1.5 IL SISTEMA GIUDIZIARIO IRACHENO

Magg. ammcom. Tommaso LONGO

Le note vicissitudini in merito al processo di Saddam Hussein hanno evidenziato che la giustizia in viene condotta con serietà e con notevoli rischi personali; non dimentichiamo che uno dei giudici del tribunale che doveva giudicare Saddam è stato ucciso in un attentato. Con la Costituzione, il sistema giudiziario ha subito dei cambiamenti sostanziali, anche se ha mantenuto parte della legge tradizionale islamica, cosa comune in molte costituzioni medio- rientali tra le quali quella dell’Egitto. Il sistema giudiziario iracheno trae origine dal sistema civile francese. È basato sul processo di tipo inquisitorio, sull’obbligatorietà dell’azione penale e prevede due gradi di giudizio. Negli anni 1920 – 1932, durante il mandato inglese, ha subito influssi da parte della “commow law”. Nel periodo dittatoriale detto ordinamento giudiziario aveva subito degli sconvolgimenti. Tra questi l’introduzione progressiva di tribunali speciali aventi competenza sui casi riguardanti la sicurezza dello Stato. Ciò sminuiva la funzionalità delle “Court Houses” rendendola solo appa- rente. Nello stesso periodo, per guadagnare il supporto dei leader delle tribù, era stata attribuita

- 93 - grande importanza al sistema giudiziario tribale, basato sull’arbitrato e sul sistema consuetudi- nario. Le cause a carattere religioso, invece, di solito sono trattate da tribunali musulmani che seguono la legge coranica. Qui approfondiremo il sistema giudiziario istituzionalmente riconosciuto; inoltre segnaliamo che la descrizione del sistema giudiziario iracheno è l’esito di quanto raccontato ed illustrato in merito dai Magistrati in occasione dei colloqui all’uopo organizzati.

La legislazione criminale

La legislazione criminale in vigore è regolata dall’Iraqi Criminal Code, Codice Penale del 1969 emanato con legge n. 111, e dal successivo Code And Criminal Proceeding Law, Codice di Pro- cedura Penale del 1971 emanato con legge n. 23, entrambi epurati di alcuni articoli aboliti subito dopo il recente conflitto ed inerenti a particolari privilegi previsti per gli appartenenti al passato regime e per la persona del deposto Rais. Durante il mandato Coalition Provisional Authority (CPA) sono stati emanati tre “orders”, ov- vero il n.: − 31 che ha introdotto modifiche in materia di codice penale e di procedura penale; − 48 e relativi annessi riguardante la costituzione di tribunali speciali contro gli appartenenti al- l’ex regime; − 13 riguardante la costituzione della Central Criminal Court in Iraq.

La struttura del sistema giudiziario

Il sistema giudiziario iracheno si articola secondo la seguente struttura: − consiglio di Giustizia: ▪ Competenza territoriale: nazionale. ▪ Sede: . ▪ Giurisdizione e competenza per: trasferimenti, promozioni, disciplina, nomina dei giudici delle Corti Federali, supervisione del sistema giudiziario federale ed amministrativo del bi- lancio. − Corte Suprema Federale: ▪ Competenza territoriale: nazionale. ▪ Sede: Baghdad. ▪ Giurisdizione e competenza: per le questioni a carattere legale riguardanti il Governo ira- cheno centrale, i governatorati e le amministrazioni locali e per i giudizi sulla costituzionalità di leggi, di regolamenti, di direttive emanate da essi emanate. − Corte Federale Di Cassazione: ▪ Competenza territoriale: nazionale. ▪ Sede: Baghdad. ▪ Giurisdizione e competenza: per i procedimenti di ultima istanza − Corte Criminale (Penale) Centrale ▪ Competenza territoriale: nazionale.

- 94 - ▪ Sede: Baghdad. ▪ Giurisdizione e competenza: per i reati più gravi che direttamente minacciano l’ordine e la sicurezza pubblica (solo se commessi dopo il 19 marzo 2003). Le pronunce di questo tribu- nale sono soggette ad appello dinanzi ad una speciale divisione di Appello della Corte me- desima e, in ultima istanza, alla Corte Suprema Federale. − Corti Regionali D’appello: ▪ Competenza territoriale: regionale di secondo grado su tutte le Province. ▪ Sede: Baghdad; ▪ Giurisdizione e competenza: Corte Civile d’Appello (ha giurisdizione civile; Corte Penale d’Appello ( ha competenza in materia di terrorismo, criminalità organizzata, corruzione governativa, destabilizzazione dell’ordine costituito, violenze etniche, razziali e religiose);▪ Corte Finanziaria d’Appello (ha competenza in materia finanziaria). − Corti Provinciali D’appello (Dipartimento Penale): ▪ Competenza territoriale: provincie; ▪ Sedi: in Baghdad, Nassiryah, Musil, Ramadi, Najaf, Babilonia, Kut, Bassora. ▪ Giurisdizione e competenza: Ufficio del Giudice Istruttore ( svolge attività d’indagine per massimo 6 mesi prorogabili); Ufficio del Prosecutore (valuta le imputazioni sulla base del fascicolo trasmessogli dal Giudice Istruttore e, a seconda dei casi, promuove l’eventuale pro- cedimento penale dinanzi alla Corte; restituisce il fascicolo al Giudice Istruttore per acquisire ulteriori elementi; archivia il procedimento. Non ha funzioni giudicanti ma di garanzia della regolarità procedurale); Ufficio del Giudice dei reati minori (ha funzioni giudicanti e può condannare per i reati minori e per sentenze fino a 5 anni di pena; forma il Collegio Giu- dicante con il Prosecutore); Ufficio del Giudice Criminale (ha funzioni giudicanti e può emettere condanne per i reati più gravi prevedenti pena superiore ai 5 anni; forma il Collegio Giudicante con il Prosecutore e due Giudici a latere). − Corti Provinciali D’appello (Dipartimento Civile) ▪ Competenza territoriale e sede: in ogni provincia. ▪ Giurisdizione e competenza: Corte Civile (ha competenza in materia notarile, protesti, de- cessi); Corte degli Affari Sociali (ha competenza di stato civile e diritto successorio). − Corti Provinciali D’appello (Dipartimento Ufficiali Giudiziari) ▪ Competenza territoriale e sede: in ogni provincia. ▪ Giurisdizione e competenza: Ufficio Registrazioni di Stato (ha competenza in materia di trascrizioni degli atti governativi, notarili e catastali); Ufficio Orfani (ha competenza in materia di assistenza agli Orfani); Ufficio Assistenti Giudiziari (ha competenza in materia di registrazioni di compravendite di beni mobili ed immobili tra privati). − Tribunali Minorili: ▪ Sede: in ogni provincia. ▪ Giurisdizione e competenza: con giurisdizione penale sui minori tra i 9 ed i 18 anni (se tra i 9 ed i 14 anni, pene fino ad 1 anno; se tra i 14 ed i 18, pene fino a 5 anni). Il giudice istrut- tore, al termine delle indagini, trasmette gli atti al competente Tribunale Minorile, dove gli imputati sono assistiti da uno psicologo. − Corti Locali:

1la Provincia di Dhi Qar comprende i seguenti Distretti giudiziari: An Nassiryah, Suk Ash Shuyukh, Ash Shatrah, Al Rifaj, Al Fajr, Qalat Sukkar, Al Chabaish. In ogni Distretto sono inseriti gli Uffici del Giudice Istruttore e del Giudice dei reati minori. L’Ufficio del Giudice Criminale ha sede solo in An Nassiryah.

- 95 - ▪ Sedi:Distretti giudiziari all’interno delle provincie1. ▪ Competenza territoriale: a livello locale. ▪ Giurisdizione e competenza: i casi, dopo una prima udienza dinanzi al Giudice Investigativo, se giudicati sufficientemente istruiti, vengono rinviati al giudizio della Corte Criminale per reati minori ovvero per delitti. − Inoltre, in ciascuna delle province, tranne Baghdad, hanno sede le seguenti Corti: ▪ Corti di Prima Istanza hanno competenza in materia civilistica e commerciale. Contro le sen- tenze è ammesso appello alla competente Corte Provinciale d’Appello. ▪ Corti Criminali: per reati minori hanno competenza per reati punibili con la pena massima della reclusione a 5 anni. ▪ Corti Criminali per Delitti: hanno competenza estesa ai crimini più gravi. I “giudicati” ven- gono inviati alla revisione della Corte Suprema e poi rinviati alla Corte di prima istanza per il nuovo giudizio. ▪ Corti Amministrative: hanno competenza per le controversie tra individui ed il governo ovvero tra organi governativi. Le sentenze emesse da queste Corti possono essere appellata alla Corte d’Appello.

L’organizzazione della magistratura

Il Consiglio di Giustizia, con sede a Baghdad presso il Ministero della Giustizia, come anzidetto, ha il potere di disporre trasferimenti e promozioni nei confronti di tutti i Magistrati2. Sono que- ste, comunque, le figure previste dall’ordinamento giudiziario iracheno: − Giudice Investigativo: si tratta di un vero e proprio Pubblico Ministero il quale promuove l’azione penale in base alle informative di reato redatte dai Comandi di Polizia ed in generale ogniqualvolta viene a conoscenza di un reato. Detto Giudice, per l’attività investigativa, può avvalersi anche di periti e delle Forze di Polizia. Egli dispone di un intervallo temporale di sei mesi per le indagini cosiddette “preliminari”, con possibilità di prolungare il periodo senza un limite massimo. Quando il Giudice Investigativo termina la fase istruttoria, il procedimento penale viene rimesso alla valutazione del Giudice “Prosecutore”. Il Giudice Investigativo non partecipa al dibattimento. − Giudice Prosecutore: la figura del Giudice Prosecutore può essere paragonata a quella del Giu- dice per le Indagini Preliminari nell’ordinamento italiano. In base a quanto il Giudice Inve- stigativo gli trasmette, egli valuta le imputazioni a carico dell’indagato e promuove il procedimento dinanzi ad una Corte. Ove ritenuto necessario invia nuovamente all’Ufficio la documentazione riguardante il caso in trattazione richiedendo ulteriori sviluppi dell’ indagine o, nel caso di inconsistenza delle accuse, procede ad archiviazione. Il Giudice Prosecutore non ha funzioni giudicanti e risulta inserito nel collegio giudicante solo per svolgere funzioni di garanzia per la regolarità del procedimento. − Giudice Criminale: il Giudice Criminale è un Magistrato con funzioni giudicanti, autorizzato ad emettere sentenze di condanna per i reati che prevedono come pena la reclusione nella mi- 2Con particolare riferimento alla situazione di Dhi Qar, l’attuale Presidente della Corte d’Appello di An Nassiriyah, dipende direttamente da quest’organo. Detta Corte riunisce sotto la propria giurisdizione altri Distretti Giudiziari denominati Corte Investigative, ubicate in Ash Shatrah, Al Rifaj, Al Chabaysh, Qalat Sukkar e Suq Ash Shuyukh, ove per ciascuna sono inseriti gli uffici del Giudice Investigativo e del Giudice Offensivo, ma non del Giu- dice Criminale che si trova invece esclusivamente in An Nassiryah.

- 96 - sura minima di un periodo superiore ad anni cinque. Egli presiede un collegio composto da due Giudici a latere e dal Giudice Prosecutore. Le udienze si svolgono tre volte a settimana: il lunedì, il mercoledì e la domenica. − Giudice Offensivo: il Giudice Offensivo è un magistrato avente funzioni giudicanti e può emettere sentenze di condanna per i reati, che prevedono come pena la reclusione nella misura massima di un periodo non superiore ad anni cinque. Egli presiede il collegio insieme al Giu- dice Prosecutore. Le udienze non seguono un calendario prestabilito. − Giudice Giovanile: tale Giudice ha competenza giudicante ed infligge le pene per i reati com- messi dagli individui con età compresa tra i nove ed i diciotto anni secondo il seguente crite- rio: ▪ dai nove ai quattordici anni, pene non superiori ad un periodo di reclusione massimo di un anno; ▪ dai quattordici ai diciotto anni pene non superiori ad un periodo massimo di cinque anni di reclusione. Tali criteri sono soggetti alla discrezionalità del Giudice il quale ha facoltà di aumentare la pena fino ad un massimo di quindici anni a seconda della gravità del fatto e dell’età dell’imputato. Per giungere al giudizio, l’iter procedurale è simile a quello adottato nel procedimento per le persone maggiorenni (il Giudice Investigativo conduce le indagini e le trasmette alla Corte). Durante il giudizio è prevista la presenza del Giudice Prosecutore e di un psicologo per assi- stere i minori imputati. In generale le querele sono presentate ai Giudici Investigativi i quali successivamente le indiriz- zano alla Polizia per lo svolgimento delle indagini. La funzione di Magistrato, durante il periodo del passato regime, era svolta esclusivamente da uo- mini. Attualmente anche le donne ricoprono tale delicato incarico. Dal 1996, infatti, nessuna donna poteva esercitare tale professione. Non esiste separazione di carriera per i magistrati.

La giustizia tribale

Come anticipato nella parte riguardante il sistema giudiziario iracheno, un altro tipo di giustizia che si può considerare parallela a quella dello Stato, dal momento che realizza una “risoluzione parallela” delle controversie, è la cosiddetta giustizia tribale. La trattazione di tale tipo di giustizia richiederebbe una approfondita analisi del sistema sociale delle tribù3 beduine da considerare come unità socio–politiche piuttosto lontane dalla sfera di in- fluenza del potere centrale. Tuttavia possiamo dire che anche oggi l’identità tribale costituisce saldo riferimento per ogni beduino. Di conseguenza la cultura tribale, ancora profondamente ra- dicata nella popolazione, spinge i singoli a “cercare giustizia” presso gli sceicchi4, considerati giu- dici imparziali capaci di addivenire ad eque sentenze. Importante fattore, che gioca a favore della giustizia tribale, è la rapidità con la quale si risolvono le vertenze in contrapposizione al fatto che il sistema giudiziario dello Stato è afflitto da una

3Con tale termine si indica un raggruppamento genealogico nel cui interno i componenti riconoscono esplicitamente e reciprocamente la comune discendenza da un antenato di sesso maschile. 4Lo sheikh è l’anziano cioè l’individuo avveduto e degno di rispetto per la saggezza che gli è derivata dall’esperienza.

- 97 - serie di problematiche che ne impediscono il regolare funzionamento e determinano un senso di scarsa fiducia da parte della popolazione. In particolare, la corruzione della Polizia e l’incapa- cità dei giudici di imporre l’esecuzione delle indagini determina un arresto delle vicende proces- suali che si prolungano per vari mesi. Talvolta si crea un vincolo tra l’agente di Polizia e l’indagato ovvero tra il giudice e l’indagato. Questa situazione falsa la limpidità del procedimento rallentando il corso della giustizia. Si riportano a titolo di esempio alcuni aspetti di giustizia tribale: − le controversie importanti e quelle con le altre tribù vengono rappresentate allo sceicco gene- rale. Negli altri casi si ricorre alla decisione degli sceicchi minori; − le decisioni vengono prese sulla base di insieme di regole che si fanno risalire alla tradizione orale e non sono codificate; − generalmente lo sceicco provvede personalmente a scrivere la sentenza; − l’offesa subita può essere compensata da parte del colpevole con l’elargizione di denaro. La parte che lamenta l’offesa nella generalità dei casi ottiene giustizia.

- 98 - SISTEMA GIUDIZIARIO IRACHENO

GIURISDIZIONE E COMPETENZA CORTI COMPOSIZIONE COMPETENZA PER MATERIA TERRITORIALE E SEDE

− Organo del Ministero della Giustizia.− Trasferimenti − Nazionale − Composto da: Presidente della Corte− Promozioni − Sede in Baghdad CONSIGLIO DI GIUSTIZIA Suprema Federale, Presidente e Vice− Disciplina (Consiglio Superiore della Magistra- Presidente della Corte Federale della− Nomina dei giudici delle Corti Fede- tura) Cassazione, Presidenti delle Corti Fe- rali derali d’Appello, Presidenti e Vice− Supervisione del sistema giudiziario Presidenti delle Corti regionali di federale ed amministrazione del bi- Cassazione lancio

Giurisdizione originaria ed esclusiva: − Nazionale − nei procedimenti legali tra il Governo− Sede in Baghdad e iracheno centrale e quelli regionali, governatorati e amministrazioni mu- nicipali e amministrazioni locali; − nei giudizi di costituzionalità rispetto CORTE SUPREMA FEDERALE 9 membri a nomina governativa alla TAL - sulla base di reclami o di questioni incidentali sollevate da altre Corti - di leggi, regolamenti o diret- tive emanate da governi federali o re- gionali, governatorati o amministra- zioni municipali o locali.

- 99 - SISTEMA GIUDIZIARIO IRACHENO

GIURISDIZIONE E COMPETENZA CORTI COMPOSIZIONE COMPETENZA PER MATERIA TERRITORIALE E SEDE

CORTE FEDERALE DI CASSA- Corte di ultima istanza, ad eccezione− Nazionale ZIONE delle competenze riconosciute alla Corte− Sede in Baghdad Suprema federale.

CORTE CRIMINALE (PENALE) Giudici già nominati per un anno− Ha cognizione dei reati più gravi che− Nazionale CENTRALE dalla CPA, su raccomandazione del più direttamente minacciano l’ordine− Sede in Baghdad e Mosul Judicial Review Committee. e la sicurezza pubblici (solo se com- messi dal 19 marzo 2003 in poi). − Applica il codice penale del 1969 e di procedura penale iracheni del 1971 (entrambi modificati). − Le pronunce sono soggette ad appello dinnanzi ad una speciale divisione di appello della Corte medesima e, in ul- tima istanza, alla Corte Suprema Fe- derale.

- 100 - SISTEMA GIUDIZIARIO IRACHENO

GIURISDIZIONE E COMPE- COMPETENZA CORTI COMPOSIZIONE TENZA PER MATERIA TERRITORIALE E SEDE

CORTE CIVILE D’APPELLO Giurisdizione civile

CORTI REGIONALI − Regionale di 2° grado su tutte le pro- D’APPELLO Terrorismo, criminalità organizzata, vince CORTE PENALE D’APPELLO corruzione governativa, destabilizza-− Sede in Baghdad zione dell’ordine costituito, violenze et- niche, razziali e religiose.

CORTE FINANZIARIA Materia finanziaria D’APPELLO

- 101 - SISTEMA GIUDIZIARIO IRACHENO

GIURISDIZIONE E COMPETENZA CORTI COMPOSIZIONE COMPETENZA PER MATERIA TERRITORIALE E SEDE

CORTI PROVINCIALI Ufficio del Giudice Istruttore Attività di indagine (massimo 6 mesi) D’APPELLO Dipartimento penale Ufficio del Prosecutore − Analogo al nostro Giudice delle Inda- gini Preliminari. − Valuta le imputazioni, sulla base del fascicolo trasmessogli dal Giudice Istruttore e, a seconda dei casi: ▪ promuove l’eventuale procedi- Sedi in Baghdad, Nas-siryah, Musil, Ra- mento penale dinnanzi alla Corte; madi, Najaf, Babilonia, Kut, Bassora ▪ restituisce il fascicolo al Giudice Istruttore per acquisire ulteriori ele- menti; ▪ archivia il procedimento. − Pur inserito nel collegio giudicante con Il Giudice dei reati Minori ov- vero con il Giudice Criminale, non ha funzioni giudicanti, ma di garanzia della regolarità procedurale.

- 102 - SISTEMA GIUDIZIARIO IRACHENO

GIURISDIZIONE E COMPETENZA CORTI COMPOSIZIONE COMPETENZA PER MATERIA TERRITORIALE E SEDE

Ufficio del Giudice dei reati minori − Ha funzioni giudicanti e può condan- Sedi in Baghdad, Nas-siryah, Musil, Ra- nare per i reati minori (fino a 5 anni madi, Najaf, Babilonia, Kut, Bassora di pena). − Forma il Collegio Giudicante con il Prosecutore Ufficio del Giudice Criminale − Ha funzioni giudicanti e può emettere condanne per i reati più gravi (pena Sedi in Baghdad e Al Amarah CORTI PROVINCIALI superiore ai 5 anni). D’APPELLO − Forma il Collegio Giudicante con il Dipartimento penale Prosecutore e 2 Giudici a latere

- 103 - SISTEMA GIUDIZIARIO IRACHENO

COMPETENZA CORTI COMPOSIZIONE GIURISDIZIONE E COMPETENZA PER MATERIA TERRITORIALE E SEDE

Corte Civile Competenza in materia notarile, protesti, decessi CORTI PROVINCIALI D’APPELLO Corte degli Affari Competenza di stato civile e diritto successorio Dipartimento Civile Sociali

CORTI PROVINCIALI Ufficio Registrazioni Trascrizione di atti governativi, notarili e catastali D’APPELLO di Stato Dipartimento Ufficiali Giudi- ziari Ufficio Orfani Assistenza agli orfani

Assistenti Giudiziari Registrazioni su compravendite di beni mobili ed immobili tra pri- vati

TRIBUNALI MINORILI Giurisdizione penale sui minori tra i 9 ed i 18 anni (se tra i 9 ed i 14, pene fino ad 1 anno; se tra i 14 ed i 18, pene fino a 5 anni). Il giudice istruttore, al termine delle indagini, trasmette gli atti al competente Tribunale Minorile, dove gli imputati sono assistiti da uno psicologo

- 104 - SISTEMA GIUDIZIARIO IRACHENO GIURISDIZIONE E COMPETENZA CORTI COMPOSIZIONE COMPETENZA PER TERRITORIALE E SEDE MATERIA

CORTI LOCALI In ciascuna delle province, tranne Baghdad, hanno sede le se-I casi, dopo una prima udienzaCompetenza territoriale e sedi a li- guenti Corti: dinnanzi alla Corte di Inves-vello locale. − Corti di Prima Istanza, con competenza in materia civilisticatigazione, se giudicati suffi- e commerciale. Contro le sentenze è ammesso appello allacientemente istruiti, vengono competente Corte Provinciale d’Appello. rinviati al giudizio della Cor- − Corti Criminali per Reati minori, che hanno competenza perte Criminale per Reati Minori reati punibili con la pena massima della reclusione a 5 anni. ovvero per Delitti. − Corti Criminali per Delitti, aventi sede in ciascuna provincia (tranne in Baghdad dove ve ne sono più di una). La compe- tenza è estesa ai crimini più gravi. I giudicati vengo inviati alla revisione della Corte Suprema e, in caso di violazione di legge, vengono rinviati alla Corte di prima istanza per il nuovo giudizio. − Corti amministrative, a cui è devoluta la cognizione delle con- troversie tra individui ed il governo ovvero tra organi gover- nativi. La decisione può essere appellata alla Corte d’Appello. Se il valore della causa eccede certi limiti, il caso può essere portato alla Corte Suprema. In caso contrario, la decisione è definitiva.

- 105 - Pagina non scritta 1.6 LA COALIZIONE INTERNAZIONALE E LA SITUAZIONE IN IRAQ A QUAT- TRO ANNI DALLA CADUTA DI SADDAM HUSSEIN.

1° Mllo. Dott. Paolo BRUSADIN

Dopo la dichiarazione della fine della guerra da parte del Presidente George W. Bush il 1° maggio 2003 ed il termine formale dell’operazione Iraqi Freedom iniziata il 14 marzo 2003 da Stati Uniti, Gran Bretagna, Australia e Polonia, con l’avvallo politico e logistico di altre nazioni1, una guer- riglia “variegata”, che ha scatenato uno stillicidio di attentati, ha indotto la Coalizione interna- zionale a rimanere in Iraq per procedere alla stabilizzazione del Paese. Il sito della Casa Bianca, il 27 marzo 2003 riportava la notizia che alla missione partecipavano, seppur con diverse modalità e impegno, 49 paesi, ossia: Afghanistan, Albania, Angola, Australia, Azerbaijan, Bulgaria, Colombia, Corea del Sud, Danimarca, El Salvador, Eritrea, Estonia, Etio- pia, Filippine, Georgia, Honduras, Islanda, Isole Marshall, Isole Salomone, Italia, Giappone, Ku- wait, Lettonia, Lituania, Macedonia, Micronesia, Mongolia, Nicaragua, Paesi Bassi, Palau, Panama, Polonia, Portogallo, Regno Unito, Repubblica Ceca, Repubblica Dominicana, Roma- nia, Ruanda, Singapore, Slovacchia, Spagna, Stati Uniti, Tonga, Turchia, Ucraina, Uganda, Un- gheria e Uzbekistan. In effetti, circa 30 di questi paesi inviarono contingenti militari per lo più simbolici, anche se otto di loro (Corea del Sud, Regno Unito, Italia, Paesi Bassi, Polonia, Spagna, Stati Uniti, Ucraina) inviarono più di 1.000 uomini. Lo stesso Presidente Bush ha definito questo gruppo di Stati come facenti parte di una Coalition of the willing (Coalizione dei volenterosi). La stabilizzazione dell’Iraq avrebbe dovuto ripristinare i canoni del vivere democratico e mi- gliorare le condizioni economiche e sociali, dopo le devastazioni prodotte dal regime di Saddam Hussein, dall’embargo e dalle guerre. In realtà, la Coalizione2 è stata da subito massicciamente impegnata a reprimere militarmente una sorta di “jihad internazionalista” composta da diverse anime, che ha dato vita a una guerra non dichiarata ma estremamente sanguinosa. La guerriglia è organizzata attorno al nucleo di Ansar al-Islam, che si professa affiliato ad al- Qaeda, ed è composta per la maggior parte dagli ex fedelissimi di Saddam di origine sunnita, da miliziani non iracheni e dalle milizie sciite del Badr, fedele al partito SCIRI filo-iraniano, e del Mahdi, legata all’ayatollah Moqtada al-Sadr. Ripercorrendo la storia dell’Iraq sembrerebbe possibile affermare che la violenza sia una prassi oramai consolidata ed accettata per risolvere le controversie politiche, etniche e settarie, soprat- tutto tra sciiti e sunniti. Lo scisma tra sunniti e sciiti risale al settimo secolo d.C. Per i musulmani Maometto è stato l’ul- timo di una serie di profeti di Dio iniziata con Abramo e proseguita con Mosè e Gesù. Dopo la morte di Maometto, la nascente comunità fu dilaniata da lotte intestine su chi dovesse succedergli come capo della umma, il popolo dei credenti. Alla fine l’autorità passò ai Califfi Abu Bakr,

1 Vedasi: http://www.whitwhouse.gov/infocus/iraq/news/20030327-10.html. Oltre l’80% delle truppe che par- teciparono all’operazione erano statunitensi e il rimanente era in larga parte britannico, e anche in seguito la quota di partecipazione americana non è mai scesa al di sotto del 75%.

- 107 - Omar. Uthman e Ali. I musulmani sunniti venerano tutti e quattro i Califfi come Capi politici, non spirituali. Gli sciiti, il cui nome deriva da shiat Ali “sostenitori di Ali” considerano i primi tre Califfi degli usurpatori del diritto divino di Ali, cugino di Maometto. Pensatore e soldato, co- mandò il primo esercito islamico e si guadagnò la fama di guerriero generoso e magnanimo. La sua spada dhu al-fiqar divenne un simbolo. Le sue massime e i suoi sermoni vennero raccolti in un libro intitolato Nahj al-Balaghah, ovvero “La via dell’eloquenza”, che divenne un modello per l’arabo quanto lo futono le orazioni di Cicerone per il latino. Pur costituendo una minoranza nel mondo arabo, gli sciiti sono sempre stati la maggioranza in Iraq sin dall’indipendenza del Paese ottenuta nel 1923; tuttavia non sono riusciti a rivendicare una quota di potere in proporzione al loro numero. Per secoli in Iraq la popolazione del shī’ at Alī è vissuta nell’ombra rispetto a quella di credo sun- nita; è sempre stata perseguitata a partire dagli Abbasidi, poi dalla Sublime Porta e infine dal re- gime dittatoriale di Saddam Hussein. Le divisioni settarie hanno plasmato la politica dell’Iraq dalla strada alle stanze del Potere: la classe colta ha dibattuto e la plebe ha combattuto. Ciò nonostante, la domanda emersa nel settimo secolo dopo la morte di Maometto3 è rimasta senza risposta: chi ha il diritto di governare? A tutt’oggi il nuovo Governo iracheno non è pienamente in grado di controllare ed eliminare la violenza che si verifica a cadenza quasi quotidiana sia a Baghdad sia nelle province più impor- tanti. Le motivazioni che giustificano la violenza sono complesse e nascono dalle diverse priorità dei gruppi etnico-religiosi che compongono il variegato panorama iracheno, quali ad esempio la spartizione del potere socio-economico e il mantenimento delle tradizioni culturali. In Iraq, in ogni regione, esiste una motivazione diversa per diffondere la violenza, come ad esem- pio a Baghdad dove vi è scontro aperto sul futuro del Paese e sulla salvaguardia dei gruppi set- tari.

3Per la cui struttura:

48 giugno 632.

