoro e nelle fattorie di Stato, riuscì coraggiosamente a superare i traumi del passato per guardare con abnegazione al futuro e poté tornare a scrivere per dare conto di un’esperienza umana di redenzione e di maturazione nella sofferenza: in questo modo egli intendeva soprattutto dare un senso alle proprie dolorose vicende e contribuire con la sua opera narrativa alla riconciliazione fra politica e intellettuali e realizzare un avvicinamento sincero e spontaneo fra intellettuali e popolo. Egli inoltre offrì agli intellettuali, particolarmente ossessionati dai sospetti sulla propria indegnità maschile, una proposta di

277 ricostruzione della mascolinità mescolando elementi tradizionali e moderni.276 La letteratura, che negli anni Ottanta smette però di essere la forma principale e unica di rappresentazione, continua ancora a fornire una versione della modernità e del cammino che la Cina avrebbe dovuto intraprendere. Zhang Xianliang, in particolare, sottolinea l’importanza dei sentimenti e dell’importanza sociale dell’intellettuale, ancora inscindibile dalla sua identità maschile. Egli si inserisce inoltre nel vasto dibattito dell’epoca sulla ricostruzione della soggettività: dopo aver sperimentato il massimo della repressione e dell’annichilimento della natura umana nella prigionia e nell’esclusione sociale e giuridica prosegue il faticoso percorso di ricostruzione della propria identità iniziato in condizioni ancora più difficili durante la detenzione. Attraverso la logica delle emozioni contro l’odio di classe, attraverso l’esaltazione del desiderio contro l’etica del sacrificio, risignificando la lingua cinese fatalmente impoveritasi negli anni del maoismo e ribadendo l’importanza del concreto e del corporeo contro l’astratto e l’inumano egli riporta al centro l’essere umano come spirito e come corpo. Non sarà un compito facile e l’autore dimostrerà tutta la sua forza d’animo nel superare il peso dei traumi che ancora lo perseguiteranno per molto tempo dopo la liberazione. La trilogia autobiografica di Zhang Xianliang nel suo complesso può essere letta come un ottimo esempio della contestazione da parte degli intellettuali di molti aspetti del discorso pubblico e ufficiale non solo del periodo maoista, ma anche di parte della nuova retorica denghista e di ciò che dell’apparato ideologico precedente ancora sopravviveva nel periodo postmaoista. In particolare, i due termini su cui si fonda la riflessione dell’autore sono il ritratto dell’intellettuale come simbolo e modello della mascolinità e il corpo maschile come locus fisico e simbolico della resistenza. La ricostruzione della fiducia degli intellettuali dopo le persecuzioni maoiste esigeva anche la riscrittura della dignità maschile dell’uomo di cultura nella nuova società delle riforme, in cui persone culturalmente preparate avrebbero potuto nuovamente emergere. Il corpo, definito in particolare in termini di genere e di sessualità, diventava, nella più generale discussione sulla soggettività e sulla lotta contro l’alienazione, lo strumento individuale per la ricerca del piacere e del desiderio prima negato: in questo modo esso serviva anche per realizzare e incarnare una ribellione contro l’etica e l’estetica del sacrificio della retorica maoista. Il soggetto come essere desiderante appare, nella descrizione letteraria di Zhang Xianliang, non solo moderno, ma addirittura postmoderno. Forse proprio a causa dei traumi fisici,

276 Come abbiamo avuto modo di vedere nella trattazione, tuttavia, la moderazione dell’autore, che cercava di salvare il più possibile l’esistente senza demolirlo, gli procurò molte critiche: in particolare, molti lo accusavano di essere troppo maschilista o di essere troppo servile nei confronti del Partito, dal quale, dopo essere stato perseguitato, alla fine accettò incarichi di alto livello. 278 psicologici e ideologici subiti, il soggetto è infatti consapevole della propria frammentarietà e contraddittorietà: il continuo, indeciso ondeggiare del protagonista Zhang Yonglin rappresenta molto bene la coscienza postmoderna di un uomo che riassume in sé la stanchezza e la fatica di una storia, personale e nazionale, che oltre a lasciare profonde ferite, priva il soggetto dei sicuri riferimenti del passato. Nella sua vicenda e nelle sue riflessioni emerge quindi la necessità di trovare nuove e molteplici coordinate della propria condizione e l’esigenza di ricostruire la propria identità nella consapevolezza della propria frantumazione: la psicoanalisi, l’identità di genere e la sessualità, la ridiscussione del marxismo servono appunto a fare i conti con le certezze del passato recuperandone le porzioni ancora intatte, e per far fronte ad un presente e un futuro ancora più incerti. In questo modo la sua versione della soggettività è forse anche più matura rispetto alle immagini cartesiane di un soggetto unitario che emergeva nello stesso periodo nella discussione filodofica. L’elemento più evidente nella definizione della soggettività fornito dall’autore è proprio l’identità di genere e il recupero della definizione della mascolinità dopo anni di appiattimento su categorie puramente politiche e astratte che, oltre ad aver condotto alla neutralizzazione e naturalizzazione dei ruoli di genere associati alle donne e agli uomini, giustificavano perfino l’essenzializzazione e l’ereditarietà delle identità di classe. Zhang Xianliang riporta la definizione di genere nei termini, in parte tradizionali, in parte moderni, della performatività sociale e discorsiva: l’identità è fondata e sostenuta dai discorsi e dal linguaggio ma è poi realizzata (anche) attraverso pratiche significanti che permettono di occupare, di contestare o di mescolare, ibridandole, diverse posizioni soggettive. Perciò al soggetto è garantita anche una propria capacità di iniziativa e questi non è solo un contenitore di definizioni calate dall’alto: l’identità perciò non è solo un effetto discorsivo ma dipende anche dall’autonoma capacità di agire e di definirsi dei soggetti, sempre in un ambito linguistico e simbolico condiviso. Il superamento dell’equazione alienante per cui una persona era equiparata ad un oggetto – tipicamente un ingranaggio o una vite – e il raggiungimento della consapevolezza di poter esercitare la propria libera volontà significava anche l’avvenuta guarigione dall’impotenza metaforica e spirituale di uomini femminilizzati e castrati simbolicamente dal dispotismo e dalla paura. Era questa per Liu Zaifu la ragione del declino del maschile e della perdita della soggettività nel periodo maoista (Liu 1993) e per molti uomini era la causa di una reale impotenza fisica, che si accompagnava per gli intellettuali all’incapacità di creare e di essere ad un tempo “potenti e poeti”. Zhang Xianliang anticipa inoltre molti dei temi che saranno non solo affrontati nel dibattito letterario dalla metà degli anni Ottanta, al quale egli stesso parteciperà, ma che saranno anche

