UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI TORINO FACOLTÀ DI SCIENZE M.F.N. CORSO DI LAUREA IN SCIENZE GEOLOGICHE

TESI DI LAUREA

I LAPIDEI ORNAMENTALI DELLA PROVINCIA DEL

VERBANO-CUSIO-OSSOLA: REALIZZAZIONE DI

UNA BANCA DATI GEOTEMATICA

Relatore: Prof.ssa L. Fiora

Correlatori: Dott. M.Coluccino

Prof. M. Fornaro

Prof. R. Sandrone

Candidato: Andrea Filipello

ANNO ACCADEMICO 2003-04

INDICE

INTRODUZIONE ------1 Ringraziamenti------4

1 - INQUADRAMENTO GEOLOGICO DELLA PROVINCIA DEL VCO E DEI LAPIDEI ORNAMENTALI IN ESSA ESTRATTI 1.1 - Introduzione------5 1.2 - Le Alpi Meridionali nella Provincia del VCO ------7 1.2.1 - La Zona Ivrea Verbano ------7 1.2.2 - La Serie dei Laghi ------13 1.2.3 - I granitoidi del Perminano Inferiore ------16 1.3 - La catena alpina nella Provincia del VCO------19 1.3.1 - Il Sistema Austroalpino ------20 1.3.2 - La Zona Piemontese ------21 1.3.3 - Le falde Pennidiche Superiori ------21 1.3.4 - Il Sistema Pennidico Medio del Gran San Bernardo ------22 1.3.5 - Le falde Pennidiche Inferiori ------24 1.4 - Evoluzione strutturale duttile ------28 1.5 - Evoluzione cinematica recente delle Alpi nordoccidentali------30

2 - CENNI SULLA STORIA E SULL’ESTRAZIONE DEI LAPIDEI ORNAMENTALI DELLA PROVINCIA DEL VCO 2.1 - Notizie ed usi storici dei lapidei ossolani ------33 2.2 - Tipologie delle cave e loro coltivazione------36 2.2.1 - Generalità ------36 2.2.2 - Tipologie delle cave nella Provincia del VCO ------39 2.3 - Tecnologie di distacco e taglio dei blocchi ------40 2.4 - Cenni sugli impianti di trasformazione dei materiali lapidei ------43 2.5 - Cenni sui problemi di stabilità dei fronti di cava nei differenti contesti giacimentologici ------44

I 3 - GESTIONE TERRITORIALE DELL’ATTIVITA’ ESTRATTIVA 3.1 - Premessa------49 3.2 - Introduzione al Sistema Informativo Territoriale ------51 3.2.1 - Il sistema operativo adottato------54 3.3 - Esempi di applicazione di tecniche GIS nella pianificazione dell’attività estrattiva------58 3.4 - Struttura fisica della banca dati ------60 3.4.1 - Vista 1: attività estrattiva------63 3.4.2 - Vista 2: geologia ------70 3.4.3 - Vista 3: geomorfologia ------75 3.4.4 - Vista 4: idrogeologia ------78 3.4.5 - Vista 5: Ri.S.C. (rilievi strutturali cava) ------80 3.5 - Conclusioni e possibilità operative ------86

4 - METODOLOGIE DI RILIEVO ED ELABORAZIONE DATI 4.1 - Introduzione------88 4.2 - Il rilievo geostrutturale------88 4.2.1 - Orientazione ------89 4.2.2 - Apertura------91 4.2.3 - Persistenza ------91 4.2.4 - Spaziatura------92 4.2.5 - Scabrosità: rugosità e ondulazione ------93 4.2.6 - Resistenza delle pareti------95 4.2.7 - Alterazione ------98 4.2.8 - Riempimento ------98 4.2.9 - Condizioni di umidità ------98 4.2.10 - Terminazione ------99 4.3 - Test di laboratorio ------99 4.3.1 - Point-load strength test ------100 4.3.2 - Procedura e calcoli------100 4.4 - Caratterizzazione dell’ammasso roccioso------103 4.4.1 - Metodi di classificazione utilizzati ------104 4.4.1.1 - Rock quality designation index (RQD) ------104 4.4.1.2 - Rock Mass Rating (RMR) ------106

II 4.4.1.3 - Geological Strength Index (GSI) ------109 4.4.2 - Il criterio di rottura di Hoek-Brown------110 4.4.2.1 - Parametri di ingresso------111 4.4.2.2 - Criterio di rottura di Hoek-Brown e Mohr-Coulomb ------113 4.4.2.3 - Resistenza e deformabilità dell’ammasso roccioso------115 4.5 - Caratterizzazione delle discontinuità ------117 4.5.1 - Resistenza al taglio di giunti piani------117 4.5.2 - Resistenza al taglio di giunti scabri ------119

5 - RISULTATI OTTENUTI 5.1 - Risultati dei rilievi geostrutturali------122 5.2 - Prove di point load ------125 5.3 - Caratterizzazione degli ammassi rocciosi------130 5.3.1 - Coesione ------131 5.3.2 - Angolo di attrito ------132 5.3.3 - Modulo di deformazione ------133 5.3.4 - Resistenza globale dell’ammasso roccioso------135 5.3.5 - Considerazioni sui risultati della caratterizzazione degli ammassi rocciosi ------136 5.4 - Criteri di definizione di aree e bacini estrattivi------137 5.5 - Esemplificazione dello studio eseguito------140 5.5.1 - Cava Balmoreglio ------141 5.5.2 - Cava Paglino ------148 5.5.3 - Cava San Marco------155 5.5.4 - Confronto fra i rilievi e i risultati dell’analisi delle tre cave ------160 5.6 - I rilievi del progetto Ri.S.C. nel quadro della conoscenze sulla deformazione a scala della Provincia ------162 5.6.1 - Introduzione------162 5.6.2 - Deformazione duttile------162 5.6.3 - Deformazione fragile ------164

6 - CONCLUSIONI ------168

III Riferimenti bibliografici------172 Allegato A ------188 Allegato B ------192 Allegato C ------214 Allegato D ------217

IV INTRODUZIONE

L’area presa in esame nella tesi coincide con il territorio della Provincia del Verbano Cusio Ossola (fig. 1), ubicata all’estremità nordorientale del Piemonte e già parte della Provincia di Novara, dalla quale si è distaccata come ente amministrativo indipendente nel 1992. La Provincia del Verbano Cusio Ossola (nel seguito abbreviata VCO) è geograficamente compresa tra 45° 55’ – 46° 28’ di latitudine nord e 3° 58’ – 4° 35’ di longitudine ovest da Monte Mario, si estende per circa 1600 km2 nelle Alpi Pennine e Lepontine occidentali e quasi coincide con il bacino idrografico del fiume Toce. Il suo capoluogo è .

Figura 1. Localizzazione dell’area dello studio.

Essa confina a nord con la Svizzera, ad est ancora con la Svizzera (Canton Ticino) e la Lombardia (Provincia di Varese), a sud con la Provincia di Novara e ad ovest con la Provincia di Vercelli e con la Svizzera (Canton Vallese). Benché geograficamente limitato, il suo territorio è particolarmente ricco di materiali lapidei ornamentali, la cui estrazione vanta una tradizione plurisecolare e riveste un ruolo ancor oggi importante nell’economia

1 piemontese, rappresentando oltre il 60 % in volume della produzione regionale del comparto. Proprio questi materiali costituiscono l’oggetto della tesi, che si propone di fornire un contributo alla soluzione dei problemi connessi alla pianificazione e alla gestione del loro sfruttamento. Lo studio è iniziato con una ricerca d’archivio, effettuata presso la sede dell’Amministrazione Provinciale: nell’arco di sette mesi, a partire dal settembre 2003, sono stati esaminati tutti gli elaborati progettuali depositati, si sono raccolti circa 5.600 dati amministrativi e geologico-tecnici relativi alle settanta cave allora autorizzate e li si è organizzati in un sistema gestionale in ambiente Esri ArcView®. A questa fase di carattere compilativo-organizzativo è seguita una campagna di rilievi geomeccanici e morfo-strutturali e di campionatura degli ammassi rocciosi in corrispondenza e nell’immediato intorno dei siti di cava; le indagini in sito sono state poi integrate con test di laboratorio sui campioni raccolti e i risultati ottenuti sono stati incorporati nel sistema informatico predisposto nella prima fase. Complessivamente sono state esaminate 66 cave e le caratteristiche di oltre 2.600 discontinuità, per un totale di 42.000 dati misurati ed elaborati; i test di laboratorio sono consistiti in 1.300 prove, con conseguente elaborazione di 9.000 parametri relativi alla resistenza ed alla forma dei provini. Tutto questo lavoro è stato svolto nell’ambito del Progetto Ri.S.C. (Rilievi Strutturali Cava), ideato e diretto dal Servizio Assetto Idrogeologico provinciale nella persona del Dott. Maurilio Coluccino, e sostenuto finanziariamente dall’Amministrazione Provinciale con un contratto di collaborazione coordinata e continuativa della durata di 6 mesi nella seconda metà del 2004. La tesi è articolata in cinque capitoli. Nel primo viene evidenziata la stretta connessione tra l’assetto geologico- strutturale e le varietà di materiali ornamentali che rendono peculiare il VCO: l’attività di cava interessa infatti una delle sezioni più complete delle Alpi dalle unità di basamento del Sudalpino sino alle falde Pennidiche dell’edificio alpino e, per ciascuna di esse, vengono sintetizzati i caratteri geo-petrografici con particolare riguardo ai litotipi estratti.

2 Nel secondo capitolo si accenna alla storia e all’uso dei lapidei ossolani, si descrivono la distribuzione e la tipologia delle cave sul territorio e i metodi di coltivazione più utilizzati. Vengono inoltre delineati, sulla base di alcuni esempi pratici, i fenomeni di instabilità più frequenti nei siti estrattivi in funzione del contesto giacimentologico, topografico e morfologico delle aree indagate. Nel terzo capitolo vengono forniti alcuni esempi di applicazioni di sistemi informativi territoriali per la gestione dell’attività di cava e si analizzano specificamente la struttura fisica della banca dati realizzata, alcune cartografie ad essa associate e le informazioni archiviate. Queste ultime sono state elaborate in maniera statistica ed hanno permesso di formulare alcune considerazioni tecnico-economiche per i principali aspetti analizzati. Il quarto capitolo descrive le procedure di rilievo ed elaborazione dei dati nell’ambito del progetto Ri.S.C. (Rilievi Strutturali Cava) e il quinto capitolo ne espone i risultati in forma statistica, fornendo una visione generale delle caratteristiche degli ammassi rocciosi a scala dell’intero territorio provinciale. A titolo di esempio vengono inoltre riportati i rilievi di dettaglio per tre siti estrattivi e si tenta di correlare le osservazioni di terreno alle conoscenze a livello regionale sulla deformazione duttile e fragile dell’area.

3 RINGRAZIAMENTI

Lo svolgimento di questa tesi sarebbe stato impossibile senza la collaborazione ed il sostegno dell’Amministrazione Provinciale, alla quale si rivolge un doveroso ringraziamento, ricordando in particolare i funzionari del Servizio Assetto Idrogeologico ed Attività Estrattiva e il loro dirigente, l’Ing. Mauro Proverbio. Fra i tecnici del Settore ringrazio Sabrina Casucci, Paolo Vigoni e Marco Carozza per la disponibilità sempre dimostratami e, in particolare, il Dott. Maurilio Coluccino per la supervisione nelle procedure di rilievo, informatizzazione e trattamento delle misure e per i continui suggerimenti e stimoli. Un ringraziamento è anche dovuto per il consenso alla presentazione nella tesi dei risultati preliminari del Progetto Ri.S.C. e di alcuni tematismi della Provincia. Ringrazio la Prof. L. Fiora, che mi ha permesso di intraprendere questo lavoro nel campo delle pietre ornamentali e il Prof. M. Fornaro per gli utili insegnamenti sulle cave. Un grazie particolare va al Prof. R. Sandrone per la mole di consigli, suggerimenti e spiegazioni ricevuti durante lo svolgimento della tesi e per la disponibilità, ben maggiore di quella normalmente auspicabile da parte di un correlatore. Per la loro cortese collaborazione e per la possibilità di accedere agevolmente alle cave ringrazio tutte le Ditte operanti sul territorio. Il mio ringraziamento va, da ultimo, ai miei genitori e a Rossana, per il sostegno che mi hanno sempre dato.

4 1 - INQUADRAMENTO GEOLOGICO DELLA PROVINCIA DEL VCO E DEI

LAPIDEI ORNAMENTALI IN ESSA ESTRATTI

1.1 - Introduzione

Il territorio della Provincia del VCO rappresenta una delle sezioni geologiche più complete e meglio esposte delle Alpi, poiché si estende dalle unità di basamento del Sudalpino sino alle Falde Pennidiche e Austroalpine dell’edificio. Le rocce e le architetture della catena alpina occidentale consentono di ricostruire i principali processi geologici avvenuti in centinaia di milioni d’anni, dall’orogenesi paleozoica allo sviluppo delle Alpi, iniziatosi con l’apertura dell’oceano mesozoico (Tetide) ed evolutosi con la sua progressiva chiusura fino alla collisione, avvenuta circa 110 milioni d’anni fa ed ancora in atto, fra placca Adriatica ed Europea. Gli elementi di entrambe le placche si sono impilati verso NW formando i domini Pennidico e Austroalpino e la collisione ha anche prodotto una retroflessione meno pronunciata verso SE. Nel complesso, processi metamorfici e deformativi d’età, grado ed intensità diversi si sono sovrapposti producendo una struttura tettono-metamorfica polifasica, complessa alle diverse scale, che caratterizza sia le rocce dell’antico basamento paleozoico, sia quelle delle coperture sedimentarie permo- mesozoiche. Il risultato di questi processi può essere schematizzato, seguendo l’impostazione del recente Structural Model of alla scala 1:500.000, nella formazione di una catena a vergenza europea, o catena alpina in senso stretto, costituita da una sequenza di sistemi tettonici traslati, a partire dal Cretacico, verso l’avampaese europeo (mediamente verso NW) e di un sistema tettonico meridionale, che dal Neogene assume una vergenza africana (S) ed è noto come Alpi Meridionali o Dominio Sudalpino. I domini Sud-vergenti e Nord-vergenti sono separati dal lineamento Periadriatico, che attraversa la Val d’Ossola nei pressi di e Loro (fig. 2).

5 Questa complessa situazione geologica rende la provincia del VCO una delle più importanti aree di estrazione di pietre ornamentali in Italia, grazie alla peculiarità e varietà dei litotipi affioranti: essi sono prevalentemente rappresentati da ortogneiss, subordinati graniti e marmi e sporadiche metaultramafiti. Nel seguito vengono sintetizzate le conoscenze sull’evoluzione geologica e sull’assetto strutturale della provincia, evidenziando anche i più importanti bacini estrattivi e la loro pertinenza geologica.

Figura 2. Carta strutturale della Val d’Ossola (da DAL PIAZ, 1992, modificata). 1) Unità triassiche; 2) Vulcaniti permiane; 3) Granitoidi permiani; 4) Basamento Sudalpino a = Serie dei Laghi, b = Zona Ivrea-Verbano; 5) Scisti milonitici di Fobello-Rimella; 6) Zona Sesia- Lanzo; 7) Zona Zermatt-Saas e Ofioliti di Antrona; 8) Zona Monte Rosa; 9) Complesso Orselina- Moncucco-Isorno; 10) Falda Monte Leone, a = Cervandone; 11) Unità di copertura permo- mesozoiche, a = marmi, b = Falda Lebendun; 12) Falda Antigorio e Pioda di Crana; 13) Scisti di ; 14) “Granito di Verampio”.

6 1.2 - Le Alpi Meridionali nella provincia del VCO

Il dominio Sudalpino si estende a sud del Lineamento Periadriatico, qui rappresentato dalla Linea del Canavese (SCHMID et al., 1989), fino al sottosuolo della pianura padana, ove è sepolto il fronte degli scorrimenti sud-vergenti. Le Alpi Meridionali sono costituite da un basamento metamorfico prealpino (varisico), intrusioni calcalcaline permo-mesozoiche e coperture sedimentarie largamente smantellate dall’erosione. Il basamento, sulla base di differenze litologiche e strutturali, è suddiviso in due unità principali: la Serie dei Laghi, a cui è attribuito un significato di crosta continentale intermedia e superiore, e la Zona Ivrea-Verbano, che rappresenta crosta inferiore. Per queste ragioni è considerato una delle più interessanti “sezioni di crosta continentale esposta”. Il metamorfismo passa dalla facies anfibolitica a quella granulitica, procedendo da SE a NW nella Zona Ivrea-Verbano (BORIANI e RIVALENTI, 1984), ed è in facies anfibolitica nella Serie dei Laghi (BORIANI e SACCHI, 1973; COLOMBO e

TUNESI, 1999), nella quale sono anche intrusi graniti varisici e prevarisici.

1.2.1 - La Zona Ivrea-Verbano

La Zona Ivrea-Verbano è la più classica ed estesa sezione di crosta continentale profonda delle Alpi. Essa è delimitata a nord-ovest dalla Linea del Canavese, che la separa dalla Zona Sesia, e a sud-est dalla Linea Cossato-

Mergozzo-Brissago (BORIANI e SACCHI, 1973; BORIANI et al., 1990a), che la separa dalla Serie dei Laghi. Questa importante unità Sudalpina è da lungo tempo oggetto di studi petrografici, strutturali e geofisici: nel 1968 si tenne un Simposio a e a Locarno ad essa dedicato, i cui Atti sono raccolti in un apposito volume del Bollettino Svizzero di Mineralogia e Petrografia (Vol. 48, fasc.1); nel 1978 un analogo Simposio si tenne a Varallo Sesia e gli Atti sono raccolti nel volume 33 di Memorie di Scienze Geologiche (A.A.V.V., 1978-79).

Recentemente BORIANI e GIOBBI (2004) hanno raccolto ed esaminato criticamente gran parte dei dati prodotti negli ultimi trent’anni, nel tentativo di analizzare uno degli aspetti più problematici delle Alpi Centrali: il significato

7 della presenza di unità con caratteri di crosta inferiore accanto ad unità di crosta superiore.

Figura 3. Carta Geologica del Massiccio dei Laghi (da BORIANI et al., 1990, modificata). 1) Copertura quaternaria; 2) Copertura sedimentaria mesozoica-cenozoica; 3) Vulcaniti permiane; 4) Graniti permiani («Graniti dei Laghi»); 5) Dicchi e stock a composizione basica ed intermedia («Appiniti»); 6) Zona Val Colla: a) Scisti, filloniti, anfiboliti ad epidoto; b) «Gneiss Chiari». SERIE DEI LAGHI: 7a) Zona Strona-Ceneri (paragneiss, comprendenti Cenerigneisses e Gneiss minuti); 7b) Zona Strona-Ceneri Marginale; 8) Scisti dei Laghi (micascisti, paragneiss); 9) rocce della Serie dei Laghi con impronta metamorfica permiana di alta temperatura e bassa pressione, localizzate lungo la Linea Cossato--Brissago; 10) metagranitoidi ordoviciani. ZONA IVREA-VERBANO: 11a) Rocce basiche, in facies granulitica ed anfibolitica; 11b) Ultramafiti; 12) Kinzigiti e stronaliti. 13) DOMINIO ALPINO. 14) LINEE TETTONICHE: CN = Canavese; TC = Tonale-Centovalli; CMB = Cossato-Mergozzo- Brissago; GR =Grottaccio; PO = Pogallo-Lago d’Orta; LGQ = Val Lessa--Quarna; CR = Cremosina; D = Val Dumentina; VC = Val Colla; IT = sovrascorrimento Indemini-Monte Tamaro. 15) SOVRASCORRIMENTI.

8

BORIANI e GIOBBI (2004) stimano le percentuali in volume delle litologie di cui la Zona Ivrea-Verbano è costituita: rocce ultramafiche (2.28%), rocce basiche (57.14%), granuliti leucocrate, kinzigiti e marmi (40.48%).

Essa si compone di due porzioni fondamentali (BORIANI et al., 1974): o una porzione sudoccidentale, composta prevalentemente da corpi gabbrici stratificati (complesso gabbrico stratificato, formazione mafica principale); o una porzione nordorientale, costituita in prevalenza da paraderivati con metabasiti intercalate (Complesso Kinzigitico). L’età della principale impronta metamorfica è tuttora oggetto di dibattito e viene attribuita all’Ordoviciano, al Carbonifero o al Permiano a seconda degli autori

(BORIANI e VILLA, 1997; ZINGG et al., 1990; GEBAUER, 1993; SCHMID, 1993;

BORIANI e GIOBBI, 2004). Il climax del metamorfismo regionale sembra essere compreso nel periodo tra

273 e 296 Ma (PIN, 1986; BÜRGI e KLÖTZLI, 1990; VAVRA et al., 1996; BORIANI e

VILLA, 1997; HENK et al., 1997), mentre il complesso processo di esumazione e raffreddamento probabilmente iniziò 300-280 milioni di anni fa, come hanno proposto BRODIE et al. (1989), e fu associato a zone di shear anidre di alta temperatura (BRODIE e RUTTER, 1987; ZINGG et al., 1990). Al momento la maggior parte degli autori concorda sull’età ercinica e nel riferire le paragenesi di alta temperatura all’intrusione dei corpi mafici nel Permiano inferiori. HENK et al. (1997) sostengono l’impossibilità di ricostruire l’evoluzione più antica, in quanto l’evento termico del Permiano inferiore ha completamente azzerato le età radiometriche e i valori geotermobarometrici.

Il Complesso Mafico, esposto tra Ivrea e la Val Mastallone, è suddiviso in tre principali unità (RIVALENTI et al., 1975; 1984): 1) Serie Stratificata: peridotiti, pirosseniti, duniti, anortositi stratificate; 2) Corpo Gabbrico; 3) Dioriti, localizzate nei pressi della Formazione Kinzigitica; Il Complesso Mafico mostra una paragenesi tipica della facies granulitica caratterizzata da temperature di 750-950 °C e pressioni di 8-9 kbar (GARUTI et al., 1978/79; RIVALENTI et al., 1981; SILLS, 1984; HENK et al., 1997), mentre pressioni più elevate intorno ai 10-12 kbar sono registrate nella parte più bassa

9 del complesso (Serie Stratificata in MAZZUCCHELLI et al., 1992); le temperature più elevate, intorno a 1000-1200 °C, rispecchiano le condizioni di cristallizzazione magmatica. Il Complesso Mafico è poco rappresentato in Val d’Ossola: il cosiddetto “Gabbro di Anzola” potrebbe essere parte di un’apofisi del complesso stesso

(BORIANI, 2000). Questa roccia, nota commercialmente come “Nero di Anzola”, ha grana media, è di colore nero con vene bianche di plagioclasio che le conferiscono un aspetto eterogeneo. La sua mineralogia è rappresentata da orneblenda, clinopirosseno, ortopirosseno, plagioclasio e opachi. In passato veniva coltivata come pietra ornamentale, mentre oggi è utilizzata solo per produzione di pietrisco (CAVALLO et al., 2004a). Il contatto fra il Complesso Mafico e la Formazione Kinzigitica è magmatico

(QUICK et al., 1994) e in quest’ultima è localmente caratterizzato da estese fusioni parziali.

La Formazione Kinzigitica è una sequenza vulcano-sedimentaria intrusa nel

Permiano inferiore da lenti di ultramafiti (VOSHAGE et al., 1990). Essa è formata dall’intima associazione di metapeliti (tra cui prevalenti paragneiss detti kinzigiti), metabasiti ad affinità MORB (SILLS e TARNEY, 1984), quarziti e sottili orizzonti metacarbonatici. Questi ultimi vanno a costituire, in Val d’Ossola, lenti calcitiche la cui età di sedimentazione è stata valutata tra 480 e 700 Ma (HUNZIKER e ZINGG, 1980). In alcune di queste lenti sono o sono stati estratti i marmi di Candoglia, di e della Valle Strona. Il marmo di Candoglia ha una grana medio-grossa e una colorazione rosa con frequenti bande di color verde scuro a diopside e tremolite; minerali accessori sono quarzo, epidoto, solfuri, feldspato di Ba, barite e raro plagioclasio. Il marmo di Ornavasso è meno pregiato a causa della grana più grossolana e dei caratteri cromatici. Esso viene commercializzato in due varietà, una di colore scuro (Grigio Boden) e una di colore rosa (Rosa Valtoce), molto ricca di vene scure. Annualmente vengono estratti circa 1.000 tonnellate di marmo di Candoglia destinate quasi esclusivamente alle operazioni di restauro del

Duomo di Milano (FERRARI DA PASSANO, 2000), mentre la produzione dei marmi di Ornavasso è limitata a 400 tonnellate annue (SANDRONE et al., 2004).

10 In Valle Strona erano aperte cave a e Sambughetto, da cui si estraevano marmi calcitici a flogopite, con grana medio-grossa contenenti vene di barite, solfuri e magnetite. Secondo la loro colorazione, variabile da bianca a rosa e grigia, venivano commercializzati come Bianco Avorio di Vallestrona, Grigio di Vallestrona, Bianco Rosato. Nel marmo di Candoglia studi strutturali evidenziano pieghe isoclinali (fig. 4), con piano assiale sub-verticale e parallelo alla foliazione principale che collegano diverse piccole lenti (CAVALLO et al., 2004a).

Figura 4. Schema geologico dell'area estrattiva di Candoglia (da CAVALLO et al., 2004a).

L’impronta metamorfica di età varisica della Formazione Kinzigitica aumenta da SE verso NW, passando dalla facies anfibolitica superiore (con mica e sillimanite “fibrolitica”) alla facies granulitica (sillimanite e feldspato potassico nelle stronaliti) presso il contatto con il Complesso Mafico (PEYRONEL PAGLIANI e

BORIANI, 1967; SCHMID et al., 1988). Alle condizioni metamorfiche di picco seguono un’evoluzione a bassa pressione e diffusi processi di anatessi (migmatiti, sacche e filoni pegmatitici) di probabile età permiana. La temperatura e la pressione di formazione della facies granulitica sono stimate rispettivamente 750-940 °C e 8 kbar (SILLS,1984; SCHMID et al., 1988) e

11 per la facies da anfibolitica a granulitica 616-820 °C e 4-11 kbar (SCHMID e

WOOD, 1976; SILLS, 1984; SCHMID et al., 1988; HENK et al., 1997). La Linea Cossato-Mergozzo-Brissago è caratterizzata dalla presenza di miloniti di alta temperatura, dicchi e stock a composizione basica e intermedia (“suite appinitica” di BORIANI et al., 1990a) e migmatiti. Il contatto originale è complicato da una riequilibrazione in condizioni di bassa temperatura e successive faglie subverticali: tra queste la più importante è la Linea del Pogallo, caratterizzata da miloniti in facies anfibolitica-scisti verdi. La giustapposizione di unità di crosta profonda (Zona Ivrea-Verbano) e di crosta intermedia (Serie dei Laghi) porta alcuni autori (FOUNTAIN, 1976) a considerare l’area una sezione della crosta continentale e la linea Cossato-Mergozzo-

Brissago una faglia normale a basso angolo (HODGES e FOUNTAIN, 1984;

HANDY, 1987). Questa ipotesi si basa sull’assunzione che il metamorfismo (Caledoniano secondo HUNZIKER e ZINGG, 1980; Caledoniano e Varisico secondo ZINGG et al.,1990) sia coevo in entrambe le unità e che le età radiometriche più giovani trovate nella Zona Ivrea-Verbano rappresentino soltanto età di raffreddamento e non di picco del metamorfismo.

Da un punto di vista strutturale SCHMID (1967) riconosce nella Zona Ivrea- Verbano una serie di pieghe antiformi e sinformi da coeve a posteriori rispetto all’evento metamorfico. L’antinforme più settentrionale (antiforme di Proman) è stata poi successivamente coinvolta dagli eventi tettonici alpini ed appare sub- verticale (SCHMID et al., 1987; 1989). BERTOLANI (1969) considera la Zona Ivrea- Verbano un’antiforme serrata con assi orientati SSE. All’interno dei corpi mafici i piegamenti sono stati riconosciuti come sinmagmatici da QUICK et al. (1992;

1994) e da DE MARCHI et al. (1998). La messa in posto dei corpi mafici (SNOKE et al., 1999) è stata anche accompagnata dalla sviluppo della zona di taglio nelle kinzigiti.

Secondo HANDY (1987), l’inclinazione di 65°-85° dell’intera sezione crostale, necessaria per il raggiungimento della configurazione attuale, sarebbe avvenuta in parte nel Giurassico inferiore-medio e completata poi durante l’orogenesi Alpina.

12 Queste ipotesi, con piccole modificazioni, sono state avanzate nei lavori più recenti di ZINGG et al. (1990) e SCHMID (1993), mentre BORIANI et al. (1990b) propongono un differente modello.

Infine BORIANI e GIOBBI (2004) discutono criticamente l’idea che la Zona Ivrea- Verbano rappresenti una porzione di crosta inferiore Paleozoica ruotata e prospettano la sua messa in posto in ambiente transtensionale.

1.2.2 - La Serie dei Laghi

La Serie dei Laghi affiora a SE della Zona Ivrea-Verbano e si estende fino al margine della pianura padana.

In letteratura la terminologia utilizzata non è univoca: NOVARESE (1929) definisce “Serie dei Laghi” o “Formazione dei Laghi” l’associazione di micascisti e gneiss ricchi in biotite, affioranti nella porzione orientale della Zona Ivrea-

Verbano; ARTINI e MELZI (1900) parlano di “Gneiss Strona Orientali”, REINHARD

(1953; 1964) di “Zona Ceneri” ed infine SCHMID (1968) di “Zona Strona-Ceneri”.

Per evitare equivoci ZINGG (1983) ha compilato la tabella sotto riportata.

REINHARD SCHMIDT (1968) BORIANI et al. (1977) NOVARESE (1929) (1953,1964) Formazione dioritico- Zona Ivrea-Verbano Zona Ivrea-Verbano kinzigitica Serie dei Laghi: Zona Ceneri Zona Strona Ceneri Strona Ceneri; Gneiss e micascisti Scisti dei Laghi della Formazione dei Laghi Zona Val Colla (Zona Val Colla) Zona Val Colla

Nei lavori più recenti la Serie dei Laghi viene suddivisa in quattro unità: o Zona Strona-Ceneri: è un segmento di crosta intermedia pre-alpina, che affiora ad Est del Lago Maggiore e tra quest’ ultimo e la Val d’Ossola (ZINGG, 1983). E’ costituita da un basamento varisico in facies anfibolitica, derivato da protoliti a dominante arenacea, suddiviso nei complessi dei Cenerigneiss (paragneiss psefitico-psammitici a noduli di silicati di Ca e locale cianite) e degli Gneiss Minuti (paragneiss scuri a due miche, tabulari, con minuta struttura granoblastica). Nei Cenerigneiss non sono preservate le strutture sedimentarie, mentre negli Gneiss Minuti la variazione di grana ed il layering

13 composizionale sarebbero relitti di originarie strutture sedimentarie (BÄCHLIN,

1937; BIGIOGGERO e BORIANI, 1975), che testimonierebbero il deposito ad

opera di correnti torbiditiche (BORIANI e GIOBBI, 2004). Il metamorfismo in facies anfibolitica ha interessato entrambi i complessi, la cui composizione chimica è molto simile. I Cenerigneiss sono interpretati come meta-arenarie

o metaconglomerati, intrusi da magmi granitici e poi metamorfosati (BORIANI et al., 1990b). o Zona Strona-Ceneri Marginale: è un orizzonte continuo, interposto tra la Zona Strona-Ceneri e gli Scisti dei Laghi, costituito da lenti di rocce mafiche ad affinità tholeiitica e ultramafiche (metagabbri, anfiboliti, eclogiti, pirosseniti

e serpentine), associate a paragneiss (GIOBBI ORIGONI et al., 1997). o Scisti dei Laghi: è una formazione metapelitica che affiora dal Lago d’Orta al Lago Maggiore presso Verbania. Questa unità corrisponde ai “Giumello

gneise” della letteratura svizzera (REINHARD, 1964). Gli Scisti dei Laghi sono costituiti dall’alternanza di micascisti e paragneiss, molto foliati, con pieghe isoclinali. La loro composizione mineralogica è data da quarzo, muscovite,

biotite, plagioclasio ± granato ± cianite ± staurolite (BORIANI e GIOBBI, 2004).

Analisi geochimiche recenti sulle metapeliti (CAIRONI et al., 2004) mostrano un ampio range di variazione di alcuni parametri, che suggerisce una mescolanza in varie proporzioni fra sedimenti provenienti da sorgenti “geochimicamente indifferenziate” e da rocce ignee differenziate, con contributo variabile di sedimenti riciclati e arricchiti in minerali pesanti. Verso Nord, le metapeliti sono separate dalle metapsammiti da un orizzonte continuo di anfiboliti, spesso contenenti K-feldspato. Le anfiboliti erano coltivate nei pressi di Ronco, lungo la sponda Ovest del Lago d’Orta, e largamente utilizzate per pavimentazioni ad Orta e sull’Isola di San Giulio. Agli Scisti dei Laghi appartengono anche paragneiss, scisti, quarziti e subordinati metagabbri, anfiboliti granatifere, pirosseniti e peridotiti della

Zona Strona-Ceneri Marginale (GIOBBI ORIGONI et al., 1997). o Ortogneiss: nella Zona Strona-Ceneri Marginale e nei suoi immediati intorni affiorano lenti di metagranitoidi con metapegmatiti e meta-apliti (PEZZOTTA,

1993; PEZZOTTA e PINARELLI, 1994; BORIANI et al., 1995). Questi metagranitoidi hanno composizione variabile da tonalitica a granitica, affinità

14 calcalcalina e carattere meta-alluminoso (CAIRONI, 1994; BORIANI et al., 1995) e hanno subito lo stesso metamorfismo regionale che ha interessato le rocce incassanti. La loro età di intrusione (450-460 Ma) è ordoviciana

(KÖPPEL e GRÜNENFELDER, 1971; HUNZIKER e ZINGG, 1980; BORIANI et al.,

1982/83) e quella metamorfica (311-325 Ma) ercinica (BORIANI et al., 1995). Il metamorfismo in condizioni di alta temperatura, responsabile della fusione che innescò il magmatismo ordoviciano, risale al Paleozoico inferiore secondo

PIDGEON et al. (1970), KÖPPEL e GRÜNENFELDER (1971), RAGETTLI (1993),

KÖPPEL e GRÜNENFELDER (1978-79) e HUNZIKER e ZINGG (1980). Il metamorfismo in facies anfibolitica comportò temperature comprese fra 540 e

610 °C e pressioni di 6-9 kbar (FRANZ et al., 1996; GIOBBI ORIGONI et al., 1997;

ZURBRIGGEN et al., 1997; HENK et al., 1997).

BORIANI e VILLA (1997) indicano per questo evento un’età varisica (320-350 Ma), in accordo con le età simili e con le interpretazioni riportate da vari autori per l’intero dominio Sudalpino ad est della Serie dei Laghi.

Età radiometriche inferiori ai 300 Ma (MC DOWELL, 1970; KÖPPEL, 1974) sarebbero da attribuire alla retrocessione in facies scisti verdi, connessa con il sollevamento e l’erosione della catena ercinica.

Dal punto di vista strutturale BORIANI et al. (1990b) riconoscono nella Serie dei Laghi ampie pieghe con immersione assiale variabile, interpretabili come sinclinali, i cui piani assiali possono essere seguiti in direzione NE-SW per 50 km. La foliazione principale (F1) coincide con il loro piano assiale.

Le pieghe F2 (“Schlingebau” di BÄCHLIN, 1937) compaiono verso il contatto con la Zona Ivrea-Verbano (BORGHI, 1987; BORIANI e BURLINI, 1995), mostrano assi inclinati ed una debole crenulazione di piano assiale. Ad ovest di queste pieghe diventano più serrate e sono responsabili di un elevato boudinage delle intercalazioni più competenti. In questa zona compare anche una fascia subverticale di miloniti, riferibile alla Linea Cossato- Mergozzo-Brissago. “Schlingebau” e miloniti sono il risultato dei movimenti tardo-varisici, con una importante componente orizzontale, al contatto tra Serie dei Laghi e Ivrea- Verbano.

15 1.2.3 - I granitoidi del Permiano Inferiore

Intrusioni magmatiche tardo-erciniche, non metamorfosate e generalmente poco deformate (BORIANI et al., 1988b; GIOBBI ORIGONI et al., 1988), ricorrono lungo il contatto tra la Serie dei Laghi e la Zona Ivrea-Verbano, prevalentemente nella prima ma anche nella seconda. Esse si possono suddividere in due gruppi principali: piccoli corpi di composizione basico-intermedia (suite appinitica) e plutoni granitici. Suite appinitica: le appiniti sono filoni e stock a composizione gabbrodioritica e dioritica, concentrati lungo la zona di shear della linea Cossato-Mergozzo- Brissago: qui le rocce della Serie dei Laghi mostrano una sovraimpronta metamorfica in facies anfibolitica di bassa pressione con una parziale fusione postcinematica, definita fusione per disidratazione da BURLINI e CAIRONI (1988).

L’età radiometrica U-Pb ricavata da KÖPPEL e GRÜNENFELDER (1978-79) di 285

± 5 Ma è stata recentemente confermata da MULCH et al. (2002).