- 108 - L’Iraq moderno nasce con la violenza, e con la violenza si è governato prima e subito dopo la se- conda guerra mondiale, durante il periodo monarchico e sino all’ultimo regime dittatoriale con a capo Saddam Hussein. Tutti i cambiamenti politici si sono dunque caratterizzati per la violenza, la repressione e per l’as- soggettamento di una larga parte della popolazione nei confronti di una minoranza. Questo stato di cose ha generato sentimenti profondi d’ingiustizia e di rivalsa. All’interno della cultura irachena, anche la giustizia prende spesso la forma di violente rappre- saglie, e le motivazioni da cui scaturisce sono complesse. In aggiunta, ogni singolo atto può avere alla base diverse motivazioni che il più delle volte risul- tano essere in contraddizione le une con le altre. Tralasciando la violenza “individuale” che caratterizza la maggior parte degli atti criminosi in tempo di pace, peraltro comuni anche nelle nostre società occidentali, la violenza in Iraq può es- sere ricondotta a quattro cause principali: − competizione settaria sul futuro del Paese; − profitto economico e status sociale; − sopravvivenza dei vari gruppi; − obblighi culturali/religiosi. La competizione settaria è probabilmente il fattore più importante perché la violenza è motivata dal desiderio dei vari gruppi d’imporre la propria visione alla popolazione sopprimendo, di fatto, tutte le altre aspirazioni. Nemmeno l’elezione del 15 dicembre 2005 di un nuovo Parlamento dominato dagli sciiti4 è riu- scita a fermare gli attentati che ogni giorno causano decine di vittime fra la popolazione civile oltre che fra i soldati della Coalizione e fra gli stessi attentatori. Il bilancio delle vittime di questo conflitto non dichiarato è controverso: secondo alcune stime, aggiornate al 22 agosto 2007, le vit- time civili della guerra in Iraq sarebbero fra i 67.945 e i 74.336, e quelle militari 3.912, di cui 3.637 soldati statunitensi, mentre, secondo una ricerca medica inglese, le vittime irachene del conflitto - dichiarato e non - sarebbero 655.0005. D’altro canto, secondo i dati del Pentagono pubblicati dall’agenzia Reuters, nel mese di giugno 2007 la media giornaliera di attacchi della guerriglia è stata la più alta dal maggio 2003, ossia dalla dichiarazione ufficiale della fine del conflitto. Le statistiche ufficiali informano che nel mese di giugno del 2007 vi sono stati 5.335 attacchi con- tro truppe della Coalizione, forze di sicurezza irachene, civili e infrastrutture. In valore assoluto la cifra di giugno è inferiore del 2,5% rispetto al picco registrato nell’ottobre 2006, con 5.472 at- tacchi, e leggermente inferiore a quella registrata in maggio, pari a 5.365. Tuttavia, contando giugno 30 giorni, la media giornaliera sale a 177,8 attacchi contro i 176,5 di ottobre e i 173,1 di maggio. Rispetto al giugno 2006 l’aumento degli attacchi è stato pari al 46%, con una consistente diminuzione degli attacchi contro obiettivi civili (18%, rispettivamente 763 contro 932) e contro l’Esercito iracheno (889 contro 987) rispetto a maggio, e un aumento del 7% degli attacchi contro le forze della Coalizione, passati nello stesso arco di tempo, da 3.671 a 3.423. Le statistiche del Pentagono evidenziano anche una crescita delle violenze negli ultimi quattro mesi nonostante l’incremento delle operazioni delle truppe americane e irachene contro gli in-

4Il Governo iracheno è guidato dai principali esponenti dell’Alleanza Unificata Irachena, coalizione sciita con i curdi come membri di minoranza, mentre i ministri sunniti si sono dimessi. 5Fonti: iraqbodycount.net, lunaville.com, PeaceReporter, Iraq-Scheda conflitto, 23 luglio 2007. - 109 - - 109 - sorti6. Per un approfondimento sulle minacce che derivano dal sempre più largo uso di ordigni esplosivi improvvisati (Improvised Esplosive Device, o IED), che negli attentati sono la causa prevalente delle morti tra i civili e i militari, si rimanda alle lesson learned in fondo a questo volume. L’ap- profondimento esamina il fattore “IED” nel teatro iracheno e vengono altresì indicate, sia pur a grandi linee, le contromisure attive e passive volte a controllarli. Al di là del macabro balletto delle cifre, è innegabile che la situazione è per molti versi ancora fuori controllo, come dimostrano, da un lato, le notizie giornaliere di attentati terroristici e di bombardamenti e rastrellamenti militari, che stanno provocando un massiccio esodo di popola- zione7 e, dall’altro, lo stato magmatico della presenza e della composizione della Coalizione, che nel corso di questi anni si è modificata continuamente e che vede una consistente diminuzione del numero di Paesi partecipanti. In effetti, occorre ricordare che se al gruppo iniziale di Stati si sono aggiunti successivamente Norvegia, Thailandia, Ungheria, Nuova Zelanda, Moldavia, Armenia, Kazakistan e Bosnia, che hanno inviato contingenti su invito dell’ONU allo scopo di favorire la stabilizzazione dell’Iraq, nello stesso tempo, diversi paesi che avevano inviato truppe hanno già ritirato o ridotto forte- mente i loro contingenti. Fra questi: Spagna, Italia, Bulgaria, Ucraina, Nicaragua, Honduras, Norvegia, Repubblica Domenicana, Filippine, Thainlandia, Nuova Zelanda, Portogallo, Singa- pore, Paesi Bassi, Moldavia e Tonga. Il contingente italiano a novembre del 2006 ha ceduto il controllo della provincia di Dhi Qar alle Autorità irachene. Secondo il mandato ricevuto dal Parlamento, le attività militari italiane si sono essenzialmente orientate all’aiuto ed alla ricostruzione in ambito civile, oltre che al controllo del territorio. I finanziamenti stanziati sono stati investiti a favore della popolazione; prova ne sono - dal set- tembre 2003 ad oggi - gli 850 progetti approvati e quasi tutti già realizzati, le migliaia di richieste di visite mediche, di aiuti umanitari e di materiali (soprattutto sanitario, attrezzature agricole e concimi), il trasferimento nei nosocomi specializzati italiani (Niguarda di Milano, Careggi di Fi- renze, Monaldi di Napoli, l’Hesperia di Modena, l’Ospedale di Sassari ed altri) di decine di ira- cheni affetti da patologie non curabili in terra natia, la costruzione e sistemazione di scuole ad An Nassiriyah, a Shashatra, ad Al Shakhaarah e a Sayadakhill, la costruzione e sistemazione di strutture ospedaliere e mediche ad An Nassiriyah e Al Chabaisch, il riattamento di reti fognarie, idriche, stradali ed elettriche ad Al Chabaisch, ad An Nassiriyah, ad Ar Rifaj, ad Al Chaibaish, ad Al Ighrej e ad Al Islah. Inoltre sono state costruite e riparate alcune strutture adibite a musei, centri ricreativi, uffici della municipalità, senza contare le moltissime abitazioni civili sparse in tutta la provincia. È stato addestrato - e si addestra - da parte del Dipartimento Security Sector Reform il personale iracheno che si è fatto carico carico autonomamente della sicurezza e controllo del territorio. La continua evoluzione della situazione consente solamente di suggerire alcuni dati indicativi: al gennaio 2006 in Iraq erano presenti circa 140.000 soldati americani, a cui andavano aggiunti 8.000 britannici. A questi si aggiungevano tre contingenti fra i 1.000 e i 5.000 uomini (Corea del Sud, Italia, Polonia), 13 contingenti fra 100 e 1.000 uomini (Romania, Georgia, Giappone, Da- nimarca, Australia, El Salvador, Azerbaijan, Mongolia, Albania, Lettonia, Repubblica Ceca, Li-

76Riportato in: Swissinfo, 21 luglio 2007. 7Secondo l’agenzia stampa Aswat al Iraq, la media quotidiana di iracheni uccisi avrebbe raggiunto le sessanta persone, mentre duemila iracheni fuggirebbero dai loro villaggi ogni giorno.

- 110 - tuania, Slovacchia) e cinque paesi con meno di 100 uomini essenzialmente impegnati nella pro- tezione degli uffici dell’ONU in Iraq. A seguito dei ritiri e delle riduzioni dei contingenti nel 2006, le forze della coalizione attualmente presenti sono per l’87% statunitensi, il 5% britanniche e l’8% appartenenti ai 21 stati ancora fa- centi parte della coalizione. La sproporzione numerica dei soldati americani, se rapportata con il resto della Coalizione, fa sorgere il dubbio sulla effettiva utilità della stessa. Tale dubbio potrebbe radicarsi maggiormente se si considerano le diverse regole d’ingaggio, im- poste dai governi, che i contingenti devono scrupolosamente seguire e che risultano limitanti in alcune specifiche attività. Quanto considerato, se è vero che a volte condiziona la libertà d’azione dei contingenti e gioco- forza rende il soldato americano un soldato di “prima linea”, non sminuisce però il ruolo della Coalizione. Qualsiasi attività venga assegnata ai contingenti, in apparenza anche la più semplice o di routine, costituisce un tassello importante nella composizione del difficile puzzle chiamato Iraq. Ecco perché, in questo periodo e nei mesi a venire, il ritiro o la riduzione di alcuni contingenti possiede una valenza pratica sul terreno, oltre che politica; politica a sostegno della causa abbrac- ciata a spada tratta e senza riserve dagli Stati Uniti e pratica poiché il supporto di circa 20.000 mi- litari è da ritenersi importante. Per fare l’esempio più importante, non si può non ricordare progressivo disimpegno britannico da Bassora, sede di un comando superiore e di molte forze operative britanniche, per concentrare tutti i 5.500 militari “recuperati” presso l’aeroporto della stessa città. Si è trattato di una scelta che ha creato tensioni con il comando statunitense, il quale, invece, so- stiene da qualche tempo l’opzione strategica volta all’incremento delle delle forze per il controllo del territorio nel tentativo di ridurre la minaccia terroristica e impedire al nemico di radicarsi. Bassora è una provincia estremamente “calda”, come lo è del resto in quest’ultimi tempi tutta la parte meridionale del Paese. È altresì una provincia commercialmente florida con il capoluogo che, oltre a costituire la se- conda città più grande dopo la capitale, ospita il porto principale del Paese. Nella zona presidiata dagli inglesi (ma il discorso è estendibile a buona parte dell’Iraq), si sono verificati e si verificano atti violenti contro le truppe che colpiscono, di riflesso, la popolazione civile irachena e anche, talvolta, gli stranieri presenti, e ovviamente sempre in maniera del tutto involontaria. Gli attacchi, che hanno avuto sovente come obiettivo la nuova Polizia irachena accusata di col- laborazionismo, sono solitamente portati avanti da piccoli gruppi nei confronti di bersagli di media-piccola entità con l’utilizzo di armi leggere d’assalto, lanciarazzi controcarro RPG-7, pic- coli missili terra-aria Sa-7, mortai da 60 mm e 82 mm e ordigni artigianali di medio potenziale. Continuano a registrarsi tuttora anche numerosi attentati contro obiettivi interni, in particolare quelli di carattere religioso, nonché sequestri di persona. D’altro canto le statistiche allarmanti rese note dal Pentagono, precedentemente citate, alimen- tano le pressioni sull’Amministrazione Bush per giungere a un ritiro delle truppe dall’Iraq. A queste pressioni si contrappone la nuova strategia portata avanti dal generale David Petraeus secondo il quale il rafforzamento della pressione militare sul territorio, anche grazie all’arrivo in loco di altri 30.000 uomini, sta iniziando a dare i suoi frutti, come affermerebbero gli iracheni di Fallujah secondo quanto riportato da un articolo del New York Times del 19 agosto 2007, che

- 111 - titola “La calma di Fallujah è considerata fragile, perché gli americani se ne potrebbero andare”. Il controllo degli americani si estende al centro-nord, compresa la capitale Baghdad. Il presidente Bush, nel consueto discorso radiofonico del sabato, ha affermato che: “..negli ultimi mesi forze americane e irachene hanno sferrato forti colpi contro il terrorismo di al Qaida ed estremisti violenti ad Anbar e in altre province […] gli sceicchi locali si sono uniti alle forze americane per cacciare i ter- roristi da Ramadi e altre città. Praticamente ogni città della provincia ha ora un sindaco e un consiglio municipale funzionante e il rispetto della legge è stato ripristinato”8. L’ottimismo mostrato dal Presidente statunitense va osservato con prudenza, soprattutto se si considera che nella regione di Anbar abita solo il 16% della popolazione9, tanto più che lo stesso Presidente sembra mostrare una certa impazienza nelle dichiarazioni rilasciate a seguito dell’en- nesimo attentato del 22 agosto 2007, laddove non ha preso le distanze dalle affermazioni di Hil- lary Clinton che aveva chiesto al Congresso statunitense di spingere per le dimissioni di Nouri al-Maliki, ritenendo il Presidente iracheno incapace di unificare il suo popolo. Un’impressione, questa, rafforzata dalle dichiarazioni dell’ambasciatore statunitense a Bagdad, Ryan Crocker, che ha definito estremamente deludenti i progressi politici in Iraq10, e dallo stesso Bush, che ha dichiarato che se gli iracheni non sono contenti di chi li governa, possono sempre cambiare rotta. Nel contempo alcune dichiarazioni del Presidente statunitense11, che ha agitato il fantasma del ritiro dal Vietnam come esempio di un errore che non si deve ripetere per l’Iraq, lasciano intuire come la questione di un territorio per nulla pacificato e anzi a rischio di una guerra civile deva- stante fra sunniti e sciiti, alimenta il dibattito interno fra repubblicani e democratici, anche in vista delle prossime elezioni. Giova ricordare che nello scorso luglio i democratici sono stati battuti al Senato grazie a una mozione procedurale12 su un progetto che prevedeva il ritiro dei soldati entro 120 giorni e la fine delle azioni di combattimento entro l’aprile del 2008, e che era stato approvato la settimana pre- cedente dalla Camera dei Rappresentanti. Ad oggi due milioni di iracheni vivono all’interno di campi profughi nei Paesi confinanti. Quasi altrettanti sono profughi interni, ammassati in molte baraccopoli urbane. Nelle città manca una fornitura regolare di energia elettrica, le linee telefoniche e i servizi igienico-sanitari. Gli iracheni “fortunati” vivono in comunità barricate dietro muri di cemento. Non mancano interventi che sottolineano la grave crisi umanitaria che l’Iraq sta attraversando, come la denuncia presentata ad Amman il 30 luglio 2007 dall’organizzazione umanitaria britan- nica Oxfam a nome di diverse altre organizzazioni non governative irachene e internazionali13.

8Citato in: “Gli iracheni di Fallujah chiedono agli americani di restare”, in Il Foglio, 21 agosto 2007, p.3, che riporta altri interventi che suffragherebbero la tesi della necessità del rafforzamento della presenza militare piuttosto che del disimpegno, per sostenere una pace ancora troppo fragile per consentire alle forze della Coalizione di lasciare il campo. 9L’ottimismo di Bush si spiega anche con la constatazione che proprio nella provincia di Anbar è caduto l’80% dei soldati americani. 10Bolopion P, M. Bush exhorte l’Amérique à ne pas «lâcher» l’Irak, in “Le Monde”, 24 agosto 2007, p.4. Uno studio della CIA, reso noto il 24 agosto 2007 confermerebbe che il premier iracheno ha mancato gli obiettivi politici concordati e rischia la caduta entro sei mesi. Fonte: notizie ANSA. 11Le dichiarazioni sono del 22 agosto 2007. 12Il Presidente Bush aveva peraltro ribadito la sua intenzione di porre il veto su qualsiasi legge che fissasse un calendario per il ritiro dall’Iraq. Per approfondimenti vedasi: “Usa, democratici battuti al Senato: nessun ritiro americano dall’Iraq”, in RaiNews24, 23 luglio 2007.

- 112 - In questo allarmante rapporto si precisa che, per taluni aspetti, la situazione è peggiore di quella che si aveva prima dell’intervento americano del 2003: “Il livello di malnutrizione infantile è passato dal 19% prima dell’intervento al 28% di oggi […] Il numero di Iracheni che non hanno accesso all’acqua potabile è passato dal 50% al 70%”. Il rapporto si chiude con un appello alle agenzie dell’ONU e ai donatori internazionali ad au- mentare i loro sforzi per fornire un aiuto urgente, precisando che “se i bisogni essenziali sono negletti, questo destabilizzerà ancora di più il Paese”. La situazione non sembra, quindi, essere migliorata rispetto a quanto denunciato da Marco Ca- lamai, l’ex consigliere speciale della coalizione a Nassiriyah, dimessosi per il disaccordo con la strategia e i metodi del comando americano. In un’intervista rilasciata al giornalista Guido Ram- poldi14, Calamai individuava due ordini di motivi alla base del peggioramento della situazione: “…vi è innanzitutto il malessere d’una popolazione che ormai ha difficoltà a soddisfare perfino esigenze elementari. La raccolta dei rifiuti, l’erogazione dell’acqua potabile e dell’energia, perfino i rifornimenti di benzina alle pompe, tutto peggiora invece che migliorare. E la delusione degli iracheni dà slancio alla capillare penetrazione iraniana, anche a Nassiriyah”. Costretta a concen- trare gli sforzi nel contrasto della guerriglia e nella protezione delle infrastrutture petrolifere, la Coalizione, secondo Calamai, ha finito per sottovalutare l’importanza della ricostruzione, la- sciando così spazio all’attivismo delle organizzazioni iraniane, che hanno legami storici con lo SCIRI, il maggior partito iracheno, di cui hanno formato il braccio armato: “…[le organizzazioni iraniane] sono attivissime. Ovunque si presentino, i loro emissari riuniscono le personalità più autorevoli della città, concordano i criteri dell’intervento, formano le liste degli assistiti ed ero- gano subito gli aiuti. Rapidi, diretti, efficaci”. Calamai riconosceva altresì l’importanza del ruolo svolto dal contingente italiano: “..i soldati italiani hanno dimostrato una sensibilità e una flessi- bilità, nel rapporto con la popolazione, che li distingue dai militari americani e britannici”, ma osservava nel contempo che il loro intervento è stato limitato oggettivamente dal fatto di dover dipendere, gerarchicamente e logisticamente, dalla divisione britannica e dal comando americano, richiamando l’importanza di una capacità di influire autonomamente da parte dell’Italia, magari in un contesto di rinnovato protagonismo da parte dell’ONU nell’area15. È il caso di ricostruire, seppur brevemente, la presenza dell’Italia nello scenario iracheno, proprio per sottolineare una differenziazione importante di modalità di azione e di strategia nel contesto di una auspicabile futura ricostruzione. La gestazione della missione “Antica Babilonia” che ha portato i soldati italiani in Iraq ha preso le mosse con la relazione presentata il 14 maggio 2003 dall’allora Ministro della Difesa Antonio Martino al Parlamento, intitolata: “Impiego di un contingente militare nell’ambito dell’inter- vento umanitario in Iraq”. Con questa relazione l’Italia, che non ha partecipato al conflitto, rivendicava una sua presenza nel dopoguerra iracheno sotto il profilo dell’aiuto umanitario e, a tal fine, già l’8 aprile il Ministro Frattini aveva inviato in Iraq una missione esplorativa che portava 40 tonnellate di aiuti di emer- genza e i primi kit sanitari affidati alla Cooperazione italiana.

13La notizia è riportata su: Le Monde del 1°agosto 2007, p.4. 14In:Rampoldi Guido, 2006,“Lasciamo subito Nassiriya, una missione senza progetto”, in La Repubblica, 29 maggio 2006. 15In senso analogo si è espresso l’appello dei giuristi per una svolta ONU nella crisi irachena presentato al Presidente della Repubblica e ai Presidenti della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica il 12 maggio 2004, firmato da oltre cento docenti di diritto internazionale e di diritto costituzionale delle università italiane, come ri- portato sul sito www.costituzionalismo.it.

- 113 - Nel contempo, lo stesso Frattini, con l’aiuto della Croce Rossa Italiana, che faceva capo al Com- missario Maurizio Scelli, metteva a punto l’invio di un ospedale da campo di alto profilo tecno- logico a Bagdad. Come riferiva la relazione di Martino, la vigilanza interna dell’ospedale sarebbe stata affidata a un’unità di 30 carabinieri che rappresentavano “il primo segno concreto della pre- senza militare italiana in territorio iracheno con evidenti scopi umanitari”. Nelle dichiarazioni del Governo l’intera missione “Antica Babilonia” era finalizzata “sia ad assi- curare alla popolazione irachena gli aiuti umanitari necessari, sia a realizzare le opere immediate e urgenti di ripristino della funzionalità delle infrastrutture e di quei servizi che servono a garan- tire agli iracheni le migliori condizioni di vita possibile nel quotidiano”. Tuttavia si trattava di utilizzare in Iraq la stessa logica di peacekeeping che aveva avuto tanto suc- cesso in altri contesti difficili. Tuttavia, secondo talune interpretazioni16, il fatto che il contingente italiano sia stato posto sotto l’egida di una coalizione militare e non sotto quella di forze “terze” (comunque mai costituita) che non avevano partecipato alla guerra e che non avevano interessi diretti nel conflitto, ha fortemente condizionato la possibilità di centrare l’obiettivo che stava alla base della missione. D’altro canto il bisogno di normalità, la necessità di dare agli iracheni la speranza di avere una vita normale, ripristinando la fornitura di servizi e i beni essenziali come acqua, elettricità, tele- fono e carburante, continua a rimanere la condizione prima per tentare di stabilizzare il Paese, proprio perché la crescente insoddisfazione per la mancanza o il malfunzionamento di tali servizi è tra le ragioni che inducono gran parte degli iracheni a giudicare negativamente la presenza della Coalizione e, seppur solo per una parte, ad appoggiare la guerriglia. Ed è in questo contesto che va vista la scelta del Governo Prodi di andare via dall’Iraq, nelle pa- role dell’ex Ministro degli Esteri Massimo D’Alema, secondo cui: “Andare via dall’Iraq ci ha aperto nuovi, grandi spazi di iniziativa. Abbiamo sottoscritto un patto di cooperazione civile con il Governo iracheno al di fuori della coalizione dei volenterosi, artefice della guerra, e questo ci ha consentito di migliorare e intensificare i rapporti con il mondo arabo. Non sarebbe stato pos- sibile svolgere il ruolo importante che abbiamo avuto in Libano senza il ritiro dei militari dal- l’Iraq”17 La necessità di cercare di spostare al più presto l’ago della bilancia della realtà irachena dal terreno dello scontro militare a quello della ricostruzione della vita civile ed economica del Paese è ormai divenuta una condizione essenziale per evitare il fallimento della Coalizione e, con esso, il rischio di una guerra civile ancora più violenta di quella strisciante che è già ora presente e che, secondo gli analisti di tutte le parti, opporrebbe sciiti e sunniti fino all’ultimo uomo. Ma per procedere alla stabilizzazione e alla ricostruzione del Paese è indispensabile accelerare il passaggio di consegne nelle mani del Governo e del popolo iracheno ed è proprio su questo ter- reno che gli sforzi della Coalizione si scontrano con distinguo e contrapposizioni che rallentano anziché favorire il raggiungimento di questo obiettivo. Tali difficoltà sono emerse durante la Conferenza internazionale sulla sicurezza che si è tenuta nel mese di marzo del 2007 a Bagdad alla quale, oltre alle forze della Coalizione e al Governo iracheno, hanno partecipato l’ONU e la Lega Araba, e in cui non sono stati comunque raggiunti risultati apprezzabili.

16In: Giordana Emanuele, Rufini Gianni, 2003, “Italia/Iraq: l’ambigua confusione di ruoli nella missione a Nassiriya”, in Lettera 22, 21 novembre. Giova ricordare che presso la sede centrale della Croce Rossa Internazionale a Ginevra vennero sollevate polemiche in relazione al fatto che la missione umanitaria italiana fosse accompagnata da una scorta militare sotto il comando della Coalizione. 17In: “D’Alema: Italia-Usa, ecco la verità”, intervista di Claudio Sardo, in Il Mattino, 8 febbraio 2007.

- 114 - D’altro canto non è nemmeno facile individuare le linee sulle quali dovrebbe procedere la rico- struzione, anche se la CPA aveva già stilato fin dal 2003 un piano delle priorità economiche che, però, è stato accusato di non tenere in debito conto della situazione irachena. Sotto un altro profilo appare evidente che l’ambizioso obiettivo iniziale di un Iraq democratico, libero e prospero e atto a costituire una sorta di avamposto occidentale nella regione non ha al- cuna possibilità di concretizzarsi e che, conseguentemente, la Coalizione deve accontentarsi di operare per cercare di contribuire alla realizzazione di un Iraq stabile e moderato, in cui le con- dizioni di vita siano paragonabili a quelle di altri Paesi dell’area, come Egitto o Tunisia. Ipotesi come quella di ampliare ulteriormente la cosiddetta “Green Zone” creata dagli americani a Baghdad, con la costruzione di una grande ambasciata in cui operano 4.000 persone, vanno nella direzione opposta, rafforzando altresì il senso di inimicizia degli iracheni nei confronti della Coalizione18. D’altro canto, bisogna prendere atto che il processo di “iraqizzazione” a partire dall’Esercito, con trasferimento di poteri e di responsabilità agli iracheni, di cui si iniziò a parlare fin dal novembre 2003, segna il passo e la Coalizione non sembra in grado di fare altro che cercare di rispondere

18Fonte: www.nationalinterest.org, novembre/dicembre 2006. 19Il riferimento è alla visita di Kouchner Bernard a Bagdad il 19 agosto 2007.

- 115 - Pagina on scritta

- 116 - 1.7 IL SISTEMA TRIBALE IN IRAQ. LA SOCIETÀ TRIBALE IRACHENA: UNO STATO DENTRO UNO STATO. PREMESSA STORICA

Ten.Col. t.SG Dott. Paolo BERTOIA e Cap. Corpo Militare CRI Mohammed al–BAYATI

- 117 - La comprensione dell’aspetto tribale della società irachena è essenziale per qualsiasi straniero che voglia seriamente interessarsi dell’Iraq e degli aspetti più tradizionali del Medio Oriente. I mezzi di comunicazione di massa non hanno prestato molta attenzione in merito a questo fon- damentale problema e buona parte degli articoli pubblicati anche sul Web risultano poco chiari e non riflettono la vera immagine e l’importanza che ricopre il ruolo storico delle società tribali in Iraq, come pure accade in tutti quei paesi arabi dove domina il deserto. Prima di entrare in merito all’argomento, si deve prendere in considerazione l’ubicazione geo- grafica dell’Iraq, che è circondato ed occluso da catene montane nel nord ed ad est, mentre ado- vest e a sud è segnato dall’orlo settentrionale del deserto arabo, perché è da quest’ultimo che hanno tratto origine la maggior parte dei sistemi tribali beduini, che ora popolano la “Terra dei due Fiumi”. L’area che è chiamata oggi Iraq è stata esposta per millenni a ondate di migrazioni beduine dal sud, che, attraversato il deserto, si sono in seguito stabilite in . Tra i motivi che hanno determinato tale scelta possiamo annoverare: − la conquista militare, come già avvenne durante il 7° secolo quando vi fu l’invasione arabo- mussulmana; − la necessità di reperire acqua e pascoli per le greggi; − il costume che contempla scorrerie e saccheggi (al ghazo); − la natura di taluni compromessi. L’Iraq è stato riconosciuto quale culla della civilizzazione, ma la propagazione dei valori tribali sociali tramite i sopraccitati fattori riuscì è stata ugualmente determinante nel corso di numerosi periodi storici; ogni qualvolta l’influenza tribale diminuiva, i processi di modernizzazione len- tamente rifioriva, fintanto che una nuova ondata di nuove tribù del deserto si muoveva nell’area e disgregava quanto era stato faticosamente ricostruito e tutto tornava come prima. L’Iraq è stato pertanto condizionato per secoli da questi “scontri di culture”, responsabili quindi di diverse e spesso antitetiche serie di valori sociali; infatti possiamo decisamente affermare che i valori sociali urbani derivano dallo specifico modo di vivere delle popolazioni stanziali, quelle che per l’appunto hanno fatto dell’Iraq la “culla della civiltà”, e, nello stesso tempo, da quelli tri- bali, imposti dall’influenza beduina. Di conseguenza l’Iraq urbanizzato non è potuto rimanere totalmente privo di influssi dovuti al- l’esposizione di valori tribali e infine si è dovuto adattare al nuovo ambiente. Per contro, nelle epoche più recenti, le tribù più stanziali non hanno potuto mantenere integralmente e indefini- tamente la loro cultura beduina, in quanto quest’ultima rappresentava l’espressione della sola vita nel deserto. Questo processo ha prodotto come conseguenza una cultura duale o ambivalente facilmente ve- rificabile nel complesso assetto culturale della personalità della popolazione irachena. Questa verità non è stata ben compresa in Occidente, che, talvolta ha frainteso alcuni atteggia- menti della popolazione, responsabile, al limite, solo di seguire in toto le sue tradizioni. La dualità illustrata, del resto, si evidenzia anche in scala diversa negli altri paesi arabi quali la Siria, la Palestina, la Libia, l’Algeria e in misura minore l’Egitto. Il sistema tribale è nato e si è sviluppato nella penisola arabica a causa delle difficoltà che il singolo individuo doveva affrontare per sopravvivere in un habitat naturale connotato da particolarissime condizioni ambientali. Infatti nessun individuo riesce a sopravvivere nel deserto senza un ade- guato aiuto. È per questo motivo che si è arrivati alla formazione di moduli sociali primitivi che hanno trovato naturale realizzazione nei clan, gruppi di famiglie nomadi condividenti un’ascen-

- 118 - denza comune. La parentela di sangue è dunque di primaria importanza nella società del clan; è questa che ob- bliga l’unione di tutti gli individui del clan nel quale si definiscono anche le relazioni con gli altri sistemi sociali primitivi di eguale consistenza. Una tribù a sua volta è invece composta da molti clan che condividono anche lo stesso linguaggio; a una scala più alta vi sono infine i cosidetti gruppi tribali o confederazioni: risultano composti anche da molte tribù diverse che hanno però un’unica origine per discendenza. Le tribù arabe, già da prima dell’avvento dell’Islam, si identificano in due grandi gruppi: quelli chiamati Adnaniya o arabi settentrionali, che si dichiarano discendenti da Ishmael figlio di Abra- ham, e quelli denominati Qahtaniya o arabi meridionali, abitanti dello Yemen. Ancora oggi le tribù arabe seguono questa classificazione benché si siano mescolate con culture diverse e gruppi etnici provenienti da tutto il mondo arabo. I membri del clan sono dapprima sopravvissuti grazie al pascolo delle loro mandrie e successi- vamente grazie a quanto veniva loro dato in cambio delle scorte che fornivano alle carovane dei commercianti che passavano dallo Yemen alla Mesopotamia e alla Siria, provenienti sia dall’Im- pero Romano, che da quello Sassanide. Nel deserto arabo non esistevano proprietari terrieri; c’era invece un dominio collettivo sulle oasi, sui pascoli e sulle fonti. Pertanto i clan più forti controllavano i territori migliori. A capo di questo sistema sociale troviamo gli “sceicchi”. Il termine in arabo significa “maschio più vecchio” e non è necessariamente ristretto a un capo tribù. Gli sceicchi, che vengono di solito eletti dagli anziani, agiscono in qualità di giudici e decidono su tematiche quali la guerra e la pace, nonchè assegnano i compiti agli uomini del clan e fanno da intermediari durante le di- spute fra il loro clan e gli altri. Ogni qualsivoglia famiglia e clan, anche la più piccola, ha un proprio leader o uno sceicco, e di conseguenza ogni tribù e confederazione di tribù il loro capo. I leader di grandi gruppi tribali vengono paragonati agli antichi re pre–islamici. In ogni tribù esiste un “consiglio degli sceicchi”, che assiste e consiglia lo “sceicco generale”, ed in certe occasioni ha il potere di sostituirlo con un altro sceicco quando esso fallisce nei suoi do- veri, oppure è indegno del comando o quando le sue azioni mettono in pericolo il benessere della tribù. Gli sceicchi tribali non erano e non sono, anche oggi, considerati assoluti e lo Sheikhdom supremo di ciascuna tribù proviene tradizionalmente da una famiglia, che di solito è quella che vanta le origini più antiche. Col tempo tante famiglie si sono trasformate in clan e i clan in tribù separate, con la possibilità di nominare i propri capi, nella più completa indipendenza. Si è dunque stabilito un certo ordine gerarchico per cui di conseguenza alcuni sceicchi detengono una posizione superiore ad altri (differenze imputabili a loro eredità immobiliare o a meriti personali), mentre certi clan risultano superiori ad altri clan, e certe tribù e gruppi tribali a loro volta superiori ad altri ancora. Questo processo di differenziazione ha infine condotto gli arabi a credere in una loro superiorità rispetto ad altri gruppi sociali che attualmente vivono nella regione. I beduini ancora oggi mantengono un atteggiamento critico verso gli arabi urbani, che conside- rano “impuri”. Questo spiega in parte l’ossessione assoluta degli arabi nei riguardi della genea- logia. Individui o clan che vivono nel deserto che non possono dichiarare il loro lignaggio erano con- siderati esuli. Essi devono affiliarsi a tribù più note per più tardi venire addottate state adottate