279 parte della vita sociale della Cina a partire dagli anni Novanta: una volta superate le ansie sul declino del maschile, sarà infatti possibile anche per gli uomini cinesi rassicurarsi sulla propria posizione sociale e sul proprio ruolo familiare nella nuova economia socialista di mercato. Una letteratura soggettiva quale quella auspicata da Liu Zaifu (1993) avrebbe dovuto rendere conto di tutte le parti dell’individuo (la coscienza, l’inconscio, la parte biologica, i sensi); inoltre, la conoscenza nella sua riflessione non può essere solo riflesso e riproduzione di un mondo oggettivo preesistente al soggetto, ma deve essere una creazione pratica e spirituale capace di incidere sul mondo oggettivo. Per questo l’opera di Zhang Xianliang si può dire che sia un importante contributo alla costruzione di questo genere di letteratura: nelle sue opere principali il protagonista condivide sempre molti tratti autobiografici con l’autore ma quest’ultimo sceglie di non essere direttamente il narratore, soprattutto per dare un valore davvero universale alla propria opera. Senza cedere ad un facile vittimismo e senza celebrare sé stesso come eroe sopravvissuto, egli preferisce invece descrivere anche tutte le debolezze, le azioni riprovevoli e i pensieri vergognosi del suo protagonista lasciando sempre una certa ambiguità sulla reale commistione di autobiografia e di finzione, descrivendo così molti personaggi reali in un solo personaggio fittizio. Quindi, come altre volte nel passato (ad esempio in Yu Dafu), prevale nell’autore la preoccupazione di non fare della propria vicenda un assoluto e di utilizzare invece il dolore sofferto come strumento di conoscenza per poter svolgere ancora una volta la missione storica degli intellettuali cinesi ed essere la “guida del popolo” in una nuova epoca.277 La sua letteratura diventa così un’ulteriore proposta di modernità e un’offerta di modelli, in particolare maschili, e soprattutto per gli intellettuali, coloro che più avevano subito l’oppressione politica come una castrazione. Gli elementi dell’identità maschile che l’autore utilizza per contribuire alla ricostruzione della mascolinità postmaoista – e per certi versi anche per interpretare retrospettivamente il passato – sono sia tradizionali che moderni. Nel primo caso troviamo sicuramente la supremazia sociale dell’uomo di lettere e la superiorità delle ambizioni politiche su ogni tentazione offerta dalla vita privata, che spesso conduce il protagonista ad abbandonare la donna per seguire le proprie nobili aspirazioni; dall’altro lato, vediamo che alcuni tratti della mascolinità tradizionale sono reinterpretati in chiave moderna e socialista, allorché ad esempio la missione politica del letterato-intellettuale deve svolgersi al servizio del popolo e il testo base per la sua educazione è Il Capitale e non più il canone confuciano. La rilettura

277 In Yu Dafu il masochismo e l’abiezione, personale e nazionale, sono trasformati, come per Ah Q, in trionfi e in esaltazione della mascolinità nella sua capacità di sopportazione del dolore. Così anche in Zhang Xianliang.

280 delle categorie confuciane in termini marxisti, inoltre, porta il protagonista a rifiutare il mondo della vita domestica non solo perché tradizionalmente femminile, ma anche perché troppo “borghese”, individualista e prosaico per un intellettuale comunista. L’elemento che più entra a far parte integrante della formazione non solo di un vero intellettuale ma anche di un vero uomo nell’ambito socialista è il lavoro manuale, che stabilisce, nell’ordine simbolico socialista, la possibilità di essere riconosciuto e definito come maschio e come membro utile della società. La donna in questo caso rappresenta un attore fondamentale nel processo di riconoscimento dell’uomo, tanto da esserne una «metà»: comunque si voglia intendere il titolo del romanzo Nanren de yiban shi nüren, sicuramente l’autore voleva riaffermare il bisogno del confronto con la parte femminile, dentro e fuori di sé, descrivendo così l’identità di genere come composita, mutevole e soprattutto la sua natura sociale, relazionale e culturale, contro ogni sua essenzializzazione. Lungi dall’essere semplicemente maschilista, come troppo spesso è apparso, in particolare ad una critica femminista, è forse più vero che la raffigurazione e la caratterizzazione della donna nei suoi romanzi forniscano piuttosto un’alterità con la quale misurarsi e nella quale riflettersi. La riforma politica e sociale promossa e attuata dal partito sulle masse e sugli individui con i suoi strumenti ideologici e coercitivi era stata ormai denunciata come definitivamente fallita e tramontata; la “riforma del pensiero” e il ripensamento di sé, della propria intima natura, della propria sessualità e identità di genere era avvenuto piuttosto, nei romanzi e nella biografia dell’autore, nel confronto con l’Altro. Quest’alterità era rappresentata sicuramente dalla donna, ma anche dal popolo: quest’ultimo era descritto dalla retorica maoista come l’incarnazione dell’oggettivo, del collettivo, dell’“epico” (Průšek 1980), all’identificazione con il quale il protagonista dei romanzi resiste pervicacemente. Contro la neutralizzazione dei generi ben visibile durante la Rivoluzione Culturale, il confronto con l’Altro (soprattutto la donna) è sempre presente nella narrativa di Zhang Xianliang fin da Chuwen e contribuisce alla costruzione della soggettività in termini nuovamente relazionali e non più collettivistici. Questo rivela una concezione postmoderna e al tempo stesso tradizionale della soggettività, influenzata dal daoismo di Zhuangzi, dalla dialettica e da un’interpretazione della soggettività come transitoria, sempre mutevole e dipendente dall’Altro (Yang 2016).278 La stessa forma narrativa confessionale, prediletta da Zhang Xianliang, mostra esplicitamente il ritorno del soggetto nella letteratura. L’alterità

