A. LUZIO - R. RENI Eli

IL LUSSO DI ISABELLA D’ESTE

MARCHESA DI MANTOVA

d a lla NUOVA ANTOLOGIA, voll. lxiv-lxv, serie iv (Fascicoli: 16 luglio, 16 settembre e 16 ottobre 1896)

ROMA FORZA NI E C. TIPOGRAFI DHL SENATO

1896 IL LUSSO DI ISABELLA D’ ESTE

JJi MARCHESA DI MANTOVA ff V> LATITO \ % •X MwoGOTk, ■/ -, i^vv

Due parole d’introduzione. — Le foglie italiane nel Rinascimento e l’influenza p r o p r i e t à l e t t e r a r i a straniera. — Vani rimpianti dei laudatores temporis acti e inefficacia delle leggi suntuarie. — L’iniziativa individuale nella moda. — Isabella dit- tatrice d’eleganza.

Della marchesana di Mantova non intendiamo qui d’illu­ strare quella specie di lusso che si riferisce alle arti maggiori o si esplica nelle pompe esterne della vita pubblica; non vogliamo, cioè, studiare la premura industre ed intelligente con cui Isa­ bella d’Este arredò i suoi appartamenti, empiendoli di quadri dei migliori pittori del tempo, di statue, di anticaglie, od occuparci delle cure spese intorno a’ suoi giardini, degli spettacoli corti­ giani che promosse ed ai quali tanto volentieri assisteva. Di tutto ciò e d’altro parleremo altrove (1). La nostra attenzione vuol essere qui limitata al lusso personale della celebre gentildonna, vale a dire a tutta quella serie di fatti che ci attestano il suo

(1) Nella monografia complessiva e definitiva su Isabella d1 Este- Gonzaga, alla quale ormai siamo prossimi. Per le relazioni artistiche può- vedersi intanto la memoria su Isabelle

cenno rii Paolo Giovio e in una sfuriala retorica di Pellegrino fu di presenti) preso pei- gli giovani di Firenze, e per le donne Moretto nel suo libro Del significalo dei colori (1). L’antico giovani con disordinati manicottoli, come per natura siamo di­ Diario ferrarese si fa beffe fin dal 1494 di coloro che portano sposti noi vani cittadini alle mutazioni de’ nuovi abiti, e i strani certi tabarri « con capuzini di drieto piccoli a la spagnola », contraffare oltre al modo d’ ogni altra nazione; ciò fu segno di per cui « pareno buffoni » ; e nel 1500 e nel 1502 nota i vestiti futura mutazione di stato» (1). Ma a questa asserzione, che il a la franzese e al modo de Alemannia, che s’erano introdotti guardingo Muratori nella sua XXII dissertazione menò buona, in Ferrara (2). E un vecchio cortigiano brontolone di quella traendone ammonimento contro la nazione francese infettante, a Corte, rammentando in una pagina notevolissima di certa sua ge­ dir suo, l’italica moderazione, fu giustamente opposto da altri (2) remiade le foggie cangiate in Ferrara nella prima metà del Cin­ che prima di quel tempo Galvano Fiamma lamentava la muta­ quecento, conchiude: « quante usanze da quel tempo sin a oggi zione dei costumi, cioè l’introdursi delle vesti spagnuole, del ta­ sono venute in Italia tutte sono state invenzione de’ Francesi, glio de’ capelli alla francese, del cavalcare alla tedesca, e chi che sebbene lo Spagnuolo, 1’ Alemanno ed altro hanno apportato più ne ha più ne metta. E si opposero le numerose leggi sun­ qualche novello costume, non è stato tanto variato, nè tanto imi­ tuarie anteriori, che stanno a dimostrare quanto antica fosse tato quanto il francese » (3). E il Sansovino, pure in quel torno, quella pianta sempre rifiorente del lusso. lamentava « che gli Italiani, dimenticatisi di esser nati in Italia, Gli è che nelle bisogne riguardanti la moda s’ è fatto sen­ et seguendo le fattioni oltramontane, hanno co’ pensieri mutato tire sempre, più stridente che in altre materie, il contrasto fra lo habito della persona, volendo parere quando francesi e quando i novatori ed i conservatori; ed i conservatori sogliono essere spagnuoli » (4). Non doveva correr molto tempo e si sarebbe il sempre laudatores temporis acli. Non per nulla Dante, eh’ era dì della Sensa esposta ogni anno a Venezia in Merceria una pu­ un conservatore della più bell' acqua, metteva in bocca a Cac­ pattola che indicava 1’ ultimo modello parigino dei vestiti nuovi, ciaguida quell’ aspro rimbrotto ai cittadini della nova Firenze uso che fu ben presto imitato anche in Toscana ed altrove. infiacchiti nel lusso ed alle loro femmine contigiate dal volto di­ Ora, che in tutte queste recriminazioni, in tutti questi lamenti, pinto, come se entro la cerchia antica ogni donna vegliasse so­ vi sia del giusto, nessuno nega. La rapida evoluzione del costume lamente a studio della culla ed ogni uomo fosse un Cincinnato! nel nostro Cinquecento subì anche gl’ influssi della moda stra­ Illusione che si rinnoverà sempre finché esisteranno gli uomini niera (5). Ma ciò che non è punto vero (e uno studio analitico sul e che trova una spiegazione psicologica analoga a quella che di soggetto lo dimostrerebbe) è che sul lusso italiano di quel secolo certi rimpianti abituali nei vecchi diedero il Castiglione nel abbia avuta efficacia unica od almeno preponderante l’imitazione Cortegiano (II, 1) e Giacomo Leopardi nei Pensieri (n. 39). In di mode forestiere. È questa un’ antica abitudine di dar la colpa realtà il lusso è sempre derivato da una condizione di ricchezza agli stranieri di certe innovazioni che non approviamo. Sin dal e di relativa civiltà : solo esso ha assunto esplicazioni differenti secolo xiv G. Villani gettava la colpa del lusso fiorentino sulle a seconda dei tempi e dei luoghi. Se un giorno si farà (e sarebbe mode francesi venute in Firenze col duca d’Atene nel 1342, bello si facesse) la storia delle censure del lusso, sia da parte concludendo: « Questa stranianza d' abito, non bello nè onesto, dei moralisti, sia da parte delle autorità civili, questa storia di­ mostrerà meglio d’ ogni altra cosa il ripresentarsi continuo del (1) Cfr. anche Cian, Luci ed ombre nel Rinascimento italiano, in lusso e gli sforzi continui, quanto inutili, per soffocarlo. Le leggi Gazzetta letteraria, anno XVIII, n. 41. suntuarie romane sono già un’ imitazione di quelle greche pro- (2) M uratori. R. 1. S., voi. XXIV, coll. 297, 387, 399. (3) A. Solerti, La vita ferrarese nella prima metà del secolo xvi, descritta da Agostino Mosti, Bologna, 1892, pag. 29. (1) Cronica, libro XII, cap 4. (4) F. M utinelli, Del costume veneziano, Venezia, 1831, pag. 91. (2) Dal F e r r a r i o nell' indigesto operone 11 costume antico e mo­ (5) M u n t z , Renaissance, voi. II, pag. 167 e segg. derno, IX, II, pag. 408 e segg., e poi dal Fabretti e da parecchi altri. IL LUSSO DI ISABELLA D’ESTE MARCHESA DI MANTOVA 11 10 IL LUSSO DI ISABELLA D’ESTE MARCHESA DI MANTOVA

mulgate da Licurgo e da Solone. In Italia abbiamo un’ immensa Così le cose camminavano su per giù come prima. Nel 1514 si letteratura di statuti suntuari, i quali da Messina, che ne ebbe stabilì in Venezia una speciale magistratura per frenare il lusso già prestissimo essendo 1’ emporio di tutti i mercanti d’ Europa esorbitante, quella dei procveclilori alle pompe, che dovevano ne’ traffichi con 1’ Oriente, vennero su su in tutte le città ita­ specialmente impedire l’abuso delle gioie; ma neppure essi'rin- liane (1). Ed erano molte volte severissimi. Una legge bolognese novarono il mondo. Nè giunsero a raddrizzare le gambe ai cani del 1401 prescriveva che tutte le vesti nuove fossero bollate col i predicatori e 1’ autorità ecclesiastica, che in luogo di multe e sigillo degli Anziani; limitava l’oro e l’argento da portarsi sul di carcere minacciavano scomuniche e inferno. Sin dal 1274 Gre­ gorio X proibì in tutto l’orbe cattolico gli ornamenti femminili; capo e nelle vesti; stabiliva il numero degli abiti di seta che po­ ma nel secolo xv, quando in Italia prima san Bernardino da teva tenere ogni donna; proibiva le pelliccie di qualche ricchezza; Siena, poi frate Girolamo Savonarola, e in Francia il carmeli­ imponeva persino la dimensione delle maniche e dei manicotti, tano Tommaso Connette bruciarono in piazza, con altre profa­ la lunghezza delle gonne e ordinava come dovessero essere le nità, capelli finti e lisci e gingilli ed ogni altra maniera di ba­ frangie e le scarpe ! (2) Eppure non se ne risentì alcun van­ gaglio satanico, furono quelli di gran bei falò ! Eppure in pochi taggio o fu effimero. Le leggi suntuarie antiche hanno l’aria delle leggi forestali moderne : più se ne bandiscono e meglio si trova mesi s’ eia daccapo. Un particolare, peraltro, non va dimenticato quando si di­ 11 modo di eluderle. V ’ ha uria novella del Sacchetti (la 137*) che scorre di lusso e di quella capricciosa signora che lo fomenta, c’ insegna quali loiche fossero «senza studiare o apparare leggi » le donne fiorentine, allorché si trattava di farla in barba agli la moda. Instabile costei fu sempre ed i lamenti sulla sua varia­ ordinamenti suntuari. Ci mettevano tutta quella buona voglia e bilità risalgono molto indietro nella cronologia (1). Ma sta il quella innegabile abilità che oggi spiegano nel fare il contrab­ fatto che per ragioni storiche, artistiche, economiche diverse, in nessun tempo antico fu la moda così incostante, in nessun tempo bando ! La prova migliore dell’ inanità di quelle leggi sta nel fatto che in certe città, come ad esempio Firenze, si sentiva v’ ebbe tante e così capricciose foggie come nel nostro Cinque­ il bisogno di rinnovarle ogni dieci e persino ogni cinque anni. cento. Ad uno scrittore ed artista vissuto in quel secolo, che ci lasciò il miglior libro sulle foggie del tempo suo, scappò detto che Venezia almeno, astuta in questa come in tante altre cose, pro­ mulgava le sue disposizioni repressive del lusso, ma poi accor­ gli abiti donneschi erano allora « variabili più che le forme della luna » (2). E in questa variabilità v’ è pure un elemento, che oggi dava privilegi, segnatamente ai nobili, che erano quelli per ormai non si conosce quasi più: l ’ elemento individuale. Oggi la cui in vero la proibizione aveva maggior ragione di essere (3). moda muta spesso ; ma essa è una tiranna che tiene tutti i suoi sudditi sotto una disciplina ferrea. Nel Cinquecento invece, specie (1) Non che uno studio, manca di questi statuti persino una biblio­ nella prima metà, all’ individuo era lasciata molto maggior li­ grafia. Qualche indicazione è in P a s t o r , Gesch. der Pdpsle, voi. Ili, pag. 36, n. 5; ma è appena un accenno alle fonti più note. Vedi B audrillart, bertà d’ azione. Il fatto fu già avvertito dal Burckhardt (3), ma op. cit-, voi. Ili, pag. 630 e segg.; Campanini, op. cit., pag. 58 e se­ non vorremmo vi si ravvisasse troppo quella tendenza all’ indivi­ guenti, e la bella memoria di A. Fabrktti, Statuti e ordinamenti sun- dualismo che 1’ erudito svizzero ha senza dubbio esagerata. Il tuarii in Perugia dui 1266 al 1536, in Mem. dell’Accad. di Torino, capriccio personale non generava già 1’ anarchia: le foggie serie II, voi. 38, pag. 137 e segg. Che le leggi suntuarie messinesi uniformi, di prammatica, erano anzi consacrate dall’ uso (4), del 1272 fossero proprio le prime d’Italia, come afferma il Salomone-Ma- r i n o in Arch. stor. Siciliano, nuova serie, voi. I, pag. 220, non è del (1) M e r k e l , Corredi, pag. 77. tutto vero; ma furono delle prime e non senza ragione. (2) Cesare Vecellio, Habiti antichi et moderni, Venezia, 1598, (2) V. D allari-G andini, Lo statuto suntuario bolognese del 1401 e il registro delle vesti bollate, Bologna, 1889. pag. 109. (3) Civiltà del Rinascimento, voi. II, pag. 128. (3) M o l m e n t i , op. cit., pagg. 310 e segg.; B audrillart, op. cit., voi. Ili, pag. 345 e segg. (4) M e r k e l , Corredi, pag. 53. 1 2 ' IL L a s so DI ISABELLA D’ ESTE MARCHESA DI MANTOVA I. - IL GUARDAROBA DI ISABELLA D’ ESTE 13

tanto è vero che il dottor bolognese Alessandro Achillini (uno discorreremo in seguito, « vestas quamplures ex sirico diverso- degli esempi additati dal Burckhardt per sostenere l’indipen­ rum colorum, et ex auro et argento, et ex utroque egregie la­ denza delle mode individuali) quando se n’ andava « modulatis boratas, drapamentaque quamplurima ornatissime laborata ». E passibus, coccina in toga exoleti moris, astrictas videlicet habente dalle vesti appunto, per imporci un po’ d’ ordine, comincieremo manicas, et nullis a tergo defluentibus rugis, lutrina pelle fim­ il nostro esame del lusso della marchesa. briatus*, faceva ridere gli scolari, «ridendus videbatur» (1). Nelle parole or ora trascritte dell’ istrumento dotale si parla Segno manifesto che l’individualismo non salvava dal ridicolo di vesti di seta e di vesti intessute d’ oro e d’argento. L’ uso delle chi, senz’ essere in una posizione privilegiata, voleva introdurre vesti intessute di seta e d' oro fu recato in Italia dall’ Oriente nel delle eccentriche innovazioni nell’abito. Non per nulla la Raffaella secolo xii con l’industria dei drappi serici, che ben presto dalla ammaestrava: « Voglio che una giovene ogni pochi giorni muti Sicilia passò in Toscana e di là in altre parti della penisola (1). veste, e non lasci mai foggia che sia buona ; e se ’l suo giudicio I broccati dei tempi più antichi solevano, seguendo 1’ uso orien­ le bastasse a trovar foggie nuove e belle, sarebbe molto al pro­ tale, esser disegnati ad animali realmente esistenti, come aquile, posito che spesso ne mettesse innanzi qualcuna; ma, non le ba­ fagiani, pavoni, tigri, leopardi, ecc., o ad animali fantastici, come stando il giudicio, appicchisi a quelle delle altre che sien tenute liocorni e grifoni, od anche a pomi, palme, barre e fascie di migliori » (2). Dunque l’iniziativa individuale si consentiva, anzi ogni genere. Gli esempi ne sono infiniti: trascegliamone alcuni. si lodava ed ammirava; ma solo nei casi chetale iniziativa mo­ In un corredo ferrarese del secolo xiv ci imbattiano in « unam vesse da persona ragguardevole e d’ eletta intelligenza artistica. cotam pani zetaioli cum foietis argenti et deauratis » e in Costei poteva trovare le foggie: a costei era dato guidare la « unum gabanum pani verdis cum foietis argenti »(2). Anna Sforza, volubile dea della moda, anziché seguirla ciecamente. quando andò a marito, aveva una veste fatta a leoni (3). Nel cor­ Nella marchesa di Mantova, che per tanti anni tenne lo redo di Nannina de’ Medici edito dal Marcotti (4) troviamo delle scettro d’ ogni eleganza e d’ogni gusto d’ arte, noi vedremo pre­ saie a uccellini, e nel famoso tesoro del re Giannino non man­ cisamente una delle creature privilegiate a cui fu concesso di cava un drappo d'oro fino a pappagalli (5). L’imponente cor­ esercitare un impero anche nel regno della moda. redo d’Ippolita Sforza ha, fra i molti altri, « tessuto uno morello chiaro broccato d’ argento a la damaschina relevato a raze et colombine cum uno fornimento d’oro cum zoie » (6). Ma il mol­ I. tiplicare simili citazioni sarebbe troppo agevole, onde riuscirà

Il guardaroba di Isabella d’ Este. (1) Fa. M i c h e l , Recherches sur le commerce, la fabrication et Vesti di seta e broccati. — Imprese e divise intessute. — «Albernie» e «ca­ l’usage des ètoffes de soie, d’or et d’argent en Occident, Paris, 1852,. morre». — L’uso delle maniche separate. — I vestiti da lutto. — La voi. I, pag. 74 e segg. Cfr. L. A. G a n d i n i , De arte textrina, Roma, 1887,. biancheria personale. — Beatrice Sforza e Isabella d’Este inventrici di pag. 11 e segg. mode. — Rivalità e gelosia tra Isabella e Lucrezia Borgia. — La Regina (2) S o l e r t i , Due corredi di nozze nel secolo xiv, in Gazz. lett., di Francia in gara col lusso delle gentildonne italiane. a. XII, n. 11. (3) G. A. V enturi, Anna Maria Sforza sposa ad Alfonso d’ Este, Allorché il 23 febbraio 1490 fu fissata la dote d’Isabella per nozze Callaini-Luciani, Firenze, 1880, pag. 29. (4) Un mercante fiorentino e la sua famiglia, per nozze Nardi- d Este, che sedicenne doveva andar sposa a Francesco Gonzaga, Arnaldi, Firenze, 1881. le furono assegnate, oltre i gioielli ed altre preziosità di cui (5) C. Mazzi, Il tesoro d’ un Re, per nozze Gorrini-Cazzola, Roma, 1892, pag. 15. (1) Giovio, Elogia vir. lit. ili, Basilea, 1577, pag. 112. (fi) M otta, Nozze principesche nel Quattrocento, per nozze Tri- (2) Aless. Piccolomini, La Raffaella, Milano, 1862, pag. 18. vulzio-Della Somaglia, Milano, 1894, pag. 76. 2 I l IL LUSSO DI ISABELLA D'ESTE MARCHESA DI MANTOVA I. - IL GUARDAROBA DI ISABELLA D’ESTE 15 più utile 1’ avvertire che fin da tempi antichi accade di trovare, cune lettere de oro masizo » (1). Evidentemente quelle lettere e presso ai disegni senza parole intessuti nelle stoffe, anche dei quelle divise non erano intessute, ma rilevate, anzi cucite nella disegni simbolici e delle iscrizioni. È questo pure un uso orien­ stoffa. Altrimenti non si spiegherebbe il curioso fatto che Amico tale passato in Occidente, ove troviamb già nel xiv e nel xv se­ Maria della Torre riferiva al giovinetto Federigo Gonzaga, nel colo le stoffe così dette litera la e (ì). Lettere e d ivise (2) erano narrargli d’ un solenne banchetto offerto da Isabella a certi suoi ora intessute, ora ricamate. Nel corredo di ospiti illustri: «Sedendo a tavola M.a vostra matre alla cena Montefeltro v’ è « uno paro de maniche de raso cremesino cum soprascritta, havendo una veste la Ex.u“ Sua indosso da li can­ recami de perle facti a lettere » (3). Nel menzionato corredo di delerii d' oro, che la porta per insignia et impresa, gli ne fu­ Ippolita Sforza troviamo « tessuto uno de cremesile d’ oro a la rono robbati setti denanti da la veste ». Dalla sorella Beatrice damaschina relevato cum el cane et pino », cioè l’impresa di Fran­ probabilmente, che in un paio d’ anni s’ era fatti ottantaquattro cesco Sforza. E al bollo bolognese, secondo lo statuto del 1401, vestiti nuovi (2), ebbe Isabella nuovo stimolo alla ricchezza degli fu presentata anche una veste che, non senza umorismo, è così abiti. Nei soggiorni milanesi la buona marchesa avrà dovuto com­ descritta: «Domina Francisca, uxor Iacobi de Sanutis notarii mettere di gran peccati di desiderio ! E certo la bella lettera dominorum defensorum artium et libertatis civitatis Bononiae, pre­ con cui Beatrice la informava delle nozze straordinariamente sentavi ex diletione quam gerit dicte sue uxori, sibi gratiam fa­ sfarzose di Bianca Maria (3), ove la giovane imperatrice comparve ciendo, unam vestem turlizatam ad undas, de veluto grane cum con la veste « de raso cremesino, recamata richissimamente a foliis auratis, ac scarlato mixto cum veluto in dictis undis, qui razi d’oro, cum lo burbo pieno de zoye » (4) e Beatrice mede­ licentiam habet navigandi in dicta veste et per dictas undas pro­ sima con la famosa camòra che aveva « la balzana del passo speris ventis aflantibus » (4). Onde non è meraviglia che Isa­ cum li vincii d’ oro masizo » (5), dovette dare alla marchesa as­ bella Gonzaga, poco dopo il matrimonio, scrivesse a Ferrara, sente una specie di capogiro. Gentile pensiero fu quello del Moro ove 1’ arte tessile dei broccati era assai progredita (5), facendosi di regalare alla marchesa, nel 1494, tredici braccia di panno inviare da Bernardino Prosperi i « desegni de le nostre arme d’ oro « rizo sopra rizo facto a la divisa sua della colombina » (6). et divise di drappi » (6). Ma nonostante quest’ uso, dovettero i Del resto, già nel 1492, il Moro 1’ aveva condotta a scegliere Ferraresi stupire allorché comparve nella città loro, l'anno 1493, una stoffa preziosa da un mercante di Milano. Isabella scelse Beatrice Sforza, la fastosa sorella della marchesa di Mantova, con « uno rizo soprarizo d’ oro cum qualche argento, lavorato ad « una camòra de tabbi cremexino rachamata al porto del fanale, una sua divisa che si dimanda el fanale, zoè el porto de Genua, et supra le maniche teniva due torre per cadauna et due altre nel che sono due torre cum uno breve che dice : Tal trabajo m’es pecto et due de dreto» e secolei Anna Sforza con « una vesta de piacer por tal thesauro no perder » (7). Quella stoffa costava damasco beretino et morello cerchiata de raso cremexino cum al­ quaranta ducati il braccio, cioè 440 delle nostre lire, e tenendo