- 119 - dalla stessa tribù assumendone il suo lignaggio. Questa costante preoccupazione del proprio lignaggio e dei legami di sangue costituiscono anche una fonte di ostilità tra tribù diverse come del resto viene ricordato nel famoso detto che recita: “Me e mio fratello contro mio cugino, ed io e mio cugino contro lo straniero”. Infatti è cosa comune che clan della stessa tribù siano in guerra l’uno contro l’altro, e che improv- visamente si uniscano contro un’aggressione esterna o un nemico comune, al termine del quale ricominceranno a lottare sempre l’uno contro l’altro. È chiaro che per chi ignori quanto sopra esposto alcune guerre tribali possano risultare assurde e le ragioni di queste diatribe siano incomprensibili. Si potrebbe citare ad esempio la famosa guerra di Bessus avvenuta prima dell’avvento dell’Islam, che durò quaranta anni e si accese perché il capo di una tribù uccise un cammello appartenente ad un’altra, mentre controllava il pascolo del suo gregge. E ancora, a supporto di quanto detto, potremmo citare la guerra di Dahis al Ghabraa, iniziata a causa di un imbroglio perpetuato du- rante una corsa di cavalli. Le tensioni tribali tra Adnaniya e Qahtaniya sono continuate in tutti i paesi arabi fino al 18° secolo. I valori tribali a cui tiene fede ciascun componente sono in definitiva i seguenti: lealtà (alla tribù), militanza e onore. In primo luogo, la tribù si aspetta lealtà assoluta da parte dei suoi membri che di ritorno godono della sua protezione. Nessuno, se non il capo, può decretare se la politica effettuata della tribù sia giusta o sbagliata, e tale decisione deve avere l’appoggio di tutti i membri della tribù che di conseguenza godranno della protezione e del inequivocabile sostegnodella tribù stessa. Questo stato di fatto si può considerare alla stregua di una relazione simbolica, un complesso di valori come quelli attribuiti allo Sheikhdom, alla superiorità tribale, alla lotta tra consanguinei, etc. In secondo luogo, il membri d’una tribù, per ottenere un maggiore status all’interno del suo gruppo sociale di riferimentoe per distinguersi fra pari, deve dimostrare grande coraggio e capacità in bat- taglia e avere le caratteristiche sia di un gentiluomo che di un cavaliere guerriero. Più sarà grande il bottino che ottiene e più grandi le battaglie che sosterrà, più salirà il suo carisma all’interno della tribù. La società tribale disprezza il codardo e il debole, ma anche gli artigiani che non vengono tenuti in gran conto perché essi non vivono della spada. Nel passato la parola “onore” racchiudeva complessivamente i seguenti dogmi: generosità, ospi- talità, autostima, onestà, integrità, salvaguardia delle donne, protezione del debole e dei rifugiati, etc. Alcuni di questi valori possono sembrare, ad un primo sguardo di osservatore esterno, con- traddittori. Per esempio uno sceicco può sacrificare spontaneamente un agnello per la cena di un ospite, ma allo stesso tempo può discutere assurdamente con un droghiere per pochi dinari: l’argomento della discussione non riguarda difatti la questione economica contingente, bensí il fatto che lo sceicco si sente vittima di un inganno con l’altro che ha avuto l’ardire di ingannarlo. Vuole essere lui, in definitiva, l’ingannatore e non l’ingannato. Di contro se il droghiere più tardi domanda allo sceicco una notevole somma di soldi, lo sceicco gliela elargirà senza nessuna esitazione per suo diletto e orgoglio, e anche per esprimere un senso di dominio su di lui. Qanto citato ad esempio sottolinea ed evidenzia quel concetto di superiorità di cui si è parlato nelle pagine precedenti. Lo sceicco in questione trae diletto dalla preghiera rivoltagli da chi vuole ottenere qualche cosa, mentre è fortemente contrario nel domandare a qualcuno qualche cosa,

- 120 - perché ciò testimonierebbe la sua seppur momentanea debolezza. Questo spiegherebbe in parte la tendenza del costume arabo a contrattare su tutto. Sebbene i beduini siano menzionati nelle tavolette assire a causa delle loro continue scorrerie, evento che già all’epoca si verificava con una certa continuità, l’evento storico più significativo che ha visto affermarsi la cultura beduina in Iraq riguarda la conquista araba del 7° secolo d.C.. Come ben si sa, Mohammed era riuscito ad unire le tribù beduine arabe del Higgiaz, portandole sulla vera via della fede soffocando l’idolatria, e utilizzandone le tradizioni tribali a scopi politici compiendo a sua volta scorrerie e saccheggi. Al tempo della morte di Mohammed, sia l’Impero Bizantino che l’Impero Sassanide non erano in grado di contrastare un attacco condotto a loro danno dalla penisola araba. Intanto, durante il regno di Abu Bakr, primo Califfo dopo Mohammed, la maggior parte delle tribù beduine tornarono alle loro vecchie tradizioni, tanto che Abu Bakr dovette condurre una guerra fratricida per riportarle sotto l’unità del suo comando. Questi avvenimenti sono noti come le guerre del redda (guerre di apostasia). In seguito si cominciò ad effettuare delle scorrerie contro le città dell’Iraq meridionale, che si tro- vavano sotto il controllo dei sassanidi. Molte di queste incursioni avevano comportato grossi guadagni ai guerrieri. Tali città erano abi- tate anche da tribù, come nel caso dei Manadhira, che si erano stabilite da molto tempo in Iraq. I guerrieri incontrarono solamente una debole resistenza e questo li incoraggiò ad effettuare ul- teriori scorrerie e a conquistare un numero maggiore di terre a nord dell’Eufrate, finché infine non assediarono Damasco. Durante il regno di Omar, il secondo Califfo, le tribù arabe che avevano già colpito i due mag- giori imperi della regione occuparono l’Iraq, la Siria, l’Egitto, e la Persia. Questa jihad era causata tanto da motivazioni religiose, quanto piuttostodalle antiche tradizioni beduine, il cui credo era rappresentato per l’appunto dalla necessità di operare scorrerie e accendere guerre. Gli occidentali spesso pensano che la conversione islamica sia stata realizzata con la forza della spada; invece, durante l’invasione, le tribù arabe non si curarono molto del problema riguardante la conversione delle popolazioni conquistate. Le tribù beduine cominciarono a penetrare la co- siddetta Mezzaluna Fertile durante il 7° secolo al fine di cercare nuove opportunità, finché de- cisero di avanzare a est e a ovest in modo da conquistare terre più lontane: a ovest in Nord Africa e, ad est fino in Khorassan, ovvero quella vasta regione che si estende dal centro–nord dell’alto- piano iranico fino al confine con l’Afghanistan ad est e a quello con la Russia a nord-est. Durante il periodo dei primi tre califfati non ci risulta l’esistenza di alcun esercito regolare. Gli invasori costituiti in organizzazioni di guerrieri tribali si accordarono secondo i loro rispettivi clan, che, organizzati in modo paritario, vantavano già le proprie bandiere e i propri stendardi; inoltre, causa la spartizione del bottino, spesso si combattevano l’uno contro l’altro. Solamente più tardi grazie, alle regole dell’aristocratico Ummawiyeen, un esercito venne organizzato met- tendo in atto una selezione tra i membri d’una tribù fedele abitante in Siria, la più grande regione sotto il dominio della casata e nella quale era dislocata la più importante fortezza di Umma- wiyeen. Ben presto i Califfi che si trovavano ancora a Medina compresero che la via perfetta per distrarre le tribù dal perpetuare rivolte contro lo stesso califfato poteva essere realizzata tramite la continua invasione di nuove terre. Ai guerrieri tribali e ai loro comandanti venne data carta bianca sui nuovi territori occupati per conto del califfo. Essi avrebbero diviso la terra conquistata a discapito dei nativi.

- 121 - I nativi, siano stati persiani, aramaici, ebrei o arabi, accolsero con favore il nuovo dominio be- duino in quanto stanchi del sistema di tassazione sia sassanide sia bizantino, che li opprimeva, tanto che la maggior parte di essi scelsero addirittura la conversione. Per gli altri, ovver per quelli che non abiuravano, venne imposta una tassa chiamata jizya, anche se in seguito la tolleranza re- ligiosa, riservata comunque ai soli popoli del Libro (il Corano), divenne una norma accettata presso tutti i paesi arabi. C’è da dire che la maggior parte dei nativi scelsero la conversione anche perché così ebbero la possibilità di continuare a possedere la stessa terra che avevano coltivato già prima dell’invasione. Questa venne però assegnata al nuovo padrone arabo e dovette essere coltivata nell’interesse dei nuovi padroni. In Iraq, specialmente nel sud, questo rapporto tra il padrone della terra (ovvero lo sceicco)e il con- tadino rimane ancora oggi, immutato nell’essenza dei legami tra il padrone e il dipendente, anche se il passato regime ba’athista, al fine di togliere il potere agli sceicchi, nazionalizzò la terra e la assegnò ai contadini. Questi, però, non ne divennero affatto i padroni, ma si trasformarono sol- tanto in semplici operai della terra, controllati da un uomo del regime. I contadini, fedeli alla tradizione della tribù, continuarono a pagare lo sceicco e, dopo la caduta del regime, tutto è ritornato quasi come prima. I nativi furono denominati mawali (alleati), perché dovettero legarsi con le tribù. Generazioni più tardi il mawali è divenuto una parte non distinta delle tribù per essere considerati arabizzati a tutti gli effetti. Sono stati soprannominati anche hummr (rossi) per le loro pelli e que o ulooj (non-arabi). Sotto Othman, terzo Califfo che apparteneva all’aristocratica famiglia degli Ummawiyeen un ramo della tribù Quraysh della quale faceva parte Maometto, le conquiste cessarono per un breve periodo di tempo. Othman volle amministrare concretamente il esteso califfato e assegnò ai membri della famiglia e ai potenti del suo clan province e terre a seconda del loro rango. Gli Ummawiyeen, che prima della conversione erano i nemici più acerrimi di Muhammad, sfrut- tarono questa opportunità e cominciarono a consolidare il loro potere in tutto l’area del califfato, in modo da ottenere ricchezza e potere così come contemplato dallo stile beduino; pertanto non vollero condividere il loro nuovo status con le altre tribù alleate, che videro così diminuire il loro ruolo. Per questo motivo alcune tribù dissidenti assediarono la città di Medina, assassinarono Othman ed elessero come Califfo Ali Ibin Abu Talib, cugino di Muhammed e da lui riconosciuto come figlio. Mu’awiya, il governatore della Siria e cugino di Othman, ritenne Ali pienamente responsabile dell’assassinio di Othman e rifiutò di riconoscere il suo califfato a meno che Ali non si addossasse la colpa dell’assassinio (Mu’awiya era membro della famiglia Ummawiyeen e di Othman, e, in quanto parente prossimo, avrebbe dovuto, secondo quanto previsto dal dogma tribale, vendicare il suo assassinio). Ali rifiutò, causando così altre rivolte da parte dei compagni di Muhammed che sfidarono il suo potere e non riconobbero il suo califfato. Questo avveniva anche perchè la mag- gior parte di essi aspirava al titolo di Califfo. Quanto descritto serve a illustrare quella che fu la prima guerra intestina mussulmana, durata per 37 anni dopo l’avvento dell’Islam, che segnò anche l’inizio del profondo scisma che ha diviso e divide tuttora i mussulmani in “sunniti” e “sciiti”. Ali dovette muovere guerra in Iraq e combatté con fortune alterne sia Mu’awiya, sia gli altri sceicchi e, per un paio di anni la situazione rimase in fase di stallo. Parte dei suoi seguaci (per l’ap-

- 122 - punto gli sciiti) gli si rivoltarono contro perché ormai si era arrivati ad un punto morto; Ali era inoltre criticato dai vecchi mussulmani, che ricordavano ancora il Profeta, nonché dai coman- danti tribali, che non accettavano l’idea di combattere altri correligionari. Un gruppo misto di tribù chiamato Kharijites abbandonano Ali e tramarono di assassinarlo as- sieme a Mu’awiya e al suo primo comandante dell’esercito e, nella città di Kufa, Ali fu effettiva- mente ucciso. I Kharijites possono essere ritenuti come i primi veri fondamentalisti islamici, cosa che determinò nei loro confronti un atteggiamento carico di disprezzo perché si erano messi al di sopra di tutti e in particolare del Califfo stesso. Da questo momento i mussulmani dell’ “ori- gibari” cominciarono a perdere il potere in luogo di un atteggiamento filosofico riassunto nelle seguenti parole: “Non c’è nessuna regola ma soltanto quello che ha detto Allah”. Esso si fonda su quei mussulmani che si sono distaccati dall’interpretazione tradizionale dell’Islam come, ad esempio, Kafir il quale, per aver operato tale scelta, fu ucciso. In ogni caso Mu’awiya, a seguito della morte di Ali si proclamava Califfo, e trasferiva la capitale dell’Islam a Damasco, dove governò circondato dalle tribù fedeli. Risalgono a quel tempo le conquiste in Africa del Nord, che permisero di espandere il suo im- pero. Egli formulò, inoltre, leggi più civili per il suo popolo e organizzò per la prima volta una burocrazia in chiave moderna. In seguito, sempre per affermare il proprio potere, “comprò” molti capi tribali servendosi della corruzione e dell’intimidazione, e cominciò a preparare suo fi- glio Yazid a succederlo in moda da ripristinare così la “tradizionale del sangue” Beduina. Questo periodo durò 40 anni. I Califfi Ummawiyeen dovettero combattere durante il loro periodo di governo molte rivolte, la maggior parte delle quali scoppiate in Iraq e nella penisola araba, che non poteva essere persa a causa della sua importanza politica–religiosa, in quanto considerata la patria dell’Islam. Yazid spedì a Medina un esercito, che si comportò con grande crudeltà, e l’anno dopo ne inviò un altro con l’ordine di combattere Hussein bin Ali a Garbala, mentre un terzo, guidato da Abdul Malik bin Marwan, pose sotto assedio La Mecca colpendola con gli onagri, quando Ab- dullah bin Al-Zubair, uno dei compagni di Mohammed ancora vivente, si ribellò contando sul sostegno di molte tribù beduine. Inviò, infine, il suo uomo più spietato, Hajjaj Bin Yusuf, a re- primere i disordini che erano nati fra le tribù irachene. Hajjaj massacrò migliaia di persone e ar- ruolò forzatamente moltissimi beduini nel suo esercito. Tutt’oggi in Iraq si narrano storie sulle sue nefandezze e Saddam Hussein è stato spesso compa- rato a Hajjaj per la sua spietatezza. Hajjaj chiamava gli iracheni ahl alshiqaq wal nifaq o “gente di discordia e ipocrisia”. Esiste un molto conosciuto che narra un episodio riguardante la sua disumanità. Durante un coprifuoco a Kufa, le sue guardie gli portarono un vecchio beduino che era entrato nella città inconsapevole dell’ordine che ne proibiva l’ingresso dopo l’ora stabilita. Questi implorò la grazia a Hajjaj af- fermando che non era a conoscenza del coprifuoco imposto in quanto egli veniva dal deserto. “Io so che sei innocente” rispose Hajjaj, “Ma ti uccido ugualmente. Appendetelo sui muri della città, guardie!” Più tardi il Califfo Yazid inviò un ulteriore esercito a Khorassan per combattere Zaid Bin Ali Bin Al-Hussein (un altro discendente dei ribelli di Ali). Il perpetuarsi di rivolte interne nei decenni successivi, compinate con l’ascesa al califfato di uomini meno decisi, frenaronoulteriori espan- sioni di un impero che aveva comunque raggiunto la Cina e la Francia meridionale. Un secolo dopo l’assunzione del potere, gli Ummawiyeen furono sostituiti da un’altra famiglia che poteva rivendicare la sua discendenza da Mohammed: gli Abbassidi (discendenti di Al-Abbas,

- 123 - uno zio di Mohammed), che si imposero dopo una breve ribellione iniziata in Persia. Per la prima volta dopo la conquista araba, i persiani costituirono la massa dell’esercito, nel quale persiani erano anche i comandanti. Da questo momento le tribù arabe ebbero posizioni via via meno importanti all’interno del mondo islamico. Il califfato Abbasside segnò un momento par- ticolarmente importante per la cultura islamica e per il settore scientifico. Baghdad, insieme con Costantinopoli, divenne quindi il centro della civiltà medioorientale. Il fenomeno del tribalismo persistettr solamente dove era nato: nel deserto. Comunque, tre secoli più tardi, l’impero Abbas- side cominciò a indebolirsi a causa della minaccia operata da diverse tribù, quali quella dei Bu- wayhid, di origine persiana, e, più tardi, dei Seljuk e Mamluk, di etnia turca. Inoltre i Berberi in Africa del Nord si separarono dall impero Abbasside e i Fatimidi, discendenti di Ali e di Ismaele, nominarono in Egitto propri Califfi. Contemporaneamente i Crociati invasero la grande Siria e il califfato Abbasside, dopo aver rice- vuto duri colpi, rimase limitato ad una piccola area intorno a Baghdad, con le tribù degli emirati che controllavano il resto dei loro possedimenti. Benché tutti i mussulmani riconoscessero ancora il califfato Abbasside come autorità spirituale, tale istituzione non aveva più alcun controllo po- litico, tanto che alcuni Califfi vennero posti sotto stretta sorveglianza e parecchie volte furono anche sostituiti da coloro i quali controllavano effettivamente l’Iraq. Dunque, ancora una volta il tribalismo trovò la sua affermazione proprio quando le strutture sta- tali divenivano estremamente deboli. Comunque, l’estinzione della dinastia Abbasside è da ap- porre ai Mongoli che, sotto Hulagu conquistarono l’Iraq e conseguentemente depredarono Baghdad nel 1258. Durante il secolo seguente Baghdad venne quindi controllata da Sultani mongoli della tribù Ja- la’iri. Sempre in questo periodo, l’Iraq si trasformò in un campo di battaglia e si impoverì in maniera irrimediabile quando venne percorso in lungo e in largo dalle tribù arabo–beduine, che si diedero al saccheggio e che si rivoltarono contro gli amministratori mongoli quando questi ten- tarono di imporre le tasse alle tribù. Una delle tribù arabe più potenti dell’Iraq meridionale era quella dei Tai’ (oggi i suoi discendenti vivono intorno a Mosul). Ma furono i comandanti militari della tribù Al Fadhl che riuscirono a stabilire l’emirato tribale ricordato come Emarat Al-Arab, che si estendeva a sud fino al Bahrain. Essi tassarono spesso altre tribù e operarono delle scorrerie sulle vie carovaniere dirette alle province mongole. Anche i Mongoli a loro volta saccheggiarono regolarmente il territorio e nel 1401 Baghdad venne nuovamente depredata da Tamerlano. Durante il 15° secolo Mosul e Baghdad vennero controllate da due tribù turcomanne rivali (Qara Quweynlu e Alaq Quweynlu), e l’Iraq meridionale venne diviso in quattro o cinque confedera- zioni tribali principali: quelle dei Bani Assad, Jash’am, Al-Muntafiq e Bani Lam, mentre la tribù Tai’ era presente con i clan Al Fadhl e Rubai’a. Tali tribù si erano stabilite in Iraq nel periodo del tardo califfato Abbasside, quando si era assistito ad una seconda ondata migratoria da parte di nuove culture beduine. Queste tribù esistono ancora oggi e vengono considerate come le più vecchie tribù irachene. Durante l’Impero Ottomano, l’Iraq si mantenne tranquillo e non si sentì parlare di grosse rivolte arabe. Quando l’Impero entrò in guerra assieme la Germania nel 1914, nelle città irachene e nella stessa Baghdad migliaia di giovani renitenti alla leva cominciarono a lasciare i loro lavori quotidiani per nascondersi e con- fondersi tra le tribù. Gli iracheni avevano già sperimentato la durezza delle condizioni di vita nell’esercito ottomano durante la campagna del 1877 in Caucaso contro i russi, quando diecimila soldati di leva iracheni morirono congelati e affamati, e nuovamente nel 1904 nel conflitto contro

- 124 - Ibn Saud quando migliaia di soldati morirono dispersi nel deserto. D’altra parte non c’era nessuna ragione di credere che questa guerra potesse avere corso diverso. Coloro che assistettero il governo nel localizzare i disertori vennero considerati considerati come spie e agenti governativi, e disprezzati e spesso presi di mira. La protezione di rifugiati (dakhala), del resto, è una tradizione sacra per gli sceicchi tribali. Non importa quale sia la posizione del ri- fugiato (dakheel), dacché egli deve essere sempre protetto o il disonore cadrebbe sullo sceicco. Ad esempio di quanto affermato vale questo episodio: “Un membro d’una tribù chiese ospitalità ad uno sceicco di un altra tribù. Questi identificò nello sceicco il padre dell’assassino di suo figlio così decise di partire nuovamente. Quando lo sceicco ascoltò il fatto, ordinò che uccidessero il proprio figlio per vendicare e soddisfare il suo rifugiato, così esso sarebbe potuto rimanere sotto la sua protezione”. Lo sceicco perdette un figlio ma conservò intatto il suo “onore”. In molte occasioni, banditi ed individui ricercati dal governo chiesero di rifugiarsi presso gli Sceicchi tribali, sicuri di rimanere impuniti. Nel 1915, il governo cominciò a perseguitare pubblicamente i disertori, e ad arrestare gli altri membri della famiglia. Comunque, la corruzione era molto estesa negli uffici statali ottomani e molti furono coloro che riuscirono ad evitare la coscrizione obbligatoria. Questa abitudine con- tinuò a persistere anche durante l’Iraq indipendente e raggiunse lo zenit durante gli anni ‘90. Quando Bassora era in procinto di cadere a causa dell’avanzata dell’esercito britannico, il governo dichiarò la guerra santa contro gli atei. Questa fu ritenuta una mossa intelligente in quanto molte tribù sciite irachene si arruolarono per difendere il paese. Il grande Ayatollah Sayyid Kadhum Al-Yazdi di Najaf, un uomo molto anziano considerato santo, dichiarò una fatwa chiamando tutta la popolazione irachena alla jihad. La jihad vide impegnati decine di migliaia di beduini; anche alcune tribù curde ed altre dal vicino Iran si aggregarono. I soldati turchi e le tribù conseguirono in un primo tempo delle vittorie limitate e alcune fonti britanniche riferirono che mussulmani indiani facenti parte dell’esercito imperiale britannico si rifiutarono di combattere contro le tribù arabe che avevano risposto all’appello della jihad. Lo sceicco di Bani Lam promise una ricompensa in oro ai membri della tribù che sarebbero ri- tornati portando come trofeo una testa di soldato britannico o indiano; il che condusse i membri della tribù a decapitare ogni soldato ferito. Le tribù rimasero fedeli alla causa della jihad, e quindi a quella turca, fino alla loro sconfitta ri- portata nella battaglia di Shu’aiba al di fuori di Bassora, dove essi subirono una pesante disfatta in seguito alla quale cambiarono schieramento iniziando subito a combattere i loro vecchi alleati, i turchi, saccheggiandone gli accampamenti e impadronendosi delle loro armi. Inoltre rapirono i propri muftì (religiosi sunniti) con grande stupore degli inglesi che non riuscivano a compren- dere come delle tribù irachene potessero tenere un comportamento così contraddittorio. Gli inglesi avanzarono rapidamente da Kut ad Ammara fino a raggiungere Nassiriya. Villaggi e tribù sulla via issarono bandiere bianche e stendardi in segno di resa, in quanto si erano diffuse ridicole dicerie sull’incredibile tecnologia patrimonio degli inglesi esulla superirità dei loro arma- menti. Incominciò così un’insurrezione generale contro gli Ottomani, che produsse disertori nel Najaf e a Garbala, mentre dal 1916 l’intera area comprendente la metà dell’Eufrate si era resa indipen- dente dal dominio turco. Uffici statali e depositi dell’esercito turco vennero trafugati, la linea te- legrafica sabotata, molti si vendicarono uccidendo gli ufficiali turchi e le battaglie tribali divennero parte della vita quotidiana. All’interno delle città, religiosi e funzionari pubblici man- tennero un relativo grado di ordine, ma le dispute in merito alle proprietà statali e gli scontri tra

- 125 - fazioni nemiche erano ancora abbastanza comuni e nessuno osava lasciare le proprie case dopo il tramonto. Questa anarchia, che durò per un periodo lungo più di due anni, ebbe come conse- guenza l’affermarsi di un forte tribalismo all’interno della popolazione, che riemerse di nuovo in tutto il paese, specialmente nel sud. L’esercito turco si ritirò da Baghdad durante la notte del 10 marzo 1917. I prigionieri liberati dalle loro carceri furono i primi a saccheggiare i mercati; i popolani della città si unirono a loro e de- predarono gli uffici statali; il saccheggio quindi continuò tutta la notte, e non venne risparmiato nulla ai cittadini inermi: ogni mattone, ogni finestra, e tutte le parti in legno vennero rimossi. Gli edifici statali furono tutti incendiati e i documenti vennero completamente distrutti. Questo stato di cose cessò solo al mattino seguente, quando gli inglesi entrarono in città e iniziarono a sparare contro i tumultuosi. L’ordine venne ristabilito dopo che si provvide ad impiccare alcuni facinorosi nelle pubbliche piazze. La ribellione del 1920 a danno degli inglesi iniziò invece dopo l’accadimento di due eventi stret- tamente connessi. I confini tra Iraq e Siria non erano ancora stati definiti e gli inglesi avevano promesso originaria- mente allo Hashimita Sharif Hussein Bin Ali uno stato arabo unito, comprendente le terre di tutta la Mezzaluna Fertile e la penisola arabica. Questo quale compenso dei debiti d’onore con- tratti dagli inglesi e dai francesi per il suo appoggio fornito alle forze dell’Intesa. Ufficiali iracheni dell’ esercito turco si unirono al movimento di Sharif e si trovavano già in Siria nel 1920. Quando venne formato uno stato arabo in Siria, guidato dal Principe Faisal (figlio di Sharif Hus- sein), uno degli ufficiali dell’esercito arabo, Ramadan Shlash si mosse da Dayr Al-Zur e da Al- Bu Kamal e con l’aiuto della tribù Dulaym, riuscì a scacciare dalla Siria le deboli forze britanniche. Faisal non approvò la decisione di Ramadan e lo sostituì con Mawlud Mukhlis (un ufficiale Tikriti). Anche Mukhlis cominciò a propagandare idee fra le tribù in merito all’indipendenza e al nazio- nalismo e poco più tardi venne congedato come il predecessore. La tribù Dulaym iniziò così a svolgere delle scorrerie sulle colonne britanniche sulla strada Baghdad - Mosul incoraggiando le altre tribù ad unirsi al movimento. Jamil Al-Madfa’i (un altro ufficiale Iracheno) accompagnò Ta- la’far nel nord e ottenne l’aiuto di Ajil Al-Yawar (sceicco Supremo di Shammar e nonno di Ghazi Al-Yawar) e della tribù Juboor; dopo di che cominciò a pianificare l’attacco per la conquista di Mosul e scacciare così gli inglesi; i ribelli vennero però sconfitti fuori Mosul e gli inglesi li inse- guirono fino ai confini turchi. Queste vittorie sebbene limitate, ebbero un effetto significativo su altre tribù del sud, le quali si resero conto di una certa debolezza esistente tra le forze inglesi. Gli inglesi infine arrestarono ed esiliarono Sayyid Maometto Ridha Al-Shirazi (figlio del più vec- chio Shi’ite Aytaollah Muhammed Taqi Al-Shirazi un religioso molto conosciuto). Vigeva dun- que in tutto il paese uno stato di alta tensione e gli Sceicchi tribali si lamentavano per le regole severe imposte dagli inglesi. I partiti politici nati in Baghdad introdussero dei concetti poco familiari in Iraq come “indipen- denza”, “unità”, “Arabismo”. La propaganda anti-colonialista venne propagandata in Iraq dalla Siria, dalla Turchia, e dall’Iran. Tutto questo portò alla creazione delle condizioni più appropriate atte a scatenare una ribellione che si accese nel 1920, durò 4 mesi e che per la prima volta vide tutto l’Iraq unito contro gli in- glesi. Dopo la ribellione, gli inglesi cambiarono la loro politica nei confronti delle tribù irachene, non

- 126 - prima però di aver assegnato onori e potere a molti Sceicchi impopolari e soprattutto senza tener conto delle tradizioni riguardanti il comando tribale, cercarono anche di favorire i piccoli colti- vatori, ovvero le famiglie contadine più povere, affrancando i debiti esistenti nei confronti dei loro padroni rappresentati per la maggior parte da Sceicchi influenti, che divennero così loro antagonisti. A questo punto non si era creata una vera e propria proprietà sulla terra; gli Sceicchi più forti controllavano la terra migliore ed i membri della loro tribù vivevano lavorando alla coltivazione di questa. La proprietà era comune e la terra che una tribù controllava oggi, poteva già r control- lata il giorno dopo da un’altra. Il nuovo governo Iracheno posto sotto il controllo del Re Faisal si rese conto del potere di cui godevano le tribù Irachene e comprese che il paese non poteva essere governato senza il consenso degli Sceicchi Generali; anzi in un memoriale segreto si era così espresso: “Spiacevolmente, posso dire che non c’è ancora nessuna popolazione Irachena, ma esiste solo un gruppo di umanità priva di un’idea nazionale”. Scriveva ancora: “L’Iraq non è solamente una popolazione demotivata, di- sunita e sempre pronta a depredare il governo. Le tribù hanno più potere del governo, possiedono più di 100.000 fucili, attualmente noi ne possediamo solo 15.000”. Dopo la legge di Regolamentazione Tribale per le Dispute Criminali del 1924, il potere degli sceicchi aumentò notevolmente anche perché venne permesso a loro di mantenere corti tribali indipendenti nei territori rurali del paese. Un altra legge nel 1933 concesse agli Sceicchi tribali enormi appezzamenti di terreno e permise di limitare giuridicamente ai soli membri della tribù il possesso della stessa terra. La sua applica- zione segnò l’inizio del feudalesimo in Iraq. Una generazione nuova di Sceicchi ricchi ed avidi sostituì i guerrieri vecchi e generosi, e molti Sceicchi abbandonarono le antiche tradizioni e co- minciarono a vivere in città. Nel 1935-36 nel sud, nei pressi di Najaf avvampò una nuova rivolta tribale. Il generale Bakr Sidqi soffocò crudelmente la ribellione e le tribù cominciarono a comprendere che il nuovo go- verno Iracheno non era paragonabile a quello Ottomano. Nonostante la tragica fine della ribellione ci furono diversi casi di rivolte minori. Nel 1937 tra gli l’Izayrij e la tribù dei Bazzun, in Ammara a causa di una disputa terriera, vennero uccise centinaia di persone; in questo fu il governo che stabilì chi fossero i colpevoli dopo che giudicati in seguito da una corte tribale. Nel 1946 ricominciarono le dispute. Nel 1941 tra l’Al-Bu Mhoammed e l’Al-Bu Ali iniziò una guerra a causa di alcuni bufali indiani rubati e per l’uccisione di un cane. Cento membri d’una tribù furono uccisi e 250 case vennero saccheggiate e bruciate. Nel 1945 tra i Bani Assad ed gli Al-Hassan delle paludi ci fu una disputa per motivi territoriali. Nel 1946 la guerra scoppia tra i Shammar ed i Jihaish intorno a Mosul. Nel 1952 lo stesso avvenne tra gli Al-Azza e la tribù degli Ubayd. La guerra tra le due tribù con- tinua ancora oggi. Nel 1954 i Mayyah hanno attaccato e saccheggiato la città di Al-Hayy a sud di Kut, perché la città si era ingrandita a danno della terra circostante che era possesso della tribù. Azioni di guerra tra le tribù Mi’dan Garamsha e Shaghamba continuano tuttora e recentemente è stata combattuta una battaglia nei pressi di Bassora. Le tribù si sono sempre dichiarate contrarie alla monarchia (1921-1958), eccezione fatta per quelle che vivono tuttora nei deserti meridionali ed occidentali. Comunque a quel tempo, la maggior parte delle tribù si erano già trasformate in “rurali”.