278 «To both Zhuangzi and Lacan, the ego/self is not the subjective center that consciously controls and manipulates everything, not even himself. On the contrary, the subject always has a traumatic kernel within the symbolic structure. […] Furthermore, the subject is a desiring one and is thus forever a vacant space or position awaiting fulfillment.» (Yang 2016, pp. 336-337). 281 viene rappresentata anche da versioni della mascolinità differenti da quella egemonica tradizionale, incarnate da personaggi che storicamente simboleggiano il tramonto della mascolinità maoista ma che, per quanto alternative e marginali nella rappresentazione tradizionale, tornano ad essere centrali per la rinascita del soggetto maschile. La versione maschile prediletta dall’autore è quella intellettuale, del wenren, l’uomo di lettere; tuttavia, la mascolinità sanguigna e muscolare degli haohan è utile come contraltare per rafforzare la versione nuovamente egemonica dell’uomo colto e socialmente distinto, che sempre più sarà dominante nella rappresentazione e nella realtà degli anni Novanta. Quella dello haohan era divenuta anche la versione preferita della mascolinità in epoca maoista per descrivere il proletariato e i soldati: essi erano connotati nei termini essenzialmente wu, ossia ricolmi di gagliardia e di coraggio, e non avevano bisogno di una grande cultura, bastava che fossero politicamente consapevoli. Per quanto gli uomini forti e rudi delle regioni di frontiera fossero potenti fisicamente e per quanto i leader di partito di ogni livello fossero invece potenti politicamente,279 essi potevano essere temibili e superiori solo in una situazione eccezionale come quella creata dalla rieducazione maoista. Nella nuova epoca queste sono tutte figure che ormai appartengono al passato e che, screditate nella nuova realtà, possono al massimo fornire retrospettivamente qualche elemento per arricchire la personalità dell’intellettuale: questo vale soprattutto per i lavoratori e gli uomini delle minoranze, gli unici ai quali l’autore sembra essere riconoscente per avergli dato un’educazione socialista e aver accresciuto la sua consapevolezza sociale. I rapporti con gli altri detenuti, invece, sono fonte di preoccupazione e di timore: il protagonista spesso confronta dolorosamente il proprio destino con quello di altri detenuti, che sembrano relativamente più fortunati perché hanno ancora degli affetti e delle speranze fuori del campo; soprattutto, però, degli altri detenuti – siano essi criminali comuni o prigionieri politici – non ci si può fidare e fra di loro un intellettuale non può che provare estrema solitudine. L’omosocialità e i legami di fratellanza fra sodali caratterizzano gli haohan della tradizione e anche figure maschili calcate sullo stesso modello riproposte negli anni Ottanta per compensare l’angoscia della temuta perdita della mascolinità cinese. La vita fra uomini per questi personaggi è la miglior garanzia del mantenimento di un’identità maschile che non è costruita attraverso il riconoscimento di una posizione sociale, che darebbe accesso alle risorse della mascolinità egemonica; la loro mascolinità è invece realizzata e confermata solo attraverso un’esibizione spesso esagerata di comportamenti

279 Perfino le donne investite di potere erano superiori agli intellettuali nel periood maoista, come si può vedere ad esempio in Tulao qinghua. 282 visibilmente e riconoscibilmente maschili. Nelle opere narrative di Zhang Xianliang, tuttavia, il protagonista difende sempre l’identità maschile dell’intellettuale, la sua cultura e la sua raffinatezza, anche in condizioni estreme, mentre la solidarietà maschile appare del tutto assente, e anzi si può trovare simpatia solo fra qualche rappresentante delle minoranze locali come Hai Xixi in Lühua shu, con il quale comunque il protagonista si deve prima confrontare. Quindi per il protagonista l’omosocialità è fallimentare ed è l’incarnazione di una diversa forma di mascolinità, che egli nuovamente confina nell’ambito della mascolinità marginale. Nel suo rapporto con la donna o nei duelli diretti o mediati con i lavoratori delle steppe o i rappresentanti locali del partito, egli infatti trionfa e riafferma la forza del modello tradizionale, individuale e competitivo di mascolinità. È nell’esame, nel rito di passaggio pubblico, nello scontro con gli altri uomini (anche per la conquista della bella), e non nella collaborazione e nel cameratismo che la mascolinità egemonica del letterato si conferma coram populo. Per quanto spesso descritti come fedeli sudditi dell’imperatore, gli haohan delle bande e delle società segrete, uniti da legami di parentela artificiali, volontari e paritari, avevano spesso rappresentato anche una sfida all’ordine patriarcale “naturale” del pater familias e del sovrano (Nye 2000, p. 1666), quindi la loro era anche una mascolinità ribelle e temibile per l’ordine costituito, l’opposto della mascolinità normativa e patriarcale del wenren. Nelle narrative dei liumang e della «Ricerca delle radici», scritte da autori più giovani, educati al ribellismo maoista e ora ansiosi di sfogare i propri rancori continuando la propria rivolta contro l’autorità, la mascolinità degli haohan viene celebrata come forma di opposizione ad un potere, soprattutto ideologico, omologante e oppressivo. Zhang Xianliang invece resta fedele ad una versione della mascolinità più tradizionale, più concreta e più adattabile alla propria esperienza: egli vuole offrire soluzioni non sovversive ma realistiche. Anche per questo non racconta nella sua narrativa le esperienze più dolorose ma offre gli insegnamenti costruttivi tratti dalla propria vicenda e dimostra ancora una volta la fede nella missione sociale dell’intellettuale. Il fatto che la narrativa dell’autore sia relativamente didattica in questo senso è dimostrato dalla presentazione nettamente differente della sua produzione autobiografica di tipo saggistico: in essa l’atmosfera è molto più cupa, sembra essere assente ogni indizio di una teleologia narrativa di formazione e di liberazione, e si percepisce di continuo paura e timore nei confronti dei capi e disprezzo verso gli altri detenuti, con i quali era quasi impossibile poter creare dei legami di fiducia e di solidarietà. Inoltre, la sua memorialistica si concentra sui momenti di isolamento, in cui l’autore era confinato nelle strutture concentrazionarie e penitenziarie e non aveva contatti con gli abitanti della regione. Diversamente, le sue opere