In Val d’Ossola affiorano due piccoli filoni (CALDIROLI, 1996): uno sul versante orientale nei pressi del cimitero di Mergozzo (Granito di San Rocco), l’altro sul versante occidentale, vicino a Gravellona (Granito di Pedemonte). I graniti Permiani, comunemente detti Graniti dei Laghi, costituiscono un grande batolite allungato in direzione NE-SW che intrude sia gli Scisti dei Laghi, sia la Zona Strona-Ceneri. L’aureola di contatto è alquanto ridotta ed è costituita da biotite, andalusite, cordierite ± spinello ± corindone (GALLITELLI, 1943; BORIANI et al., 1988a). Fanno parte del batolite 5 plutoni, che vengono sommariamente descritti procedendo da SW a NE (BORIANI et al., 1988a; CAIRONI, 1985). a. Plutone di Biella-Valsessera, di composizione variabile da monzograniti nella parte occidentale a sienograniti in quella orientale. b. Plutone di Alzo-Roccapietra, di composizione granitico-granodioritica, affiorante tra la Valsesia inferiore e il Lago d’Orta. c. Plutone di Quarna, di ridotte dimensioni e caratterizzato dalla presenza di rocce basiche. Procedendo da SE verso NW si riconoscono graniti, granodioriti, quarzo-dioriti e gabbrodioriti. d. Plutone di Mottarone-, che presenta tre varietà di rocce:

16 o Il “Granito Rosa di Baveno”, storico materiale ornamentale, composto da quarzo, ortoclasio, oligoclasio, biotite e, in quantità accessoria, da apatite, zircone, mica bianca, magnetite, fluorite con occasionali fayalite e zeoliti. Ha grana media e contiene sacche e vene pegmatitiche costituite da quarzo e feldspato, con occasionale berillo azzurro. o Il granito bianco di Mottarone, che costituisce la maggior parte del plutone. o La granodiorite, che costituisce un piccolo corpo contenente xenoliti scistosi (BORIANI et al., 1988a; CAIRONI, 1985). e. Il plutone di Montorfano, costituito da granito bianco che, nella parte orientale, contiene inclusi mafici da centimetrici a pluridecimetrici e pegmatiti. Nel versante settentrionale è presente una fascia di trasformazione deuterica profonda, che ha profondamente modificato il granito con sviluppo di una paragenesi ad albite, clorite e sericite e

conseguente colorazione verde della roccia (BORIANI, 2000). Si tratta del cosiddetto “granito verde di Mergozzo”, coltivato in passato come pietra ornamentale (“Verde di Mergozzo”) ed attualmente trascurato anche a causa della scarsa tenuta della lucidatura e della presenza localizzata di carbonati ferriferi di colore giallo, che ne deturpano rapidamente l’aspetto

superficiale (BIGIOGGERO e ZEZZA, 1997).

I Graniti dei Laghi mostrano affinità calcalcalina (BORIANI et al., 1992) e i loro caratteri petrografici e geochimici indicano processi di frazionamento solido/liquido avvenuti in una camera magmatica profonda. Le loro caratteristiche petrografiche sono riassunte in figura 5 e tabella 1, nelle quali vengono anche confrontate con quelle degli altri litotipi silicei coltivati nel VCO. L’età Rb/Sr della loro intrusione è di 280 Ma e i rapporti isotopici assai variabili dello Sr iniziale (0,704-0,710) suggeriscono la loro genesi per differenti gradi di assimilazione crostale da parte di fuso mantellico (PINARELLI et al., 1988).

17

Figura 5. Diagramma cumulativo R1-R2 (DE LA ROCHE et al., 1980) per i graniti, il serizzo e la beola (da SANDRONE et al., 2004). Abbreviazioni: to = tonalite; grd = granodiorite; qz mo = quarzo monzonite; gr = granito; qz sye = quarzo sienite; alk gr = granito alcalino. Dati da BORIANI et al. (1988b; 1992) per i graniti, HUNZIKER (1966) e JOSS (1969) per il Serizzo, PAGLIANI (1944) e BIGIOGGERO et al. (1982-83) per la Beola.

% vol. Granito Rosa Granito Bianco Granito Verde Serizzo Beola di Baveno di Montorfano di Mergozzo

Qtz 26-54 19-40 7-9 20-33 30-35

Kfs 24-44 26-43 35-38 15-35 15-34

Pl 19-38 24-35 35-4 30-57 15-36 % An 29 37 n.d. <26 15-25

Bt e/o Chl 2-8 3-10 14-23 8-20 5-15

Ms - - - 0-8 2-14

Altri 0.7 0.7 0.3 8 2

Tabella 1. Range della composizione modale dei litotipi silicei ossolani (da SANDRONE et al., 2004). Simboli dei minerali secondo KRETZ (1983): Qtz = quarzo, Kfs = K-feldspato, Pl = plagioclasio, An = anortite, Bt = biotite, Chl = clorite, Ms = muscovite. Dati da GANDOLFI e PAGANELLI (1974) per i graniti; HUNZIKER (1966), JOOS (1969) e BIGIOGGERO et al. (1977) per il Serizzo; PAGLIANI (1944), REINHARD (1966) e BIGIOGGERO et al. (1982-83) per la Beola.

18 1.3 - La catena alpina nella Provincia del VCO

Nell’alta Val d’Ossola si osserva una delle più complete sezioni della catena alpina: ciò è reso possibile da un’inclinazione regionale verso SSW dell’edificio a falde, da processi di denudazione tettonica e da un sollevamento differenziale della catena, che raggiunge il suo massimo nella culminazione della Val

Formazza (BORIANI, 2000). Procedendo da S verso N è possibile riconoscere (fig. 6) il dominio Austroalpino (Zona Sesia-Lanzo), le falde Pennidiche Superiori (Zona Monte Rosa, ofioliti di Antrona e Zona Moncucco-Orsellina-Isorno), le falde Pennidiche Inferiori (Monte Leone, Lebendun, Antigorio-Pioda di Crana) ed infine il Sub-Pennidico “granito di Verampio”.

Figura 6. Schema tettonico semplificato e sezione del sistema orogenico Europa-vergente (da DAL PIAZ et al., 1992, con modifiche).

19

Le falde sono costituite da coperture permo-mesozoiche e parascisti del basamento pre-alpino intrusi da corpi gabbrici e plutoni granitici-granodioritici tardovarisici, caratterizzati da una pervasiva rigenerazione tettono-metamorfica alpina in facies anfibolitica (BORIANI, 2000). I relitti pre-alpini sono scarsi e sporadicamente preservati nelle unità Austroalpine e nella Falda Monte Rosa. I granitoidi sono presenti sia nell’Austroalpino che nel Pennidico, nel quale sono però completamente assenti le intrusioni gabbriche. Nel seguito vengono sinteticamente descritte le unità sopra citate.

1.3.1 - Il Sistema Austroalpino

E’ costituito dalla Zona Sesia-Lanzo, un importante elemento interno delimitato a SE dalla linea del Canavese, e da numerosi lembi di ricoprimento esterni (Klippen) che formano il Sistema Dent Blanche s.l. La loro pertinenza austroalpina è stata proposta da CARRARO et al. (1970) e DAL PIAZ et al. (1972). Il Sistema Sesia-Dent Blanche è formato da un elemento inferiore, costituito in prevalenza da parascisti polimetamorfici e da corpi intrusivi acidi e basici tardo- paleozoici e monometamorfici, e da un elemento superiore (II Zona dioritico- kinzigitica), frammento di crosta continentale profonda, in parte ben preservata, con locali scaglie di peridotiti del mantello (ISLER e ZINGG, 1974; BORIANI, 2000, con riferimenti bibliografici). Le unità superiori ed inferiori sono separate da una zona di laminazione duttile (shear milonitico), in cui sono pizzicati lembi di copertura mesozoica. Nel settore nord-orientale della Zona Sesia-Lanzo si ritrova una seconda zona di shear in facies scisti verdi, nota come Scisti di Fobello e Rimella (SACCHI,

1977; SCHMID et al., 1987), i cui protoliti sono rocce appartenenti sia al dominio Sudalpino, sia all’Austroalpino. Negli Scisti di Fobello e Rimella i principali tipi di rocce della Zona Sesia-Lanzo (ortogneiss e paragneiss) sono difficilmente riconoscibili a causa della forte deformazione che li ha trasformati in filloniti a clorite-epidoto o mica bianca- epidoto, interstratificate con gneiss, scisti anfibolitici, lenti di marmo foliato e subordinati scisti grafitici. In Val Loana ancora oggi le peridotiti serpentinizzate

20 vengono sfruttate e commercializzate come Pietra Ollare: sono rocce massive, a grana fine, costituite essenzialmente da serpentino, olivina, tremolite e talco

(CAVALLO et al., 2004a). L’origine degli Scisti di Fobello e Rimella non è ben nota: le miloniti sono probabilmente associate alla fase alpina di back-thrusting, seguita da movimenti trascorrenti destri (SCHMID et al., 1987). Appartengono agli Scisti di Fobello e Rimella alcune varietà di Beola, commercialmente note come Beola Bianca Vogogna e Beola Verde Vogogna (o Quarzite Bianca e Quarzite Verde). La Beola Bianca Vogogna è un ortogneiss, mentre la Beola Verde Vogogna è una metabasite principalmente composta da clorite, epidoto e albite (SANDRONE et al., 2004); la grana è fine nella prima ed estremamente fine nella seconda, caratterizzata da una tipica colorazione verde

(CAVALLO et al., 2004b).

1.3.2 - La Zona Piemontese

E’ un tipico sistema multifalda, costituito da calcescisti e metaofioliti, che separa con continuità le unità Austroalpine dalle sottostanti falde Pennidiche del Monte

Rosa e del Gran San Bernardo (BORIANI, 2000, con riferimenti bibliografici). In Val d’Ossola non è molto rappresentato ed è limitato ad uno stretto livello di anfiboliti.

1.3.3 - Le falde Pennidiche Superiori

Sono costituite da parascisti polimetamorfici e da gneiss occhiadini a composizione granitica, di età carbonifera superiore (isocrona Rb-Sr di 310

Ma), che formano i massicci del Monte Rosa e del Gran Paradiso (BORIANI, 2000, con riferimenti bibliografici). Il Monte Rosa è costituito, nell’area ossolana, da un basamento prealpino con fasi relitte di alta temperatura e da estesi metagranitoidi varisici, caratterizzati da fenocristalli di K-feldspato. Dalla falda del Monte Rosa vengono estratte le varietà di beola commercialmente note come Beola Bianca Beura e Beola Ghiandonata. Esse presentano una grana fine ed una forte lineazione, principalmente riferibile alla

21 disposizione della mica bianca e della tormalina (CAVALLO et al., 2004b). La biotite è rara, così come la clorite e l’epidoto; questi ultimi sono in genere localizzati nelle zone fratturate (CAVALLO et al., 2004b). Sempre nella falda Monte Rosa, in Valle Anzasca, è coltivata una varietà di serizzo (Serizzo Monte Rosa): si tratta di un ortogneiss granitico, che si distingue dalle beole per la presenza di grossi cristalli pluricentimetrici di K-feldspato e la tessitura poco foliata (BIGIOGGERO e ZEZZA, 1997). Una fascia ofiolitica, nota come Zona di Antrona, separa la falda del Monte Rosa dalle sottostanti unità continentali di Camughera e Moncucco-Orselina

(BORIANI, 2000, con riferimenti bibliografici). Nella Valle (ad Antronapiana) e in Val Vigezzo, proprio in corrispondenza di questa fascia ofiolitica, venivano estratte serpentiniti a grana fine e con una marcata foliazione, note come Pietra di Laugera. Il serpentino è associato a magnetite, olivina, tremolite ± epidoto nella Val Bognanco; nelle rocce della Val Vigezzo è anche presente il talco; magnetite, epidoto e carbonati sono caratteristici della varietà di Antronapiana (CAVALLO et al., 2004a).

1.3.4 - Il sistema Pennidico Medio del Gran San Bernardo

E’ il maggiore sistema multifalda della Zona Pennidica, esteso lungo tutto l’arco delle Alpi occidentali, dal Vallese alle Alpi Liguri. Il termine “Brianzonese” viene riservato alle sequenze di copertura ed al dominio paleogeografico ove esse si sono formate. Il Sistema del Gran San Bernardo attraversa l’alta Valle d’Aosta e ricompare in Val d’Ossola, nei lembi più profondi ed interni di Camughera e Moncucco-

Orselina (HERMANN, 1938; AMSTUTZ, 1954, 1971; BOCQUET et al., 1973/74;

KLEIN, 1978). Il sistema radicale Camughera-Moncucco costituisce il nucleo della sezione profonda ed interna della pila di falde Austroalpine, Piemontesi e Pennidiche medio-superiori, esposte tra la Valsesia e l’Ossola sottoforma di unità sottili e retroflesse.

Si tratta della classica “zona delle radici” di ARGAND (1911), meglio definibile con il termine neutro di “steep belt”, che non implica particolari meccanismi di formazione delle falde.

22 Queste unità sono tagliate alla base dalla Linea del Sempione e la loro struttura è deformata dall’antiforme e dalla sinforme di Vanzone.

Seguendo l’interpretazione di BIGIOGGERO et al. (1982-83), il sistema Camughera-Moncucco può essere suddiviso in due elementi strutturali autonomi: l’unità di Camughera, assimilata per analogia litologica al Monte Rosa, e la sottostante unità Moncucco-Orselina-Isorno, ancora attribuibile al San Bernardo. La Zona Moncucco-Orselina-Isorno è costituita da prevalenti parascisti con intercalazioni di ortogneiss granitici, anfiboliti e serpentiniti (BIGIOGGERO et al., 1982-83), metamorfosati in facies anfibolitica. Nelle valli di Brevettola e Anzuno venivano coltivate varietà della cosiddetta Pietra Laugera di colore grigio-verde o verde-marrone scuro, a grana fine, con foliazione leggera o del tutto assente. I minerali dominanti sono talco e tremolite (in cristalli millimetrici o decimetrici), associati alla clorite, con un subordinato contenuto di olivina e serpentino nelle rocce della Val Brevettola e una quantità variabile di carbonati nella varietà di Val Anzuno. Gli ortogneiss derivano da graniti tardovarisici (età dell’intrusione 271 ± 4,8 Ma secondo BIGIOGGERO et al., 1982-83), metamorfosati durante l’evento mesoalpino. Gli ortogneiss della Zona Moncucco-Orselina-Isorno vengono coltivati nei pressi di (località Croppo): si tratta di beole grigie a grana medio-fine con ugual tenore di mica bianca e biotite, entrambe in lamine millimetriche (CAVALLO et al., 2004b). La lineazione mineralogica è presente, ma è meno pronunciata rispetto alle beole della falda Monte Rosa, mentre clorite ed epidoto sono più abbondanti. Sono inoltre frequenti livelli policristallini di quarzo e feldspato, disposti in genere parallelamente alla foliazione principale (CAVALLO et al., 2004b).

23 1.3.5 - Le falde Pennidiche Inferiori

Affiorano nella finestra tettonica dell’Ossola-Ticino, al di sotto della linea del Sempione, faglia distensiva poco inclinata che ne ha favorito il denudamento tettonico (MANCKTELOW, 1985). Dalla seconda metà dell’Ottocento lo studio della geologia dell’area del Sempione ha attirato l’attenzione di numerosi autori, anche per l’interesse suscitato dallo scavo del traforo ferroviario (fig. 7).

Figura 7. Profili geologici lungo la galleria del Sempione (da DESIO, 1985). I = Falda di Antigorio; II = Falda del Lebendun, III = Falda del Monte Leone, IV Falda del Gran San Bernardo. (1: gneiss del Gran San Bernardo; 2: gneiss del Monte Leone; 3: gneiss del Lebendun; 4: ortogneiss di Antigorio; 5: “schistes lustrés”; 6: formazioni triassiche; 7: Massiccio dell’Aar).

SCHARDT nel 1903 realizzò uno studio di dettaglio nell’area e analizzò le venute d’acqua intercettate durante lo scavo del tunnel. In figura 8 è rappresentata una sezione geologico-strutturale da lui disegnata, nella quale si indica la

24 dissoluzione dei gessi come possibile causa (o concausa) delle fratture di trazione nelle soprastanti rocce gneissiche.

Nel 1907 SCHMIDT et al. descrivono dettagliatamente la geologia della Val alla luce dei nuovi dati geologici acquisiti dallo scavo del tunnel. In figura 9 è evidenziata la continuità del contatto tra ortogneiss (in arancio) e calcescisti (in viola), separati da una sottile pellicola di marmi triassici (in giallo); è inoltre visibile la pellicola di Paragneiss del Lebendun (in rosa), che affiora nella zona compresa tra il Dosso e il Pizzo dei Diei.

Figura 8. Sezione geologico-strutturale della zona del Sempione in cui si evidenzia l’effetto prodotto dalla dissoluzione dei gessi nei livelli più profondi, con la formazione di fratture di trazione (da SCHARDT, 1903).

Figura 9. Visione prospettica della zona Alpe Ciamporino-Pizzo dei Diei (da SCHMIDT et al., 1907).

25

Figura 10. Le falde Pennidiche inferiori separate da metasedimenti lungo la sezione del Sempione. ML: Monte Leone, A: Antigorio, V: Verampio, LB: Lebendun (da DAL PIAZ et al, 1980).

Le falde Pennidiche Inferiori erano interpretate come pieghe coricate, separate da sottili sinclinali mesozoiche di calcescisti con limitate intercalazioni ofiolitiche, attribuite in seguito alla zona Vallesana o Nord-Pennidica. Al Mesozoico erano riferiti anche i micascisti granatiferi di Baceno, contenenti alcuni boudins di metabasiti e interposti tra le unità Antigorio e Verampio. In lavori successivi le grandi pieghe isoclinali sono state reinterpretate come strutture secondarie, posteriori alla messa in posto delle falde, e alle unità di Antigorio, Verampio e Lucomagno-Leventina è stata attribuita una pertinenza Elvetica s.l..

Secondo le classiche suddivisioni di ARGAND (1911), la struttura nel settore italiano comprende, dall’alto verso il basso, le falde Monte Leone, Lebendun, Antigorio e il carapace della cupola di Verampio, elemento strutturale più profondo (elemento zero) della catena alpina. - Falda del Monte Leone: rappresenta l’unità stratigraficamente più elevata del Pennidico Inferiore e forma una serie di imponenti vette: Helsenhorn, Cervandone, Punta della Rossa e la cima del Monte Leone. E’ prevalentemente formata da ortogneiss occhiadini, derivati da intrusivi età tardo paleozoici: essi mostrano scistosità più sviluppata rispetto a quelli di Antigorio e talora contengono orneblenda e intercalazioni di anfiboliti. Varietà di questi ortogneiss sono le beole a grana fine contenenti clorite e biotite cloritizzata, note commercialmente come Beola Isorno, Beola Argentea e Beola Favalle

(CAVALLO et al., 2004b). La falda comprende anche altre litologie, come gli scisti polimetamorfici e la massa mafica-ultramafica del Cervandone-Geispfad. In passato, nei pressi di , venivano estratte anche peridotiti serpentinizzate di colore grigio-verdastro, a grana medio-grossa, con tessitura

26 brecciata, costituite prevalentemente da olivina, talco, clorite, serpentino e magnetite (CAVALLO et al., 2004a).

- Sinclinale del Veglia: è costituita da micascisti, calcari, dolomie calcaree.

- Ricoprimento di Lebendun: è formato da paragneiss, metaconglomerati permocarboniferi, marmi triassici e calcescisti del Severo con intercalazioni di lenti di metabasiti. Gli studi su questa unità non hanno a tutt’oggi chiarito alcune problematiche relative a stratigrafia, petrografia e tettonica. A differenza delle altre falde del Pennidico inferiore, il Lebendun manca di una zona di radice: si tende quindi a ritenere che sia una scaglia tettonica costituita da rocce della copertura permo-carbonifera e mesozoica, proveniente forse dal dominio Ultraelvetico e pizzicata entro le falde di Antigorio e Monte Leone.

- Sinclinale del Teggiolo: è costituita alla base da micascisti seguiti da calcari cristallini, dolomie calcaree, micascisti a staurolite + granato + cianite con intercalazioni di lenti di quarziti ricoperte da calcare cristallino, da debolmente a fortemente selcifero fino a marmo saccaroide.

- Falda Antigorio: è costituita unicamente da ortogneiss tardovarisici ± foliati e raggiunge spessori di 1000 metri. La composizione mineralogica dello gneiss di Antigorio è data da quarzo, K- feldspato, plagioclasio (An 25-30%), biotite, muscovite (in quantità variabili) ed allanite come tipico minerale accessorio. Il suo chimismo varia da granitico a granodoritico (HUNZIKER, 1966; JOSS, 1969; BIGIOGGERO et al., 1977) e la sua grana è medio-grossa. Da un punto di vista tessiturale è possibile distinguere almeno tre tipologie con un crescente grado di deformazione (BORIANI, 2000): o un metagranito quasi indeformato, nella parte più alta della falda; o un ortogneiss con tessitura gneissica, che rappresenta il tipo di roccia più , caratterizzato da cristalli di feldspato di dimensioni comprese tra 0,5 e 2 cm; o uno gneiss fortemente foliato e a grana fine, presente alla base e alla sommità della falda. Le varietà commerciali riferibili alla falda di Antigorio sono il Serizzo Antigorio, il Serizzo e il Serizzo Sempione. Il primo mostra una colorazione più

27 scura per il maggior contenuto in biotite e ha grana più fine rispetto al Serizzo Formazza. Al contrario, il Serizzo Sempione, coltivato nella parte meridionale verticalizzata della falda, mostra una tessitura gneissica più pervasiva ed una grana più fine, come risultato di una più marcata deformazione alpina (CAVALLO et al., 2004a).

- Sinclinale di Baceno: è composta da micascisti con sottili intercalazioni di marmo; verso il limite superiore sono presenti calcari cristallini triassici con lenti più o meno estese di quarzo.

- Cupola di Verampio: è l’elemento più profondo della catena e viene interpretata come la prosecuzione meridionale dei massicci elvetici dell’Aar- Gottardo o come il carapace di una Falda Pennidica. E’ costituita da ortogneiss derivati da protoliti granitici tardo-paleozoici.

- Metasedimenti mesozoici: sono un insieme di copertura, costituito da sedimenti calcarei e calcareo-silicei mesozoici, metamorfosati in età alpina e intercalati tra le falde di Antigorio e Monte Leone. Da questi si estraggono i marmi dolomitici di , a grana fine e colorazioni variabili in funzione del contenuto in flogopite, a cui si deve la foliazione, in solfuri o in tremolite (CAVALLO et al., 2004a). Vengono commercializzati nelle varietà Palissandro Bluette, Palissandro Blu Nuvolato, Palissandro Classico e

Palissandro Oniciato (SANDRONE et al., 2004).

1.4 - Evoluzione strutturale duttile

L’evoluzione strutturale delle falde Alpine è estremamente complessa ed oggetto di continuo dibattito da parte della comunità scientifica.

Durante l’evento alpino vi furono sicuramente diverse fasi deformative (GRUJIC e MANCKTELOW, 1996). La prima fase (D1) è legata a molteplici processi geologici che formarono le falde di basamento e di copertura a vergenza europea. Numerose misure radiometriche consentono di datare le tappe principali di questa storia evolutiva: la fase prograda si sviluppa tra 130 e

100/90 Ma e quella decompressionale da 90 a 65 Ma circa (HUNZIKER e

MARTINOTTI, 1987). Durante questa fase si sviluppano zone di taglio negli ortogneiss del Pennidico Inferiore (Antigorio), che assumono un fabric

28 milonitico. Nelle sequenze oceaniche, nelle unità Pennidiche Superiori e nel dominio Austroalpino la fase deformativa D1 è associata ad un meccanismo di esumazione delle unità, che è stato spiegato con il modello del prisma di accrezione da PLATT (1986). La fase D1 è poco preservata alla mesoscala e i relitti strutturali più comuni consistono nella trasposizione delle cerniere di piega.

La seconda fase deformativa (D2, mesoalpina) è riferibile alla chiusura dell’oceano ligure-piemontese e alla collisione continentale, che provoca il secondo evento metamorfico e nuove deformazioni duttili. Nell’Ossola-Ticino esso raggiunge la facies anfibolitica, talora al limite dell’anatessi, con temperature dell’ordine di 550-650 °C e pressioni di 5-7 kbar (DAL PIAZ, 1992).

La deformazione duttile è responsabile della foliazione più pervasiva S2 (foliazione di piano assiale) ed ha generato una complessa serie di pieghe isoclinali che hanno coinvolto sia il basamento che le rocce di copertura (fig. 11b). Gli stessi contatti fra le unità vengono piegati: è quindi evidente che l’evento D2 è successivo all’impilamento delle falde.

La fase deformativa D3 è tardo-alpina ed è riferibile al sollevamento della catena alpina a falde e al back thrust nel Sudalpino (fig. 11c): a questa fase sono riferibili piegamenti a grande scala, come l’antiforme di Vanzone a Sud, e lo sviluppo di una struttura a “duomo”, localizzata a Baceno, a Nord.

La modificazione generale della foliazione S2 ha determinato la formazione di pieghe serrate nel margine meridionale del “duomo”: ne risulta una foliazione subverticale nei pressi di , che immerge verso nord lungo il margine meridionale della struttura (“zona di radice” autoctona).

29

Figura 11. Schema delle fasi della deformazione alpina (da CAVALLO et al., 2004a).

1.5 - Evoluzione cinematica recente delle Alpi nordoccidentali

Alla fine dell’intervallo Cretacico-Terziario, dominato da una fase collisionale e subduttiva delle placche europea e africana, le Alpi continuano la loro storia evolutiva con una complessa rigenerazione fragile. A seguito di questa, le pile di unità tettoniche costituenti le Alpi Pennine e Graie vanno a costituire un blocco continuo, omogeneamente deformato e delimitato da fasce laterali ad alta deformazione.

BISTACCHI et al. (2000) individuano quattro zone di confine (fig. 12): a nord est, la faglia normale del Sempione (immergente a SW), a nord e a sud-ovest il sistema trascorrente destro costituito dalle faglie del Rodano, di Chamonix e dai sovrascorrimenti frontali riattivati del pennidico e del brianzonese ed infine, a sud-est, la faglia trascorrente sinistra dell’Ospizio Sottile di recente scoperta. La struttura così delimitata risulta dislocata da una complessa rete di faglie e fratture, di cui la più importante è il sistema trascorrente est-ovest dell’Aosta- Ranzola, che indicano una generale estensione delle Alpi Occidentali lungo una direttrice NE-SW.

30

Figura 12. Schema tettonico delle Alpi Nord Occidentali con i principali lineamenti fragili oligocenico-neogenici (da BISTACCHI et al., 2000a). Il riquadro rosso indica l’area in studio. EF - Avampaese Europeo, G - Giura, HD - Elvetico-Delfinese, PN - Pennidico, AU - Austroalpino, SA - Sudalpino. Dominio Elvetico: H - falde di copertura, A - Aar, AR - Anguille Rouge, BE - Belledonne, MB - Monte Bianco. Pennidico: LP - Pennidico inf., MP - Pennidico medio, P - Ofioliti piemontesi, MR - Monte Rosa, GP - Gran Paradiso. Austroalpino: DB - Dent Blanche, SL - Sesia- Lanzo. Sudalpino: L - Crosta Inferiore, M - Crosta Media, C - unità di copertura vulcano- sedimentarie.

L’interpretazione delle foto satellitari evidenzia come faglie e fratture fragili ad alto angolo si concentrino in tre famiglie con direzioni NE-SW, NW-SE e E-W; l’analisi di terreno, inoltre, mostra chiaramente che esse postdatano l’ultima foliazione regionale in facies scisti verdi e tutte le altre deformazioni duttili

(MILNES et al., 1981). Dai rapporti di intersezione a scala regionale si possono distinguere due principali fasi di tettonica fragile: - la fase D1, legata ad un’estensione oligocenica con direttrice NO-SE e sviluppatasi nell’area della Val d’Aosta lungo tre principali set di faglie: il sistema Aosta-Ranzola, diretto E-O ed immergente a nord di 60°-70°, e i due sistemi uniformemente distribuiti di faglie coniugate, dirette NE-SO e immergenti verso NO e SE;

31 - la fase D2, sviluppatasi dal Miocene ad oggi, caratterizza l’assetto spaziale del blocco delle Alpi Pennine e Graie con l’evoluzione a NO della faglia del Sempione e a NO e SE di due zone trascorrenti di confine, a fasi alterne transpressive e transtensive. Queste zone di confine sono caratterizzate da molte discontinuità preesistenti e riattivate nel Miocene sotto nuove condizioni di stress come zone di taglio trascorrenti. In definitiva, l’evoluzione delle Alpi Occidentali può essere spiegata mediante: o un processo di basculamento dell’intera pila di falde pennidiche attorno ad un asse orizzontale diretto NS; o un’estensione verso SO dell’intero blocco delle Alpi Pennine e Graie durante il Miocene-Pliocene; o un generale regime compressivo (indicato da dati sismici), con una rotazione degli assi P perpendicolari all’asse della catena; o un movimento trascorrente e transpressivo con un asse P diretto a NO-SE. In questo quadro la linea del Sempione rappresenta un’importante struttura alpina, marcata dallo sviluppo di una fascia di deformazione duttile-fragile che è testimoniata dalla presenza di miloniti e cataclasiti. La linea del Sempione è comunemente descritta come una faglia a basso angolo, immergente a SO, che taglia e rigetta ad ogni scala tutte le strutture tettoniche fragili e duttili preesistenti.

32 2 - CENNI SULLA STORIA E SULL’ESTRAZIONE DEI LAPIDEI ORNAMENTALI DELLA PROVINCIA DEL VCO

2.1 - Notizie ed usi storici dei lapidei ossolani

L’attività mineraria in Val d’Ossola è stata in passato fondamentale per l’economia locale ed importante anche a livello nazionale e il quadro giacimentologico dell’area è molto vario ed interessante, come testimoniato da una vasta letteratura (MASTRANGELO et al., 1983, con riferimenti bibliografici).

Figura 13. Carta metallogenica della Provincia del VCO da MASTRANGELO et al., 1983 (modificata).

La progressiva chiusura delle miniere a partire dalla metà del 1900 ha determinato un maggior interesse dell’attività estrattiva per i materiali litoidi, offrendo un’occasione di riscoperta di culture e tradizioni plurisecolari altrimenti disperse (NERI, 1995). Le radici di questa attività, nata in epoca romana e sviluppatasi nel Medioevo, sono alla base della creazione di un’antica operosità artigiana che si è

33 tramandata come patrimonio tradizionale delle popolazioni locali, consentendo fino a giorni nostri lo sfruttamento di una risorsa fondamentale per l’edilizia civile, funeraria e monumentale. La pietra in Ossola è stata da sempre un sostituto del legno: chiunque avesse voluto costruire un’abitazione o un muro a secco poteva disporre delle pietre dalle proprietà comunali, nei luoghi stabiliti dai consoli (usi civici); l’esercizio di questo diritto era impedito ai forestieri i quali dovevano, per usufruirne, pagare una quota stabilita alla comunità. Non bisogna però dimenticare che le pietre ornamentali ossolane, per la loro bellezza e per la loro caratteristiche tecniche, non sono state impiegate solamente per la produzione di manufatti locali ma, al contrario, si sono affermate sia sui mercati nazionali, che in quelli esteri soprattutto per rivestimenti, pavimentazioni e arredo urbano. L’atto più antico che riguardi le cave e le pietre ornamentali ossolane è quello con il quale il duca Gian Galeazzo Visconti autorizzò nel 1387 l’escavazione del marmo necessario alla costruzione del Duomo di Milano dalla montagna sovrastante Candoglia (LAZZARINI, 1995). Le pietre ossolane hanno rivestito quei ruoli strutturali e decorativi svolti altrove dal cotto: le beole sono state utilizzate per la copertura dei tetti e per le pavimentazioni (DEMATTEIS, 1985) e il Serizzo per la muratura di quasi tutte le chiese della Valle Antigorio e dell’Ossola Superiore (NERI, 1995). Se con le “pietre” locali fu costruita tutta l’edilizia storica ossolana, usando la Beola come copertura e il Serizzo come massello, non si deve dimenticare che vengono qui coltivati anche marmi di grande pregio, utilizzati nelle costruzioni monumentali di importanti città. Si ricorda tra questi, oltre al già citato marmo di Candoglia, il marmo di Crevola, usato già in epoca romana e nel XIV secolo per l’edificazione del Duomo di

Pavia (VAGO e ZEZZA, 2000). Il granito di Baveno venne utilizzato nei primi dell’Ottocento per colonne, zoccolature, scalinate e portali. Particolare importanza rivestono nella commercializzazione della pietra ossolana il fiume Toce e la rete dei navigli che hanno permesso il trasporto dei pesanti blocchi fino a città relativamente lontane come quelle piemontesi e soprattutto lombarde (Milano, Pavia).

34 Milano è la città che mostra un maggior utilizzo di materiali ossolani e in cui si osserva anche l’uso di materiali differenti in periodi diversi. L’uso congiunto di laterizi e Serizzo si ritrova principalmente durante l’età Comunale in varie chiese come quella di S. Ambrogio, S. Simpliciano, S. Eustorgio, nel Palazzo della Ragione e nell’ormai distrutta Chiesa di S. Maria di Aurona. L’impiego del Serizzo nella Porta Nuova, nella Porta Ticinese e nella costruzione della Casa Borromeo ha età Viscontea e quello dei graniti si sviluppa già durante l’età Spagnola (XVII° secolo) soprattutto per le colonne: ne sono esempi il porticato del Lazzaretto, il cortile di Brera, il Senato, il Seminario di corso Venezia e l’ Ospedale Maggiore (oggi sede dell’Università Statale). Il Granito Rosa di Baveno è presente anche in molte altre città italiane: a Torino fornì la base di quasi tutti i monumenti eretti a partire dalla seconda metà dell’Ottocento (a Vittorio Emanuele II, Emanuele Filiberto, D’Azeglio, Cavour, Garibaldi, ecc.) ed è stato largamente utilizzato nelle colonne di Via Roma, Via Sacchi, Corso Vittorio Emanuele II e di Palazzo Carignano; a Roma lo si può apprezzare nelle colonne esterne della Basilica Lateranense. Sono di questo granito anche la gradinata e due colonne nella controfaccia del Duomo di Milano. Nel territorio piemontese il settore lapideo assorbiva una notevole quantità di manodopera: al censimento del 1901 risultavano in Ossola ben 15.694 addetti

(CASALIS, 1979). Lo spirito di imprenditorialità e la tenacia spinsero molti ex-dipendenti ad aprire nuove attività estrattive, attirati certamente dai profitti, ma anche dalla possibilità di crescita sociale, determinando così la nascita di nuove piccole imprese. A partire dal secondo dopoguerra, si ha una grande crescita del settore e, grazie anche allo sviluppo dei trasporti, i lapidei ossolani hanno raggiunto i luoghi più disparati e più lontani della Terra: nelle metropolitane di Bruxelles e Singapore i rivestimenti sono in Serizzo, così come la pavimentazione dell’aeroporto di Francoforte, mentre per quello di Amsterdam è stata usata la Beola bianca. Il celebre monumento di Cristoforo Colombo di New York e il Palazzo Reale di Bangkok sono stati realizzati con il granito rosa di Baveno, mentre in Arabia Saudita sono stati usati materiali ossolani per la costruzione di una importante

35 scultura per l’UNICEF, edificata con 27 tonnellate di marmo di Crevola e intitolata “L’uovo della pace” (SEGRE e NERI, 1995), e per la pavimentazione dell’area circostante.

2.2 - Tipologie delle cave e loro coltivazione

2.2.1 - Generalità

Si definisce cava un cantiere di estrazione con mezzi idonei di materiale di seconda categoria, ai sensi del R.D. 29 luglio 1927 n. 1443, da un giacimento secondo un programma spazio-temporale amministrativamente e tecnicamente autorizzato, economicamente giustificato e tale da consentire altresì un accettabile recupero ambientale del sito al termine dei lavori (FORNARO et al., 2002a). In relazione all'estrema diversità dei giacimenti, della loro topografia e delle esigenze di produzione, le cave possono assumere configurazioni molto variabili; tuttavia, pur tenendo conto dei caratteri particolari di ogni singola situazione estrattiva, è possibile tracciare un quadro classificativo generale. La principale suddivisione operata è tra cave "a cielo aperto" e cave "in sotterraneo". Le prime possono a loro volta essere divise in cave di pianura (a pozzo o a fossa) e cave di monte (a mezza costa, di culmine o a fossa/pozzo). Non di rado una coltivazione in sotterraneo rappresenta l'evoluzione di una precedente coltivazione a cielo aperto. Con le debite differenze tra l'ambiente a giorno e il sotterraneo, è sempre possibile identificare nelle cave una struttura generale. Sia nell'una che nell'altra condizione in una cava si possono distinguere (PRIMAVORI, 1999):

- il/i fronte/i in lavorazione; - il/i fronte/i in allestimento; - il/i piazzale/i; - un'area riquadratura blocchi; - un'area stoccaggio blocchi; - un’area movimentazione; - un'area di discarica;

36 - una o più zone con infrastrutture (per l'acqua, per l'energia elettrica, officina, ricovero mezzi, spogliatoio, mensa, ecc.) - le macchine e le attrezzature per la produzione. o Fronte/i in lavorazione, fronte/i in allestimento e piazzale vengono considerati congiuntamente in quanto strettamente correlati tra di loro. Ciò non è sempre vero poiché, ad esempio, alcune cave possono avere un fronte in allestimento lontano da quello in lavorazione, o il piazzale può essere molto più in basso rispetto alla zona in cui si sta lavorando; tuttavia, nella maggioranza dei casi, le tre zone sono contigue. Configurazioni particolari si hanno nelle cave in sotterraneo, nelle quali fronti e piazzali assumono un significato diverso. La geometria delle cave a cielo aperto può essere a fronte unica o a gradoni: questi sono generalmente limitati da una superficie subverticale (alzata) e da una superficie orizzontale, ma talora anche inclinata (pedata), che spesso si identifica con un piazzale. Il piazzale è la zona della cava dove si svolgono, o comunque confluiscono, tutte le attività: isolamento e ribaltamento delle bancate rocciose, movimentazione dei blocchi, trasporto delle attrezzature e, spesso, caricamento dei blocchi sugli automezzi. Non di rado sul piazzale viene anche eseguita la riquadratura. Nelle cave a più gradoni fungono spesso da piazzale le pedate di molti gradoni, ma altrettanto frequentemente vi è un piazzale principale alla quota più bassa della cava. o Area riquadratura blocchi: è generalmente conveniente adibire una zona della cava a questa specifica operazione per evitare interferenze tra le varie operazioni e per favorire la sicurezza. o Area stoccaggio blocchi: analogamente all'area di riquadratura, l'area di stoccaggio blocchi fa spesso parte del piazzale principale; tuttavia, nelle cave a produzione elevata, l'accumulo dei blocchi sui piazzali può essere di ostacolo alle movimentazioni. o Movimentazione: la movimentazione in cava è ubiquitaria. Per questo motivo occorre collocare le tubazioni dell’aria e dell’acqua e le linee elettriche in zone opportune, porre le dovute attenzioni ai cavi stesi ed eventualmente riservare una zona riparata per il ricovero dei mezzi. o Area di discarica: è il luogo, di ubicazione ed estensione molto variabili, dove vengono collocati gli scarti dell'estrazione.