- 127 - Gli sceicchi oggi non operano più sui propri membri il potere di cui godevano una volta e accade anche che talvolta essi vengano soppiantati dai religiosi. La cosiddetta “Cultura ambivalente” prevale ora fra i membri delle tribù; comunque le nuove leggi e le circostanze hanno reso difficile il cambiamento. Pur essendo ancora orgogliosi delle loro vecchie tradizioni tribali hanno tentato comunque di agire come era meglio possibile fare. Un Beduino di norma dovrebbe preferire la morte piuttosto che sottoporsi al governo; comun- que ogni qualvolta il membro d’una tribù rurale percepisce una certa debolezza nel governo è proprio lui il primo ad attaccarlo, così come recitato dalle loro tradizioni ereditarie. Quando si deve invece confrontare con un governo forte, è lo stesso beduino che si dimostra tollerante verso l’autorità costituita. Anche questo fa parte della tradizione. Il regime repubblicano del 1958 ha indebolito molti Sceicchi tribali, soprattutto dopo l’introdu- zione della riforma agricola che assegnava la terra ai contadini, che si sono stranamente impoveriti ed hanno conseguentemente preferito stabilirsi in città. Le tribù si sono indebolite e le città risultano divise in aree tribali, all’interno delle quali si con- tinuarono a perpetrare le tradizioni positive e negative delle genti del deserto – ad esempio in un rione popolare di An Nassiriyah ho visto pascolare un gregge di pecore –. Nelle grandi città ven- nero creati dei rioni completamente beduini come quello di Bagdad chiamato Al-Thawra o la città di Sadr e quello di Bassora denominato Hayyania. Il partito Ba’ath, salito al potere nel 1968, ha concepito il tribalismo come il maggiore ostacolo che si poteva opporre alla realizzazione di riforme e a un generale ammodernamento del paese. Vennero introdotte radicali riforme agrarie e gli appezzamenti di terreno controllati dagli Sceic- chi tribali vennero confiscati e limitati. Per ridurre l’influenza di Sceicchi e minare la loro posizione storica vennero create delle associa- zioni che avevano il compito di intermediare tra le parti; invece dalla metà degli anni ’80, sotto il regime di Saddam Hussein il tribalismo è riemerso in maniera preponderante. In Iraq oggi esistono circa 120 tribù distinte tra loro e un totale di circa 2000 clan. La più piccola unità tribale è rappresentata dal “bayt” (casa o famiglia). Molte case costituiscono un “fukhth” (clan), e una quantità di clan formano la “asheera” (tribù). Una confederazione tribale o “le qabeela” consistono di una quantità di tribù che condividono un antenato comune. La maggior parte delle tribù in Iraq sono collegate l’una con all’altra, e molti “fukhth” sono di- ventate tribù separate con loro propri capi. Inoltre molte tribù di origine sunnita e sciita estendono i propri confini tribali oltre quelli politici del paese. Oltre l’80% degli Iracheni possono affermare le loro origini tribali benché molti di loro non possono essere propriamente associati con le loro tribù. Per esempio una famiglia molto conosciuta è vissuta a Baghdad per più di 200 anni senza contatto alcuno con la propria tribù, ma durante gli anni ’90 quando l’affiliazione tribale è divenuta di nuovo importante, vennero ristabiliti i legami i tribali con lo Sceicco supremo e gli venne nuo- vamente garantita fedeltà. Lo sceicco benevolmente accettò l’atto di sottomissione e confermò il postulante a capo del suo clan. Le confederazioni tribali più grandi esistenti in Iraq sono quelle dei Shammar, Al-Dulaym, Al- Muntafiq, Anniza, Al-Azza, Al-Juboor, Al-Ubayd, Al-Zubayd, Al-Bu Lam, Al-Bu Mohammed, Rubai’a, Ka’ab, ed Al-Khaza’il. Alcuni gruppi tribali sono associati con l’area in cui vivono come: gli Al-Tikarta, Al-Duriyeen, Al-Suwamra, Al-Fallujiyeen, e le tribù che vivono in Rawa, Aana, Al-Qaim, e Haditha.

- 128 - Le tribù Beduine che continuano a vivere nel deserto sono gli: Anniza, Al-Dhufair, Shammar, Al-Hassan, Al-Ghalal, ed Al-Umtayr.

- 129 - Pagina non scritta

- 130 - 1.8 ETNIE, TRIBÙ E SETTE IN IRAQ

Dott. Federico DE RENZI

La componente araba

I dialetti arabi d’Iraq, come molto spesso accade nel mondo arabo, appartengono a diversi. Seb- bene infatti si parli spesso di dialetto iracheno, riferendosi implicitamente alla parlata di Baghdad, in realtà sono presenti sul territorio dell’attuale Iraq diversi ceppi, spesso molto diverse tra loro. Questi variano a seconda della provenienza di un dato gruppo tribale (spesso presente a cavallo dei confini con gli stati vicini) e dalla sua appartenenza culturale (arabi urbani e tribali, beduini e arabi delle paludi, tribù arabe o arabizzate, sciiti o sunniti). La stessa parola ÝIrÁq era in origine (VII-VIII sec.) l’etnonimo di una tribù yemenita giunta in Mesopotamia con il Califfo ÝUmÁr (634-644 d.C.) a seguito delle battaglie vinte a QÁdisiyya (638) e a Nihavând contro i Sassanidi (642). Prima dell’invasione islamica, l’arabo nella regione siro-mesopotamica era parlato nel Regno dei Lakhmidi (BanÙ LaÌm, 266-638), arabi cristiani vassalli dei sassanidi ed acerrimi nemici dei ghassanidi (BanÙ ĠassÁn o ĠasÁsina, 220 ca.-638 d.C.), regno fondato da tribù sudarabiche cri- stiane, vassallo prima di Roma e poi di Costantinopoli. Si può tuttavia parlare di “lingua araba” (nordarabico), già con i regni carovanieri di Petra (II sec. a.C.-III sec. d.C.) e Palmira (Tadmor, metà I sec. d.C.-272 d.C.). È naturale dunque parlare di arabi piuttosto che di arabo d’Iraq, o me- sopotamico, anche da un punto di vista cronologico1. Con la conquista islamica poi, divennero maggioritari nella regione due nuovi gruppi arabi, ossia gli arabi settentrionali o ÝAdnÁniyya (be- duini della Penisola) e gli yemeniti o QaÎÔÁniyya (agricoltori sedentari). Questa divisione si può ancora riscontrare in certe particolarità linguistiche delle parlate arabe del sud del Paese. Non è da escludere tuttavia una progressiva fusione tra i vari gruppi (arabi settentrionali musulmani e cristiani, yemeniti cristiani e islamizzati) nel corso dei primi decenni di conquista (638-651), oltre che un forte influsso delle culture precedenti (si pensi al substrato culturale che permea ancor’oggi la regione, dai babilonesi ai sassanidi, dal mazdeismo allo gnosticismo e al cristianesimo nesto- riano). Ma per meglio chiarire quale sia la situazione linguistica dell’Iraq, e del suo dialetto, è pre- feribile affidarsi alle parole del Professor Olivier Durand, semitista ed arabista dell’Università “La Sapienza” di Roma, che per primo in Italia ha cercato di sintetizzare in un unico scritto la com- plessità della situazione linguistica dei paesi arabi2: “Con le conquiste consecutive alla morte del Profeta (e segnatamente sotto il califfato di ÝUmar), la lingua araba, intendendo al somma di dia- letti allora parlati sulla Penisola Araba, viene trasportata verso l’Asia anteriore ed il Nordafrica. Tali dialetti sono ovunque accompagnati dal Corano e dalla lingua sacra in cui esso è redatto”. Le forme successive di arabo che si andranno elaborando nei singoli paesi conquistati debbono quindi innanzitutto venir considerate come i diretti discendenti dei dialetti preislamici, e non dell’arabo coranico. L’arabo si diffonde in un primo momento a sbalzi. È ovvio che nei nuovi territori conquistati esso incontra lingue parlate in precedenza. In Siria-Palestina, domina allora l’aramaico, lingua semitica che sopravvive oggi in diverse zone del vicino oriente. Nel sud della

1 Sul ruolo di stati cuscinetto di ghassanidi e lakhmidi nell’Età Tardo Antica, vedasi: Shahid Irfan, 1984, Byzantium and the Arabs in the Fourth Century (= BAFOC), Washington, Medieval Academy of America, pp. 330 e sgg., e: Donner Fred, 1981, The Early Islamic Conquests (= Donner, Islamic Conquests), Princeton, Princeton University Press, pp. 103-111. 2 Durand Olivier, 1955, Introduzione ai dialetti arabi, Milano, Centro Studi Camito-Semitici, pp. 31-41

- 137 - Penisola Arabica, il sudarabico non tarda a scomparire, sopravvivendo anche presso poche tribù, musulmane e cristiane. In Iraq il persiano mantiene (accanto all’aramaico) vigore per diversi secoli successivi. In Egitto il copto, la forma più tarda dell’antica lingua egizia, sembra resistere localmente forse fino al XVII sec., dopodichè permane come lingua liturgica della chiesa copta egiziana. Più ad occidente (nel Maġrib), la lingua autoctona battezzata “berbero” dagli arabi (bar- bariyya) sopravvive a tutt’oggi in numerose isole linguistiche di entità molto variabile. Tutti questi idiomi sono detti “di sostrato” quando vengono abbandonati a favore dell’arabo e “di pa- rastrato” quando continuino a convivervi. È naturale che l’acquisizione massiccia della nuova lin- gua da parte di popolazioni alloglotte interferisca più o meno marcatamente (si parla di reazioni o interferenze, di sostrato o di parastrato) nella dinamica evolutiva dell’arabo; le abitudini lin- guistiche di sostrato tendono non di rado ad imporsi: si osservino ad esempio le trasformazioni apparentemente subite dal sistema pronominale indipendente siriano (Damasco) tramite il so- strato aramaico. La diffusione dell’arabo nelle zone conquistate procede quindi a tappe successive, durante le quali si creano avamposti militari in cui convergono contingenti di diverse prove- nienze. In tali quartieri generali (come per esempio FusÔÁÔ o QayrawÁn in Tunisia) si elaborano spontaneamente nuove ibridazioni dialettali, volte a permettere l’intercomprensione tra soldati. Queste nuove koinai stanno anch’esse alla base dei futuri dialetti: ciò spiega in parte la sostanziale omogeneità linguistica di determinate aree. Quando, in seguito, gli accampamenti militari si tra- sformano in città, sorgono moschee, scuole, centri di studio, i quali contribuiscono a conservare l’arabo coranico, permettendogli di esercitare un’interferenza parallela, e in ultima analisi unifi- cante (ossia “centripeta”) nell’evoluzione di ogni singolo gruppo di parlate locali. Quanto agli stessi contigenti militari, le loro provenienze peninsulari possono ovviamente variare molto. Di- verse somiglianze lessicali tra attuali yemeniti e dialetti magrebini, ad esempio, lasciano verosi- milmente dedurre che i contingenti mandati a colonizzare il Nordafrica, fossero per buona parte yemeniti (cosa per altro storicamente documentata) e che quindi l’arabo magrebino non vada in- teso necessariamente e/o complessivamente come discendente delle parlate del ÍiğÁz; lo stesso si può dire di alcuni dialetti iracheni, che presentano diverse affinità con le parlate nomadi del- l’odierna Arabia. Nelle città dell’Islam omayyade e abbaside, Damasco e Baghdad, si sviluppa pro- gressivamente una scienza grammatica indigena, tra i cui cultori eccelsero spesso convertiti non arabofoni, perlopiù di origine iranica. L’ideale di purezza (faÒāÎa) si ritenne ancora per molto tempo prerogativa dei beduini peninsulari, dei quali si affermava che continuassero ad usare spontaneamente l’iÝrāb, ossia le vocali finali indicatrici di caso e di modo verbale, cadute in totale disuso in ambiente sedentario. Nel primo periodo abbaside sono due persiani (ibn al-MuqaffaÝ e BaššÁr ibn Burd) a dare alla prosa araba uno stile più moderno e svicolato dai modelli preislamici. In tale periodo, il rigoglio dialettale arabo viene apertamente riconosciuto, nonché sferzato dai letterati coevi come una delle piaghe più sconsolanti della società islamica. Commettere un errore di linguaggio in una conversazione di tono sostenuto è motivo di severo biasimo. Procedere ad una classificazione generale dei diversi dialetti arabi contemporanei non è un’ope- razione semplice, dato il carattere disuguale della documentazione globale di cui si dispone. Cio- nonostante è d’uso stabilire due classificazioni provvisorie: la prima di tipo sociologico, la seconda di tipo geografico. Una prima grande scissione divide i dialetti sedentari dai dialetti no- madi. Questi ultimi, dato il maggiore isolamento sociale dei parlanti, tendono ad essere arcaiz- zanti e differiscono talvolta non poco dalle parlate sedentarie, a livello di fonetica, morfologia, sintassi e lessico. I dialetti si suddividono a loro volta in parlate urbane e rurali. Nei dialetti urbani non sono del tutto scomparse differenze tra parlate musulmane, giudaiche e cristiane, do- vute alla relativa ghettizzazione delle due ultime comunità (così ad esempio a Baghdad erano in uso tre dialetti). Sembrano invece ormai levigate le differenze tra parlate maschili e femminili,

- 138 - dovute anche queste ad una relativa segregazione dei sessi, mentre si acuiscono le divergenze tra diversi ceti (o strati) sociali. Proviamo a fare una classificazione di ordine generale: a. Dialetti sedentari − dialetti urbani • dialetti musulmani, giudaici, cristiani • dialetti maschili e femminili • diastratiche − dialetti rurali b. Dialetti nomadi La seconda classificazione è geografica. Si suole distinguere tradizionalmente le aree seguenti: − arabo peninsulare: (Penisola); − arabo mesopotamico: Iraq e zona del Golfo; − arabo siro-palestinese: Siria, Palestina/Israele, Libano e Giordania; − arabo egiziano; − arabo sudanese, cianico, nigeriano; − arabo magrebino: dalla Libia al Marocco ed alla Mauritania, comprendendo anche parte del Delta del Nilo. I criteri per la classificazione geografica sono soprattutto fonetici, sebbene non manchino diffe- renze a livello di morfologia, sintassi e lessico. Dalla sovrapposizione dei due criteri di classifica- zione emerge con chiarezza quanto la situazione linguistica di un dato territorio, anche circoscritto, sia di rado omogenea. L’arabo peninsulare lascia individuare al momento attuale le zone seguenti: − dialetti nomadi settentrionali (tribù Šammār, ÝAnaze/ÝAnīza, Nağd); − dialetti sedentari della costa orientale (Kuwayt, BaÎrain, Emirati); − dialetti di ÝOmÁn e di Zanzibar; − dialetti sudoccidentali (Yemen, ÍaÃramawt); − dialetti urbani dello ÍiğÁz (Mecca, Medina) Contrariamente a quanto potrebbe suggerire una facile supposizione, i dialetti peninsulari non sono “i più vicini al classico”. Malgrado sporadici e notevoli arcaismi documentati qua e là nelle parlate nomadi, si osservano cospicue discrepanze rispetto al modello classico. I dialetti mesopotamici, sconfinanti dall’Iraq in Anatolia (Turchia), sembrano costituire una re- lativa omogeneità: − dialetti qəltu (dalla prima persona singolare del verbo qāla ‘dire’) • anatolici (Turchia) • zona del Tigri • zona dell’Eufrate − dialetti gilit (dalla prima persona singolare del verbo qāla ‘dire’), diffusi nell’Iraq urbano-mu- sulmano e nel Golfo Persico. Caratterizzati da una marcata influenza di sostrato iranico, i dialetti mesopotamici (o iracheni) conservano una tipologia relativamente arcaica. I dialetti dell’Iran e dell’Asia centrale (Iran, Uzbekistan, Afghanistan) costituiscono il confine orientale dell’arabofonia e risentono in modo più marcato con lingue iraniche (persiano, tagìco e pashto) e turciche (turco, azerì). I dialetti siro-palestinesi presentano anche essi una sostanziale omogeneità, se si escludono le par- late nomadi, rientranti nel novero dei dialetti peninsulari. Una vecchia classificazione distingue

- 139 - i dialetti seguenti: − dialetti siriani settentrionali; − dialetti siriani centrali e libanesi; − dialetti giordano-palestinesi, ulteriormente suddivisi in tre zone: • urbani • rurali centro-palestinesi • sud-palestinesi e giordani (di matrice beduina) I dialetti siro-palestinesi sono spesso indicati come quelli presentanti minor distacco dal modello classico. Per tale motivo, nonché per la diffusione delle varietà urbane siriane e libanesi tramite cinema e televisione nell’intero mondo arabofono, si suole consigliarne l’apprendimento agli aspiranti arabisti. I dialetti egiziani si dividono primariamente in: − settentrionali (Delta del Nilo): • Alessandria • Ġarbiyya • Šarqiyya − centrali (zona del Cairo e dintorni) − meridionali (fino al Sudan settentrionale, dove l’arabo vive a contatto con altre lingue nilotiche e cuscitiche, tra cui il dongolese e il begia). La parlata del Cairo è senz’altro quella più popolare nel mondo arabo per via della ingente pro- duzione cinematografica e televisiva egiziana. Per molti arabofoni inoltre essa viene sentita come il dialetto “più aggraziato”. I dialetti sudanesi, ciadici e nigeriani sono conosciuti in maniera piuttosto disuguale e presentano comunque diverse originalità dovute ad una forte osmosi con lingue africane subsahariane. I dialetti magrebini sconfinano dalla Libia in alcune zone del Delta del Nilo, quindi proseguono verso ovest fino al Marocco e alla Mauritania. L’arabizzazione del Nordafrica, essendosi svolta in due fasi (prima penetrazione islamica del VII-VIII sec.; invasione dei nomadi BanÙ HilÁl, BanÙ Sulaym e MaÝqil nell’XI sec.), si suole distinguere in primo luogo tra dialetti “pre-hilalici” (per- lopiù urbani) e dialetti “post-hilalici” (nomadi). Diverse considerazioni di ordine fonomorfologico consentirebbero inoltre di suddividere ulte- riormente tale zona in orientale (Libia-Tunisia) e occidentale (Algeria-Marocco). Le parlate se- dentarie libiche in particolare possono quasi definirsi costituite da una morfologia magrebina di tipo mashreqino: − dialetti libici: sostanzialmente omogenei, risentono di una forte influenza dell’arabo orientale, nonché di marcati influssi beduini (segnatamente a Tripoli); − dialetti tunisini: relativamente unitari, soprattutto a livello urbano, con tratti libici nel Sud3; − dialetti algerini: suddivisi in diversi raggruppamenti: • ex-dipartimento di Costantina, con parlate urbane, rurali e nomadi • ex-dipartimento di Algeri, dal Sahara fino ad Algeri • parlate quasi esclusivamente nomadi • dialetti urbani (Algeri, Cherchel), comunque in continua • ex-dipartimento di Orano, con parlate nomadi, con l’eccezione di Tlemcen (TilimsÁn)

3È di indole tunisino-libica il dialetto importato sull’arcipelago maltese ed oggi diventato lingua letteraria ufficiale (con proprie sottovarietà dialettali). 4I dialetti importati a partire dal 711 sulla penisola iberica, di cui rimangono diverse testimonianze scritte,

- 140 - − dialetti marocchini: riguardantiparlate urbane sommariamente unitarie, parlate nomadi con i dialetti algerini occidentali4; − dialetto mauritano: nomade, detto Îassāni. Sin dai viaggiatori più antichi l’arabo magrebino viene descritto come molto diverso dagli altri dialetti e come particolarmente incomprensibile (in tal senso si esprimeva ad esempio il geografo del X sec. al-MuqaddasÐ). Nelle zone periferiche del territorio arabofono, sono variabilmente sensibili influenze di para- strato delle lingue di confine: così l’iranico (principalmente persiano e curdo) in Asia centrale, il nilo-sahariano in Sudan e Ciad, il Berbero nel Maghreb occidentale, il Neolatino a Malta. In non pochi casi è lecito invocare il processo di “lega linguistica”, nel quale le lingue a contatto tendono verso uno scambio reciproco di tratti linguistici e verso una progressiva convergenza strutturale e tipologica. Risale al 1951 uno studio5 dedicato all’investigazione sulle particolarità dialettali antiche o me- dievali riscontrabili nelle speculazioni linguistiche dei primi filologi arabi. Questi infatti si con- sacrarono ripetute volte alla ricerca dell’ “arabo puro”, il cui carattere inalterato si riteneva allora conservato dai beduini della Penisola. Ben ovviamente tali beduini erano in realtà lungi dal con- cordare su più di un punto. Da quello studio emerge comunque non solo che la differenziazione dialettale era largamente documentata, ma anche che alcuni fatti osservati dagli antichi preannun- ciano una serie di fenomeni riscontrabili nei dialetti odierni. Proprio queste caratteristiche, so- prattutto fonologiche, sono oggi alla base delle classificazioni dialettali. È ovvio che maggiore sarà il numero dei parametri presi in considerazione, maggiore risulterà il numero di suddivisioni e sottogruppi. Un damasceno riconosce quindi immediatamente un “rurale” se sente dire, per esempio, gāl ‘disse’ e ğār ‘vicino’, anziché Þal e žār. I cristiani orientali, infine, sono spesso iden- tificabili dalla realizzazione uvulare della /r/ (“erre moscia”), che forse tradisce un desiderio in- conscio di maggiore “europeità” (ma la /r/ uvulare può benissimo sentirsi presso musulmani, ad esempio ad Algeri o in alcune regioni irachene, tra le quali la città di Mossul). Sulla differenzia- zione dialettale diastratica in seno ad un medesimo centro urbano si è discusso molto. Differenze tra parlate delle giovani generazioni, diverse rispetto a quelle di genitori e nonni, si osservano nel mondo intero e riflettono semplicemente un diffuso bisogno adolescenziale di contrapporsi al- l’“antico” o “obsoleto”. La differenza relativa all’appartenenza religiosa trova anch’essa la sua parte di spiegazione nella ghettizzazione, coatta o spontanea, di cristiani ed ebrei (e d’altronde simili fenomeni si osservano presso le comunità israelitiche europee: non del tutto estinto, ad esempio, è il giudeo-romanesco). Quanto alla differenza relativa al sesso dei parlanti (si tratta co- munque sempre di particolarità circoscritte: le parlate femminili tendono ad essere maggiormente arcaizzanti), oltre alla parziale segregazione dei sessi, forse risale anche ad antiche tradizioni com- portamentali preislamiche in cui i due sessi si imponevano di non ricorrere esattamente allo stesso linguaggio (comportamento ancora osservabile presso società oceaniane e polinesiane, non- ché presso i berberi cabili dell’Algeria settentrionale). Il lessico dell’insieme dei dialetti arabi contemporanei si presenta volta per volta, ovvero a se- conda della zona presa in considerazione, come rielaborazione di materiale antico-arabo. Quel che va notato è che molto spesso le forme lessicali attestate nei dialetti sono sì evoluzioni da forme classiche, ma poco usate, ovvero usate con altri significati in classico. Secondo alcuni l’arabo classico svolgerebbe ugualmente la funzione di permettere l’intercom- erano di tipo magrebino (con suddivisioni: Cordova, Valencia, ecc.). 5Rabin Chaim Menachem, 1951, Ancient West-Arabian, London, Taylor's Foreign Press.

- 141 - prensione tra arabi di diversa provenienza geografica, i cui rispettivi dialetti impedirebbero la co- municazione. L’immagine più frequentemente addotta è quella dell’iracheno e del marocchino che conversano in arabo classico. In realtà una simile situazione è ben lungi dal verificarsi, se non forse tra letterati abituati per professione a servirsi dell’idioma classico. La forma di arabo cui si ricorre di fatto in tali situazioni viene detta “arabo mediano”. Una definizione, seppur generica, di questo tipo di arabo si rivela tuttavia assai poco semplice. L’arabo mediano non è una varietà definibile di arabo (come può essere ad esempio un dato dia- letto) in quanto esso rappresenta un atto linguistico individuale, momentaneo e condizionato da un ventaglio di fattori tra i quali la padronanza del classico da parte dei due o più parlanti è ov- viamente determinante. È fuorviante concepire il mediano come un “classico dialettaleggiante”, così come è riduttivo ve- dervi una “via di mezzo” tra classico e dialetto. È forse più appropriato etichettarlo genericamente come un processo più o meno marcato secondo i casi di “dialettalizzazione” (piuttosto che di “classicizzazione”) della propria parlata, volto a permettere un compromesso intercomunicazio- nale, senza però mai raggiungere il modello strettamente classico. La base grammaticale e sintat- tica dell’arabo mediano è quindi fondamentalmente dialettale, alla stregua di una trama sintattica dialettale (caratterizzata essenzialmente dall’assenza delle vocali brevi finali casuali e modali, e da una conseguente minore libertà nell’ordine delle parole) con sistematica sostituzione di single pa- role o espressioni con un equivalente classico (o classicheggiante). La resa arabo-mediana può va- riare in misura più o meno sensibile a seconda del dialetto del parlante, che, come già detto, costituisce la trama dell’enunciato mediano (e che permetterà all’orecchio esercitato di ricono- scere la provenienza geografica del parlante; ad esempio, le rese yakzib e yakdib per un più cor- retto yakÆib, nelle quali la pronuncia dell’interdentale classica M Æ, ignorata da entrambi i dialetti, non viene rispettata). L’osservatorio migliore per l’arabo mediano è rappresentato dalla televisione, in particolar modo dai dibattiti. Un posto a sé occupano i messaggi pubblicitari (quando non siano in classico), che ricorrono al dialetto ma sono sottesi da una politica linguistica mirata a promuovere nei diversi ceti sociali una forma di arabo “dialettale moderno”. Occorre invece diffidare dei fin troppo nu- merosi manuali di arabo “pan-dialettale”, ovvero intesi a ricoprire intere zone dialettali, nei quali si potrebbe avere l’illusione di trovare descritto un tipo di arabo mediano: questi di fatto presen- tano per lo più forme di arabo classico semplificato (quindi l’esatto contrario del principio del- l’arabo mediano) che di dialettale hanno in definitiva ben poco6. Sebbene l’Iraq sia tutt’altro che un paese monoetnico, dove la stessa popolazione araba è suddivisa in gruppi per numerosi aspetti (etno-religioso, linguistico, culturale) molto diversi tra loro, la maggioranza degli arabi presenti nel Paese si identifica, prima che nella “nazione irachena”, in

6Sui dialetti arabi parlati in Iraq e, più in generale, nella regione Mesopotamica e del Golfo, vedasi: Abu- Haidar Farida, 1991, Christian of Baghdad, Wiesbaden, Otto Harrassowitz; Blanc Haim, 1964, Communal Dialects in Baghdad, Cambridge, Mass., Harvard University Press; Ingham Bruce, 1982, North East Arabian Dialects, London, Kegan Paul International; McLachlan Keith S. (ed.), 1994, The Boundaries of Modern Iran, London, London University College Press, pp. 93-100; Csató Eva Agnes, Isaksson Bo, Jahani Carina (eds.), 2005, Linguistic Conver- gence and Areal Diffusion, London & New York, Routledge Curzon; London, pp. 173-180; Jastrow Otto, 1978- 1981, Die mesopotamisch-arabischen qəltu Dialekte I-II, Wiesbaden, Otto Harrassowitz; Erwin Wallace M., 1963, A Short Reference Grammar of Iraqi Arabic, Washington, DC, Georgetown University Press; Van Wagoner Merill Y., 1975, Spoken Arabic: Iraqi, Ithaca, NY, Spoken Language Service; Van Ess John, 1938, The Spoken Arabic of Iraq, Oxford, Oxford University Press; Holes Clive, 1984, Colloquial Arabic of the Gulf and Saudi Arabia, London, Routledge & Kegan Paul.