283 narrative rievocano proprio gli intervalli di semilibertà del protagonista e i personaggi presentati sono quasi degli exempla, positivi e negativi, che concorrono tutti all’obiettivo della salvezza del protagonista. In particolare, sono le donne a ridare fiducia al protagonista, per quanto siano delle redentrici illusorie, poiché sono in realtà delle idealizzazioni maschili (Wu 1991). In ogni caso, è proprio attraverso l’amore, la sensualità e il lavoro che Zhang Xianliang/Zhang Yonglin viene salvato e curato. Tuttavia, tutti i personaggi che non siano il protagonista vivono e agiscono in funzione dell’eroe e della sua ricerca di sé stesso. La donna, lungi dall’essere semplicemente oggettivata e sottomessa al desiderio maschile, quando è accostata ad elementi oggettivi questi sono gli elementi più piacevoli e confortanti della natura. Ciò rafforza la visione della donna come madre amorevole e nutrice salvifica, contrapposta al mondo maschile dei prigionieri dal quale proviene spesso il protagonista dei romanzi prima di essere soccorso dalla donna angelicata. La donna così ritorna ad essere la metafora del popolo amorevole, delle minoranze, della madre, della patria: tutto ciò che può salvare fisicamente e spiritualmente l’intellettuale anche nella sua ricerca dell’identità maschile, dandogli un riconoscimento superiore a quello del partito. Il protagonista rovescia così la retorica della politica che ne fa un paria, riappropriandosi della libertà di amare e cercando la sua affermazione come intellettuale nell’ambito pratico, fra la gente comune. Tuttavia, egli ancora si dibatte nelle difficoltà psicologiche provocate dal trauma della detenzione: ecco spiegate le sue oscillazioni fra attrazione e repulsione, fra tentazione della vita familiare e supreme ambizioni politiche, fra individualismo e abnegazione, fra amor proprio e masochismo, fra devozione e sadismo, fra maschilismo tradizionalista ed egualitarismo di genere. Di fronte a tutte queste contraddizioni le donne rappresentano la speranza di una ricomposizione relazionale dell’unità del soggetto, che alla fine però non trova la redenzione che cerca nella figura femminile, materna, angelica, seducente. Il discorso letterario e personale che egli produce sulla storia e sul presente assomiglia ad una «retro-fiction» (Choy 2008): egli guarda al passato con un occhio al futuro. Da un lato cerca di tenere uniti storia e memoria sfuggendo alla rappresentazione unitaria e monologica della versione ufficiale del passato; dall’altro riscopre alcuni temi, in particolare quello della soggettività maschile, per dare delle certezze ad una Cina che stava procedendo ad una difficile ricostruzione.280 Anche per la sua vicenda biografica, l’autore non poteva che essere ispirato e guidato da un lato dalla cultura tradizionale che amava e che aveva studiato prima della sua rieducazione e dall’altro dalla mentalità marxista che aveva sviluppato,

280 Per Zhang Xianliang nel periodo degli anni Ottanta gli scrittori dovevano al tempo stesso guardare nuovamente al passato e aprirsi al mondo, così da accrescere i propri orizzonti mentali (Martin; Kinkley 1992, pp. 82-83).

284 volontariamente o forzatamente, durante la prigionia. Se a molti appariva maschilista ciò era dovuto anche a questo attaccamento a principî e ad archetipi forse ormai antiquati in un periodo in cui soprattutto le donne, le intellettuali e le scrittrici discutevano nuovamente e apertamente di questioni di genere. Se interpretiamo le vicende attraverso una mentalità in parte tradizionalista e in parte socialista, le qualità morali e gli attributi allegorici connessi ai personaggi, pur essendo chiaramente diversi fra protagonista maschile e personaggi femminili, non assegnano un’evidente superiorità simbolica ad una parte sull’altra. Se la donna è spesso descritta come pratica, poco istruita, libera, lavoratrice, disinibita, in fin dei conti rappresenta sempre l’altra metà dell’uomo, ossia ciò che egli non riesce ad essere ma vorrebbe imparare ad essere, sia nella sua versione tradizionale che nell’ottica maoista. Essa, più che rappresentare tutte le donne, incarna il femminile, necessario – attraverso l’incorporazione o il superamento – per la costituzione della propria identità maschile completa. La narrazione di Zhang Xianliang può sembrare anche una lunga confessione solipsistica ed egocentrica, frutto sicuramente degli anni spesi nella solitudine e nell’abbandono, ma anche della megalomania dei sopravvissuti ad esperienze traumatiche, che forse in lui era già effetto della propria identificazione come intellettuale. Piuttosto, il masochismo e un’eccessiva modestia spesso si trasformano nel proprio contrario, nella trasformazione psicologica del fallimento in trionfo per la ricostruzione di una piena soggettività, anche in termini di genere. Il sospetto della propria debolezza e indegnità maschile sono evidenti nella sua narrativa autobiografica: egli si descrive spesso come timido, impaurito, abietto, vile, infantile, inesperto del mondo e della vita, mentre la donna è invece il suo contraltare e infine la sua salvatrice. Se la critica femminista ha voluto leggere la salvezza del protagonista da parte delle donne e soprattutto l’abbandono della donna da parte del protagonista come riprova del maschilismo dell’autore, è perché la lettura superficiale delle vicende era applicata direttamente alla realtà materiale, in un periodo in cui le donne riprendevano il discorso sulla propria reale emancipazione nella società socialista, inserendosi nel più vasto dibattito sull’alienazione. L’opera di Zhang Xianliang, invece, a mio parere ha una portata più vasta e un significato più profondo e racconta la parabola non solo di un intellettuale, effettivamente salvato dalla fame e dalla degradazione morale, ma anche di un intero Paese, che poteva ritrovare la propria anima solo ripensando al passato, all’affetto per una madre perduta (madre o patria) e alla semplicità dei contadini senza cedere al rancore.281 Egli