37 o Zone con infrastrutture: ogni cava necessita di acqua, di energia e di infrastrutture. L'approvvigionamento di acqua può avvenire da acquedotto, da serbatoi, da sorgenti; il fabbisogno di energia elettrica può essere coperto mediante allacciamento a cabina elettrica o da un generatore autonomo; la produzione di aria compressa, in funzione delle necessità, è demandata a motocompressori o elettrocompressori. Molte cave dispongono poi di officina per le manutenzioni, di spogliatoio e mensa per il personale, di eventuali ricoveri per i macchinari e di un ufficio. o Macchine e attrezzature per la produzione: vi sono infine tutte le macchine e le attrezzature necessarie alla produzione; esse sono molto variabili a seconda del tipo di cava, del materiale estratto e della tattica di coltivazione. Ovviamente questa suddivisione generale è valida solo per le cave più grandi in cui i cicli produttivi sono più complessi; nella maggior parte dei casi le varie aree possono essere accorpate tra di loro o addirittura assenti. Il metodo di coltivazione è la strategia della coltivazione della cava, studiata in relazione alla situazione giacimentologica, litostratigrafica, geomorfologica, topografica e ambientale e della capacità aziendale. Esso definisce progettualmente la successione spazio-temporale delle operazioni di cava necessarie per l’esaurimento del giacimento con i mezzi tecnici a disposizione. I mezzi di scavo, abbattimento e movimentazione, che possono tuttavia condizionare all'origine anche le scelte strategiche, rappresentano la tattica

(FORNARO et al., 2002a).

38 2.2.2 - Tipologia delle cave nella Provincia del VCO

La quasi totalità delle cave ossolane è coltivata a cielo aperto a mezza costa, a quote variabili dai 200 ai 1300 metri. Attualmente solo due cave, entrambe di marmo, si sviluppano in sotterraneo: la più nota è la cava Madre di Candoglia nel Comune di Mergozzo; l’altra, attualmente inattiva, è situata nel Comune di Ornavasso ed il materiale estratto

è noto in commercio come Rosa Valtoce (REGIONE PIEMONTE, 2000a).

Il metodo di coltivazione prevalente nelle cave di gneiss (CARDU et al., 2000;

SANDRONE et al., 2000; LOVERA et al., 2001) è per ribassi dalle quote superiori, operando per trance impostate sulla pioda, la cui giacitura varia da suborizzontale a subverticale (cfr. fig. 16). Gli aspetti della sicurezza statica (stabilità dei fronti di roccia) condizionano fortemente le scelte tecniche di coltivazione e la stessa gestione ed organizzazione dei cantieri produttivi, imponendo talvolta consolidamenti (ancoraggi, tirantature) e protezioni (barriere e trincee). Le bancate, generalmente coltivate a gradoni, hanno mediamente la potenza di qualche metro: questa dimensione è spesso legata ai piani di discontinuità (detti pioda) riferibili alla foliazione ed utilmente sfruttati per il distacco al piede. La coltivazione di ogni bancata inizia con la creazione di una trincea (“testa”), da cui proseguire con il taglio di fette di lunghezze variabili, in funzione dello stato di fratturazione, e di altezze variabili, secondo la potenza del banco. Il metodo di coltivazione generalmente adottato prevede un progressivo abbassamento della quota del piazzale di cava: quando questo raggiunge la quota minima prevista, il fronte viene arretrato, scoprendo una nuova fetta a monte e procedendo poi con successivi ribassi. L’arretramento del fronte comporta di solito importanti lavori di preparazione e produzioni cospicue di sterili per la scopertura dei banchi utili: questa operazione viene perciò spesso realizzata organizzando preventivamente lo smaltimento dello scarto, ad esempio utilizzandolo per costruzioni di difese spondali ed evitando così l’esaurimento delle discariche di esercizio ordinario.

39 2.3 - Tecnologie di distacco e taglio dei blocchi Conformemente ad una prassi diffusasi nelle cave di pietra ornamentale silicea da oltre un decennio, il distacco e taglio dei blocchi avviene spesso con la tecnica mista del filo diamantato ed esplosivo. Il taglio continuo con tagliatrici a filo diamantato viene utilizzato per lo più solo per la creazione della testa, mentre per il distacco della fetta di bancata dal monte si usa solitamente l’esplosivo. La perforazione dei fori da mina è effettuata generalmente con martelli perforatori pneumatici montati su tagliablocchi; il diametro dei fioretti è solitamente di 34 mm e la lunghezza dei fori corrisponde all’altezza della bancata da staccare, variabile da giacimento a giacimento.

Figura 14. Operazioni di perforazione in una cava di Serizzo: riquadratura dei blocchi (in basso a sinistra) e tagliablocchi posizionata per perforare la volata di distacco dal monte (al centro).

Il consumo specifico di esplosivo, dedotto a consuntivo su base annua, varia da 200 a 400 g di esplosivo e da 15 a 20 m di miccia detonante per m3 di materiale commerciabile e comprende anche il consumo relativo ai lavori di preparazione.

40 I fori da mina, complanari e rigorosamente paralleli, hanno interasse di 20-30 cm, cioè multiplo di 6-8 volte del diametro del foro. La carica è costituita da miccia detonante a grammatura standard (12 g di pentrite per metro lineare) e polvere nera a fondo foro in quantità di qualche decina di grammi per ogni m3 da abbattere: la prima ha la funzione di provocare il taglio e la seconda di spingere la bancata; il borraggio è normalmente ad acqua. Per il distacco al piede solitamente si sfruttano le discontinuità naturali di “pioda”; solo nei casi in cui la superficie di pioda non sia continua o sia irregolare sono necessarie mine di rilevaggio, generalmente perforate con interasse di 30-50 cm e complanari con la pioda.

Figura 15. Volata predisposta per il distacco dal monte di una fetta di bancata in una cava di Serizzo. Si noti sulla destra la superficie libera creata dalla testa.

Il materiale abbattuto viene ridotto sul posto a dimensioni tali da poter essere trasportato o immesso direttamente sul mercato: questa operazione prende il nome di riquadratura e viene eseguita con esplosivo e modalità analoghe a quelle seguite per il distacco dal monte. La carica è però a sola miccia detonante con minore grammatura.

41 La movimentazione dei blocchi e delle attrezzature è tradizionalmente eseguita con gru fisse (derrick): esse diventano indispensabili nei casi in cui l’acclività impedisca la realizzazione di rampe di servizio che colleghino i cantieri con il piazzale. Le caratteristiche geo-strutturali delle cave e le conseguenti differenze nelle geometrie (FORNARO et al., 2002c) influenzano i consumi di esplosivo, di energia elettrica e di gasolio.

Nel 2002 FORNARO et al. (c) propongono un confronto tra le realtà estrattive di gneiss di Luserna e della Provincia del Verbano Cusio Ossola sulla base dei dati raccolti nell’anno 1997. Dallo studio emergono consumi più elevati di gasolio nelle cave di Serizzo sia nei valori medi (30%), sia in termini di consumo specifico (10%). Il consumo specifico di polvere nera è di 0,075 kg/m3 per la Beola, mentre si dimezza per il Serizzo (0,037 kg/m3); quello della miccia detonante è di 3,95 m/m3 per la prima e raddoppia per il Serizzo (6,93 m/m3).

Polvere nera Miccia detonante Altri esplosivi ] ] ] 3 3 3 [m/a] [m/a] [kg/a] [kg/a] [kg/a] [kg/a] Medio Medio Medio [m/m [kg/m [kg/m Litotipo Specifico min [m/a] [m/a] min Specifico Specifico Max [m/a] Max[kg/a] min [kg/a] min [kg/a] min [kg/a] min [kg/a] Max [kg/a] Max [kg/a]

Beola 299 10 1500 0,075 15.809 400 59.350 3,95 44 0 210 0,011

3.00 Serizzo 221 0 750 0,037 41.513 172.800 6,93 80 0 435 0,013 0

Tabella 2. Valori dei consumi di esplosivo nelle cave di Beola e Serizzo relativi all’anno 1997 (da FORNARO et al., 2002c).

Le discrepanze nei consumi sono da ricercarsi, oltre che nella differente situazione giacimentologica, anche nei differenti stadi di avanzamento delle cave dei due materiali: nella fattispecie molte cave di Serizzo sono di recente apertura e ciò probabilmente determina un maggior consumo di esplosivo utilizzato per le operazioni di scopertura e/o per la realizzazione delle piste di accesso.

42 2.4 - Cenni sugli impianti di trasformazione dei materiali lapidei

Con il termine trasformazione si intende il complesso delle operazioni da eseguire sui prodotti di cava per ottenere semilavorati e lavorati destinati all'impiego definitivo nei vari campi di applicazione (PRIMAVORI, 1999). Un tipico impianto di trasformazione è costituito da un’area di stoccaggio delle materie prime (blocchi) e dei prodotti finiti, un’area di installazione dei macchinari di trasformazione e movimentazione ed infine un’area comprendente gli uffici tecnici ed amministrativi. Nel bacino del VCO tutta la Beola e gran parte del granito e del marmo sono lavorati sul posto, mentre due terzi del Serizzo vengono commercializzati in forma grezza e prendono, in larga maggioranza, la via della segherie veronesi per essere successivamente esportati in Germania.

ORIGINE DESTINAZIONE Locale 43.847 18.471 [m3] Regionale 760 11.070 [m3] Nazionale [m3] 4.148 16.931

Internazionale 4.121 4.545 [m3]

Tabella 3. Import-export dei materiali lavorati nei laboratori del VCO (da DINO et al., 2003).

Il numero complessivo di impianti nella Provincia supera il centinaio con un numero di addetti per ciascuno variabile da 2 a 40; vengono prevalentemente prodotte lastre (75%), blocchi squadrati (20%) venduti poi ad altri laboratori, “mosaico” e cordoli.

43 2.5 - Cenni sui problemi di stabilità dei fronti di cava nei differenti contesti giacimentologici

Lo scopo primario del processo produttivo in una cava di lapidei è la produzione di blocchi commerciali, in grado di soddisfare precisi requisiti dimensionali ed estetici. Il metodo di coltivazione deve inoltre assicurare la stabilità degli ammassi rocciosi a lungo termine e garantire la conduzione delle operazioni di cava nella massima sicurezza. L’impostazione e la coltivazione di una cava sono in primo luogo condizionate dalla giacitura di un piano di divisibilità preferenziale (“pioda”), che nelle rocce metamorfiche coincide con la foliazione. Sulla base della sua disposizione i giacimenti possono essere classificati in subverticali, a reggipoggio, a franapoggio, suborizzontali (CARDU et al., 2000) e tutte queste tipologie sono rappresentate nel territorio ossolano (COMPAGNONI et al., 1991), come si può vedere in figura 16. Nei bacini di estrazione del Serizzo Formazza e Sempione, situati nei Comuni di , Formazza, Trasquera, la pioda è suborizzontale: la configurazione delle cave è con piazzale a mezza costa e fronti pressoché verticali, di altezza variabile fino a qualche decina di metri. In questa situazione i problemi di stabilità derivano dall’intersezione dei giunti associati alla scistosità con sistemi di fratture subverticali (K1 e K2) che, liberando lateralmente i blocchi, creano condizioni cinematiche in cui possono prodursi crolli e ribaltamenti; questi sono responsabili di morfostrutture di parete quali tetti o diedri, facilmente individuabili nell’intorno di cava o nelle porzioni sommitali dei fronti (fig. 17).

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Figura 16. Tipologie di giacimenti distinti in funzione della giacitura della foliazione (scala 1:500.000).

La scistosità mostra inclinazioni superiori a 30° nel Comune di , dove i giacimenti sono a reggipoggio lungo il versante orografico sinistro del Fiume Toce e a franapoggio lungo il versante opposto; situazioni analoghe si riscontrano anche nelle cave site nei Comuni di e Crevoladossola (fig. 18), in cui prevalgono giacimenti a franapoggio (versante orografico destro del Torrente Diveria).

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Figura 17. Parete limitrofa al fronte di cava in cui sono riconoscibili i tetti generati all’intersezione della scistosità (suborizzontale) con i giunti subverticali.

Figura 18. Cava di Serizzo a reggipoggio nel Comune di Varzo.

46 Nelle cave di marmo di Crevola e di beola la pioda ha giacitura subverticale e, poiché normalmente la bancata viene coltivata in direzione, la morfologia delle cave è a trincea con un lato a reggipoggio e l’altro a franapoggio con la stessa inclinazione del pendio (figg. 19 e 20). Sul primo lato si possono produrre ribaltamenti, la cui causa scatenante è spesso la spinta idraulica conseguente a precipitazioni intense (fig. 19a), e sull’altro lato crolli per rottura flessionale al piede dei fronti (fig. 20). I rischi di instabilità possono essere attenuati con interventi sulla geometria del fronte (fig. 19b), la realizzazione di opere di drenaggio, in grado di ridurre la pressione idraulica in caso di pioggia, e la bullonatura delle bancate.

Figura 19. Schematizzazione di configurazioni geometriche differenti: instabile (a), stabile (b).

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Figura 20. Cava di Beola nel Comune di Trontano: asportazione di materiale a seguito della rottura flessionale al piede del fronte ancora in condizioni di parziale instabilità.

48 3 - GESTIONE TERRITORIALE DELL’ATTIVITÀ ESTRATTIVA

3.1 - Premessa

Negli ultimi decenni l’attività di cava ha assunto un carattere industriale con profonde trasformazioni sia all’interno del comparto, sia nella normativa che la regolamenta. Dal punto di vista normativo, il D.P.R. 616/77 ha affidato alle neonate Regioni la competenza amministrativa di diverse materie loro spettanti secondo l’art. 118 della Costituzione, ma fino a quel momento ancora esercitate dallo Stato. Fra le funzioni attribuite figura l’attività estrattiva di cava, materia su cui la Regione Piemonte è intervenuta con la L. 69/78, rubricata “Coltivazione di cave e torbiere”, che assoggetta le cave ad un provvedimento autorizzativo rilasciato dal Comune, previo parere non vincolante espresso dalla Commissione Tecnico-Consultiva Regionale. Con la L. 59/97, “Delega al governo per il conferimento di funzioni e compiti alle Regioni ed agli Enti locali”, meglio conosciuta come “legge Bassanini”, viene avviato il conferimento agli enti locali della gestione amministrativa di materie prima attribuite dallo Stato alle Regioni, tra le quali le cave. La normativa statale è stata successivamente completata con la L.R. 44/00, in base alla quale le Province predispongono Piani di Settore dell’attività estrattiva congruenti con le linee di programmazione stabilite della Regione; l’autorizzazione alla coltivazione di cava viene rilasciata al richiedente dal Comune ove il sito estrattivo è situato, secondo quanto deciso dalla Conferenza dei Servizi istituita da ogni Provincia ai sensi dell’art. 14 della L. 241/90. Oltre a questa normativa, sono presenti alcune disposizioni volte alla tutela di specifici aspetti territoriali, che a questo scopo sottopongono alcune attività estrattive a determinati limiti e prescrizioni. Si tratta dei cosiddetti “vincoli pubblicistici”, posti all’interno di determinate aree ai fini della loro tutela ambientale o paesaggistica, o della sicurezza. In particolare la normativa di riferimento è costituita da: o la L.R. 45/89, “Nuove norme per gli interventi da eseguire in terreni sottoposti a vincoli idrogeologici”, che individua le aree idrogeologicamente vulnerabili e sancisce la necessità del rilascio del nulla osta da parte della

49 Provincia per tutti gli interventi che comportano la modificazione e lo sfruttamento del suolo; o il D.lgs. 490/99, “Testo Unico delle disposizioni legislative in materia di Beni Culturali e Ambientali”, che è volto alla tutela delle aree di particolare pregio paesaggistico e ambientale e disciplina tutte le opere e gli interventi che introducono modifiche nel contesto ambientale, come già previsto nelle leggi 1497/39 e 431/85 (cosiddetta “legge Galasso”). Va ricordato che di recente il D.lgs. 490/99 è confluito nel D.lgs. 42/04, denominato “Codice dei beni culturali e ambientali”, che raccoglie in un unico testo tutte le norme in materia senza che vengano apportati sostanziali cambiamenti nella disciplina. La valutazione della compatibilità degli interventi è regolamentata dalla Valutazione di Impatto Ambientale (VIA), una procedura prescritta con leggi che definiscono le opere obbligatoriamente sottoposte a valutazione, disciplinano i procedimenti amministrativi per l’autorizzazione dei progetti e stabiliscono i contenuti degli Studi di Impatto Ambientale (SIA). In Piemonte le attività estrattive da sottoporre alla procedura di valutazione e compatibilità ambientale sono, in generale, disciplinate dalla L.R. 40/98. Per quanto riguarda l’evoluzione del comparto estrattivo si riporta a titolo di esempio la tabella 4, che evidenzia gli incrementi verificatesi in un decennio nel numero di cave e soprattutto nei volumi abbattuti, nella produttività e nel grado di meccanizzazione, strettamente legato quest’ultimo agli investimenti effettuati.

Abbattuto totale Sup.media cave Dipendenti/ Abbattuto/cava Numero cave 3 3 [m /a] [ha] cava [m /cava]

1987 1997 1987 1997 1987 1997 1987 1997 1987 1997

Beola 15 16 20.000 63.937 0,8 1,12 3 2,5 1.300 3.996

Serizzo 24 45 80.000 269.555 1,7 3,15 2,25 3,77 3.300 5.990

Produttività (Escavatori + 3 Derrick/cava Escavatori/cava Pale/cava [m /operaio] pale) / cava

1987 1997 1987 1997 1987 1997 1987 1997 1987 1997

Beola 430 1.827 0,47 0,5 0,26 1,4 0,93 1,44 1,19 2,81

Serizzo 1.470 2.042 0 0 0,42 1,1 0,71 1,02 1,13 2,08

Tabella 4. Evoluzione dal 1987 al 1997 di alcuni parametri relativi alla produttività (da FORNARO et al., 2002c).

50 Nel contempo è stata sempre più avvertita l’esigenza di conciliare la tutela del territorio e dell’ambiente con le esigenze occupazionali e produttive mediante la pianificazione territoriale, operata ad esempio con il Documento di

Programmazione delle Attività Estrattive (DPAE) (REGIONE PIEMONTE, 2000b) e il Piano dell’Attività Estrattiva Provinciale (PAEP) di Torino e Asti. Inoltre la mole di informazioni necessarie per descrivere e gestire il settore e la loro variabilità nel tempo, unitamente ai progressi e alla diffusione dei metodi informatici, ha già indotto alcune Amministrazioni quali la Regione Lombardia, il Comune di Carrara e la stessa Regione Piemonte a dotarsi di banche dati dedicate. Nella Regione Piemonte è operativa da qualche mese la Banca Dati dell’Attività Estrattiva (BDAE), la cui struttura è riportata nell’Allegato B. In estrema sintesi, le informazioni gestite sono suddivise in tre archivi denominati “Anagrafica delle Imprese”, “Attività Estrattive” e “Rilevamenti statistici al fine di predisporre una relazione annuale per l’ISTAT” e sono esclusivamente di contenuto alfanumerico. La banca dati oggetto della tesi, concepita oltre un anno prima che la BDAE diventasse operativa, si è proposta di sostituire nella maggior misura possibile l’archivio cartaceo delle pratiche autorizzative conservate presso l’Amministrazione Provinciale e di integrare le informazioni in una cartografia tematica digitalizzata. In particolare, le tipologie di informazioni archiviate coincidono con quelle della BDAE per quanto riguarda gli aspetti amministrativi, mentre sono state molto ampliate quelle concernenti la geologia, la geomorfologia e l’idrogeologia. Si è inoltre scelto di trascurare gli aspetti relativi all’operatività delle cave (macchine, potenza installata, produzione, ore lavorate), perchè non desumibili dagli elaborati progettuali archiviati, e le problematiche estranee al contesto geo-giacimentologico provinciale (ad esempio interferenza con la falda).

3.2 - Introduzione al Sistema Informativo Territoriale

Il Sistema Informativo Territoriale (SIT) o Geographical Information System (GIS) è un sistema che permette di analizzare e gestire dati relativi ad oggetti presenti sul territorio.

51 Da molti anni i SIT trovano applicazione in diversi campi quali pianificazione territoriale, studio dei sistemi vegetazionali (ecosistemi), prevenzione di incendi, studio di movimenti di terra e altri ancora (PEQUET e MARBLE, 1990) e a scale che variano dal territorio di un’intera nazione a quello di un singolo centro abitato, nel caso ad esempio di applicazioni catastali. Un SIT può essere così definito: o insieme di indicatori georeferenziati, la cui posizione è cioè definita da coordinate geografiche, omogenei per scala territoriale e relazionati tra loro; o insieme di strumenti che consentono l’acquisizione di informazioni; o insieme di strumenti che consentono l’accesso agli indicatori; o insieme di strumenti che consentono la sintesi degli indicatori, finalizzata a decisioni di pianificazione, localizzazione e valutazione di compatibilità. Il SIT è finalizzato alla completa integrazione funzionale delle informazioni, attraverso un processo che conduca a un corpo organico, progettato secondo logiche coerenti e formalizzate in un percorso metodologico univoco e ripetibile. Un SIT è quindi di elevata utilità in quanto consente di: o archiviare, aggiornare, elaborare dati che descrivono luoghi geografici; o trattare gli oggetti territoriali come entità descritte da geometrie (forma, dimensione, distanza), attributi (tabelle, immagini), mutue relazioni spaziali; o formulare richieste tramite le funzioni di interrogazione, in modo da limitare l’insieme delle entità visualizzate; o allestire un sistema conoscitivo per supportare i processi decisionali e le azioni di governo del territorio; o favorire l’interscambio e la condivisione del patrimonio informativo. Queste possibilità distinguono un SIT da un normale CAD (Computer Aided Design): nel SIT, infatti, ogni oggetto resta collegato ad una scheda informativa (tabella di attributi) che può essere consultata ed elaborata sia direttamente dalla piattaforma SIT, sia mediante database esterni (Microsoft Excel o Access) ai quali il SIT è collegato. Gli oggetti inseriti (temi) possono essere vettoriali (limiti comunali, frane, area di cava) o raster (ortoimmagini, cartografia tecnica regionale). I temi vettoriali presenti nel database della tesi sono stati in parte realizzati ex novo e in parte messi a disposizione dall’Amministrazione Provinciale; le informazioni relative ai metadati sono riportate nell’allegato C.

52 Tra gli strumenti cartografici, forniti dalla Provincia per costruire il substrato di informazioni indispensabili su cui implementare la base dati del SIT, si evidenziano (COLUCCINO et al., 2002): o Ortofoto digitali a colori del programma IT-2000; o Cartografia Tecnica Regionale della Regione Piemonte alla scala 1:10.000. Ortoimmagini digitali La documentazione, acquisita dalla Provincia del VCO per il suo territorio, è stata realizzata nell’ambito del progetto nazionale IT-2000 ed è basata su riprese aerofotogrammetriche, effettuate nel 1999 con velivoli in grado di mantenere una quota assoluta operativa non inferiore a 6.000 m. L’ortoimmagine (fig. 24) è il prodotto del raddrizzamento differenziale di un’immagine aerofotogrammetrica digitalizzata, georeferenziata nel sistema geodetico-cartografico nazionale (Roma40 - Gauss-Boaga) e geometrizzata sulla base di un modello digitale del terreno realizzato ad hoc con griglia regolare di 40 m in coordinate terreno. Ciascuna ortoimmagine è codificata con lo stesso codice della corrispondente sezione della Cartografia Tecnica Regionale della Regione Piemonte e consente di lavorare ad un dettaglio dell’immagine fino a scala 1:2000 senza perdere contenuto informativo. Le tolleranze dell’ortofoto sono le seguenti: o per la posizione planimetrica (ovvero le coordinate nel sistema geografico di riferimento) di particolari puntiformi (cioè delle dimensioni di un pixel), ben identificabili sul terreno e sull’ortofoto, lo scarto tra le misure sull’ortofoto e sul terreno non supera mai il valore tp = 4 m; o per la distanza tra due particolari puntiformi ben identificabili sull’ortofoto e sul terreno, lo scarto tra le misure sull’ortofoto e sul terreno non supera mai i seguenti valori: td = (4 + D/1000) m per D < 2.000 m; td = 6 m per D > 2.000 m. Lo studio delle ortofoto consente una prima valutazione delle condizioni morfostrutturali dei versanti, rappresenta un utile ausilio per l’elaborazione di carte tematiche di base ed è un fondamentale elemento di supporto alle decisioni pianificatorie.

53 Cartografia Tecnica Regionale La Carta Tecnica Regionale (CTR) alla scala 1:10.000 è la carta di maggior dettaglio disponibile su tutto il territorio regionale. E' stata realizzata a cura del Settore Cartografico della Regione Piemonte nel corso degli Anni Novanta da riprese aeree effettuate nel 1991. La CTR è la base cartografica fondamentale del Sitad (Sistema Informativo Territoriale Ambientale Diffuso), che raccoglie e rende disponibile i dati dei sistemi informativi geografici della Pubblica Amministrazione piemontese. La CTR della Regione Piemonte è inquadrata, in uniformità con la rete geodetica fondamentale italiana, nel sistema geodetico Roma40 con proiezione Gauss- Boaga; il codice identificativo degli elementi cartografici e le coordinate geografiche riportate sono invece coerenti col sistema Europeo unificato ED50.

3.2.1 – Il sistema operativo adottato

La banca dati dell’attività estrattiva provinciale è gestita tramite il sistema ArcView GIS 3.2® che, pur superato dalla recente versione ArcGis più versatile e potente, era già in uso presso l’Amministrazione e rappresentava quindi uno standard de facto. Nel seguito vengono brevemente descritte le sue caratteristiche e potenzialità. Il programma permette, innanzitutto, di visualizzare e generare carte topografiche, inserite in un riferimento topografico assoluto (nel caso specifico UTM), nei due formati (raster e vettoriale). L’applicativo crea un file di progetto comprendente le viste che rappresentano le carte tematiche che si vogliono realizzare. Il progetto fa capo al file .apr, che elenca tutti gli altri files appartenenti al progetto stesso (fig. 21). I temi raster hanno estensioni comuni come .tif o .jpg, ma quando vengono georeferenziati, ovvero si attribuisce loro un riferimento geografico preciso, questi files aggiuntivi hanno estensione .tfw o .jpw. e permettono di individuare le coordinate geografiche di qualsiasi punto del raster. I temi vettoriali invece hanno estensione .shp e rappresentano elementi geometrici omogenei, cioè punti (ad esempio l’ubicazione delle cave), linee (ad

54 esempio il reticolo idrografico principale) o aree poligonali (ad esempio le frane). Gli attributi di questi elementi (ad esempio i dati geotecnici) sono elencati in un file di database associato allo shapefile, che ha estensione .dbf e contiene tutte le caratteristiche numeriche o descrittive: queste possono essere introdotte e poi eventualmente modificate anche in ambiente Access o Excel. I files con estensione .shx sono gli indici che associano gli attributi del database agli elementi geometrici dello shapefile; le legende degli elementi dello shapefile hanno estensione .avl. Infine, per eseguire particolari operazioni sui temi del progetto, si possono compilare dei listati di comandi in un linguaggio interpretabile dal programma (Avenue) o eseguire delle "estensioni" del programma: queste componenti aggiuntive hanno estensione .avx.

Figura 21. Struttura dei files per l’applicativo ArcView 3.2®.

Per illustrare la flessibilità del sistema, sono di seguito esposte alcune operazioni che si possono effettuare tra elementi di uno stesso tema sulla base della loro collocazione spaziale o fondata sul filtraggio dei dati associati, tale da permettere la realizzazione di nuove cartografie tematiche.

55 ArcView consente infatti di ottenere molteplici informazioni attraverso diversi tipi di interrogazioni, dal puntamento su determinati elementi della mappa per identificarli (ottenendo per esempio le informazioni di ciascun sito estrattivo presenti all’interno di un database), alla ricerca degli elementi che corrispondono a certi criteri di selezione (scadenza autorizzazione o individuazione delle cave con le migliori caratteristiche geomeccaniche), all’analisi di relazioni spaziali fra fenomeni diversi, per scoprire in che modo questi ultimi si influenzano reciprocamente (ad esempio faglie con sorgenti).

Figura 22. Operazioni possibili derivanti dalla sovrapposizione di carte tematiche (temi) differenti.

E’ possibile interrogare i dati per individuarne la vicinanza rispetto ad altri: ad esempio la distanza delle cave dai centri abitati o dalle zone turistiche. Si segnala la possibilità di trovare i punti, le linee o i poligoni che sono compresi interamente nei poligoni di un altro tema. Ad esempio è possibile sapere quante e quali cave si trovano in un determinato comune o quante cave appartengono ad una determinata classe di uso del suolo, vincolo, unità strutturale (figg. 22, 23).

56 Altri strumenti di ricerca consentono di individuare tutti gli elementi (linee, poligoni) che ne intersecano altri; questo tipo di interrogazione ha consentito di individuare con rapidità i siti estrattivi che si trovano in zone di frana. Per i temi poligonali e lineari è molto utile l’opzione di calcolo automatico delle aree e delle lunghezze che, una volta determinata la potenza del giacimento, permette di passare al calcolo delle cubature.

Figura 23. Esempio di interazione fra i temi poligonali.

Dopo aver visualizzato i dati di una vista, aver scelto la simbologia da utilizzare ed aver etichettato la vista con le informazioni necessarie, è possibile stampare la mappa alla scala desiderata aggiungendo eventualmente le tabelle di attributi. Il programma utilizzato ha molti pregi (economicità, compatibilità con altri sistemi), ma anche qualche inconveniente che dovrebbe essere stato eliminato nella nuova versione ArcGis. A titolo di esempio, derivante dall’esperienza di questo lavoro, si segnala l’impossibilità di rinominare o variare le stringhe dei campi nelle tabelle attributi e la difficoltà di stampare i poligoni definiti da reticolati trasparenti senza nascondere la topografia. In secondo luogo lo spostamento del progetto da un elaboratore ad un altro o in una differente cartella risulta complesso comportando il riaggiornamento dei paths.

57 3.3 – Esempi di applicazioni di tecniche GIS nella pianificazione dell’attività estrattiva

La necessità da parte delle istituzioni pubbliche di indirizzare l’attività estrattiva, attraverso strumenti pianificatori, è sempre più frequentemente coadiuvata dalle tecnologie GIS. Di seguito ne sono riportati alcuni esempi di applicazioni in Piemonte e in altre realtà regionali.

PICCINI et al. (1994) suggeriscono l’applicazione di un SIT per le cave del bacino della “Pietra di Luserna”, che ricade nel territorio di tre Comuni al confine tra le Province di Cuneo e Torino. Il software proposto è MacMap®, che utilizza piattaforme Macintosh® e PowerPC®. Vengono presi in esame gli aspetti geologici e, per il caso specifico, la possibilità di automatizzare il sistema di controllo e gestione amministrativa dei canoni comunali.

Ancora in Provincia di Cuneo, BERGAMASCO et al. (1998) presentano un’applicazione del sistema informativo GE.NE.SYS.® per l’analisi della situazione attuale ed il futuro sviluppo dello sfruttamento di due risorse naturali: la quarzite “Bargiolina” e lo gneiss occhiadino alterato, noto in commercio come

“Pegmatite” (DINO et al., 2001), entrambi presenti alla sommità del Monte Bracco. I dati sono stati in parte raccolti in situ e in parte provengono dagli Archivi dei Comuni, dell’Ufficio Cave della Regione Piemonte e del Distretto Minerario di Torino. Il lavoro ha portato all’elaborazione di alcune carte tematiche in scala 1:10.000 denominate: “Carta di copertura delle terre”, “Carta dell’attività estrattiva”, “Le cave e la miniera del Monte Bracco”, che illustrano l’inquadramento territoriale e paesaggistico dell’area esaminata; “Carta geologica del Monte Bracco” e “Carta delle risorse”, che mostrano la distribuzione delle risorse sulla superficie e nel sottosuolo del Monte Bracco. Nell’area esaminata, al di sotto del banco di quarzite, è presente gneiss occhiadino alterato che può essere sfruttato per la produzione di feldspato (materiale di prima categoria ai sensi del R.D. 1443/27); il problema maggiore delle Amministrazioni Comunali di Barge e Sanfront riguarda la priorità spazio- temporale dell’estrazione della quarzite rispetto al feldspato.

58 La questione viene affrontata realizzando carte geotematiche che illustrano gli scenari possibili ed alternativi di sviluppo, denominati “Transitorio”, “Scenario 1”, “Scenario 2” e “Scenario ad oltre 35 anni”, e delineano gli indirizzi per una razionale ed ordinata gestione. Esempi di applicazioni di tecniche GIS non potevano mancare nei bacini marmiferi di Carrara: nel 2002 CARMIGNANI et al. realizzano con il sistema operativo ArcView GIS 3.2® una serie di cartografie tematiche, che definiscono il quadro conoscitivo giacimentologico e ambientale.

Sempre nel 2002, COLI e LIVI usano tecnologie GIS per la realizzazione di cartografie di zonazione geomeccanica dell’area dei bacini marmiferi, che intitolano “Carta della tipologia di ammasso roccioso” (Indice BRMR), “Carta di stabilità per scivolamento planare” (Indice SMRp), “Carta di stabilità per ribaltamento” (Indice SMRt). Le due carte di stabilità dei versanti sono state elaborate secondo la classificazione geomeccanica di ROMANA (1985; 1988; 1993; 1996), al fine di individuare i siti più idonei per l’apertura di nuove cave e le migliori direzioni di sviluppo, relativamente ai problemi della sicurezza, per le attività estrattive in corso.

Nel Comune di Guidonia Montecelio, SANTARELLI e MASSACCI (2000) applicano il sistema informativo ad una cava di travertino, simulando l’andamento dei principali parametri del processo produttivo al variare delle condizioni operative. Lo scopo del lavoro è quello di minimizzare l’impiego di risorse, massimizzare la resa in materiale utile e minimizzare l’impatto ambientale, attraverso la definizione di scenari produttivi.

Ancora a Guidonia, KELLER et al. (2000) applicano le tecnologie GIS per progettare la coltivazione di un’attività estrattiva e per valutarne il conseguente impatto sul paesaggio mediante la creazione di mappe di visibilità e di viste tridimensionali in grado di fornire una rappresentazione immediata e di facile fruizione. I programmi utilizzati sono GIS ARC/INFO e ArcView.

Recentemente la Regione Lombardia (CARDONE e VITALI, 2004) ha presentato il proprio catasto regionale delle cave, costituito dalla banca dati di tutte le cave attive e abbandonate, realizzato sulla base degli inventari provinciali. Ogni cava è individuata sul territorio e georeferenziata rispetto alla base cartografica

59 regionale e, per ciascuna, è possibile visualizzare un dettaglio contenente le informazioni associate. La casistica esposta, seppur molto limitata rispetto alle applicazioni dei sistemi GIS, permette comunque di evidenziare due obiettivi fondamentali raggiungibili con l’uso di queste tecniche: la gestione territoriale dell’attività estrattiva di aree più o meno vaste (Regione Lombardia, Monte Bracco) e l’analisi di specifiche problematiche (aspetto paesaggistico, stabilità dei versanti). Il Sistema Informativo realizzato per la Provincia del VCO si propone di raggiungere entrambi gli obiettivi e quindi rappresentare, da un lato, uno strumento da cui acquisire informazioni a supporto delle scelte di programmazione e di gestione e, dall’altro lato, di analizzare le problematiche di stabilità degli ammassi rocciosi. Queste ultime, in relazione alle dimensioni del territorio preso in esame, hanno un diverso grado di dettaglio: le analisi condotte in territori regionali o a livello di bacino si basano su indagini ad ampio raggio delle strutture tettoniche, utilizzando ad esempio un DTM (Modello Digitale del Terreno) o fotografie aeree, mentre nel caso delle singole cave vengono eseguiti studi puntuali di maggior precisione con rilievi in situ. Le peculiarità della banca dati realizzata, rispetto agli esempi proposti, consistono appunto nel dettaglio raggiunto dai rilievi geomeccanici, che si fondano su analisi di situazioni puntuali legate alle realtà produttive esistenti sull’intero territorio provinciale.