- 142 - una tribù o in “clan”. Nel mondo arabo infatti, e non solo per gli arabi musulmani, la struttura tribale è alla base della vita sociale. Una tribù (Ýašīra) è suddivisa in “clan” (fuÌÆ), casa (bayt), fa- miglia allargata (Ìāms) e, infine famiglia (ÝāÞila). Generalmente le tribù si raggruppano in una confederazione tribale (qabīla). Con il termine “Al” (corruzione di Ahl, ossia gente, popolo) si definiscono i gruppi di famiglie appartenenti ad uno stesso gruppo (es. Al Dulaym o Al IsmaÝÐl). In Iraq, così come nei paesi confinanti (Iran, Turchia, Siria) intere tribù possono essere solo ap- parentemente arabe o curde o turciche poiché spesso arabizzate, iranizzate o turcificate in tempi remoti, come nel caso dei cosiddetti “Arabi delle Paludi” (Marsh Arabs), delle tribù curde di ori- gine araba della zona di Mosul o delle tribù di origine camitica (Sudan, Corno d’Africa). Spesso sono giunte nella regione in epoca selgiuchide (turcomanni e persiani), ayyubide (curdi e turco- manni), ilkhanide (mongoli, persiani e turcomanni), mamelucca (tatari, turcomanni, mongoli, neri africani) o ottomana (caucasici, curdi). Famiglie o tribù con origini turciche, sia ottomane che precedenti (es. Al QarrÁÈÙl < Karakul; Al BÁšÁğÐ < Pa¢ac¤; Al Orfeli < Urfal¤), caucasiche (ŠÐšÁn < ¥ečen, †eçen; Al DÁÈistÁnÐ < Dagestânî), curde (Al Barzanči < Barzânî; Al ÓÁlabÁnÐ < Talâbanî), persiane (Al QizwÐnÐ < Qazvînî; Al ËÙÞÐ < XôÞî) o turche azerî (Al ÓabÁÔabÁÞÐ < TabâtabâÞî) sono state il più delle volte completamente arabizzate. Per quanto riguarda i persiani, essi costituiscono forse il subtrato culturale più antico della regione di Baghdad e in generale del- l’Iraq centro-meridionale, dove per secoli il persiano, come anche nel mondo turco, ha costituito la lingua ufficiale delle varie dinastie che si sono succedute nella regione, almeno dagli achemenidi. Lo stesso nome Baghdad (BaÈdâd) è appunto un toponimo persiano (dono di Dio), scelto dalla comune appartenenza allo sciismo duodecimano, che poi non impedisce agli arabi della regione di sentirsi altro rispetto all’Iran e agli stessi arabi dello AÎwÁz (o Khuzistan), accomunati da una stessa appartenenza etnica e, spesso, tribale (caso del gruppo tribale KaÝb). Le confederazioni e le famiglie arabe d’Iraq sono quelle indicate nel box 1, e la loro distribuzione geografica è grosso modo illustrata melle mappe 1, 2 e 37

7Per i cui approfondimenti vedasi: Al-Azzawi Abbas, 1956, The Tribes of Iraq, Baghdad, Baghdad Press; Al- Duroubi Ibrahim Al-Baghdadiyoun, 1958, Akhbarahum wa Majalisahum, Baghdad, Al-Rabita Press; Al-Samarra’i Younis Al-Sheikh Ibrahim, 1989, Iraqi Tribes, Baghdad, Al-Sharaf Al-Jedid Press; Al-Samarra’i Younis Al-Sheikh Ibrahim, 1986, Hashimi Tribes and Families in Iraq, Baghdad, Al-Umma Press; Tripp Charles A., 2000, History of Iraq, Cambridge, Cambridge University Press.

- 143 - Box 1

Principali confederazioni e famiglie arabe in Iraq

− Al BÙ MuÎammad, diffusa nel Gover- °Al BÙ ÑÁliÎ nel governatorato di DiyÁla natorato di Maysan (Maysān) °Al ÝAliyÁt − gruppo al-KanÝÁn, incentrato nel go- − Federazione ÝAniza °Al IbrÁhÐm vernatorato di BaÒra e a cavallo del − Federazione ÝAzza (intorno a Balad) °HačÁm (ÍakÁm) confine con la provincia iraniana del − Dulaym, incentrati nel Governatorato • BanÐ SaÝÐd ËuzistÁn (Xuzestân, AÎwÁz) di Maysan °Al ÝÏsâ − ÝUbayd (ad al-ÝAlam e ÓÁrmiya) • Al BÙ RidaynÐ °Al BazzÙn − Zubayd ° Al BÙÝAssÁf °Al MaryÁn Nota: le confederazioni ÝAzza, Dulaym, ° Al BÙÅiyÁb °Al AğwÁd ĞubÙr, ÉanÁbÐ e ÝUbayd sono tutte sotto- ° Al BÙÍusayn al- °ËafÁğa gruppi dei Zubayd ÝAlÐ °ÝAbbÙda Zona di Baghdad (BaÈdÁd) ° Al BÙÝAi×a °Al ĠizÐ − Banï Tamïm ° Al BÙ DirnÁğ °BanÐ RikÁb − Šammar ° Al BÙ MaÔrÙd °BanÐ Zayd • Šammar ÇarbÁ (perlopiù ° Al BÙÝAlÐ °ĞašÝam sunniti) ° Al BÙ ĞÁbir °Al Izayriğ • Šammar Tawºa ( T½ğa, perlo • Al BÙËalÐfa °Al Íumayd più sciiti) • Al BÙ MarÝÐ °ÝUgayl (ÝUqayl) • ZawbaÝ • Al BÙ Fahd °Al QarrÁÈÙl • SanºÁra • Al BÙ Nimr (Karaºul) − Al Dulaym • Al BÙ SalÐm − Al ŠuwaylÁt − Al ÉanÁbÐ • Al BÙÉulayb − Al TÙğa − Al ÉubÙr • Al BÙÝAlwÁn − Al Zuhariya − Al NidawÁt • Al ÍalÁbisa − Al HusaynÁt − Al ÝUbayd • Al BÙÝUbayd • Al AsÁčra (AsÁkir) − Al ÝAzza • Al MalÁÎma • Al RifaÝÐ − Al MašÁhida (Mašhad) • Al KarÁbla • Al BiÝayğ (BuÝayº) − Al BÙ MuÎammad • Al MaÎÁmda • Al ŠarÐfÁt − Al BÙÝAy×a • Al FalÁhÁt − Rabïýa (pronunciato RubayÝa) intorno − Al ËuÃarÐ • Al BÙ MahhÁl alla zona di Kut (KÙt) − Al BÙ ÝAmÐr • Al BÙ ÝÏsÁ (a Falluja) • Al SarÁy (Saray) − Al GirÔÁn (KirÔÁn) • Al ĞumaylÁt (a Falluja) • Al MagÁÒÐÒ (MaqÁÒÐÒ) − Al MuğÁmaÝ − Al BÙ FarrÁğ • Al MayyÁ − Al MalÁÞika − ĞubÙr • Al ÝAmÁra − Al Çurayr − Federazione dei BanÐ KaÝb, incentrata a • ÝUmayr − Al ÝUqaydÁt sud della città di Bassora (BaÒra) e a ca- • Al ZirkÁn − Al AnbÁriyyÙn vallo del confine con la provincia ira- • ¥inÁna (KinÁna) − Al QarrÁÈÙl (Karaºul) niana del ËuzistÁn (Xuzestân, AÎwÁz) − Šammar, Governorato di NÐnawÁ (Ni- − Al DafÁfÝa − ËazÁÝil nive) − Al BÙ MuÎÐ − BanÐ LÁm • Šammar al-ÇarbÁ (in Iraq, − Al SaÝÐd − BanÐ MÁlik (imparentanti con i MÁlik Siria and Turchia) − Al BÙ FarrÁº al-Aštar) • Šammar al-Ğabal (in Arabia − Al BÙ Mafraº • Al ÝAlÐ Saudita) − Al FalÁÎÁt • Al FarrÁğ • Al AslÁm − Al ÍalÁbisa • Al IsmaÝÐl • Al ÑÁyiÎ − Al ÉuÎayš • Al AwÁbid • ZawbaÝ − Al MaÝÐn • Al ÍumaydÁt • SinğÁra − Al MaÝÁmra • Al IbrÁhÐm − BanÐ TamÐm (talvolta scritto TimÐm o − Al Lihayb • BanÐ RÐzağ TemÐm) nell’Iraq centrale o meridio- − Al Š½rtÁn (ŠuayrtÁn) • BanÐÍasÁn nale − Al BÙ ÝÏsâ − Muntafiq • “clan” Al Suhayl, capi tribali − Al SÙdÁn • “clan” al-SaÝdÙn (capi tribali) vicino AbÙ Ġurayb − Al BeyÃÁn • BanÐ MÁlik • Gruppo al-TuršÁn incentrato− Al FarÔÙs

- 144 - − Al SuwaÞÐd − SumaydÁÞ − MuÔayrÁt − BanÐ Zayd − TamÐm − ÉalÁbÁt − BanÐ SaÝad − Ëazraº Zona di Hilla (al-Íilla) − BanÐ LÁm − NuÝaym − Al ÝAlÐ( BanÐ MÁlik) − RubayÝa − ÝAšaÝša − Al BÙ SulÔÁn − Ëazraº − Al MuºammaÝ − Zubayd − ËafÁºa − Al AÎbÁb − Al ÉubÙr − KaÝb − Al MagÁdma (MaqÁdma) − Al BÙ ÝAmÐr Zona di Mosul (al-MawÒil) − Al Nuwašit − Al MasÝÙd − Šammar − Al BÙ Mudallal − Al ÉanÁbÐ − Al ÉubÙr − Al BÙÉumÝa − Al ÉiÎayš − Al Dulaym − Al BÙ BazzÙn − Al MaÝÁmra − Al Luhayb − Al Šayayša − Al Dulaym − Al BÙÍamÁd − Al ÍayÁlÐ − Al QarrÁÈÙl (Karaºul) − Al BÙÍamdÁn − Al MarÁsma − Al AnbÁriyyÙn − Al BÙ BadrÁn − Al Bu Ağil − Al YasÁr − Al BÙ Mutaywit − Al BÙ FarrÁº − Al ÝAzza − Al ÍayÁlÐ • ĞuwaÝina (Al BayğÐ) − Al BÙ ÝAºil − Al ÝUqaydÁt − Al Luhayb (a ŠarqÁt) − Al BÙÝAlwÁn − Al ÉiÎayš − Al MašÁhda (a TÁrmiya) (il membro − Al Šuºayriyya − Al ÝUbayd della tribù è detto MašhÁdÁnÐ) − Al AmÁr − Al MarÁsma − Al MašayÌ a TÁrmiya e a Al Haweğa (il − Al BÙÍamÁd − Al ÝAzza membro della tribù è detto al- − Al BayyÁt − ÍadÐd MašayÌÐ) − Al ÝUbayd − BayyÁt − Al Suwamra (il membro della tribù di − Al Fatla − ŠarÁbiyyÙn SÁmarrÁÞ è detto al-SÁmarrÁÞÐ) − Al ŠuwafiÝ − BanÐ ËÁlid • Al BÙ ÝÏsâ − Al-IÆÁriyyÙn − SabÝa • Al BÙÝAbbÁs − Al Mašahda − MaÝÁmra • Al BÙ DarrÁº − Al QarrÁÈÙl (Karaºul) − Çurayr • Al BÙ BÁz − Al SaÝÐd − ZawbaÝ • Al BÙ Aswad − Al GirtÁn (QirtÁn) − NuÝaym • Al BÙ BadrÐ − Al Ëanafsa − Íarb • Al BÙ NÐssÁn − Al MaÎÎÁniyya − Ëazraº • Al BÙ UÛaym − Al ÇurayÝÁt • Discendenti della sezione • Al BÙ Milays − BanÐÍasan Ëazraº degli AnÒÁr − BanÐ MÁlik Zona di Najaf (Naºaf) − Óayy − BanÐ Asad ÐÍ a Nota: i Šammar sono un sottogruppo dei − Ban as n − ËaykÁn Óayy − Al Fatla (un sottogruppo dei Dulaym) − TurÙf Ç Á Á Zona di Tikrit (Takrit) − Al az l t − Çurayr Š i − Al ÉubÙr − Al ib l − Óufayl Á Ð − Al BÙ NÁÒir (a Tikrit) − Al Ibr h m − BiÝayğ (BuÝayº) Ý Ð Ð Á − Al BÙ LaÔÐf − Al Al ( Ban M lik) − ÉašÝam ÉÁ − ÍaÆÐ×iyyÙn − Al ryu − Šammar a Ð • RifÁÝiyyÙn − Al Y s r − ZaubaÝ Á − Al ÝUbayd − Al Zayy d − ËafÁºa Ë ÁÝ − Al Dulaym − Al az il Zona di Amara (ÝAmÁra) É Ù − Al ÝAzza − Al ub r − BanÐ LÁm É Á − Al BayyÁt − Al anab t − Al BÙ MuÎammad ÈÁ Ô − Al ÉaysÁt − Al Za ri − Al IzayriÊ Ý Á − Al MaÝÐn − Al Uqayd t − Al BÙ DarrÁº − Al BÙÍamdÁn − Al Zuhayriyya − Al SÙdÁn Á − Al BÙÉawÁrÐ − Al Zirf t − Al BeyÃÁn Š Ý − Al BaqqÁra − Al uwafi − Al SarÁy (Saray) Á − Al Óarabla − Al Bayy t − Al BahÁdil Ð − Šammar − Ban Asad − Al SuwÁÞid Ð Á − Éumayla − Ban M lik − Al ÝÏsâ Ð ËÁ − ÉanÁbiyyÙn − Ban lid − Al MaryÁn Ý − ÑubayÎÁt − Ka b − Al BazzÙn Ý − Íarb − Aniza − Al Fartus

- 145 - − Al FirayºÁt − ËafÁºa − Al Bahah×a − BanÐ MÁlik − Al MuwÁºid − Al Dulaym − KaÝb − Al SaÝÐd − Al ZirfÁt − ¥inÁna (KinÁna) − Al ÝAbbÙda − Al Kurd − BanÐ Zayd − BanÐ RikÁb − Al AÝÁºÐb − Al SarÁy (Saray) − Al ÉawÁbir − Al ArÃiyÁt − Al ÍalÁf − Al QarrÁÈÙl (KaraÊul) − Al AwÁbid − Al WiÎaylÁt − Al ÍusaynÁt − Al Izayriğ − Al MagÁsÐs (MaqÁsÐs) − Al Íumayd − Al Bid½r − Al ÉubÙr − Al ŠarÐfÁt − Al BÙ NašÐ − Al FikaykÁt − Al ŠuwaylÁt − Al SaÝÐd − Al BÙ NidÁÞ − Al ÇizÐ − Al MaÎÎÁniya − Al BÙ SulÔÁn − Al Bid½r(Bidawr) − Al ĠazÁlÁt − Al ŠuwaylÁt − Al Tawgiyya (Tawqiyya) − Al Šibil Zona di Bassora (Basra, BaÒra ) − Al Izayriğ − Al ÉanabÁt − Banï Kaýb − Al Hutayt − Al Anakša • MuhaysÐn − Al ÉubÙr − BanÐ Hičaym (Hikaym) − BanÐ MÁlik − Al WišÁÎ − BanÐ SalÁma − BanÐ Asad − Al Úufayr − BiÝayğ − Banï Tamïm − Al Dulaym − Čabša (Kabša) − BanÐ ManÒÙr − Al ZayyÁd − MuÔayrÁt − Bani ËÁlid − Al NuwÁšÐ Zona di Kut (KÙt) − Al Širiš − Al MuÔayrÁt − RubayÝa − Al SayÁmur − Al ZirkÁn − Al ŠohmÁn (ŠawhmÁn) − Al MayyÁh − Al DabbÁt − Zubayd − Al MuÔawr − Al IbrÁhÐm − Šammar Tawqa − Al ËalÁf − Al MagÁÒÐÒ (MaqÁÒÐÒ) − BanÐ LÁm − Al ÝIdÁn − Al AsÁčra (AsÁkir) − Éirayš − Al GatÁrna (QatÁrna) − Al BaÝaº − Al MayyÁh − Al QarÁmša (Karamça?) − Al Íasan − Al MaqÁÒÐÒ − Al ŠaÈÁnba − Al FarÔÙs − Al SarÁy (Saray) − Al SuwÁÞid − Al FuhÙd − Al Dulaym − Al ÇanÐm − ÝIbÁda − Al ÉubÙr − Al BattÁt − ÝUqayl − Al ZirkÁn − Al BÁwiya − BanÐÍassan − Al ÝAzza − Al ÉalÝa − BanÐËaykÁn − Al BayyÁt − Al Šalha − BanÐ Asad − Al ÉawwÁm − Al Dayr − BanÐ Zayd − Al ÉalÁbiyyÙn − Al Našwa − HilÁliya − ÝUmayr − Al HasÁwiya − ¥inÁna (KinÁna) − Al FuÃÙl − Al Bid½r (Bidawr) − ÍakÁm − Al ÉurÁniyya − Bani ËÁlid − ÝAliyÁt − Al BÙÝAºil − Ha¦Ám (ÍakÁm) − ÉašÝam − Al BÙ ÍayyÁt − ÝIbÁda − Al SÙdÁn − Al ZuwÁmil − ËafÁºa − Šammar Tawqa (T½ga) − Al FahÁd − ËaykÁn − ÝAniza − Al ÉuÎayš − SaÝad − Al SaÝdÙn (capi tribali della confedera- − Al ŠuwaylÁt − BadrÁn zione MuntÁfiq che governarono l’Iraq − Al ÝUbayd − ÍaººÁº meridionale, il Kuwait e l’Arabia set- − Al ÉanabÁt − Íutayt tentrionale) − Al ÝUqaydÁt − RubayÝa Zona di Diwaniya (al-DÐwÁniyya) − Al Šuºayriyya • Al ÝAmÁra − Al ËazÁÝil − Al BÙ ÝAmÐr − MizayrÝa − Al Bidayr − Al MaÝÁmra − Al Úufayr (Beduini) − Al ÉubÙr − Al DafÁfÝa − Al DawÁsir (Beduini) − Al AgrÁÞ (AqrÁÞ) − ÍaººÁm − Al MuÔayr (Beduini) − Al ZayyÁd − Al Bidayr (Bid½r, Bidawr) − ÝAniza (Beduini) − Al IbrÁhÐm − Al NuÝaym − Sulayb (Beduini) − Afağ − BanÐ SaÝad Zona di Nassiriya (al-NÁÒ iriyya) − Zubayd − Ëazraº − Al BÙ ÑÁliÎ − ĞilayÎa − BanÐ Zayd

- 146 - − TamÐm − Al MayyÁh − Al ÂuwalÐm − SuwÁÞid − Al HusaynÁt − Al ZayyÁd − SumaidÁÞ − Al SuwÁkin − Al BÙ HÁssan − DiraÝ − Al MarÁsima − BanÐ HičÁym (HikÁym) − ÝUgayl − Al MašÁhda − Al ÉubÙr − Al Íumayd − Šammar Tawqa − Bani Zirayğ − BanÐ RikÁb − Bani ËÁlid − Al AÝÁºÐb Zona di (KirkÙk, KarkÙk, − HayyÁliyÐn − Al ÉuwÁbir Kerkük) − BanÐÝIzz − Al Bid½r − Al ÝUbayd − Al BÙ FarrÁº − Abs − Al ÉubÙr − Al BÙ MafrÁº − BanÐÝArÐà − Al NiÝaym − Al SaÝÐd − Al FarÔÙs − Al BayyÁt − Al MuÝalla − Al Tawba − Al ÝAzza − Al Íiray× − Al AºwÁd − Al BÙ Mafraº − Al Arkiya − BanÐ Zayd − BanÐÝIzz − Íarb − Al SufrÁn − BanÐ Zayd − ÉaysÁt − Al Dulaym − Šammar − Ëazraº − Al Åufayr − Íarb − ÍadÐd − ÝAniza − Qays (BanÙ Qays) − ËafÁºa Tribù arabe insediate nel Nord − Al BaqqÁra − RubayÝa − Al ÉubÙr − Al Bu ÍamdÁn − ¥ečen (†eçen) − SabÝa − Al Bu ÝAi×a − ÉimayÝÁt − Óayy − Çurayr Zona di Anbar (al-AnbÁ r) − Al Huwayz Zona di Baquba (BaÝqū ba) − Al Dulaym (comprendente 69 clan) − SumaydÁÞ − Šammar • ZawbaÝ − Íarb − Al ÝAzza Zona di Kerbala (Kerbela, KarbalÁÞ) − Al Lihayb − TamÐm − Al ÝAlÐ (BanÐ MÁlik) − Al YasÁr − Al ÝUbayd − Bani ÍassÁn − ÍadÐd − BanÐ Zayd − Al MasÝÙd − Al NuÝaym − Al ÝAmbakiyya − ËafÁºa − Al BayyÁt − Al BayyÁt − Al YÁsar − Çurayr − Al ÉubÙr − Al BÙ SulÔÁn − Al ÝUqaydÁt − BanÐ Ways − Al Fatla − Dulaym − BanÐ LÁm − Al Çurayt Famiglie di Baghdad (BaÈdÁd) − Al GirtÁn − Óufayl − Al ¥alÁbÐ (†alabi, †alâbî) − Al Dulaym − Al ÉubÙr − Al Paša¦i (Pa¢ac¤) − Al Kurwiya − Al ÉanÁbÐ − Al ÝOmÁrÐ (Al ÝUmÁrÐ) − Al TatrÁn (Tatar) − Šammar − Al GaylÁnÐ (Al QaylÁnÐ) − Al MaÝÁmra − ÝAniza − Al Orfeli (Urfal¤) − Al MuºammaÝ − ÝAbbÙda − Al RÁwÐ − Al ÉaÝÁfira − Al BÙ ÝAmÐr − Al ÝÀnÐ − Al DafÁfÝa − BanÐ Asad − Al ÍadÐ×Ð − Al SigÙg − Al KarÁkša − Al NÁÞib − Al KarÌiya − Al AnbÁriyyÙn − Al QaÒÒÁb − Al ËišalÁt − BahÁdil − Al SaÝdÐ − Al MaqÁmÐs − ÉašÝam − Al QašÔÐnÐ − Al Mahdiyya − Al SaÝÐd − Al SinawÐ − Al Zuhayriyya − Al ZaÈÁrÐÔ − Al WÁÝiÛ − Al Dayniyya − Íarb − Al SuwaydÐ − Al SuwÁÞid − Al GirtÁn − Al AlÙsÐ − Al ÝUqaydÁt − Al MašÁhda − Al ÉamÐl − Al BÙ ÝAmÐr − Al MaÝÁmara − Al ÍaydarÐ (Hayderî) − Al Lihayb − Al FuÃÙl − Al Tabaq¦ÁlÐ (Tabakçal¤) − Al Dilfiya − Šibil − Al ŠawwÁf − Al Ridayniyya − MuÔayr − Al AÌrÁs − Al Ëailaniyya − Bani ËÁlid − Al ŠayÌÝAlÐ − Al NidÁÞ − ÉilÁyha − Al WiswÁsÐ − Al SumaydÁÞ Zona di Samawa − Al Mudallal É Á Ð ÝÐ (Al MidfaÝÐ − Al Bu aw r − Al ËazÁÝil − Al Madfa )

- 147 - − Al WitrÐ − Al Mawlâ − Al WindawÐ − Al ËuÃayrÐ − Al ŠibÐbÐ − Al ÝAlwÁÒÐ − Al RÁÃÐ − Al HitÐ − Al ËuÃayr − Al QayyÁra − Al BassÁm − Al TuwayºrÐ − Al TatÁr (Tatar) − Al AtrٚР− Al DahhÁn − Al SuwÁrÐ − Al ÑaffÁr − Al AbÙ Naylâ − Al DaftarÐ − Al AÝÆamÐ − Al BazzÁz − Al MuÔayr − Al MellÙkÐ − Al ŠubbÁr − Al FarÎÁd − Al Bunniya − Al ÓayyÁr − Al ÇawwÁs − Al DargÁzlÐ (Dargazl¤?) − Al ÍassanÐ − Al Roznama¦Ð (Roznameci) − Al AssÁf − Al ÍussÙna − Al FÁrisÐ − Al AÒÐl − Al Mawlâ − Al ¥adir¦Ð (†ad¤rc¤) − Al ¹ezrawÐ − Al Abu TibÐÌ − Al NaqšbandÐ (Nak¢ibendî) − Al AqrawÐ − Al ÇalÐbÐ − Al QarrÁÈÙlÐ (Karaºullu?) − Al KirkÙklÐ (Kerküklü) − Al FayyÁà − Al FukaykÐ − Al BaÎrÁnÐ − Al AllÁq − Al DÙrÐ − KÁšif al-ÇiÔÁÞ − Al BakkÁÞ − Al TikrÐtÐ − Al ŠayÌ RaÃÐ − MaÈazÁºÐ (MaÊazac¤) − Al ÓÁlabÁnÐ (Tâlabanî) − Al YassÐrÐ Famiglie di Bassora (Basra, BaÒra) − Al BarzanºÐ (Barzânî) − Al ÝAlawÐ − Discendenti della Nobile Famiglia del − Al BÁbÁn − Al QÁÃÐ Profeta MuÎammad − Al ËaÔÐb − Al WattÁr • BarakÁt − Al ŠayÌlÐ (¡eyhli) − Al ŠÁbandÁr (Šâbandâr) • Al NaqÐb − Al ËayyÁt − Al ŠayÌ ÝÏssâ − dai BanÐ ËÁlid (ËawÁlid) − Al BaqqÁl − Al DellÁh • MuÎammad Al ÝÏsâ − Al DurÙbÐ − Al RÁyyis • Al ÝAbdu ’l-WÁÎid − Al RahbÐ − Al SÁliÎ − Famiglie NaÊdÐ − Al ZahÁwÐ − Al ŠÁwÐ • Al Zuhayr − Al KurdÐ (Kurdî) − Al BaÈdÁdÐ − altre famiglie − Al Mudarris − Al KÁÎya • Al ËuÃayrÐ − Al QaysÐ − Al Mandilawi (Mendilevi) • Al Mandil (Mendil) − Al HÁšimÐ (Hashemiti) − Al AyyÙbÐ • Al NamÁÞ − Al BazirkÁn (Bazârgân) − Al HaÊÊ SirrÐ • Al RašÐd − Al HindÐ − Al-ÝUgaylÐ • Al Õukayr − Al ¥aybÁºÐ (†aybac¤?) − Al ÇanÁm • BarÁk − Al ¥urbÁºÐ (†orbac¤) − Al AwqÁtÐ • BÁšÁ AyÁn − Al ŠÁfiÝÐ − Al DabbÁÈ • BÁšÁÊÐ (Pa¢ac¤) − Al Šawka − Al ËÁlidÐ • ŠayÌËazÝal − Al Ñadr − Al QazzÁz • ËÁn (KhÁn, Hân, famiglia di − Al DÁÈistÁnÐ (Dagestânî) − Al ÉadÐr MoÎammed Khân) − Al Kubba − Al NaººÁr Tribù Beduine − Al ŠÁlºÐ (†alc¤) − Al WazÐr − ÝAniza (pronunciato anche ÝIniza): le − Al ŠÁlºÐ MÙsâ (†alc¤ Musa) − Al KammÙna Reali Famiglie dell’Arabia Saudita, del − Al MarÁyÁtÐ − Al KannÙna Kuwayt e del BaÎrayn hanno le loro − Al ÚÁhirÐ − Al NiÝaymÐ origini in questa tribù. Lo Sceicco su- − Al MizraqºÐ (Mizrakç¤?) − Al HayyÁlÐ premo vive nell’Iraq occidentale. Que- − Al Qayma¦Ð (Kaymakc¤) − Al ÝAÔÔÁr sta è una delle più vaste tribù arabe − Al QÁlam¦Ð (Kâlemci) − Al ZaynÐ beduine, con “clan” in Arabia Saudita, − Al ÓÁliqÁnÐ − Al Witwit Kuwait, Paesi del Golfo, Iraq, Giorda- − Al ¥er¦ef¦Ð (†erçefçi?) − Al ÓawÐl nia, Palestina -Israele e Cisgiordania-, − Al ÍillawÐ − Al Šagra (Šaqra) Siria, Turchia ed Egitto). Gli ÝAniza − Al DiÊaylÐ − Al MÙsawÐ sono una sottotribù della Confedera- − Al DÁmer¦Ð (Demirci) − Al ËirsÁn zione RubayÝa. − Al ËÁliÒÐ − Al DamlٺР− Al Úufayr − Al ŠayÌ Yassin − Al Abu RiÈÐf − Al MuÔayr − Abu Al Timin − Al AwsÐ − Al Sulayb − Al WardÐ − Al QarâÝAlÐ (Kara Alî) − Al BÙ Mitaywit − Al RifÁÝÐ − Al ÉawÁhirÐ − Íarb − Al ËassekÐ (Hassâki) − Al DabÙnÐ − Šammar − Al Šakar¦Ð (¡ekerci) − Al KubaysÐ • Al Ëarsa

- 148 - • SanºÁra denti della Famiglia Reale d’Iraq • ZawbaÝ − Al GaylÁnÐ (QaylÁnÐ) di Baghdad • Al SÁyiÎ − Al ÍayderÐ di Baghdad − Al ZayyÁd − Al AlÙsÐ di Baghdad − Al ¹aÈÁyfa − Al TatÁr di Baghdad − Al Dulaym − Al WaÝiÛ di Baghdad − BanÐ ËÁlid (plurale Al ËawÁlid) − Al WitrÐ di Baghdad ŠÁ Á Ð − Al NÙr − Al hrist n di Baghdad − Al Ñadr di Baghdad e Najaf Discendenti della Famiglia del Profeta − Al ÍabÙbÐ di di Baghdad e Najaf MuÎammad (Ahl al-Bayt) − UÔayfa di Baghdad − Al MarÝašÐ di Najaf − Witwit di Íilla − Al AwadÐ di Najaf − Al RifaÝÐ di Basra, Baghdad, Samarra e − Al MÙsawÐ Al YÁsÐn di Najaf Ana − Al MušÁhada di Tarmiya − Al Muwašit di al-Dawr − Al NuÝaym di Kirkuk, Hawija e Ba- − Ì di Dujail ghdad Al Mišayi ūn − Al AÝraºÐ di Mosul, Baghdad e Najaf − Al Bu Milays di Samarra − Al ÍusseynÐ di Mosul − Al Bu BadrÐ di Samarra − Al Bu SabÝa di Mosul − Al Bu BÁz di Samarra − Al SÁda di Tal ÝAfar − Al Bu Aswad di Samarra − Al Barzanči (Barzânî) di Sulaymaniya − Al Bu ÝAbbÁs di Samarra ed − Al BÙ DarrÁº di Samarra − Al NaqšabandÐ di Sulaymaniya − Al BÙ ÝÏsâ di Samarra − Al KasnazÁnÐ di Kirkuk − Al BÙ NÐsÁn di Samarra − Al ÓÁlabÁnÐ di Kirkuk − Al BÙÝUÛaym di Samarra − Al DÁwÙdÐ di Kirkuk − Al MarÁsma di Balad, Samarra e Ba- − Á di Kirkuk e Baquba quba Al Riğayb t − Al Kaysey di Baghdad − Al ÓarÁbla di Tikrit − MaġazÁği (MaÊazac¤) di Baghdad − Al Bu NÁÒir di Tikrit − Al ÍadÐd (plurale al-ÍadÐdiyyÙn) − Al NaqÐb di Bassora − Al SaÝdÙn di Bassora − Al RiÃaynÐ di Bassora − BarakÁt di Bassora − Al ÍakÐm di Najaf − KamÙna di Najaf − Al QizwÐnÐ (Qazvînî) di Najaf − Al ÓabÁÔabÁÞÐ (TabâtabâÞî) di Najaf − BaÎr al-ÝUlÙm di Najaf − Al ËÙÞÐ (XôÞî) di Najaf − Al ËarsÁn di Najaf − Al Zuwayn di Najaf, Baghdad e Mosul − Al ZaynÐ di Najaf − Al ÓÁliqÁnÐ di Najaf − Al ÝAllÁq di Najaf − Al FaqÐh di Najaf − Al ÉazÁÞirÐ di Najaf − Al KešwÁn di Najaf − Al Íilw di Najaf − Al ÑÁfÐ di Najaf − Al ÇrayfÐ di Najaf − Al ŠarmÙÔÐ di Najaf − Al ÍamÁmÐ di Najaf − Al AbÙ TubiÌ di Najaf − Al YÁsir di Najaf − ŠubbÁr di Najaf − Al ÑarÁf di Najaf − Al ÝAÆarÐ di DiwÁniyya − Al ÑuwÁfÐ di DiwÁniyya − HÁšimÐ (Hashemiti) di Baghdad, discen-