281 Inoltre, il tono tragicomico e lo humour nero che pervade la sua scrittura, in particolare Nanren de yiban shi nüren, fanno pensare proprio all’intenzione di sminuire la tragedia personale a vantaggio di una riflessione universale sul significato dell’esistenza e sulla conquista della libertà e dell’identità. «[…] 人人都处在一种荒诞、病态的境地,这种 285 appare maschilista perché recupera elementi della mascolinità confuciana anzitempo, quando i temi legati all’identità di genere sono vissuti e trattati come argomenti di contestazione, non solo da parte delle scrittrici ma anche da parte di autori, come Wang Shuo, che facevano dello haohan nelle sue nuove declinazioni il rappresentante di un’inarrestabile spirito di ribellione che ora si rivolgeva contro la rispettabilità e la normalità della società delle riforme, da cui erano di fatto esclusi; oppure dagli autori della «Ricerca delle radici», che attraverso personaggi maschili dello stesso genere tentavano di recuperare l’originario spirito maschile della nazione imbrigliato da secoli di controllo ideologico. Per la sua rivalutazione del modello dell’intellettuale confuciano-socialista Zhang Xianliang apparirà inoltre a molti critici anche troppo compiacente e complice nei confronti delle autorità comuniste. Zhang Yonglin non vuole solo o non vuole tanto possedere la donna: spesso non ci riesce neppure e, quando ci riesce, come in Xiguan siwang, non ne ricava che un piacere evanescente e insoddisfacente; egli vuole piuttosto imitare la donna ed esserne degno. Nel suo percorso di redenzione, egli è alla pari con l’intellettuale femminilizzato dal potere, che ne ha cancellato gli attributi sociali della mascolinità e quindi è dalle donne che può aspettarsi comprensione e vicinanza emotiva. Gli altri uomini infatti sono spesso dei bruti che lo spingerebbero sempre più vicino alla resa della propria umanità oppure sono degli ingranaggi della macchina repressiva con i quali non è possibile alcuno scambio o confronto simbolico. Le donne servono in questo caso a riattivare la capacità di desiderare del protagonista, che nel suo caso è il superamento della semplice materialità e il raggiungimento di un nuovo sublime, non maoista, perché fondato su un “cibo” spirituale che dà soddisfazione, e non su una retorica del bisogno e del sacrificio costantemente ribadita e mai soddisfatta. Il sublime che egli persegue è di tipo più pragmatico, più reale e più utile: è un’illuminazione non solo personale ma universale, che desidera condividere. Le virtù del popolo, rappresentate dalle protagoniste dei romanzi, vengono assorbite nella nuova identità dell’intellettuale e dell’uomo: solo con la fatica e i risultati del lavoro, che rinnova e modella i corpi, egli può misurare anche le persone (Shi 2012) e può anche contrastare il controllo politico sugli stessi corpi. L’associazione con il gentiluomo confuciano nella trilogia è solo parziale e non vi è una rigida dialettica con il mondo femminile. Vale piuttosto la distinzione dei termini yin e yang in senso sociale, ma chi occupa queste posizioni non è necessariamente

处境与苦难,不安和死亡紧密相连。这种情况是永恒的,任何人都无法使之改变,反抗只能是徒劳的 […]» (Zhang Shuqin 2009, p. 165). «[…] tutti si trovano in una situazione patologica di desolazione e questa difficile situazione è strettamente e angosciosamente legata alla morte. Questa condizione è eterna e nessuno può cambiarla: ogni rivolta non può che essere vana.» 286 una donna o un uomo: la donna non coincide con gli xiaoren e se anche ad ognuna delle due polarità si associa qualche qualità essenziale, essa può essere attribuita anche ad un uomo. Nella società contemporanea, poi, l’economia di mercato dà anche alle donne la possibilità di essere in posizione yang e di esercitare un relativo potere – per quanto ancora definito maschile – sugli uomini, senza che ciò rappresenti per forza di cose un pericoloso rovesciamento dell’ordine cosmico. Le identità, poi, sono molto più articolate nell’attuale società cinese da permettere identificazioni multiple e segmentate anche per uno stesso soggetto. Le virtù del gentiluomo confuciano che si ritrovano anche nel comportamento di Zhang Yonglin (Fang 2004, pp. 106-107) sono una proposta umanistica di ricomposizione di una mascolinità autenticamente cinese, ma non necessariamente maschilista. Le virtù del gentiluomo confuciano/moderno, fra le altre, sono la lealtà, la pietà filiale, il senso di umanità, l’integrità, il coraggio, la conoscenza, il senso di giustizia, tutte qualità che, insieme all’autocontrollo, lo portano ad essere molto simile ad un gentleman di ispirazione britannica. L’ideale maschile della nuova epoca poteva essere un’efficace combinazione di elementi wen e wu, che avrebbero permesso di recuperare la funzione dell’uomo come guida della famiglia e della società per le sue capacità intellettuali, mentre la componente muscolare avrebbe permesso di rafforzare il fisico nazionale per metterlo alla pari con le rappresentazioni offerte dal mercato culturale globale. Nel confronto fra corpo e spirito, che si rintraccia più volte nella produzione narrativa dell’autore – e non solo nella trilogia autobiografica –, alla fine prevale il secondo, ma sempre grazie alla mediazione epistemologica del primo. Proprio per abbattere il biopotere, il controllo politico dei corpi attraverso il monopolio della soddisfazione dei bisogni, la nuova retorica del desiderio inaugurata negli anni Ottanta porta ad un generale ripensamento dell’epoca precedente, in modo da poter legare anche psicologicamente e somaticamente il passato e il presente: attraverso la storia di un corpo liberato dal predominio della necessità, Zhang Xianliang oppone ad una «storia delle azioni» una «storia dei sentimenti» (Wang 2015) rovesciando la gerarchia fra lirico ed epico a vantaggio del primo. Nelle sue storie infatti, nonostante un generale rispetto del realismo letterario, prevale un lirismo (shuqing 抒情) individuale contro l’epica collettivista. In questo modo avviene anche un rovesciamento dei ruoli fra intellettuali e politica, che contribuisce alla loro riabilitazione nella nuova epoca e ad una generale riconciliazione nazionale: l’intellettuale prevale insieme allo spirito, vincendo le costrizioni del corpo e della politica sui corpi. Infatti, l’intellettuale non è già più quel che era in passato: l’ordalia subita dal protagonista dei romanzi di Zhang Xianliang rappresenta la stessa maturazione compiuta nella sofferenza da altri intellettuali