(1) P. Lanza di Scalea, Donne e gioielli in Sicilia, Palermo, 1892, (1) Luzio-Renier, Relazioni d’Isabella con Ludovico e Beatrice pagg. 158-59. Sforza, Milano, 1890, pag. 78. (2) Questo termine francese fu usato spesso per indicare le imprese (2) Ibid, pag. 69. cosi care ai nostri vecchi ; ma in molti casi riteniamo che la divisa sia (3) Ibid., pag. 89 e segg. differente dall’ impresa in questo, che mentre l’impresa doveva avere (4) Tr. Calchi, Residua, Milano, 1644, pag. 105. anima e corpo (cioè motto e disegno), la divisa recava solo il corpo. (5) Fatto fare su d’ una fantasia del poeta Niccolò da Correggio. (3) Luzio-Renier, Mantova e Urbino, Torino, 1893, pagg. 294 e 302. Luzio-Renikr, Relazioni cit., pagg. 87-88. (4) D a l l a r i -G a n d i n i , op. cit, pag. 45. (6) Relazioni cit., pag. 106. (5) L . N. C ittadella, Notizie relative a Ferrara, Ferrara, 1864, pag. 501 e segg. (7) Relazioni cit, pag. 62. Sanammo alla meglio lo spagnuolo del motto, così deturpato nel documento: Tal trabalio mes plases par tal (6) Copialettere del marchese, L. 136, data 18 giugno 1890. thesauros non perder. 1 6 IL LUSSO DI ISABELLA D'ESTE MARCHESA DI MANTOVA [. - IL GUARDAROBA DI ISABELLA D’ ESTE 17

conto che il denaro aveva allora un valore quasi quintuplo di di velluti, rasi e damaschi; e quando Isabella poteva attirare quello che ha oggi, potremmo calcolare quel broccato a circa alla sua Corte qualche valente artefice anche in questa partita, duemila lire il braccio. n’era ben paga. Così accettò subito, nel 1491, « una donna greca 1 broccati d'oro ricci sopra ricci] o sopraricci che dir si che lavora d’ ago delicatissimamente » (certo una ricamatrice) (1), vogliano, contavano infatti fra i più preziosi e occorrono spesso offertale da Costanza d' Àvalos. Ma in genere amava rivolgersi nei corredi principeschi. Delle dame veneziane dice l’Aretino fuori di Mantova, e i luoghi a cui faceva capo di solito erano, nel Marescalco (atto II, scena 5): « Esse sono tanto belle quanto come notammo, Ferrara e Venezia. Tutto il suo vivo, anzi irruente, nobili, e tanto nobili quanto altere, et essendo così, i ricci sopra desiderio di novità eleganti traspare in una lettera allo Ziliolo ricci, gli cremesi, gli squarciamenti, i ricami, le gioie e le foggie del 2 aprile 1491, che figura nel copialettere. Essa manda cento sariano da esse usate di maniera, che il tesoro ammontato da ducati d’oro con una lista di cose da comperare, « protestandove la virtù veniziana si consumeria, come la neve al sole ». Il so­ che non habiati a retornare alcuno indreto \de' ducati], perchè prariccio era un tessuto a trama doppia del riccio o ricciuto (1), comparate queste cose, s’el ve restasse dinari in mane, spendeteli il quale a sua volta, più comune, aveva il pelo non tagliato, in qualche cadenella o cosa gallante et nova, et in quello vui in modo che il filo d’ oro « ergendosi sul piano dell’ ordito, for­ judicareti ce habia a gustare. Et se questi dinari non bastaranno, mava piccoli anelli o virgole d’ oro, risplendenti ora sì ora no, meteteli de li vostri, che subito ve li restituiremo et saremo più come fanno le lucciole » (2). L’ Urbani de Glieltof ha offerto al contenta de esser vostra debitrice che creditrice, purché ne portati pubblico dei disegni di damaschi e broccati rizadi e soprarizzo (3). diverse gallantarie, ma in specie queste sono le cose che volemo». Ma chi voglia vederne degli splendidi campioni, ricorra alle tele E qui segue la lista, con amatiste intagliate, paternostri d’ ambra di quel gran pittore di stoffe che è Carlo Crivelli (4) ed alle co­ neri e d’oro, panno celeste per una camòra, panno nero per una lossali statue di bronzo che circondano il sarcofago dell’ impe­ albernia « de quello che non avesse paragone al mondo, et non ratore Massimiliano nella chiesa dei Francescani ad Innsbruck. guardate a dinari s’el costasse ben dece ducati el brazo, pur eh’ el Ma queste stoffe e queste vesti di parata non erano certo d’uso sia in tutta excellentia, perchè quando fusse de quello che avesse comune. Le commissioni d’Isabella, che fioccavano veramente, de li altri parangoni, voressimo più presto che lassasti stare ». soprattutto nei primi anni del suo matrimonio, ai suoi corrispon­ Ordina pure tela rensa della più bella ed altro; e in fine rac­ denti veneziani, specie a Giorgio Brognolo (5), ed ai ferraresi, comanda di « cavar de sotto terra qualche cosetta galantissima, specie a Girolamo Ziliolo, riguardavano più spesso velluti, rasi, che non ce potresti fare cosa più grata ». In questa lettera è sete, tabi (6). A Mantova stessa si fondò nel 1523 una fabbrica tutta Isabella nelle sue voglie impetuose di sposa non ancor di­ ciottenne. (1) « Sed et eumdem habitum multifariam variantes, rasis aliis et le­ I capi di vestiario che la marchesa nomina più di frequente vigato operi simillimis, crispis aliis pexis ac squammosis, duplici etiam sono la camòra e la sbernia, o albernia, com' ella preferisce gradu superfluente materia, quales bis ricios pannos vocare vulgus solet». Ta. C a l c h i , Resìdua, pag. 64. chiamarla. Nel dicembre del 1492 aveva ordinato una camòra (•2) L. A. Ganoini, in Luzio-Renieb, Mantova e Urbino, p a g . 297. (3) Les arts industriels à Venise, Yenise, 1885, pagg. 141-142. che altri definisce « grosso taffetà ondato, ossia marezzato ». B o r z e l l i , (4) D’ una splendida stoffa uccellala è il manto della Vergine del in Rassegna stor. napolitana, I, 138. Crivelli nella galleria di Pest, quadro che rammentiamo qui perchè meno (1) Non appare dai documenti nostri che Isabella facesse grande noto e meno in vista degli altri suoi. uso di ricami. Qualche attestazione importante in proposito è in M e- (5) Fu anche oratore del marchese di Mantova a Venezia e poi a l a n i , Svaghi artistici femminili, Milano, 1891, pag. 42. Il 16 ottobre 1524 Milano. Vedi S a n u d o . Diarii, voi. I, pagg. 665, 682 e 832; voi. II, pa­ ordinava a Firenze, un crocifisso a ricamo « perchè sapemo che in gine 26, 51, 63, 66, ecc. Pare morisse intorno al 1500 Firenze sono meliori maestri de recami che non sono qua in Man­ (6) Una specie di broccatello (vedi M e r k e l , Tre corredi, pagg. 73-74), tova ». 18 IL LOSSO DI ISABELLA D’ESTE MARCHESA DI MANTOVA I. - IL GUARDAROBA DI ISABELLA D'ESTE 19

de raso berelino et morello (1) ad Alberto da Bologna; ma co­ parte de la sig.“ Marchesa di Cotrono che la desiderarla avere stui tirava troppo per le lunghe, ed ecco Isabella che monta in una de le nostre camore per monstra per sua figliola, che viene furia e lo fulmina con queste righe: « INJe pare che non sola­ cum la regina de Aragona; avemone facto dare una al dicto mente babbi perso la memoria per la cascata che dici facesti qua, cancellere de veluto leonato listata de tela de arzente et fodrata ma che el male che hai adosso te abbia anche privo di cervello de cendale alexandrino (l), qual gli l'areti apresentare da nostra o che te abbi cavato li occhi, che non possi legere. Et però ha- parte». Di albernie la marchesa parla spessissimo. Nel luglio vemo voluto replicarti minutamente quello che volemo, doppo che del 1490 scrive allo Ziliolo d’aver ricevuto l’albernia inviatale. cognossemo che non intendi il testo senza commento. Togli fora E a Giorgio Brognolo il 12 novembre del medesimo anno ordina: de salvarobba el cavezo de raso berettino et morello d^a le liste « Desiderando nui avere una bella fuodra de zebellini per una larghe che facessimo fare a Venetia; et in esso fa tagliare una albernia, volemo ne compriati ottanta che siano in tutta excel­ camora che abbia le bande al pecto a la francese, fodrate de ve­ lentia et beleza, se ben dovessi circar tutta Venetia, et veder luto negro et cusì alle maneghe, facendola ornare pur de veluto de trovarne uno da portare in mane cum l’osso de la testa, se negro, et gli farai mettere le stringhe negre che siano longhe ben costasse dece ducati, che pur sia bello non ce agravarà la corno furono quelle che nui aconzassimo a la camora de veluto spesa. Et ultra di questo volimo ce mandiate otto braza de raso negro (2). Nel resto ce remetemo a la diligentia et sufficientia cremesino del più bello se trovi lì a Venetia et sia da parangone, che sei solito usare quando ne sei apresso». V’è il zuccherino perchè lo volemo per fare dieta albernia, et per Dio usateli la in fondo. Ed avendo Alberto eseguito gli ordini, la buona quanto solita diligentia vostra, chè non ce potresti fare cosa più grata». focosa giovinetta lo assicurava il 13 dicembre che le lettere re- Pochi giorni dopo, il 28 novembre 1490, raccomanda a Iacopo buffalorie erano state scritte per schirzo. Le camóre della Gon­ Trotti di «far ritrovar dece gatti di Spagna de li più belli et zaga sembra anche godessero d’ una certa celebrità, perchè tro­ grandi che sia a Milano, per fare fodra ad una albernia». E viamo che nel 1506 la marchesa di Cotrone, cioè la moglie di un’ altra albernia riceveva da Genova nel gennaio 1491. don Antonio Centiglies, conte della Rocella, marchese di Cotrone Camòra e albernia o sbernia o bernia sono designazioni e duca di Catanzaro (3), gliene fece chiedere una per modello, comunissime nell’ Italia superiore, come in Toscana la gamurra, ed Isabella si lasciò indurre di buon grado a mandargliela. Ciò ìa.cioppa e la giornea. Fantastiche sono le derivazioni di sbernia rileviamo dalla seguente lettera da lei diretta il 12 ottobre 1500 da vestis hiberna o peggio ancora dall’ arabo (2). Occorre bernia a Fioramonte Brognolo : «Il vostro cancelliere me ha dicto da nello spagnuolo e bernie in francese, ed il vocabolo deriva da Hibernia (Irlanda), significando dapprima una stoffa lanosa e vel­ (1) Il berettino era color cenerognolo spesso tendente al violaceo losa, che si fabbricava in Irlanda, poi, con passaggio ideologico (cfr. M u s s a p ia , Iìeitrag, Wien, 1 '73. pag. 33; B o r z e l l i , in Rassegna comune, i mantelli che con quella stoffa si usava di fare (3). Come stor. napoletana, I, 138; G a n d i n i , De arte textrina, Roma 1887, pag 6, si può vedere anche dai documenti sovra esposti, eranvi sbernie e il nostro Mantova e Urbino, pag. 3 i0); il morello era il nostro pavoDazzo, o violato purpureo, come lo chiama 1' E q u i c o l a (Mantova e Urbino, pag. 297). (1) Stoffa leggera di seta tinta in azzurro. Cfr. G a n d i n i in Mantova (2) Queste stringhe devono essere i nastrini che si vedono svolaz­ e Urbino, pag. 296. zare dalle maniche di Beatrice Sforza, tanto nel ritratto di lei eh' è nella (2) h'albornusium monscum, che figura nel corredo della contessa pala di Brera, attribuita a Zenale, quanto nella statua che copre il suo Tornambene, è certamente veste orientale (Lanza di Scalea, Donne e sarcofago nella Certosa di Pavia. Il V e c e l l i o , Habiti, pag 164. ne fa gioielli, pag. 161), ma non ha a che fare con la sbernia. una caratteristica della foggia milanese. (3) D ie z , Etym. Wórterb., pag. 49, e K o e r t i n g , Lai. Rom. Wór- (3) Isabella la conobbe a Ferrara, in occasione delle nozze di Al­ terb., n 3945. Afferma il B i o n d e l l i (Dialetti gallo-italici) che bergna fonso con Lucrezia Borgia, e poi 1' ebbe secc a Mantova. S a n u d o , Diarii, in Piemonte vale «vestito rozzo contadinesco»; ma il Sant’Albino non voi. IV, pag. 234. conosce questo vocabolo. 20 IL LUSSO DI ISABELLA D’ ESTE MARCHESA DI MANTOVA I. - IL GUARDAROBA DI ISABELLA D 'ESTE 21 foderate di seta per 1’ estate, ed altre foderate di pelliccia per zippa (1), era una veste che giungeva sino ai piedi, comprendendo l’inverno. Anche nel corredo di Elisabetta Gonzaga v’ha una la gonna ed il corpetto. Come la voce gamurra in Toscana, di cui «sbergnia de raso cremesino fodrà di ermellini » e una « sbergnia forse è un'alterazione, aveva la parola camòra talvolta il signi­ de pan morello fodrà de zandal turchino » (1). Nel ricchissimo ficato di semplice gonna (2); così almeno intendiamo certa lettera corredo di Bianca Maria Sforza trovasi una sezione intera di di Beatrice Sforza alla madre Leonora d' Aragona riguardante sbergne, tre delle quali foderate con pelo (2). Come precisamente una camòra che doveva ricamarle il ricamatore spagnuolo Jurba le sbernie fossero fatte ci dice, sotto l ’anno 1494, il Diario fer­ o Jorba. Infatti Beatrice vorrebbe che il ricamatore facesse i fio­ rarese: « Et le donne suso le camóre di seta, d’oro et d’ argento, roni «più stretti de sopra secondo la larghezza della camòra», et di panno, maxime chi lo può fare, portano li mantelli corti essendo, com’ella stessa soggiunge, « razonevolmente la camòra ad armacollo, buttandoli in spalla a la apostolica, chiamate più stretta de sopra che da basso ». Alla forma di una gonna ciò bernie» (3). Un manto ampio e lungo, adunque, fissato sulle s’attaglia benissimo (3). Però in genere, come notammo, non consi­ spalle, che si poteva, volendo, gettare anche attorno al collo, ov­ steva nella gonna soltanto, ma anche nel corpo, altrimenti non s’in­ vero adagiare sul braccio. Potevasi anche la sbernia portar pun­ tenderebbe come Beatrice potesse chiedere in prestito alla sorella tata o annodata sul dinanzi, come mostra una dama genovese marchesa il petto della camòra delle lacrime, eh’ era di broccato descritta dal Vecellio (4). Ma la si voleva pur sempre ampia, sicché d'oro riccio, donato a Isabella dalla madre (4). Da molti documenti l’Aretino motteggiando scrisse: « Lo pose nel catalogo de’pazzi, ci risulta che sopra la camòra tenevasi il manto o la sbernia (5). menandolo in pubblico con un tappeto adosso in foggia di sber­ Nei grandi corredi, come in quello d’Ippolita Sforza e in quello nia » (5). E il Piccolomini dileggia le sbernie meschine, dicendo di Bianca Maria Sforza, vi sono categorie speciali destinate a re­ delle donne di Siena che vanno per la città «con le loro sber- gistrare le camòre (6) ; nel corredo di Leonora d’Aragona, quale niette, che non gli arrivano al culo a una spanna, e aggiran­ si desume dai registri di guardaroba dell’ archivio Estense, se ne dosene una parte al collo, e tenendone un lembo in mano, col qual si copron mezzo il viso, van facendo le mascare per la (1) G an:;ini, in Mantova e Urbino, pag. 300. strada» ; e altrove : « chi porta la sbernia tutta avvolta sul collo; (2) Nel volgare perugino camorrino significò per lungo tempo sot­ chi se la lascia cadere di dosso per non parer di pensarvi » (6). tana. Vedi F a b r k t t i nella Mem. cit., pagg. 187, 213 e 222 La lunghezza della sbernia è altresì confermata dall’elenco dei (3) Il documento fu edito da Ad. V enturi, in Arch. stor. lombardo, doni fatti a Vittoria Colonna sposa, ove troviamo distinta accu­ voi. XII, pag. 2 5 3 ; ma per una di quelle strane sviste a cui vanno ta­ lora soggetti anche gli ottimi fra gli studiosi, egli scambiò la camòra ratamente la sbernia dalla mantiglia (7). Solevasi la sbernia fis­ con una camera! Il ricamatore Jurba fu anche alla Corte dei Gonzaga, sare sulla camòra, sicché sbernia e camòra formavano il ve­ e Isabella lo disputava a Beatrice stito compiuto, o meglio una delle foggie di vestito compiuto, della (4) Vedi le nostre Relazioni d' Isabella con gli Sforza, pag. 88, gentildonna del Rinascimento. La camòra, o camòrra, detta anche n. 1. Anche gam urra ebbe il significato di veste intera. Il S e r c a m b i (ediz. Renier, pag 193) facendo spogliare la contessa d’Artois, le toglie prima lapalandra, quindi la gamurra, poi il piliccione di dossi di vaio. (1) Mantova e Urbino, pag. 294, e illustraz. Gandini, a pag. 302. E resta in camicia. (2) C a l v i , Bianca Maria Sforza- Visconti, Milano, 1888, pagg 135-36. (5) Fra i molti si vedano quelli in cui sono descritti i vestiti di Lu­ (3) M u r a t o r i , R. I. S., voi. XXIV, col. 297. crezia Borgia: D 'A r c o , Notizie d’ Isabella Estense, Firenze, 1845, pa­ (4) Habiti, pag. 178. gina 102; Luzio-Rbnier, Buffoni, nani e schiavi dei Gonzaga, Roma, 1891. (5) Ragionam. delle Corti, ediz. 1589, parte I, c. 11 r. pag. 31. Nella solenne entrata in Ferrara Lucrezia aveva una sbernia (6) La Raffaella, pagg. 19, 34. « tutta aperta da un canto », quindi di foggia alquanto diversa dalla (7) «Due mantiglie di broccato rizio sopra rizio» e «una bernia di più comune, una sopraveste lunga e aderente. damasco turchino guarnito di francie d’oro ». Napoli nobilissima, (6) M o t t a , Nozze principesche, pag. 75; Calvi, Bianca Maria voi. Ili, pag. 67. Sforza, pagg. 134 -3 5 . 2 3 22 IL LUSSO DI ISABELLA D'ESTE MARCHESA DI MANTOVA I. - IL GUARDAROBA DI ISABELLA D’ESTE trovano più di sessanta (1). Ma quando si dice che la camòra bianco comesse a l'antica» (1). Onde non v’è da maravigliarsi comprendeva anche il corpo, non s’intendono incluse anche le se il 14 giugno 1491 Isabella inviò in regalo ad una signora «lo maniche. Queste nel vestiario femminile del tempo erano spes­ brocato per uno paro de manege ». Chè non è punto vero, come sissime volte separate, e quasi sempre d’altra stoffa che il rima­ sembra ritenere il Rezasco, che quest’uso delle maniche separate nente corpetto. Fra i mille esempi che se ne potrebbero arrecare dall’ imbusto sia dovuto a ragioni d’ economia, per « scemare il nell’arte, si vedano i due ritratti di Piero della Francesca, quello danno del logoro » (2). Anzi 1’ uso avea una ragione tutta di sfarzo. rappresentante Battista Sforza nella galleria degli Uffizi, e quello Alla ricchezza delle maniche si dava una grande importanza (3). d’ignota giovane nel museo Poldi Pezzoli. L'uso delle maniche Qualche volta si portavano lunghe (4): lunghe sino a terra usa­ uguali nella stoffa al vestito prevalse col procedere del Cinque­ vano averle le spose veneziane della fine del secolo xv, quando cento, in ispecie quando si fecero strada le maniche a sbuffi del- andavano a marito (5). Bianca Maria Sforza nella cerimonia dello l’uso spagnuolo, che andaron di pari passo con le lattughe al collo. sposalizio le aveva siffattamente lunghe, che « parevano doe Nel corredo d’Ippolita Sforza è sempre indicato quali camòre ale » (6), tanto che, mentre Galeazzo Pallavicino le sollevava abbiano le maniche e di quale stoffa esse siano ; anche in quello l’enorme strascico, il conte Corrado di Landò ed il conte Man­ di Anna Sforza si nota espressamente esservi varie camòre « cum fredo Tornielli le portavano una manica pei' ciascuno ! Persino le sue maniche» (2). Alle maniche si dava un’importanza spe­ nelle camicie aveva le maniche lunghe sino a terra quella povera ciale e si solevano tener separate. Nel corredo di Elisabetta Gon­ principessa (7), che fu mandata come una bambola suntuosamente zaga si menzionano diverse paia di maniche, e talora una ma­ abbigliata a recitare la parte d’imperatrice ! nica sola è ricamata con gemme, l’altra no (3). Nella nozze di La nostra marchesa, nelle sue ordinazioni di stoffe, oltreché Giangaleazzo con Isabella d’ Aragona «fuerunt », dice il Calco(4), al proprio abbigliamento, aveva da pensare anche ai patii. Nelle «qui und manicd septem millium aureorum pretio gestarunt». corse dei cavalli usavasi dare in premio ai vincitori stoffe Il Vecellio dice chiaro, parlando delle zitelle napolitane (5), che preziose, panni alessandrini, zetani, velluti, broccati (8). Isabella, la loro veste « ha i braccialetti a’ quali sono appese le maniche che era appassionatissima pei cavalli, e nella scuderia dei Gon­ le quali cuoprono le braccia: il verno dette damigelle portano zaga aveva i migliori corridori d’ Italia, più di una volta ebbe il giubbone, et di state vanno in maniche di camicia ». Nelle vesti a farsi venire delle stoffe col fine di assegnarle a chi si distin­ di Lucrezia Tornabuoni, le maniche sono sempre di stoffa e di gueva nelle corse. colori diversi da quelli del vestito (6), e «sette para di maniche Anche nei lutti, non infrequenti e talora gravi, essa amava staccate» troviamo ancora nel corredo d'isabella infanta di Sa­ distinguersi per eleganza. Il 23 ottobre 1493, dovendo vestire voia andata sposa nel 1608 ad Alfonso d’Este (7). In una nota in lutto per la morte della madre, si fa mandare dalla sorella di panni d’Alessandra Strozzi v’è « un paio di maniche di panno Beatrice dei veli de bambace da portare in testa (9). E nel tempo