3.4 - Struttura fisica della banca dati

All’interno di un singolo Progetto ArcView sono state realizzate cinque viste così definite: 1) ATTIVITA’ ESTRATTIVA. 2) GEOLOGIA. 3) GEOMORFOLOGIA. 4) IDROGEOLOGIA. 5) Ri.S.C. (Rilievi Strutturali Cava). Le prime quattro viste rappresentano essenzialmente i risultati del processo di informatizzazione dei dati progettuali ed amministrativi presenti nell’archivio

60 provinciale, mentre l’ultima contiene le informazioni relative alla campagna di rilevamento geostrutturale ed ai test su campioni eseguiti nell’ambito del progetto Ri.S.C. La suddivisione fra dati amministrativi (inseriti nella vista “Attività estrattiva”) e dati geologico-tecnici e la distinzione, per questi ultimi, fra i parametri ottenuti dal rilievo di campagna e quelli acquisiti dai progetti di coltivazione, rende più immediato l’accesso alle informazioni archiviate in funzione degli interessi dell’utente. L’ubicazione delle cave è rappresentata sia da un tematismo poligonale, sia da un tematismo puntuale: il primo è realizzato mediante disegno del perimetro di cava sull’ortofoto digitale IT-2000, mentre il secondo corrisponde all’incirca al baricentro della cava (fig. 24). Le coordinate di riferimento sono UTM.

Figura 24. Definizione delle aree e baricentri di cava su base IT-2000.

61 I tematismi indicanti il baricentro delle cave e le loro perimetrazioni contengono informazioni differenti in funzione della vista in cui sono inseriti: per tale ragione si è scelto di assegnare loro differenti denominazioni. In particolare, il baricentro delle cave è indicato come coltivazione nella vista “attività estrattiva”, ubicazione cava nella vista “geologia”, cave nella vista “geomorfologia”, cave autorizzate nella vista “idrogeologia”, cave rilevate nella vista “Ri.S.C.”, mentre i poligoni di cava sono presenti soltanto nelle viste “attività estrattiva” e “Ri.S.C.”, nelle quali vengono definiti rispettivamente dati amministrativi e aree di cava. Le 5 viste costituiscono un insieme di visualizzazioni standard del contenuto dei diversi strati informativi: questi potrebbero essere anche diversamente combinati per la realizzazione di ulteriori viste ed elaborati. Nel seguito saranno presentate le viste: per ciascuna di esse saranno riportate, a titolo di esempio, alcune mappe a scala diversa e le informazioni associate e si esporranno anche alcune considerazioni ricavate dall’analisi dei dati archiviati. L’attività di campagna e di laboratorio sulla base della quale è stata predisposta la vista Ri.S.C. sarà invece illustrata in dettaglio nei capitoli 4 e 5. I dettagli sui temi contenuti in ciascuna vista sono riassunti nella tabella 4, mentre si rimanda all’Appendice C per la definizione e le caratteristiche di ciascuno. VISTA TEMI INSERITI

Coltivazione, dati amministrativi, cave inattive, ATTIVITÀ comuni, vincolo 1497/39, vincolo 45/89, uso del ESTRATTIVA suolo, autostrade, strade comunali, edifici, ferrovie.

Ubicazione cava, carta strutturale, faglie principali, GEOLOGIA fogli Carta Geologica d’Italia, Provincia.

GEOMORFOLOGIA Cave, aree di cava, frane IFFI, aree PAI, Provincia.

Cave autorizzate, idrografia principale, idrografia IDROGEOLOGIA secondaria, laghi, Provincia. Ri.S.C. Cave rilevate, aree di cava, tracce profili, aree estrattive, Set Ks, Set K1, Set K2, Set K3, Geo1,

Tabella 5. Sintesi dei contenuti, a livello di tema, delle viste nel Progetto (i temi in corsivo sono stati realizzati durante il presente studio).

62 3.4.1 - Vista 1: attività estrattiva

Il contenuto di tale vista è stato concepito per consentire un’analisi sulla distribuzione delle cave in relazione al territorio, ai vincoli e alle infrastrutture esistenti, al fine di agevolare la gestione degli aspetti amministrativi legati alle pratiche autorizzative. In particolare, la figura 25 evidenzia come il vincolo idrogeologico ricopra buona parte del territorio provinciale: dall’analisi delle pratiche autorizzative emerge che tutte le cave, con la sola eccezione di un sito, sono sottoposte vincolo idrogeologico (fig. 26).

Figura 25. Vista Attività estrattiva (scala 1:500.000). Il reticolato azzurro rappresenta l’area sottoposta a vincolo idrogeologico; a questa scala è impossibile individuare l’unica cava non sottoposta al vincolo, ma la vista è stata utilizzata per confermare i dati desunti dall’archivio.

63 L.R.45/89 e D.lgs. 490/99 79%

L.R. 45/89 20% D.lgs. 490/99 1%

Figura 26. Cave sottoposte a vincoli pubblicistici: risultati ottenuti a partire dai dati di archivio e verificati con la cartografia del vincolo.

Le cave possono poi essere messe in relazione, oltreché con i vincoli 1497/39 e 45/89, anche con i limiti comunali, le principali infrastrutture (autostrade, strade statali, comunali, ferrovie, zone edificate) e le classi di uso del suolo. Le informazioni non sono tuttavia limitate all’effetto visivo ottenuto con la sovrapposizione del tema prescelto sull’ubicazione delle cave, ma possono derivare anche dall’analisi degli attributi associati alle stesse: a titolo di esempio è possibile raffrontare la produzione annuale di una cava, contenuta nella tabella di attributi, con altri elementi, come il Comune di appartenenza, la distanza da centri abitati o da importanti vie di comunicazione. A tal proposito le informazioni, desunte dall’archivio, sono associate ai temi “coltivazione” e “dati amministrativi”.

64 Informazioni associate al tema coltivazione: Nome cava Codice Provincia Codice Regione Materiale estratto Metodo di coltivazione Lavorazioni in cava Lavorazioni in impianti Abbattuto intero progetto [m3] Abbattuto annuo [m3] Detrito di scopertura [m3] Sfridi di lavorazione [m3] Blocchi 1° scelta [%] Blocchi 2° scelta [%] Materiale commerciabile [m3] Materiale da fresa e tagliablocchi [%] Blocchi sottomisura [%] Massi da scogliera [%] Scarto prodotto [m3] Collocazione scarto Possibilità riutilizzo immediato Possibilità riutilizzo differito Fasi dell'attività' estrattiva Recupero ambientale della cava Opere accessorie Visibilità cava Numero di addetti Informazioni riferite al tema dati amministrativi : Nome cava Codice Provincia Codice Regione Ditta esercente Comune Catasto (foglio, particella) Tempo richiesto in autorizzazione [anni] Superficie autorizzata [m2] Volume autorizzato [m3] Precedenti autorizzazioni Scadenza autorizzazione Casi esclusione V.I.A. Fase valutazione Fase verifica Quota piazzale Quota massima coltivazione Quota minima coltivazione Proprietari del suolo Tipo di coltivazione Vincoli Uso del suolo Destinazione da P.R.G.C.

65 Al momento dell’indagine (Settembre 2003 - Marzo 2004) le cave autorizzate risultavano 69 di cui 50 di Serizzo, 13 di Beola, 4 di granito, una di marmo, non considerando la cava Madre, ed una rivolta alla coltivazione di un trovante di pietra ollare, distribuite in 16 Comuni e a quote variabili da 1100 m nei Comuni di Formazza e Premia ai 200 m nel Comune di .

Serizzo 74%

Beola 15% Granito Marm o 5% 6%

Figura 27. Percentuale in volume autorizzato dei lapidei ossolani.

Sulla base dei dati archiviati è stato possibile evidenziare una predominanza, tra i materiali estratti, del Serizzo, al quale appartiene circa il 74% dei volumi autorizzati (fig. 27), seguito dalle beole (15%), dai marmi (6%) e dai graniti (5%).

18 16

14 12

10 8

Numero cave Numero 6 4 2 0 Crodo Varzo Premia Baveno Trontano Vogogna Formazza Mergozzo Trasquera Villadossola Domodossola Ceppo-Morelli Montecrestese Crevoladossola Beura-Cardezza Figura 28. Distribuzione delle cave autorizzate al momento dell’indagine nei Comuni della Provincia.

66 300000

250000

200000

150000

100000 Superfici autorizzate

50000

0 Crodo Varzo Premia Baveno Trontano Malesco Vogogna Formazza Mergozzo Trasquera Villadossola Ceppo-Morelli Domodossola Montecrestese Crevoladossola Beura-Cardezza Figura 29. Superfici autorizzate [m2] alla coltivazione nei Comuni della Provincia.

La distribuzione dei giacimenti influenza la collocazione delle cave che tendono a concentrarsi in pochi Comuni (figg. 28 e 29).

0,6

0,5

0,4

0,3

0,2 % di territorio occupato territorio % di

0,1

0 Varzo Crodo Premia Baveno Malesco Vogogna Trontano Mergozzo Formazza Trasquera Trasquera Villadossola Ceppo-Morelli Domodossola Montecrestese Crevoladossola Beura-Cardezza

Figura 30. Percentuale di territorio autorizzato in relazione all’intera estensione comunale. E’ interessante notare come Baveno, pur avendo un limitato numero di cave, ha una maggior percentuale di territorio occupato rispetto a Premia.

67 Nella figura 30 le superfici autorizzate sono rapportate alle superfici comunali totali e si evidenzia come la percentuale di territorio destinata all’estrazione possa diventare significativa anche in Comuni in cui è autorizzato un basso numero di cave, come ad esempio Baveno. La notevole diffusione su alcune porzioni di territorio di attività estrattive conferisce all’ambiente una forte impronta paesaggistica, modificando la morfologia e l’impatto visivo con i numerosi fronti di cava e gli accumuli degli scarti di discarica. Se da un lato la massiccia presenza di cave caratterizza alcune aree, attribuendo loro una forte connotazione storica di territorio vocato all’attività estrattiva, dall’altro risulta opportuno limitarne l’impatto visivo al fine di conservare il disegno del paesaggio circostante. Sulla base di queste considerazioni si è reso necessario prendere in considerazione la visibilità delle cave le quali, secondo quanto dichiarato in sede di progetto (fig. 31), risultano essere per il 54% dei casi non visibili da vie di comunicazione o centri abitati: ciò è legato alla mitigazione garantita dalla ricostruzione del manto arboreo ed arbustivo che avviene, in molti casi, contestualmente alle fasi di coltivazione.

centri zone abitati turistiche 13% 1%

strade non visibile 32% 54%

Figura 31. Visibilità dei siti estrattivi secondo quanto dichiarato in sede progettuale.

Sulla base dei dati archiviati si può osservare come le produzioni medie delle cave operanti, salvo alcune significative eccezioni, siano intorno ai 7000 m3 annui per le cave di Serizzo e 4000 m3 annui per quelle di Beola, con un numero di addetti compreso tra 3 e 4.

68 Dallo studio emerge come la collocazione dello scarto avvenga prevalentemente in discariche annesse al sito estrattivo (65%), mentre i rimanenti progetti non contemplano la realizzazione di una vera e propria discarica quanto piuttosto di aree da destinarsi alla messa a deposito temporanea dello sfrido, da riutilizzare in altre attività (lavori stradali, ferroviari, di difesa idraulica e riempimenti). Sarebbe quindi opportuna, in sede di pianificazione, l’individuazione di siti per lo stoccaggio degli scarti comuni a più cave, così da agevolarne il successivo prelievo, previsto peraltro anche dal punto di vista legislativo (decreto “Ronchi ter” L. 426/98 “Rifiuti di rocce di cave autorizzate”). L’ubicazione esatta dei siti estrattivi e la previsione della quantità di materiale estratto annualmente da ciascuno di essi consente di ipotizzare il numero di mezzi pesanti giornalmente in transito su ogni tratto di strada, con conseguente individuazione dei nodi più critici sui quali eventualmente intervenire. Le interazioni fra le cave e le aree edificate, spesso oggetto di contenzioso, possono essere previste considerandone la distanza reciproca (fig. 32) e la produzione autorizzata, connettendo quest’ultima con il numero di volate, i tempi di perforazione e il numero di passaggi di mezzi pesanti.

Figura 32. Vista attività estrattiva (scala 1:10.000) di una parte dei Comuni di Premia e Formazza. A partire dalle aree di cava (in verde) è possibile valutare le interazioni fra i siti estrattivi e le aree edificate per distanze di 50 m (viola), 100 m (azzurro) e 150 m (blu).

69 Queste considerazioni potrebbero venire utilmente riprese in occasione di revisioni dei PRGC: troppo spesso infatti attività estrattive avviate da decenni devono affrontare gravi difficoltà connesse a vicine aree di recente edificazione. Situazioni di questo tipo dovrebbero essere evitate a livello pianificatorio salvaguardando il giacimento, come anche previsto dall’art. 3 della L.R. 69/78. L’intento della vista è anche quello di proporsi come archivio comprendente particolari amministrativi (fogli e particelle catastali, ditta esercente, proprietario del suolo, data di scadenza dell’autorizzazione, precedenti autorizzazioni, numero di addetti), che per ovvie ragioni di riservatezza non sono stati inseriti nella tesi e sono stati considerati solo a titolo di esempio. Il sistema è in grado di gestire anche gli elaborati cartografici di progetto, quali le planimetrie e le sezioni illustranti gli stadi di avanzamento degli scavi, o la planimetria catastale. I loro formati, variabili da A3 ad A0, ne hanno precluso per ragioni economiche la possibilità di informatizzazione nell’ambito della tesi, ma sarebbe auspicabile che gli elaborati progettuali venissero in futuro depositati anche in formato digitale e riversati nella banca dati.

3.4.2 - Vista 2: geologia

La vista è stata concepita con lo scopo di integrare le informazioni geologico- tecniche desunte dai progetti di coltivazione con le principali cartografie geologiche disponibili in letteratura. A tal fine è stata appositamente georeferenziata la carta strutturale della geotraversa Verbano-Ossola-Formazza (DAL PIAZ et al., 1992) e su di questa sono stati ricostruiti i poligoni relativi alle unità indicando per ciascuno di questi la vergenza, il dominio di appartenenza, la serie e l’età (figg. 33 e 34).

70

Figura 33. Vista Geologia (scala 1:500.000).

La carta, a scala 1:500.000, viene visualizzata solo in rappresentazioni a scale superiori a 1:50.000.

Figura 34. Vista Geologia con visualizzazione in funzione (a) della vergenza (Europea in verde, Africana in marrone) e (b) delle principali unità strutturali.

71

Figura 35. Vista Geologia (scala 1:70.000): sullo sfondo dei siti di cava, riportati sulla CGI, è possibile richiamare, ad esempio, il diagramma strutturale e la tabella con i dati riportati in progetto per ciascun sito.

A scale comprese tra 1:50.000 e 1:20.000 vengono invece visualizzati i fogli 5 (Val Formazza), 15 (Domodossola), 16 (Cannobio), 30 (Varallo), 31 (Varese) della Carta Geologica d’Italia alla scala 1:100.000 che, pur carenti di informazioni strutturali, forniscono un’ottima rappresentazione delle caratteristiche litologiche (fig. 35). La comparazione tra l’ubicazione delle cave, rappresentate da un tematismo puntuale, e le cartografie geologiche indica l’appartenenza dei serizzi per la quasi totalità all’unità Pennidica Inferiore di Antigorio e molto subordinatamente alla Falda Monte Rosa, l’ubicazione della cava di marmo sui metasedimenti mesozoici che separano la Falda Antigorio dal Lebendun e dalla Monte Leone e la distribuzione delle cave di Beola in unità differenti (Monte Rosa, Moncucco- Orselina, Monte Leone) del Pennidico Superiore e Medio. L’estrazione dei graniti interessa i plutoni Mottarone-Baveno e di Montorfano, appartenenti alla Serie dei Laghi. Le informazioni archiviate per ciascun sito sono associate al tema “ubicazione cava”.

72 Informazioni associate al tema ubicazione cava: Nome cava Codice Provincia Codice Regione Materiale estratto Definizione petrografica Unità strutturale Composizione mineralogica Composizione chimica Grana Colore Numero sistemi discontinuità Giacitura media Ks Giacitura media K1 Giacitura media K2 Giacitura media K3 Giacitura media K4 Giacitura media K5 Giacitura media K6 Giacitura pioda RQD [%] RMR Coesione [kPa] Angolo di attrito [°] Jv Intercalazioni sterili Altre litologie presenti

L’informatizzazione dei dati geologici e tecnici ha riguardato i principali parametri che intervengono nella progettazione (RMR, RQD); si è inoltre provveduto a riportare le proiezioni stereografiche, ricostruite dai dati giaciturali dei rilievi di progetto, e a collegarle alle cave cui si riferiscono. Le caratteristiche delle discontinuità nelle schede di rilievo allegate al progetto sono raramente descritte secondo le metodologie proposte dall’I.S.R.M.: ciò ha impedito la loro rielaborazione statistica ed un esauriente raffronto con i dati rilevati nell’ambito del Progetto Ri.S.C.. In ogni cava vengono mediamente individuati tre o quattro sistemi principali di discontinuità, considerando per gli gneiss ed i marmi anche i giunti riferibili alla scistosità (fig. 36), i quali generano zone di maggior debolezza non sempre cartografate o descritte nel dettaglio.

73 25

20

Cave Serizzo 15 Cave Beola Cave granito

n° cave 10 Cave Marmo

5

0 1234567 n° sistemi discontinuità

Figura 36. Famiglie di discontinuità individuate nei progetti. Si evidenzia che le cave di Serizzo presentano in genere 3 famiglie di discontinuità e una discreta dispersione dei valori, mentre le cave di granito e di Beola sono in prevalenza caratterizzate da 4 famiglie di giunti.

La stima dei parametri di resistenza e deformabilità degli ammassi rocciosi è ottenuta per via indiretta, generalmente adottando un solo sistema di classificazione tra quelli proposti in letteratura, ovvero BIENIAWSKI (1978; 1989),

Q-BARTON (BARTON et al., 1980), SRM di ROMANA (1996). E’ raro il ricorso ad altre metodologie come il criterio di rottura di HOEK-BROWN (2002). Il valore di RMR indicato dai progetti è abbastanza omogeneo sul territorio ed è generalmente compreso tra 70 e 80 (fig. 37); ad esso corrispondono angoli di attrito medi di 40° e coesione di 350 kPa.

100

80

60

40 Frequenza% 20

0 50 55 60 65 70 75 80 85 90 RMR

Serizzo Beola Granito

Figura 37. Valori di RMR di progetto. Si noti il picco in corrispondenza a valori pari a 70 per tutti i litotipi coltivati. E’ anche interessante notare la maggior variabilità delle caratteristiche degli ammassi rocciosi nei quali è impostata la coltivazione del Serizzo e questa situazione è stata confermata anche dai rilievi del Progetto Ri.S.C.

74 Il recupero percentuale modificato (RQD %) viene ricavato indirettamente dal valore della frequenza media delle discontinuità (Jv) e si aggira intorno al 90% in tutti i progetti esaminati. Questa uniformità di valori appare alquanto discutibile sia in considerazione della variabilità delle situazioni geologiche nel territorio, sia alla luce dei risultati del Progetto Ri.S.C. Oltre al substrato roccioso, in buona parte dei progetti si è tenuto debitamente conto delle altre litologie presenti nell’area: esse sono per lo più rappresentate da detriti di cava (materiale di discarica) e di versante, associati a depositi morenici e di conoidi alluvionali. In definitiva, la vista è stata concepita come strumento di sintesi dell’insieme dei dati progettuali alla scala del territorio provinciale, con lo scopo di dettagliarne le conoscenze geologiche basilari per la gestione dell’attività estrattiva. Anche questa vista, come la precedente, è in grado di gestire le carte e le sezioni geologiche di dettaglio (scala 1:500, 1:1000), qualora vengano depositate su supporto informatico.

3.4.3 - Vista 3: geomorfologia

La vista intende fornire una visione dinamica del territorio esaminato, analizzando nello specifico le forme ed i processi con i quali l’attività estrattiva può interferire. In considerazione della complessità di rappresentazione grafica richiesta per la descrizione delle fenomenologie geomorfologiche e dell’inadeguatezza dei sistemi informativi geografici al riguardo, ci si è limitati ad importare i tematismi già disponibili presso l’Amministrazione Provinciale, al fine di porli in relazione con l’ubicazione delle cave. In particolare sono state inserite le cartografie tematiche del Progetto Nazionale Inventario dei Fenomeni Franosi Italiani (IFFI) ed i contenuti del Piano di Assetto Idrogeologico (PAI).

Il Progetto Nazionale IFFI (AMANTI et al.,1996; 2000a; 2000b) è stato promosso dal Comitato dei Ministri – Servizio Geologico Nazionale e ha prodotto una cartografia alla scala 1:25.000 dei dissesti, la cui legenda è riportata in fig. 39. Il PAI, realizzato dall’Autorità di Bacino del Fiume Po ai sensi della L. 183/89, “Norme per il riassetto organizzativo e funzionale della difesa del suolo”, ha lo

75 scopo di assicurare la difesa del suolo, il risanamento delle acque, la fruizione e la gestione del patrimonio idrico per gli usi di razionale sviluppo economico e sociale e la tutela degli aspetti ambientali ad essi connessi. In particolare il PAI è costituito da una serie di elaborati cartografici in scala 1:10.000, con l'elenco delle perimetrazioni di aree a rischio idrogeologico. A differenza del Progetto Nazionale IFFI, il PAI ha anche valenza normativa in quanto le disposizioni del piano di bacino approvato hanno carattere immediatamente vincolante per Amministrazioni, Enti pubblici e, in qualche caso, anche per i soggetti privati. Informazioni associate al tema cave: Nome cava Codice Provincia Codice Regione Dissesti IFFI 1 Dissesti IFFI 2 Distanza dal dissesto Aree PAI

Dallo studio emerge come i dissesti e le fasce definite nell’ambito del PAI interessino il 17% delle cave autorizzate e i dissesti individuati nell’ambito del Progetto IFFI il 39%, rappresentate per la totalità da cave di Serizzo (fig. 38).

Figura 38. Percentuale di cave che ricadono nelle fasce definite nell’ambito del PAI (sinistra) e percentuale di cave che ricadono nelle aree di frana individuate dal Progetto IFFI (destra). Queste informazioni sono state ricavate in maniera semi-automatica, intersecando i poligoni di cava con le cartografie tematiche PAI e IFFI precedentemente acquisite.

A livello progettuale, l’attenzione nei confronti della geomorfologia di dettaglio risulta essere talvolta modesta, specie se rapportata alla scala dei siti di cava:

76 raramente sono indicate in planimetria le morfostrutture di parete (tetti o diedri), le trincee, i ribassi morfologici ed in generale tutti gli elementi in grado di fornire ai tecnici strumenti talvolta indispensabili per la valutazione della stabilità del sito estrattivo.

Figura 39. Vista Geomorfologia (scala 1:20.000): interazioni fra dissesti IFFI, PAI e aree di cava.

In tal senso sarebbe auspicabile la definizione di una legenda che, attraverso una simbologia opportunamente studiata, consentisse la rappresentazione degli elementi morfostrutturali in funzione della scala adottata nei progetti (in genere variabile da 1:5.000 a 1:1000) e del contesto geomorfologico provinciale. Anche questa vista è in grado di gestire le carte di progetto, qualora venissero prodotte su supporto informatico.

77 3.4.4 - Vista 4: idrogeologia

La vista fornisce indicazioni sulle interazioni tra le attività di cava e la circolazione idrica superficiale, rappresentata da tematismi lineari indicanti l’idrografia principale e secondaria.

Figura 40. Vista Idrogeologia (scala 1: 500.000). Le cave in giallo presentano sorgenti all’interno o nell’immediato intorno.

Le informazioni raccolte per ogni sito estrattivo riguardano le caratteristiche termopluviometriche (temperature medie dei mesi più caldi e più freddi, escursione termica annua, precipitazioni), i provvedimenti adottati per la regimazione delle acque superficiali, l’eventuale presenza di sorgenti nell’area di cava o nell’immediato intorno e la loro portata.

78 Informazioni associate al tema cave autorizzate: Nome cava Codice Provincia Temperatura media mensile massima [°] Temperatura media mensile minima [°] Escursione termica annua [°] Piovosità media annua [mm] Deviazioni acque superficiali Invasioni acque superficiali Regimazione acque Provvedimenti adottati Sorgenti nell'area di cava Portata sorgenti [l/sec] Dinamica valanghiva

Le sorgenti, considerando il contesto in cui si collocano le cave, sono rare e vengono menzionate esclusivamente nel 2% dei casi; sono invece più frequenti gli interventi di regimazione delle acque superficiali. Questi possono consistere nella realizzazione di modeste opere adibite allo smaltimento delle acque meteoriche all’esterno dell’area di cava, generalmente con canalette in pietrame o calcestruzzo, oppure in interventi più importanti come rettifiche di alvei o messa in opera di difese spondali. Un ulteriore parametro considerato riguarda la vulnerabilità delle aree di cava nei confronti dei processi valanghivi. Dai progetti si evince che il 7% delle cave possono essere interessate da modesti distacchi di masse nevose in condizioni climatiche particolari, mentre il 2% dei siti risente degli effetti secondari, in particolare del “soffio” connesso all’evento. L’obiettivo della vista così definita è soprattutto quello di evidenziare eventuali modificazioni dei reticoli idrologici nelle aree interessate da attività estrattive.

79 3.4.5 - Vista 5: Ri.S.C. (rilievi strutturali cava)

La vista, a differenza delle precedenti, contiene informazioni originali frutto della campagna di raccolta dati di terreno, che ha interessato un totale di 66 cave dislocate sull’intero territorio provinciale. L’inadeguatezza del sistema informativo nel gestire in maniera esaustiva i dati (in particolare immagini e fogli di calcolo) e la necessità di mantenere l’informazione geografica cui il dato si riferisce hanno reso indispensabile lo sviluppo di estensioni realizzate ad hoc per il progetto. I parametri relativi alle principali caratteristiche degli ammassi rocciosi e del materiale roccia sono stati inseriti in tabelle di attributi associate al tema puntuale “baricentro” della cava. Da questo è anche possibile consultare, tramite un link, le schede di maggior dettaglio in cui sono riportate le caratteristiche specifiche delle discontinuità rilevate sul terreno, le modalità di analisi dei dati e la documentazione fotografica. La tabella di attributi del tema “cave rilevate” presenta i seguenti campi:

Informazioni associate al tema cave rilevate: Nome cava Codice Provincia Codice Regione Unità strutturale Materiale estratto BRMR massimo BRMR minimo Coesione [kPa] Modulo deformabilità [GPa] Is parallelo [MPa] Is perpendicolare [MPa] Angolo di attrito [°] RQD [%]

Le immagini archiviate hanno lo scopo di: o fornire indicazioni sulle caratteristiche estetiche dei materiali estratti (foto dei campioni prelevati cava per cava), influenzate da struttura, grana e mineralogia. La variabilità dei caratteri mineralogico-strutturali, connessa ad esempio a modesti aumenti percentuali di mica, si può osservare anche in una singola cava o in cave adiacenti e può definire tipologie commerciali differenti, come esemplificato nella figura 41.

80

Figura 41. Variabilità cromatica e merceologica dei materiali coltivati in cave contigue: Serizzo Formazza (a sinistra) e Pietra di Sciuena (a destra).

o fornire informazioni sul contesto paesaggistico in cui il sito si colloca attraverso una vista d’insieme (fig. 42);

Figura 42. Cave di Serizzo nel Comune di Premia: si noti la discarica esaurita e in fase di parziale rinverdimento.

81 o fornire uno schema dei rapporti geometrici tra i giunti rilevati indicando le superfici o le tracce delle famiglie di discontinuità sulle foto dei fronti (fig. 43). Questo tipo di rappresentazione permette di avere un riscontro immediato fra i dati del rilievo, espressi numericamente, e la situazione a cui fanno riferimento. Non sempre però il fronte contiene tracce di tutte le famiglie di discontinuità, specialmente nelle cave di Serizzo dove i giunti sono spesso individuabili solo con analisi dell’intorno di cava: in questi casi la fotografia sarebbe stata fuorviante e pertanto è stata omessa.

Figura 43. Schema dei rapporti geometrici tra giunti Ks (verde), K1 (rosso) e K2 (azzurro) in una cava di Beola.

Le informazioni riguardo alle fratture ed alle principali discontinuità riscontrate negli ammassi rocciosi sono fondamentali sia per la valutazione generale della risorsa, in quanto da queste dipende la resa in blocchi, sia perché permettono di evidenziare condizioni di stabilità potenzialmente critiche. I dati rilevati sono stati elaborati statisticamente e rappresentati in proiezione stereografica (Reticolo equivalente di Schmidt, emisfero inferiore), che è possibile visualizzare, tramite link, dai poligoni che identificano l’area di cava.

82 Le giaciture medie dei sistemi principali (Ks, K1, K2, K3) sono poi state inserite nella vista, usando la consueta simbologia (fig. 45), ed associate a tabelle che riportano le caratteristiche peculiari del sistema, descritte in conformità ai suggerimenti dell’I.S.R.M. Questa strutturazione offre, per ogni sito rilevato, una rappresentazione schematica e funzionale delle giaciture medie dei quattro set principali e permette di accedere agevolmente, per ciascuno di questi, alle sotto elencate informazioni contenute.

Attributi dei temi Ks, K1, K2, K3: Nome cava Codice Provincia Codice Regione Ks immersione (°) Ks inclinazione (°) Apertura (mm) Persistenza (m) Persistenza [%] Spaziatura (cm) Alterazione Riempimento Ondulazione Rugosità Acqua JCS [MPa] JRC

L’esame di queste rappresentazioni e il loro confronto evidenzia localmente una sostanziale uniformità, che ha consentito la definizione di “aree estrattive” (si veda al capitolo 5), omogenee dal punto di vista strutturale, ma delle quali è impossibile precisare a questo stadio di conoscenze l’effettiva estensione areale. Proprio per evidenziare l’assenza di una connotazione geografica precisa, si è deciso di rappresentare queste aree con un tematismo poligonale dal quale è possibile richiamare fogli di calcolo del tutto simili a quelli adottati per le singole cave, ma riportanti i risultati dei rilievi di più siti. La vista contiene infine tematismi lineari da cui è possibile richiamare le sezioni topografiche corrispondenti, sulle quali sono indicate le tracce dei sistemi di discontinuità individuati (fig. 44). Occorre specificare che le tracce non

83 coincidono con la reale posizione delle fratture, per le quali occorrerebbero basi topografiche di maggior dettaglio, ma consentono di stabilire, considerata la geometria del pendio e delle discontinuità, la possibilità che si verifichino dissesti negli ammassi rocciosi ed eventualmente con quale tipologia.

Figura 44. Profilo strutturale con indicati i set K1(blu) e K2 (rosso) individuati nel Comune di Varzo; la scistosità non è stata indicata in quanto suborizzontale. Si noti come la morfologia sia fortemente influenzata dai sistemi di discontinuità.

A titolo di esempio si riportano alcune delle principali operazioni possibili a partire dalla visualizzazione di figura 45: o cliccando sul baricentro delle cave (punti azzurri), è possibile ottenere le informazioni sulle caratteristiche dell’ammasso roccioso (riassunte nella tabella “attributi di cave rilevate”) o aprire il foglio di lavoro in Excel con il dettaglio dei rilievi, l’elaborazione dei dati e la documentazione fotografica; o dalle aree di cava (poligoni blu), si apre il collegamento a Stereonet che consente esaminare la proiezione stereografica di dettaglio; o da ciascun simbolo di giacitura (nell’esempio sono attivi solo i giunti riferiti al sistema K1 con i rispettivi valori di inclinazione) è possibile richiamare la tabella che ne riassume le caratteristiche secondo i criteri proposti dall’ISRM;

84 o dalle aree estrattive (poligono giallo) si richiama il foglio di Excel nel quale sono riportati i dati dei rilievi eseguiti nelle cave appartenenti all’area, suddivisi nei set presenti, e la loro elaborazione; o la traccia del profilo è segnata in nero ed è collegata ad un file PDF contenente la sezione geologico-strutturale simile a quella riportata in figura 44.

Figura 45. Vista Ri.S.C. (scala 1:10.000): la tabella a lato indica le caratteristiche principali dei giunti K1 per la cava selezionata (la seconda dall’alto).

85 3.5 - Conclusioni e possibilità operative

Come già si è detto nel paragrafo 3.3, i sistemi informativi geografici offrono un potente strumento tecnico, amministrativo e gestionale per tutte le operazioni connesse all’attività estrattiva, permettono agli Enti preposti valutazioni e decisioni fondate su una più consapevole conoscenza del territorio e agevolano ad ogni scala le scelte decisionali sulle attività estrattive. Un Sistema Informativo Territoriale non si limita a fornire un’informazione geografica del territorio, ma lo interpreta e, fornendo gli strumenti per relazionare opportunamente le informazioni, consente di far emergere le diverse dinamiche che in esso si manifestano. La banca dati dell’attività estrattiva della Provincia del VCO può essere vista come un primo tentativo di organizzazione del quadro conoscitivo geotematico provinciale, utile sia a fini pianificatori (Piano dell’Attività Estrattiva Provinciale, Valutazione Ambientale Strategica), sia a fini progettuali: essa è stata pensata come strumento per la pianificazione dell’attività estrattiva e dunque studiato appositamente per l’analisi dei molteplici aspetti che la contraddistinguono. Più particolarmente, l’apertura e la gestione di una cava non possono prescindere dai caratteri geologico-strutturali e giacimentologici dell’area in cui essa si colloca. In quest’ottica, una campagna di rilievi geomeccanici nei siti estrattivi ha consentito l’allestimento di una banca dati di riferimento dei parametri fisico- meccanici e strutturali. Questi possono essere convenientemente confrontati con le informazioni ricavate dai progetti di coltivazione, al fine di valutare limiti ed applicabilità delle procedure di rilievo ed elaborazione dati. L’informatizzazione della base dati di archivio in un sistema di interrogazione velocizza enormemente la ricerca: il sistema infatti permette di accedere a tutte le informazioni tecniche e amministrative di uno o più progetti, nonché di inquadrare correttamente il sito nel suo contesto territoriale e paesaggistico. I criteri di ricerca possono essere alfanumerici, spaziali, o anche una loro combinazione: ne consegue che le valutazioni che si possono fare sono pressoché illimitate, considerata la mole di informazioni contenuta nella banca dati.

86 L’incrocio delle informazioni contenute nelle viste permette, ad esempio, di individuare le cave la cui autorizzazione scade in un determinato periodo dell’anno e, a partire dai dati contenuti nella vista Ri.S.C., si possono evidenziare i siti più problematici dal punto di vista geomeccanico. Questo può consentire ai funzionari di prevedere il carico di lavoro nell’arco di tempo stabilito e organizzare nel modo migliore l’attività dell’ufficio. La progettazione degli strumenti di gestione della base dati ha cercato di conseguire obiettivi di massima semplicità sia nella consultazione, al fine di renderli più facilmente fruibili, sia nell’amministrazione, con lo scopo di agevolarne l’aggiornamento, ed è aperto all’inserimento di nuovi tematismi. Tra le prospettive di sviluppo si segnala la possibilità di implementare la banca dati con ulteriori prove di laboratorio, mirate a caratterizzare puntualmente il “materiale roccia”, e l’opportunità di avviare un processo di condivisione con gli operatori del settore (associazioni di categoria, ordini professionali, enti territoriali) dei dati archiviati e delle procedure seguite nel progetto. Tale condivisione potrebbe essere ottenuta con l’installazione del Progetto sulla pagina web della Provincia e con l’accesso alle informazioni, eventualmente con differenti livelli di fruizione, da parte sia dei cittadini, sia dei funzionari di altre Amministrazioni.

87 4 - METODOLOGIE DI RILIEVO ED ELABORAZIONE DATI

4.1 - Introduzione

Il Progetto Ri.S.C. (Rilievi Strutturali Cava), ideato e diretto dal Servizio Assetto Idrogeologico Provinciale nella persona del Dott. Maurilio Coluccino, è consistito in una campagna di rilievi geomeccanici e morfo-strutturali degli ammassi rocciosi a comportamento rigido nelle cave e nel loro immediato intorno, con lo scopo di allestire una banca dati geologico-tecnica dei principali parametri strutturali e fisico-meccanici. Durante i rilievi si è proceduto anche alla campionatura sistematica dei materiali, per un totale di circa 400 campioni, che sono stati “georeferenziati”, cioè riferiti alla cava in cui sono stati prelevati, e quindi collegati a coordinate geografiche precise, e poi sottoposti a test di laboratorio. In totale le analisi strutturali hanno interessato 66 cave e hanno comportato la raccolta delle caratteristiche di oltre 2.600 discontinuità, per un totale di 42.000 dati misurati ed elaborati, ai quali si aggiungono 1.300 test di laboratorio sui campioni, con annessa elaborazione di 9.000 parametri relativi a resistenza e forma dei provini. La difficoltà di gestire questa mole di dati in formato cartaceo ha suggerito la loro organizzazione mediante tecnologie GIS e la creazione della vista Ri.S.C., illustrata nel paragrafo 3.4.5 del capitolo precedente. Nel seguito vengono descritte le procedure di rilievo in sito, dell’esecuzione dei saggi di laboratorio e dell’elaborazione dei dati.