287 di una vecchia generazione ancora convinta di poter conciliare il marxismo con la modernità in Cina. Il nuovo intellettuale, pertanto, è anche fisicamente temprato dalle fatiche e dal confronto con versioni maschili più possenti e abili nel lavoro. Tuttavia, si capisce alla fine che è pur sempre la scrittura il suo vero lavoro e il mezzo con cui può ripagare le persone, in particolare le donne, che lo hanno aiutato (Wu 1991). Nelle opere di Zhang Xianliang si nota una commistione di generi: se da un lato la sua narrativa è fortemente realista, essa possiede anche una certa dose di utopismo. Quest’utopismo, per quanto apparentemente privato, ha una portata molto più vasta perché lascia sperare in una liberazione non solo personale ma nazionale. Le sue storie, ambientate nei momenti di relativa libertà dalla prigionia, descrivono la soddisfazione dei bisogni e dei piaceri, prefigurano la liberazione del desiderio nel futuro e celebrano anche il desiderio presente, essendo scritte durante l’epoca delle riforme. Le sue narrazioni rappresentano una riflessione sul posto dell’individuo nella storia e descrivono il processo di lenta liberazione interiore che il protagonista realizza contemporaneamente alla liberazione sessuale e al recupero della sua potenza sessuale, una riaffermazione maschile del potere di immaginare nuovamente un futuro, una nuova utopia in cui poter applicare i propri talenti, che è anche l’espressione dello spirito di cambiamento e di riforma dell’epoca postmaoista (Larson 2003). Del resto lo stesso autore mescola diario e narrativa per lasciare spazio al dubbio sulla reale natura del suo protagonista, per metà personaggio fittizio e per metà alter ego dell’autore e anche i personaggi femminili sono molto idealizzati: il realismo della vicenda è così aperto alla speranza, all’immaginazione e agli interventi dell’inconscio. L’ambiguità non è solo un espediente narrativo ma è anche l’effetto di una progressiva liberazione dall’intromissione dello Stato nella definizione dell’identità e del soggetto: Zhang Xianliang aveva vissuto gran parte degli anni della sua formazione proprio sotto il controllo del biopotere maoista e in pochi anni dopo la sua liberazione fisica cercò di affrancarsi da ogni residuo di sudditanza psicologica all’ideologia. Si può anzi pensare che il suo percorso alla ricerca della propria identità fosse iniziato non tanto con le sue prime prove poetiche, con le quali cercò di assecondare le autorità, dalle quali si sentiva sospettato di scarsa lealtà per le sue origini familiari, quanto piuttosto con le sue prime confessioni obbligatorie nel sistema concentrazionario maoista, nelle quali ancor più dovette adeguarsi alla versione ufficiale della propria identità. Da allora la letteratura, come dominio della pura e libera creazione, divenne lo spazio in cui poter cercare di far valere la propria versione della realtà, su come i fatti si erano svolti e – con una certa propensione all’utopia e all’ucronia – di come sarebbero potute andare diversamente le cose. Soprattutto, egli offre

288 la propria versione di sé stesso. «La creazione e ri-creazione di sé stesso attraverso la scrittura da parte di Zhang mostra il processo frammentato, non-lineare del recupero della memoria, e le posizioni multiple e cangianti che il sé può adottare» (Starr 2013, p. 160). Starr individua una grande novità nel racconto autobiografico di Zhang Xianliang, in cui gli eventi passati non sono più lontani nel tempo ma restano sempre in un presente intertestuale: mescolando abilmente, e contro le norme consuete del genere, racconto finzionale (per sua natura inattendibile, o almeno soggettivo) e memorie diaristiche, egli dà diverse rappresentazioni del «self-in-text». I suoi diari forniscono la voce autoriale su eventi reali, i primi romanzi autobiografici ricreano gli eventi del passato in forma romanzata e l’ultimo, ossia Xiguan siwang, ambientato nel presente, dimostra come il passato continui a sopravvivere nel presente, anche se in una forma difficile da cogliere e da trascrivere per la coscienza. In questo modo viene confermata la superiorità della voce soggettiva, della voce narrativa sulla semplice registrazione storica degli eventi e per questo Zhang si può riallacciare alla tradizione di Lu Xun e del Quattro Maggio, che voleva appunto emancipare la narrativa dalla verosimiglianza storiografica affermando la superiorità della verità romanzesca sull’oggettività cronachistica. Gli stessi ricordi che riempiono le pagine della sua opera sono rielaborati al punto da essere costruiti, anziché recuperati dalla memoria (Starr 2013, p. 164) anche perché l’esperienza originaria registrata nel diario è difficilmente traducibile in parole (Braester 2003). La confessione iniziale, quella fatta a più riprese per il Partito, però, era molto scarna e non poteva comprendere l’aspetto emotivo, che infatti trova spazio nella parte romanzesca della sua vasta e multiforme autobiografia. La liberazione dalla prigionia diventa uno spartiacque nella vita dell’autore, che può ora dare libero corso ai suoi sentimenti, come rivela anche il titolo della serie autobiografica, Ganqing de licheng. In questo modo si può caricare di nuovi significati anche la metafora del ritrovamento di uno scheletro in Xiguan siwang: esso rappresenta la stessa natura umana, il soggetto individuale che è stato privato della sua stessa carne, dei sensi e dei sentimenti da un potere che non solo rifiutava il sentimentalismo come cedimento ideologico e debolezza nei confronti del nemico, ma che addirittura negava i bisogni naturali e ad un certo punto anche il cibo, riducendo le persone al livello di bestie fameliche e facendole morire di fame. Tuttavia, la speranza di ridare forma al soggetto attraverso il ripensamento e la trasposizione letteraria di un trauma che normalmente impedisce o complica l’espressione verbale, pian piano sembra esaurirsi: il protagonista di Xiguan siwang infatti non riesce più a mantenere l’unità del soggetto e appare fin dall’inizio costretto a dividere il proprio sé del passato dal proprio sé presente. Questa frattura però non fa che approfondirsi e divide sempre più un

289 soggetto morto psicologicamente nel passato e un soggetto che ancora si illude di essere vivo nel presente e cerca senza troppo successo di sublimare il timore della morte con l’esasperazione del desiderio sessuale. Sotto sotto permane addirittura il dubbio che la vera rieducazione e la vera riforma di sé avrebbe avuto successo solo con la morte del corpo. Quel che emerge è sicuramente una definizione del soggetto come instabile e mutevole, soprattutto considerando il cambiamento radicale del tempo storico: questa stessa fluidità e frantumazione del soggetto è effetto in Zhang delle esperienze della sua vita, ma è anche un esempio per tutta la nazione. Gli effetti di queste dislocazioni del soggetto si notano nella mescolanza di verità e finzione, di narrativa e di memorialistica, di presente e di passato, di autenticità storica e di rielaborazione personale. Così facendo egli può ridefinire anche storicamente i momenti fondamentali per sé e per la Cina, i punti di svolta decisivi: prima della sua incarcerazione, la sua vita nei campi di lavoro e i brevi intervalli di semilibertà, fino alla liberazione dopo la Rivoluzione Culturale. La struttura della biografia è così una ricostruzione di senso per opporsi al dominio della storia e della verità esercitato dallo Stato e per far sopravvivere piuttosto la memoria. La liberazione che l’autore cerca di compiere con la propria opera è soprattutto un’emancipazione dal dominio della politica, che aveva invaso tutti gli ambiti della vita: se il sublime maoista aveva fatto della politica un’attività e un’esperienza estetica (Wang Ban 1997) e quindi anche la vita sentimentale e sessuale erano condizionate dalla politica, le difficoltà emotive e la stessa impotenza fisica e creativa indotta nel soggetto avevano un’origine politica. Sesso e politica si fondono perché tutte le passioni individuali dovevano essere messe al servizio dello Stato e del socialismo. I protagonisti delle opere di Zhang Xianliang, al contrario, rivendicano la possibilità per il singolo di amare senza essere più ostaggi della politica e la prospettiva sempre interna dei romanzi permette di rileggere e reinterpretare il passato attraverso un filtro soggettivo che al tempo stesso rassicura il lettore sulla sopravvivenza, nonostante le difficoltà, della dignità umana anche nelle peggiori condizioni.282 La ricostruzione della mascolinità viene anch’essa messa in dubbio dalla forma stessa dell’autobiografia dell’autore, che secondo Starr (2013), possiede molti più tratti femminili che non tipicamente maschili secondo la classificazione di Jelinek (1986). Questa relativa femminilizzazione della sua scrittura mostra quanto siano cambiati i contorni della rappresentazione di sé in termini maschili e l’emasculazione insita nella stessa forma narrativa, che rende quindi anche nel significante – soprattutto a mano a mano che ci si