(1) G u a s t i , Lettere d'una gentildonna fiorentina, Firenze, 1877, pa­ (1) Comunicazione del conte L. A. Gandini di Modena, uno dei pochi gina 611. studiosi seri della storia del nostro antico costume che s’ abbiano in Italia. (2) Segno delle meretrici, in tìiorn. Ligustico, XVII, pag. 162. (2) Ediz. cit. di G. A Venturi, pagg. 29-30. (3) Vedi buone osservazioni in M e r k e l , Tre corredi, pagg. 52-54. (3) Mantova e Urbino, pagg. 294, 295, 306. (4) V e c e l l i o , Habiti, pagg. 186 e 2 4. (4) Residua, pag. 63. (5) M o l m e n t i , op. cit.. pag 269. (5) Habiti, pag. 222. (6) Relaz. con gli Sforza, pag. 90. Maniche ad ali sono anche nel (6) G. Levantini-Pieroni, Lucrezia Tornabuoni, Firenze, 1888, pa­ corredo d 'Ippolita Sforza. Vedi M o t t a , Nozze principesche, pag. 72. gine 28-29. (7) C a l v i , op. cit., pag. 141. (7) A. M a n n o , nelle Curiosità e ricerche di storia subalpina, vo- (8) G a n d i n i , De arte textrina, pag. 17. ume II, pag. 164. (9) Relaz. con gli Sforza, pag. 86 24 IL LCSSO DI ISABELLA D’ESTE MARCHESA DI MANTOVA I. - IL GUARDAROBA DI ISABELLA D’ESTE

stesso incarica segretamente un informatore di descriverle il ve­ gio 1492 commette a Giorgio Brognolo: «Vogliamo che con là stito a corrotto della sorella. E Aristeo il 25 ottobre le notifica solita vostra diligenzia vediati retrovare una pezza de tela de renso che Sua Eccellenza «porta un vestito in( corpo di panno bruno sutile et più bella che la intraclusa monstra» e ciò «perchè al cum maniche di panno bruno et una sbernia sopra pur di panno presente ce occorre fare de le camisie a lo ili"10 sigr nostro con­ bruno assai longa, et in testa una scuffia di seta bruna cum li sorte». Onde il figlio Federico, quand’era in Francia, si rivol­ veleti di sopra non gialli nè greggi, ma pur bianchi ». Era ben geva senz’altro alla madre per avere delle camicie alla lodesca: diverso questo lutto civettuolo da quello della povera duchessa « Perchè qua si usa portar camise alla todesca col colaro alto, Isabella, quando le morì il marito Giangaleazzo. Essa vestiva portando il scuffiotto, et il re ora le porta' et altri principi et « uno abito a modo una capa da frate larga et longa, che andava gentilomini, prego V. Ex. sia contenta farmine far qualcune la­ per terra, de uno pano da quatro soldi el brazo, negro non cimato vorate il colaro et maniche » (Lione, 27 aprile 1516). La tela di et uno pezo di buratto tinto in capo che li copriva li occhi » (1). renso trovasi continuamente menzionata nei ricchi corredi del In quella occasione del lutto per la madre, la marchesa scrive tempo, ed è la tela di Reims nella Champagne, alla quale allora a posta in Francia (3 gennaio 1494) alla cognata Clara Gonzaga contendeva il primato solo la tela di Germania, detta tela di Reno, Montpensier, «perchè sciò che in quello paese sonno panni negri non essendo ancora in voga la teleria fiamminga, « che 1’ una e molto più fini che sono questi nostri », acciò gliene invii per fare l’altra caccierà di nido»(l). «una camorra cum le manighe et coda». Non dispiaceva, del Molte ordinazioni particolari di oggetti di vestiario nei no­ resto, a Isabella il vestire di scuro, e senza far torto alla sin­ stri documenti non ricorrono. Usava Isabella di farsi spedire la cerità della sua devozione possiamo sospettare che questa pre­ materia prima, che poi si lavorava sotto la sua direzione. Tut­ dilezione la inducesse ai voti frequenti di vestir berettino. Come tavia in una lettera diretta a Ferrara a Bernardino Prosperi spesso le accadeva di far dei viaggi per adempiere a un voto (il l’ultimo di settembre del 1511 si mostra contenta eh’egli prov­ che a lei viaggiatrice nell’ anima non poteva tornare disaggra­ veda «al Spagnolo» (forse il ricamatore Jurba da noi rammen­ devole), così le avveniva anche di vestire per voto un costume tato) certa seta «per bisogno dii borsotto». Qui si tratta evi­ scuro. Beatrice de’ Contrari, la fidatissima damigella, così scriveva dentemente d’ una di quelle borsette, di solito ricamate e talora al marchese il 9 luglio 1491 « Se la S. V. vedesse la Illm“ Mar­ splendidamente gemmate, che le dame portavano appese alla cin­ chesana vestita de beretino, gli piaceria tanto in questo abito tura e che in Francia si chiamarono aumònières. Alla sorella che la non se poteria partire. S. Ex. s’è vestita per un voto che Beatrice scriveva da Marmirolo 1’ 11 agosto 1491 : «Intendo che l’aveva già più de uno anno, et avendolo a portare solamente Hieronimo de Ziliolo portoe de Franza a la S. V. uno certo cor­ un mese, ha voluto tuorlo adesso che la S. V. non è qui ». Il dono d’ oro da cingere. Pregola voglia per mio singoiar contento 6 giugno 1500 Isabella stessa informa il padre: « Come scià V. Ex., far fare uno designo de epso et mandarcelo, che la me farà pia­ da alcuni mesi in qua vesto per voto beretino». cere». Il cordone da cingere sarà stato di quella foggia che A differenza di molte altre dame del tempo (2), Isabella po­ troviamo portare intorno alla vita Leonora d’ Urbino nel ritratto neva anche cura alla finezza della biancheria, e non solamente tizianesco degli Uffìzi o di quella che occorre nel ritratto di Bar­ della propria. Abbiamo più d’ una ordinazione di tela. Il 10 mag­ bara Schwartz fatto da Cristoforo Amberger nella raccolta Schu- bart di Monaco. (1) Relazioni sudd., pag. 104 Con la sorella Beatrice, del resto, la Gonzaga soleva, per (2) Fu notato da più d'uno che accanto al più smodato lusso este­ quanto i mezzi glielo consentivano, gareggiare nel lusso; e quindi, riore riusciva talora assai deficiente, nelle nostre Corti del Rinascimento, la biancheria personale e quella da tavola e da letto. Vedi M e r k e l , Tre corredi, p a g 20. e Gandini, Saggio degli usi e delle costumanze della (1) Sul renso vedi le belle osservazioni del M e r k e l , Tre corredi, Corte di Ferrara al tempo di Niccolò 111, Bologna, 1891, pagg. 5-6. pagg. 28-31 e 87. I. - IL GUARDAROBA DI ISABELLA D’ESTE 27 26 II- LUSSO DI ISABELLA D'ESTE MARCHESA DI MANTOVA un gran centro, dove molto avea potuto vedere. Bonaventura’ malgrado le gentilezze che si scambiavano a vicenda, Isabella Pistofilo le attribuisce bensì il vanto d’ avere alquanto moderato mostrava una segreta rivalità nella premura speciale con cui chie­ certe foggie licenziose delle dame ferraresi, dicendo eh’ esse prima deva a’ suoi corrispondenti milanesi minute notizie dei vestiti « usavano abiti ne’quali mostravano le carni nude del petto e della duchessa. Questa brama d’informazioni copiose e precise delle spalle », mentre la Borgia « introdusse il portare ed uso di riguardanti la toilette femminile è una singolarità della nostra gorgiere, che velavano tutta quella parte dalle spalle sin sotto marchesa. Ad ogni dama ragguardevole, che avesse pregio di ele­ i capelli » (1); ma che davvero quella donna ambiziosissima e ganza nel vestire, ella metteva attorno qualche dabben cortigiano, corrotta potesse servire d’ esempio di castigatezza e di modestia che le descriveva a puntino i suoi abbigliamenti. Questo accadde nel vestire, è cosa che nessuno ammetterà. Infatti sappiamo da specialmente con Beatrice Sforza, con Lucrezia Borgia, con Re­ una lettera di Bernardino Prosperi a Isabella del 23 gennaio 1514 nata d’Este. Beatrice era novarum vestium inventrix, come la che in quel tempo si pensava di far « provisione » in Ferrara, chiama il Muralto, e il Moro dice che di certa foggia a la turchesca oltreché contro 1’ abuso delle carrette, anche contro le donne « è stata lo auctore la predicta mia consorte » (1). Essa aveva che portavano « i calzoni a la galeota ». Pensava il Prosperi di dunque raggiunto quel certo grado di celebrità in cui è lecito mandarne copia alla marchesa per farla ridere, perchè « multe inventare la moda ; e siccome Isabella non si sentiva da meno, de le nostre donne se erano sublevate cum dolerse de tal provi­ si comprende bene che tra inventrici, per quanto sorelle amo­ sione, credendo dovesse andare innanci, perchè il se dava arbi­ revoli, dovesse intercedere un pizzico di gelosia. Di questa specie trio sin a cazar le mano sotto a le done per sentir se avevano di curiosa privativa morale, che era riservata alle invenzioni i calzoni, ma quando altri l'avesse facto et non trovato che la nel vestiario della marchesa, abbiamo parecchie testimonianze. Il dona li avesse, cadeva a la pena d’ esserli tagliata la mano ». 12 novembre del 1493, Beatrice, quantunque si dichiari poco di­ Era questa la morigeratezza fatta prevalere da Lucrezia? sposta a « far inventione nove », chiede alla sorella s’ ella ha Comunque sia, dal momento che fu concluso il parentado già eseguito la « fantasia del passo cum li vincii » proposta da della Borgia con Alfonso d’ Este, Isabella ebbe sempre abbondanti Niccolò da Correggio, dacché, se Isabella non l’avesse già messa e particolareggiate notizie de’ portamenti ed abbigliamenti di lei ad effetto, vorrebbe tentarla ella medesima in una sua camóra (2). dal prete da Correggio, famigliare di mess. Niccolò (2). Nè solo E Susanna Gonzaga, il 15 aprile 1512, indirizza alla marchesa queste significantissime righe: da lui, ma anche dal fratello Ferrante d’Este, che accompagnò pure la sposa da Roma a Ferrara. Le lettere di Ferrante non ci Haveria gran'”" desiderio portare una maya pelosa facta cum quelli sono conservate, ma abbiamo nel copialettere d’Isabella due ri­ canoncini d’oro come porta la Ex. V. perchè mi piace molto quella fogia, sposte molto esplicite. Una di esse, del 14gennaio 1502, suona così: ma perchè gli sono serva dubitando farli dispiacere portandone, ho prima « Io non poria restar meglio satisfacta de quello che facio per voluto intendere da lei, essendo sua inventione, se la si contenta eh’ io il scriver che la S. V. me ha facto minutamente ne le sue del ne porti. ultimo dii passato et secundo de questo de li varii et diversi ha­ biti di quella ili.'"" M." nostra comune cognata. Sichè la rin- Se però nei rapporti con Beatrice quel po’ di gelosia non gratio suinamente, et pregola ad perseverare questo diligente suo toglie nulla all’ affetto sincero che si ricambiavano le due sorelle, Officio in lo avvenire, secundo che a la giornata la p.“* M.a va- la cosa è tutt’ altra nei rapporti d’Isabella con la Borgia, nei quali cordialità vera non fu mai, per quanto si salvassero le appa­ renze. La Borgia aveva gusto e ingegno d’ arte, e proveniva da (1) Vita d’Alfonso I d' Este, ediz. Cappelli, Modena, 1867, pag. 17. (2) Possono vedersi questi documenti nel notissimo libro del Gre- (1) Relazioni con gli Sforza, pagg. 19 e 45. qorovius su Lucrezia Borgia. Sul prete cfr. Giorn. stor. d. lett. italiana, (ì) Relazioni suddette, pag. 87. XXII, pag. 66 e segg. 28 IL LUSSO DI ISABELLA D 'ESTE MARCHESA DI MANTOVA I. - IL GUARDAROBA DI ISABELLA D’ ESTE 2 9

riarà in vestimenti et habiti : che in vero non poria haverlo da « Ritrovassimo S. Ex. posta sopra un letto vestita com una cen-- lei più grato ». Quale gara di eleganza e di lusso si stabilisse dalina negra com le maniche strette increspate presso la mano, .poco appresso in Ferrara tra Isabella e Luarezia, allorché la no­ uno scufflotto in testa di sopra da le orecchie, et da quella fos- vella sposa vi fece la sua entrata solenne, lo sappiamo dai rag­ semo opimamente accarezate, et doppoi molti ragionamenti me guagli del Sanudo e dalle preziose lettere della marchesa al interroghette de le portature mantuane et in che foggia se an­ marito edite dal D’ Arco. La marchesa di Cotrone notificava al­ dava, comendandome molto 1’ ornamento mio de la testa, 'per lora a Francesco Gonzaga che sua moglie « vestita di una bella modo nanti che se partessemo da essa me preposse ad doverli far camora richamata di quella invencione di tempi e pause » (1) fare alcuni scuffiotti secondo se usa et mandargeli, et ancora li superava tutte in bellezza ed eleganza, onde se la sposa avesse piacette assai certe rosette eh’ io haveva in fronte et cusì me le potuto prevederlo sarebbe entrata « a lume di doppieri ». Lucrezia rechiedette sino a tanto le havesse monstrate ad un horifice per da parte sua non annetteva minore importanza a conoscere le fare la similitudine di esse ». foggie d’ Isabella. V’ è in proposito una bella lettera alla mar­ Allorché più tardi una principessa francese, Renata, d’in­ chesa direttale il 18 dicembre 1502 da Laura Gonzaga. Vi narra dole per vero assai diversa dalla Borgia, fu impalmata da un una visita alla Borgia, e dice che dopo le amorevoli accoglienze Estense, Isabella, per quanto già avanzata in età, mostrò desi­ « conducendomi a sedere presso sè me interrogoe cum mirabile derio di conoscere sempre i suoi abbigliamenti, e si presero la amorevoleza de V. Ex , dicendomi nel progresso del parlare che cura d’informamela Battista Stabellino, che ora firmava Apollo la saperia volentieri de li habiti de la Cei. V. et maxime de la con­ ora Demogorgon, e Girolamo da Sestola detto Coglia (1). Ci sa­ ciatura de la testa, e poi devenendo in ragionamento de certe sue rebbe assai agevole il moltiplicare gli esempi di siffatte curiosità; camise spagnole me disse che se 1’ havesse cosa che fosse in suo ma ci limiteremo ad un’ altra sola. Quando nel 1518 seguirono proposito et gli piacesse, che essendone recerchata da lei gliene le nozze della Regina di Polonia, Gian Tommaso Manfredi non compiacerà de bona voglia, monstrandomi haver caro de, grati­ solamente descrisse a Isabella tutta la pompa di quella cerimonia ficare a V. Ex. in qualche cosa de le sue, ma dice che la voria e lo sfarzo della sposa; ma volle inviarle persino « l’inventario che quella gli scrivesse qualche volta et usasse più domesticheza delle robbe sue ». Tuttavia la marchesa, non ancor soddisfatta, seco che non fa, et me dimandoe del parentato de V. S. cum il volle leggere quanto ne aveva scritto ai fratelli Ludovico Di Duca Valentino (2). L’ habito suo che ha havuto hozi è una ca­ Bagno ! mora de raso nero cum frappe de oro a foliami, et da la balzana L’ estimazione che generalmente godeva il gusto d’Isabella in suso cum fiame pur de oro, et cussi le maniche facte a la ci è comprovata da testimonianze contemporanee di valore non fogia che porta V. S., al collo uno vezo de belissime perle, la dubbio. Nel 1533 la duchessa di Camerino, Caterina Cibo Varano, testa concia al modo usato cum uno lucidissimo smeraldo in faceva fare a Mantova i suoi vestiti sotto la direzione della mar­ fronte et scufia verde lavorata de oro batuto. Li modi et gesti chesa, e così pure madama di Orléans. Il 19 agosto di quell’anno de S. S. me pareno tutti gratiosi, domestica et aiegra assai, benché Isabella ne scriveva alla Varano: « Voglio che sappi già essersi sii alquanto più magretta del consueto, ma non sta male ». Anni dato principio a lavorar le vesti, et spero che habbino tutte a dopo, Lucrezia Bentivoglio Gonzaga si recò a visitare la Borgia, riuscir tali et perchè il desiderio che tengo di vederle di tutta che faceva una cura. Così ne scrive il 25 giugno 1511 a Isabella: belleza è infinito et perchè in questa cittade sono persone che in recamare hanno quella scientia che habbino altri in Italia, clie (1) Le note musicali, curiosa maniera d’impresa, che Isabella fece scolpire ne1 suoi camerini a Mantova. (1) Le lettere di costoro sono pubblicate integralmente da B. F o n ­ (2) Il disegnato matrimonio del bambino Federico Gonzaga con la t a n a nell’opera sua su Renata di Francia, duchessa di Ferrara, figliuola di Cesare Borgia. Vedi Mantova e Urbino, pag. 126 e segg. Roma, 1889-93. 30 IL LO SSO DI ISABELLA I)' ESTE MARCHESA DI MANTOVA I. - IL GUARDAROBA DI ISABELLA D' ESTE 31