- 149 - Mappa 1

- 150 - Mappa 2

- 151 - Mappa 3

- 152 - La componente curda

Le tribù curde sono presenti in tutto l’antico mondo iranico, incluso l’Iran vero e proprio, l’Ana- tolia e l’Iraq, ma sono stati pubblicati ben pochi lavori veramente esaustivi sulla distribuzione e la consistenza delle tribù curde7. Quello che segue si pone come un tentativo di presentare una lista delle principali tribù e della loro collocazione geografica. Box 2

Principali tribù curde in Iran, Turchia e Iraq

IRAN A Xalxâl (Khalkhal, ovvero la regione tra i monti Bozghush Provincia dell’Azerbaijan Occidentale e il fiume Qezel Uzen/Kızıl uzun), vi sono sette tribù turco- Le più importanti tribù curde della regione sono: fone sciite di origine curda: – Calâlî (Celâlî q.v.; intorno a Maku) – Delikânlu (Delikanl¤) – Milân (sempre intorno a Maku) – Kolukgânlu (Kollukkanl¤, un sottogruppo degli ¡ekkâk) – Haydârânlu (sul confine turco, a sud-ovest di Maku) – ¡atárânlu (¡ataranl¤, anch’essi un sottogruppo degli – Donbolî (q.v.; parlanti azerî, intorno a Khoy e ) ¡ekkâk) – Korahsunnî (azeri curdificati stanziati a sud-ovest di Khoy) – Ahmadlu – ¡ekkâk (a sud di Salmas) – ¡âdlu (¡âdl¤) – Herkî (intorno ad /Orumiye) – Rašvând e Mâmânlu – Begzâda (a sud del Lago Urmia) Infine vi sono degli ¡ekkâk turcofoni (parlanti Turkî) e sciiti, – Zerzâ (sul confine iracheno, ad occidente di Oshnaviya) che occupano una vasta area a nord-est e a nord-ovest di – Pirân (sul confine iracheno, a sud-ovest di Naqada) Miyana. – Mâma¢ (intorno a Naqada) Provincia del Kurdistan (Kordestân) – Mangûr (a sud-ovest di Mahabad) Le più importanti tribù curde di questa regione sono: – Mokrî (intorno a Mahabad) – Sar¢îv (sul confine iracheno, a sud di Bana) – Dehbokrî (a oriente di Mahabad) – TilakuÞî (turchi curdificati, intorno a Sonnata e a Zagha) – Gowrâk (a sud di Mahabad, intorno a Sardasht e a nord- – Bâni Ardalân (intorno a Senna [Sanandaj]) ovest di Saqqez) – Câf (a sud-ovest di Senna [Sanandaj]) – Malkârî (intorno a Sardasht) – Hulilân (a sud-est di Kermanshah) – Susenî (a occidente di Saqqez) – e le seguenti tribù tra Kermanshah (oggi Bâkhtarân) e il – Fayzî-Allâh-begî (a nord-est di Saqqez) confine iracheno: Gurân, Kalhor, Sancâbî, Šarâfbayânî, Provincia dell’Azerbaijan Orientale Kerindî, Bâcalân (q.v.), Nânakulî e Zangâna. A QarâcadâÊ (Qarajadagh, oggi Arasbârân), ovvero la re- Provincia di Hamadan (Hamadân) gione tra il fiume Aras e la catena dei Sabalan, vi sono sei Le tribù curde in questa provincia sono: tribù turcofone sciite di origine curda: – Câmirî – Ùalabiânlu (q.v.) – Cuzikân – MoÎammad Xânlu – ¡âhcân – Hosaynâklu Provincial del Luristan (Lôrestân) – Hâcî ÝAlîlu (q.v.) I gruppi di tribù Delfân e Selsela, la tribù ArmâÞî del gruppo – Hasan Beglu e Qarâçorlu di tribù Tarhân e la tribù Bayrânvând nel Pish-e Kuh parla -

7Quanto illustrato nel presente paragrafo può essere approfondito su: Blau Joyce, 1980, Manuel de Kurde, Paris, Librairie C. Klincksieck; Bois Thomas, 1960, “Remarques Critiques sur la Nomenclature Grammaticale Kurde”, in Biblioteca Orientalis 3/4, pp. 152-60; Bynan Theodora, 1979, “The Ergative Construction in Kurdish”, in BSOAS 42, pp. 211-24; Edmonds Cecil, 1955, “Prepositions and Personal Affixes in Southern Kurdish”, in BSOAS 17, pp. 490-502; Kahn Margaret, 1976, Phonological Borrowing and Variation in Kurdish, Ann Arbor, University of Michigan Phonetics Laboratory; Mann Oskar, 1906, “Die Mundart der Mukri-Kurden”, in Kurdische – Persische Forschungen, Abt. IV; McCarus Ernest, 1958, A Kurdish Grammar; Descriptive Analysis of Sulaimaniya Dialect, New York, Learned Society; Windfuhr Gernot, 1975, “Isoglosses: A Sketch on Persians and Parthians, Kurds and ”, in Acta Iranica, Monumentum H. S. Nyberg, pp. 457-472; Bestor Jane, 1979, “The Kurds of Iranian Baluchistan: A Regional Elite”, M.A. Thesis, McGill University, 1979; Ivanow Wladmir, 1926, “Notes on the Ethnology of Khurasan”, in The Geographical Journal 67, January-June, pp. 143-158.

- 153 - no Lakî. Sia la tribù Itivând che la Cudekî nel Pisht-e Kuh rono Karîm Xân Zând nel Fars; dopo la caduta della dinastia sono curde. Vi è anche una grande tribù di nome Kord nel Zând, vennero assorbite come clan nella confederazione tri- Pisht-e Kuh. bale Qa¢qâÞî. Queste includono i Saqqez, i Zangâna (che Provincia del Khuzistan (Xôzestân, Ahvaz, Ahvâz, al- sono strutturati su cinque gruppi separati, incluso uno che AÎwÁz) forma un clan della tribù Ka¢kulî Bozorg dei Qa¢qâÞî), i Ku- Nel Janneki Garmsir, a nord-est di Ahvâz, vi sono tre runî, gli Ùeginî (q.v.), i Burbur e gli Uryâd (entrambi clan gruppi di Zangâna e uno di Calâlî. Vennero portati lì da della tribù Qa¢qâÞî degli ÝAmala), i Lak e i Vandâ (clan della Nadir Shah (Nâdir Šâh QâÞem Maqâmî, r. 1736–1747). Vi è tribù Qa¢qâÞî dei Darra¢urî), i Kordlu (clan della tribù anche una tribù dal nome Âl bû Kord, che in passato occu- Qa¢qâÞî dei Qarâ Ùâhilu) e i Kord-¡ulî. Riferimenti a tribù pava sette villaggi lungo il fiume Kârun a sud di Ahvâz. curde nel Fars, così come ad una città chiamata Kord nella Provincia del Gilan (Gilân) zona di Isfahan, risalgono al X secolo . Le cinque principali Vi sono state due importanti tribù curde in questa provin- tribù curde del Fars erano state annientate durante la con- cia: Ri¢vând (o Ra¢vând) e ÝAmârlu (q.v.). I Ri¢vând forma- quista araba e i curdi che stavano nel Fars nel XII secolo, vano parte della tribù Bâbân di Sulaymaniya e vennero tranne gli ¡abânkâra, vi erano stati portati dal Buyide ÝAzad spostati nel Gilân da Šâh ÝAbbâs (1588-1629). Più tardi ven- al-Dawla. Vi erano numerosi curdi nel Fars durante l’XI se- nero cacciati dalle loro terre da pascolo dagli ÝAmârlu che si colo, incluse ben cinque tribù degli ¡abânkâra. Benchè Ibn mossero nel Gilân dalla Persia nord-occidentale per volere al-BalÌÐ distingua gli ¡abânkâra dalle originali tribù curde di Nader Shah. I Ri¢vând oggi vivono soprattutto nella Pro- del Fars, il nome di uno dei cinque clan degli ¡abânkâra, vincia di Qazvin. Gli ÝAmârlu occupano circa cinquanta vil- Râmânî (gli altri quattro sono IsmaÝilî, Karzûbî, MasÝudî, laggi tra Menjil e Pirakuh, nel Gilan sudoccidentale. ¡akânî), è identico a quello di delle tribù curde del Fars Provincia del Mazanderan (Mâzandarân) menzionato nelle fonti precedenti. Gli ¡abânkâra presero il Vi sono tre tribù curde principali nella provincia: potere nel Fars dai Buyidi nel 1062 e vi fondarono una di- – Modânlu (a nord di Sari) nastia di sovrani. Alcuni degli ¡abânkâra si insediarono nel – Cahânbeglu (a nord di Sari) distretto di Simakan, tra Shiraz e Jahrom. Ancora oggi vi è – Xvâcavând (a sud di Nowshahr) un distretto con il nome di ¡abânkâra vicino Bushehr. La tribù Xvâcavând venne trapiantata dal Garrûs (q.v.) e dal Provincia del Khorasan (Xôras ân) Kurdistân da Nâder Shâh. Le tribù Modânlu e Cahânbeglu Vi sono molte migliaia dicurdi nel Khorasan, e la maggior vennero probabilmente spostate nel Mâzanderân sempre da partre di loro sono discendenti di coloro che vennero spo- Nader Shah. stati nella provincia da Shah ÝAbbâs intorno al 1600. Le più Provincia di Qazvin (Qâzvîn) importanti tribù curde del Khorasan sono: Le più importanti tribù curde in questa provincia sono: – ÝAmârlu (nella piana di Marusk, a nord-ovest di Nishapur) – Guyâtvând (q.v.) – ¡âdlu (nel distretto di Bojnurd) – Kâkâvând – ZaÞfarânlu (nei distretti di Shirvan e Quchan) – Ri¢vând – Keyvânlu (nei distretti di Joveyn, Darragaz e Radkan) – MaÞâfî – Tupkânlu (Topkanl¤, intorno a Joveyn e Nishapur) La tribù Guyâtvând vive lungo i fiumi Qezel Uzen e Sha- – Qarâçorlu (Karaçorlu, nei distretti di Bojnurd, Shirvan e Qu- hrud. È stata trapiantata dalla Persia occidentale da AÈa Mo- chan) Îammad Xân Qajâr (r.1794-1797). La tribù Kâkâvând vive a Provincia di Kerman (Kermân) nord-est di Qerva, lungo la strada Siah Dahan-Zanjan. La Nel 1900 c’era ancora una piccola tribù curda nella regione tribù Ri¢vând occupa i distretti di Alamut e Rudbar. La di Sardu (o Sârduya). Fino a poco tempo fa, vi era anche un tribù MaÞâfî vive lungo la strada Qazvin-Tehran. Nella pro- clan della tribù Af¢âr di Kermân (turchi) di nome Mîr Kord. vincia vi sono comunque anche piccoli gruppi di Bâcalân, Provincia del Baluchistan (Balô¦ istân) BehtuÞî, Ùami¢gazak, Calilvând e Kalhor. Vi sono curdi nel nord-ovest del Baluchistan Persiano, che Provincia di Tehran potrebbero essere i discendenti di membri delle tribù che La tribù Pâzukî è il principale gruppo curdo della regione. accompagnarono lo sfortunato Lotf-ÝAlî Xân Zând nella sua Era un tempo una potente tribù che viveva presso Erzurum disperata fuga a Bam nel 1794. Fino agli anni ’80 del XIX se- in Anatolia, ma alla fine del XVI secolo si frammentò e una colo erano dominanti a Khash, e la loro guida era nota come parte si recò a Varâmîn e Guâr. Nella regione di Tehran vi il Sardâr dei Sarhâd. Oggi sono molto frammentati, alcuni sono i frammenti delle seguenti tribù: Hedâvând, Burbur, di loro vivono sui fianchi meridionali del Kuh-e Taftan, Uryâd, Zerger, Kord Baça, Nânâkulî e Qarâçorlu e a Sâva vi mentre altri si spostano intorno a Magas (oggi Zâbol), e altri sono i Curdi Kalhor. ancora sono insediati nel Sistan. Hosayn-Ali Razmara men- Provincia Isfahan (Esfahân) ziona otto villaggi nel distretto di Bamposht abitati da Zând In questa provincia vi è una tribù curda di nome Bâzincân. parlanti baluci. Questi si spostarono nel Baluchistan nello Inoltre, il nome della città Shahr-e Kord a sud-ovest di Isfa- stesso periodo dei Curdi di Khash. han evidenzia l’esistenza di curdi in quella regione già nel- l’alto medioevo. Questa teoria è rinforzata dal ricordo di TURCHIA alcuni geografi arabi di epoca abbaside. Anatolia Provincia del Fars (Fârs) La maggior parte dei curdi presenti in Turchia sono dive- Vi sono oltre trenta piccole tribù curde nel Fars. Molte di nuti sedentari e molti hanno perduto la loro identità tri- queste sono senza dubbio ciò che resta di tribù che segui- bale, così come i turcomanni abitanti le stesse zone.

- 154 - All’inizio del XX secolo, le principali tribù curde d’Ana- – Tokat : Aruk tolia erano le seguenti, indicate secondo i distretti (velâ- – Tunceli (Dersim): Millî, Dersimli yat): – Urfa: Givarân, ÝAlu¢, Ùâpkasân, Abu Tâher, Emerzân, – Adıaman: Telyâ Bârân – Afyon: Cahânbegli – Van: Mahmudî, HerkaÞî, ÝIsâÞî, Yazidi, Sepikânli, Duderî, – Ağrı: Sâderli, Xâlati, Haydârânli, Hamadikân, Zilânli, Bâ- Xâni, Celikânli, Tâkuli, Tâpiân, Bârezânli deli, Âdamânli, Başmânli, Calâli, Bâzikli – Yozgat: Mâxâni, XâtunoÈli, TâburoÈli – Amasya: Aruk – : ÝAmarânli, Nâsáerli, Zirikânli, Cudikânli, Tirikân. IRAQ – Bitlis: Mudekî, Xâzalî, Hasanânlu, Âtamânikân, Cabbarânlî Khvarvaran e Asuristan (Assiria) – Diyarbakır: Diyârbakrî, Musek, ¡ayxdudânlî, Surki¢lî, Der- Vi sono potenti tribù curde in Iraq. Nel 1931 le più im- simlî, Xâzâlî, Be¢erî, Tirikân, Purân, Bekirân, Ra¢kutânli portanti tribù curde in Iraq erano le seguenti, indicate se- – Elazığ: Gurus, Kulbâbân, Sinân, Âşmişârt, Behirmâz condo la regione geografica: – Erzurum: HerkaÞî, Zirikânli, Hasanânli, Piziânli, Raşvân – Arbil (Erbil): Âko, DizâÞî, Surçî, Gerdî, Herkî, Bârzân – Gaziantep: Delikânli (q.v.), Bulî, ¡irvân wa Barâdust (q.v.), Zârâri, Xilânî, Ber- – Hakkâri: Kekâ, Šemsiki, Nerî, Hakârî, Hasanânlu, Balikâr, vârî Bâlâ, Bervârî Ûirî, Xoşnâv, Pirân. Dinârî – Khaneqin (ËÁnaqin, Hanekin): Bâcalân, Zenda, Leylânî, – Kayseri: Hâjibânli KâkaÞî, ¡ayx-bazînî, Bibânî, Dâwuda, Kâxevâr, Pâlânî, – Kırşehir: ÝAmarânli, TâburowÈli, Barakâtli KâÈânlu. – Konya: Xalkânî – Kirkuk (Kirkūk, Kerkük): ¡arafbayânî (¡arâfbaynî), – Malatya: Sinâminli Barzâncî, DilÞ, Tâlebânî, Cabbârî, ¡uhân, Zangâna, ÝAmar- – Maraş (Kahramanmaraş): Gugarişânli, Kikân, Vâliânî, Ne- mel, Sâlehî. derli, Nâšâdirâ, DuÈânli, Delikânli, Celikânlî, Balikânli – Mendeli (MandÁlÐ, Mendeli): Qarâ ÝAlus. – : Dâxurî, TurÝâbedîn – Mossul (Mosul, al-MawÒ il)¡eqq: âq, Dûskî, Zibârî (o – Muş: Mâmakânli, Lulânli, ¡ekerli, Pancinân, Silukân, Seli- Zebârî), Misûrî, Ârtu¢, Sendî. vân, Hasanânli, Azlî, Panicârî, Zerzân, Balikân – Sulaymaniya (Süleymaniye, as-SulaymÁniyya, Slemâ- – Siirt: Mirân, Musek, Kaviân, Dersimlî, Dâxurî, Hosaynî, niye) Câf, :Marivân î, Pi¢dâr, Hamâvând, Âvrâmî, e EsmâÝil Caziriân, Pancinân ÝAzîzî. – Sivâs: Kuçerî, Âxçe¢mî

Come risulta evidente dai nomi di molte tribù (o addirittura di interi gruppi tribali), i curdi hanno adottato, nel corso della loro storia, nomi turchi, in genere perché associati a formazioni tribali o statuali di matrice turca o turco-mongola (come ad esempio i Jalayridi di Baghdad, gli e i , i Safavidi o i Qajar). L’appartenenza etno-linguistica e culturale dei curdi, oggi come in passato, non può dunque essere messa in relazione ad una cultura “iranica” intesa in senso nazionale, ma semmai alla più grande cultura turco-persiana che caratterizzò il me- dioevo islamico dal X al XVIII secolo (si pensi al mondo selgiuchide e post selgiuchide – Atatbeg, Zengidi, Ayyubidi e Khwarazmashah – alle dinastie mongole e turco-mongole del Vicino Oriente dell’Eurasia centrale, o alle dinastie turco-persiane dell’età timuride). Ancora oggi, infatti, gruppi curdi d’Anatolia, come dell’Iran e della Mesopotamia (Zâza, Âhl-e Hâqq e altri gruppi aleviti o, in generale, “cripto-sciiti” o “iper-sciiti”), spesso non solo sono turcofoni, ma la stessa lingua li- turgica, o più in generale la madre lingua, è il turco, o tuttalpiù un curdo molto influenzato dal lessico e dalla sintassi della lingua turca comune d’Asia centrale (turkî). La matrice culturale turca risulta evidente nell’uso del suffisso di aggettivazione /-li/-l¤/-lu/-lü, di appartenenza oÈlu/oÈli (oÊul/oÊlu, figlio), se non nei nomi completi, il più delle volte turchi (es. ¡ekerli, Barakâtli, ect.). Salvo infatti rari casi, i curdi non hanno mai avuto un’aspirazione nazionale (vedi la breve espe- rienza della repubblica sovietica di Mahabad del 1945-1946, esperimento dettato dalla situazione strategica post-Yalta tra Gran Bretagna e Unione Sovietica nella regione Medio Oriente-Caucaso), come del resto tutti i popoli dell’ecumene islamica fino al primo quarto del secolo XX. In questo i curdi rientrano a pieno nella categoria dei popoli “nazionalizzati” del mondo islamico (palesti- nesi, azeri, uiguri, ahwazi, etc.), per cui anche la stessa lingua è stata variamente strumentalizzata al fine di dimostrare l’esistenza di una “nazione curda”. Salvo poi ignorare il fatto che non solo

- 155 - non vi è un’unica parlata curda, ma che, come accennato, nel corso dei secoli tribù curde anche molto diverse tra loro hanno usato, tanto nelle loro cerimonie (nel caso dei gruppi sciiti) quanto nella letteratura, lingue altre dal “curdo” (soprattutto il turco ed il persiano, ma anche l’arabo). I curdi infatti sono estremamente divisi da un punto di vista linguistico. Nella regione anatolica e nell’Alta Mesopotamia prevalgono i dialetti del gruppo Kurmanji, tra cui il Sorani (Sôrânî, Iran occidentale e Iraq settentrionale). Il gruppo di parlate Hawramânî, più antico, comprende il Gorânî (Iran centro-occidentale, monti Hewraman) e lo Zâza (Anatolia meridionale e sud-orien- tale). Il termine Kurmanji (Kurmâncî) è usato da alcuni filologi curdi per descrivere il più grande dei due rami della lingua curda. Questo include i dialetti Kurmanji settentrionale, Bahdinî e Sorânî. I curdi hanno usato quest’ultimo termine anche per indicare le popolazioni parlanti i tre dialetti del ramo Kurmanji. Questo termine contrasta con le definizioni Gorânî o Dimilî (anche definito Zâza), che sono state a loro volta per descrivere la popolazione che nella regione parla dialetti Zâza-Gorânî8. Il dialetto Kurmanji settentrionale, talvolta definito semplicemente Kurmanji, usa l’alfabeto la- tino modificato9 e costituisce il dialetto più comune della lingua curda, parlato dall’80% dei curdi. L’alfabeto latino con cui il curdo è scritto in Turchia e Siria, così come tra le comunità diaspo- riche d’Europa, Stati Uniti, Canada e Australia, è basato sull’alfabeto ideato da Jaladet Bedir Khan (Mîr Celadet Elî Bedirxân, 1893-1951), a sua volta basato sull’alfabeto turco di Turchia e sulla traslitterazione scientifica del neo-persiano10. Il termine Kurmanji o Kurdmanj (Kurmâncî), endonimo tradizionale usato dai curdi per auto- definire la loro lingua, è ritenuto da alcuni studiosi indicare il “curdo medo”, ossia utilizzato da popolazioni in qualche modo imparentate con l’antica popolazione iranica dei medi, dunque af- fine, almeno in origine, all’antico persiano. Alcuni studiosi asseriscono che l’antica forma del termine sia Khormenj (o ancora Hormenj, che indica la terra od il luogo abitato dai Khormen, in curdo). Storicamente i curdi abitavano l’area che gli autori classici (Erodoto, Senofonte) chiamano Armenia; quindi, secondo questa interpretazione, il termine Armen potrebbe essere una resa della parola locale Khormen, coincidendo così con lo stesso termine con cui gli armeni defini- scono loro stessi. Altri studiosi bollano le suddette teorie come false. È infatti opinione di alcuni che l’origine del termine Kurmâncî abbia origine dall’unione di due distinte parole, kur e magi. Kur in lingua curda, indica fanciullo o ragazzo, e Magi si riferisce ad una delle tribù dell’Impero dei Medi, poi confluita in quello Achemenide, i cui sacerdoti codificarono e diffusero il pensiero di Zoroastro (Zâra×ûstra, Zârdošt), originario probabilmente della regione compresa tra l’attuale Suleymaniyya, il lago Urmia ed il fiume Araz (l’Araxes delle fonti classiche). La traduzione letterale del termine Kuren Magi (in curdo Kurên Magî) è “I figli dei Magi”. Questi studiosi sostengono che ManÊi sia semplicemente una forma corrotta del termine originale. Sostengono inoltre che la tribù dei Magi, o i seguaci dei sacerdoti mazdei (propugnatori della religione, o religioni, afferenti al culto di Ahura Mazda) del popolo dei Magi, possano essere stati i parlanti originali del Proto-curdo11. Passando ora a esaminare la lingua Gorânî (anche Gurânî e Huramânî) va innanzitutto detto che

8Si approfondisca su: http://www.xs4all.nl/~tank/kurdish/htdocs/his/orig.html. 9Si approfondisca su:http://www.britannica.com/eb/article-9046467/Kurdish-language. 10Vedasi: Bedir Khan, Djeladet Ali, Lescot Roger, 1970, Grammaire kurde: (dialect kurmandji), Paris, J. Maisonneuve, Librairie d’Amerique et d’Orient. 11Vedasi: http://www.farvardyn.com/shelagh.php; http://www.ldolphin.org/magi.html.

- 156 - essa è una lingua iranica del gruppo nord-occidentale parlata nell’Iran occidentale. Fa parte del ramo Hawramanî e si distingue in numerosi aspetti grammaticali sia dal Kurmâncî che dal Sôrânî, tanto che è molto vicino al Gilâkî (Gilan), oltre che allo Zâza d’Anatolia12. Il Gorânî è parlato nelle province iraniane del Kordestan e del Kermanshah, nella regione di Halabja (Kurdistan iracheno) e nei monti Hewraman tra Iran e Iraq. l'Enciclopedia Britannica considera il Gorânî essere un ramo del curdo; mentre altri studiosi potrebbero obbiettare riguardo la collocazione del Gorânî nel ramo curdo delle lingue iraniche, va detto che gran parte dei parlanti Gorânî si autoidentifica come curdo13. Il Gorânî è considerato essere la lingua iranica più vicina allo Zazâkî, parlato nella parte meridionale dell’Anatolia (Adana)14. I più antichi documenti in queste lingue (o dialetti) im- parentate tra loro, sono scritti in Gorânî. Lo Hewramî, considerato un sotto-dialetto del Gorânî, costituisce in realtà un dialetto molto diverso da quest’ultimo, ed è parlato dai curdi che abitano la regione chiamata Hewramân, lungo il confine Iran-Iraq. Molti dei parlanti Gorânî appartengono poi ad un gruppo professante lo Yarsanismo, e molti dei documenti religiosi sono scritti in Go- rânî. Sin dal XIX secolo il Gorânî è stato rimpiazzato in molte città dell’Iran e dell’Iraq (Kirkuk, Meriwan e Halabja) dal Sôrânî. Nonostante ciò, queste città sono ancora considerate parte della grande area linguistica Gorânî. Con il termine Hewrami o Hewramî, ci si riferisce ad una specifica variante, o dialetto, del Gorânî. Questa parlata dà il nome all’intero gruppo Hawramânî, ed è considerata la più arcaica tra quelle di questo gruppo15. È parlato principalmente nei monti Hewraman (anche Hawraman o Hura- man), tra l’Iran occidentale (Kurdistan orientale) e nell’Iraq nord-orientale (Kurdistan meridio- nale). Le principali città curde in questa regione sono Pawe in Iran e Halabja in Iraq. Lo Hewramî è talvolta definito Auramani o Hurami dagli altri popoli della regione. Lo Hewramî è poi molto simile, nella sua struttura grammaticale, all’Avestico (antico persiano), lingua sacra dello Zoroa- strismo16. Tutt’oggi gli Hewrami, nonostante si dicano musulmani, e appartengano spesso agli Âhl-e Haqq o a gruppi simili, recitano le loro preghiere usando uno stile chiamato Siya Çeman, dove colui che recita la preghiera usa delle note alte per cantare i sacri versi dell’Avesta. Alcuni lo usano anche per canzoni moderne. La maggior parte dei parlanti Hewramî è in grado di espri- mersi anche in Sôrânî ed in persiano, al fine di comunicare più facilmente con gli abitanti delle città vicine (Suleymaniyya, Kirkuk). Riguardo al Sôrânî, esso fa parte del gruppo centrale di dialetti curdi (ramo Kurmâncî), e viene più giustamente definito “Kurmâncî meridionale”. È parlato da circa dieci milioni di persone in Iraq e in Iran, costituendo così la parlata più diffusa tra i curdi iracheni, oltre ad essere la lingua franca di numerosi curdi del Kurdistan iraniano. In Iran è parlato infatti da circa il 60% dei curdi, nella regione che va dalla zona a sud del lago Urmia (Orumiye) fino grossomodo a Kermanshah. In Iraq è parlato dal 55% circa dei curdi, soprattutto nelle vicinanze delle città di Erbil (in curdo Hewlêr) e Sulaymaniyya (in curdo Silêmanî o Slemâniye). Il Sôrânî è generalmente scritto in ca- ratteri arabi, a differenza del Kurmâncî, parlato appunto soprattutto in Turchia e scritto in ca- ratteri latini modificati. Si può tracciare una linea per dividere le zone dove si parla il Sôrânî “puro” (un’area compresa tra Bijar e Kifri), e le zone in cui questo risente di una forte influenza

12Postgate J. N., 2007, Languages of Iraq, ancient and modern, Iraq, British School of Archaeology in Iraq, p.138. 13Vedasi: http://www.iranica.com/newsite/articlenavigation/alphabetical/bodya.html. 14Vedasi: http://www.zazaki.org. 15Vadasi: http://www.hawraman.com . 16Postgate J. N., 2007, Languages of Iraq, ancient and modern, Iraq, British School of Archaeology in Iraq, p.138.

- 157 - del persiano, sia nella grammatica che nella pronuncia. La costruzione ergativa del Sôrânî persia- nizzato sta tuttavia scomparendo, anche grazie alle politiche di nazionalizzazione della lingua portate avanti dal Governo Regionale del Kurdistan iracheno a partire dal 1992. Questa è però mantenuta proprio nelle aree nord-occidentali non tradizionalmente persianizzate, come segno di distinzione ed erudizione. Inoltre, con l’influenza secolare dell’arabo e delle parlate neo-ara- maiche (siro-cattolici/caldei e siro-ortodossi/assiri), l’area Sôrânî nord-occidentale ha acquisito assenti ,(خ e la Ìa ع due suoni fricativi generalmente associati alle lingue semitiche, ossia la Ýayn in altre parlate curde, o più in generale indoeuropee. La stessa grafia di parole arabe o persiane è stata stravolta, arrivando ad usare le lettere arabe solo come segni per rendere graficamente i suoni. Sôrânî è una definizione recente per indicare i territori un tempo facenti parte del Princi- pato di Soran (Sôrân XII secolo). A Sulaymaniyya, l’amministrazione ottomana alla metà del XIX secolo creò una scuola superiore (Rüşdiye), i cui diplomati potevano recarsi ad Istanbul per continuare gli studi. Questa condizione di privilegio amministrativo consentì al dialetto Sôrânî, allora parlato principalmente a Sulaymaniyya, di rimpiazzare gradualmente lo Hewramî come lin- gua letteraria. Oggi le tradizionali suddivisioni dialettali, o di accento, un tempo esistenti tanto nel Sôrânî, quanto nelle altre parlate curde, sono scomparse, grazie anche alla maggiore facilità negli sposta- menti e, complice la diffusione dei media e le politiche di omologazione del Governo Regionale del Kurdistan, sono viste come semplici accenti del curdo standard (basato appunto sul Sôrânî): Mukrî. Infine il Mukrî è un dialetto parlato a sud del lago Urmia, con il suo centro principale costituito da Mahabad, e dalle città di Bokan, Sarda¢t, Piran¢ahr, O¢nowiya, Naxede. Questa regione è tra- dizionalmente nota con il nome di Mukrian. Lo Hewlêrî, invece, è parlato nella città di Erbil (in curdo Hewlêr) nel kurdistan iracheno. La ca- ratteristica principale di questo dialetto è il passaggio di pronuncia /l/ >/r/ in molte parole.