282 Nel romanzo Tulao qinghua, ad esempio, la danza mattutina di Qiao Anping, agli occhi di Shi Zai, assume un carattere esclusivamente erotico e personale e non è più il devoto omaggio riservato a Mao. 290 addentra negli anni Novanta e nella perdita di prestigio dell’intellettuale – l’impotenza dell’autore. Tradizionalmente, infatti, l’autobiografia degli intellettuali nella storia cinese serve soprattutto a sottolineare la propria centralità politica e il proprio prestigio politico (Larson 1991) e quindi il proprio relativo potere (maschile) o almeno la propria vicinanza al centro del potere. In effetti, il tentativo di ricostruire la mascolinità dell’intellettuale ribadendo la sua posizione di potere sembra spesso contaminato dalla consapevolezza che anche nell’epoca delle riforme l’importanza sociale dell’intellettuale stesse declinando. Forse anche per questo l’autore sottolinea anche nella forma la necessità di ottenere il riconoscimento sociale di cui l’uomo di cultura ha bisogno: l’erudizione esibita in Lühua shu, il simbolismo di cui è ricco il romanzo Nanren de yiban shi nüren e lo sperimentalismo formale di Xiguan siwang sono probabilmente dimostrazioni di una crescente ansia per la perdita del prestigio sociale su cui l’intellettuale, nel solco della tradizione del junzi confuciano, costruisce anche la propria mascolinità. Il bisogno di un riconoscimento della propria mascolinità, soprattutto se viene meno l’elemento culturale, è anche la conquista della donna: anche per questo nella rappresentazione al declino dell’intellettuale – più che semplicemente del maschio – si accompagna per compensazione la descrizione (del recupero) della potenza sessuale maschile. L’esigenza di riaffermare con forza il prestigio dell’intellettuale sarà un bisogno condiviso anche da altri autori degli anni Ottanta e Novanta. L’esempio del romanzo Feidu di Jia Pingwa dimostra la persistenza del timore non tanto di un declino del maschile, ma di un declino dell’intellettuale e della sua mascolinità. Il monopolio della rappresentazione, che dai tempi dei letterati confuciani aveva dato agli uomini di lettere la capacità di veicolare con le proprie opere l’immagine del wenren come versione prediletta della mascolinità ora viene sempre più sfidata non tanto da versioni più “virili” della mascolinità, che restano marginali, ma da altre forme di rappresentazione e da altri tipi di cultura. L’uomo d’affari e di successo, in particolare, nelle sue diverse declinazioni, sarà d’ora in avanti sempre più celebrato nella cultura popolare, sulle riviste patinate o nella pubblicità come incarnazione di una nuova fase della modernità a scapito dell’uomo di lettere in un periodo in cui i rapporti fra intellettuali e partito, fra uomini e donne e fra uomini sono molto più complessi e le posizioni soggettive si moltiplicano, si intrecciano e si modificano rapidamente. La narrativa autobiografica dell’autore è sembrata ad alcuni critici e intellettuali complice del partito e di un potere ancora repressivo, forse anche perché tenta di volgere in termini psicologicamente e personalmente positivi un percorso estremamente doloroso per la nazione e nei risultati narrativi sembra smorzare molto la durezza della realtà della “riforma

291 attraverso il lavoro” a favore di un’elaborazione del trauma molto più vasta e approfondita. Il confronto con la figura paterna è un tema autobiografico sempre presente nella narrativa dell’autore, fin da Ling yu rou, ed è uno degli elementi cruciali della riflessione sull’identità maschile. La formazione del super-io, ossia l’introiezione dell’autorità paterna (che rappresenta anche un rafforzamento delle istituzioni disciplinari), è importante per la soluzione del complesso di Edipo: l’incorporazione della legge del padre serve per superare l’attaccamento alla donna/madre, come sono spesso descritte Ma Yinghua e Huang Xiangjiu, e garantire l’emancipazione del soggetto. Dopo aver perso il padre reale ed essere stato allontanato dalla famiglia (alle cui origini borghesi doveva in parte la sua condanna), il protagonista diventa parte di una famiglia socialista e viene adottato dal padre simbolico rappresentato dal partito, da Mao, da Marx. Egli cerca così di essere degno di queste figure paterne per essere elevato al rango di uomo non solo nella società maoista, ma anche nella società futura. La sua vicenda biografica, però, non è solo un cammino di redenzione politica e psicologica ma anche un percorso di formazione quasi religioso che va da un massimo di incoscienza alla pienezza dell’illuminazione religiosa e filosofica (Lühua shu) alla crescita come uomo attraverso il sesso (Nanren de yiban shi nüren) all’elaborazione psicologica successiva (Xiguan siwang). È anche la ricchezza di riferimenti, di simboli e di possibilità metaforiche che rendono interessante la lettura della narrativa dell’autore. A mano a mano che aumenta la sua consapevolezza cambia anche la sua visione del partito, dei suoi rappresentanti e della figura paterna che essi incarnano, oltre che della figura paterna suprema del Grande Timoniere. Questo è anche il percorso più generale compiuto dagli intellettuali e dalla letteratura dopo la Rivoluzione Culturale attraverso le correnti letterarie delle «Ferite», della «Riflessione», delle «Radici», i temi della sessualità, e lo sperimentalismo dell’avanguardia. Paradossalmente, però, nel percorso narrativo e terapeutico dell’autore la memoria si frantuma sempre più, cedendo di fronte al relativismo e alla scoperta di un’interiorità ben più complessa e sfaccettata rivelata dalla psicoanalisi: se Lühua shu è più realistico e sostiene un’idea di pienezza del desiderio, di abbondanza linguistica e intellettuale comprensibile all’inizio delle riforme, gli elementi magico- realistici di Nanren de yiban shi nüren, concentrato soprattutto sulla ricostruzione della mascolinità per l’intellettuale, preludono alla frantumanzione completa del soggetto in Xiguan siwang, in cui la scomposizione del soggetto è anche la rottura della logica e della comunicatività della letteratura. L’autore si muove spesso a metà fra il simbolico e il concreto, mescolando in modo abile ma anche fuorviante l’esperienza biografica e l’allegoria nazionale, resa attraverso l’immagine