et la p.‘“ M.°‘“ d’Orliens et, V. S. rimaranno satisfatte. Non si vertendola il savio Re nel modo havesse ad venire che trovaria bello mancherà di tener sollecitati gli maestri perchè finiscano l’opera contrasto che converria se stringasse se la volesse stare al parangone, con quella prestezza che si potrà maggiore»», ecc. E infatti quelle cum narrarli che trovaria V. S. per la prima et la Duchessa de Fer­ vesti piacquero sommamente alle due gentildonne. Ma allora ormai rara et molte altre che la faria ben stare al segno, subj ungendoli che la Gonzaga era prossima alla sessantina, onde si valeva, più che la veria ad retrovare la nova sposa vostra figlia se la fosse ben andata altro, dell’ esperienza fatta ne’ tempi trascorsi. La quale dovette in l’ultimo angulo de Italia et seria bastante a buttarla per terra cum esser davvero straordinaria se il Re di Francia medesimo, il caval­ tutte le altre, laudandola sopra modo de belleza, de prudentia et d’ o- leresco Francesco I, faceva scrivere da Federigo Gonzaga alla gni virtù, et tale impressione gli ha dato de ley che pare che tutte madre che egli desiderava « una puva (1) vestita a la fogia che le altre liabia ad superare. Dove la sapientissima Regina che poco se va lei di camisa, di maniche, de veste di sotto e di sopra et persuade de sè, che è tanto magior argumento dii suo gran valore, pare de abiliamenti et aconciatura di testa et de li capilli... perchè che confirmava il parlare dii Re che non potria comparere in parangone S. M.li designa far fare alcuni di quelli habiti per donare a donne de le italiane, cum dire che menaria cum Sua M.la quatro madame de in Franza » (19 novembre 1515). Al che la marchesa rispondeva bona sorte, cioè la Marchesa de Monferato, reputandola francese et de subito modestamente : « Volentieri per satisfare al desiderio de le sue, M.ma de Niverse, M.'”a di Longavilla et un altra bretona, che sono la M.” Chr.m" faremo fare la puva con tutti li acconciamenti di tutte de belleza et de estimatione grande. Et essa andaria sempre ve­ dosso et testa che portiamo nui, anchora che Sua M.* non ve- stita de panno negro o panno tanè, et nuli' altra pompa nè fogia por­ derà cosa alcuna nova, perchè quelli che portamo nui si usano taria, perchè considerava ben che la minima de voi altre la superarla, anche lì in Milano da le gentildonne milanese». — Fatto sta per et qui monstrava de temere de venir in parangone. Dove ad me pare co­ altro che quando, due anni appresso, Isabella si recò in Francia, noscere in effecto altramente, che venendoli, corno essa desidera sopra 1’ ammirazione per le sue foggie fu generale. Giovanni Mussi di tutte le cose del mondo, se monstrarà cum tanta recheza et pompa che Cremona, che l’accompagnava, ne forniva queste notizie da Lione tutto il mondo insieme non li potrà contrastare, et farasse conoscere il 4 giugno 1517 a Federico : « Sapi la S. V. che quando ella che è Regina non solamente de Franza ma degna Regina de l’universo. passa per le contrade tutti gli homini et donne de ogni sorta a Credo che essa non farà pompa de panni nè brochati, per monstrar tanto le porte et finestre et sopra le strate sono a riguardar cum ma- più la sua grandeza, ma le sue cyamarere, o fanticelle in nostra lingua, ravilia le foze de Madama et sue donzelle, et dicono molte donne farà stupire le brigate: et ley che è de animo glorioso farà de le cose de qui che le foze nostre de le donne sono molto più belle de che in Franza nè in Italia mai forno imaginate, et ben ha il modo de le sue, et alchune gentildonne... me hano detto che non pono posserlo fare : et se vorà fare monstra de zoye sapiate che ne ha la parte credere a pena che Madama sii matre de la S. V., che ella pare sua. Tutta volta se le foge che hora se usano in Italia fossero de honestà sorella sua ». che sono queste: cioè de li capelli et dii monstrare il pecto, crederia che Ma non tutti avevano degli abbigliamenti francesi un con­ per aventura seriano reguardate di cosi bono ochio le lombarde corno cetto così sfavorevole. Estremamente caratteristica è in proposito li cyapparoni franzesi, et le zoye seriano le manco stimate; ma quelli una lettera che il 14 gennaio 1510 inviava dalla Francia a Isa­ capelli (1) corno garzoni et quello tanto monstrare dii pecto dubito che bella Iacopo d’ Atri conte di Pianella. Si discorreva allora di non piaceriano molto ad costoro, et se ben quelli franzesi che sono stati una prossima venuta in Italia della Regina di Francia: in Italia hanno laudato la fogia, non è dubio che per adulatione 1’ hanno dicto, et io lo so per la verità, essendome retrovato in molti luoghi El S. Vesconte me ha dicto esserse retrovato in rasonamento cum dove è stato damnato et io non 1' ho saputo negare perchè la honestà il Re et Regina dove se diceva dii venir in Italia d’ essa Regina, ad-

(1) Qui e sopra intendi cappelli. Lo indica il cyapparoni, che deve (1) Cioè pupattola. essere una storpiatura di chaperon francese. 32 IL LUSSO DI ISABELLA D’ ESTE MARCHESA DJ MANTOVA I. - IL GUARDAROBA DI ISABELLA D’ ESTE 133

è più assai che alcuna altra cosa. Sì che preparative se la viene ad pochetto di rogna alle mane et cum qualche altra compositione posser comparire et fare honore al gran nome latino... di spurcitia; ma hanno belli volti, belle carne et sono dolcissime in el parlare, humanissime in lasciare basciarse, tocharse et abra- In questo documento è tutto il carattere di Anna di Bret­ ciarse » (1). E il Grossino, pure a Isabella, il 28 febbraio 1516: tagna, regina colta e seria, che amava la ricchezza, ma non il « Comunamente tute le damé francese sono belle di volto, ma lusso riprovevole, e specialmente non la mutabilità soverchia della hanno questa gentileza in loro universalmente che hanno le man moda, nè la procacia di certe foggie fortunate. Garde toi, diceva il suo poeta ufficiale Jean Marot, sporche e piene di rogna... Poche ve ne sono che non sia co­ piose di tal gentilezza ». Le pretese di pulizia che avevano gli Garde toi bien d’ estre l’inventeresse Italiani del Rinascimento, rilevate anche dal Burckhardt (2), erano D’habitz nouveaux; car mainte pécheresse pienamente giustificate, per quanto anche in Italia si fosse ben Tantost sur toi prendroit son exemplaire (1). lungi da quella nettezza che oggi reputiamo indispensabile ad

In seguito, nel secolo xvi avanzato e più nel secolo x v i i , si ogni persona civile. La povertà nella biancheria del secolo xv, giunse in Francia alla demenza del lusso. 11 Brantòme ci narra anche presso persone d’ altissimo grado, non è certo buona at­ che quando Francesco I sposò al duca di Clèves sua nipote Mar­ testazione di grande lindura. E ancor meno lo è il fatto che nei gherita, che non aveva ancora tredici anni, essa era così carica ricettari del tempo e nel fortunato libro di G. Marinelli, Gli di pietre preziose e di panni d’ oro e d’ argento, che per la de­ ornamenti delle donne (3), accanto ai mille lisci e belletti, alle bolezza della sua persona non poteva camminare, onde il Re mille acque per far la pelle morbida, netta, delicata, rosea, odo­ dovette ordinare al connestabile di Montmorency che la prendesse rifera, si leggono lunghe ricette per rimuovere la rogna, la tigna, in braccio e la portasse in chiesa. Nel 1570 si vide in Francia la lebbra. Segno manifesto che anche fra noi quelle malattie, in uno strascico lungo ventiquattro metri, che tre principesse del cui ha tanta parte la poca pulitezza, attecchivano abbastanza. sangue portavano ad Elisabetta d’ Austria sposa di Carlo IX. In Ma fuori d’ Italia, sembra, ancor più. Nè poteva essere altrimenti, certi ricevimenti Luigi XIV aveva addosso tanti diamanti sulle quando si consideri che in Francia solo nel secolo x v i i si giunse vesti ricamate, che si calcolò valessero sino a quattordici mi­ a tanta raffinatezza da lavarsi il viso quasi tulli i giorni. L’ uso lioni di lire (2). Ma allo sfarzo non era pari 1’ eleganza; mentre quotidiano di abbondanti abluzioni era ancora in quel tempo fa­ in Italia quasi sempre, pel gusto ingenito nel popolo nostro, si stosissimo una vera singolarità, e solo poco per volta entrava serbava una certa moderazione e si curava in ispecie la sapiente nei cervelli umani 1’ idea, per noi così naturale, che l’acqua fosse combinazione dei colori, eh’ è uno dei più cospicui fattori del- fatta per lavarsi. Nel secolo antecedente 1’ uso dei moccichini era 1’ eleganza (3). in Francia ancora abbastanza raro, sicché anche nell’alta società Le donne francesi, che Torquato Tasso disse « bellissime di viva­ v’ erano persone elettissime che... ricorrevano preadamiticamente cità di carne e di gentilezza di lineamenti» (4), piacevano ai nostri; alle dita (4). ma essi le trovavano d’ una pulizia molto dubbia. Guido Postumo così ne scriveva da Vienna sul Rodano a Isabella il 3 luglio 1511 : (1) Vedi il volume per Nozze Gian, pag. 255. « E ben vero che le donne qui sono un poco sporche, cum un (2) Civiltà, II, pag. 133. (3) La prima edizione è del 1562. Noi ci serviamo di quella di Ve­ 1574. (1) B audrillart, op. cit., voi. I l i , pagg. 396-97; A. Franklin, Les nezia, (4 ) F r a n k l i n , Les soins de la toilette, Paris, 1887, pagg. 2 6 -2 7 magasins de nouveautés, Paris, 1894-95, voi I, pagg. 122-23. (2) F r a n k l i n , op. cit., voi. I, pagg. 134, 139, 225, 230. Cfr. A . C h a l - e 3 6 -3 7 . l a m e l , Eistoire de la mode en France, Paris, 1874. (3) M u n t z , Renaiss. à V époque de Charles Vili, pagg. 65-66. (4) Lettere, ed. Guasti, voi. I, pag. 33. 3 5 IL - GIOIELLI E GEMME 34 IL LUSSO DI ISABELLA O’ ESTE MARCHESA DI MANTOVA corredi principeschi del Rinascimento. La ricchezza di quelle do- - nate da Galeazzo Maria Sforza a Bona di Savoia fa strabiliare (1). Un vestito d' Ippolita Sforza aveva sopra tant’ oro e tante perle da esser stimato cinquemila ducati, cioè, fatto il ragguaglio dei prezzo della mon«:-ta, un quarto di milione delle nostre lire (2). II. E Bona di Savoia aveva un vestito tutto ricamato a perle e a rubini, con sulla « balzana » d'3i grossi balasci (3). Nel corredo Gioielli e gemme. di Lucrezia Borgia è notata una sopraveste ornata di venticinque diamanti, quindici perle, ottantaquattro baiassi (4). Il busto d’un L’arte dell’orafo nel Rinascimento e sua speciale importanza. — Ricchezza vestito di raso cremisi posseduto da Bianca Maria Sforza recava favolosa di gioie nei corredi nuziali. — Uno smeraldo d’isabella, magni­ ottanta « zoielli picoli, cum uno robino et quatro perle per cia­ ficato dal Cellini. — Il lusso negli oggetti di devozione : crocettine, pa­ ternostri, agnusdei. — Amuleti : una pietra per far nascere i funghi. — scuno » (5). La stessa Bianca Maria fu composta nella bara ve­ Gli orefici prediletti d’Isabella: Ercole de' Fedeli e Caradosso. — Il bilancio stita di velluto nero, con nelle dita due anella; attorno alla mano della marchesa di Mantova. — Continui imbarazzi finanziari e debiti con destra era avvolto a quattro giri un rosario di corallo con le Ebrei. — Frequente necessità d’impegnare le gioie. pallottole grosse come nocciuole; in capo teneva una corona d’ argento dorato sormontata da una croce ; intorno alla vita una Culminava il lusso del Rinascimento nell’uso dei metalli pre­ cintura d’ oro massiccio e al collo una fila di perle (6). Le*gioie ziosi lavorati e delle gioie. Una bellissima storia si potrebbe scri­ erano la superbia delle gentildonne del tempo, anche delle più vere dell’ oreficeria e della gioielleria in Italia. Tra noi vera­ assennate e severe. Veronica Gambara già vecchia, dovendo an­ mente distinzione netta fra l’oreficeria e la gioielleria non vi fu; dare nel 1549 a Mantova con la nuora, per assistere al m atri­ 1’ una rientrava nell’ altra. E 1’ oreficeria era, come fu detto, monio di Francesco Gonzaga figlio di Federico, scrive ad un suo una specie di anticamera delle arti maggiori (1), anzi la si con­ corrispondente : « Mia nuora è assai ben fornita di gioie e di cose siderava quale arte maggiore essa medesima. L’oreficeria fami- d’ oro, ma perchè a queste nozze si faranno cose grandi e vi gliarizzava gli artisti con la tecnica del disegno minuto, onde saranno ornamenti mirabili, io sono un poco altera di testa in vediamo piegarsi a far disegni per orefici anche il sommo Mantegna, questo, vorrei che gli ornamenti di questa mia giovane superas­ e muovere dalla oreficeria architetti come Michelozzo ed il Bru- sero tutti gli altri » (7). nellesco, scultori come Andrea del Verrocchio e lo stesso Cellini, Riferisce Pellegrino Moretto d’aver sentito che Isabella Gon- che rimase pur orefice per tutta la sua vita burrascosa, pittori come il Pollaiuolo, il Francia, il Ghirlandaio, Andrea del Sarto. (1) M o t t a , Nozze principesche, pag. 39 e segg. La splendida arte nostra dell’ orafo influì sin dalla fine del se­ (2) M o t t a op. cit., pag. 72 colo xv, e più ancora nel secolo successivo col Cellini, sulla (3) M o t t a , op cit, pag. 42. Il balasso o balascio, il cui nome suol Francia, prima asservita all’ influsso fiammingo; e di là si propagò essere derivato dall’ indiano, è « rubino di gran valore », molto splen­ per tutta Europa (2). dente, ma non così prezioso come il rubino vero. Cfr. C e l l i n i , Tratt. d'oreficeria, ediz. Milanesi, pag. 39 Nel cielo di Venere l’ anima di Fol- Vegga chi voglia stupire la copia immensa di gioie dei nostri clietto di Marsiglia appare a Dante splendente « qual fin balascio che lo sol percota»; F a r a d IX, 69. G a n d i n i (1) M untz in Gazette des beaux arts, s e rie II, voi. 27, pag. 412. (4) in Mantova e Urbino, pag. 306. (2) P. M a n t z . Recherches sur V histoire de V orfèvrerie frangaise (5) C a l v i , op. cit, pag 134. (6) Jahrb. der Kunsthist. Sammlungen, III, 2, n. 2684. in Gazette des beaux arts, s e rie I, voi. 9, pag. 19 e segg., e la bella (7) Rime e lettere di Ver. Gambara, ediz. nizzardi, Brescia, 1759, opera di Fbrd. Luthmer, Joaillerie de la Renaissance, Paris, Quan- tin , s . d. pag. 195. 36 IL LCSSO DI ISABELLA D’ESTE MARCHESA DI MANTOVA U. - GIOIELLI E GEMME 3 7

zaga possedeva « il più bel smeraldo che oggi si truova, et randoin cuor suo) «per essere oltra modo caro et troppo grande»’; quello essere stato ritrovato nella sepoltura di Tulliola, figliuola e aggiunge: « stareti attento per uno altro che sia megliore, più di Marco Tullio » (1). Ci sembra probabile che questo sme­ piccolo et de minore precip ». Il 25 dicembre 1494 commette al raldo possa identificarsi col magnifico, diamante che il Celimi Brognolo « una croxetta de diamanti cum qualche perla pendente dice d’ aver veduto in Mantova, « il quale era verde, e di modo de precio de 130 fin in 150 ducati, che fusse vistosa e bella, ma verde che pareva uno smeraldo di poco colore, ma gli aveva in a termine più longo che si può». Era destinata alla Brogna, sè quella virtù del brillare sì come hanno gli altri diamanti, la damigella. E così via di seguito gli acquisti si succedevano fre­ quale virtù non si dimostra negli smeraldi, di modo che pareva quenti, anche troppo frequenti pei mezzi di cui la marchesa di­ uno smeraldo, e pareva più bello di tutti gli smeraldi » (2). Il sponeva. Ora sono rubini o smeraldi o baiassi o diamanti tavola (1) Ti issino, presentandoci, sia pure idealizzata, la nostra marchesa, che le vengono offerti, e gemme di buona e di grande persona non dimentica d’abbigliarla d’una roba di velluto nero carica slegate, ovvero legale in panisola (2), e perle in filo od isolale di alcune mirabili fibbie d' oro e di perle, sulla sommità della grandi a pera, e coralli provenienti da Genova, e turchine ossia fronte « un bellissimo e fiammeggiante rubino, dal quale una lu­ turchesi (3). Frequenti anche le commissioni di quei paternostri, cidissima e grossa perla pendeva », e al collo « un filo di gros­ ovvero pallottoline di pietre o di metalli preziosi, che dapprin­ sissime, eguali e splendidissimo perle, il quale da l’unae da l’altra cipio s’ usavano a scopo di devozione per le corone del rosario, parte del petto scendendo, quasi fin alla cintura n’ aggiungea » (3). ma poi ben presto furono impiegati per lusso, appesi alla cin­ E infatti nel ritratto tizianesco d’ Isabella, che oggi è a Vienna, tura o girati attorno al collo, e si trasformarono persino in essa ha due porle a pera negli orecchi e sull’ acconciatura un fer­ maglio con un rubino tavola rettangolare circondato da otto perle. « un rubino di bona persona codolo et concavo » ( C a m p o r i, Cataloghi, Le ordinazioni di gioie sono continue nel carteggio della pag. 5), e « uno rubino codolo in forma di core » (Ibid, pag. 23). Per Gonzaga, specie nei primi anni di matrimonio. A Mantova v’ erano altri rubini codoli e per una corniola codola, vedi C a m p o r i, op. cit., buoni orefici (4), ed ella se ne serviva; ma per 1’ acquisto di gioie pagg. 16, 24 e 27. Può darsi che cugolo valga semplicemente di form a si rivolgeva altrove, soprattutto a Venezia, a Milano, a Ferrara. tondeggiante. Cfr. Kugel ted. e F o l e n g o , Maestr. 1 ,12: « Mantuae ludunt cugolis rotondis ». A Venezia era il fido Giorgio Brognolo che fungeva da mediatore (1) Indicazione comunissima negli inventari del tempo, che vale coi gioiellieri ed a lui Isabella affidava le più gelose e delicate pietra liscia o piana di sopra, a mo" di tavola. Si contrappone la pietra commissioni. Nel maggio del 1490 gli ordina di acquistare uno sme­ in punta. Nell' inventario dei Guinigi occorrono « balascio tola quadro », raldo; ma poi nel riceverlo si accorge che è « un poco signato », « diamante tola a scudo », « diamante grosso a punta », « tola affacciata » e « noi voressimo una cosa da parangone et senza una macula » e « taulette ». B o n g i, Paolo Guinigi e le sue ricchezze, Lucca, 1871, pagg. 42-43, C6-67. (26 giugno ’90). Nel settembre dell’anno successivo riceve da lui (2) Una lettera di Isabella del 10 novembre 1490 accenna a certi un rubino cugolo (5), che gli rimanda (questa volta forse dolo- rubini eh" essa voleva acquistare, dei quali trentadue sono « disligati et tri in panizola ». In altro documento già edito si parla del Caradosso, giunto a Milano con rubini e diamanti, che intende « alligar in panizole » (1) C ia n , Del significato dei colorì e dei fiori, Torino, 1894, pag. 17. (Relaz. con gli Sforza, pag. 79). In un documento prodotto dal G a n ­ (2) Tratl. d'oreficeria, pag. 51. d i n i è parola di « uno diamante grosso quadrangulo facto a facete ligato (3) T r i s s i n o , Opere, Verona, 1729, voi. II, pag. 273. in una panizuola d’oro » (Mantova e Urbino, pag. 305). Un inventario (4) B ertolotti, Le arti minori alla Corte di Mantova, Milano, 1889, estense registra otto rubini « in octopanizole de arzento dorato » (C a m - pag 7 e segg. p o r i, Cataloghi, pag. 16). Per il B ertolotti, Arti minori, pag. 22, que­ (5) Un rubino cugolo è anche nel corredo di Elisabetta Gonzaga: sta locuzione diventa un messer Panizolla, orefice veneziano!!! e il G a n d i n i spiega «di forma conica» (Mantova e Urbino, pagg. 295 (3) Pel tipo dei gioielli vedi L u t h m e r , op. cit., pag. 17 e segg., e le e 305); ma se codolo equivale a cugolo, come il Gandini ritiene, la bellissime tavole; E. F o n t e n a y , Les bijoux anciens et modernes, Pa­ spiegazione non pare esatta, giacché negli inventari estensi troviamo, ris, 1887. 3 9 38 IL LUSSO DI ISABELLA n’ESTK MARCHESA DI MANTOVA II. - GIOIELLI E GEMME