La componente turcomanna (turkmeni) dell’Alta Mesopotamia

Benché la popolazione di origini turche presente in Iraq sia variamente definita turkmenaa o turcomanna, essa non va confusa con i turkmeni abitanti l’attuale Turkmenistan. Pur essendo infatti entrambe le popolazioni appartenenti al ceppo oghuzo, ossia essendo parte delle genti turche nomadi dell’Asia centrale17, i turkmeni che abitano oggi in Iraq, Siria e Iran, sono i discen- denti di quei guerrieri che, dapprima mercenari degli ultimi sassanidi (571-641), poi degli oma- yyadi di Damasco (661-750) e degli abbasidi di Baghdad (750-945; 1055-1258), fondarono le grandi dinastie dell’Asia centrale e occidentale. Turcomanni erano i selgiuchidi d’Iran (1118-1194), gli atabeg di Mosul (1127-1233) e di Erbil (1144-1209), i turkmeni di Kerkük (1230), i mamelucchi bahridi d’Egitto (1250-1390) e le truppe delle dinastie mongole degli Ilkhanidi d’Iran (1258-1335), dei Jalayridi di Baghdad (1336-1432) e gran parte delle truppe di Tamerlano (1378-1405), prime fra tutte quelle dei Qara Qoyunlu (1411-1470) e degli Aq Qoyunlu (1470-1508). Queste due for- mazioni nomadi furono all’origine dei Safavidi d’Iran (1501-1736), turcomanni che fecero della ŠÐÝa il credo ufficiale dell’Iran. La città di Mosul poi, fu per oltre quattrocento anni (1516,1540-

17Dall’antenato eponimo Oghuz Qaghan (Khan). Con questo termine si definiscono tutte quelle popola- zioni turche dell’Asia centrale e interna che nei secoli hanno dato vita ai grandi imperi della storia dell’Eurasia, dai Turchi Celesti (Kök Türküt, 552-603 e 681-744 d.C.) agli Ottomani.

- 158 - 1918) la capitale dell’omonimo vilâyet ottomano, che con quelli di Baghdad e di Bassora compo- neva il futuro Iraq18. Nonostante l’evidenza, alcuni storici, soprattutto arabi, ma talvolta anche occidentali, sostengono che in realtà l’Iraq settentrionale sia sempre stato abitato in maggioranza da arabi e curdi, giusti- ficando implicitamente le discriminazioni culturali subite dai turkmeni dal 1921 ad oggi19. In re- altà i turkmeni costituiscono la terza minoranza etnica del paese, dopo arabi e curdi. Vivono da secoli in una striscia di terra diagonale chiamata Türkmeneli (Terra dei Turkmeni), che si estende dalla città di Telafer (ar. TÁl AfÁr), sul confine siriano, sino a Mendeli, su quello iraniano a sud, in un’area in cui sorgono tra le città più importanti del paese: Mosul, Erbil, Kerkük, Selahettin e DiyÁla. Telafer, Sancar (ar. SanÊÁr), Altunköprü, Kifri, Hanekin (ar. ËanÁqin), Kızılrabat, Bakuba e Mendeli sono alcuni distretti di queste città, popolati in maggioranza da turkmeni. Oltre poi a queste regioni storiche, vi è una consistente comunità turkmena a Baghdad. Secondo uno studio sul paese fatto nel 1990 dalla Federal Research Division del Congresso, basata sul censimento go- vernativo del 1987, in Iraq allora vi erano solo 220.000 turkmeni su una popolazione totale di 16.278.000, ossia meno del 2%20. Naturalmente gli studiosi turkmeni e gli indipendenti danno altre cifre, non considerando come affidabili i censimenti governativi. Ad esempio Ziyat Köprülü sostiene che l’intera popolazione turkmena d’Iraq, distribuita tra Kerkük, Mosul, Erbil, Selahet- tin, Diyāla e Baghdad sia di oltre due milioni. Di un simile avviso è lo studioso turco Fazıl De- mirci, secondo il quale la popolazione totale dei turkmeni d’Iraq non può essere inferiore al 10-15% della popolazione totale del paese. Mustafa Ziya, ex esponente dell’Iraqi Turkmen Front in Turchia, sostiene che attualmente i turkmeni in Iraq sarebbero 2.600.000, ossia il 10-12% del- l’intera popolazione. Nella sola Talafer, la città più grande nella provincia di Mosul, vi sarebbero circa un milione di turkmeni; ad Erbil 300.000, nel centro di Kerkük, la “più turkmena” tra le città irachene, vi sarebbero 650.000 Turkmeni e 300.000 nella stessa Baghdad21. Erşat Hürmüzlü ha dimostrato quanto le statistiche ufficiali non riportassero la realtà della presenza turkmena in Iraq, e come le autorità di Baghdad abbiano da sempre cercato di assimilare quella che è proba- bilmente la comunità con il più alto livello culurale dell’intero Iraq22. È sempre stata infatti, sin dai tempi degli ottomani, una comunità essenzialmente laica, convinta che il ruolo della religione nella politica debba essere sí alla base della vita della comunità, ma non costituirne le regole e i valori. I turkmeni infatti sono, come tutti i popoli dell’Iraq (curdi compresi), divisi tra sunniti (60-70%) e sciiti (30-40%), ma al di là delle apparenze si sentono accomunati dalle stessa lingua e dalla stessa cultura. Gli stessi turkmeni sciiti (il 30% dei quali aleviti e circa 30.000 cristiani di rito siro-ortodosso), non condividono la stessa visione politica degli sciiti arabi del sud del paese, ul- teriore dimostrazione che troppo spesso gli analisti occidentali, e soprattutto statunitensi, con- fondono diverse categorie, quali etnia, religione o lingua, dividendo poi intere regioni in modo

18Vedasi: Rizk Khoury Dina , 2002, State and Provincial Society in the Ottoman Empire: Mosul, 1540-1834, Cambridge, Cambridge University Press. 19Vedasi: al-Hasani ‘Abdu ’l-Razzak, 1956, Ancient and Modern Iraq, Saida, Al-Irfan Press e: Robinson Chase F., 2000, Empire and Elites after the Muslim Conquest: The Transformation of Northern Mesopotamia, Cam- bridge: Cambridge University Press. 20 Vedasi: Chapin Hellen Metz (eds.), 1990, Iraq: A Country Study, Washington DC, Federal Research Di- vision Library of Congress. 21 Vedasi: Köprülü Ziyat, 1996, Irak’ta Türk varlığı, Ankara, Örnek; e:Demirci Fazıl, 1991, Irak Türklerinin Dünü-Bugünü, Ankara, Türk Tarih Kurumu Basımevi. 22Vedasi: Hürmüzlü Erşat, 2005, The Turkmen Reality in Iraq, İstanbul, Kerkük Vakfı.

- 159 - del tutto arbitrario23. Sembra poi che la stragrande maggioranza dei turkmeni abbia fatto propria la visione laica delle relazioni tra stato e religione, così come messe in pratica nella Turchia re- pubblicana. Due fattori sembra abbiano contribuito a diffondere questa visione laica della comu- nità e dello stato. Innanzitutto l’essere una comunità cittadina mercantile, poco legata ai valori tribali e all’ortodossia islamica. Questo pragmatismo ha fatto sì che ci si rendesse conto che, per avere un appoggio contro la pressione di arabi e curdi, fosse necessario rivolgersi alla Turchia, sviluppando una strategia politica basata sulla convivenza pacifica, specie con i bellicosi curdi. La presenza di turkmeni nei paesi occidentali, poi, è il risultato di un massiccio flusso migratorio iniziato nel 1991 e che continua ancora oggi proprio a causa dello stato di abbandono in cui ver- sano le popolazioni dell’Iraq settentrionale. Questo flusso ha visto riversarsi più del 60% dell’in- tera popolazione turkmena in Turchia; popolazione, come già ricordato, generalmente più istruita della media nazionale, con un alto tasso di laureati o con un titolo di istruzione superiore (29%), costretti a lasciare il paese a causa delle condizioni economiche disastrose in cui si è venuto a trovare l’Iraq in seguito alla Guerra del Golfo del 1991 e alle violenze etniche a cui erano esposti da parte delle milizie curde. I paesi in cui si sono rifugiati hanno forti comunità turche, come nel caso della Germania o della Svezia, e in questa presenza i turkmeni hanno visto una ulteriore pos- sibilità di inserimento sociale. Da un recente studio sull’emigrazione e le condizioni di vita dei turkmeni ad opera di İbrahim Sirkeci, docente presso il Dipartimento di Sociologia dell’Univer- sità di Bristol, e commissionato dal Global Strategy Institute di Ankara (Global Strateji Ensti- tüsü), la stragrande maggioranza dei turkmeni è emigrata in Turchia (38%) e, da lì, in Germania (21%). Come accennato vi sono piccole comunità turkmene in Danimarca (8%), Svezia (6%), Nord America e Australia (complessivamente il 5% dell’immigrazione totale)24. Molti turkmeni parlano, oltre al turkmeno, considerata la lingua madre dal 99% della popolazione, e all’arabo, lingua ufficiale dell’Iraq, più parlato tra gli emigranti (per il 95% dei turkmeni è una seconda lin- gua madre), il turco di Turchia (10%), il curdo (è parlato per il 30% degli emigranti e il 53% da chi resta), l’inglese (35%) e il tedesco (10%). I turkmeni d’Iraq, specie quelli della regione di Kerkük, hanno infatti da sempre preferito l’esilio alla lotta armata per rispondere alla pulizia etnica25. Questo atteggiamento “non violento” ha due ragioni principali: la geografia e l’alto livello culturale. I turkmeni d’Iraq infatti hanno sempre vissuto stretti tra popolazioni arabe e curde, in una re- gione pianeggiante (la famosa Piana di Kerkük), che, a differenza delle montagne abitate dai curdi, è poco adatta a favorire una resistenza armata. Abitando poi in città da secoli strategiche per i commerci (Kerkük, Erbil e Telafer) hanno da sempre costituito una èlite culturale nella re- gione. A queste caratteristiche per così dire “naturali”, si aggiunge un terzo elemento esterno, co- stituito dalla sostanziale indifferenza dell’unico paese in grado di fornire un sostegno concreto a questo popolo di ceppo turco: la Turchia. Attualmente la popolazione turcomanna ancora presente in Iraq, inclusi i turcomanni arabizzati tra gli anni ‘30 e gli anni ‘70 è così distribuita: − Provincia di Mosul: Telafer, Kadziye, Reshidiye, Eski Musul, Eski Kelek, Muhallebye e She- bek. La popolazione turcomanna stimata è di 450.000 persone.

23 Esiste infatti anche una piccola comunità turkmena cristiana di rito siro-ortodosso o assiro (5%), ai confini con la Turchia (Dahūk e Telafer). 24 Lo studio del Professor Sirkeci è consultabile sul sito dell’Università di Bristol: www. bris.ac.uk. 23Vedasi: Talabany Nouri, 1999, Iraq’s Policy of Ethnic Cleansing: Onslaught to change national/demographic characteristics of the Kirkuk Region, disponibile all’indirizzo: http://www.geocities.com/mykirkuk/ eng1999.htm.

- 160 - − Provincia di Erbil: Erbil, Eski Kelek, Altınköprü, Karakuş. La popolazione turcomanna sti- mata è di 215.000 persone. − Provincia di Kirkuk (Kerkük): Kerkük, Tazehurmatu, Dibis, Leylan, Terkelan, Kadir Kerim e Dakuk (Tavuk). La popolazione turcomanna stimata è di 700.000 persone. − Provincia di Salahaddin: Tazehurmatu, Kifri, Bastamlı, Süleyman Beg, Karatepe, Amirli, Ye- nice, Bablan e Karahasan. La popolazione turcomanna stimata è di 300.000 persone. − Provincia di Diyala: Hanekin, Mendeli, Kızılrabat (Saadiye), Shahraban (Meqdadya), Jelawla (Karahan), Kazanya e Bedre. La popolazione turcomanna stimata è di 220.000 persone. − Baghdad: La popolazione turcomanna stimata è di 300.000 persone.

Le variegate componenti cristiane

Fra le variegate comunità cristiane (o quelle comunque per le quali il cristianesimo ha giocato, almeno una parte della loro storia, un ruolo più o meno rilevante) dell’Iraq un posto di primo piano spetta certamente agli assiri. La terra madre degli assiri è detta in lingua aramaica Be× Na- hrayn (la Terra tra i Due Fiumi) e si riferisce ad una regione geografica e culturale del Medio Oriente, originariamente (nella Media Età del Bronzo) identificata con la zona dell’alto corso del fiume Tigri, chiamata Assiria dal nome della sua antica capitale (accadico: AššÙr; ebraico: AššÙr; aramaico: A×Ùr), abitata tradizionalmente dal popolo assiro. Māt Aššur (la Terra di אשוּ bַר Assur) vide nascere e svilupparsi l’Impero Assiro guidato nella sua espansione militare dal dio pro- tettore Assur. Questo impero raggiunse la sua massima espansione nel 671 a.C, andando dal Nilo fino all’Anatolia. Gli assiri sembra discendessero dagli antichi accadi, i quali emersero come classe dominante dell’Assiria a partire dal XX a.C. Con Sargon I (ŠarrÙkÐn), re di Akkad e nonno di NarÁm-SÐn, il Regno di Akkad venne ad estendersi alla Mesopotamia meridionale. Con la fusione di questo con le antiche città di Sumer, venne a crearsi l’antico Regno Babilonese, che raggiunse il suo apice sotto Hammurapi (1780 – 1750 a.C. ca.) VI sovrano di Babilonia. Con la decadenza della dinastia amorrea, l’antico regno babilonese subì i colpi, prima degli ittiti e poi la domina- zione dei cassiti (1595 – 1155 a.C. ca.). A questi si opposero gli assiri, popolazione semitica del- l’Alta Mesopotamia, influenzata dalle vicine culture indo-europee, provenienti dalle steppe (ittiti, hurriti e cimmeri). La forza militare di queste popolazioni influenzò il pensiero politico, cultu- rale e religioso degli assiri, i quali per tre volte ripresero il controllo della regione dai popoli esterni. Questi tre periodi sono chiamati Antico (XX – XV sec. a.C.), Medio (XV – X sec. a.C.) e Neo-Assiro (911 – 612 a.C.), dei quali l’ultimo è il più conosciuto e meglio documentato. Le conquiste portate avanti da Tiglath-Pileser III (r. 745 – 727 a.C.), frutto di riforme politiche e mi- litari estremamente innovative (arruolamento di massa, creazione di reparti speciali su base etnica, impiego tattico della cavalleria, etc.), fecero sì che l’Impero divenisse la realtà geopolitica più im- portante del Vicino Oriente. Con la dinastia dei Sargonidi (iniziata dall’ex generale Sargon II nel 722 a.C. e terminata con il regno di Ashurbanipal, 669 – 627 a.C.) vennero consolidate le istitu- zioni statali, quali burocrazia ed esercito. Ashurbanipal (Aššur-bāni-apli) stesso fu poi un promo- tore delle arti e della cultura generale e fece della capitale Ninive, e della sua immensa biblioteca,

- 161 - uno dei principali centri di cultura del mondo antico. Con la morte di Ashurbanipal nel 627 a.C. l’Impero cominciò a disintegrarsi rapidamente. sciti, cimmeri e medi ne penetrarono i con- fini, giungendo con le loro incursioni fino in Egitto, mentre Babilonia divenne nuovamente in- dipendente. Il re babilonese (NabÙ-apal-usur, 625-605 a.C.) si ribellò ad Ashur-etil-ilani e con l’aiuto dei Medi distrusse Ninive e l’Assiria. Un generale assiro di nome Ashur-uballit II ottenne un sostegno militare dal faraone della XXVI Dinastia Nechao II (610 – 595 a.C.), mantenendo un piccolo potentato assiro nella città di Harran, fino al 608 a.C. Gli egizi continuarono ad aiutare gli assiri, finché nel 605 a.C., nella seconda battaglia di Megiddo, un’ultima alleanza egizio-assira venne sconfitta dai babilonesi e l’Assiria cessò di esistere come entità indipendente. Dopo la fine dell’Impero, gli assiri, come popolo definito, scomparvero, così come la loro lingua. Sebbene infatti durante la dominazione neo-babilonese, l’amorreo (o assiro-babilonese) venisse ancora parlato dalle popolazioni semitiche della Mesopotamia, con gli Achemenidi gli spostamenti interni delle popolazioni semitiche occidentali (provenienti dalla grande Siria e dell’Anatolia sud-orientale) fecero sì che l’aramaico, lingua franca già dall’VIII sec. a.C., divenisse la parlata di tutte le popolazioni semitiche della regione. Risulta evidente che gli antichi assiri, e più in generale le popolazioni mesopotamiche antiche, non siano da considerarsi gli antenati degli attuali abitanti dell’alta Mesopotamia. Con le popo- lazione antiche, infatti, non vi è alcun metodo realistico e tantomeno definito per provare una diretta discendenza senza che le molte e antiche tombe esistenti vengano scavate e i resti esaminati e datati al carbonio 14. I campioni di DNA trovati nei diversi siti di sepoltura devono essere comparati in modo tale da creare un rapporto di esame del DNA di un popolo dell’antichità con quello della popolazione che attualmente occupa la stessa zona. Le analisi del DNA compiute sulle popolazione dell’Alta Mesopotamia provano che gli abitanti di questa regione, a prescindere dalle loro denominazioni e appartenenze religiose e linguistiche, sono fortemente imparentate tra di loro. L’arrivo di popolazioni allogene può aver tuttavia avuto una qualche influenza. Molti degli antenati delle popolazioni che attualmente abitano l’alta Mesopotamia (arabi, curdi, per- siani, turchi e mongoli) erano originariamente cristiani o convertiti al cristianesimo (nelle sue varie denominazioni), o appartenenti ad altre religioni (mazdeismo, zoroastrismo, sciamanesimo, etc.) e la regione da loro dominata rimase maggioritariamente cristiana fino alla conquista isla- mica: questo almeno fino alla dominazione ottomana, con il siriaco come lingua franca. Alcuni degli stessi conquistatori vennero assimilati alla cultura cristiana-siriaca e, benché vi sia una pic- cola possibilità che gli assiri siano ancora oggi un gruppo etnico definito, e sebbene siano poco numerosi, quello che è certo è che questi vissero e vivono ancora isolati da altri gruppi, mante- nendo forti legami tra villaggio e villaggio. A creare questo senso di appartenenza ha contribuito la forte identità cristiana. L’evangelizzazione della regione, infatti, è stata fondamentale per la so- pravvivenza delle popolazioni di ceppo amorreo e più in generale semitico settentrionale24. La prima chiesa assira è stata la Chiesa Assira d’Oriente e venne fondata in Mesopotamia alla fine del I sec. d.C. dallo stesso San Tommaso apostolo. La regione vide la diffusione di diverse appar- tenenze e dominazioni cristiane tra il I e il IV sec. d.C. (Chiesa di Giovanni, Cristiani Gnostici, Nestoriani, etc.) ma quello che è certo è che le basi della teologia assira sono costituite dagli scritti di Diodoro di Tarso e di Teodoro di Mopsuestia, i quali insegnarono ad Antiochia. La cri- stologia della Chiesa Assira venne scritta dal monaco Babai il Grande (551 – 628 d.C.) ed è pro- fondamente diversa dall’impostazione teologica che è alla base delle accuse rivolte a Nestorio e ai monofisiti in generale. Il principale lavoro cristologico di Babai è infatti chiamato in maniera significativa “Libro dell’Unione”, in cui Babai insegna che le due essenze di Cristo sono sí distinte,

- 162 - ma eternamente unite nella persona di Cristo. La Chiesa Assira è l’originale chiesa diffusa in quella che era anticamente la Partia, ossia l’Iraq occidentale e l’attuale Iran. Geograficamente questa si estendeva, nel periodo Medioevale Islamico (VIII – XII sec.), fino all’attuale Cina occi- dentale e all’India. A Xi’an, l’antica Chang’an, capitale della dinastia Tang, è stato trovato un mo- numento bilingue cinese e siriaco della Chiesa Assira, e diversi altri documenti ecclesiastici risalenti al VII e VIII sec. d.C., mentre circa cinquecento anni dopo, un monaco uiguro, Rabban Bar Sauma, viaggiò dall’attuale Pechino (Ta’tu) a Parigi e Roma per formare un’alleanza con i mongoli in funzione anti-mamelucca. Prima dell’arrivo dei portoghesi in India la Chiesa Assira fornì vescovi (siriaci-orientali) ai cristiani di San Tommaso. Il patriarca Timoteo I (727 – 823), poi, scrisse di una grande comunità cristiana nell’attuale Tibet. Attualmente gli assiri sono una delle ultime popolazioni parlanti aramaico (in diverse varianti locali). L’uso della lingua aramaica e l’appartenenza alle Chiese Orientali costituiscono i due elementi fondamentali dell’identità as- sira. Attualmente gli individui definibili come assiri da un punto di vista identitario sono essen- zialmente suddivisi in assiri orientali ed occidentali; da un punto di vista linguistico, si può parlare invece di gruppi parlanti una variante dell’aramaico orientale, nota anche come “aramaico assiro” o “neo aramaico assiro”; da un punto di vista religioso, infine, sono da annoverarsi gruppi appar- tenenti alla Chiesa Assira d’Oriente (comunemente nota come Nestoriana), alla Chiesa Caldea (Assiro-Caldea o Chiesa Caldea di Babilonia) in Comunione con Roma, e alle Chiese Siriache di Rito Antiocheno (Siro-Ortodossa, Chiesa Monofisita Giacobita e Siro-Cattolica). I diversi gruppi che dalla tarda antichità (I-V sec. d.C.) si definiscono assiri appartengono al cri- stianesimo siriaco, e condividono con le altre comunità cristiane d’Oriente la comune apparte- nenza al rito antiocheno e, dunque, l’uso della lingua siriaca26. Le varie comunità del cristianesimo siriaco rivendicano termini diversi per autodefinirsi: – “assiri”: dall’antico Impero Assiro, è il termine rivendicato dalla Chiesa assira d’oriente (assiri orientali27) e da altri cristiani parlanti aramaico (neo-aramaico) appartenenti alle diverse chiese siriache, come i nazionalisti assiri della Chiesa Ortodossa Siriaca (assiri occidentali28); – “aramei”: dagli antichi aramei, è il termine rivendicato dalla Chiesa Siriaca Ortodossa (aramei siriaci); – “caldei”: dall’antica Caldea (regione meridionale dell’Antica Babilonia i cui abitanti sono nel- l’Antico Testamento e nei testi accadici neo-assiri e neo-babilonesi KÁldÙ, popolazione semitica di ceppo aramaico che lì si insediò tra l’VIII e il VII sec. a.C. e fondò l’XI Dinastia Babilonese, detta appunto “caldea”). Il termine viene rivendicato dalla Chiesa Cattolica Caldea (assiri cal- dei); – “fenici”: dall’antica Fenicia, è il termine rivendicato da molti maroniti e da altri gruppi di cri- stiani siriaci (cattolici e ortodossi) in Libano. Il problema terminologico risale ai tempi dei mandati (1919-1945) e si acutizzò a partire dal 1946,

26Sulla nascita e lo sviluppo dell’identità etnica e nazionale assira, vedasi: Parpola Simo, 2004, “National and Ethnic Identity in the Neo-Assyrian Empire and Assyrian Identity in Post-Empire Times”, in Journal of As- syrian Academic Studies (JAAS), Vol. 18, No. 2, reperibile su: http://www.jaas.org/edocs/v18n2/Parpola-iden- tity_Article%20-Final.pdf. 26Si approfondisca su: http://www.nineveh.com/ WhoAreTheAssyrians.html. 27La moderna terminologia distingue il gruppo assiro in assiri “occidentali” e “orientali”, mentre coloro che rifiutano l’identità assira preferiscono il termine “siriaci”, piuttosto che assiri o siriani. In proposito vedasi le voci: “Eastern Churches”, “Syrian Rite, East” e “Syrian Rite, West”, della Catholic Encyclopedia disponibile su: http://www.newadvent.org. 28Si approfondisca su: http://www.aina.org//aol/peter/brief.html

- 163 - quando, con l’indipendenza della Siria dalla Francia, l’aggettivo “siriano” venne ad essere appli- cato ad uno stato indipendente. La controversia non si limitò all’essonimo, come nel caso della definizione inglese “Assyrian” contro “Aramaean”, ma si estende anche all’auto-definizione in lin- gua neo-aramaica, tanto che si è creata un’ulteriore confusione terminologica, dove la “fazione aramea” avalla sia il termine Sūryāyē che Ārāmayē, mentre la “fazione assira” insiste sul termine Āṯūrāyē, pur accettando anche Sūryāyē. I cristiani siriaci del Vicino e Medio Oriente non devono essere confusi con i cristiani siriaci dra- vida dell’India (Malabar), divenuti cristiani per opera di missionari orientali nel II-III sec. a.C. e autodefitisi la “Chiesa di Tommaso”. Il cristianesimo siriaco si diffuse tra le popolazioni dell’Alta Mesopotamia parlanti siriaco (aramaico) tra il I e il V sec. d.C. fino alle conquiste islamiche del VII sec. Il gruppo occidentale era insediato in Siria (Grande Siria) e l’orientale in Assiria (Alta e Media Mesopotamia). I due nomi, sebbene condividano probabilmente una stessa etimologia, sono stati lemmi separati almeno sin dal periodo romano. Il cristianesimo siriaco, poi, si divise, sin da antica data, sulla questione del Dogma Cristologico, vedendo contrapposti il Nestoriane- simo in Occidente e il Monofisismo in Oriente. Lo storico termine inglese impiegato per desi- gnare i siriaci, “Syrians”, confonde ulteriormente non solo gli studiosi, ma gli stessi cristiani siriaci. Dalla proclamazione della Repubblica Araba di Siria nel 1936, il termine è passato ad in- dicare i cittadini di questo Stato, a prescindere dall’appartenenza etnica o religiosa, mentre, per identificare le comunità cristiane, è stato introdotto il termine “Syriac”. Con la scoperta dell’antica Assiria ad opera degli archeologi britannici e tedeschi nella prima metà del XIX sec. (che durante la sua fase finale era un impero largamente arameofono), i cri- stiani siriaci sono stati spesso associati con quella cultura. Con l’emergere poi del nazionalismo assiro, o Assirianesimo, tra la fine del XIX e l’inizio del XX sec., in contrapposizione al pan-ara- bismo e al pan-turchismo in via di affermazione nei domini ottomani e nella Persia dei Qajar, le popolazioni cristiane siriache, in un certo senso, “riscoprirono” il loro passato. Nel periodo 1890- 1920 la persecuzione degli Assiri prima e il cosiddetto “genocidio assiro” poi colpirono l’etnia as- sira tutta e diedero il via alla diaspora in occidente. I Cristiani Siriaci Ortodossi fondarono chiese in Nord America (soprattutto in New Jersey, in California e in Canada)29,enazionalisti quali Naum Faiq e Ashur Yousif, insieme ad altri nazionalisti appartenenti ad altre chiese siriache, condussero la lotta per la creazione di uno stato indipendente sulla “Terra Madre Assira”. Frey- dun Atturaya, un nestoriano, e Agha Petros, un caldeo, entrambi avevano come obbiettivo la so- luzione della “Questione Assira”, che venne presentata davanti alla Società delle Nazioni con l’appoggio della Gran Bretagna. Londra promise un risarcimento alle Assyrian Levies per il loro sostegno come alleati sia nella Prima che nella Seconda Guerra Mondiale30. La promessa tuttavia non venne mantenuta e la Mesopotamia settentrionale venne divisa tra Iraq, Siria e Turchia. Come ricordato, sin dal I sec. i cristiani assiri erano noti come “siriani” o “siriaci” (Sūrāyē), ma,

29La Virgin Mary Church di Paramus, New Jersey, è la prima chiesa ad essere stata fondata da immigrati assiri negli Stati Uniti. Venne eretta intorno al 1890 da assiri provenienti da Diyarbak¤r, in Anatolia orientale. Si ap- profondisca su: http://learning.lib.vt.edu/slav/relig_chr_mideast.htmlassyrianorthodoxoriental; su: web.archive- org/20070204142807/ e su: www.syrianorthodoxchurch.org/east-usa/parishes/paramus.htm. 30Vedasi: Husry Khaldun S., 1974, “The Assyrian Affair of 1933 (I)”, in International Journal of Studies, Vol. 5, No. 2, April, pp. 161-176; Lukitz Liora, 1995, Iraq: The Search for National Identity, London, Rout- ledge, p. 163; e: Stafford Ronald Sempill, 2006, The Tragedy of the Assyrians, Piscataway, NJ, Gorgias Press LLC, p. 142.

- 164 - nel 1976, la Chiesa d’Oriente aggiunse l’aggettivo “assiro” per distinguersi dai caldei31. L’essonimo inglese più comune oggi è “assiri”, ma questo è categoricamente rifiutato dalla fazione aramea. In altre realtà della diaspora assira la posizione circa la definizione “assiri” cambia a seconda della composizione confessionale della singola comunità. Ad esempio in Germania e in Svezia è più diffuso il termine “arameo” (Aramäer, Araméer) anche se non è da tutti condiviso. I termini al- ternativi quali “siriaco” o “siriano” sono entrambi usati raramente, dato che si riferiscono rispet- tivamente al primo periodo cristiano e alla Repubblica Araba di Siria. In Svezia Syrianer è generalmente usato dalla fazione aramea (in opposizione a Syrier , cittadino arabo della Siria). Tut- tavia Assyrier/Syrianer è una definizione molto comune da parte delle autorità svedesi, finalizzata a specificare che si proviene dallo stesso gruppo etnico32. Al di là della disputa circa l’autoidentificazione come assiri contro aramei, che riguarda l’intera etnia, alcuni cristiani caldei appartenenti alla Chiesa Cattolica Caldea in Comunione con Roma propongono, per l’appunto, l’ulteriore autodefinizione di “caldei”33. La definizione inglese Assyrian è stata comune sin dalla Prima Guerra Mondiale, mentre l’assi- riologo dell’Università di Helsinki Simo Parpola, membro onorario dell’American Oriental So- ciety, contesta la comune definizione “assiri” sulla base che: “In this context it is important to draw attention to the fact that the -speaking peoples of the Near East have since ancient times identified themselves as Assyrians and still continue to do so. The self-designations of mod- ern Syriacs and Assyrians, Sūryōyō and Sūrāyā, are both derived from the ancient Assyrian word for ‘Assyrian’, Aššūrāyu, as can be easily established from a closer look at the relevant words.”34 Efrem Yıldız, professore di Aramaico Antico, Classico e Moderno del Dipartimento di Studi Ebraici e Aramaici dell’Università di Salamanca, circa la designazione autoctona “suraya/su- ryoyo” e la sua storia legata alla Chiesa, afferma: “On the one hand we find the so-called Nesto- rians and Chaldeans who call themselves Suraye (Suraya in the singular), whose language is called Suret. On the other the so-called Syriacs who call themselves Suryoye (singular Suryoyo), whose language is called Suryoyo. For many these terms are all more or less synonyms of one thing: ‘Christians.’ Leaving to one side all these terms, however, both Churches are conscious of be- longing to the Oriental Church. For instance, if we take a closer and more careful look at the Aramaic transcription of the terms ‘Suraya’ and ‘Suryoyo’ we find they are preceded by the letter ‘A’ with a symbol above indicating that this ‘A’ is not to be pronounced. If we therefore eliminate this sign, the more exact pronunciation of these two words would be ‘Asuraya’ and ‘Asuryoyo,’ a clear indication of their connection with the word ‘Assyrian.’ Since the beginning of this century the term ‘Aturaye’ began to replace the term ‘Suraye.’ Aturaya, comes from the word Atur and means ”35.