292 della donna. L’incontro e il contatto con la donna simboleggiano spesso il bisogno di affetto in condizioni estreme, la vicinanza e la comprensione del popolo, l’amore per la propria patria, tutti valori che andavano salvati e riscoperti per non cedere in una situazione ormai cambiata alla persistente disumanizzazione del passato maoista. Il fatto poi che il protagonista abbandoni la donna alla fine delle storie è causato in parte dalla necessità, come in Lühua shu, in parte alla sua forse esagerata ambizione – che serve anche ad aggiungere un tocco melodrammatico alla vicenda – ma alla fine della trilogia il protagonista, dopo tanto peregrinare e tante storie d’amore, ritorna alla sua terra natale alla ricerca del suo primo, semplice amore. Per questo anche il tema dell’abbandono, che ha fatto pensare anche ad una replica degli caizi jiaren xiaoshuo, va reinterpretato alla luce della conclusione di tutta l’autobiografia (semi-)finzionale di Zhang Yonglin. Se le donne sono necessarie per fondare la consapevolezza di sé e per il riconoscimento sociale dell’uomo e dell’intellettuale, occorre però fare una distinzione fra il sesso e l’amore: anziché interpretare in maniera troppo manichea la vicenda del protagonista nei termini di un confronto fra il soggetto maschile e l’oggetto femminile, è più corretto e opportuno distinguere un dato puramente biografico e accidentale, ossia il genere maschile del protagonista/autore e il mondo intorno a sé, che lui crea in base alla propria esperienza e sensibilità. Per potersi opporre efficacemente all’oppressione della politica è fondamentale il sentimento, l’amore e l’affetto che egli trova non solo nelle donne ma anche fra alcuni rappresentanti del popolo. Inoltre, anche le figure femminili della sua opera narrativa si possono distinguere in donne amorevoli, gentili e cortesi, oneste e innocenti (a volte addirittura tradite, come Qiao Anping) e in donne che invece incarnano la pulsione erotica e il desiderio sessuale, come Huang Xiangjiu. Quest’ultima in particolare è associata strettamente all’acqua nella sua duplice natura feconda e mortifera, creatrice e oscura e la lascivia (yin 淫) che incarna e per la quale è stata condannata alla detenzione è come un mostro o una donna-volpe da sconfiggere nel cammino verso l’illuminazione e la liberazione, oltre che per poter maturare pienamente come uomo. Se Ma Yinghua in Lühua shu o il fantasma della ragazza morta suicida in Nanren de yiban shi nüren sono proiezioni idealizzate del bisogno di affetto, di cura e di amore del protagonista e rappresentano la liberazione dalla politica, Huang Xiangjiu per molti versi rappresenta ancora la politica che infesta la vita privata dei singoli: se tutte le passioni durante la Rivoluzione Culturale erano al servizio della politica, anche il desiderio erotico che Huang Xiangjiu incarna era politico, come caratteristiche politiche assumono anche i rapporti fra i due, dalla paura del loro primo incontro ai litigi che sembrano interrogatori. La violenza psicologica che Huang esercita sul protagonista, che quindi in

293 compagnia di lei si sente ancora nel campo di prigionia, è una delle ragioni della sua impotenza, come anche le immagini che nella casa lo circondano e che gli ricordano sempre l’onnipresenza della politica e di un castrante potere patriarcale sempre in agguato. È proprio quando si sente simile al cavallo castrato e al topo in trappola che il protagonista percepisce la propria abiezione e la privazione della propria soggettività. Il tradimento di Huang Xiangjiu con il segretario del partito, poi, conferma l’associazione fra lei e la politica, oltre a contraddire l’immagine di un ruolo puramente passivo e oggettivo della donna nel romanzo. Huang Xiangjiu e Cao Xueyi, quindi, insieme rappresentano un potere, più che femminile, soprattutto yin, nel senso della sua natura turbolenta, imprevedibile, irrazionale, istintiva e pericolosa. Questo potere prevale sull’intellettuale con la paura e lo intimidisce al punto da bloccarne la potenza sessuale e la capacità creativa: in questo modo viene trattato anche il tema del trauma e dei suoi effetti a lungo termine oltre la liberazione fisica. Leggendo la vicenda in questi termini, la sottomissione delle acque da parte di Zhang Yonglin permette al protagonista di vincere del tutto il potere yin nella duplice forma di un riscatto su Cao Xueyi di fronte ai contadini e della ritrovata capacità di prendere l’iniziativa con la moglie e riuscire finalmente a fare l’amore con lei. A questo punto, un non più vergine Zhang Yonglin recupera la sua natura yang nel mondo domestico e allora lasciare la donna diventa la soluzione di una forzatura iniziale: la sua immaturità e la situazione del momento lo avevano portato a ignorare la profonda incompatibilità con Huang Xiangjiu. Se in Lühua shu era stata Ma Yinghua a frenare ragionevolmente l’entusiasmo di Zhang Yonglin, ora è lui a capire di aver fatto un errore. Sicuramente, poi, è anche la sua megalomania, nutrita in anni di detenzione nei campi di lavoro, a convincerlo di avere di fronte a sé un destino ben più grande da realizzare e anche per questo non accetta di restare nel mondo yin della casa. In Xiguan siwang, il protagonista fatica a venire a patti con il proprio passato anche sentimentale e si dibatte nella sovrabbondanza del desiderio senza poter trovare soddisfazione nell’amore per una donna in particolare e amando, attraverso l’esibizione della propria potenza, l’immagine di sé come autore affermato e internazionalmente riconosciuto. Alla fine, però, l’amore che davvero resta nel cuore del protagonista è verosimilmente Ma Yinghua e Zhang Yonglin decide, come il protagonista di Ling yu rou, di tornare nella terra dove era iniziata la sua educazione sentimentale.

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