4.2 - Il rilievo geostrutturale

I metodi operativi utilizzati per il rilevamento delle discontinuità sono basati essenzialmente sulla metodologia proposta dall'ISRM (1978) e le tecniche di analisi, elaborazione e rappresentazione dei dati raccolti basate sui procedimenti proposti dall'ISRM (1978) e da PRIEST (1993). I due criteri fondamentali con i quali si possono censire le discontinuità (ISRM, 1978) sono:

88 o Criterio soggettivo: vengono rilevate solo le discontinuità che, secondo l’operatore, hanno un ruolo importante per le caratteristiche meccaniche dell'ammasso; o Criterio oggettivo: vengono campionate tutte le discontinuità che intersecano una certa linea di riferimento (linea di scansione) o che ricadono all'interno di una certa finestra. L'approccio oggettivo presume un'elaborazione statistica dei dati, per cui richiede che il numero delle discontinuità campionate sia sufficientemente elevato da rendere significativa l’elaborazione: ne consegue che un approccio strettamente oggettivo richiede tempi notevolmente lunghi. L'approccio soggettivo è più rapido ed economico, ma presume la conoscenza dell'area in esame e l'individuazione a priori dei domini di discontinuità. Dato l’elevato numero di siti e l’impossibilità in alcuni casi di effettuare stendimenti contenenti un numero significativamente importante di discontinuità, si è scelto di optare per una raccolta dati secondo il criterio soggettivo. Nel seguito vengono illustrati in dettaglio i parametri necessari per descrivere le discontinuità di un ammasso roccioso (orientazione o giacitura, spaziatura, persistenza, apertura, scabrezza, riempimento, alterazione, condizioni di umidità e venute d'acqua, numero di sistemi di discontinuità e resistenza delle pareti) e le modalità del loro rilevamento.

4.2.1 - Orientazione

La giacitura di una discontinuità è definita da due numeri che indicano rispettivamente la direzione dell'immersione rispetto al Nord e l'inclinazione rispetto all'orizzontale; è ricavata in sito mediante una bussola da geologo. L'orientazione delle discontinuità influenza in modo determinante la possibilità di condizioni d’instabilità o lo sviluppo di deformazioni notevoli. L'importanza dell'orientazione aumenta quando sono presenti altre condizioni favorevoli alla deformazione, quali basse resistenze di taglio o un insieme di sistemi di discontinuità e giunti in grado di innescare cinematismi. L'orientazione relativa delle discontinuità determina inoltre la forma dei singoli blocchi che costituiscono la massa rocciosa.

89 o Strumentazione. Bussola e clinometro. o Presentazione dei risultati. I risultati sono presentati in proiezione stereografica equiareale di Schmidt (emisfero inferiore). Quando un rilievo strutturale contiene molte misure, per individuare in modo corretto le famiglie di discontinuità si ricorre ai diagrammi di densità, nei quali la distribuzione dei poli è rappresentata mediante aree isopercentuali degli stessi e vengono così evidenziati gli intervalli di valori che ricorrono con maggior frequenza.

Figura 46. Proiezione stereografica equiareale di Schmidt, emisfero inferiore: proiezione dei poli (A) e aree isopercentuali dei poli (B), che facilitano il raggruppamento delle discontinuità in set.

Il valore centrale di queste "nuvole", che coincide con il massimo relativo di frequenza, permette, assieme alle caratteristiche fisiche dei giunti, di raggruppare le discontinuità rilevate in set. I diagrammi di densità sono costruiti in base al conteggio dei poli riportati sul reticolo, che può essere effettuato sia manualmente, sia con appositi codici di calcolo: in questo studio è stato utilizzato il codice Stereo della Rockware inc.

90 4.2.2 - Apertura

E' la distanza, misurata perpendicolarmente alle pareti, che separa le pareti di una discontinuità aperta, il cui spazio può essere vuoto oppure contenere materiale di riempimento. La misura dell'apertura è spesso complicata dal fatto che essa è maggiore in superficie che non all'interno dell'ammasso roccioso. Tale parametro è stato valutato con l'ausilio di un calibro e di uno spessimetro. o Strumentazione: calibro e spessimetro. o Procedura. Le aperture sottili possono essere misurate in modo approssimato con un calibro, mentre le aperture larghe con un regolo graduato in mm. o Presentazione dei risultati. Le classi di apertura codificate in letteratura sono le seguenti: GIUNTO APERTURA - serrato < 0,1 mm - parzialmente serrato 0,1-1 mm - aperto 1-2,5 mm - apertura ampia 2,5-5 mm - apertura molto ampia > 5 mm

4.2.3 - Persistenza

La persistenza rappresenta l'estensione areale o la dimensione di una discontinuità entro un piano: essa è senza dubbio uno dei parametri più importanti che caratterizzano le masse rocciose, ma è anche uno dei più difficili da quantificare. Poiché non è possibile un rilievo diretto della persistenza, essa è stata approssimativamente quantificata osservando le lunghezze delle tracce di discontinuità sulla superficie esposta. Spesso le superfici esposte sono piccole rispetto all'area o alla lunghezza di discontinuità persistenti, cosicché la persistenza reale può solamente essere ipotizzata attraverso l’introduzione di un valore percentuale scelto dall’operatore sulla base dell’importanza che egli attribuisce alla discontinuità stessa. Per esempio, alla foliazione viene tendenzialmente attribuito un valore del 100%.

91 Le discontinuità di un sistema possono essere più estese di quelle di altri: i giunti dei sistemi meno importanti terminano in genere nei giunti del sistema principale o si chiudono nella roccia. o Strumentazione: rotella metrica o Procedura. Per ogni giunto si misura la lunghezza in metri secondo immersione e direzione

(persistenza lineare) e si assegna il valore Pa, definito come rapporto percentuale fra la lunghezza effettiva della discontinuità e la lunghezza che essa avrebbe se la sua persistenza fosse pari al 100%, cioè se la discontinuità stessa proseguisse in un significativo intorno dell’area esaminata (estensione areale della discontinuità). o Presentazione dei risultati. I vari sistemi di discontinuità sono dunque definiti da due valori: il primo è la lunghezza in metri della discontinuità misurata sul terreno (persistenza lineare), mentre il secondo è una stima quantitativa espressa in termini percentuali in relazione all’estensione del piano del giunto (persistenza areale).

4.2.4 - Spaziatura

Rappresenta la distanza tra discontinuità appartenenti allo stesso sistema, misurata su un fronte di esplorazione almeno dieci volte più lungo della spaziatura media del sistema stesso. La spaziatura condiziona in modo sostanziale le dimensioni di singoli blocchi di roccia integra: sistemi di discontinuità molto ravvicinate creano condizioni di bassa coesione nella massa, mentre una larga spaziatura produce situazioni d’interdipendenza tra i blocchi. In casi eccezionali una spaziatura molto stretta può modificare le modalità di rottura di una massa rocciosa da quella di traslazione (a livello di singoli blocchi) a quella di flusso (a scala di versante). La spaziatura ha infine una grande influenza sulla permeabilità della massa rocciosa. o Strumentazione: rotella metrica graduata in cm, bussola e clinometro.

92 o Procedura. La rotella metrica viene stesa sulla superficie da esaminare ortogonalmente alla traccia superficiale delle discontinuità; se ciò non è possibile si apporta una correzione per ottenere la vera spaziatura. o Presentazione dei risultati. Per ogni sistema di discontinuità sono state calcolate la minima e la massima spaziatura ed il valore medio. Viene utilizzata la seguente terminologia: - Spaziatura estremamente stretta < 20 mm - Spaziatura molto stretta 20-60 mm - Spaziatura stretta 60-200 mm - Spaziatura moderata 200-600 mm - Spaziatura larga 600-2000 mm - Spaziatura molto larga 2000-6000 mm - Spaziatura estremamente larga > 6000 mm

4.2.5 - Scabrosità: rugosità e ondulazione

Rugosità e ondulazione forniscono indicazioni sull’irregolarità delle superfici dei giunti, che rappresenta uno dei principali fattori della resistenza al taglio, soprattutto nel caso di una discontinuità serrata. La loro importanza diminuisce con l'aumento dell’apertura e la presenza di riempimento. Esistono due tipi di scabrosità: “ondulazione” a grande scala (o forma), e “rugosità” o “scabrezza” a piccola scala, quest’ultima utilizzata per la stima della resistenza al taglio. Strumentazione: profilometro tascabile o “pettine di Barton”. o Procedura. Alla piccola scala, la rugosità è misurata con un profilometro tascabile o "pettine di Barton" (fig. 47): i profili così ottenuti vengono confrontati con profili predefiniti (fig. 48), in base ai quali si ricava il parametro adimensionato JRC (Joint

Roughness Coefficient) (BARTON e CHOUBEY, 1977) che esprime quantitativamente l'entità delle asperità presenti sulle pareti.

93

Figura 47. Pettine di Barton.

Figura 48. Profili di scabrezza e corrispondenti valori di JRC (BARTON e CHOUBEY, 1977).

94 Il rilievo del profilo del giunto viene eseguito nella direzione dell'ipotetico scorrimento, ma se questa non è ipotizzabile a priori viene eseguito nelle due o tre direzioni possibili. Per motivi logistici e di tempo la traccia del profilo difficilmente può essere eseguita su tutte le discontinuità rilevate, che comunque devono essere descritte con idoneo aggettivo (liscia, levigata, rugosa). La forma viene invece valutata visivamente, utilizzando i profili predefiniti di riferimento indicati nelle tabelle dell'ISRM. o Presentazione dei risultati. Basandosi su due scale di osservazione e distinguendo fra rugosità ed ondulazione, le irregolarità sono descritte facendo riferimento sia a termini descrittivi che numerici (JRC) per le superfici delle discontinuità a “piccola scala” e solo a termini descrittivi per quanto riguarda l’ondulazione: RUGOSITA’: liscia, levigata, rugosa. ONDULAZIONE: piana, ondulata, segmentata, irregolare.

4.2.6 - Resistenza delle pareti

La resistenza a compressione delle pareti rocciose di una discontinuità è una componente molto importante della sua resistenza a taglio e della sua deformabilità, specialmente se essa si presenta serrata o chiusa e priva di riempimento. Le masse rocciose prossime alla superficie sono frequentemente alterate dall'azione degli agenti atmosferici e l’alterazione interessa assai più le superfici di discontinuità che l'interno dei blocchi di roccia. Ne consegue che la resistenza a compressione della parete della superficie di discontinuità è minore di quella della roccia sana. o Strumentazione: martello di Schmidt. o Procedura. La superficie delle pareti delle discontinuità è saggiata con il martello di Schmidt

(DEERE e MILLER, 1966; DAY e GOUDIE, 1977; ISRM, 1978). Questo strumento è costituito da un'asta metallica, percossa da una massa battente azionata da una molla, che viene appoggiata alla superficie della roccia e permette di stimare la resistenza alla compressione uniassiale apparente mediante la

95 lettura dei valori di rimbalzo: tali valori sono funzione della quantità di energia elastica restituita dal materiale su cui viene effettuata la prova.

Figura 49. Schema costruttivo del Martello di Schmidt.

La prova si esegue posizionando il martello in direzione perpendicolare alla superficie della discontinuità in esame e ripetendo la lettura per dieci volte; deve essere anche annotata l’inclinazione dello strumento rispetto all’orizzontale. Ovviamente devono essere saggiate le superfici delle pareti di tutte le famiglie di discontinuità individuate. o Presentazione dei risultati. Scartate le cinque letture più basse, si calcola il valore medio delle restanti e lo si corregge con un coefficiente che dipende dall’inclinazione del martello, in quanto le parti mobili contenute nello sclerometro sono soggette all’azione della gravità (tab. 6). Nota la densità della roccia e l’inclinazione del martello rispetto alla verticale si ricava, mediante il grafico di figura 50, il valore della resistenza a compressione delle pareti delle discontinuità JCS (Joint Compressive Strenght).

96 NOME CAVA VALORI DI RIMBALZO R RKsc RK1 RK2 RK3 35 41 32 41 42 42 37 42 45 45 40 44 45 47 41 46 48 48 42 48 48 48 42 48 49 48 45 48 49 51 45 50 50 55 47 50 50 59 48 50 MEDIA 49,2 52,2 45,4 49,2 ORIENTAZIONE MARTELLO R CORRETTO 48,54 50,88 43,42 47,88 Tabella 6. Tabella di calcolo adottata per la correzione del rimbalzo del martello, suddivisi in set, in funzione dell’orientazione del martello.

Figura 50. Correlazione tra resistenza a compressione monoassiale, densità della roccia, valore di rimbalzo e inclinazione dello strumento rispetto alla verticale (MILLER, 1965).

97 4.2.7 - Alterazione

Il grado di alterazione delle superfici di discontinuità può essere descritto con un aggettivo (inalterato, ossidato, disgregato, decomposto), ma anche definito con un parametro numerico, cioè come rapporto fra la resistenza a compressione monoassiale della roccia intatta σc e JCS (tab. 7).

SET RKs RK1 RK2 RK3

R FINALE 48,04 50,88 43,02 49,21

JCS [MPa] 128,6 149,3 98,7 136,7

σc [MPa] 150,0 150,0 150,0 150,0

σc/JCS 1,2 1,0 1,5 1,1

Tabella 7. Stima della resistenza (JCS) e del grado di alterazione sulla superficie dei giunti, a partire dai valori del rimbalzo del martello (R).

4.2.8 - Riempimento

Descrive la presenza o meno fra le pareti della discontinuità di materiale, le cui caratteristiche meccaniche possono influenzare notevolmente la resistenza al taglio, la deformabilità e la permeabilità del giunto. Inoltre, se l’apertura del giunto è tale che le pareti non siano a contatto, la resistenza al taglio della discontinuità si identifica con quella del materiale di riempimento. o Strumentazione: Penetrometro tascabile. o Presentazione dei risultati. Il tipo di riempimento viene definito come materiale duro, terra molle, ossidi, materiale rigonfiante; nei rari casi in cui il riempimento era costituito da materiale assimilabile ad un terreno si è proceduto a testarne la resistenza e la deformabilità con il penetrometro tubolare, generalmente utilizzato per classificare campioni di suolo secondo la resistenza a compressione [kg/cm2], letta direttamente sulla scala graduata dello strumento.

4.2.9 - Condizioni di umidità

La presenza d'acqua nelle discontinuità riveste un ruolo importante nei fenomeni di movimenti di massa, sia come fattore predisponente che come

98 causa scatenante il dissesto, in quanto essa riduce le caratteristiche di resistenza dell'ammasso roccioso. o Presentazione dei risultati. Vengono fornite indicazioni qualitative con le seguenti definizioni: 1) Asciutto; 2) Umido; 3) Gocce; 4) Percolazione.

4.2.10 - Terminazione

La modalità di terminazione della traccia della discontinuità viene indicata secondo la simbologia proposta dall'ISRM: I = in roccia intatta; A = contro un'altra frattura; O = fuori affioramento.

4.3 - Test di laboratorio

I campioni raccolti durante l’attività di campagna sono stati sottoposti a Point- load strenght test (ISRM, 1978), conservandone anche una porzione presso l’Amministrazione Provinciale per eventuali altri studi come, ad esempio, il progetto INTERREG III A - MISURA 2.2 (Valorizzazione del patrimonio artistico, culturale ed edilizio comune), intitolato Osservatorio Subalpino Materiali Territorio Restauro - OSMATER.

Figura 51. Point Load Digitale Controls 45-D0050/D.

99 4.3.1 - Point-load strenght test

La prova di resistenza al punzonamento fornisce un indice per la classificazione del materiale roccioso, che può essere correlato ad altri parametri, quale ad esempio la resistenza a compressione uniassiale. o Strumentazione: Point Load Digitale Controls 45-D0550/D.

4.3.2 - Procedura e calcoli

La prova consiste nel comprimere fino a rottura un frammento di roccia mediante l’applicazione di un carico puntuale, trasmesso da una coppia di punte coniche, e deve essere ripetuta su 10 provini. Vengono misurati il carico di rottura del campione e le distanza tra le punte dello strumento all’inizio della prova e al momento della rottura. La distanza tra le punte (D) deve essere compresa tra 30 e 85 mm; il provino deve avere una base all’incirca quadrata di lato L (fig. 52) e rispettare le proporzioni: L/D > 1 per prove diametrali L/D = 0.3 ± 0.1 per prove assiali

Figura 52. Modalità di applicazione del carico puntuale e rappresentazione schematica dei parametri di forma D, L, L’ (L’≅ L).

100 Considerata l’anisotropia dei materiali ossolani, fatta eccezione per i graniti, le prove sono state eseguite applicando il carico perpendicolarmente e parallelamente alla foliazione. La resistenza al punzonamento Is (strenght index), espressa in MPa, è data da: P ⋅1000 I = s D2 E dove P indica il carico di rottura in kN e DE il "diametro equivalente" in mm.

Per campioni di forma irregolare, DE è definito: 4A D = E π dove A = L·D rappresenta l’area della sezione trasversale del provino (fig. 52) sulla quale agisce il pistone di carico.

Poiché i valori di Is così ottenuti dipendono da DE, se si vogliono risultati correlabili fra loro è necessario ricavare il valore Is (50), definito come valore di Is relativo ad un provino standard di dimensioni D = 50 mm, mediante la formula: Is(50) = F⋅Is dove "F" è il fattore correttivo della forma. Esso può venire ricavato sia da un apposito grafico, sia dalla relazione:

0,45 ⎛ D ⎞ F = ⎜ E ⎟ ⎝ 50 ⎠ Dopo aver apportato le correzioni sopra indicate, si calcola il valore medio di Is (50), scartando i due valori più alti e i due più bassi tra i 10 determinati. Il rapporto tra i due valori medi di Is (50), ottenuti dalle prove eseguite perpendicolarmente e parallelamente alla scistosità, viene definito "indice di anisotropia" o "Ia (50)": il suo valore è prossimo a 1 per le rocce isotrope e aumenta per le rocce anisotrope.

BROCH e FRANKLIN (1972) hanno proposto una correlazione fra la resistenza al punzonamento e quella a compressione monoassiale σC data dalla formula:

σc = 24 Is(50) [MPa]

101

Figura 53. Campioni utilizzati per le prove di Point Load.

Is L/2 D finale D Is σ P [kN] eq F corretto c [mm] [mm] [mm] [MPa] [MPa] [MPa] PROVE PERPENDICOLARI ALLA SCISTOSITA' 40,0 47,0 26,2 69,2 5,5 1,2 6,3 151,8 27,0 52,0 18,9 59,8 5,3 1,1 5,7 137,8 30,0 39,0 16,5 54,6 5,5 1,0 5,7 137,9 35,0 38,0 28,6 58,2 8,4 1,1 9,0 216,8 22,0 54,0 15,3 55,0 5,1 1,0 5,3 126,6 28,0 46,0 19,3 57,3 5,9 1,1 6,2 149,9 30,0 29,0 7,5 47,1 3,4 1,0 3,3 78,6 16,0 20,0 11,5 28,5 14,1 0,8 10,9 262,3 35,0 22,0 9,8 44,3 5,0 0,9 4,7 113,7 30,0 29,0 15,5 47,1 7,0 1,0 6,8 163,2 MEDIA 6,4 153,9 MAX 10,9 262,3 MIN 3,3 78,6 PROVE PARALLELE ALLA SCISTOSITA' 24,0 33,0 5,8 44,9 2,9 1,0 2,7 65,2 16,0 31,0 5,4 35,5 4,3 0,9 3,7 87,7 26,0 34,0 5,4 47,4 2,4 1,0 2,4 56,4 20,0 40,0 6,1 45,1 3,0 1,0 2,8 68,2 25,0 20,0 5,4 35,7 4,2 0,9 3,6 86,8 25,0 44,0 8,0 52,9 2,8 1,0 2,9 70,0 22,0 36,0 6,7 44,9 3,3 1,0 3,2 76,3 18,0 35,0 3,4 40,1 2,1 0,9 1,9 46,4 50,0 42,0 11,1 73,1 2,1 1,2 2,5 58,8 29,0 56,0 9,4 64,3 2,3 1,1 2,6 61,2 MEDIA 2,8 67,7 MAX 3,7 87,7 MIN 1,9 46,4 Tabella 8. Tabelle di calcolo utilizzata per la stima dell'indice di Point Load.

102 4.4 - Caratterizzazione dell’ammasso roccioso

La caratterizzazione geotecnica consiste principalmente nella individuazione dei parametri che definiscono gli stati e le situazioni tipiche della costruzione geotecnica in esame, da valutare successivamente mediante le analisi progettuali e da sottoporre a verifiche. Alla caratterizzazione geotecnica si perviene, secondo i casi, mediante: o valutazioni e stime di tipo empirico, basate su esperienze precedenti; o prove di laboratorio e in sito; o analisi a ritroso (back analysis). I metodi di caratterizzazione proposti hanno due approcci: o l’ammasso roccioso è trattato come un mezzo continuo/continuo equivalente, cioè prescindendo dalle discontinuità presenti (BARTON et al.,

1980; BIENIAWSKI, 1989; DEERE et al.,1989; ROMANA, 1996); o l’ammasso roccioso è trattato come un mezzo discontinuo, cioè si tiene esplicitamente conto delle discontinuità presenti (BARTON, 1973). Con il primo generalmente si determina l’entità della riduzione delle caratteristiche della roccia intatta, causata da disturbi geologici e da lavori eseguiti o in progetto (fig. 54). La definizione dell’entità della riduzione è di norma basata su valutazioni di tipo indiretto, mediante ricorso a classificazioni (BARTON et al., 1980; BIENIAWSKI,

1989; DEERE,1989; ROMANA, 1996; HOEK et al., 2002) che permettono di ricalcolare per l’ammasso i parametri di coesione ed angolo di attrito.

Figura 54. Valori di resistenza per la roccia intatta e per l'ammasso roccioso.

103 Analoghi risultati si possono anche ottenere usando il criterio di rottura, proposto da HOEK et al. (2002) e noto come “criterio di HOEK e BROWN”, che consente di definire lo stato di tensione massimo sopportabile dall’ammasso in differenti tipologie e caratteristiche di intervento (ad es. scavo a cielo aperto, tunnel, altezza del fronte, diametro della galleria). In un modello di ammasso roccioso discontinuo si postula che eventuali cedimenti possano prodursi solo in corrispondenza delle discontinuità, delle quali si deve quindi poter prevedere il comportamento.

4.4.1 - Metodi di classificazione utilizzati

I sistemi di classificazione esaminano alcune fondamentali caratteristiche della roccia intatta e delle discontinuità presenti, assegnando valori quantitativi a ciascuna di esse, e consentono così di valutare nel modo più completo ed oggettivo le caratteristiche globali dell’ammasso. Poiché la raccolta dei dati e la definizione dei parametri più significativi vengono eseguite con metodi standardizzati, i sistemi di classificazione consentono di confrontare esperienze maturate in siti diversi e costituiscono, per esempio, un validissimo supporto in fase di progettazione. La finalità del Progetto Ri.S.C. è la valutazione della qualità degli ammassi rocciosi nelle aree di cava del territorio provinciale, alla quale si è pervenuti applicando e confrontando i risultati delle classificazioni di DEERE (RQD),

BIENIAWSKI (RMR) e HOEK e BROWN (GSI).

4.4.1.1 - Rock quality designation index (RQD)

L’indice RQD è stato sviluppato da DEERE (DEERE et al., 1966; DEERE e DEERE,

1988; DEERE, 1989) per fornire una stima quantitativa della qualità dell’ammasso roccioso sulla base dell’analisi di un carotaggio della lunghezza di almeno 200 cm. L’indice è definito come rapporto percentuale tra la somma delle lunghezze degli elementi più lunghi di 10 cm e la lunghezza totale, come illustrato in figura 55. Non sono da considerare le rotture provocate dal distacco della carota; nell’esempio sono infatti indicati con L=0 i tratti in cui non risultano spezzoni

104 integri lunghi almeno 10 cm e quelli da cui non si è ottenuta la carota (legati per esempio all’attraversamento di roccia sfatta).

Figura 55. Esempio di determinazione dell’indice RQD su una carota (campione cilindrico prelevato con una sonda a taglio anulare) di roccia fratturata (SANDVIK, 1999).

Nell’esempio la lunghezza totale è di 200 cm e l’indice RQD vale:

lungh.elementi〉10cm 38 +17 + 20 + 35 RQD = ∑ = ⋅100 = 55% lungh.totale 200 La correlazione fra il valore di RQD e la qualità della roccia è riportata in tab. 9.

RQD [%] Qualità della roccia

0-25 Molto scadente

25-50 Scadente

50-75 Discreta

75-90 Buona

90-100 Eccellente

Tabella 9. Valori di RQD in funzione della qualità della roccia.

Non essendo stati previsti carotaggi nell’ambito del Progetto Ri.S.C., l’indice RQD è stato calcolato dai dati dei rilievi geostrutturali mediante le formule:

⎛ −0.1 ⎞ ⎜ ⎟ ⎛ ⎞ ⎝ Smedia ⎠ 0.1 RQD% =100e ⎜ +1⎟ (PRIEST e HUDSON, 1976) ⎝ Smedia ⎠

dove Smedia = Spaziatura media [cm]

105 e

RQD % = 115 - 3.3 Jv (PALMSTRÖM, 1982)

n 1 dove Jv = ∑ n=1 Sn con Sn che rappresenta la spaziatura media espressa in metri di ciascuna 3 famiglia di discontinuità (Ks, K1, K2,...) e Jv il numero dei giunti in un m di roccia.

4.4.1.2 - Rock Mass Rating (RMR)

Il sistema di classificazione geomeccanica proposto da BIENIAWSKI (1978; 1989) consiste in un punteggio (rating), assegnato all’ammasso roccioso in base all’analisi di cinque parametri: o Resistenza a compressione monoassiale; o RQD; o Spaziatura delle discontinuità; o Condizioni delle discontinuità, con particolare riferimento alla loro apertura, alla rugosità, al grado di alterazione delle pareti e alla presenza o meno di materiali di riempimento; o Condizioni idrauliche, espresse in termini di condizioni generali.

Ciascun parametro è valutato in maniera quantitativa e, a ciascuno di essi, è assegnato un rating: la loro somma fornisce il “punteggio di qualità di base”, detto BRMR (Basic Rock Mass Rating).

BIENIAWSKI (1989) propone diagrammi di correlazione (figg. 56-58) fra rating ed alcuni parametri (Is, RQD, Spaziatura) e punteggi per le condizioni dei giunti (tab. 10). Nel Progetto Ri.S.C. i valori utilizzati per la resistenza a compressione monoassiale derivano dalle prove di Point Load, eseguite sulla campionatura effettuata, e per RQD sono i più cautelativi della coppia calcolata con le formule di PRIEST e HUDSON (1976) e PALMSTRÖM (1982).

106 16

14

12

10

8 Rating 6

4

2

0 024681012 Is [MPa]

Figura 56. Diagramma di correlazione fra indice di Point Load e rating.

20

18

16

14

12

10

Rating 8

6

4

2

0 0 20406080100 RQD [%]

Figura 57. Diagramma di correlazione tra RQD e rating.

25

20

15

Rating 10

5

0 0 500 1000 1500 2000 2500 Spaziatura [mm]

Figura 58. Diagramma di correlazione tra spaziatura e rating.

107

Tabella 10. Correlazioni tra parametri e rating proposti da BIENIAWSKI (1989).

Il valore di RMR così ottenuto, senza la correzione che tiene conto dell’orientamento più o meno favorevole delle discontinuità, è stato utilizzato per il calcolo dei valori della coesione (C), dell’angolo di attrito (Φ) e della deformabilità (EM) mediante le formule: C = 0.005 · BRMR [MPa] Φ = 5 + BRMR/2 [°]

EM = 2RMR-100 [GPa] (BIENIAWSKI, 1978) [(BRMR-10)/40] EM = 10 [GPa] (SERAFIM e PEREIRA, 1983)

Per ogni cava sono stati definiti due valori di BRMR in funzione delle differenti resistenze a compressione ottenute con sollecitazione parallela e perpendicolare alla foliazione.

108

Condizioni dei giunti

⊥ [m] Is Is // c/JCS] [mm] [mm] [JRC] σ [ Rugosità RQD [%] idrauliche Alterazione Spaziatura Condizioni Condizioni Persistenza Riempimento Apertura [mm]

Valore 5,9 3,1 97,5 1126 9,5 2,3 11,3 assente 1,3 Asciutta

Rating 12 8,3 19,3 15,2 1,6 1,9 3,4 4,0 5,7 15,0

Tabella 11. Esempio di calcolo di BRMR con parametri d’ingresso e rispettivi rating. Da notare la presenza di due indici di point load, rispettivamente perpendicolare (⊥) e parallelo (//) alla scistosità, e il ricorso, per la valutazione delle condizioni dei giunti, ad algoritmi appositamente creati (Allegato D).

4.4.1.3 - Geological Strength Index (GSI)

L’indice di resistenza geologica GSI (HOEK, 1983; 1990; 1994; HOEK e

BROWN,1980; 1988; 1997; HOEK e MARINOS, 2000; HOEK et al., 1992; 1995; 1998; 2002) si ricava mediante esame visivo del grado di fratturazione della roccia che costituisce l’ammasso e delle condizioni delle superfici di discontinuità. Combinando le osservazioni secondo quanto riportato in figura 59, si ottiene il valore di GSI, espresso da un numero variabile da 0 a 100. Il valore di GSI è quindi ottenuto da stime quantitative dell’ammasso roccioso ed è utilizzato per valutarne indirettamente le caratteristiche di deformabilità e resistenza e non per una sua classificazione geomeccanica. In questo studio si è determinato il valore di GSI in funzione dell’indice BRMR, secondo la relazione proposta da HOEK:

GSI = BRMR – 5

109

Figura 59. Caratterizzazione dell’ammasso roccioso basata sull’interconnessione e sull’alterazione dei giunti (HOEK et al., 2002).

4.4.2 - Il criterio di rottura di Hoek-Brown

Il criterio di rottura semi-empirico proposto da HOEK (1983; 1990; 1994), HOEK e

BROWN (1980; 1988; 1997), HOEK e MARINOS (2000) e HOEK et al. (1992; 1995; 1998; 2002) concettualmente assimila il comportamento di un ammasso roccioso fratturato a quello di un provino di roccia sottoposto in laboratorio ad una prova di compressione triassiale. Inizialmente il criterio fu sviluppato per ammassi rocciosi di buona qualità ed elevata resistenza; successivamente è stato esteso anche ad ammassi rocciosi con scadenti caratteristiche geomeccaniche.

110

Figura 59. Schema delle sollecitazioni in un provino sottoposto a prova di compressione triassiale.

L’equazione generale del criterio di rottura è:

a ⎛ σ ' ⎞ ⎜ 3 ⎟ σ 1 '= σ 3 '+σ ci ⎜mb ⋅ + s⎟ ⎝ σ ci ⎠ dove:

σ1’ e σ3’ = sforzi efficaci principali rispettivamente massimo e minimo a

rottura mb = valore della costante m per gli ammassi rocciosi s, a = costanti che dipendono dalle caratteristiche dell’ammasso roccioso

σci = resistenza a compressione monoassiale della roccia intatta. ll calcolo degli inviluppi a rottura è stato eseguito con l’ausilio dell’applicativo RocLab v. 1.007 del 23.06.2003, distribuito da Rocscience Inc.

4.4.2.1 - Parametri di ingresso

In questo studio i parametri di ingresso utilizzati sono: o σci definita dalle prove di Point Load; o a, s, mb calcolati mediante gli algoritmi (HOEK et al., 2002)

111 1 1 a = + (e−GSI / 15 − e−20 / 3 ) 2 6

⎛ GSI −100 ⎞ s = exp⎜ ⎟ ⎝ 9 − 3D ⎠

⎛ GSI −100 ⎞ mb = mi exp⎜ ⎟ ⎝ 28 −14D ⎠

dove: - GSI è l’indice di resistenza geologica, calcolato con le modalità descritte in precedenza; - D è un fattore che dipende dal grado di disturbo dell’ammasso roccioso a causa dell’uso di esplosivo e del detensionamento provocato dagli scavi e varia da 0 per ammassi indisturbati a 1 per le condizioni di massimo disturbo;

- mi è un coefficiente che dipende dalle caratteristiche mineralogiche e petrografiche della roccia intatta.

I valori di D e mi sono stati definiti con l’ausilio del già citato applicativo RocLab (figg. 60 e 61).

Figura 60. Finestra dell’applicativo RocLab che guida l’operatore nella scelta del valore del coefficiente mi.

112

Figura 61. Finestra dell’applicativo RocLab che guida l’operatore nella scelta del valore del grado di disturbo D.

4.4.2.2 - Criterio di Rottura di Hoek-Brown e Mohr-Coulomb

La conoscenza dei valori della coesione (c) e dell’angolo di attrito (φ) è indispensabile per l’applicazione dei metodi dell’equilibrio limite che, individuando una superficie di scivolamento ipotetica o reale, consentono di valutare la stabilità della porzione di materiale compresa tra tale superficie e quella topografica. Il sistema si troverà in condizioni di equilibrio limite quando la resistenza al taglio disponibile del materiale (dovuta alla coesione e all’angolo di attrito) è pari alla resistenza al taglio mobilizzata lungo quella superficie. Il rapporto tra queste due grandezze definisce il fattore di sicurezza, il quale deve essere superiore all’unità per garantire le condizioni di stabilità. Nelle terre sciolte i valori di coesione e angolo di attrito sono tra loro legati nell’equazione di Mohr-Coulomb:

τ = c + σ tan φ

113 dove τ = sforzo di taglio, c = coesione, σ = pressione efficace, φ= angolo di attrito Negli ammassi rocciosi la resistenza al taglio varia in maniera più complessa (non lineare) di quanto descritto dall’equazione di Mohr-Coulomb, che secondo Hoek-Brown deve essere riformulata: τ = c’ + σ tan φ’ in cui

a−1 σ ci []()1+ 2a s + (1− a)mbσ '3n (s + mbσ '3n ) c'= a−1 ()()1+ a 2 + a 1+ ()6amb (s + mbσ '3n )()()()1+ a 2 + a

a−1 −1 ⎡ 6amb (s + mbσ '3n ) ⎤ φ'= sin ⎢ a−1 ⎥ ⎣⎢2()()1+ a 2 + a + 6amb (s + mbσ '3n )⎦⎥

mb = valore della costante m per gli ammassi rocciosi s, a = costanti che dipendono dalle caratteristiche dell’ammasso roccioso.

σci = resistenza a compressione monoassiale della roccia intatta

σ’3n = σ’3max/ σci.

Nei calcoli riportati nel seguito σ’3max è stato determinato di volta in volta eseguito con l’ausilio del già citato applicativo RocLab. La resistenza al taglio di Mohr-Coulomb, per un dato valore di sforzo normale, si ottiene mediante la sostituzione dei valori di c’ e φ’, determinati mediante le equazioni sopra riportate, nell’equazione τ = c’ + σ tan φ’. In termini di sforzi principali maggiore (σ1) e minore (σ3), la curva equivalente di Mohr-Couloumb è definita dall’equazione:

2c'cosφ' 1+ sinφ' σ ' = + σ ' . 1 1− sinφ' 1− sinφ' 3

La versione 2002 del criterio di Hoek e Brown descrive quindi una procedura che, nel determinare le componenti equivalenti di resistenza dovute all’attrito ed alla coesione per diverse caratteristiche di ammasso e per diversi intervalli di sforzo, consente di fatto l’applicazione delle formule dell’equilibrio limite anche al caso di ammassi rocciosi.

114 La procedura consiste in estrema sintesi nel linearizzare, mediante regressione lineare, la curva generata dalla risoluzione dell’equazione generale del criterio di rottura per un intervallo di sforzo principale minore definito da σt<σ3<σ’3max. (fig. 62).

Figura 62. Relazione tra sforzi principali maggiori e minori tra il criterio di rottura di Hoek-Brown e il criterio equivalente Mohr-Couloumb (HOEK et al., 2002).

4.4.2.3 - Resistenza e deformabilità dell’ammasso roccioso

La resistenza a compressione monoassiale dell’ammasso è ottenuta, ponendo

σ3=0, nell’equazione

a ⎛ σ ' ⎞ ⎜ 3 ⎟ σ 1 '= σ 3 '+σ ci ⎜mb ⋅ + s⎟ ⎝ σ ci ⎠ che diventa σ = σ ⋅ sa c ci

115 La resistenza a trazione si ottiene imponendo σ1 = σ3 = σt, il che rappresenta condizioni di tensione biassiale: σ σ = − ci t m b Generalmente la rottura inizia in corrispondenza di una superficie di scavo quando σc è superato dallo sforzo indotto su quella superficie. La rottura iniziale si propaga in un campo di sforzo biassiale ed eventualmente si stabilizza quando la resistenza locale è superiore agli sforzi indotti σ1 e σ3. Nell’analisi globale delle condizioni di stabilità delle pareti di scavo risulta più utile considerare il comportamento complessivo dell’ammasso roccioso in termini della sua resistenza globale, piuttosto che il processo di propagazione delle singole fratture. Hoek e Brown propongono di stimare la resistenza globale dell’ammasso roccioso (σ’cm) ponendo, a partire dall’equazione di Coulomb:

2c'cosφ' σ 'cm = 1 − sinφ'

la quale, se c’ e Φ’ sono determinati per l’intervallo di sforzo σt<σ3<σci/4, in termini di tensioni efficaci, diventa:

a−1 ⎛ mb ⎞ []mb + 4sa()mb −8s ⋅⎜ + s⎟ ⎝ 4 ⎠ σ' =σ cm ci 2⋅ ()()1+ a ⋅ 2 + a

Il modulo di deformazione dell’ammasso roccioso è stato ricavato mediante la seguente equazione, valida per σci ≤100 MPa:

⎛ ⎞ ⎜ GSI −10 ⎟ ⎜ ⎟ ⎛ D ⎞ σ ci ⎝ 40 ⎠ Em (GPa) = ⎜1− ⎟ ⋅10 ⎝ 2 ⎠ 100 in cui compare il già definito parametro D, che considera gli effetti dovuti all’uso di esplosivo e al rilascio tensionale delle pareti di scavo.