31Vedasi: Aprim Fred, 2005, Assyrians: The Continuous Saga, Philadelphia, Xlibris Corporation, p. 163; e: Baum Wilhelm, Winkler Dietmar W., 2003, The : A Concise History, London, Routledge. 32Vedasi su: http://www.hammorabi.se/page3.html. 33Vedasi: Parpola Simo, 2004, “National and Ethnic Identity in the Neo-Assyrian Empire and Assyrian Identity in Post-Empire Times”, in Journal of Assyrian Academic Studies (JAAS), Vol. 18, No. 2, reperibile su: http://www.jaas.org/edocs/v18n2/Parpola-identity_Article%20-Final.pdf. 34In: Parpola Simo, 2004, “National and Ethnic Identity in the Neo-Assyrian Empire and Assyrian Identity in Post-Empire Times”, in Journal of Assyrian Academic Studies (JAAS), Vol. 18, No. 2, reperibile su: http://www.jaas.org/edocs/v18n2/Parpola-identity_Article%20-Final.pdf. 35 Yıldız Efrem, 1999, “The Assyrians: A Historical and Current Reality. The Assyrians and the Babylo- nians: two peoples but one history?”, in Journal of Assyrian Academic Studies, Vol. 13, No. 1, pp. 15-30, reperibile in: http://www.jaas.org/edocs/v13n1/yildiz.pdf.

- 165 - L’ex-patriarca dela Chiesa Cattolica Caldea, Mar Raphael I Bidawid (1922-2003), esprimendo pubblicamente la sua opinione riguardo la questione del nome, ha suscitato forti polemiche: “I personally think that these different names serve to add confusion. The original name of our Church was the ‘Church of the East’ ... When a portion of the Church of the East became Catholic, the name given was ‘Chaldean’ based on the Magi kings who came from the land of the Chaldean, to Bethlehem. The name ‘Chaldean’ does not represent an ethnicity... We have to separate what is ethnicity and what is religion... I myself, my sect is Chaldean, but ethnically, I am Assyrian.”36 In lingua aramaica, la disputa sulla omogeneità dei termini SÙrÁye (pr. SÙr½ye), “siriano”, e À×ÙrÁye (pr. ¼×Ùr½ye), “assiro”, e se questi condividano una stessa etimologia, è ancora scottante. Da un punto di vista etimologico è stata una questione aperta fino a poco tempo fa, ma vi sono indicazioni che le due parole condividano in effetti la stessa etimologia37. Nel 1961 John Joseph sostenne che il termine “assiri”, per varie ragioni politiche, sia stato intro- dotto presso i cristiani siriaci dai missionari britannici durante il XIX secolo e sia stato rafforzato dalle scoperte archelogiche compiute nell’antica Assiria38. Circa trent’anni dopo, Richard Frye, iranista dell’Università di Harvard, non concordò con questa affermazione, provando che il ter- mine “assiri” era esistito presso i giacobiti e nestoriani già durante il XVII secolo39. Fece notare inoltre che entrambi i termini (Assyrian e Syrian) fino ad allora erano stati sinonimi, basandosi su un passo di Erotodo, il quale, parlando dei vari contingenti che Serse schierò ad Abido per l’in- vasione della Grecia, sostiene: “Costoro dai Greci sono chiamati Siri, mentre dai barbari ebbero il nome di Assiri”40. Joseph contrastò la posizione di Frye ponendo l’accento sul fatto che lo sto- rico greco Posidonio di Apamea (131?-51 a.C.) dice che: “il popolo che noi chiamiamo Siriani, sono chiamati dagli stessi Siriani, Aramei”41. Joseph ha interpretato questo passo come prova che senza dubbio dovette esistere in antico una qualche identità aramea presso i siriani. Freye pose fine alla discussione accademica chiedendosi perchè Joseph avesse ignorato le fonti armene e per- siane dove il termine “assiro” era stato usato non solo per definire il gruppo etnico in questione dagli stessi assiri42. Il movimento assiro è ancora molto forte presso i giacobiti ma è stato recentemente sostituito, almeno in parte, presso alcuni giacobiti dalla identità aramea.

36In: Parpola Simo, 2004, “National and Ethnic Identity in the Neo-Assyrian Empire and Assyrian Iden- tity in Post-Empire Times”, in Journal of Assyrian Academic Studies (JAAS), Vol. 18, No. 2, reperibile su: http://www.jaas.org/edocs/v18n2/Parpola-identity_Article%20-Final.pdf. 37Rollinger Robert, 2006, “The terms “Assyria” and “Syria” again”, in Journal of Near Eastern Studies, Vol. 65, No. 4, pp. 283-287, reperibile in: http://www.aina.org/articles/ttaasa.pdf. 38Vedasi: Joseph John, 1961, “The Nestorians and Their Muslim Neighbors”, in Princeton Oriental Stud- ies, No. 20; ma anche: Joseph John, 2000, “The Modern Assyrians of the Middle East: Encounters with Western Christian Missions, Archaeologists, and Colonial Powers”, in Studies in Christian Mission, Vol. 26. 39Vedasi: Frye Richard Nelson, 1992, “Assyria and Syria: Synonyms”, in Journal of Near Eastern Studies, Vol. 51, No. 4, October, pp. 281-285. 40Lo storico prosegue dicendo che: “Fra essi sono i Caldei”. Vedasi: Erodoto, 1951, Le Storie, VII, 63, Fi- renze, Sansoni, p. 660. 41Vedasi: John Joseph, 1997, “Assyria and Syria: Synonyms?”, in Journal of Assyrian Academic Studies, Vol. 11, No. 2, pp. 37-43, reperibile su: http://www.jaas.org/edocs/v11n2/JohnJoseph.pdf. 42“I do not understand why Joseph and others ignore the evidence of Armenian and Persian sources in re- gard to usage with initial a-, including contemporary practice”, in: Frye Richard Nelson, 1999, “Reply to John Joseph”, in Journal of Assyrian Academic Studies, Vol. 13, No. 1, pp. 69-70, reperibile su: www.jaas.org/edocs/v13n1/frye.pdf.

- 166 - La fazione Aramea pone spesso l’enfasi sulla distruzione dell’Impero Neo-Assiro, sulle parole del profeta biblico e sulla sua viva descrizione della caduta di Ninive così come in Libano alcuni entusiasti ricercatori hanno cercato di provare l’esistenza di un legame genetico tra i mo- derni cristiani libanesi e gli antichi fenici43. La Chiesa Cattolica Caldea, invece, venne fondata come risultato di una separazione interna al Rito Siriaco Orientale, e il suo primo patriarca venne proclamato Patriarca di Mosul e Athur il 20 febbraio del 1553 da Papa Giulio III45. Il termine “caldeo” venne scelto all’epoca per distinguere i credenti di questa chiesa dai membri della Chiesa Assira d’Oriente, nota anche, come già ricor- dato, come Chiesa Nestoriana. Molti cattolici caldei non avallano più un’identità assira, in parte a causa della nuova identità cattolica promossa dalla Chiesa Cattolica Caldea, tuttavia molti sacerdoti della Chiesa Caldea, tra i quali lo stesso Mar Raphael I Bidawid, rivendicavano l’appartenenza all’etnia assira45. Questi erano insiediati principalmente in Iraq e in Turchia, dove è più diffuso il dialetto neo-ara- maico caldeo. Molti nazionalisti aramei sostengono che è impossibile che vi sia qualcuno con antenati assiri, dato che gli assiri come popolo scomparvero dopo la caduta dell’ultimo principato assiro nel 608 a.C., ma, come dimostrato da numerosi storici e assiriologi, è improbabile che un intero po- polo, tanto più così numeroso e culturalmente avanzato, possa essere completamente scomparso. L’assiriologo britannico Sidney Smith (1889-1979) riteneva che: “The disappearance of the As- syrian People will always remain a unique and striking phenomenon in ancient history. Other similar kingdoms and empires have indeed passed away, but people have lived on. Recent dis- coveries have, it is true, shown that poverty-stricken communities perpetuated the old Assyrian names at various places, for instance on the ruined site of Ashur, for many centuries, but the es- sential truth remains the same. A nation, which had existed for two thousand years and had ruled over a wide area, lost its independent character”46. Il professor Brinkman, dell’Università di Chicago, sull’eliminazione del popolo assiro commenta così: “There is no reason to believe that there would be no racial or cultural continuity in As- syria, since there is no evidence that the population of Assyria was removed”47. Così Robert D. Biggs, curatore del Journal of Near Eastern Studies, riferendosi ad una sua visita al monastero di Mar Behnam (a nord di Mosul): “Especially in view of the very early establish- ment of Christianity in Assyria and its continuity to the present and the continuity of the pop- ulation, I think there is every likelihood that ancient Assyrians are among the ancestors of modern Assyrians of the area”48.

43Vedasi: Aprim Fred, 2004, “The Assyrian Cause and the Modern Aramean Thorn”, December 19, in http://www.fredaprim.com/pdfs/2004/Aramean%20Drive.pdf. 44Vedasi la voce:“Chaldean Rite”, della Catholic Encyclopedia disponibile su: http://www.newadvent.org. 45Vedasi: Parpola Simo, 2004, “National and Ethnic Identity in the Neo-Assyrian Empire and Assyrian Identity in Post-Empire Times”, in Journal of Assyrian Academic Studies (JAAS), Vol. 18, No. 2, nota 85, reperibile su: http://www.jaas.org/edocs/v18n2/Parpola-identity_Article%20-Final.pdf. 46Vedasi: Smith Sidney, 1928, Early History of Assyria, to 1000 B.C., London, Chatto & Windus; e: Smith Sidney, 1924, Babylonian Historical Texts Relating to the Capture and Fall of , London, Methuen. 47Citato in: Biggs Robert, 2005, “My Career in Assyriology and Near Eastern Archaeology”, in Journal of Assyrian Academic Studies Vol. 19, No. 1, pp. 1-23, reperibile su: http://www.jaas.org/edocs/v19n1/Biggs-Biogra- phy-final.pdf. 48In: Biggs Robert, 2005, “My Career in Assyriology and Near Eastern Archaeology”, in Journal of Assyrian Academic Studies Vol. 19, No. 1, pp. 1-23, reperibile su: http://www.jaas.org/edocs/v19n1/Biggs-Biography- final.pdf.

- 167 - Al di là delle divisioni e delle strumentalizzazioni, risulta evidente come vi sia una sostanziale unità linguistica e culturale del popolo assiro, o neo-assiro. I tentativi fatti a partire dalla metà del XVI secolo dalla Chiesa di Roma per dividere la Chiesa d’Oriente, fino ad allora costituita come un corpo sostanzialmente unitario, hanno creato sí una nuova identità caldea, ma senza che questa sia realmente distinguibile dal resto della galassia assira. Del resto, così come nel XIII secolo Roma aveva spezzato in due la Chiesa Siriaca creando la Chiesa Maronita, oggi come ieri (si pensi al movimento assiro e alle idee nazionaliste alla base dell’assirianesimo) assiro-caldei e assiro-ortodossi costituiscono due rami di una stessa comunità etno-linguistica e culturale. Questa possibile riconciliazione delle due anime del popolo assiro è uno degli obbiettivi del Movimento del neo-assirianesimo, memore della collaborazione tra i vari gruppi cattolici e ortodossi durante il genocidio e la Seconda Guerra Mondiale, soprattutto di fronte alle sempre più frequenti vio- lenze subite per mano dei peshmerga curdi. Ciò che segue, in ogni caso, è l’elenco delle città e villaggi abitati da assiri nel vicino oriente, in particolar modo in Iraq. Gran parte degli assiri però vive in città e non più nelle aree rurali a causa degli eventi disastrosi avvenuti nel XX secolo (a partire dal genocidio assiro fino alla guerra di Iraq iniziata nel marzo del 2003). Tra le città in cui questi vivono, o meglio vivevano, fino al 2003 vi sono Erbil, Dohuk, Mosul, Bagdad, Bassora, Tehran, Urmia, Damasco e Istanbul. Noi però prenderemo in considerazione solo gli insediamenti iracheni: Governatorato di Erbil – Ankawa: su una popolazione stimata di 20.000 persone la maggiorparte degli abitanti assiri ap- partengono alla Chiesa Cattolica Caldea e, inseguito alla guerra del 2003, molti di questi sono emigrati. La maggior parte dei rifugiati vive ora in Svezia (3.000), in Australia (2.000) e il resto si è rifugiato in Canada e negli Stati Uniti. Benchè attualmente ad Ankawa la questione della sicurezza sia buona, molti degli abitanti si sono rifugiati in altre parti del nord del paese. – Armota (curdo Harmota): in questo villaggio fuori della città di Koy Sinjacq si pensa vivessero circa 3.000 persone di rito assiro-caldeo. – Darbandokeh: gli assiri di Darbandokeh giunsero nel villaggio subito dopo il genocidio assiro, provenendo dalla regione di Şemdinli nella provincia di Hakkâri nell’Anatolia sud orientale. Dopo una migrazione forzata alla fine del XX secolo, oggi nel villaggio non vivono più assiri, trasferitisi, per lo più, negli Stati Uniti o in Canada. Darbandokeh è il luogo di nascita dell’at- tuale patriarca della Santa Chiesa Cattolica Apostolica Assira d’Oriente, Mar Dinkha IV, non- ché del segretario generale della Assyrian Universal Alliance. – Harir: il distretto di Soran è stato fondato da famiglie assire trasferitesi dalla regione Nochiya in seguito al genocidio assiro. Governatorato di Dohuk – Araden: gli assiri che abitano in questo villaggio appartengono alla Chiesa Cattolica Caldea e parlano un dialetto con elementi sia neo-aramaici caldei che neo-aramaici assiri. Prima del XVIII secolo gli abitanti appartenevano alla Chiesa d’Oriente. Oggi vi sono più di 150 case nel villaggio e tre famiglie principali.Una larga comunità proveniente da Araden vive oggi a Detroit. – Armash (curdo Harmashi): gli abitanti del villaggio sono appartengono per lo più alla Chiesa Cattolica Caldea cosi come altri villaggi nella regione quali Azakh, Tellan e Bebozy. Fino al 1961 vivevano nel villaggio 45 famiglie cristiane e dal 191, dopo le distruzioni compiute dai curdi restavano nel villaggio 180 persone (2006) – Avzrog: il villaggio è diviso in due zone, delle quali una popolata da armeni ed un’altra da as-

- 168 - siri. Il villaggio venne fondato nel 1932 da armeni provenienti dalla vicina città di , Nel 1975 venne distrutto e la popolazione costretta a trasferirsi venendo rimpiazzata da tribù arabe nell’ottica delle politiche di arabizzazione del regime Ba’ath. Dopo la guerra del 1991 le tribù arabe lasciarono la regione e gli armeni tornarono nel villaggio. – Bebadi: è un villaggio assiro situato vicino ai monti Matina, nei pressi della valle di Sapna. I suoi abitanti appartengono alla Chiesa d’Oriente. Prima del 1961 vi abitavano circa 80 famiglie cristiane, in seguito costrette ad abbandonarlo, ma dopo la guerra del 1991 hanno cominciato a tornarvi. – Dawodya: è un villaggio misto curdo ed assiro vicino alla valle di Sapna. Fino al XIX secolo era abito da circa 200 famiglie cattoliche. Come negli altri villaggi abitati da assiri cattolici, gli abitanti subirono prima la guerra civile (1961-1975) e poi la Campagna di Anfal del 1988. Dopo la guerra del 1991 anch’essi tornarono alle loro case. – Dehi: gli abitanti di questo villaggio appartengono sia alla Chiesa d’Oriente che alla Chiesa Cattolica Caldea. Fino al genocidio del 1915-1918 condividettero il villaggio con una piccola popolazione armena. Dagli anni ‘70 il villaggio si è ripopolato. – Hezany: questo è uno dei sette villaggi assiri rimasti nella valle del Nahla sul confine tra Duhok e Ninive. Gli assiri giunsero nel villaggio nel 1924 dopo la loro fuga dalla Turchia Repubblicana. Nel 1987 il villaggio venne distrutto durante la Campagna di Anfal, ma dal 1991 gli Assiri vi sono tornati, facendone un centro di apprendimento del siriaco. Oggi vi vivono 27 famiglie assire. – Sarsing: dal 1955 il villaggio è stato continuamente abitato da assiri e ha costituito un centro per la diffusione della cultura siriaca per i villaggi assiri vicini fino alla definitiva interruzione nel 2003. – Simele: all’inizio del XX secolo era un villaggio curdo e, in seguito al genocidio assiro, si formò la prima cumunità assira proveniente dalla regione di Hakkâri. La popolazione di Si- mele subì un massacro il 7 agosto 1933 per opera del governo iracheno. Questo massacro fu il primo della storia del giovane stato dalla sua fondazione nel 1921. A migliaia furono costretti a scappare in Siria dove attualmente vivono in 33 villaggi della zona di (regione della Jazira). Oggi vivono a Simele 170 famiglie assire appartenenti sia alla Chiesa Cattolica Caldea che alla Chiesa Assira d’Oriente. Governatorato di Ninawa – : è una delle più famose città assire in Iraq. Situata 30 km a nord di Mosul, è il luogo natale del Profeta biblico Nahum e prende il nome dal dio mesopotamico El-Qustu. La locale popolazione è cristiana almeno dal IV secolo, e per secoli è stata sede di molti patriarchi della Chiesa d’Oriente, nonché luogo di nascita della Chiesa Cattolica Caldea. Qui infatti i monaci del monastero retto dal patriarca Mar Youhana Solaqa Belo accettarono l’unione con Roma nel 1551, diventando nel 1553 Chiesa Cattolica Caldea. Tuttavia fino ad allora gli abitanti di Alqosh, così come gli altri assiri, appartenevano alla Chiesa d’Oriente (nestoriana) e solo dal 1762, con ildiacono Hadbesha, accettarono il cattolicesimo dalle mani del patriarca Joseph IV ad Amed (Amida, oggi Diyarbak¤r). A partire dal 1780 la maggioranza della popolazione divenne cattolica. Dalle campagne di Nadir Shah fino al genocidio assiro, Alqosh costituì un baluardo della cultura assira e fu il principale centro di studio per tutti i villaggi della regione (anche se nel XIX secolo la sede patriarcale venne trasferita a Mosul). Durante la guerra civile d’Iraq (1961-1975) subì diversi attacchi da parte dei curdi, che causarono una dispersione degli abitanti. Oggi vi sono 15.000 abitanti, tutti cristiani caldei, ma fino agli anni ’60 erano oltre

- 169 - 20.000. Si stima che all’estero vi siano oltre 40.000 assiri provenienti da Alqosh, concentrati soprattutto negli Stati Uniti (Detroit e San Diego). Oltre al neo-aramaico caldeo, gli abitanti di Alqosh, così come molti altre popolazioni assire della regione, parlano curdo e arabo. – Assur: villaggio nei pressi del sito archeologico dell’antica capitale assira. – : villaggio dislocato tra il sito dell’antica Nimrod e il villaggio di Bakhdida, nei pressi del sito archeologico dell’antica città assira di Egmur-Enlil. – : situato a circa 20 km a est di Mosul, dopo un’iniziale influenza del monofisismo, è stato dal VII al XII secolo sede di uno dei principali metropoliti (maphrian) della Chiesa d’Oriente (o Chiesa Siriaca Ortodossa, anche detta, a torto, Nestoriana). Tra il XII e il XIX secolo i suoi abitanti sono stati vittime di attacchi da parte delle varie forze islamiche che si contendevano la regione (dagli ayyubidi agli ottomani passando per i qajar di Nadir Shah). Oggi, su una popolazione di 10.000 abitanti, in maggioranza cristiana, un terzo è cattolico-cal- dea e il resto assiro-ortodossa. – : come per molti altri villaggi caldei, originariamente la popolazione apparteneva alla Chiesa d’Oriente, ma dal 1553 entrò formalmente nella Chiesa Cattolica Caldea, anche se questa non prese realmente piede fino al XVIII secolo. Oggi la popolazione è in gran parte cat- tolica. – Baqofa: in questo villaggio nacque il vescovo caldeo Ogein Manna, autore del primo manuale moderno di aramaico (neo-aramaico assiro). Dopo le consuete persecuzioni ad opera dei vari potentati islamici (XII-XIX sec.), la locale popolazione è attualmente di 600 abitanti, a causa di una pressocchè completa emigrazione negli Stati Uniti, Europa e Australia. – Dashqotan: dopo il genocidio assiro, molti assiri di Hakkâri giunsero dapprima a Urmia, e da lì in Iraq, dove fondarono il villaggio di Dashqotan. Dalla sua reale fondazione nel 1959 fino agli ’60 vi furono 450 persone, tutte appartenenti alla Chiesa Cattolica Caldea, e il villaggio divenne un centro di studio della cultura e della lingua neo-aramaica caldea. Dopo la Campa- gna di Anfal del 1987-’88 molti degli abitanti fuggirono dapprima in Iran, e oggi vivono prin- cipalmente in Australia, Canada, Stati Uniti e Nuova Zelanda. Dal 1991 quelli rimasti si sono trasferiti in parte a Tell Keppe. – Karamles: il villaggio è cristiano sin dal IV secolo e per tutto il nedioevo è stato un centro molto importante della Chiesa d’Oriente. Nel 1332 il patriarca Mar Denkha II (1332-1380) de- cise di trasferirvi la Sede Patriarcale, che vi rimase fino al 1426 quando Shamoun II (1418- 1427) la portò ad Alqosh. Nel 1553 il villaggio passò sotto la Chiesa Cattolica Caldea, anche se non completamente. Il villaggio venne distrutto da Nadir Shah Qajar nel 1743 e da allora, fino al genocidio vi fu un costante calo demografico. Oggi la locale popolazione di 600-650 fa- miglie è maggioritariamente caldea, con presenze siro-ortodosse e siro-cattoliche.

La componente yazida

Gli yazidi sono i membri della più piccola delle tre branche dello yazdanesimo, una religione me- diorientale con antiche radici indo-europee. Gli yazidi sono etnicamente curdi e la gran parte di loro vive nella regione di Mosul e nell’Alta Mesopotamia. Vi sono comunità tradizionali in Tran- scaucasia e Siria ma queste ultime hanno subito un crollo demografico dagli anni ‘90 dal momento che i loro membri sono emigrati in Europa, specialmente in Germania. Gli yazidi formano un’importante comunità tra le minoranze dell’Iraq. Stime ufficiali delle comunità yazide presenti

- 170 - in Iraq variano significamente tra i 70.000 e i 500.000 individui. La comunità georgiana è scesa significativamente di numero passando dai 30.000 ai 5.000 individui negli anni ‘90. Le comunità presenti in Armenia sono risultate più stabili contando circa 40.000 individui secondo il censi- mento del 2001. In Russia la popolazione degli yazidi conta 31.273 persone stando al censo del 2002. In Siria ci sono due principali raggruppamenti: nella Jazira e sul Kurd Dagi (Kurd Dağı), contando in totale circa 15.000 persone. In Turchia vi sono oggi solo pochi residui di comunità di yazidi in alcuni villaggi della zona di Diyarbakır, che sono ciò che resta di una comunità che contava circa 80.000 persone nel 1970 (scesa a 23.000 nel 1984 e a 377 persone nel 2007). Il numero totale degli yazidi va dalle 200.000 alle 300.000 persone ma le stime variano grande- mente. Ciò è dovuto in parte alla tradizione di segretezza che gli yazidi hanno quando gli si chiede loro dal credo religioso. Gli yazidi espatriati sono concentrati in Germania, contando tra le 20.000 e le 40.000 persone, residenti suprattutto a Niedersachsen e a Nordrhein-Westfalen e per lo più provenienti dalla Turchia. Una più piccola comunità della diaspora si trova nei Paesi Bassi. Gruppi molto piccoli si trovano in Svezia, Danimarca, Francia, Svizzera, Regno Unito, Stati Uniti, Canada e Australia, contando in totale meno di 5.000 persone. Le origini dello yazidismo affondano le radici nella preistoria del Medio Oriente. Benchè gli yazidi parlino curdo, la loro religione mostra forti influenze di antiche religioni del Medio Oriente, del cristianesimo, dello zoroastrismo e dell’islam sciita (ima- mita). Questo ha creato nel corso dal tempo una serie di problemi relazionali con le altre comu- nità curde49. Il loro luogo santo principale è (Laliş), a nord est di Mosul. Il nome che gli yazidi usano per designare loro stessi è Êzidî o Êzîdî o, in alcune zone, Dasinî o Dasni (quest’ul- timo in senso stretto è un nome tribale). Alcuni studiosi hanno fatto derivare il nome “yazidi” dall’antico iranico Yazata (Essere divino) mentre altri sostengono che derivi dal califfo Omayyade Yazid I (YazÐd ibn MuÝÁwiya ibn AbÙ SufyÁn, 645, r. 680-683), venerato dagli yazidi come un’incarnazione della figura divina Sultan Ezî, anche se quest’ultima ipotesi non è più accettata. Gli yazidi stessi credono che il nome derivi dalla parola Yezdan o Êzid, significante “Dio”. Tut- tavia negli antichi dialetti del Kurdistan, come l’urarteo, il termine Izid-u significa “comandare” o “riprendere”. Le pratiche culturali degli yazidi sono chiaramente curde e quasi tutti parlano il dialetto kurmanji, fatta eccezione per i villaggi di e di Bahazane nell’Iraq settentrionale, dove si parla arabo. Il kurmanji è la lingua di quasi tutte le tradizioni religiose trasmesse oral- mente dagli Yazidi50. La loro religione è estremamente sincretica: l’influenza del sufismo e del suo immaginario può essere rintracciata nel loro vocabolario religioso specialmente nella termino- logia della loro letteratura, ma gran parte della mitologia è pre-islamica. La loro cosmogonia sembra avere molti punti in comune con quella delle antiche religioni iraniche. I primi autori che tentarono di descrivere le origini degli yazidi in termini islamici o persiani o anche in relazione alle religioni politeiste sono stati superati da recenti studi sul campo che, a partire dagli anni ‘90, hanno dimostrato che tale approccio è semplicistico. Le origini della religione degli yazidi è oggi vista come un complesso processo di sincretismo, dove il sistema di credenze e pratiche di una fede locale ha avuto una profonda influenza sulla religiosità dei membri dell’ordine mistico della Adawiyya, presente sulle montagne curde, e ha fatto sí che quest’ultimo deviasse dalle norme isla- miche già poco dopo la morte del suo fondatore, lo Sceicco AdÐ ibn MusÁfir al-UmawÐ, il quale, oltre ad essere stato un esempio di santità e ascesi nel corso della sua esistenza terrena, sembra

49Vedasi: Guest John S., 1993, Survival among the Kurds: A History of the Yezidis, London, Kegan Paul. 50Vedasi: Allison Christine, 2001, The Yezidi Oral Tradition in Iraqi Kurdistan, Richmond, Surrey, Cur- zon.

- 171 - fosse di discendenza omayyade. Egli si stabili a Lalish all’inizio del XII secolo. Lo sceicco stesso, una figura senza dubbio ortodossa, godette di larghi consensi. Egli morì nel 1162 e la sua tomba a Lalish è da allora un luogo simbolo del pellegrinaggio degli yazidi. Durante il XIV secolo im- portanti tribù curde, la cui sfera di influenza si estendeva in quella che oggi è la Turchia orientale (inclusi per un periodo i governatori della Jazira), sono citate nelle fonti storiche come yazide. La società degli yazidi è organizzata in caste; al vertice del potere temporale vi è un principe ere- ditario (emir), mentre al vertice della gerarchia religiosa vi è uno sceicco. Gli yazidi sono rigida- mente endogami. In basso vi sono i murid (discepoli, seguiti dagli sceicchi e quindi dai pir (maestri). Inoltre, i membri delle tre caste si sposano solo all’interno del loro gruppo. Pur essendo tendenzialmente monogami, possono avere più mogli. I figli vengono sottoposti ad un battesimo rituale e al rito della circoncisione, anche se non è una pratica obbligatoria. Avendo un sistema sociale basato sulle caste, gli yazidi non fanno proselitismo, né, tanto meno, accettano conver- sioni51. In quanto figura di demiurgo, il loro dio Melek Taus è spesso identificato dai musulmani orto- dossi come Shaytan (Satana) termine arabo che designa un diavolo o demonio che inganna i veri credenti. A causa del loro credo, gli yazidi sono stati accusati di adorare il demonio e, mante- nendo altre pratiche pre-islamiche, sono stati nel corso dei secoli perseguitati dai loro vicini mu- sulmani. Il trattamento degli yazidi fu particolarmente duro durante l’Impero Ottomano. Tra il XVII e la prima metà del XIX secolo le popolazioni di yazidi presenti in Siria e Iraq vennero mas- sacrate su ordine dei governatori ottomani, per mano dei principi curdi i quali spazzarono quasi completamente via le loro comunità52. Vennero organizzate molte spedizioni punitive dai gover- natori ottomani di Diyarbakır (Amid), Mosul e Baghdad. Queste operazioni vennero legittimate da varie sentenze giuridiche emanate da diversi ulema. L’obiettivo di queste persecuzioni era la conversione forzata degli yazidi all’islam. Anche durante il mandato britannico (1919-1921) e il regno hashemita d’Iraq (1925-1958) gli yazidi vennero perseguitati dai Curdi sunniti, dando così inizio alla diaspora yazida nei paesi vicini (Turchia e Siria).

50Vedasi: Allison Christine, 2001, The Yezidi Oral Tradition in Iraqi Kurdistan, Richmond, Surrey, Cur- zon. 51Vedasi: Kızılhan İlhan, 1997, Die Yeziden: eine anthropologische und sozialpsycologische Studie über die kur- dische Gemeinschaft, Frankfurt/M, Verlag Medico International. 52Vedasi:Commins David Dean, 1996, “Historical Dictionary of Syria”, in Historical Dictionaries of Asia, Oceania, and the Middle East Series, No. 22, p.282; e: Ghareeb Edmund A. (with the assistance of Beth Dougherty), 2004, “Historical Dictionary of Iraq”, in Historical Dictionaries of Asia, Oceania, and the Middle East Series, No. 44, p.248.

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