contrassegni d’amore (1). Nel 1491 Isabella commette a Girolamo nascere li fonzi in una nocte, vedeti per la via de qualche mer^ * Ziliolo cinquanta paternostri d’oro, sessanta di ametista e altri cadante o homo pratico intendere come e dove se ne potesse d'ambra neri; al Brognolo, nell’agosto dfel 1495, ordina cento ritrovare ». Se allora l’ottenesse, non sappiamo, ma 1’ 8 ago­ paternostri berettini; nell’ agosto del'1506 fa pulire a Ferrara sto 1499 ringrazia Gian Lucido Cattaneo per «le due petre da trentaquattro paternostri di agata. 11 marchese di Mantova si fongi » che le ha inviate. Doveva certo essere una strana pietra fece venire da Venezia nel 1524 una corona di lapislazzoli con codesta, che faceva nascere i funghi in una notte! Essa cf fa paternostri faccettati (2). Anche Isabella, che amava il lusso rammentare la pietra aquilina atta ad agevolare i parti, in cui pur nella divozione, avendo saputo che Chiara Gonzaga aveva pure Isabella aveva fede (1), e le lingue di serpe legate in argento regalato al duca Ercole d’ Este « una corona de ambro negro che figurano in un inventario estense (2) e che si trovano pure, signata de certe rosette d’oro smaltate », volle il 22 agosto 1501 accanto ad un pezzo di liocorno legato in un anello, fra le pre­ che gliene fosse fatta una simile a Ferrara. E a Ferrara di ziosità possedute dalla regina Anna di Brettagna (3). Tanto è vero nuovo si fece fabbricare una coroncina di corniole, a pagamento che in quel superbo e illuminato Rinascimento nostro il medio della quale inviava al Grossino nel 1523 undici quarti di Mi evo continuava pur talvolta a far capolino co’ suoi amuleti e lano, qualcosa come tre ducati. L’auno prima, avendo appreso con le sue superstizioni antichissime. che Cosimo Anisio sapeva « fare uno stuco che in breve spacio Isabella non amava soltanto le belle e preziose gioie per sè de tempo se indurisce tanto che si ne può fingere corniole, agate stesse, ma voleva pur averle squisitamente legate. Ed anche per et altre pietre », aveva adoperato ogni mezzo per carpirgli quel questo non le bastavano i maestri mantovani, e si rivolgeva, segreto. I suoi corrispondenti stavano all’ erta per offrirle 1’ una specie per i lavori più ragguardevoli, fuori di Mantova. Nel giu­ o l’altra delle pietre, che loro si presentasse. Così Donato de’Preti, gno del 1504 troviamo eh’ ella faceva a posta venire a Man­ da Venezia, 1’ 11 giugno 1519, le notificava: « Hozi mi è fatto tova un orefice forestiero, acciò si fermasse in Corte un mese e vedere uno zaffiro assai grande (nella lettera ne dà le dimen­ mezzo per legarle delle gioie. Un magnifico gioiello dovette esser sioni), panni etiam de bon colore et che poteria essere a propo­ quello che il 24 novembre 1494 le descriveva da Venezia Do­ sito, perchè è in tabula di sopra, et di soto non 1’ ho visto perchè menico di Giorgio, che lo aveva eseguito per lei. Sentiamo la è legato ». Il proprietario ne vuole duecentoquaranta ducati, ma sua descrizione caratteristica : Luigi da Valle, gioielliere, dice « che è bello et che per cen­ tocinquanta ducati se poteria tuore, che haria bon mercato»...... Io ho fato far uno dignissimo zoielo corno quello de smeraldo Della ricchezza non comune nelle gemme d’Isabella fanno ampia che deti a la V. 111. S. hora tre anni o zirca, in el qual son una spi­ testimonianza i lasciti del suo testamento e l’inventario delle nella tavola quadra in tuta perfection neta e di bon collor, et di sopra sue robe, documenti che produrremo in appendice alla mono­ etiam v’ è uno smeraldo tavola e una bella perla pero cum la corona e grafia sulla Gonzaga. Qui ci basti aggiungere un curioso parti­ corni de divitia de diamanti perfecti et ho fato far per el roverso etiam colare. Frammezzo alle centinaia d’ordinazioni di pietre preziose, lettere de diamanti cum el nome de essa V. 111. S corno è quello di lavor troviamo espresso al Brognolo, il 15 marzo 1491, questo bizzarro del smeraldo che quella hebbe et fin pochi zorni spiero sarà fornito e desiderio : « Desiderando nui bavere una di quelle petre che fa grandemente piacerà a V. S. quando lo vederà, et vogliendo qualche moto o altra lettera da roverso in locho de le lettere, io lo potria far segondo

(1) M e r k e l , pag. 56; D allari-G andini, pagg. 14-15; F r a n k l i n , Magazins, voi. II, pag. 145 e segg. Gran produttrice di paternostri di corallo era la Sicilia. Vedi Lanza di Scalea, op. cit* pagg. 182-183 (1) Cfr. Mantova e Urbino, pag. 70 nota. (anche 103-104), e Salcmone-M arino in Arch. slor. siciliano, voi. I, (2) C am p o r i, Cataloghi, pagg. 23-24. pag. 235 (3) La Roux d e L in c y , Détails sur la vie privée dAnne de Bre- (2) B ertolotti, Arti minori, pag. 51. tagne in Bibl. de l'ècole des chartes, serie III, voi. I, pagg. 152-153. 41 40 II, LUSSO DI ISABELLA D’ ESTE MARCHESA DI MANTOVA IL - GIOIELLI E GEMME

intendesse la sua voluntà : per ei simel etiam uno Sancto Zorzi fato tuto dare nel Cinquecento un valore grandissimo (1). Tutti rammem- ' de diamanti cum lo serpe soto li piedi che è de una perla che la natura tano che il Cellini, venuto a Mantova nel 1528, fece i sigilli del ha producta molto simele a tal animai, chemai'fu fato più beli lavori C a rd in a l (2). de simel conditione, et etiam mi atrovo provixor diverse cosse che a Gli artefici ed i mercatanti di cui specialmente si servì Isa» charo mi saria essa V. S. le vedesse come feci veder al Rm0 Mons. Ve­ bella pei lavori d’oreficeria e di gioielleria non è sempre facile scovo cugnato de V. S. et etiam a lo 111“° Sr Marcliexe... scoprirli, e scoperti identificarli. A Venezia ricorreva a molti, ma i suoi preferiti erano Pagano gioielliere egli Albani; su essi Gioiello non cosi complicato, ma certo non meno prezioso, avremo a ritornare. Quel Nicolò milanese, da cui il Cellini fu dovette essere il « Iesus de diamanti » inviato a Isabella da Ve­ « messo in opera » e eh’ egli chiama « orefice del duca di Man­ nezia nel 1520. Possedeva già la marchesa, lasciatole dal padre, tova » (3), fu anche ai servigi della nostra marchesa. Nel 1514 « uno smeraldo intagliato con un Cristo a lettere greche ». Il èra certo già in Mantova e Isabella gli affidava alcuni lavori. Iesus doveva essere un grosso fermaglio con le lettere del nome Nel maggio e nel giugno del 1516 gli commetteva vari oggetti, di Gesù tutte in diamanti. Ne splende uno bellissimo sul petto fra cui una cornicetta d'oro per una Madonna. E in data del della regina d’ Inghilterra, Giovanna di Seymour, nel ritratto 14 luglio 1516 lo chiamava « maestro Nicolao da Milano nostro che le fece Hans Holbein il giovane, ora nella Galleria impe­ aurifice ». Il « maestro Nicolò mio or efice », quale uomo di fiducia, riale di Vienna. In questo genere di gioielli si davano la mano ella mandava a Milano nel 1530 con una lettera diretta a quel lo sfarzo e la religione, come nei famosi agnusdei, così frequenti duca, perchè le conducesse «dui maestri per mio bisogno ». Questo in quel tempo, d'oro e talora gemmati (1). Agli orefici ordinava Nicolò da Milano, che nel 1532 stimava gioie in Mantova, cre­ poi la marchesa mille piccoli oggetti d’oro, che voleva fossero diamo indubbiamente sia il medesimo presso cui andò a lavorare eseguiti con ogni cura : anelli, collane, bottoni, cinture, brac­ il Cellini, non Nicolò da Asti, come avventatamente fu supposto da cialetti (talora col ripostiglio per mettervi delle reliquie), catene, altri (4). Nicolò da Asti era, del resto, egli pure ort?fice di Isabella frangio, sigilli. Il 18 agosto 1505 rallegravasi il letterato bolo­ ed abbiamo una lettera della marchesa, al presidente del Senato gnese Gio. Sabbadino degli Arienti con Isabella pel suo sigillo: di Milano (16 marzo 1521), in cui dice di averlo carissimo e lo « Ho veduto la vostra sigillata lettera de novo sigillo, et per raccomanda per certa sua lite (5). Altro orefice, residente in quello V. Ex. demostra siate de regia stirpe nata, per esserli Mantova, prediletto della marchesa, era Bartolomeo Meliolo. Ab­ la insignia de la vostra valorosa genitrice figlia del Ser'"° Re de biamo notizie già stampate di parecchie commissioni che essa' Ragona et quella del quondam inclytissimo Principe vostro ge­ gli diede dal 1492 al 1506. Si conoscono di lui cinque medaglie nitore et cum la insignia de 1’ excelso vostro consorte, che certo firmate (6), e il marchese Francesco verso il 1493 lo creò so- non sono poco maestrevole le mane di chi ha facto il sigillo nè etiam di poco ingegno chi ha posto il maestro a sì gentile et (!) M u n t z in Arch stor. dell’arte, voi. I, pag. 18. (2) Vedi P o r t i o l j in Arch. stor. lombardo, voi. V ili, pag. 64 sgg., laboriosa opera». Tuttavia nel 1505 la nostra gentildonna chie­ e specialmente P l o n , lì. Cellini, pag. 187 e segg., ove l’ impronta del deva che Girolamo Casio, suo corrispondente bolognese (2), le maggior sigillo celliniano è riprodotta. ritrovasse « un qualche intaglio da sigillare », ed avendogliene (3) C e l l i n i , Vita, lib. I, § 40. egli mandati due, li rifiutò perchè non le parevano abbastanza (4) B ertolotti, Arti minori, pag. 64. Ben è vero che a pag 238 belli. Al lavoro dei sigilli, incisi in metallo od in pietra, solevasi di questo caotico lavoro dicesi morto trentenne a Mantova d’ idro­ pisia un « Nicolao orefice milanese »; ma o la notizia è inesatta o v’ ebbero in Mantova contemporaneamente due Nicolò orefici, entrambi (1) Vedi la descrizione d’una serie intera di agnusdei in Ca m p o r i, milanesi. Cataloghi, pagg. 14-15. (5) B ertolotti, Arti minori, pagg. 3 7 -3 8 . (2) Cfr. Arch. stor. dell’ arte, voi. I, pag. 278. (6) A rm a n d , Médailleurs, voi. Ili, pag. 18. 42 IL LUSSO DI ISABELLA D'ESTE MARCHESA DI MANTOVA II. - GIOIELLI E GEMME 4 3

prastante della zecca mantovana. Tenne quella carica sino alla si veda quasi oro, et siano torti cum uno pomello al pede et più sua morte, avvenuta il 17 novembre 1514 (1). Oltreché al me­ belli che '1 facesse mai ». E di nuovo al medesimo il 28 gen­ daglista Giov. Marco Cavalli,’ di cui toccheremo in seguito, Isa­ naio 1495: «Pregamovi, se mai credete farne piacere, vogliati bella si rivolse anche, in Mantova, a Giov. Francesco della Grana. esser cum mastro Michele aurifice et farne fare uno paro de Era costui Giov. Francesco de'Roberti, di cui v’ha una meda­ ferretti d’oro grossi più che non furono li altri smaltati,... de glia ritraente Francesco Gonzaga ancora giovane (2). Fu saggia­ le infrascripte sorte: uno paro de bianco schietto, uno de be­ tore della zecca di Mantova e godette la speciale fiducia del rettino schietto, uno de verde, rosso et bianco insieme et un altro marchese Francesco e del figlio Federico, che gli commisero paro de morello, berettino et negro ». II 14 febbraio 1494 gli molti lavori (3). Nel 1494 egli presentò alla marchesa un pap­ aveva scritto : « Fatine fare a mastro Michele uno cordoncino ed pagallo d’oro. Isabella lo chiama nostro aurifice inviandolo nel una croxinetta picoli d'oro tutti smaltati de rosso, per modo che giugno del 1497 a Venezia con settecento ducati per pagare certi non gli para niente d’oro nè altro colore, che siano facti tanto argenti ottenuti con la malleveria dei fratelli Albani. Ma le cose gallanti quanto saperà» Nel 1495 Isabella gli ordina diretta- non andarono sempre così liscie. In data 26 luglio 1502 tro­ mente una stringa d’oro smaltata, ma egli non riesce ad accon­ viamo una lettera originale della Gonzaga al marito in cui gli tentarla « per non bavere bona gratia », onde la gentildonna gli partecipa che « mastro Zoan Francesco aurifice » le ha usato vil­ scrive che ne faccia un’altra «pure d’oro et smaltata come è lania, perchè in sua presenza ha ingiuriato un cortigiano, ne questa, ma gli metiati ogni industria per darli bona gratia et tal gando di avere dell’ oro della marchesa, che gli aveva commesso gesto che la se cognosci per stringa agroppata et apta da portare un lavoro. « Non mi havendo havuto più respecto che se fusse per pendente al collo ». E non essendo Michele troppo sicuro stata sua massara... intendo che l’habi la licentia». del fatto suo nella delicata bisogna, la marchesa gli mandò poco Di orefici non residenti in Mantova troviamo specialmente appresso il disegno di quella stringa, aggiungendo che la voleva nominati due, che stavano in Ferrara, cioè Michele orefice ed «smaltata tutta de berettino... excepto li ferretti, quali fareti a Ercole Fedeli, ed un artista famosissimo, il Caradosso. Di pa­ vostro modo ». Nell’ottobre del 1496 gli inviava un braccialetto recchi lavori che la marchesa commise a Michele orefice, eh’ è da smaltare; nel febbraio del 1497 una corona «dove è dentro per lo più designato con l’epiteto di Spagnolo, diede già notizia uno santo Zoanne et cinque paternostri smaltati d’oro», che ave­ il Bertolotti (4). Facile sarebbe il moltiplicarne il novero; ma noi vano un po’ perduto lo smalto e andavano rinfrescati. Anche la staremo paghi a qualche ordinazione caratteristica. Il 26 giugno corona « de ambro negro signata de certe rosette », di cui par­ 1492 scrive Isabella a Francesco da Bagnacavallo : « Pregamovi lammo poco sopra, voleva Isabella (22 agosto 1501) che fosse che ne faciati fare ad mastro Michele aurifice uno paro de fer­ imitata da Michele orefice, ma con ismalto di bianco schietto. retti d'oro smaltati de verde, bianco et rosso, et un altro paro Possiamo dedurne che Michele godeva d’ una vera celebrità negli de morello et beretino, quali siano tanto bene smaltati che non smalti e siamo dolenti di non poterne dir altro. Certo questo Michele non ha nulla a che vedere con quel « Michelino gioiel­

(1) D a v a r i , Sperandio da Mantova e Bartol. Meliolo, Mantova, 1886, liere del papa » abitante in Venezia, al quale Isabella commise pagg. 8-18 ; B ertolotti, Arti minori, pagg 18-20 e ‘34-36 ; M u n t z in nel 1531 di legare in argento un vasetto di cristallo e uno di Les archives de Vari, voi. I. pagg. 30-31. amatista. Su questi vasetti, che le stavano molto a cuore, e in­ (2) Fribdl^ender, Schaumùnzen, pag. 125; A r m a n d , voi. I, pag. 18. sieme sul Iesus che allora lavorava per lei un artefice nominato (3) B ertolotti, Arti minoH, pagg. 20-21,36, 46, ecc.; B ertolotti, Artisti in relazione coi Gonzaga, Modena, 1885, pag. 91 ; IT. Rossi, I Cavorlino, abbiamo diverse lettere (1). Non sappiamo se il Miche­ medaglisti del Rinascimento alla Corte di Mantova, opusc. Ili (Cavalli), lino nostro sia da identificare con quel Michelino divenuto fa­ pag. 6. (4) Artisti, pag. 88 ; Arti minori, pagg. 32 e 62. ti) Cfr. B ertolotti, Arti minori, pagg. 51-52. II. - GIOIELLI E GEMME 4 5 44 IL LUSSO DI ISABELLA D’ESTE MARCHESA DI MANTOVA che gli aveva ordinate fi). Queste maniglie tornarono poi in moso al tempo di Leone X, che il Vasari chiama « grazioso mano di Ercole e del figliuol suo Alfonso più volte, nel 1506 e maestro» (1). nel 1518, per essere racconciate. Il 22 settembre 1507 Isabella L’ orafo Ercole de’ Fedeli è salito in questi ultimi anni ad gli commetteva certi ferretti veduti in dosso a Lucrezia Borgfa. una grande notorietà. Il Bertolotti e 1’ Yriarte fecero dapprima Così ella lie scrive a Girolamo Ziliolo : «Vedessimo altre volte falsa strada a proposito di lui ; ma poi trovarono la via giusta alla Illusma Sig“ Duchessa certi ferretti d’oro facti in torto da per merito del rimpianto Angelo Angelucci, che svelò il mistero maestro Hercule aurifice. Desideraressimo haverne quaranta de dell’esser suo (2). Ercole era un ebreo convertito: i suoi ge­ simili; però vi mandiamo una verzelletta d’oro quale pesa once nitori gli avevano imposto il nome di Salomone, quando nacque, due quarti uno». Ma ignoto del tutto è il fatto che prima della verso il 1465, in Sesso, presso Reggio Emilia. E Salomone conversione Salomone da Sesso dimorò stabilmente in Mantova. da Sesso è chiamato dapprima anche nei documenti, essendosi Isabella lo condusse seco quando andò a marito, tanto è vero che la egli acquistata ben presto una certa rinomanza in Ferrara, ove madre Leonora, in una bellissima lettera del 12 marzo 1490, che si diede alla professione dell’ orefice. Ma nel corso del 1491 egli pubblicheremo altrove, dice: « Il rimase con voi lo hebreo orefice, diventa Ercole dei Fedeli, nome e cognome assunti, si vede, col et perchè ne habiamo bisogno per certe nostre faccende, però lo battesimo. Il nome sonava omaggio agli Estensi, come pure quelli potreti adviare qua prestissimo atiò se ne potiamo servire ». La dei figli e delle figliuole di Ercole. Fatto cristiano (e cristiano marchesa lo avrà rimandato ; ma nel 1491 era di nuovo a Man­ zelante come tutti i neofiti, giacché nel 1495 il marchese di tova, poiché il 26 marzo di quell’ anno Isabella scriveva alla Mantova gli doveva infliggere una punizione per avere calun­ madre: « Questa matina ho facto renovare la crida de li hebrei niato gli Ebrei mantovani) (3), fatto cristiano, Ercole salì sempre per la septimana sancta secundo el consueto, exceptuandone in maggior fama e fortuna. A lui si attribuiscono oggi lavori Salomone da Sesso cum tri suoi garzoni, quali impune possino di niello e di cesello mirabili, fra cui splendono specialmente la andare per la terra ». Nei copialettere d’Isabella v’ è anche un famosa spada di Cesare Borgia che è nella raccolta Caetani e la documento che getta qualche luce sulla conversione di Salomone. cinquedea, o lingua di bue, del marchese di Mantova, che fu È una lettera della marchesa al marito, in data 16 settembre 1491, acquistata nel 1889 dal museo del Louvre. Sono queste tra le più nella quale lo prega in nome del padre Ercole d’ Este di far la belle armi che vanti il Rinascimento italiano (4). È troppo agevole grazia della vita ad Angelo ebreo, imprigionato, come appare da l’intendere come il gusto squisito d’isabella non potesse rima­ altra lettera, « per furti ed altri mancamenti ». Quell’ Ebreo vo­ nere indifferente all’opera d’un tanto artefice. Sono conosciuti leva farsi cristiano, e Isabella, a convincere il marchese, gli ram­ i documenti preziosi nei quali si scorge la strana insistenza con mentava che « S. Ex. [cioè Ercole] l’ha etiam perdonata [la vita] cui la marchesa riuscì a farsi fare dal Fedeli certe maniglie (5) a Salomone da Sesso, quale è in questa medesima deliberatione, per guadagnare 1’ anima sua, essendose accorto del errore suo (1) V asari, Opere, voi V, pag 371. (2) Catalogo dell' Armeria reale di Torino, 1890, pagg. 304-308. (3) B ertolotti. Arti minori, p a g . 32. (1) Documenti del 1504-1505 accennati dal B ertolotti, Arti m i­ (4) Egregiamente illustrate in Francia. Lo Y r i a r t e ne trattò assai nori, pag. 63, pubblicati dallo Y r i a r t e , Aulour des Borgia, pagg. 200- bene l’ultima volta che vi tornò sopra, cioè nel volume Aulour des 201 Ma a tutti è sfuggita una lettera dell’8 luglio 1504, nella quale Borgia, Paris, 1891, pag. 143 e segg. Da trenta a trentacinque sareb­ Isabella incaricava il fratello cardinale Ippolito di « far un bon rebuffo » bero le armi di lusso del Fedeli, sparse nei musei d' Europa. Per la cin­ ad Ercole, che da quattro mesi la tirava in lungo con quelle maniglie. quedea vedi M o l i n i e r in Bullet, des musties, 1889, n. 9, e M. M aindron Aggiunge ingenuamente: « se io non le porto adesso, eli’ è estate e che le in Gas. des beaux arls, serie III, voi. VII, pag. 24 e segg. bracie se portano scoperte, quasi che poi non me ne curarò ». F e r r a t o , (5) Una specie di braccialetti. Vedi Lanza di Scalea, op. cit pag. 183; Alcune lettere di principesse di casa Gonzaga, Imola, 1879, pag. 3. Non C k l l i n i , Tratt. doreficeria, pag. 37; M essishukgo, Banchetti, Venezia, per nulla Ercole la fece attendere fino all’ estate successiva ! 1564, c. 14 v. 5 46 IL LUSSO DI ISABELLA D’ESTE MARCHESA DI MANTOVA II. - GIOIELLI E GEMME 47 et promettendo de voler vivere da huomo da bene et bono cri­ si illustrò la parte avuta dal Caradosso nel monumento della stiano». Sembrerebbe adunque manifesto che la conversione di beata Osanna Andreasi, commesso da Isabella a Gian Cristo- Salomone avesse un motivo molto urgente di salvezza personale, foro (1). E sta bene. Aggiungiamo che avendo Gian Cristofoj-q correndo egli il pericolo d’ una condanna infamante. Il 29 gen­ il 20 luglio 1505 fatto una nuova proposta alla Gonzaga : « el naio 1494 la marchesa pregava lo Ziliolo « che ordinati a mae­ detto Caradosso ha el più bel calamaro che sia a 1’ età .no­ stro Hercule, qual erajudeo, uno librezolo de fìl d’oro piedino, stra, qual altra volta el fece quando lui stette col R.mo cardi­ che se aperi, lavorato benissimo, corno fo quello eh’ el fece alla nale di Ragona, e lo vorria vendere, ma ne domanda mile du­ fe. mem. de la ili "a Mad. nostra Madre, et parendoli tramezarlo cati, e veramente se V. S. si trovasse dieci milia ducati in cassa, de qualche arzento ce remettemo a lui, pur di’ el lo faci vistoso io vi exortaria a non lo lassare perchè 1’ è cosa unica » (2), et bello, sollicitando ch’el ce servi tosto». Isabella non si mostrò punto spaventata, anzi rispose il 13 agosto: Cristoforo Foppa Caradosso, orefice, scultore, medaglista, vis­ « non ce extenderimo in altro circa el calamaro, parendone che suto specialmente in Milano ed in Roma, è da collocarsi senza opimamente ni potiamo contentare de la resolutione presa per dubbio fra i più insigni artefici nostri del maturo Rinascimento (1). vui, essendo dii gran valore ne scriveti ». Nel settembre la mar­ 11 Cellini, buon giudice, lo dice nelle opere di cesello « il mag­ chesa fece pratiche con la Signoria di Milano perchè Caradosso gior maestro che mai io avessi visto », e altrove lo designa sen- potesse uscire dallo Stato col vaso, di cui sopra si parla, e col z’ altro come maraviglioso (2). Afferma il Vasari che «nel far calamaio senza pagar dazio. Ed infatti il Caradosso venne, ma coni non ebbe pari» (3), e a lui s’attribuisce il merito d’aver col vaso solamente, che Isabella non credè di acquistare. In una richiamato al primitivo splendore l’arte del far medaglie (4). Le sua lettera a Gian Cristoforo del 27 settembre 1505 si legge : relazioni di quest’ artista coi Gonzaga furono già rintracciate. « El vaso de Caradosso è bello et molto ne piace ; ma per es­ Lo si trovò nel 1501 in corrispondenza col vescovo Ludovico ser troppo grande da studio, 1’ havemo lassato in sua libertà ; Gonzaga (5); fu edito un documento da cui risulta che nel 1505 et partisse cum bona sactisfactione, ancora che non gli habiamo Gian Cristoforo Romano proponeva a Isabella 1’ acquisto d’ un potuto far quelle carezze che desideravamo per la infermità in bellissimo vaso del Caradosso, il quale sarebbe venuto in per­ la quale ne trovamo. Hanne promesso mandarne el calamaro, el sona a Mantova per combinare il negozio (6); fu fatta conoscere quale vederemo volontieri ». Se poi veramente Isabella comprasse una lettera bellissima di Federico, che proponeva alla madre quel calamaio, non ci risulta dai documenti, giacché non sembra da Roma nel 1512 un Laocoonte d’ oro di tutto rilievo fatto dal opera del Caradosso quel « calamaro di argento in forma di una Caradosso, che sarebbe servito per un tondo da berretto, e la cassettina alquanto grandetta cum le arme de Gonzaga et de risposta d’ Isabella che rifiutava per mancanza di quattrini (7); Este in un medesimo scuto», che fu rubato a Isabella nel giugno del 1509 e pel ricupero del quale ella pubblicò una grida nel- (1) Le più sicure notizie di lui sono raccolte dal M untz nella Gaz. 1’ aprile del 1511. Il calamaio del Caradosso doveva essere pre­ des beaux arts, s e rie II, voi XXVII, pag. 421 e segg. (2) Vita, ediz. G. Guasti, pagg 62 a 78. Ripete 1’ encomio nei Trat­ ziosissimo, a sentire quel che ne dissero Gian Cristoforo Romano tati d’orificeria, pag. 72. e a pag. 3o riferisce sull’ origine del nome e Sabba da Castiglione, che lo giudica «fatica d’anni ventisei, Caradosso una storiella, che la critica non gli crede. ma certo divina» (3). Ad una impresa del marchese Federico (3) Opere, voi. IV, pag. 161. lavorava il Caradosso in Roma nel 1522 (4). Ma nel 1524 non (4) M u n tz , Renaiss., voi. II, pagg. 818-820. Cfr. FriedLjENDer, Schau- m ùnzen, pagg. 177-179; A r m a n d , voi. I, pagg. 107-112, e voi. Ili, \ pag. 34. (1) V e n t u r i in Arch. stor. dell’arte, voi. I, pagg. 114-116. (5) D’Arco, Arti mantovane, voi. II, pag. 97. (2) B ertolotti, Artisti, pag. 89. (6) B ertolotti, Artisti, pagg. 88-89. (3) Ricordi, cap. 109. Cfr. Anonimo Morelliano, ediz. Frizzoni, pag. 175. (7) Luzio, Federico ostaggio, pag. 40. (4) B ertolotti, Artisti, pag. 92. 48 IL LUSSO DI ISABELLA D’ESTE MARCHESA DI MANTOVA II. - GIOIELLI E GEMME 49