Per la stima del valore appropriato della pressione di confinamento σ’3max è stato utilizzato l’intervallo di inviluppi a rottura appositamente studiato dagli autori per l’analisi di versanti di scavo, derivato dal criterio di rottura circolare di Bishop:

116 −0,91 σ ' ⎛σ ' ⎞ 3max = 0,72⎜ cm ⎟ ' ⎜ ⎟ σ cm ⎝ γH ⎠ dove H è l’altezza della parete di scavo e γ la densità della roccia.

4.5 - Caratterizzazione delle discontinuità

Un ammasso roccioso a debole profondità è generalmente suddiviso in blocchi separati da discontinuità, quali piani di stratificazione o di foliazione, giunti, zone di taglio, faglie. Lo stato tensionale esistente nelle cave è relativamente basso e sono perciò scarse le possibilità che la variazione tensionale indotta dallo scavo sia tale da provocare la rottura della roccia intatta (il cosiddetto “colpo di tensione”). Il comportamento dell’ammasso roccioso è però condizionato dall’effetto della gravità e dalla possibilità di scivolamento di blocchi lungo le discontinuità: per analizzarne la stabilità, è quindi necessario definire i fattori che controllano la resistenza al taglio delle discontinuità tra i singoli blocchi. In prima approssimazione si distingue tra discontinuità con superfici piane (giunti piani) e discontinuità con superfici scabre (giunti scabri).

4.5.1 - Resistenza al taglio di giunti piani Per un giunto con superficie piana, gli spostamenti sul piano di rottura al crescere della tensione di taglio variano secondo gli schemi riportati nelle figure 63 e 64 in cui si individuano una resistenza di picco, che in genere corrisponde alla resistenza a rottura del materiale di cementazione, e una resistenza residua.

117

Figura 63. Resistenza al taglio delle discontinuità (A) e modalità di esecuzione della prova di taglio diretto (B) lungo una superficie piana e cementata.

Figura 64. Rette di inviluppo dei cerchi di Mohr lungo una frattura piana e cementata (A) e lungo una frattura piana e non cementata (B).

Mediante prove di taglio effettuate con diversi valori della tensione verticale agente sul campione, si ottengono gli inviluppi di rottura, rappresentati dall’equazione di Mohr-Coulomb:

Resistenza di picco: τ = c + σn tan Φp

Resistenza residua: τ = σn tanΦr dove c = coesione della superficie cementata

Φp= angolo di attrito di picco

Φr= angolo di attrito residuo

118 4.5.2 - Resistenza al taglio di giunti scabri

Una superficie di discontinuità naturale non è quasi mai liscia e levigata come ipotizzato nel paragrafo precedente e le sue ondulazioni e rugosità aumentano la resistenza al taglio.

PATTON (1966) ha valutato questo fattore analizzando il comportamento di un giunto scabro con asperità aventi tutte uguale angolo di inclinazione i.

La relazione tra la tensione di taglio τ e la tensione normale σn è:

τ = σn tan(Φb + i) dove

Φb = angolo di attrito di base della superficie perfettamente levigata, dipendente esclusivamente dalla tessitura e composizione mineralogica della roccia e determinabile con prove di taglio; i = angolo di inclinazione delle asperità misurato rispetto al piano del giunto.

Figura 65. Dilatanza e rottura delle asperità lungo un giunto scabro sottoposto a sforzi di taglio (A) e curva di inviluppo teorica della resistenza al taglio a rottura lungo una superficie di frattura (B) (BARTON e CHOUBEY, 1976).

L’approccio di Patton ha il merito di essere estremamente semplice, ma descrive il comportamento dei giunti solo in condizioni di bassi valori della sollecitazione normale, nelle quali si produce solo scivolamento sulla superficie inclinata. Quando la sollecitazione normale raggiunge valori elevati, viene

119 superata la resistenza del materiale e, pertanto, la singola asperità tende a rompersi alla base.

BARTON (1973, 1976) ha studiato il comportamento dei giunti scabri, indicato i tre fattori che ne determinano la resistenza al taglio: o angolo di attrito di base (posto nello studio uguale a 30°) o JRC, componente geometrica del giunto o JCS, componente legata alla resistenza del materiale e proposto la seguente relazione:

⎡ ⎛ JCS ⎞⎤ τ = σ n tan⎢φb + JRC ⋅ log10 ⎜ ⎟⎥ ⎜ σ ⎟ . ⎣⎢ ⎝ n ⎠⎦⎥ dove

Φb = angolo di attrito di base; JRC = coefficiente di scabrezza; JCS = coefficiente di resistenza delle pareti del giunto.

BARTON e CHOUBEY (1977), in base ai risultati di 130 prove di taglio su giunti scabri, modificano la formula come segue:

⎡ ⎛ JCS ⎞⎤ ⎜ ⎟ τ = σ n tan⎢φr + JRC ⋅log10 ⎜ ⎟⎥ (1) ⎣ ⎝ σ n ⎠⎦

dove Φr è l’angolo di attrito residuo, che si ricava dalla relazione: ⎛ r ⎞ φr = ()φb − 20 + 20⎜ ⎟ ⎝ R ⎠ nella quale r ed R sono il numero di rimbalzi al martello di Schmidt sulla superficie di discontinuità alterata e pulita rispettivamente. Nell’ambito del presente studio, il rapporto r/R è risultato generalmente molto prossimo all’unità, per cui si è ritenuto sufficiente far riferimento all’angolo di attrito di base.

120

SET K1

Dati d'ingresso Min Max

Angolo di attrito di base 30,0 30,0 [°]

Joint Roughness Coefficient 6,0 16,0

Joint Compressive Strenght 106,2 106,2 [MPa]

Peso di volume ammasso roccioso 26,0 [kN/m3]

Tensione normale minima 0,000 0,336 [MPa]

Campo di applicabilità σn min 0,0 0,3 [MPa]

criterio Barton-Choubey σn max 106,2 106,2 [MPa]

Stato tensionale previsto Coesione [kPa] Angolo di attrito [°]

[m] [MPa] Min max min max

profodità min 5,00 0,130 12,9 293,3 44,7 62,7

profondità max 20,00 0,520 45,5 411,8 41,1 57,3

Tabella 12. Caratterizzazione dei giunti scabri secondo il criterio di Barton-Choubey (BARTON, 1973; 1976; BARTON e CHOUBEY, 1977).

Nell’equazione 1 il valore di σn è dato dal prodotto della profondità moltiplicata per il peso di volume della roccia costituente l’ammasso: è quindi possibile ricavare il valore, definito istantaneo, della coesione e dell’angolo di attrito per qualunque profondità o altezza di scavo prescelta. Nel presente studio lo stato tensionale è stato determinato per valori di angolo di attrito di base pari a 30° e altezze dei fronti (indicate come profondità in tabella 12) di 5 e 20 metri, che corrispondono alle geometrie di cava più comuni.

121 5 - RISULTATI OTTENUTI

Considerata la mole dei dati raccolti, con conseguente difficoltà di proporli in sede di tesi (si stima che occuperebbero complessivamente almeno 700 pagine), ed anche il carattere riservato della documentazione, i risultati vengono esposti in forma statistica. A titolo di esempio, si riportano comunque gli studi di dettaglio eseguiti su tre cave.

5.1 - Risultati dei rilievi geostrutturali

Una prima caratterizzazione dell’ammasso roccioso è data dalle dimensioni e dalla forma dei blocchi nei quali esso risulta suddiviso, le quali dipendono dal numero e dalle caratteristiche delle discontinuità. Le discontinuità individuate durante i rilievi sono state raggruppate in famiglie, sulla base della loro orientazione nello spazio e delle loro caratteristiche fisiche: l’esame dei dati giaciturali ha mostrato una certa omogeneità spaziale dei set e ha consentito la definizione di aree e bacini estrattivi, di cui si dirà nei paragrafi successivi. Nelle cave di rocce ornamentali riveste una particolare importanza il grado di fratturazione dell’ammasso roccioso, in quanto influenza la redditività (resa in blocchi) della coltivazione e il conseguente impatto ambientale (volume scavato e volume di sfridi da porre in discarica per unità di volume di materiale utilizzabile estratto) (FORNARO et al., 2002). In particolare, nello studio è stato considerato l’indice di densità delle discontinuità per unità di volume Jv, che per definizione fornisce una stima anche delle spaziature medie dei sistemi di discontinuità (fig. 66). In generale i giacimenti presentano da 5 a 8 discontinuità per m3, a cui corrispondono valori di RQD decisamente elevati. I giacimenti di Serizzo risultano caratterizzati da un grado di fratturazione maggiore e i valori medi di Jv superano di circa il 30% quelli ricavati per beole e graniti. Ciò può essere spiegato sia da una maggior variabilità delle condizioni strutturali dell’ammasso (cerniere di pieghe, faglie), sia soprattutto dal ridotto approfondimento di una parte delle cave: in alcune cave di Serizzo di recente apertura, infatti, sono state investigate le porzioni più superficiali del giacimento,

122 mentre nelle restanti cave si sono esaminate le porzioni più sane dell’ammasso, verso le quali si è tendenzialmente spostata la coltivazione.

18 16 Serizzo 14 Beola 12 Granito 10 Marmo 8 6 4 2 0 4,5 7,8 11,1 14,4 17,7 21,0 Altro Jv

Figura 66. Istogramma di frequenza cumulativa dei valori di Jv nei giacimenti rilevati.

123

Figura 67. Istogrammi di frequenza cumulativa relativi al grado di alterazione delle superfici dei giunti. In ascissa sono riportati i valori del rapporto σc/JCS e in tabella (in basso a destra) la definizione del corrispondente grado di alterazione.

Durante il rilievo geomeccanico si è testata la resistenza delle superfici dei giunti con il Martello di Schimdt. I valori ottenuti (JCS) sono stati confrontati con la resistenza della roccia intatta (σc) ricavata dalle prove di Point Load, ciò che ha consentito la stima del grado di alterazione (σc/JCS). I risultati hanno mostrato una certa uniformità dei valori che si avvicinano o eguagliano l’unità e corrispondono ad un’alterazione assente o leggera e quindi ininfluente sulle condizioni strutturali dell’ammasso roccioso; essi sono riportati in dettaglio nella banca dati georiferita e riassunti nella fig. 67. L’analisi dei restanti parametri che caratterizzano le discontinuità (apertura, persistenza, rugosità e ondulazione) viene di seguito condotta in maniera generale sulla base delle osservazioni di terreno. o Apertura: i dati dei rilievi mettono in evidenza che l'apertura tra le pareti dei giunti tende a diminuire con l'aumentare della profondità di scavo; questo è evidenziato sia dal confronto fra siti estrattivi contigui con diverso grado di approfondimento, sia dall’osservazione dei dati delle cave di più recente

124 apertura. Anche la presenza di disturbi tettonici (zone di cerniera di pieghe e faglie) incrementa il grado di apertura dei giunti, seppur in maniera meno significativa, poiché questi risultano in genere molto localizzati e con una ridotta influenza laterale. o Persistenza: è quasi sempre in relazione con l’apertura. I sistemi di discontinuità più persistenti presentano in genere aperture maggiori e viceversa. o Rugosità e ondulazione: l’ondulazione delle discontinuità è correlabile alla loro persistenza; le famiglie di giunti più persistenti presentano una forma più ondulata e/o segmentata. La scabrezza può essere relazionata con l’apertura, ovvero meno una frattura è aperta e meno essa è rugosa. I parametri "riempimento" e "umidità" non sono stati considerati in quanto statisticamente poco significativi.

5.2 - Prove di point load

La prova è stata effettuata su campioni prelevati dai fronti delle cave studiate. Per i materiali anisotropi il test è stato eseguito parallelamente e perpendicolarmente alla scistosità; i risultati ottenuti sono stati confrontati con i valori riportati in letteratura (tab. 15).

Serizzo Formazza 8

7

6

5

4

Is [MPa] 3

2

1

0 123456789101112131415161718192021

Figura 68. Valori dell’indice Is [MPa] ottenuti per la varietà di Serizzo coltivata in Val Formazza (Comuni di Formazza e Premia). In blu sono indicati i valori ricavati per applicazione del carico parallelamente alla scistosità e in verde i valori ricavati per applicazione del carico perpendicolarmente alla stessa; in ascissa è riportato il codice identificativo della cava.

125 Serizzo Antigorio 9 8 7 6 5 4 Is [MPa] Is 3 2 1 0 1234567891011121314

Figura 69. Valori dell’indice Is [MPa] ottenuti per la varietà di Serizzo coltivata in Valle Antigorio (Comuni di Crevoladossola, Crodo, Baceno, Premia). In blu sono indicati i valori ricavati per applicazione del carico parallelamente alla scistosità e in verde i valori ricavati per applicazione del carico perpendicolarmente alla stessa; in ascissa è riportato il codice identificativo della cava.

Serizzo Sempione 8 7 6 5 4

Is [MPa] Is 3 2 1 0 12345678

Figura 70. Valori dell’indice Is [MPa] ottenuti per la varietà di Serizzo coltivata nei Comuni di Varzo e Trasquera. In blu sono indicati i valori ricavati per applicazione del carico parallelamente alla scistosità e in verde i valori ricavati per applicazione del carico perpendicolarmente alla stessa; in ascissa è riportato il codice identificativo della cava. Nelle figure 68, 69 e 70 e nella tabella 13 vengono compendiati i risultati ottenuti sulle tre varietà di Serizzo.

Varietà di Is // [MPa] Is ⊥ [MPa] I σ // [MPa] σ ⊥ [MPa] Serizzo a c c

Formazza 3,00 5,37 1,85 72,0 128,8

Antigorio 2,90 5,91 2,07 69,6 141,8

Sempione 3,35 6,04 1,98 80,4 144,9

Tabella 13. Valori dell'indice medio di resistenza Is parallelamente (//) e perpendicolarmente (⊥) alla scistosità, dell'indice di anisotropia Ia e valori della compressione monoassiale σc ottenuto dalla relazione σc = Is · 24.

126

In generale nel Serizzo gli indici medi di Point Load, per applicazioni del carico ortogonale alla scistosità, sono pari a 5,5 MPa, cui corrisponde σc = 132 MPa; le prove parallele alla scistosità forniscono un indice medio di 3,1 MPa e il relativo valore di resistenza a compressione monoassiale è 74.4 MPa.

Il rapporto Ia (indice di anisotropia) fra i due indici Is⊥ e Is// ha valore medio più basso nel Serizzo Formazza e più elevato nel Serizzo Antigorio.

9 8 7 6 5 4 Is [MPa] Is 3 2 1 0 Monte Leone Moncucco- Monte Rosa Sesia Lanzo Orselina

Figura 71. Valori dell’indice Is [MPa] ottenuti per le varietà di Beola distinte in base alla falda di appartenenza (in ascissa). In blu sono indicati i valori ricavati per applicazione del carico parallelamente alla scistosità e in verde i valori ricavati per applicazione del carico perpendicolarmente alla stessa.

Le beole mostrano valori resistenza a compressione monoassiale confrontabili con quelli ottenuti per il Serizzo sia per le prove perpendicolari alla scistosità (indici di Point Load medi pari a 5,47 MPa), sia per le prove lungo la scistosità (Is medio pari a 2,6 MPa). Di contro, si registra una significativa differenza nei campioni provenienti dalla Zona Sesia-Lanzo per la spiccata anisotropia (Ia medio = 6,97) che li contraddistingue (fig. 71 e tab. 14).

127

Falda di Is // [MPa] Is ⊥ [MPa] I σ // [MPa] σ ⊥ [MPa] appartenenza a c c Monte Leone 3,23 5,83 1,87 77,6 139,8 Moncucco- 2,68 4,85 1,82 64,2 116,4 Orselina Monte Rosa 2,08 4,43 1,91 50,0 106,3

Sesia Lanzo 1,20 8,36 6,97 28,8 200,6

Tabella 14. Valori dell'indice medio di resistenza Is parallelamente (//) e perpendicolarmente (⊥) alla scistosità, dell'indice di anisotropia Ia e valori della compressione monoassiale σc per le beole, suddivise in base alla falda di appartenenza. Si noti la l’elevata anisotropia del litotipo appartenente alla Zona Sesia Lanzo.

I graniti hanno mostrato valori medi di resistenza al punzonamento pari a 5,19 MPa; i due indici ricavati per il marmo di Crevola sono 6,9 MPa e 2,9 MPa e per il Serizzo Monte Rosa 1,7 MPa e 4,4 MPa (fig. 72).

8 7 6 5 4

Is [MPa] Is 3 2 1 0 Serizzo Monte Marmo di Crevola Granito di Granito di Rosa Montorfano Baveno

Figura 72. Valori dell’indice Is [MPa] ottenuti per il Serizzo Monte Rosa, il Marmo di Crevola ed i graniti. In blu sono indicati i valori ricavati per applicazione del carico parallelamente alla scistosità e in verde i valori ricavati per applicazione del carico perpendicolarmente alla stessa. Tale distinzione non compare nei graniti in quanto le prove sono state eseguite in una sola direzione, con orientazione casuale del campione.

Analizzando i valori ricavati è possibile stabilire una relazione fra resistenza a compressione monoassiale e profondità di scavo o altezza del fronte di cava. I due parametri risultano essere direttamente proporzionali, ovvero più aumenta la profondità di scavo maggiore è la resistenza della roccia alla compressione monoassiale. Questa considerazione, naturalmente, è valida solo nella parte più superficiale dell'ammasso roccioso, poiché soltanto questa è interessata

128 dall'alterazione. Si può notare infatti che, per profondità di scavo superiore alla decina di metri, la relazione non è più verificata, in quanto si raggiungono i valori massimi di resistenza propri della roccia inalterata. Va inoltre ricordato che la resistenza meccanica della roccia risente anche della presenza di disturbi tettonici (faglie e pieghe), che aumentano il grado di fratturazione e di alterazione dell'ammasso roccioso, diminuendone la resistenza a compressione monoassiale anche a profondità maggiori di quelle sopra indicate. Alcune variazioni della resistenza della roccia sono spesso attribuibili, oltre che all'incertezza della misura, anche ad una certa variabilità delle caratteristiche petrografiche e strutturali sia fra i diversi giacimenti, sia talvolta fra le bancate di una stessa cava.

REGIONE DATI Ri.S.C. REDAPRINT ASSOCAVE PIEMONTE (1996) (2000) media massimo minimo

Serizzo 141 168-169 112 142 191 85 Antigorio Serizzo 148-150 92 105 132 65 Monte Rosa Serizzo 150 164-167 86 129 173 70 Formazza Serizzo 161 164-167 90 145 174 119 Sempione

Beola Bianca 192 99-102 104 116 127 109

Beola Favalle 181-182 185 140 151 125

Beola 164 127 106 124 93 Ghiandonata

Beola Grigia 178 181-183 185 116 127 109

Granito di 229 147 113 125 101 Montorfano Granito di 177 162 120 139 101 Baveno Marmo di 112 142-147 134 165 192 99 Crevola Tabella 15. Confronto fra i valori di resistenza a compressione monoassiale perpendicolarmente alla scistosità [MPa] riportati in letteratura (da CAVALLO et al., 2004a) e i valori ottenuti nel Progetto Ri.S.C. Occorre specificare che i valori riportati in letteratura fanno riferimento alle varietà commerciali e non alla pertinenza geologica dei litotipi.

129 5.3 - Caratterizzazione degli ammassi rocciosi

Le valutazioni effettuate secondo BIENIAWSKI (1989) hanno indicato una qualità dell'ammasso roccioso da buona a ottima, ovvero compresa nelle classi II e I della classificazione stessa. Occorre precisare che i valori ottenuti non tengono conto della compensazione dell’orientamento delle discontinuità, che comporta una riduzione degli indici e di conseguenza una riduzione di BRMR.

12 Serizzo Granito Beola 10

8

6

4

2

0 62 65 68 71 74 77 80 83 86 89 92 95 98 100 BRMR

Figura 73. Frequenza cumulativa dei valori di BRMR per le cave rilevate.

Le cave di Beola (fig. 73) presentano valori medi di BRMR abbastanza omogenei sul territorio e generalmente pari a 80, così come quelle di granito (BRMR = 75) e l’unica cava di marmo esaminata (BRMR = 78). Anche gli ammassi rocciosi coltivati nel Serizzo mostrano buone qualità geomeccaniche (BRMR medio = 73), pur essendo caratterizzati da una maggiore dispersione dei valori. Questa può essere spiegata sia con la presenza di cave di recente apertura, che operano in porzioni superficiali (e perciò più scadenti) degli ammassi rocciosi, sia con il numero maggiore di cave di esaminate rispetto agli altri materiali e con la loro distribuzione su una porzione più vasta e, conseguentemente, meno omogenea del territorio.

130 I valori di coesione, angolo di attrito e modulo di deformazione sono stati ottenuti per via indiretta mediante due metodologie (BIENIAWSKI, 1989; HOEK et al., 2002).

5.3.1 - Coesione I valori ottenuti sono compendiati in forma grafica nelle figure 74 e 75:

2,5

2,0

1,5

1,0 Coesione [MPa]

0,5

0,0 Cave

Figura 74. Valori di coesione derivati dal BRMR di Bieniawski (triangoli) e dal criterio di rottura di Hoek-Brown (quadrati) per le cave di Serizzo Monte Rosa (turchese), granito (verde), Marmo di Crevola (rosso) e Beola (blu e viola).

Figura 75. Valori di coesione derivati dal BRMR di Bieniawski (quadrati vuoti) e dal criterio di rottura di Hoek Brown (quadrati pieni) per le cave di Serizzo (A = Serizzo Formazza, B = Serizzo Sempione, C = Serizzo Antigorio).

131 I valori di coesione derivati dal BRMR di Bieniawski mostrano una buona omogeneità e sono compresi tra 0,28 GPa e 0,39 GPa, con valore medio 0,35 GPa e deviazione standard 0,03 GPa. Il criterio di rottura di Hoek-Brown fornisce valori assai più dispersi, compresi tra 2 GPa e 0,45 GPa e superiori di circa il 60% a quelli di Bieniawski.

5.3.2 - Angolo di attrito I valori ottenuti con le due metodologie mostrano analoga dispersione (figg. 76 e 77) e uno scarto del 30% circa tra quelli più prudenziali di Bieniawski (compresi tra 33° e 44°) e quelli di Hoek-Brown (compresi tra 48° e 62°).

Figura 76. Valori dell'angolo di attrito ricavati dalla classificazione di Bieniawski (quadrati vuoti) e dal criterio di rottura di Hoek Brown (quadrati pieni) per le cave di Serizzo (A = Serizzo Formazza, B = Serizzo Antigorio, C = Serizzo Sempione).

132 70

60

50

40

30

20 Angolodi attrito [°] 10

0 Cave

Figura 77. Valori di angolo di attrito derivati dal BRMR di Bieniawski (triangoli) e dal criterio di rottura di Hoek Brown (quadrati) per le cave di Serizzo Monte Rosa (turchese), granito (verde), Marmo di Crevola (rosso) e Beola (blu).

5.3.3 - Modulo di deformazione

Differenze fra i risultati delle due metodologie si evidenziano anche nella stima del modulo di deformazione E, ma in questo caso i valori più cautelativi sono forniti dal criterio di Hoek-Brown: ciò è probabilmente dovuto al fatto che questa metodologia tiene anche conto del grado di disturbo indotto sull’ammasso roccioso dall’utilizzo dell’esplosivo, posto pari a 0,8 per le cave in esame.

60

50

40

30

20

Modulo di deformazione[GPa] 10

0 Cave

Figura 79. Valori del modulo di deformazione derivati dal BRMR di Bieniawski (quadrati) e dal criterio di rottura di Hoek Brown (triangoli) per le cave di Serizzo Monte Rosa (turchese), granito (verde), Marmo di Crevola (rosso) e Beola (blu).

133

Figura 78. Valori del modulo di deformazione ricavati dalla classificazione di Bieniawski e dal criterio di rottura di Hoek Brown per le cave di Serizzo (A = Serizzo Formazza, B = Serizzo Antigorio, C = Serizzo Sempione).

134 5.3.4 - Resistenza globale dell’ammasso roccioso

I valori di resistenza globale dell’ammasso roccioso, valutati esclusivamente in base al criterio di Hoek-Brown, mostrano una notevole dispersione (deviazione standard pari a 7) intorno al valore medio di 18,8 MPa (figg. 80 e 81).

40

35

30

25

20 c [MPa] σ 15

10

5

0 Cave

Figura 80. Valori di resistenza globale degli ammassi rocciosi ricavati dal criterio di rottura di Hoek-Brown per le cave di Serizzo (blu = Serizzo Formazza, giallo = Serizzo Antigorio, verde = Serizzo Sempione).

45

40

35

30

25

c [MPa] 20 σ 15

10

5

0 Cave

Figura 81. Valori di resistenza globale degli ammassi rocciosi ricavati dal criterio di rottura di Hoek-Brown (giallo = Serizzo Monte Rosa, verde = graniti, rosa = Marmo di Crevola, blu = Beola).

135

5.3.5 - Considerazioni sui risultati della caratterizzazione degli ammassi rocciosi

I parametri fisici e meccanici determinati attraverso le procedure di rilievo presentano una certa dispersione, connessa all’intrinseca variabilità delle condizioni reali. Le classificazioni geomeccaniche ed i criteri di rottura si basano generalmente su valori che mediano i vari domini strutturali: ciò comporta una prima scelta a partire da una più vasta gamma di valori. In particolare occorre prestare molta prudenza nell’applicazione del criterio di rottura che tratta l’ammasso roccioso come un materiale isotropo, dato che nei pendii in roccia la rottura può essere associata alle condizioni strutturali ed innescarsi anche superficialmente e in condizioni di stress relativamente bassi. In particolare la scelta di un intervento stabilizzante dei fronti di scavo dipende in modo determinante dalla comprensione del cinematismo di instabilità che caratterizza l’ammasso roccioso (crollo, ribaltamento, scivolamento). Spetta dunque al progettista, sulla base dell’esperienza acquisita e attraverso valutazioni basate su osservazioni dirette sul terreno, la scelta dei parametri da utilizzare nella progettazione, evitando il semplicistico ricorso ai valori più cautelativi, che spesso implicano una sottostima delle reali caratteristiche dell’ammasso e comportano il sovradimensionamento dell’opera. I valori di resistenza e deformabilità ottenuti nel presente studio consentono una prima analisi del comportamento degli ammassi rocciosi allo scavo e permettono di prevedere i cinematismi di instabilità più frequenti che potrebbero essere opportuno porre sotto controllo. Sarebbe inoltre auspicabile l’implementazione della banca dati con misure geotecniche strumentali in sito relative al comportamento delle strutture rocciose in modo da permettere un confronto con i risultati ottenuti per via indiretta.

136 5.4 - Criteri di definizione delle aree e dei bacini estrattivi

L’elaborazione dei rilievi strutturali e la facilità di confronto dei dati di tutte le cave nell’ambito del SIT hanno evidenziato in alcuni casi la persistenza dei caratteri delle discontinuità rilevate in più siti limitrofi, che sono stati accorpati in “aree estrattive” (fig. 82), ovvero aree entro le quali le discontinuità sono riferibili ad una porzione dell’ammasso roccioso più ampia della singola cava. Tale omogeneità geo-giacimentologica è suggerita sia dal confronto dei dati giaciturali rilevati in cave contigue, che dalla loro successiva vettorizzazione tramite ArcView GIS 3.2®.

Figura 82. Aree estrattive individuate nel progetto Ri.S.C.

137 Poiché i limiti di queste aree non sono definibili con precisione all’attuale stadio di conoscenza, esse sono state rappresentate con entità poligonali (circonferenze o ellissi), che racchiudono più siti estrattivi contigui con analoghe caratteristiche morfologico-strutturali (fig. 82). L’accorpamento di dati riferiti a più rilievi permette di avere a disposizione un numero di misure tali da consentire un’analisi statistica dei principali parametri che intervengono nella caratterizzazione geotecnica. La definizione dei principali lineamenti strutturali presenti nel territorio provinciale, ottenuta attraverso stereogrammi cumulativi di più stazioni di misura, e la determinazione per ciascuno di questi delle caratteristiche geomeccaniche consente di prevedere le principali problematiche e gli accorgimenti che dovranno essere presi per una cava in funzione del contesto geologico in cui essa si colloca. In totale sono state individuate diciassette “aree estrattive” nelle quali ricadono 55 siti che rappresentano l’83% delle cave rilevate. Ripetendo per le aree estrattive il ragionamento fatto sulle cave, esse sono state tentativamente riunite in 5 “bacini” (fig. 83), per ciascuno dei quali è possibile delineare un quadro strutturale abbastanza omogeneo per la deformazione fragile e duttile. Uno studio di questo tipo non può prescindere dall’individuazione a priori dei principali lineamenti strutturali tramite fotointerpretazione, in modo tale da consentire il confronto con i dati del rilievo strutturale. Tale approfondimento tuttavia esula dagli obiettivi del lavoro, volto essenzialmente all’analisi delle caratteristiche strutturali locali di cava; si è comunque ritenuto opportuno cercare un riscontro tra le più importanti famiglie di giunti rilevate ed i trend di maggior debolezza riportati in letteratura. Occorre infine sottolineare che i raggruppamenti in “aree estrattive” e “bacini estrattivi”, pur presentando analogie con quella in Bacini e Poli operata nel Documento di Programmazione delle Attività Estrattive (DPAE) della Regione Piemonte, è qui fondata esclusivamente su considerazioni geologico-strutturali.

138

Figura 83. Bacini estrattivi individuati nell'ambito del progetto Ri.S.C.

139 5.5 - Esemplificazione dello studio eseguito

Nel seguito i riportano i risultati e l’elaborazione dei rilievi eseguiti in tre aree di cava di Serizzo Sempione, denominate Balmoreglio, Paglino e San Marco, e nel loro immediato intorno. Esse sono situate nel Comune di Trasquera, lungo un tratto di circa 550 m del versante idrografico sinistro della Val Divedro (fig. 84).

Figura 84. Ubicazione delle cave Balmoreglio, Paglino e San Marco (base topografica C.T.R. 1:10000). I poligoni indicano le aree in coltivazione, ricavate da foto aerea (I.T. 2000).

140 5.5.1 - Cava Balmoreglio

Il rilievo è stato eseguito lungo i fronti di cava posti ad una quota di circa 810 m e lungo la pista di accesso di circa 500 metri di lunghezza, che si diparte dalla Strada Statale n°33 del Sempione. La proiezione dei dati giaciturali delle discontinuità su reticolo equiareale ha permesso di individuare le principali famiglie (fig. 85), denominate Ks, K1, K1’, K2, K3 e K4.

Figura 85. Proiezione stereografica dei poli delle discontinuità rilevate nella cava Balmoreglio (proiezione di Schmidt, emisfero inferiore).

- Caratteristiche dei sistemi di discontinuità. o Sistema Ks: costituisce la più continua ed evidente anisotropia planare, essendo legata all’evoluzione strutturale pervasiva in campo duttile (foliazione) dell’ammasso roccioso; esso presenta una giacitura media di 145°, inclinazioni variabili tra 24°e 34° (che tendono ad aumentare nella porzione più settentrionale della cava) ed è definito dall’iso-orientazione dei fillosilicati e da un layering composizionale di origine primaria. La superficie

141 di scistosità funziona da superficie di debolezza preferenziale lungo la quale si imposta il sistema principale di giunti, caratterizzati da apertura variabile da chiusa ad 1 cm, persistenza elevata (circa 100%) con estensione lineare media di 12 m, spaziatura media di 134 cm, asciutti e privi di riempimento, se si trascura una sporadica patina di mica. Le loro superfici sono generalmente ondulate e lisce, con valori di JRC = 5. o Sistema K1: vi appartengono piani da subverticali a inclinati di circa 70°, per lo più immergenti verso SO ma anche verso E-NE (K1’), con persistenza dell’ordine dei 5 m (58%) e spaziatura media di circa 90 cm, utilizzati come “trincante” nella coltivazione. I giunti sono in genere chiusi o con aperture comunque non superiori a 3 mm, con superfici lisce (JRC = 7), inalterate, con una patina superficiale di ossidi e solfuri (es. pirite) ossidati e quarzo striato. Le fratture, particolarmente evidenti nella porzione meridionale del giacimento, mostrano un andamento ondulato e si presentano asciutte. Il valore di rimbalzo del martello di Schmidt è 44, a cui corrisponde una resistenza sulla superficie del giunto (JCS) di 103 MPa. o Sistema K2: si tratta di un sistema di giunti chiusi, con superfici inalterate e mediamente rugose (JRC = 9), privi di riempimento, in genere poco persistenti (3 m; 43%), con una giacitura media di 347/77 e caratterizzati da aperture chiuse e spaziature medie di 143 cm. Il valore di rimbalzo al martello di Schmidt è 46,5, a cui corrisponde JCS = 119 MPa. o Sistema K3: è costituito da fratture con inclinazione media di 70°, immergenti verso Sud, generalmente chiusi ma talora con apertura fino a 15 cm. La loro persistenza è modesta (circa 1 m) e la spaziatura di circa 50 cm, mentre l’andamento a grande scala è segmentato e la rugosità mostra valori di JRC pari a 13. o Sistema K4: si tratta di giunti con inclinazioni di 40° e valori di immersione media pari a 253°, chiusi, con bassa persistenza (2 m) e spaziature di 122 cm. Pur essendo in genere inalterate, mostrano una patina di riempimento costituita da quarzo striato e si presentano ondulate e levigate (JRC = 3). I rimbalzi ottenuti al martello indicano un valore di JCS pari a 140 MPa.

142 SET Ks K1 K2 K3 K4 GIACITURA 141/29 240/75 347/77 167/71 253/40 APERTURA [mm] 3 1 1 19 0 PERSISTENZA [%] 89 58 43 22 31 PERSISTENZA [m] 12 5 3 1 2 SPAZIATURA [cm] 134 88 143 54 122 ALTERAZIONE Inalterata Inalterata Inalterata Inalterata Inalterata RIEMPIMENTO Assente Ossidi Assente Assente Quarzo striato ONDULAZIONE Ondulata Ondulata Piana Segmentata Ondulata RUGOSITA’ Liscia Liscia Liscia Rugosa Liscia ACQUA Asciutta Asciutta Asciutta Asciutta Asciutta JCS [MPa] 103 119 140 JRC 5 7 9 13 3 Tabella 16. Riepilogo delle caratteristiche dei sistemi di discontinuità della cava Balmoreglio.

- Caratteristiche del materiale roccia. Le prove di Point Load hanno fornito i seguenti indici: o Is parallelo alla scistosità = 3,6 MPa o Is perpendicolare alla scistosità = 5,4 MPa o Indice di anisotropia = 1,5 ai quali corrispondono valori di resistenza a compressione monoassiale rispettivamente di 86 MPa e 129 MPa. Per i rimanenti parametri fisico-meccanici relativi alla roccia intatta, sono stati impiegati i dati derivanti da prove tecniche di laboratorio eseguite conformemente alle normative pr EN 12440 dal Dipartimento Georisorse e Territorio del Politecnico di Torino su campioni non interessati da giunti.

Nome tradizionale Serizzo Sempione Nome petrografico Gneiss biotitico Luogo di origine Trasquera - Varzo Massa dell’unità di volume [kg/m3] 2690 Assorbimento d’acqua [% massa] 0,37 Carico di rottura a compressione 90 semplice [MPa]

Carico di rottura a trazione indiretta 20,7 mediante flessione [MPa]

Resistenza all’urto: lavoro di rottura [J] 8,0 Microdurezza Knoop [MPa] 6619

Tabella 17. Caratteristiche tecniche della roccia intatta (REGIONE PIEMONTE, 2000a).

143 - Caratterizzazione dell’ammasso roccioso o Indice RQD

SPAZIATURA RQD RQD SET MEDIA Jv (PALMSTROM, (PRIEST e [m] 1982) HUDSON, 1976) Ks 1,34 5,2 97,7 99,9 K1 0,88 K2 1,43 K3 0,54 K4 1,22

Tabella 18. Foglio di calcolo utilizzato per ricavare RQD%.

Entrambi i valori ottenuti indicano caratteristiche eccellenti dell’ammasso: per la stima dell’indice di Bieniawski si utilizzerà il più cautelativo. o Indice BRMR

I parametri riassuntivi ed i rispettivi rating sono indicati in tabella 19.