era ancor finita, dacché Baldassar Castiglione ne scriveva stiz­ soddisfare Pagano gioielliere. Nel 1506, a cagione della peste zito al marchese il 28 aprile di quell’anno: « Io non manco ogni che imperversava a Mantova, la marchesa si trovò in grandi dì de sollicitare quel maledetto vecchio de Caradosso, benché strettezze, onde scriveva a Taddeo Albano: « se la peste non fusse non 1’ habbia scritto a V. Ex. Lui lavora tuttavia nell’ impresa sopragionta a Mantova, qual ni ha in tutto levate le entrate e dice volerla far tanto bella quanto el pò, perchè ’l voi che la dove havimo lo assigno di la provisione nostra, non haveressjmo sia 1’ ultima che ’l faccia in vita sua, e ben è tanto vecchio che passato il termine a satisfarvi corno era conveniente cosa, che ne potrebbe intraveniril. Penso pur che la sarà presto in termine rincresce assai. Et tanto più quanto che non gli vedimo ordine bono ». Parrebbe da queste parole che il Caradosso dovesse esser sin a parechi mesi, perchè dovendo vivere bisogna trovar dinari nato prima del 1452, data fissata dal Muntz, giacché a settan- in prestito et forsi ad interesse » (27 aprile). Eppure in quella t’anni un uomo non è poi tanto vecchio da parlarne a quel modo. stessa lettera faceva delle ordinazioni di vetri di Murano! Du­ Più di una volta vedemmo nel corso di queste nostre inve­ rante la prigionia del marito, nel 1509, nella quale occasione i stigazioni che la marchesa rifiutò la compera di oggetti prezio­ Gonzaga ebbero a soffrire grandi perdite di denaro, di argenti sissimi o non riuscì a concludere l’acquisto di altri. Quasi sempre e di gioie, le giungeva il 15 ottobre una lunga lettera anonima il gran motivo di quei rifiuti e di quelle trattative fallite era la piena di buoni quanto espliciti consigli di governo. Le si racco­ scarsezza di denaro. Isabella avrebbe dovuto possedere dei mezzi mandava anzitutto di frenare il lusso e di sopprimere le inutili molto più cospicui di quelli di cui disponeva, per far fronte ai spese. Nel 1516, quando il primogenito Federico era in Francia, mille desideri di eleganza, di arte, di lusso che pullulavano in e nel 1523, quando l’altro suo figlio Ferrante era in Spagna, quella sua anima assetata di bellezza. Allorché nel 1492 essa Isabella si vedeva tempestata da continue e pressanti richieste fu a Milano e Lodovico Sforza le mostrò il suo tesoro ricchis­ di denaro, e nessuno meglio di lei avrà compreso quanto a quei simo, le eruppe dal cuore questo grido sincero e significativo : giovani dovesse dolere di non primeggiare nel lusso e nell'ele­ « che Dio volesse che nui che spendiamo volontieri ne haves- ganza presso le Corti che li ospitavano. Ma molte volte le era simo tanti!» (1). Infatti la liberalità di Isabella era immensa. forza rispondere che aveva la cassa vuota! Nel soggiorno romano « Chi meglio e più volentieri di costei (lasciò scritto il Trissino) in cui fu sorpresa dal sacco, soggiorno che ci proponiamo d 'illu­ sa spendere per le cose lodevoli, e spendere dove il bisogno co­ strare altrove convenientemente, le tentazioni di acquistare oggetti nosce? E questa sua liberalità si può chiaramente comprendere d’arte, anticaglie e preziosità d’ ogni genere debbono essere state da le splendide sue vestimenta, da i paramenti di casa magni­ su di lei strapotenti. Noi non possediamo che una parte insignificante fici, e da le fabbriche bolle, dilettevoli e quasi divine, con alcuni delle note di spese ivi fatte, essendo andate perdute molte delle dolcissimi camerini pieni di rarissimi libri, di pitture bellissime, carte di quel tempo. Nel giugno del 1530, trovandosi a Venezia, di antiche sculture meravigliose e di moderne che si avvicinano le venne a mancare d’ un tratto il denaro, e volendo comperare a quelle, di carnei, di tagli, di medaglie, e di gemme elettis­ ancora parecchi oggetti di lusso, dovette rivolgersi in gran fretta sime »(2). Quando nel 1495 la Signoria di Venezia le assegnò mille al tesoriere Paolo Andreasi, che le inviò cento scudi d’oro. Quando ducati nell’occasione del conferito capitanato al marchese, ec Margherita Cantelmo la lasciò erede dell' aver suo, incontanente cola scrivere subito al Brognolo (27 luglio) di dar fondo a quella il figlio Ferrante le richiese una somma, ed essa rispose con una somma, cominciando col comperarle delle pezze di tabi (3) « di lettera (22 maggio 1532), che ha questo esordio significante : « S’io tutta bellezza»; poscia destinava quella somma (20 settembre) a non mi persuadessi che l’oppinione qual si è havuta qua per molti che 1’ keredità della S.ra Cantelma mi habbi fatta pecu­ niosa, sii ancor intrata in V. S. et con quella si sii mossa a farmi (1) Vedi le nostre Relaz. con gli Sforza, pag. 61. (2) Opere, voi. II, pag. 276. la richiesta delli 3 m. scudi, veramente ne restarei con maggior (3) Vedi, pel tabi, G a n d i n i in Mantova e Urbino, pag. 302. amiratione di quel che faccio, perchè la deve pur sapere che II. - GIOIELLI E GEMME 51 50 IL LUSSO DI ISABELLA D’ESTE MARCHESA DI MANTOVA ebbe a sottoscrivere delle obbligazioni a più o meno lunga scà1 non fu mai mio costume di cumular' denari; et se la detta denza. Era appunto in debito con lui e con parecchi altri mer­ heredità me ne havesse concessi quanti si è detto, a me non pe­ canti veneziani, quando 1’ 11 febbraio 1497 fece istanza alla Si­ sarla d’assecondare V. S. »; ma i legati assorbono gran parte gnoria di Venezia che le venisse corrisposto il rimanente della della somma. provvisione, perchè, dice, « sono inplicata de multi debiti, nè I bisogni ed il lusso superiori alle rendite spingevano spesso gli ho modo alcuno se la Sub. V. non mi soccorre ». I negozi più Isabella a far dei debiti. Non già che ella vi si lasciasse andare rilevanti ella concludeva peraltro col Pagano gioielliere, che già all’impazzata; ma molte volte le voglie eran più forti della avemmo a menzionare (1). Nel 1491 i Gonzaga avevano ormai ragione e le entrate non bastavano ad appagarle. Così Antonio con lui un debito di otto mila ducati, onde il marchese gli cedette Salimbeni la prega (Venezia, 18 ottobre 1494) di voler mandare in pagamento una possessione, col patto di ricupero quando il denari perchè « ogni zorno ho questi mercadanti a le spalle debito fosse pagato. Isabella pensò di riscattare quella posses­ et io gli do buone parole, sperando che V. Ex. gli facia provi­ sione e ne scrisse il 25 aprile 1491 al Doge, dicendo che avrebbe sione ». Così il 10 marzo 1502 è costretta a scrivere ad un Ma- sborsato subito due mila ducati e il resto a rate annuali. Il Doge setto, che potrebbe anche essere uno strozzino : « Perchè ni oc­ corre andar a Venetia stravestita et ne ritrovamo senza dinari, era pregato di far cauzione. Ma pare che Pagano non vi si ac­ pregamovi che ce vogliati servire de trecento ducati ». Così, il conciasse di buon grado e movesse delle difficoltà, poiché troviamo 17 maggio 1506, si fa prestar quattrini per comperare certe ra­ che il 13 maggio la marchesa ne scriveva risentita al Brognolo, rità messe all’ incanto dal Vianello. Codesti acquisti, come si suol dicendo che quel mercante dovrebbe fidarsi nella sua « discre­ dire, d' occasione erano per lei tentazioni irresistibili. Nel no­ tione, de la quale mai se troverà ingannato, perchè prima vor- vembre del 1497 le giunge novella che è morto a Venezia Do­ ressimo morire che mancar di fede». Come poi la faccenda si menico di Piero, gioielliere, quel medesimo che procacciò tante componesse, non sappiamo; solo ci sta dinanzi una obbligazione di Isabella, contrassegnata dal suo segretario Benedetto Capilupi, belle cose ad Ercole d’Este (1) e che V Anonimo Morelliano chiama « zogiellier e antiquario singoiar » (2). Ed ecco Isabella con la quale si riconosce debitrice a Pagano di « ducati novanta in agitazione per riuscire ad ottenere le gioie e le anticaglie più d’oro in oro per una croxetta de diamanti con tre perle ». Continuo assegnamento faceva poi Isabella sul credito degli Albani di Ve­ preziose da lui lasciate. Scrive al Brognolo, scrive a Benedetto nezia, Pietro, Taddeo, e più tardi Vincenzo e Luigi (2). Pietro Tòsabezzi, scrive all' altro gioielliere Andrea di Fiore, e tutti prega di praticare ogni diligenza perchè non le sfugga nulla di Albano non è un personaggio ignoto. A lui il vescovo Ludovico Gonzaga indirizzava il medagliere Ermes Flavio de Bonis per veramente degno, di usare ogni sollecitudine onde prevenire il padre di lei, ghiotto di simili cose. Lo stesso accade, anni dopo, l’acquisto di gioielli da offrire in regalo a Isabella sposa (3). Spe- nel 1503, quando viene a morte Giov. Andrea di Fiore, suo « singu­ randio mantovano gli fece una medaglia col motto : sic ilur ad lare amico ». Anche allora si rivolse a Lorenzo da Pavia perchè le astra (4). Ogniqualvolta si trattasse d’ aver bisogno d’ una mal­ facesse avere certe teste antiche possedute dal Fiore; ma Lorenzo leveria per acquisto di oggetti con pagamento a lunga scadenza, le rispose che quelle anticaglie non valevano gran che. Gio­ vanni Andrea di Fiore era a Venezia uno dei gioiellieri che procu­ (1) Qualche confusa notizia in B ertolotti, Arti minori, pagg. 20, ravano gioie ed oggetti d'oro ai Gonzaga (3). Più volte Isabella 22-23. (2) B ertolotti, Arti minori, pagg. 50-51. (3) Vedi a pagg. 8-9 lo scritto sul De Bonis di U. Rossi nei suoi (1) A. V enturi, L’arie ferrarese nel periodo d’Ercole 1 d’Este, Medaglisti del Rinascimento, opusc. I Ermes fu pure inviato dal ve­ Bologna, 1890, pagg. 24-26. scovo a Castelgoffredo per compilare un inventario di cose preziose con (2) Ediz. Frizzoni, pag. 231. Cfr. B ertolotti, Arti minori, pag. 24. Salomone da Sesso ebreo (pag. 2), del quale parlammo in addietro. (3) Vedi molte ordinazioni in B ertolotti, Arti minori, pagg. 23- (4) Friedl/Endeu, pag. 64; A r m a n d , voi. I, pag. 63. 24 e 49.

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Isabella ricorreva agli Albani. Talora facevano anche crediti in ma la intrata non supera la spesa gran facto, anzi qualche volta sé denaro di centinaia e di migliaia di ducati e pare che i Gonzaga spende de più, havendoli a tenere reparati; sì che questo è quanto posso fóssei'o sempre soddisfatti della loro delicatezza, perchè li trat­ significare alla Ex. V. per sua satisfactione, in bona gratia di la quale tavano amichevolmente. Quando il marchese Francesco morì me raccomando sempre. nel 1519, gli Albani non mancarono di fare le loro condoglianze Mantuae xvin maj 1502. ' alla moglie, la quale rispose con una lunga ed affettuosa let­ tera, in cui li assicurava che il marchese tenevali « in quel In complesso, adunque, la rendita personale ammontava a dieci bono et honorevole conto che 1’ havesse altro amico, per li pia­ mila ducati circa. Il ducato d’oro d’allora è calcolato pari a ceri et servitù continuamente ricevuti da voi et casa vostra » lire 11.42 (1); quindi la marchesa avrebbe potuto disporre di poco (5 aprile 1519). più che cento dieci mila lire nostre all’anno. Una miseria, dovendo Malgrado tutto, cattiva amministratrice Isabella non fu; anzi provvedere a tante persone. Ma se si pensa, non al valore asso­ anche in ciò la sovveniva quel senso della misura e quell’ accor­ luto, bensì al valore relativo della moneta, che equivaleva a tezza, che la rendono di tanto superiore a molte principesse del circa cinque volte il prezzo attuale (2), si può calcolare che Isa­ suo tempo. Ci è conservato un documento ghiottissimo del 1502, bella potesse spendere all’ anno qualcosa più di mezzo milione nel quale la marchesa fa al padre una specie di resoconto delle sue di lire, il che è già qualche cosa. Infatti dalla lettera al padre entrate personali. Il documento merita di essere riferito intero : risulta che i suoi conti bilanciavano. Le gioie erano poi sempre calcolate come un capitale flut­ 111. Si.re mio patre obserd.mo Quando io venni a principio in questa tuante. Tale considerazione giustifica le somme veramente enormi, Ill.ma casa mi fu deputato de provisione sei mille ducati d’ oro 1’ anno fuori d’ ogni proporzione con le rendite, che nel Rinascimento per il mio vestire et de le mie donne et che havessi etiam a maritare le si profondevano in gioielli e in oggetti d’ oro. Le preziosità dei doncelle et dare la provisione a tutti li servitori et donne da li compagni tesori principeschi non erano capitale del tutto morto, come sono in fora, cioè dui gentilhomini, et ultra di questo la corte mi faceva le oggidì. Nei bisogni più gravi ed urgenti s’impegnavano e così spese a circa cento bocche. Doppo, per essere in magiore libertà de se ne faceva denaro. Ercole I d’ Este, quando divenne duca acrescere et sminuire la famiglia a mio modo, condescendendoli etiam nel 1474, per rimediare alle finanze dissestate, impegnò a Ve­ volontariamente lo Ill.mo S. mio Consorte a persuasione di suoi factori, nezia molte gioie (3), e parecchie ne erano ancora impegnate per levarsi in tutto il peso dalle spalle mi furono deputati dua millia quando Isabella venne a marito, come ci risulta da una lettera ducati per le spese, includendoli etiam le spese de li compagni, li quali di Girolamo Stanga, del 16 novembre 1489, che riguarda la sua me furono assignati in questo modo : li sei mille de la provisione sopra dote. Alfonso I d’Este nel 1510, ridotto a mal partito dalle il datio de la macina, mille delle spese sopra una gabella, et per li altri guerre, impegnò le gioie di sua moglie Lucrezia Borgia e fece mille mi fu data la corte et possessione de Letopaledano (1), si che in tutto fondere le argenterie (4), e anche il Cardinal Luigi d’ Este im- ascendono a la summa de octo mille ducati. L’ è vero che poi per in­ dustria mia et de miei la intrata de dieta corte è accresciuta circa altri (1) A. M artini, Manuale di metrologia, Torino, 1883. mille ducati, et ho de li avanzi acquistata la corte de Castion Mantuano (2) La valutazione del quintuplo è del M u n tz , Renaissance à l’èpo- et dii Bondenazo per forma che al presente mi ritrovo havere de entrata que de Charles Vili, pag. 49. Il Baudhillart ammette pure un valore circa due millia et cinquecento ducati 1’ anno, ma ho etiam forsi cin­ quintuplo in un luogo .(voi. Ili, pag. 490), mentre altrove (voi. JII, quanta bocche più che non furono deputate. L’è vero chel S.r mio mi pag. 401) lo dice quattro volte maggiore dell’ attuale Calcoli simili sono ha poi dato alcuni altri loci per mio spasso, corno è Sacchetta et Porto ; sempre difficilissimi ; ma a noi basta un’ approssimazione. (3) V enturi, L’arte ferrarese nel periodo d’Èrcole I, p a g . 5. (1) C a m p o r t, La majolique el la porcelaine de Ferrare, Paris, 1864, (1) Palidano, paese fra Suzzara e Gonzaga. pag. 5. Cfr. Campori, Cataloghi, pag. 35. 6 il. - g i o i e l l i e g e m m e 5 5 54 IL LO SSO DI ISABELLA D’ESTE MARCHESA DI MANTOVA marchesa a Febo da Gonzaga (7 aprile 1495), in cui lo supplicia pegno molti oggetti preziosi (1 ). Antonia del Balzo mise a pegno di fare il possibile per riscattare quelle gioie dall'Albano. Ma le gioie per comperare Casal maggiore (2). Il ricchissimo Moro, invece fu d’ uopo impegnarne altre. Il 14 maggio 1495 infatti per sopperire alle spese della guerra e'del proprio riscatto, Isabella fa sapere al marito da Ferrara: « Havendo inteso quanto impegnò i suoi gioielli più preziosi per circa cento cinquanta mila me ha dicto Pietro da parte sua circa el mandarli le mie gioie ducati (3). Innocenzo VIII diede a prestito la tiara per venti mila et cadene, per obedirla gli mando el diamante grande, el balasso ducati. Carlo Vili mise a pegno le gioie delle sue alleate, la in tavola, el rubino grande et lo zoiello de la stringa. Li altri duchessa di Savoia e la marchesa di Monferrato (4). Persino sono ancora in pegno a Venetia, como scià V. Ex. Gli mando 1’ imperatore Massimiliano, in un momento d’ angustie, impegnò similmente la cadena da le cento volte (1); quelle che porto per non solo molte gioie, ma addirittura la biancheria di sua moglie cintura non m’ è parso inviarli perchè sono state viste a me Bianca Maria Sforza ! (5) quando era a Milano, et ultra di questo le prestai a cortesani Le gioie d’ Isabella furono impegnate molte volte e talora per farse mascare. Se prima havesse inteso el desiderio de V. S., anche corsero serio pericolo. Già nel 1494, allorché vi furono le haveria facte desfare ad altre fogie, ma più non gli saria le pratiche pel cardinalato di Sigismondo Gonzaga, la giovane tempo ». Il 3 luglio del 1496 Isabella invocava l’aiuto del padre per marchesa offriva le sue gioie al marito in uno slancio di gene­ poter riscattare le gioie impegnate a Venezia; ma il 20 agosto rosità tutto suo. Ecco il biglietto autografo eh’ ella gli fece te­ di quell’ anno il marito di nuovo gliele chiedeva per ricavarne nere da Urbino: sette mila ducati, necessari per la promozione di Sigismondo al cardinalato. La maniera un po’ risentita con cui Isabella si 111*»°. S. mio. Uno de maggiori desiderij che habia a questo mondo è di vedere monsignore che sia cardinale, però ho gran piacere che la schermì da quella domanda indiscreta si potrà intendere dalla pratica sia in bon termine, come me scrive la S. V. e me ha dicto lettera deliziosa che segue: m. Zoan Benedeto. Mando Alberto da Bologna cum le chiave de le mie zoie, aciò eh’ el dia quelle che lei vorà, perchè non tanto gli voria met­ Illmo. S. mio. Zohanne da la cavalla è gionto questa nocte cum lit- tere la roba, ma del sangue proprio, per lionore de la S. V. et de la casa. tere de V. Ex. de xx del instante per le quale me scrive che voglia Me recomando a la S. V. In Urbino, a dì xxim de avrile, 1494. mandare le zoglie mie a Venetia per impignarle per la promessa che se ha a fare ne la promocione del R.mo Mons. Proth.0 Io sono sempre Quella che desidera vederla disposta ad obedire la S. V. in omne cosa, ma perchè forsi la non se Isabella da Este ricorda che sono in pigno tutte le altre a Venetia, m' è parso significarli mano pp.“ che gli sono non solum quelle che me ha datto V. S., ma anche quelle eh' io portai a marito et ho comparato io doppo. Il che non dico perchè La profferta fu accettata e il marchese impegnò a Venezia facia differentia da le sue a le mie, ma perchè la intendi el tutto, per una parte dei gioielli della moglie per ricavarne in cambio una modo eh' io non ho in casa se non quatro zoglieli et el balasso che somma da Pietro Albano. Lo si rileva da certa lettera della V. Ex. comparatte quando io era de parto de la prima putta, lo dia­ mante grande, el favorito, et quello che ultimamente la me dette; che (1) C a m p o r i, Cataloghi, pag. 47. t quando se impignassero questi io restaria in tutto priva de zogli’. da (2) E. Nunziante, Un divorzio ai tempi di Leone X, Roma, 1889, poter portare et me seria forza redurmi a vestire de negro, perchè ve­ pag. 59 nota. . . stendo de colore et de brocato una mia para senza zoglie seria calleffata. (3) Documento bellissimo ne pubblicò G. G. T r i v u l z i o in Arch. stor. lombardo, voi. Ili, pag. 530. (4) M u n t z , Renaiss. à l'epoque de Charles Vili, pag. 50. (1) La collana da cento volte era stata approntata nel 1492. Vedi (5) Rio. Hai. di numismatica, voi. Ili, pag. 107, nota. Relaz. con gli Sforza, pag. 53. 56 IL LUSSO DI ISABELLA D" ESTE MARCHESA DI MANTOVA II. - GIOIELLI E GEMME 57

La Ex. V. può molto ben pensare eh' io non facio questo discorso se non alias de la grana certe gioie di S. Ex. per portar a Milano per certo per honore suo et mio : et però la prego et supplico voglia essere con­ effetto, de la quale consegnatione appare uno scritto sottoscripto di tenta che non me spoglia de queste poche; perqhè quando pur la voglia mano di esso Zo. Frane. ° et affirmato di mano di D. Zo. Angelo Vismara che se impignano zoglie più presto io gli darò la mia camora recamata et altri contesti: il quale scritto è copiato sive registrato sul libro de le de zoglie, perchè manco male serrà stare senza essa che senza gioielli. note al officio di sp. m.ri de entrate a carte 226, et havendo dapoi la Per bavere questa resolutione non darò fora le zoglie aspectando re­ p.t» Ex.™*1 Madama ricevuto da esso Zo. Frane.» parte di esse gioie ri­ sposta da V. Ex---- quae bene valeat. Mant. x x v i i aug.t' 1496. tornate per lui da Milano, volendo S Ex. annullare et cassare il debito Consors Isabella. di esso Zo. Frane.0 quanto sia per la parte di esse gioie ritornate et re­ consignate per il presente scritto fatto di mano di me suo secretario Nell’estate del 1499 la marchesa è in istrettezze e chiede de­ infrascritto, signato di mano propria di quella et sigillato del suo solito nari a parecchi. Sembra che la causa principale di quell’arsura sigillo, confessa et afferma haver ricevuto la ditta parte di gioie videlicet fosse l’acquisto di quella tenuta del Bondenazo, che menziona nel gli infrascritti peci depenati etiam sul ditto scritto. resoconto al padre da noi riferito. Fatto sta che il 10 agosto Primo doi brazaleti d’oro fatti alla foggia di ferri alla galeotta: di quell’ anno si confessava al Brognolo « talmente exausta de neli quali sono diamanti nove et rubini nove per ciascun brazaletto tutti dinari » da non poter mettere neppure insieme ottanta ducati di in tavola, che sono peci trentasei. cui era debitrice. Per ciò il 3 settembre inviava a Bologna Ce­ Item uno gioiello con doi corni di divitia fatti di diamanti con uno sare da Milano con l’incarico d’impegnarvi gioie e catene per smeraldo in mezo et uno rubino di bona grandezza con una corona di duemila ducati. Intanto quelle impegnate a Venezia, che non sopra di diamanti, et dal inverso lettere di peci di diamanti, che dicono s’ erano mai potute liberare, correvano il pericolo d’ essere ven­ Isabella M : che sono in tutto diamanti settantasei da ogni lato, con una dute all’ incanto, « che serrà magior la vergogna che ’l danno », perla pendente rotonda et schiza. diceva Isabella al marito il 4 settembre 1499. La povera prin­ Item doi baiassi grandi in tavole con doe panizole d’oro. cipessa si diede febbrilmente d’attorno per evitare quello smacco: Item doi baiassi in tavola che hanno del tondo, della mità de la ne scrisse a Donato de’ Preti, largheggiò di promesse per mezzo grandezza deli altri doi desopra, legati in doe panizole d’ oro. di Cesare da Milano (1), finalmente riuscì a farsi prestare due­ It. uno gioiello con uno zafìrro in tavola fatto a sei cantoni con mila ducati da Taddeo Albano. Nel 1501 dà nuove gioie in pegno uno rubino disopra in tavola con una perla pendente di bona grandeza. che pericolano d’ essere vendute, ed è merito di Cesare da Mi­ Io Iacobus Calandra secret, scripsit die xvii martij 1517. lano e di Taddeo Albano se andarono salve. Coloro che presta- Isabella March. Mantuae. van denaro su pegno erano di solito Ebrei. Per la peste del 1506 consentì Isabella che s’ impegnassero le sue gioie, e così pure Nel 1528, per sovvenire di nuovo alle famiglie degli appe­ nel 1516 per fornire denari ai Francesi. Allora furono anche stati, la marchesa mandò in pegno un suo prezioso collare, che fatte in pezzi le argenterie. L’ impegno fu concluso a Milano ci è così descritto: « Unum colare ad galiottam auri et in auro per mezzo di quell’ orefice Gio. Francesco Roberti, di cui già de ducato laborato ad martellum ponderis onciarum octo et quar­ parlammo. Ecco lo strumento del riscatto : torum trium alterius oncie, et in quo colare adsunt ligate in- frascripte gemme seu lapilli preciosi : nam in eius dimidia extat Havendo la ili. et ex. madama nostra, madama la marchesa di Man­ unus adamans magnus ut vulgariter dicunt amandola a facetti tua fatto consegnare li mesi passati al Nobile Zo. Fran.° di Roberti et iuxta dictum adamantem ab utraque parte eiusdem extant alii septem adamantes a facetti et sic in ista dimidia in totum (1) Questo documento (19 dicembre 1499) non è nell" archivio Gon­ zaga, come tutti gli altri, ma nel ms. di storia italiana 166 della biblio­ extant adamantes quindecim, in altera vero dimidia ipsius colaris teca del Re in Torino, al n. 34. adsunt alii decemseptem adamantes in tabula aliquantulum mi- 58 IL LUSSO DI ISABELLA D’ ESTE MARCHESA DI MANTOVA IH. - GIOIELLI E GEMME 5 9 nores aliis suprascriptis et sic in toto ipso colari .sunt adamantes Se lui non 1’ havessi, usati ogni diligentia per trovarne una che triginta duo ». habia qulche bono intaglio et compratila, che non ce potreti fare Ma se nei momenti ardui e quando si tratta di soccorrere magior piacere. Se non ne trovati de intagliate, vedeti haverne gli sventurati la Gonzaga era pronta a.sacrificare quei suoi di­ una da intagliare, perchè l’è qua uno Rapimele che era cum letti ornamenti, non era ugualmente facile a prestarli. Il pre­ mons. Protonotario (1), quale è bon sculptore, nè se curamo de stito delle gioie, frequentissimo a quei tempi, doveva riuscire do­ summa bontà de colore, purché la sia de bono intaglio o da po­ loroso ad Isabella, che in tutti gli oggetti del suo lusso poneva tersi intagliare, ed in questo usati ogni diligentia ». Il 18 di­ un’ impronta personale. Onde non è senza una qualche asprezza cembre di quell’anno accusa al Brognolo ricevuta di «una di eh’ ella rimprovera, il 27 luglio 1508, il marchese per la sua quelle petre negre dentro scolpite in bianco sul negro », e ag­ facilità di prestare gioielli, e in pari tempo rammenta che pur­ giunge: « fatine intagliare un'altra de quelle petre negre cum troppo in quei prestiti se n’ erano già perduti alcuni preziosi. le lettre moderne et dicano a questo mo’: Fin ch'io viva doppo morte, havendo avvertenza che le lettere siano bonissime et in manco campo che si può ». Pochi giorni prima (13 dicembre) gli aveva ordinato, insieme con un camaino (2), « una achate grande che habia qualche bono intaglio » ed una corniola piccola. E altre ordinazioni al Brognolo si succedono nel 1491, e nel ’92 Isabella III. dice di avere ricevuto una « turchina intagliata, la quale ne piace tanto, che non ne rincrescerà s’el magistro se farà ben pagare un Intagli e cammei. — Acquisti numerosi fatti in Roma e Venezia di pietre incise — Un cammeo superbo, messo in pegno da Piero de’ Medici. — poco più che in verità non doveria». In quell’ anno aveva anche Francesco Anichini e i suoi lavori per la marchesa di Mantova. — Un in­ ordinato al Brognolo una fenice scolpita con un F nel becco. Ma taglio celebre di Matteo dal Nassaro. poi non le sembrò che quell’ intaglio rispondesse abbastanza al suo concetto simbolico, e ordinò che le si ponesse nel becco un 0 Anche la dattiliografia ha qualche cosa da imparare dal lusso con iV in mezzo ; « et se pur a quest’ ora fusse sculpita cum F, di Isabella. vogliamo che da un canto gli faciati giungere uno Y greco et L’arte degli intagli in pietra dura e dei cammei era rinata uno N ». Tanta era la cura che la giovane marchesa poneva in da poco, quando la Estense impalmò Francesco Gonzaga. Il culto queste coserelle ! Anche da Roma riceveva spesso delle pietre dell’antichità classica la richiamò in vita, dopo una dimenticanza intagliate. Abbiamo due lettere del 1492 (12 gennaio e 26 mag­ di molti secoli, verso la metà del secolo xv, e nel xvi culmi­ gio) in cui ringrazia il protonotario Agnello per simili invii; ma nava (1). Noi ammiriamo ancora oggi nei musei quelle splendide è probabile che si trattasse di lavori antichi, perchè nella se­ opere d’arte, che rivaleggiano con le antiche. È facile, quindi, conda lettera soggiunge : « s’ el capitarà qualche altro intaglio l’immaginare come ne fosse ghiotta la nostra marchesa. Specie antiquo a la S. V , cavo o relevo, etiam s’el fusse magioretto nei primi anni di matrimonio, ella faceva capo al fido Brognolo de questi, haveremo caro che la ce lo facia havere ». Pure an­ per avere da Venezia di quelli intagli. Il 27 maggio 1490 gli tica era la corniola intagliata di cui Stazio Gadio mandava l’im- scrive d’aver sentito che Pagano gioielliere possiede una turchina intagliata. «Se 1’ è vero, haveremo caro vediati haverla et man­ (1) Cfr. B ertolotti, Arti minori, pag. 23. darcela, perchè piacendone gè la pagaremo per quello valerà. (2) Questa voce, per indicare cammeo, è di frequente usata nei do­ cumenti mantovani, e ricorre di solito anche negli inventari estensi (cfr. C a m p o r i, Cataloghi, pagg. 25-27). Potrebbe non essere inutile forse (1) Vasari, Opere, v o i. V, pag. 367 e segg.; M untz, Renaiss., v o i. I, per decidere la controversa etimologia della parola cammeo, che pur si pagg 075-676 e voi. II, p a g . 821. vuol richiamare al greco. Vedi K o e r t i n g , L. R. W., n. 2039. 60 IL LIJSSO DI ISABELLA D’ESTE MARCHESA DI MANTOVA III. - GIOIELLI E GEMME 61 pronta alla marchesa, da Roma, nell’autunno del 1511 (1). Il Fiore (1). In quella raccolta la marchesa fece qualche acquisto, ma possessore ne voleva cento ducati, e il Caradosso, che aveva fama non tanto di cammei, quanto di figurette e di teste di bronzo (let­ anche come incisore di pietre (2), gliene aveva offerti ottanta. Nel tera 4 aprile 1498). Il 22 febbraio 1502 troviamo che rammenta giugno 1506 Isabella dice di aver ricevuìo «un intaglio di Cristo al fratello Cardinal d’Este la promessa d’inviarle anticaglie ^a in diaspis » da Girolamo Casio (3); ma di volerne uno in agata, Roma : « io me pagarò de ogni Gosa », dice, « ciò e di bronzo o marmo perchè l’unica corona eli’ ella ne ha sfornita è di agata. Il Casio o corniola et ogni altra sorte de intagli ». 11 25 aprile 1503 1’ ab­ cerca di contentarla; ma la marchesa non resta soddisfatta del breviatore apostolico Antonio Magistrello le notificava da Roma prezzo, onde di malumore ingiunge al suo corrispondente (17 no­ quanto segue: « El Mc0 Piero de Medici a questi dì per certo re­ vembre 1506) « che da mo inanti vui ne habiati ad scrivere el specto inpegnò uno suo camalio ligato in uno anello per due. 200 pretio delle cose che voremo da vui ». Le era avvenuto dopo d’ oro, qualle è la più bella cosa anticha che credo se trovi ogidì. la morte della sorella Beatrice di cercare in ogni parte « uno Et una testa de Camilla, per dito de alcuni (chi dice che è una suo intaglio d’ uno nudo», che avrebbe gradito assai. Finalmente Giuditta) ma per conclusione io mi son chiarito che epso camalio le vien riferito che esso è in mano del fratello di Gualtiero de alias costò al Mc° Lorenzo più che due. 500. È cosa picolla per Basilica Petri, e scrive subito a questo Gualtiero il 19 maggio 1502, portar nel dito». Se la marchesa lo vuole, l’avrà per duecento pregandolo di parlarne al fratello « et indurlo a compiacerne in « perchè ’l Mco Piero ha perso le raxone sue nè se trova a Roma dono o in vendita, che ad ogni modo lo gratificheremo ». Tra le et non à il modo. M. Baldesaro da Castilione presente exibitore molte e belle cose che Isabella perdette nel sacco di Roma fuvvi ha hauto in mane el p.“ camalio et da lui V. S. 111.”* se poterà anche un suo sardonio « qual era intagliato cum figure... legato informare ». Nel 1533 la contessa di Caiazzo, quella stessa dama da uno filo d’oro intorno ». Nel 1528 fece attivissime pratiche che il Trissino (2) vanta come una delle più belle di Milano, dovendo per ricuperarlo. pagare allaGonzaga un debito di duecento ducati, le offriva in cambio Quanto a cammei ed intagli veramente antichi, è troppo quattro antichi cammei. E la marchesa, da accorta, rispondevale: naturale che Isabella li desiderasse anche più vivamente; ma il «Son dell’animo medesimo et dispositione in che fui sempre di procurarseli non era cosa facile. Come già vedemmo, il luogo farli piacere perhaverla in luogo di buona sorella, dove se ben mi d’onde gliene venivano offerti d' solito era Roma. Nel 1492 Flo- seria stato di più comodo haver li denari, sui quali havevo già fatto ramonte Brognolo era colà tutto affaccendato a ricercare simili disegnio, son contenta per suo comodo d’ accettare da lei tanti anticaglie per la marchesa: corniole con intagli antichi, nicoli(4), carnei che siano estimati da persone perite et confidenti fra noi cammei. L’11 settembre 1492 le inviava anche un cammeo mo­ del pretio di 200 ducati, che l’accettare li quattro ch’ella mi derno: « per essere una cosa bizarra ni è parso farlo vedere alla ha mandati per gli cento scudi non me ne contenterei, perchè a Ex. Y. Collui di chi 1’ è ne dimanda ben dece ducati; a me non giudicio di chi gli ha ben considerati et ha ottima cognitione di è stato extimato se non quatro ». Fu già edita una bellissima let­ simil cose non ascendono alla somma di 80 ducati » (15 aprile). In tera di Tolomeo Spagnoli del 13 ottobre 1498, in cui sono de­ una lettera successiva accettava per ottanta ducati i quattro cam­ scritti i cammei antichi del fu Domenico di Pietro, che si tro­ mei anzidetti e riteneva gli altri sei inviatile dalla contessa per vavano in vendita presso il gioielliere veneziano Giov. Andrea di completare la somma; « se bene de questi dui satiri uno non me satisfa molto». Avrebbe volentieri contrattato nella venuta a