Parametri Valori Rating Is parallelo [MPa] 3,6 9,0 Is perpendicolare [MPa] 5,4 11,7 RQD [%] 97,7 19,4 SPAZIATURA [cm] 108,1 15,0 PERSISTENZA [m] 4,6 2,5 APERTURA [mm] 4,7 0,7 JRC 8,5 2,6 RIEMPIMENTO assente 4 ALTERAZIONE 1,13 5,8 ACQUA asciutta 15

Tabella 19. Parametri e rating di caratterizzazione (BIENIAWSKI, 1989).

La somma degli indici fornisce un BRMR pari a 74 per i valori di resistenza parallela alla scistosità e 76,5 considerando i valori di resistenza perpendicolare alla scistosità, che indicano entrambi un ammasso roccioso di buona qualità (classe II).

144 BRMR = 74 BRMR = 76,5

E [GPa] 47,7 53

φ [°] 42 43,3

C [MPa] 0,37 0,38

Tabella 20. Parametri di resistenza e defomabilità in funzione di BRMR.

o Indice GSI: i valori di GSI, ricavati dalla relazione GSI = BRMR - 5, sono rispettivamente 69 e 71,5. o Criterio di rottura Hoek-Brown: sulla base di dati input, disponibili e derivati, è stato possibile ricavare i parametri di resistenza generalizzati di Hoek- Brown, con l’ausilio dell’applicativo RocLab.

σci [MPa] 85,6 129

Classificazione di GSI 74 76,5 Hoek-Brown mi 23 23 D 0,8 0,8

mb 4,89334 5,67849 Costanti di s 0,01946 0,0284216 Hoek-Brown a 0,500988 0,500804

σ3max 1,22806 1,28441 Intervallo dell’inviluppo γ [MN/m3] 0,027 0,027 a rottura Altezza [m] 50 50

Parametri di resistenza c [MPa] 1,49939 2,46095 secondo l’inviluppo Mohr-Coulomb φ [°] 60,1289 62,3926 σt [MPa] -0,340417 -0,645663

Parametri dell’ammasso σc [MPa] 11,8947 21,6856 roccioso σcm [MPa] 26,5725 43,7454 Em [GPA] 22099,8 27583,6

Tabella 21. Sintesi dei risultati dell'applicazione del modello di rottura di Hoek-Brown (ed. 2002), per i valori di resistenza a compressione massimi (prove ⊥ alla scistosità, ultima colonna a destra) e minimi (prove // alla scistosità). I parametri d’ingresso sono scritti in grassetto.

145 Alla costante mi per la roccia intatta è stato attribuito il valore 23, minimo proposto dagli autori per lo gneiss (28 ± 5; fig. 60). Il fattore di disturbo D è stato posto pari a 0,8 (fig. 61), che pare ragionevole per situazioni di escavazione a cielo aperto con uso di miccia detonante. Lo stato tensionale previsto, infine, è stato calcolato per un’altezza del fronte di 50 m. I risultati sono compendiati in tabella 21. Di seguito si riportano gli inviluppi di rottura, ricavati per le prove di resistenza perpendicolari alla scistosità:

45 40 35 σ1 [MPa] 30 25 20 15 10 5 0 -1 -0,5 0 0,5 1 1,5 σ3 [MPa]

Figura 86. Inviluppo a rottura in termini di stress principali (σ1 e σ3) ottenuto a partire dal criterio di rottura di Hoek-Brown.

12

10

8

6 [MPa] τ 4

2

0 -1012345 σn [MPa]

Figura 87. Inviluppo a rottura in termini di stress normale (σn) e stress di taglio (τ) ottenuto dall’equazione di Coulomb.

146 - Caratteristiche meccaniche dei giunti Nell’applicazione del criterio di rottura di Barton, sono stati considerati gli intervalli di variabilità minimo e massimo dei parametri JRC (coefficiente di rugosità, variabile mediamente da 3 a 12 per gli areali rilevati) e JCS per tutte le famiglie di discontinuità rilevate nei diversi settori, in modo da fornire l’inviluppo a rottura delle condizioni rappresentative minime e massime dei giunti scabri. I valori utilizzati per i calcoli e i risultati sono riportati in tabella 22.

Dati d'ingresso Min Max Angolo di attrito di base 30,0 30,0 [°] Joint Roughness Coefficient 3,0 12,0 Joint Compressive Strenght 102,9 143,0 [MPa] Peso di volume ammasso 27,0 [kN/m3] roccioso Tensione normale minima 0,000 0,066 [MPa] Campo di s 0,0 0,1 [MPa] applicabilità n min criterio Barton- s 102,9 143,0 [MPa] Choubey n max Stato tensionale previsto Coesione [kPa] Angolo di attrito [°] [m] [MPa] min max min max profondità 5,00 0,130 4,9 74,3 37,4 59,9 min profondità 50,00 1,300 44,8 350,6 34,4 48,5 max Tabella 22. Caratterizzazione dei giunti secondo Barton-Choubey; i parametri d’ingresso sono in grassetto. A fini progettuali dovranno essere adottati i valori di coesione ed angolo di attrito più cautelativi in funzione della profondità massima e minima di scavo.

147 5.5.2 Cava Paglino. Il rilievo ha interessato i fronti di cava posti ad una quota di circa 840 m e la porzione Sud-Ovest del giacimento, lungo la pista di accesso che conduce alla confinante cava San Marco. Il massiccio roccioso mostra evidenti testimonianze del modellamento glaciale subito, essendo dominato da ripetute balze montonate. Le misure evidenziano una giacitura abbastanza costante dei principali sistemi di giunti; tuttavia i piani di foliazione a piccola e media scala non appaiono netti e pervasivi e mostrano una maggior dispersione dei valori giaciturali rispetto a quanto rilevato nella cava Balmoreglio (fig. 88).

Figura 88. Proiezione stereografica dei poli delle discontinuità rilevate nella cava Paglino (proiezione di Schmidt, emisfero inferiore).

- Caratteristiche dei sistemi di discontinuità. o Sistema Ks: è il sistema di giunti presente con continuità su tutto il versante, caratterizzato da valori di persistenza elevati (70%, lunghezza media di 9 m), spaziatura media di circa 1 m: esso coincide con la foliazione. I giunti si

148 presentano in genere aperti (mediamente 2 mm), ondulati, levigati (JRC = 7) e asciutti. I valori di immersione ed inclinazione dei piani del sistema Ks (170/40) sono caratterizzati da un’alta dispersione, evidenziata anche dalla deformazione di vene quarzose. Il valore di rimbalzo al martello di Schmidt è 49.5, corrispondente ad una resistenza sulla superficie del giunto (JCS) di 139 MPa. o Sistema K1: è un sistema di discontinuità subverticali, immergenti verso O- SO, ad elevata persistenza (8 metri, 61%) e con spaziatura di circa un m, riferibili a superfici di taglio lungo le quali si è avuta una dislocazione distensiva difficilmente quantificabile (shear) ed estesa all’intero ammasso roccioso. L’apertura media dei giunti è di 3 mm e sulla loro superficie si osserva la presenza di strie di calcite. La resistenza, valutata mediante prove con il martello di Schmidt, è di 108 MPa e JRC ha valore medio 11. o Sistema K2: vi appartengono discontinuità asciutte ed aperte (6 mm), caratterizzate da immersioni medie di 340° ed inclinazioni di circa 70°, con spaziatura di 1,4 m, persistenza media (5 metri) e andamento ondulato. La loro superficie si presenta mediamente rugosa (JRC = 13).

SET Ks K1 K2 K3 K4 GIACITURA 173/37 243/84 337/73 140/78 268/53 APERTURA [mm] 2 3 6 11 1 PERSISTENZA [%] 62 61 68 85 28 PERSISTENZA [m] 9 8 5 7 2 SPAZIATURA [cm] 103 110 143 200 104 ALTERAZIONE Inalterata Assente Inalterata Disgregata Inalterata Calcite striata, Materiale RIEMPIMENTO Assente Assente Assente clorite duro ONDULAZIONE Ondulata Ondulata Ondulata Ondulata Ondulata RUGOSITA’ Levigata Liscia Rugosa Rugosa Liscia ACQUA Asciutta Asciutta Asciutta Gocce Asciutta JCS [MPa] 139 108.5 153 JRC 7 11 13 17

Tabella 23. Riepilogo delle caratteristiche dei sistemi di discontinuità della cava Paglino.

149 o Sistema K3: si tratta di giunti immergenti verso SSE (140°) con inclinazioni di circa 80°, probabilmente causati dal rilassamento di parete per scarico litostatico. Mostrano una persistenza di 5-10 m, spaziatura ampia, apertura di circa 2 mm e riempimento di materiale disgregato; le superfici hanno resistenza di 153 MPa. o Sistema K4: si tratta di giunti con inclinazioni medie di 50° verso 250°-280°, poco diffusi e persistenti, ad andamento ondulato, con aperture millimetriche, spaziature metriche, privi di alterazione e riempimento e con superfici lisce. - Caratteristiche del materiale roccia. La caratterizzazione della resistenza della roccia intatta, ottenuta da prove di Point Load, ha fornito i seguenti indici: o Is parallelo alla scistosità = 3.7 MPa. o Is perpendicolare alla scistosità = 7.2 MPa. o Indice di anisotropia = 1.9 ai quali corrispondono valori di resistenza a compressione monoassiale rispettivamente pari a 89 MPa e 173 MPa. I restanti parametri fisico-meccanici sono stati ricavati dalla tabella 17. - Caratterizzazione dell’ammasso roccioso. o Indice RQD: I valori ottenuti indicano caratteristiche eccellenti dell’ammasso.

SPAZIATURA RQD RQD SET MEDIA Jv (PALMSTROM, (PRIEST e [m] 1982) HUDSON, 1976) Ks 1,03 4 100 99,9

K1 1,10

K2 1,43

K3 2,00

K4 1,04

Tabella 24. Foglio di calcolo utilizzato per ricavare RQD.

o Indice BRMR: i valori dei parametri adottati dal sistema classificativi ed i rispettivi rating possono essere così riassunti:

150

Parametri Valori Rating

Is parallelo [MPa] 3,7 9,3

Is perpendicolare [MPa] 7,3 13,6

RQD [%] 100,0 20

SPAZIATURA [cm] 131,8 16

PERSISTENZA [m] 6,2 2,1

APERTURA [mm] 4,5 0,8

JRC 11,8 3,6

RIEMPIMENTO assente 6

ALTERAZIONE 1,39 5,6

ACQUA asciutta 15

Tabella 25. Parametri e rating di caratterizzazione (BIENIAWSKI, 1989).

La somma degli indici fornisce un valore di BRMR pari a: o 78, considerando i valori di resistenza della roccia intatta ottenute da prove parallele alla scistosità, che identifica un ammasso roccioso di Buona qualità (classe II). o 83 per i valori di resistenza perpendicolari alla scistosità, che identifica un ammasso dalla qualità Ottima (classe I). Tali indici permettono di ricavare i principali parametri geomeccanici relativi all’ammasso roccioso:

BRMR = 78 BRMR = 83 E [GPa] 56,8 65,4 φ [°] 44 46 C [MPa] 0,39 0,41

Tabella 26. Parametri di resistenza e deformabilità in funzione di BRMR.

o Indice GSI: ricavato a partire dagli indici di Bieniawski non corretto, mostra rispettivamente valori di 78 e 73.

151 o Criterio di rottura di Hoek-Brown: sulla base di dati input, disponibili e derivati, è stato possibile ricavare i parametri di resistenza generalizzati di Hoek-Brown, con l’ausilio dell’applicativo RocLab. Alla costante mi per la roccia intatta è stato attribuito il valore 23, minimo proposto dagli autori per lo gneiss (28 ± 5; v. fig. 60). Il fattore di disturbo D è stato posto pari a 0.8 (v. fig. 61), che pare ragionevole per situazioni di escavazione a cielo aperto con uso di miccia detonante. Lo stato tensionale previsto, infine, è stato calcolato per un’altezza del fronte di 50 m. I risultati sono compendiati in tabella 27:

σci [MPa] 89,4 174

Classificazione di GSI 73 77,7 Hoek-Brown mi 23 23 D 0,8 0,8 mb 4,61057 6,09893 Costanti di Hoek s 0,016724 0,0340887 Brown a 0,501071 0,500726

Intervallo σ3max 1,27198 1,37093 dell’inviluppo a γ [MN/m3] 0,027 0,027 rottura Altezza [m] 50 50 Parametri di c [MPa] 1,47354 3,50944 resistenza secondo l’inviluppo Mohr- φ [°] 59,9025 63,478 Coulomb σt [MPa] -0,32428 -0,972538 Parametri σc [MPa] 11,5108 32,0472 dell’ammasso σcm [MPa] 26,807 61,6258 roccioso Em [GPA] 21321,6 29556,4

Tabella 27. Sintesi dei risultati dell'applicazione del modello di rottura di Hoek-Brown (ed. 2002), per i valori di resistenza massimi (prove ⊥ alla scistosità) a destra e per i valori minimi (prove // alla scistosità). I parametri d’ingresso sono segnati in grassetto.

Di seguito si riportano gli inviluppi di rottura, ricavati per le prove di resistenza perpendicolari alla scistosità:

152 30

25

20

15 1 [MPa] σ 10

5

0 -0,500,511,5 σ3 [MPa]

Figura 89. Inviluppo a rottura in termini di stress principali (σ1 e σ3) ottenuto a partire dal criterio di rottura di Hoek-Brown.

9

8

7 6

5

[MPa] 4 τ

3

2

1 0 -1012345 σn [MPa]

Figura 90. Inviluppo a rottura in termini di stress normale (σn) e stress di taglio (τ) ottenuto dall’equazione di Coulomb.

- Caratteristiche meccaniche dei giunti. Il range di variazione dei parametri d’ingresso adottati dal criterio di rottura di Barton, sono 7 e 17 per la rugosità (JRC) e di 108-153 MPa per la resistenza della superficie del giunto (JCS), mentre l’angolo di attrito di base è posto pari a 30°. I parametri di coesione ed angolo di attrito nel dettaglio del rilievo sono stati valutati distinguendo il campo di variabilità di JCS e JRC riferito a ciascun set.

153 Dati d'ingresso Min Max Angolo di attrito di base 30,0 30,0 [°] Joint Roughness Coefficient 7,0 17,0 Joint Compressive Strenght 108,0 153,0 [MPa] Peso di volume ammasso roccioso 27,0 [kN/m3] Tensione normale minima MPa 0,000 0,679

Campo di applicabilità sn min 0,0 0,7 [MPa]

criterio Barton-Choubey sn max 108,0 153,0 [MPa] Stato tensionale previsto Coesione [kPa] Angolo di attrito [m] [MPa] min max min max prof. min 5,00 0,135 17,6 881,4 47,1 27,4 prof. max 50,00 1,350 135,3 968,5 40,1 54,8

Tabella 28. Caratterizzazione dei giunti secondo Barton-Choubey, i parametri d’ingresso sono in grassetto. A fini progettuali dovranno essere adottati i valori di coesione ed angolo di attrito più cautelativi in funzione della profondità massima e minima di scavo.

Figura 91. Proiezione stereografica dei poli delle discontinuità rilevate nella cava San Marco (proiezione di Schmidt, emisfero inferiore).

154 5.5.3 Cava San Marco. Il rilievo geo-strutturale (fig. 91) ha interessato la porzione sovrastante i fronti in coltivazione (910 m), su questi ultimi, infatti, la presenza di blocchi potenzialmente instabili ne ha reso disagevole l’accesso, ma si è proceduto con la misura “a distanza” dei dati giaciturali, che peraltro non fanno che confermare i caratteri strutturali rilevati a monte, fatta eccezione per i valori di spaziatura e persistenza risultati superiori. - Caratteristiche dei sistemi di discontinuità. o Sistema Ks: rappresenta le superfici di scistosità, che mediamente immergono verso S-SE con inclinazioni di 30°, e mostrano una variabilità giaciturale, in particolare nella porzione settentrionale del giacimento. Il set è caratterizzato da spaziature medie di 1,4 m, aperture millimetriche talvolta riempite da biotite, persistenza elevata (9 m; 85%), scabrezza liscia (JRC pari 12). Questo sistema di giunti tende ad isolare cunei dalla stabilità incerta all’intersezione con i piani del sistema K2, evidenti nella porzione O di cava dove, il peggioramento globale delle condizioni geostatiche, causato dall’infiltrazione delle acque superficiali e accompagnato dal fenomeno gelo e disgelo, potrebbe contribuire all’innesco di potenziali fenomeni di cinematismo. o Sistema K1: vi appartengono giunti e piani di faglia a persistenza elevata (7 m) e andamento subverticale (inclinazione media 85°) con immersione variabile da NE (K1) a SO (K1’). Le superfici si presentano in genere chiuse, tuttavia i piani di faglia mostrano aperture di 10-15 cm., riempite da materiale disgregato. La scabrezza è liscia (JRC = 11) e l’andamento è tendenzialmente ondulato. I valori medi del rimbalzo, opportunamente corretti, sono pari a 49 ed indicano una resistenza della superficie del giunto (JCS) di 137 MPa. o Sistema K2: vi appartengono giunti immergenti verso N-NO ad inclinazione elevata (76°), che tendono, considerata la geometria dei fronti, a generare pareti aggettanti. La persistenza lineare media di 4 m., le aperture millimetriche prive di riempimenti, spaziatura metrica e la scabrezza rugosa (JRC pari a 13). La resistenza della superficie dei giunti valutata con lo sclerometro e pari a 142 MPa.

155 o Sistema K3: rappresenta discontinuità con giaciture medie di 180/78 a persistenza media di 5 metri, con aperture di 15 cm riempite da terra molle e decomposte superficialmente. La scabrezza è liscia mentre le fratture mostrano, a grande scala, un andamento ondulato. o Sistema K4: è costituito da fratture poco persistenti (2 m) immergenti verso O-SO con inclinazioni di 40°, chiuse, con spaziature metriche, e caratterizzate da una patina di quarzo striato, ondulate e lisce.

SET Ks K1 K2 K3 K4

GIACITURA 162/31 232/84 334/76 183/78 240/38

APERTURA [mm] 1 20 1 15 0

PERSISTENZA [%] 83 74 69 75 50

PERSISTENZA[m] 9 7 4 5 2

SPAZIATURA [cm] 141 121 98 90 200

ALTERAZIONE Inalterata Inalterata Inalterata Decomposta Inalterata Quarzo RIEMPIMENTO Assente Assente Assente Terra molle striato ONDULAZIONE Ondulata Ondulata Ondulata Ondulata Ondulata

RUGOSITA’ Liscia Liscia Rugosa Liscia Liscia

ACQUA Asciutta Asciutta Asciutta Asciutta Asciutta

JCS [Mpa] 137 142

JRC 12 12 13

Tabella 29. Riepilogo delle caratteristiche dei sistemi di discontinuità della cava San Marco.

- Caratteristiche del materiale roccia. Gli indici di resistenza ottenuti applicando il carico parallelamente e perpendicolarmente alla direzione di scistosità sono i seguenti: o Is parallelo alla scistosità = 4,2 MPa o Is perpendicolare alla scistosità = 6,2 MPa o Indice di anisotropia = 1,49 ai quali corrispondono valori di resistenza a compressione monoassiale di 101 MPa e 149 MPa. Per i restanti parametri fisico-meccanici si fa riferimento alla tabella 17.

156 - Caratterizzazione dell’ammasso roccioso. o Indice RQD: i valori ottenuti indicano caratteristiche eccellenti dell’ammasso: per la stima dell’indice di Bieniawski si utilizzerà il più cautelativo.

SPAZIATURA RQD RQD SET MEDIA Jv (PALMSTROM, (PRIEST e [m] 1982) HUDSON, 1976)

Ks 1,41 4 100 99,9

K1 1,21

K2 0,98

K3 0,90

K4 2,00

Tabella 30. Foglio di calcolo utilizzati per ricavare RQD. o Indice BRMR: la caratterizzazione geomeccanica dell’ammasso roccioso, eseguita adottando la classificazione di Bieniawski (1989), può essere riassunta dalla seguente tabella :

Parametri Valori Rating

Is parallelo 4,2 12,7 Is perpendicolare 6,2 10 RQD [%] 100,0 20 SPAZIATURA [cm] 129,9 16,2 PERSISTENZA [m] 5,2 2,3 APERTURA [mm] 7,5 0 JRC 12,2 3,7 RIEMPIMENTO assente 3 ALTERAZIONE [σc/JCS] 1,12 5,8 ACQUA asciutta 15

Tabella 31. Parametri e rating di caratterizzazione (BIENIAWSKI, 1989).

La somma degli indici così ottenuti fornisce valori di BRMR pari a: o 76, per valori di resistenza ottenuti da prove con applicazione del carico parallelo alla scistosità, che permette di classificare l’ammasso roccioso come appartenente alla classe II (BUONA).

157 o 79, considerando la massima resistenza al punzonamento, che identifica un ammasso roccioso di Buona qualità (classe II).

BRMR = 79 BRMR = 76

E [GPa] 57 52

φ [°] 44 43

C [MPa] 0,39 0,38

Tabella 32. Parametri di resistenza e deformabilità in funzione di BRMR. o Indice GSI: i valori ricavati in funzione del BRMR sono pari a 74 e 71. o Applicazione del criterio di rottura di Hoek-Brown: sulla base di dati input, disponibili e derivati, è stato possibile ricavare i parametri di resistenza generalizzati di Hoek-Brown, con l’ausilio dell’applicativo RocLab. Alla costante mi per la roccia intatta è stato attribuito il valore 23, minimo proposto dagli autori per lo gneiss (28 ± 5; v. fig. ). Il fattore di disturbo D è stato posto pari a 0.8 (v. fig. ), che pare ragionevole per situazioni di escavazione a cielo aperto con uso di miccia detonante. Lo stato tensionale previsto, infine, è stato calcolato per un’altezza del fronte di 50 m. I risultati sono compendiati in tabella 33, mentre di seguito si riportano gli inviluppi di rottura, ricavati per le prove di resistenza perpendicolari alla scistosità:

45

40

35

30

25

1 [MPa] 20 σ 15

10

5

0 -1 -0,5 0 0,5 1 1,5 σ3 [MPa]

Figura 92. Inviluppo a rottura in termini di stress principali (σ1 e σ3) ottenuto a partire dal criterio di rottura di Hoek-Brown.

158

12

10

8

6 [MPa] τ 4

2

0 -1012345 σn [MPa]

Figura 93. Inviluppo a rottura in termini di stress normale (σn) e stress di taglio (τ) ottenuto dall’equazione di Coulomb.

σci [MPa] 101 149

Classificazione di GSI 71 74 Hoek-Brown Mi 23 23 D 0,8 0,8 Mb 4,0931 4,89334 Costanti di Hoek Brown S 0,012352 0,01946 A 0,501254 0,500988

σ3max 1,27814 1,33598 Intervallo dell’inviluppo a γ [MN/m3] 0,027 0,027 rottura Altezza [m] 50 50

Parametri di resistenza c [MPa] 1,43551 2,35436 secondo l’inviluppo Mohr- φ [°] 59,97 62,3613 Coulomb σt [MPa]) -0,304793 -0,592548

Parametri dell’ammasso σc [MPa] 11,1634 20,7046 roccioso σcm [MPA] 28,2868 46,2535 Em [GPA] 20097,9 23886,4

Tabella 33. Sintesi dei risultati dell'applicazione del modello di rottura di Hoek-Brown (ed. 2002), per i valori di resistenza massimi (prove ⊥ alla scistosità) a destra e per i valori minimi (prove // alla scistosità). I parametri d’ingresso sono segnati in grassetto.

159

- Caratteristiche meccaniche dei giunti. I valori massimi e minimi di JRC e JCS, impiegati nella stima del comportamento meccanico dei giunti, sono 11 e 13 per la scabrezza e 137 MPa e 142 MPa per la resistenza superficiale del giunto.

Dati d'ingresso Min Max Angolo di attrito di base 30,0 30,0 [°] Joint Roughness 11,0 13,0 Coefficient Joint Compressive Strenght 137,0 141,0 [MPa] Peso di volume ammasso 27,0 [kN/m3] roccioso Tensione normale minima 0,032 0,118 [MPa] Campo di s 0,0 0,1 [MPa] applicabilità n min criterio Barton- s 137,0 141,0 [MPa] Choubey n max Stato tensionale previsto Coesione [kPa] Angolo di attrito [°] [m] [MPa] min max min max prof. min 5,00 0,135 54,9 105,9 57,4 61,7 prof. max 50,00 1,350 297,9 430,9 46,7 49,7 Tabella 34. Caratterizzazione dei giunti secondo Barton-Choubey; i parametri d’ingresso sono in grassetto. Ai fini progettuali dovranno essere adottati i valori di coesione ed angolo di attrito più cautelativi in funzione della profondità massima e minima di scavo.

5.5.4 Confronto fra i rilievi e i risultati dell’analisi delle tre cave. Le giaciture medie dei set principali rilevati nei tre siti sono state riportate sulla base topografica di riferimento (fig. 94): questo consente di riconoscere l’omogeneità strutturale, che si estende in un’area più ampia di quella rilevata nel dettaglio, e di definire una “area estrattiva” (fig. 95). L’omogeneità strutturale tuttavia non è basata esclusivamente sulle caratteristiche giaciturali dei giunti, ma anche sulle loro proprietà analizzate nei rilievi: in particolare persistenza, apertura, riempimento e rugosità. Questi valori vengono usati nella stima dei parametri di resistenza e deformabilità, i quali di conseguenza risulteranno analoghi per tutti gli ammassi rocciosi dell’area estrattiva.

160

Figura 94. Vettorizzazione delle giaciture medie (immersione ed inclinazione) dei quattro principali set rilevati nelle cave Balmoreglio, San Marco, Paglino.

Figura 95. "Area estrattiva" comprendente le tre cave esaminate. La delimitazione con una circonferenza vuole evidenziare l’assenza di un preciso significato areale.

161 5.6 - I rilievi del progetto Ri.S.C. nel quadro delle conoscenze sulla deformazione a scala della Provincia

5.6.1 - Introduzione Nell’ambito del Progetto Ri.S.C. è stato eseguito il rilievo strutturale di 66 cave e si sono raccolti, elaborati ed organizzati i dati caratteristici di oltre 2.600 discontinuità. Pare quindi opportuno tentare una prima sintesi, alla luce delle conoscenze sulla deformazione a scala della Provincia.

5.6.2 - Deformazione duttile Nelle aree di estrazione del Serizzo e della Beola è ben visibile una foliazione, definita da piani di scistosità più o meno sviluppati e marcati dalla presenza di mica chiara e biotite. L’orogenesi alpina ha trasposto e parallelizzato i contatti tettonici tra le falde e gli interposti metasedimenti, creando una foliazione ben visibile in tutti i litotipi. Poiché le giaciture della foliazione e dei contatti tettonici risultano per lo più paralleli, si crea una situazione di apparente paraconcordanza. La variazione giaciturale della scistosità è di notevole importanza, dal momento che influenza le modalità di coltivazione e l’impostazione stessa delle cave. Per tali ragioni la suddivisione del territorio in bacini tiene è in primo luogo basata sulle caratteristiche di immersione ed inclinazione della scistosità. Per ciascun “bacino” i dati giaciturali della foliazione, rilevati in più cave, sono stati riuniti e riportati in proiezione stereografica e sono state valutate le giaciture baricentrali delle aree a maggior concentrazione di poli, in termini di piano normale all'autovettore corrispondente alla massima concentrazione (autovalore minimo, 95% di confidenza). I primi tre bacini appartengono alla falda Antigorio, caratterizzata da grandi pieghe isoclinali, a tratti coricate, formate dopo la fase di accavallamento eoalpino. Procedendo da Nord verso Sud contatti tra le falde e scistosità regionale (mesoalpina) aumentano gradualmente l’inclinazione e variano l’immersione. Questo ha permesso di l’individuazione di tre bacini all’interno della falda:

162 o Bacino 1: corrisponde alla zona di estrazione del Serizzo Formazza nei Comuni di Premia e Formazza (22 cave). La foliazione immerge verso Nord (10°) ed ha inclinazione media di 12°. o Bacino 2: corrisponde alla zona di estrazione del Serizzo Sempione nel Comune di Trasquera (3 cave). La foliazione immerge verso S-SE (162°), con inclinazione media di 30°.

Figura 96. Proiezione stereografica, emisfero inferiore, dei poli dei piani di scistosità. Il numero di poli dei piani proiettati è di 112 per “Bacino 1”, 51 per “Bacino 2”, 176 per “Bacino3”, 159 per “Bacino 4” e 29 per “5”.

o Bacino 3: corrisponde alla zona di estrazione del Serizzo Antigorio e Sempione nei Comuni di Crodo, Crevoladossola e Varzo (25 cave). La foliazione immerge verso S-SE (145°) con inclinazione media di 40°, che tende a diminuire nelle cave di Crodo. o Bacino 4: comprende una vasta porzione di territorio, geologicamente appartenente a più unità tettoniche. In totale vi sono state rilevate 16 cave di

163 Beola ed una cava di Marmo (Crevola). La scistosità è subverticale (88°), con immersione variabile da S-SE (157°) a N-NO (335°) e su di essa si possono talvolta impostare trincee (in rosso in fig. 97) e ribassi morfologici (area blu in fig. 97), evidenti alla scala ettometrica. Infine si è scelto di indicare con il numero “5” l’area in cui compare l’unica cava di Serizzo Monterosa, nel Comune di : anche in questo caso la scistosità appare molto inclinata (84°) ed immerge verso S-SE (168°).

Figura 97. Trincee impostate sulla scistosità lungo il versante idrografico sinistro del fiume Toce nel Comune di Beura-Cardezza (scala 1:10.000).

5.6.3 - Deformazione fragile

Esiste una corrispondenza fra le principali famiglie di discontinuità rilevate ed i sistemi di faglie principali riportati in letteratura. Nei rilievi di dettaglio, alla scala dei fronti di coltivazione, tali sistemi di faglie possono assumere un’importanza limitata rispetto ad altri sistemi maggiormente localizzati. Tra questi occorre ricordare le fratturazioni indotte dal fenomeno di rilassamento di parete per scarico litostatico, evidenti nelle cave con fronti più elevati.

164 In letteratura (BISTACCHI e MASSIRONI, 1998; 2000; BISTACCHI et al., 2000; 2001) sono noti tre principali lineamenti strutturali nella zona di estrazione del Serizzo (Falda Antigorio), individuati sulla base di analisi di foto aeree e remote sensing: o Sistema E-O: si tratta di un sistema, importante per la persistenza a grande scala, i cui singoli lineamenti si seguono con continuità dalla Valle Divedro alla Valle Antigorio. Questo sistema è maggiormente rappresentato, alla scala dell’affioramento, nei bacini Formazza e Sempione (K2), mentre nel bacino Antigorio ha un’importanza subordinata (K3) rispetto ad altri set. o Sistema NO-SE: è un sistema i cui singoli lineamenti si seguono alla scala chilometrica; ad esso sono riconducibili trincee ed avvallamenti che sezionano il crinale della Colmine di Crevola e soprattutto le numerose fratture che delimitano ai lati lo sviluppo trasversale delle bancate di gneiss Antigorio. A questi lineamenti è riferibile, alla scala dell’affioramento, la principale famiglia di discontinuità (K1) che caratterizza tutti i bacini individuati; nel bacino Antigorio essa appare anche riattivata dalla tettonica gravitativa di versante. o Sistema NNE-SSO: si tratta di un sistema i cui singoli lineamenti si seguono con continuità a scala da decametrica a ettometrica che, in associazione con i precedenti, conferisce alle scarpate morfostrutturali sovrastanti il fondovalle il caratteristico profilo “a dente di sega”. Nel bacino Formazza il sistema è associato alla direzione della valle Antigorio nel tratto San Rocco- Rivasco. Tali lineamenti strutturali hanno inclinazione generalmente subverticale e hanno un buon riscontro morfologico e morfogenetico, influenzando l’impostarsi del reticolo idrografico (fig. 40). La tettonica fragile mostra caratteri analoghi anche per il Bacino 4, definito da una maggior omogeneità strutturale rispetto ai bacini di estrazione del Serizzo. L’accorpamento dei dati di rilievo ha permesso di individuare due importanti famiglie di discontinuità subverticali (78°) riferibili ad uno stesso lineamento strutturale (NO-SE). I due sistemi di discontinuità presentano infatti direzioni ed inclinazioni simili, ma immersioni opposte: la famiglia principale K1 immerge verso SO (240°), la famiglia K2 immersione verso E-NE (70°).

165 Il sistema NO-SE è costituito da fratture importanti alla scala chilometrica e sono riconoscibili allineamenti morfologici parallele a queste. Alla scala dell’affioramento è rappresentato da giunti, talvolta caratterizzati dalla presenza di slikenside con strie legate al movimento di tipo trascorrente in campo fragile. Prendendo in esame l’area di estrazione dei graniti è possibile individuare due principali set di discontinuità: o sistema NNO-SSE, che è rappresentato da giunti subverticali; o sistema E-O, rappresentato da giunti con inclinazioni medie di 40°.

Figura 98. Giaciture delle principali famiglie di strutture fragili. Le linee continue corrispondono al sistema NO-SE, le linee tratteggiate al sistema NE-SO, le linee a tratteggio fitto al sistema E-O.

166

Con lo studio a scala regionale di questi trend e dei loro rapporti di intersezione, è possibile ricostruirne la storia. Il trend più antico è quello orientato NNE-SSO, legato all’estensione oligocenica

NO-SE (fase D1 di BISTACCHI, 2000). Esso è tagliato dalle fratture dirette NO-SE, che può essere ricondotto all’evoluzione a nord-ovest della faglia del Sempione a partire dal Miocene. Alla scala dell’affioramento questo sembra essere il sistema più importante. Talvolta i giunti presentano patine di clorite ed epidoto associati a quarzo. L’analisi di terreno, tuttavia, non ha permesso di stabilire il senso di movimento delle faglie a causa dell’assenza di indicatori cinematici sulle pareti delle fratture. Ciò permette di ipotizzare un elevato tempo di esposizione delle pareti delle fratture agli agenti esogeni e quindi una loro attività recente pressoché nulla. Il sistema E-O è il più recente e viene considerato post glaciale: i rilievi di dettaglio evidenziano la sua frequenza e persistenza nelle porzioni superficiali degli ammassi rocciosi e la riduzione della sua importanza nelle cave in cui la coltivazione è più avanzata.

167 6 - CONCLUSIONI

L’insieme delle ricerche svolte ha inteso portare un primo contributo conoscitivo e metodologico per la gestione razionale della realtà estrattiva, consentendo di valutare, pur con le cautele che suggerisce l’analisi di dati solamente progettuali, la situazione produttiva attuale e prevederne l’evoluzione futura. L’intero lavoro svolto, depositato presso i Servizi Assetto Idrogeologico e Attività Estrattiva della Provincia per l’utilizzo da parte degli uffici, è stato implementato su GIS in modo da renderlo interattivo ed agevolmente aggiornabile con periodicità. Il sistema è organizzato in modo semplice ed è aperto ad ogni tipo di aggiornamento, ciò che lo propone come un efficace strumento di supporto alla pianificazione territoriale. Pur essendo cospicua la mole di informazioni inserita nella banca dati sarebbe opportuna una sua implementazione con ulteriori elaborati cartografici (carte geologiche e geomorfologiche di dettaglio, carte dei capisaldi, planimetrie e sezioni a vari stadi dei lavori, planimetrie e sezioni dei recuperi ambientali), che potrebbero essere facilmente immessi da progetti depositati anche su supporto informatico. Essendo inoltre la banca dati realizzata a partire dalla documentazione progettuale ai sensi delle LL.RR. 69/1978, 45/1989 e 44/2000, non si sono inseriti dati potenzialmente utili, ma non contenuti nei progetti, che avrebbero dovuto essere forniti o dalle Ditte esercenti (produzioni annue effettive, numero effettivo di addetti, potenza installata e consumi), o ricavati da altri archivi provinciali (provvedimenti di polizia mineraria). Da pochi mesi queste informazioni sono disponibili nella DBAE e potrebbero facilmente essere integrate nel sistema gestionale. La vista geologia potrebbe essere arricchita con cartografie di maggior dettaglio, ricavate sia da pubblicazioni che da studi di settore (ad esempio PRGC), e con riferimenti bibliografici specifici. La vista geomorfologia, pur rappresentando un progresso in quanto per la prima volta permette di porre in relazione i siti estrattivi con l’inventario dei dissesti

168 IFFI e PAI, potrebbe essere arricchita con ulteriori indagini finalizzate a una più dettagliata caratterizzazione delle forme e dei processi nelle aree estrattive. La vista idrogeologia, infine, potrebbe anche prendere in considerazione le concessioni per acque minerali e termali e almeno le sorgenti captate a scopo idropotabile. L’analisi della distribuzione e dei caratteri della realtà estrattiva provinciale evidenzia che: - si ha una produzione predominante di materiali silicei, soprattutto Serizzo che rappresenta circa il 74% dell’intera produzione con 50 cave autorizzate, seguito dalle beole con il 15% (13 cave autorizzate) e dai graniti e marmi con il 7% e 4%; - la distribuzione nelle cave sul territorio risulta piuttosto disomogenea, essendo per lo più concentrate nei Comuni di Premia, Crevoladossola, Formazza, Crodo, in cui tuttavia la percentuale di territorio destinata all’estrazione rispetto all’estensione del Comune risulta inferiore a quella dei Comuni di Baveno e Crevoladossola; - le produzioni medie delle cave operanti, salvo alcune significative eccezioni, sono intorno ai 7000 m3 annui per le cave di Serizzo e 4000 m3 annui per quelle di Beola, con un numero di addetti compreso tra 3 e 4; - la collocazione dello scarto avviene prevalentemente in discariche annesse al sito estrattivo (65% dei casi); sono rare le discariche comuni e quasi del tutto assenti gli impianti di frantumazione per il riutilizzo degli sfridi; - i dissesti e le perimetrazioni definite nell’ambito del PAI interessano il 17% delle cave autorizzate e i dissesti individuati nell’ambito del Progetto IFFI il 39%, costituite per la totalità da cave di Serizzo. Per quanto riguarda la documentazione progettuale analizzata si possono riportare le seguenti osservazioni: - non sempre i progetti di coltivazione vengono redatti facendo riferimento alle modalità di rilievo proposte dall’ISRM, ma ricorrendo a termini descrittivi non riportati in letteratura; questo impedisce un confronto diretto con i dati del Ri.S.C.; - le caratteristiche geomeccaniche degli ammassi rocciosi vengono ricavate adottando un unico metodo di classificazione mentre raro è il ricorso al criterio di rottura che, nell’esperienza del lavoro, ha mostrato vantaggi in termini di

169 economicità, facilità d’applicazione e possibilità di raffronto con altre metodologie; - l’attenzione nei confronti della geomorfologia di dettaglio risulta essere talvolta modesta, specie se rapportata alla scala dei siti di cava: raramente sono indicate in planimetria le morfostrutture di parete ( tetti o diedri), le trincee, i ribassi morfologici ed in generale tutti gli elementi in grado di fornire ai tecnici istruttori strumenti talvolta indispensabili per la valutazione della stabilità del sito estrattivo. In tal senso sarebbe auspicabile la definizione di una legenda che, attraverso una simbologia opportunamente studiata, consentisse la rappresentazione degli elementi morfostrutturali in funzione della scala adottata nei progetti (in genere variabile da 1:5.000 a 1:1000) e del contesto geomorfologico provinciale. Per quanto riguarda le indagini geologico-strutturali si possono riportare le seguenti considerazioni riassuntive: - a livello della singola cava, i giacimenti di pietre ornamentali presentano da 5 a 8 discontinuità per m3 a cui corrispondono valori di RQD decisamente elevati, con un’alterazione superficiale dei giunti assente o leggera che non influenza le caratteristiche globali dell’ammasso; - gli ammassi rocciosi investigati hanno evidenziato una qualità da buona a ottima, ovvero compresa nelle classi II e I del sistema di classificazione di

BIENIAWSKI (1989); la maggior variabilità di questi indici per le cave di Serizzo è probabilmente da attribuire alla loro recente apertura e al fatto che sono state investigate prevalentemente le porzioni superficiali del giacimento; - all’aumento dell’approfondimento delle cave corrisponde, in genere, un miglioramento delle caratteristiche dell’ammasso roccioso, che tuttavia non sempre coincide con una miglior qualità merceologica a causa di un aumento di difetti, quali filoni aplitici, inclusi, vene di quarzo; - il criterio di rottura di Hoek-Brown fornisce valori superiori del 60% per la coesione e del 30% per l’angolo di attrito rispetto a quelli calcolati con Bieniawski per lo stesso ammasso roccioso; - le discontinuità rilevate in cave limitrofe mostrano orientazioni e caratteristiche omogenee, costituendo domini di discontinuità riferibili ad una porzione più vasta del territorio, definite “aree estrattive” (in totale ne sono state individuate 19). Queste permettono, note le famiglie di giunti presenti, di prevedere le

170 principali problematiche e di delineare le linee strategiche di coltivazione per le cave site al loro interno o nelle immediate adiacenze; - esiste una corrispondenza fra i principali set individuati nelle singole cave e i lineamenti strutturali riportati in letteratura, riferibili in particolare a due sistemi orientati E-O, NO-SE; - per le cave appartenenti alla falda Antigorio i giunti sono riferibili ai lineamenti E-O, NO-SE; - per le cave di Beola e l’unica cava di marmo rilevata i giunti sono riferibili al solo sistema E-O; - nelle cave di granito i giunti sono riferibili ai sistemi NNO-SSE, E-O; - la giacitura della scistosità varia in immersione ed inclinazione sul territorio provinciale, imponendo modalità di coltivazione differenti.

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187

ALLEGATO A

SCHEDA TECNICA ADOTTATA PER L’ESECUZIONE DEI RILIEVI STRUTTURALI

188

SCHEDA N°______DATA______NOME CAVA______COMUNE______COD. PROV.______COD. REG.______COORDINATE______QUOTA______LITOTIPO PREVALENTE______DESCRIZIONE DELL’AMMASSO ROCCIOSO______SUP. DEL RILIEVO [m2]______FOTO N°______CAMPIONI N°______METODO DI SCAVO ______MORFOSTRUTTURE DI PARETE______ELEMENTI STRUTTURALI □struttura trasposta □pieghe □cerniere/fianchi pieghe □faglie dirette □faglie inverse □miloniti □fratture beanti □giunti d’esfoliazione □discordanze □carsismo □vene □filoni □contatti geologici □laminazioni

INSTABILITA’ → □SCIVOLAMENTI □planari □a cuneo □rotazionali → □RIBALTAMENTI □di blocchi □per flessione → □ CROLLI LOCALIZZAZIONE______

AMMASSO: □ MASSIVO □ A BLOCCHI □ TABULARE □ COLONNARE □ IRREGOLARE □ FRANTUMATO STRUTTURA: □MASSICCIA □STRATIFICATA □SCISTOSA □SEMICOERENTE □ALTERNANZE □CATACLASTICA

GRADO DI ALTERAZIONE □inalterato □debolmente alterato □mediamente alterato □molto alterato □completamente alterato ALTERAZIONE CHIMICA (plagioclasi, miche,..)______ALTERAZIONE FISICA (microfratture,…)______N. FAMIGLIE DISCONTINUITA’______N. AFFIORAMENTO_____ set giacitura apertura persistenza spaziatura alterazione riempimento jcs jrc acqua tipo

Tabella 1. Tabella riassuntiva delle principali famiglie di discontinuità.

189

GIACITURA [°]

APERTURA [mm]

PERSISTENZA [%]

PERSISTENZA [m]

SPAZIATURA [cm]

ALTERAZIONE

RIEMPIMENTO

ONDULAZIONE

RUGOSITÀ’

NOTE

TERMINAZIONE

ACQUA

SET E TIPO

190 SET PROFILO CON RIMBALZI AL ORIENTAZIONE PETTINE MARTELLO MARTELLO

191

ALLEGATO B

SCHEDE TECNICHE UTILIZZATE PER LA RACCOLTA DATI DELLA

BDAE

192 1. Descrizione dei dati della BDAE Le informazioni gestite della nuova BDAE sono suddivise in tre archivi: Anagrafica delle Imprese Attività Estrattive Rilevamenti statistici al fine di predisporre una relazione annuale per l’ISTAT

Gli oggetti gestiti dal DB sono relazionati secondo il seguente schema logico:

1 1..* 1 0..* IMPRESA CAVA SEZIONE ISTAT

1.1 Archivio Anagrafica Imprese Le informazioni relative ad ogni impresa sono le seguenti:

Nome dell’impresa Nome per esteso dell’impresa Direttore Nome e cognome del direttore dell’impresa Sede legale: Indirizzo Cap-Comune-Provincia Telefono Fax E-mail Note Altre sedi: E’ possibile inserire i dati relativi ad altre sedi oltre alla sede legale; per ognuna i campi sono: Indirizzo Cap-Comune-Provincia Telefono Fax E-mail Note 1.2 Archivio Attività Estrattive La BDAE si propone di descrivere le attività estrattive presenti in Piemonte, sia dal punto di vista tecnico che dal punto di vista amministrativo, con informazioni sempre aggiornate, in modo da fornire per ognuna di esse un’istantanea dello stato di attività al momento attuale. Le informazioni possono essere suddivise in argomenti principali: 1.2.1 INQUADRAMENTO GENERALE

Codice regionale: Il codice di una cava è composto di tre parti: Una lettera di riconoscimento la cui decodifica è la seguente:

A ARGILLA D CALCESCISTI E CALCARE F GESSO QUARZITE, SERIZZO, BEOLA, PIETRA DI G LUSERNA

193 H GRANITO, DIORITE, SIENITE, QUARZO I MARMO M MATERIALE ALLUVIONALE Q SABBIE SILICEE R TORBA S SERPENTINA O MATERIALE MORENICO U SABBIE PER RIEMPIMENTO V DETRITO DI FALDA C MINIERA P PERMESSO DI RICERCA Z PROCEDURE VIA PER IDROCARBURI PROCEDURE VIA PER CAVE DI COMPETENZA T REGIONALE PROCEDURE VIA PER CAVE DI COMPETENZA B PROVINCIALE

un progressivo numerico tra 1 e 9999 che si riferisce al codice precedente un codice Provincia costituito da una lettera tra: . A Alessandria C Cuneo N Novara S Asti T Torino V Vercelli B Biella O Verbano Cusio Ossola

Per le Province è previsto un campo “Codice provinciale” che si aggiunge a quello regionale. Quando la scheda provinciale viene archiviata il sistema in automatico deve essere in grado di ricavare il codice regionale

Impresa Nome per esteso dell’impresa che gestisce l’attività estrattiva

Tipologia Distinguiamo:  Attività estrattive di competenza regionale (Miniera, Permesso di ricerca, Cava in Parco, Cava ex LR 30/1999)  Cave di competenza provinciale (in conformità alla LR 44/2000)

Stato dell’attività estrattiva (LR 69/1978) ATTIVA INATTIVA NON APERTA IN ARCHIVIO ATTESA NUOVA RINNOVO MODIFICA

194 Stato della procedura VIA (L.R. 40/98) Nel caso in cui il progetto dell’attività estrattiva debba essere sottoposto alle procedure di cui alla lr 40/1998 in merito alla Valutazione di Impatto Ambientale, è possibile evidenziare lo stato della procedura:

Verifica: Protocollo: data di apertura della procedura di verifica Atto finale: data di chiusura della procedura di verifica Esito: può essere In Valutazione o Esclusa

Specificazione Protocollo: data di apertura della procedura di specificazione Atto finale: data di chiusura della procedura di specificazione

Valutazione Protocollo: data di apertura della procedura di valutazione Atto finale: data di chiusura della procedura di valutazione Esito: può essere Favorevole o Sfavorevole

Litotipo E’ possibile scegliere tra:

ARGILLA CALCARE GESSO CALCESCISTI QUARZITE GRANITO DIORITE SIENITE MARMO QUARZO SERPENTINA MATERIALE ALLUVIONALE MATERIALE MORENICO TORBA SABBIE SILICEE SABBIE PER RIEMPIMENTO DETRITO DI FALDA SERIZZO BEOLA PIETRA DI LUSERNA FELDSPATI GRANATI METALLI RIOLITI DI ALTERAZIONE FELDSPATI E ASSOCIATI ARGILLE REFRATTARIE OLIVINA CAOLINO TALCO MINERALI AURIFERI E ASSOCIATI MARNA DA CEMENTO GRANATI E ASSOCIATI

195 PERIDOTITE FLOGOPITICA IDROCARBURI

I litotipi dai Feldspati in poi sono caratteristici di attività estrattive in Miniera.

Utilizzo uso primario: è possibile scegliere tra:

PER CEMENTO PER CALCE PER PIETRISCO PER MASSI DA SCOGLIERA PER PIETRE ORNAMENTALI PER AGGREGATI DA C.L.S. E DA CONGLOMERATI BITUMINOSI PER RIEMPIMENTO E RILEVATI PER LATERIZI PER DISCARICA PER ARGILLE ESPANSE PER USI INDUSTRIALI PER USI ENERGETICI uso secondario: è possibile scegliere tra:

PER PIETRISCO PER MASSI DA SCOGLIERA PER RIEMPIMENTO E RILEVATI PER DISCARICA PER USI INDUSTRIALI

Collocazione geologica Codice riferito alla simbologia della cartografia geologica e relativa decodifica

TGS MICASCISTI DI ANTIGORIO MO MORENICO GS MICASCISTI E GNEISS OCCHIADINI GGU GNEISS LISTATI DK DIORITE-KINZIGITI GSU GNEISS MINUTI GK GNEISS-KINZIGITI DT DETRITO DI FALDA A ALLUVIONI T42 CALCARI DOLOMITICI OMEGA PORFIDI QUARZIFERI MG5 GESSOSO-SOLFIFERA C2G1 CALCARI DI VOLTAGGIO T10 DETRITO GV GRUPPO DI VOLTRI GG GNEISS GRANITOIDI A2 ALLUVIONI MEDIE FGR FLUVIOGLACIALE RISS WURM

196 E21 FLYSCH CALCAREO MARNOSO A3 ALLUVIONI RECENTI PA ARGILLE DI LUGAGNANO MM32 MARNE DI CAMINO FLM FLUVIALE MINDELIANO FL1 ALLUVIONI FORTEMENTE ALTERATE M5 ARGILLE FORMAZIONE GESSOSO-SOLFIFERA M4 MARNE S.AGATA FOSSILI A21 ALLUVIONI POST-GLACIALI O3E3 ARENARIE RANZANO-MARNE ANTOGNOLA A1FL3 ALLUVIONI PREVAL. ARGILLOSE Q DILUVIALE ANTICO FGM FLUVIOGLACIALE MINDELIANO A1L ALLUVIONI TERRAZZATE AP PALEOSUOLI ARGILLOSI PLEISTOCENE A1 ALLUVIONI ATTUALI SGR ARGILLE SABBIOSE LACUSTRI FLR FLUVIALE RISSIANO PLZ MARNE SABBIOSE PLIOCENICHE O21 CONGLOMERATI DI RANZANO M3 MARNE GRIGIE TORTONIANO P1 ARGILLE PIACENZIANE Q2 DILUVIALE FERRETIZZATO GMS MICASCISTI GNEISS DORA-MAIRA AD CONOIDE AC CONO DI DEIEZIONE TX1 QUARZITI TABULARI GNT ORTOGNEISS TABULARI BEOLE GN GNEISS SERIZZI LAMD PERIDOTITI E ROCCE ULTRABASICHE FGR2 DEPOSITI SABBIOSI ARGILLIFICATI FGWR ALLUVIONI FLUVIOGLACIALI RISS-WURM FL2 ALLUVIONI SABBIOSO-SILTOSO-ARGILLOSE P11 SILTS ASTIANI M1O3M MARNA SILTOSO-SABBIOSA AQUITANIANO M3-2M MARNA SCAGLIOSA LANGHIANO P MARNE SABBIOSE LUGAGNANO I2FL1 ALL.SABBIOSE-ARGILL. VILLAFRANCHIANO L1 ALTERNANZE SABBIOSO-ARGILLOSE M10A MARNE GRIGIO-VERDASTRE AQUITANIANO M3-1 PIETRA DA CANTONI MIOCENE M5-4 MARNE DI S. AGATA FOSSILI GES GESSO MESSINIANO PS SABBIE GIALLE STRATIF. VILLAFRANCHIANO A1FLW TERRAZZI SAB.-ARGIL.PLEISTOCENE PCC7 CALCARI DI ZEBEDASSI PALEOCENE P2-1 ARGILLE DI LUGAGNANO PLEISTOCENE L2 ARGILLE SABBIOSE VILLAFRANCHIANO

197 03E3A ARENARIE SAB.-MARN. OLIGOCENE CA MARMI PREERCINICI T2 CALCARI CRISTALLINI GIURA SIGMA SERPENTINA TRIAS-GIURA GAMMA GRANITI BIOTITICI BETA DIORITI MELANOCRATICHE GAMRO GRANITI ROSSI GSM GNEISS MINUTI GGA1 GNEISS DIORITO-KINZIGITICI QT QUARZITI TEGULARI BARGIOLINA GGAMM GNEISS GRANITOIDI PC ARGILLE CAOLINICHE PLIOCENE T CALCARI DOLOMITICI TRIAS ALFA DIORITI QUARZIFERE SIENI SIENITI ANFIBOLICHE MQ APLITI DIORITO-KINZIGITICHE T5-4 SCISTI ARGILL.-CALCAREI PRETRIAS PT SCISTI FILLADICI PRETRIAS FGW ALLUVIONI FLUVIOGLACIALI WURM M3-2 MARNE GRIGIO-CALCAREE SERRAVALLIANO ST SERPENTINITI ULTRABASICHE LANZO MM DEPOSITI MORENICI ARGILLOSI RISS PIGRE PORFIDI FERRETIZZATI T3-2 DOLOMIE CALCAREE TRIAS TM DOLOMIE CALCAREE GRIGIE TRIAS GL CALCARI MARMOREI GIURA TI QUARZITI E SCISTI QUARZITICI TRIAS GN1 GNEISS MINUTI PRETRIASSICO QQ QUARZITI E QUARZO LENT. PRETRIAS AT ALLUVIONI TORBOSE C21 CALCARI DI VOLTAGGIO GIURA M2 MARNE GRIGIO CALCAREE MIOCENE E3C6 CALCARI ARENACEI EOCENE TC CALCARI GRIGI BRECCIATI TRIAS CX CALCARI CIPOLLINI CS CALCESCISTI CRETACEO-GIURA GS1 GNEISS MINUTI OCCH. SESIA LANZO C1A GNEISS PSAMMITICI SERIE GRAFITICA GAM GNEISS GRANITOIDI PREERCINICI PE1 SCISTI QUARZ.-SERICITICI PERM-CARBON. SIG SIENITI ANFIBOLICHE CICLO ALPINO M1O3 SABBIA E CONGLOM.POLIGENICO AQUITANIANO DQ DETRITI QUARZOSI E3 MARNE FORMAZ.GASSINO EOCENE FL3 ALLUVIONI SABB. GHIAIOSE OLOCENE DG DETRITI DI FALDA GNEISSICI AB ANFIBOLITI PREERCINICHE G11-5 CALCARI CEMENTIFERI DOGGER-MALM

198 ALF DIORITE QUARZIFERA DI BROSSO M MARMO ROSA DI CANDOGLIA DGR DETRITI GRANITOIDI C1 CALCESCISTI FILLADICI C5 CALCARI MICROCRISTALLINI GM MICASCISTI E GNEISS MINUTI DORA-MAIRA GNL GNEISS GRANULARI DI LUSERNA DORA-MAIRA G GNEISS MINUTI SESIA -LANZO AMS APLITI A MICHE CICLO ALPINO CT LOESS ARGILLIFICATO RISS-WURM TO TORBA EM ARGILLA LOESSICA DP DETRITI PERIDOTITICI C ARGILLE CAOLINICHE DA VULCANITI GAMRP GRANITO ROSSO PANTHEON P3 SABBIE GIALLE PLIOCENICHE ASTIANE Q1 ALLUVIONI FERRETTIZZATE E_G MARMI CLORITO-MUSCOVITICI CRETACEI GMB GNEISS MINUTI DI BROSSASCO LF LIMI FERRETIZZATI A1FF3 ALLUVIONI PREVALENTEMENTE ARGILLOSE

1.2.2 INQUADRAMENTO TERRITORIALE

Località Nome del luogo in cui risiede l’attività estrattiva

Comune 1 Codice ISTAT Provincia Comunità Montana ASL Procura competente

Comune 2 Codice ISTAT Provincia Comunità Montana ASL Procura competente

Comune 3 Codice ISTAT Provincia Comunità Montana ASL Procura competente

Area Protetta

199

SIC: Sito di importanza comunitaria SIR: Sito di importanza regionale ZPS: Zona a protezione speciale

Cartografia IGM Foglio + quadrante (I-II-III-IV) + tavola (NW-NE-SW-SE)

Fotogramma cartografia regionale

UTM Est: 6 cifre (3xxxx0, 4xxxx0, 5xxxx0 metri) UTM Nord: 7 cifre (49xxxx0, 50xxxx0, 51xxxx0 metri)

Quota piazzale (m s.l.m.)

Pendenza media dei terreni (°)

Uso attuale del suolo

RISAIE SEMINATIVI SEMINATIVI DA FORAGGIO COLTURE SPECIALIZZATE PRATI AVVICENDATI PRATI PERMANENTI PRATI PASCOLI PASCOLI INCOLTI FRUTTETI VIGNETI NOCCIOLETI PIOPPETI ALTRE COLTIVAZIONI LEGNOSE AGRARIE CASTAGNETI DA FRUTTO FUSTAIE DI CONIFERE FUSTAIE DI LATIFOGLIE CEDUI ACQUE

Classe di capacità Dalla Carta della Capacità d’uso dei suoli e delle loro limitazioni

I SUOLO PRIVO DI LIMITAZIONI ALLA COLTIVAZIONE II SUOLO CON LIMITAZIONI MODERATE ALLA COLTIVAZIONE III SUOLO CON LIMITAZIONI SEVERE ALLA COLTIVAZIONE IV SUOLO CON LIMITAZIONI MOLTO SEVERE ALLA COLTIVAZIONE V SUOLO PRINCIPALMENTE ADATTO A PASCOLO E BOSCO VI SUOLO ADATTO SOLO A PASCOLO E BOSCO VII SUOLO CON LIMITAZIONI FORTI AD USI PRODUTTIVI VIII SUOLO CON LIMITAZIONI TALI DA PRECLUDERE USI PRODUTTIVI

200

Unità di paesaggio Dalla Carta della Capacità d’uso dei suoli e delle loro limitazioni

Tipo colturale Dalla Carta Forestale IPLA

FUSTAIA SOPRASSUOLI A STRUTTURA IRREGOLARE CEDUO CEDUO COMPOSTO E SOTTO FUSTAIA FUSTAIA E CEDUO IN MOSAICO

Copertura forestale Dalla Carta Forestale IPLA

DENSA IRREGOLARE RADA

Esposizione dei versanti di coltivazione Visibilità (scelta multipla) Dalle vie di comunicazione Dai centri abitati Da località turistiche Da monumenti Vincoli esistenti

Vincolo derivante dal D.lgs. 490/1999

Monumentale (art. 2)

Ambientale (art. 139) E’ possibile indicare il tipo o i tipi di vincolo ambientale:

compreso nei 300 metri dai laghi (art. 146) compreso nei 150 metri da corsi d’acqua (art. 146) oltre i 1600 metri s.l.m. – Alpi (art. 146) oltre i 1200 metri s.l.m. – Appennini (art. 146) in parco od area protetta o preparco (art. 146) in area a bosco (art. 146) in area gravata da uso civico (art. 146) in zona umida (art. 146) in zona di interesse archeologico (art. 146) galassino (art. 144)

Vincolo Idrogeologico (LR 45/1989)

Vincolo PAI Possibilità di segnalare se la cava è in:  Fascia A  Fascia B  Fascia C

201  Frana Attiva  Frana quiescente

Vincolo di zona sismica

202 1.2.3 DATI TECNICI

Area in disponibilità (migliaia di m2)

Potenza estraibile (m)

Potenza banco utile (m)

Spessore copertura (m)

Strato coltivabile – azimut (°)

Strato coltivabile – pendenza (°)

Percentuale sterile (%)

Morfologia dello scavo

FOSSA GRADONI SOTTERRANEA FRONTE UNICA

Quota ciglio di cava (m s.l.m.)

Lunghezza del fronte (m)

Area piazzale (migliaia di m2)

Inclinazione del fronte (°)

Quota massima profondità (m s.l.m.) Quota di falda (m s.l.m.) La differenza esprime se la cava tocca la falda (+ sopra falda; - sotto falda).

Inclinazione sopra falda (°) Inclinazione sotto falda (°)

Numero gradoni Altezza gradoni (m) Pedate gradoni (m)

Stabilità dei versanti

BUONA OTTIMA SCARSA

Permeabilità (da 10-2 a 10-9 cm/sec)

Discarica per sfridi derivanti dall’attività estrattiva Area (migliaia di m2)

203 Volume autorizzato (milioni di m3) Volume effettivo (milioni di m3) Inclinazione discarica (°)

1.2.4 RECUPERO AMBIENTALE

Destinazione finale dell’area (2 opzioni)

AGRICOLA

FORESTALE NATURALISTICA TURISTICO-RICREATIVA BACINO PER UTILIZZO ACQUA

RIUTILIZZO VUOTI SOTTERRANEI Tipo di ripristino morfologico

RIEMPIMENTO PARZIALE RIEMPIMENTO TOTALE RIMODELLAMENTO DELLE SUPERFICI RIPORTO TERRENO VEGETALE

Selezionando “Riporto terreno vegetale” si attiva il campo m3

Materiale di riempimento

DI PROVENIENZA DA CICLO ESTRATTIVO DI PROVENIENZA ESTERNA: NON CLASSIFICATO RIFIUTO DI PROVENIENZA ESTERNA: CLASSIFICATO RIFIUTO

Inclinazione media del fronte (°)

Interventi di regimazione

CANALETTE VASCHE DI RACCOLTA

Interventi su piazzale

INERBIMENTO IMPIANTO SPECIE ARBUSTIVE IMPIANTO SPECIE ARBOREE

Interventi su scarpate/gradoni

INERBIMENTO IMPIANTO SPECIE ARBUSTIVE IMPIANTO SPECIE ARBOREE

Verifica recupero

Area recuperata (migliaia di m2)

204 1.2.5 PROVVEDIMENTI AMMINISTRATIVI

Referente LR 69/1978 Data ultima visita referente LR 69/1978 Data penultima visita referente LR 69/1978

Data controllo discarica di sfridi

Data accertamento scavi abusivi (se la cava è derivante da scavi abusivi)

Provvedimenti autorizzativi relativi ai vincoli esistenti

Rimozione Atto Scadenza Monumentale Ambientale Idrogeologico

Provvedimenti autorizzativi di competenza regionale

Tipo Data Parco Concessione Data Esito Data Scadenza istanza protocollo di conferenza provvedimento arrivo conclusiva regionale

Provvedimenti autorizzativi di competenza comunale

Tipo Data Data Esito Data Data Data Scadenza istanza protocollo conferenza provvedimento provvedimento provvedimento di arrivo conclusiva Comune1 Comune2 Comune3

Cauzione Importo della cauzione prevista dal Provvedimento di autorizzazione

Area autorizzata (migliaia di m2)

Cubatura autorizzata (milioni di m3) Cubatura estratta (milioni di m3) dato derivante dalla statistica annuale Cubatura residua (milioni di m3) differenza dei due dati precedenti

Numero particelle catastali Viene riportato per ogni Comune il numero delle particelle autorizzate in proprietà e il numero delle particelle autorizzate in affitto:

Proprietà Affitto Comune 1 Provvedimenti sanzionatori ai sensi delle ll.rr. 69/78 e 45/89 e del Dlgs 490/99

205 Norma di Articolo Tipo di Data Scadenza riferimento provvedimento

206 1.2.6 POLIZIA MINERARIA

Direttore

Anno di apertura

Data ordine di servizio

Data denuncia esercizio

Data parere Pubblica Sicurezza

Referente

Autorizzazioni (DPR 128/1959)

Art Atto Data

Provvedimenti (DPR 128/1959)

Art Atto Diffida Scadenza Verifica Denuncia magistratura

Quantità esplosivi I categoria (Kg) Quantità esplosivi II categoria (Kg) Quantità di detonatori (n°) Quantità di micce (m)

Tiro elettrico Riserva esplosivo Impianti elettrici Impianti di sollevamento Impianti a pressione

Data ultima verifica impianti elettrici Data ultima verifica impianti di sollevamento Data ultima verifica impianti a pressione

Data ultima ispezione Data penultima ispezione

207 1.3 Archivio Statistica ISTAT

Per ogni cava l’ISTAT richiede annualmente alla Regione una scheda con informazioni di statistica mineraria, suddivise in 7 sezioni; in grigio sono evidenziate le celle compilate dall’utente.

1.3.1 SEZIONE A – OCCUPAZIONE, ORE DI LAVORO, SPESE PER PERSONALE

Numero degli occupati alla fine di ciascun trimestre:

Tabella A Imprenditori Operai ed Apprendisti coadiuvanti A giorno In dirigenti e sotterraneo TOTALE impiegati E F M Al 31/3 Al 31/6 Al 31/9 Al 31/12 Media annua

Numero di ore di lavoro prestate dal personale operaio ed apprendista: (in migliaia)

Numero delle ore lavorative svolte dalle Società appaltatrici: (in migliaia)

Spese globali annuali per il personale dipendente al lordo degli oneri sociali:  Per impiegati: (in Euro)  Per operai ed apprendisti: (in Euro)  Costi eventuali appalti: (in Euro)

208 1.3.2 SEZIONE B – INFORTUNI NELL’ANNO

Tabella B A GIORNO SECONDO L’USO PREVALENTE DEL MEZZO DI IN SOTTERRANEO ABBATTIMENTO Esplosivo Filo elicoidale Meccanico

Feriti Feriti Feriti Feriti CAUSA DEGLI INFORTUNI Morti Morti Morti Morti Gravi Gravi Gravi Gravi Leggeri Leggeri Leggeri Leggeri Numero dei casi Numero dei casi Numero dei casi Numero dei casi

Franamento e distacco di roccia Caduta, scivolamenti, circolazione e movimento del personale Trasporto e manovra di blocchi

Mezzi trasporto e mezzi di escavazione meccanica

Impiego macchine, maneggio di utensili e attrezzi

Folgorazione per corrente elettrica

Esplosivi

Cause diverse TOTALE

209 1.3.3 SEZIONE C – PRODUZIONE

Litotipo: viene riportato il litotipo presente nella scheda cave

Tabella C Produzione Valore unitario Utilizzo Tonn m3 Euro/T Euro/m3 Per laterizi Per argilla espansa Per terre refrattarie ed usi speciali Per l’industria del cemento e/o della calce Per blocchi da scogliera Per pietrisco Per altri usi In pezzame per cuocere (gesso) Per usi industriali Blocchi per telaio Blocchi per fresa Lastra a spacco naturale Pezzame ad altri usi Sabbia 0/3 mm Ghiaia 3/30 mm Pietrisco 30/70 mm Tout-venant Stabilizzati Usi da fonderia (sabbie silicee) Macinati per usi industriali (sabbie silicee) Torba

Destinazione prodotti: % Comune % Provincia % Regione % Altre regioni % Estero

210 1.3.4 SEZIONE D – CONSUMO DI MATERIALI VARI E FONTI ENERGETICHE

Tabella D1 VALORE UNITARIO MATERIALI IMPIEGATI PER ABBATTIMENTO QUANTITA’ (EURO) Esplosivi I Categoria (Kg) II Categoria (Kg) Detonatori elettrici (n°) normali (n°) Miccia detonante (m) Filo elicoidale (m) Fioretti (m) Aste di perforazione (m) Acqua (m3) Altri materiali di normale consumo ……………

Tabella D2 VALORE UNITARIO FONTI ENERGETICHE QUANTITA’ (EURO) Olio combustibile (tonn) Gasolio (per trazione ad uso industriale) (tonn) Gasolio per gruppi elettrogeni (tonn) Altri combustibili (tonn) Energia elettrica acquistata (Kwh x 1000) Energia elettrica autoprodotta (Kwh x 1000) Cabine elettriche - potenza installata (KVA) Motori elettrici (n°) Altri motori (n°)

211 1.3.5 SEZIONE E – MACCHINE E IMPIANTI

Tabella E1 Potenza installata Potenzialità ESTRAZIONE E COLTIVAZIONE N° macchine CV Kw (t/h) Escavatori meccanici gommati Escavatori meccanici cingolati Bulldozers Benne mordenti Drag lines Pale meccaniche gommate Pale meccaniche cingolate Pompe a suzione Pompe per abbattimento Macchine per filo elicoidale Compressori Macchine perforatrici Altri

Tabella E2 CARICO SOLLEVAMENTO E N° Potenza installata (Kw) TRASPORTO INTERNO Derricks Camion fino a 33 tonn Camion oltre 33 tonn Altro

Tabella E3 Numero impianti Potenza Potenzialità LAVORAZIONE Fissi Mobili installata (Kw) (t/h) Lavaggio Classificazione Frantoi primari Frantumazione Frantoi secondari Mulini Pompe Compressori Altro

Tabella E4 NASTRO TRASPORTATORE Numero Metri Lineari Potenza installata (Kw)

Tabella E5 ALTRI IMPIANTI Numero impianti Potenza installata (Kw) Gruppi elettrogeni Altri

212

1.3.6 SEZIONE F – LAVORI ESEGUITI NELL’ANNO

Tabella F TIPO DI LAVORO Quantità Gallerie Lunghezza (m) Sezione (m2) Volume (m3) Scavi a giorno complessivi (m3) Materiale sistemato in discarica (m3) Sondaggi esplorativi (m) Fori da mina Sino a Φ 64 mm (m) Φ 65-100 mm (m) Maggiori di Φ 100 mm (m)

NOTE Per indicare il diametro dei fori maggiori di 100 mm

1.3.7 SEZIONE G – COMUNICAZIONI DELL’ESERCENTE ED ALTRE INFORMAZIONI Campo descrittivo

213

ALLEGATO C

SCHEDE DESCRITTIVE RELATIVE AI TEMI UTILIZZATI NELLA BANCA DATI GEOTEMATICA

214

COMUNI Fonte Carta topografica d'Italia I.G.M.I. serie 100/L. Data rilevamento 1960-1978 Scala rilevamento 1:100.000 Primitive geometriche Poligoni Proprietario REGIONE PIEMONTE - Direzione Pianificazione e Gestione Urbanistica Gestore e Distributore CSI-Piemonte Data creazione 01/10/1997

USO DEL SUOLO Fonte Cartografia originale IPLA 1:100000 Data rilevamento 1976-1980 Scala rilevamento 1:100.000 Primitive geometriche Poligoni Proprietario REGIONE PIEMONTE - Direzione Pianificazione e Gestione Urbanistica Gestore e Distributore CSI-Piemonte Ultimo aggiornamento 15/06/98

AREE EDIFICATE Fonte Cartografia originale IPLA 1:100.000 Data rilevamento 1976-1980 Scala rilevamento 1:100.000 Primitive geometriche Poligoni Proprietario REGIONE PIEMONTE - Direzione Pianificazione e Gestione Urbanistica Gestore e Distributore CSI-Piemonte Ultimo aggiornamento 15/06/98

IDROGRAFIA Fonte Cartografia IGM 1:100.000 Data rilevamento 1952-1966; 1989 [aste principali] Scala rilevamento 1:100.000 Primitive geometriche Linee [corsi d'acqua] e poligoni [laghi]. Proprietario REGIONE PIEMONTE - Direzione Pianificazione e Gestione Urbanistica Gestore e Distributore CSI-Piemonte Ultimo aggiornamento 13/12/99

215

VIABILITA’ [autostrade, strade comunali, ferrovie] Fonte Cartografia IGM 1:100000, LAC 1:150000 e carte Societa' Autostrade 1:25000. Data rilevamento 1952-1966 [IGM], 1982 [LAC] Scala rilevamento 1:100.000 e 1:25.000 [autostrade] Primitive geometriche punti, linee Proprietario REGIONE PIEMONTE - Direzione Pianificazione e Gestione Urbanistica Gestore e Distributore CSI-Piemonte Ultimo aggiornamento 1993 [autostrade], 1991 [altri]

VINCOLO IDROGEOLOGICO Fonte carta topografica IGM alla scala 1:25000 e 1:100000 aggiornata e rielaborata alla scala 1:250000.

Data rilevamento 1980 Scala rilevamento 1:25.000 Primitive geometriche poligoni Proprietario REGIONE PIEMONTE - Direzione Pianificazione e Gestione Urbanistica Gestore e Distributore CSI-Piemonte Ultimo aggiornamento 11/12/1997

ASSETTO GEOSTRUTTURALE VERBANO CUSIO OSSOLA Fonte Geologo provincia del Verbano Cusio Ossola [Dottor Isoli], disegno su base IGM 1:100.000 Data rilevamento 1999 Scala rilevamento 1:100.000 Primitive geometriche linee, poligoni Proprietario Provincia di Verbania Settore Pianificazione Territoriale, Programmazione e Trasporti Gestore e Distributore CSI-Piemonte Ultimo aggiornamento 23/03/2001

216

ALLEGATO D

ALGORITMI ADOTTATI PER L’ASSEGNAZIONE DEL RATING IN BIENIAWSKI (1989)

217

y = 0,003x3 - 0,1743x2 + 2,8514x + 0,9237 16

14

12

10

8 Rating 6

4

2

0 024681012 Is

Figura 1. Correlazione tra Is [MPa] e rating.

y = -8E-06x3 + 0,0018x2 + 0,0676x + 3,0527 20 18 16 14 12 10 Rating 8 6 4 2 0 0 20406080100 RQD%

Figura 2. Correlazione tra RQD [%] e rating.

218 y = 5,7618x-0,5607 7

6

5

4 Rating 3

2

1

0 0 5 10 15 20 25 Persistenza [m]

Figura 3. Correlazione tra persistenza e rating.

5 4,5 4 3,5 Apertura [mm] 3 2,5 2 1,5 1 0,5 0 0 1 2 3 4 5 6 Rating

Figura 4. Correlazione tra apertura e rating.

219 y = 0,0853x6 - 1,5083x5 + 10,436x4 - 35,621x3 + 62,295x2 - 54,102x + 24,407

7 6 5 4

Rating 3 2 1 0 0246 σc/JCS

Figura 5. Correlazione tra grado di alterazione e rating.

y = 0,3x + 2E-15 7

6

5

4

Rating 3

2

1

0 0 5 10 15 20 25 JRC

Figura 6. Correlazione tra rugosità [JRC] e rating.

220