(1) D’Arco, Arti mantovane, voi. II, pag. 77, n . 99. Mantova della contessa. È l’intelligenza in tutte le cose d’arte, (2) Vedi quel che ne dice il G a u r i c o nel De sculptura, e cfr. M a - il solito buon gusto della marchesa. Del resto, l’acquisto dei r i e t t e , Traile des pierres gravées, Paris, 1750, voi. I, pag. 116. (3) Vedi Arch. stor. dell’ arte, voi. I, pag. 117. (1) B ertolotti, Arti minori, pag. 24. (4) Il nichilo, sorta di pietra preziosa, che anche i lessici registrano Usa il vocabolo anche Ristoro d’Arezzo. (2) Opere, voi. II, pag. 271. 0 2 IL LUSSO UI ISABELLA «'ESTE MARCHESA DI MANTOVA III. - GIOIELLI E GEMME 63

cammei antichi rientra in quella ricerca e in quelle innumere­ l’ordinazione all’ Anichini, gli diceva di impiegarvi quanto tempo voli compere di anticaglie diverse (marmi, bronzi, statue, vasi, ecc.) volesse « purché la sia cosa che representi antiquità ». Poi fermò che non è intenzione nostra di esaminare in questo scritto. nell’animo che fosse un Orfeo, e ne mandò un disegno all inci­ Diremo piuttosto di qualche artefice celebre nell’intaglio sore. La prima turchina non le era sembrata irreprensibile nel delle pietre dure, che fu in rapporto con la marchesa. lavoro; ma non aveva ardito' farne parola al maestro, per la ra­ Secondo il Vasari, i due artisti più eminenti in questa rin­ gione che adduce in questo caratteristico poscritto al Brognolo: novata arte furono il fiorentino Giovanni detto dalle corniole « A dirvi el vero, questo intaglio poteria essere megliore per e il milanese Domenico detto de' cammei. Ma se questi due fu­ iudicio di chi se intende, maxime dal mezo in gioso; ma non rono veramente celeberrimi, ve n'ebbero altri di assai valenti, l’havemo voluto specificare nella lettera aciochè raostrandogela e non solo in Firenze e in Milano, ove quei due fecero scuola, non se ne sdegnasse. Sapiamo che 1’ e el megliore maestro de ma in Roma, in Ferrara, a Venezia e nel Veneto (1). Le più Italia; ma sempre 1’ homo non se ritrova de vena ». Il 6 giu­ frequenti relazioni d 'Isabella furono con Francesco Anichini. gno 1497 Isabella inviava al Brognolo una «tavoletta facta per Com’ è noto, quest’ artefice, che salì in grande e meritata nostra impresa», aggiungendo: « Ilaveremo caro che vui mede­ fama, fu ferrarese e visse sino al 1526; poi gli successero nel­ simo ordinati a Francisco Niellino eh’ el ce ne facia una simile l’arte sua i figli Luigi, Andrea e Callisto (2). La marchesa no­

  • osso proprio. Quando lo reteniati per acconciarlo, haveremo piacere singularissimo che ne serviate secundo ch^ sapemo che sapereti L’ arredo degli appartamenti. fare, perchè quello che non fareti voi con l’ingegno vostro, non è homo eh’ el facesse ». L' Avanzi seppe ritoccarlo così bene, che la marchesa se ne dichiarò soddisfattissima. Era forse quel IV. medesimo Cristo di smeraldo che tre anni dopo (il 9 giugno 1515) Isabella mandava di nuovo all’ Avanzi con tali parole, che quasi L’arte dello medaglie nel Rinascimento. — L’esemplare di dedica della me­ sembra voglia invocare la sua indulgenza per averlo un po’ ro­ daglia isabellesea nel Museo di Vienna. — I « tondi » per berretti (pla- quettes). — Gli scuffiotti di seta e d’oro, celebre specialità mantovana.— vinato: « Mandamovi per il presente cavallaro il Cristo de sme­ Una fabbrica di berretti impiantata da Isabella. — Un cappello ricamato raldo qual ha un poco scorbato il naso, nè sapemo a che modo. di gioie e perle per suo marito. — I cappelli per signore : una lettera della Pregamovi che lo vogliati toccare un poco et mandarcelo, che Regina di Polonia a Isabella * fonte e origine de tutte le belle foggie vi promettemo di haverni più cura per lo avvenire ». d’Italia ». Quel Matteo allievo dell’ Avanzi che venne mandato a Man­ Un’ altra arte che il nostro Rinascimento fece risorgere, tova per prendervi nel 1512 lo smeraldo intagliato d’ Isabella, imitando l’antichità classica, è quella delle medaglie (1). Una era nè più nè meno che Matteo dal Nassaro, pur veronese, il principessa così appassionata per ogni manifestazione dell’ arte, quale doveva superare il maestro nell’ arte dell’ intagliar gemme. come Isabella, la quale per di più proveniva dal luogo ov’ era Crebbe la fama sua segnatamente in Francia, ove fu protetto fiorito il massimo instauratore dell’ arte delle medaglie, il Pi- da Francesco I (1); ma a farlo celebre contribuì un’opera sanello, e risiedeva nella città che aveva dato i natali al più sua giovanile che fu posseduta da Isabella. Narra il Vasari (e rinomato fra i discepoli di Pisanello, Sperandio, non poteva dav­ gli altri ripetono) che « venutogli un bel pezzo di diaspro alle vero rimanere indifferente alla produzione delle medaglie. Nel ninni, verde e macchiato di gocciole rosse, come sono i buoni, suo secondo e più lungo soggiorno romano deve averne rac­ v’ intagliò dentro un Deposto di Croce con tanta diligenza, che colte di antiche e di moderne in gran copia, giacché in molte fece venire le piaghe in quelle parti del corpo eh’ erano macchiate lettere del 1528 e ’29 troviamo le pratiche eh’ essa andava fa­ di sangue: il che fece essere quell’opera rarissima, ed egli com­ cendo per ricuperarle, essendole state rapite dopo il sacco. Lei mendatone molto: il quale diaspro fu venduto da Matteo alla stessa volle avere una medaglia con la propria effìgie e la com­ marchesana Isabella da Este ». Potrebbe darsi che col Nassaro mise nel 1498 a colui che doveva poi divenire il suo consigliere si dovesse identificare il Malleo intagliatore di corniole, al quale n^gli acquisti artistici e il suo scultore ufficiale, Gian Cristoforo la marchesa asserisce nel 1515 d’ aver affidato 1’ anno prima in Romano, amico del Caradosso, ammirato da P>aldassarre Casti­ Milano « una nostra preta de topazo...... a fin eh’ el ge tagliassi glione (2). La medaglia recante sul retto 1’ effigie classicamente dentro certo disegno che gli dicessimo ». Non vedendo capitare atteggiata d’isabella giovane e sul rovescio una donna alata (una il lavoro, Isabella si rivolge a Lorenzo Strozzi e ad altri; ma non sappiamo che cosa le rispondessero. Vittoria) che minaccia con una verga un serpente dritto a lei d’in­ nanzi, e sopra il sagittario sormontato da una stella, con intorno

    (1) V a s a r i, voi. V, pagg. 375-378; M a r i e t t e , voi. I, pag. 121; A l ­ (1) Cfr. M u n t z , Renaiss., v o i. I , pag. 668 e segg. Venezia c i pre­ d i n i , pagg. 130. senta una medaglia già nel 1393. Vedi G. Z a n e t t i , nell’origine di al­ cune arti appresso i Viniziani, Venezia, 1758, pag. 98. (2) Vedi A. V e n t u r i nel I voi. dell’ Arch. stor. dell’ arte, ove le sue relazioni con Isabella sono pienamente illustrate, e oggi anche M u n tz , Renaiss., voi. II, pag. 516 e segg. 6 6 IL LUSSO DI ISABELLA D’ESTE MARCHESA DI MANTOVA IV- L’ ARREDO DEGLI APPARTAMENTI 67

    un motto suggerito da Niccolò da Correggio (1), fu riprodotta (Galleria di Dresda). Nel magnifico quadro di Bernardo Striegel' già infinite volte (2). Ma la marchesa ne possedette un bellis­ (Galleria di Vienna), che rappresenta l’imperatore Massimiliano simo esemplare in oro con attorno un ricco ornamento gem­ con tutta la sua famiglia, due dei figliuoli, fra cui il futuro mato. Nell’ inventario degli oggetti preziosi custoditi nella Grotta Carlo V, hanno tondi sui cappelli ; e un tondo si vede pure sul quest’ esemplare è così descritto: « medaglia d’ oro con 1’ effigie berretto del celebre Castiglione raffaellesco che è al Louvre. di lei, quando Sua Sig.ria era giovene, con littere de diamanti Abbiamo veduto in addietro che nel 1512 il Caradosso era di­ a torno che dicono ISABELLA con rosette tra 1’ una e 1’ altra sposto a eseguire « uno Laocoonte d’ oro di tutto relevo con li littera smaltate de rosso, con uno retortio atorno con rosette figlioli e serpi » per un tondo destinato a Federico Gonzaga. smaltate de bianco e azurro et de roverso una Vittoria de re­ Un tondo simile egli aveva già fatto al poeta Tebaldeo (1). levo » (3). Questo esemplare esiste ancora ed è custodito nel Nel 1503 i luogotenenti di Viadana scrivono alla marchesa: « In Museo storico-artistico di Vienna (4). Il retortio consiste in quei executione de una de V. Ex. siamo andati da mastro Zohane fili d’oro attortigliati che rilegano esteriormente la medaglia Marco Cavallo aurifice et habiamo habutto da luy li tondi cura come incassatura od orlatura cbe dir si voglia. Anche nell’ in­ quelle lettere che richiede V. Ex. da lui ». Non era certo il. ventario dei gioielli di Lucrezia Borgia vi sono più medaglie Cavalli un artefice famosissimo come il Caradosso, ma non con smalti intorno, circondate da ritorti o da frisi (5). Sono pro­ era neppure il primo venuto. Lavorò alla zecca mantovana, e babilmente esemplari di dedica, tutti in oro. basterebbero alla sua celebrità, se a lui sono ora giustamente Affini al lavoro delle medaglie, e parimenti opera di fu­ rivendicati, due magnifici busti in bronzo, quello di Andrea Man- sione, erano i tondi per berretti, cioè quelle piastrelle con or­ tegna in una cappella di S. Andrea a Mantova e quello di Bat­ nati e figure, tanto di moda nel Rinascimento e ora diligente­ tista Spagnoli il Carmelita nel Museo di Berlino (2). Anche il mente studiate, che i Francesi chiamano plaqueltes (6). I tondi non meno valente Ercole Fedeli lavorava tondi pei Gonzaga: il sui berretti erano generalmente considerati come cosa di grande Prosperi manda da Ferrara a Isabella il 16 maggio 1511 «li eleganza. 11 Bandello, descrivendo un bellimbusto milanese, non tondi facti per maestro Hercule ». Nel 1512 (28 marzo) la mar­ dimentica di accennare che « le sue berrette di velluto ora una chesa invia al figliuolo Federico, eh’ era a Roma, « uno tondo medaglia ed ora un’ altra mostravano » (7). Cappelli e berretti d’ oro da portare in la berretta ». E poi il 28 ottobre di quel- con tondi preziosi ci rappresentarono anche spesso alcuni pit­ 1’ anno stesso, insieme con quattro dozzine di bottoncini e una tori del Rinascimento : con speciale predilezione Hans Holbein dozzina di pontali smaltati (3), che aveva dovuto ordinare a Mi­ il giovane, che ne ha nei ritratti di Enrico Guilford (Galleria lano « per esser qui carestia de boni magistri », gli fa avere un di Windsor), di Riccardo Southwel (Uffizi), di Giorgio di Corno- tondo d’ oro su cui è la « representazione » di Alessandro che vaglia (Istituto Stadel di Francoforte), del Sieur de Morette taglia il nodo gordiano, il quale tondo starà bene su d’ una « ber­ retta con groppi » che Isabella accompagna al figlio. Di più gli (1) Giorn stor d. lett. ila l, voi. XXI. p a g . 254. invia « un altro tondo dove è uno Amore che riposa dentro una (2) Prima da P. V a i .t o n nel bell’ articolo della Revue numisrnatique, serie III. voi. Ili, pag. 316 e segg, che rivelò in Gian Cristoforo un festa di foglie di frassino, dove secondo il ditto de’ philosophi medaglista; poi dal Venturi, dal Muntz, dall’Yriarte, da altri parecchi. Descrizione in A r m a n d , voi. I. pagg. 99-100; voi. Ili, pagg. 48-49. (1) B ertolotti, Arti minori, pag. 67. (3) C ia n in Giorn. stor. d. lett Hai., voi. IX, pag. 133. (2) U. Rossi, I medaglisti del Rinascimento, opusc. Ili, G. M. Ca­ (4) A Vienna lo vide anche il Litta, che lo riprodusse al n. 78 fra valli-, e la sua aggiunta nella Rivista ital.di numismatica, voi. V, le medaglie dei Gonzaga. pagg. 481-433. (5) Campori, Cataloghi, p a g . 35 (3) Erano parti del cinto, che servivano all’ affibbiatura. Vedi (6) Vedi M u n t z , Renaiss, voi. I, pag. 690; voi. II, pag. 172. G a n d i n i , Di una pupattola del secolo decimoquinto, Modena, 1816, (7; P. II, nov. 47. pag. 21. 6 9 (58 IL LUSSO DI ISABELLA D’ ESTE MARCHESA DI MANTOVA IV. - L’ ARREDO DEGLI APPARTAMENTI

    non ponno intrare serpenti nè vitii — con un motto che dice t u t a signo ... existimando che ’l saria judicato più gallante con poche QUIES » . zoglie belle che cum molte zogliesine » (10 ottobre). Difatti alla Non deve far meraviglia che Isabella mandasse sino a fine del mese di ottobre poteva inviarlo al marchese, accompa­ Roma, non solo dei tondi, ma anche dei berretti. I berretti e gnato da questa lettera autografa, che è tutta isabellesca : - gli scu/fiotti, da uomo e da donna, erano quasi una specialità mantovana, o per lo meno venivano fabbricati a Mantova con Ill.mo s.r mio. Per Federico Catanio mando a V. S. el capello facto squisitezza di lavoro. Girolamo Ziliolo scrive ad Isabella il 27 gen­ con quella più diligeucia si è saputo. Se piacerà a V. S. corno fa ad naio 1512 che il duca di Ferrara avendo la testa tosata, « vorria ogniuno che l’ha visto, ne liaverò grandissimo piacere: io l'ho facto più qualche bello scufiotto per portare in capo», onde prosegue: rico ho potuto. Li haveria ben potuto mettere el diamante grande, ma « havendo io inteso che a Mantova ge ne sono de summa bel­ mi è parso meglio metterli tutti baiassi, aciò che, seguitandosi tutti, pari lezza d 'oro et facti elegantemente, m’ è parso ricorrere in questo uno medesimo ordine e non pari una cosa facta per mostrar zoglie e bisogno a la S. Y. » (1). Il marchese di Mantova, tra’ frequenti senza ordine. Quando li fussero stati tanti diamanti cossi grandi corno regali a Pietro Aretino, gli manda il 24 marzo 1525 parecchi quello de V. S. eh’ io ho (che Dio el volesse!), più volentiera ge li haveria scuffiotti, quale specialità mantovana. La follatura dei berretti facto ponere. Sotto la piega seria stato meglio uno balasso, ma non vi era stata messa in Mantova sotto la tutela di apposite disposi­ ne sono più in casa. La testa del capello non è recamata perchè Zoanno zioni di legge, e Isabella medesima fece costruire un fallo per dice che la sta meglio così; tuta via perchè V. S me ha scrito tanto proprio conto. V’ ha una grida del 12 luglio 1526, in cui il mar­ eh’ io faci eh’ el sia ben rieo, io la volea far recamare anchora lei, ma chese, sentendo che « per il decreto altra volta concesso alla questo che è facto è tanto rico che non vi erano più nè rubini nè dia­ arte di biretari che persona alcuna non potesse fullare nè far manti, però non si è recamata. Dio el faci godere con felicità a V. S. fullare birette in alcun altro loco excetto al fullo fatto per Federico nostro doppo el male suo è stato bene parecchi di, ma da due ditta arte sotto certa pena, molti mercadanti restano di man­ sere in qua li è venuto un pocho de fastidio, non sciò se la debia ba- dare a fullare al fullo erecto per la Ill.ma M.ma nostra, matre tezare febre per essere pochissima, e al dì sta benissimo, poi la sera li del p.t0 S., fuori di Porto, da po’ la concessione predicta, il che vene questo pocho male, che è però niente. El pettegin sta benis­ cede in gravissimo danno di sua Ex. et di non poco incommodo a simo; è tutto el dì in spalla a Frittella (1). In Mantoa a dì xxx de molti mercadanti .. .», revoca la concessione fatta, lasciando li­ octobre 1506. bero a ognuno di mandare al fullo della marchesa. De V. S. più che de sè I berretti grandi e talora barocchi del secolo xv, che ve­ Isabella de man propria. diamo con tanta predilezione rappresentati dal Pisanello (2), si vennero semplificando, impicciolendo, modificando graziosamente Anche le donne, del resto, portavano qualche volta il cap­ nel Cinquecento, in cui si determinò una divisione netta fra il pello. I)i questi cappelli, che per lo più erano ampi berretti con cappello vero e proprio ed il berretto. I cappelli da uomo po­ nastri e gioie, e talora avevano anche 1’ ala, ma non molto pro­ tevano essere ricchissimi. Nel 1506, per 1’ entrata del marchese nunciata (2), si possono vedere modelli nel ritrattino di Bianca in Bologna con le genti pontificie Isabella fu incaricata di fargli un cappello di lusso, ricamato di gioie e perle. E poiché « le (1) Il pettegin, come scherzosamente lo chiama la madre, è il pic­ gioie minute fariano confusione et trista vista », ella cercò di colo Ercole, futuro cardinale di S. Chiesa. Esso veniva allora portato in « elegere de le belle et compartirle cum qualche ordine et de­ ispalla da un buffone di corte, il celebre Frittella. (2) Un cappello così ampio come quello che Luca Cranach mise in capo ad una principessa sassone, in una tela dell’ Eremitaggio di Pie­ (1 ) A. B erto lo tti nel giornaletto mantovano 11 mendico, a n . IV, n. 21. troburgo, sarebbe apparso in Italia, almeno nella prima metà del se­ (2 ) M u n t z , Renaiss., v o i. I, pagg. 319-320. colo xvi, mostruoso. 70 IL LUSSO DI ISABELLA D'ESTE MARCHESA DI MANTOVA IV. - I/ ARREDO DEGLI APPARTAMENTI 71

    Maria Sforza che si trova su d’ un pezzo di pergamena nell’Ac- ciuto oltramodo, et tanto più quanto che da V. S. con affecto non vili- cademiadi Venezia, ed in due dame che assistono all’ investitura gare ne so’ stati transmessi. Del che molte et molte gratie li rendemo del Moro in uno dei bassorilievi della tomba di Massimiliano et non senza obligo ne li restamo; et perchè appertiene ad animo gen­ nella chiesa dei Francescani a Innsbruck (1)'. Isabella, nel 1492, tile obligarse de più a chi se trova obligato, per tanto pregamo 'Vi S. mentre era in viaggio per Milano, si faceva spedire in fretta da se contenta quando qualche nova foggia di abendare la testa li occor­ Francesco Ousatro « el capello cum la nostra penna de le zo- rerà, che semo certissime non mancarne mai per essere V. S. fonte et glie ». Nella primavera del 1502 Lorenzo da Pavia provvedeva origine de tucte le belle foggie d’Italia, de mandarne qualche una bella di cappelli la marchesa; ma essa non ne fu contenta perchè et che li piaccia, che a noi similmente non potrà despiacere. Et piacendo « sono belli et fini, ma tanto larghi et gravi che non li potè- a V. S. servirse da queste bande de qualche pelle de tanti varii animuli ressimo portare ». Acconciavansi di solito i cappelli sugli scuf- quanti ve se trovano, expostone il suo desiderio, exequeremo quanto li fìotti, che erano i copricapo donneschi più in uso. Di questi sarà a grato con animo prompto et studioso, correspondendo alla bene­ scuffiotti muliebri se ne hanno parecchi nelle pitture del tempo. volentia de V. S. verso noi vicissitudinalmente; alla quale ne offeremo Sceglieremo come tipico quello del famoso, squisitissimo ritratto et raccomandamo. di Ambrogio de Predis, che è a Milano nella pinacoteca Am­ Dat. Cracovie die 15 iunii 1523. brosiana, e che i critici sono indecisi se rappresenti Bianca Maria • De V. S. parente Sforza ovvero Beatrice d’Este. Questo scu f fiotto h tutto circon­ La Reina de Polonia. dato di perle ed è tenuto fermo da una fettuccia, pure gem­ mata, che passa per la fronte. Ma tale fettuccia o cordicella, che A dare un’ idea del lusso che la marchesa soleva porre in anche senza cuffia si vede di frequente presso le dame lom­ questi gingilli da testa, s’ avverta che Francesco Cusatro le fa­ barde del tempo (due esempi classici ne sono il busto di Beatrice ceva tenere il 23 aprile del 1504 una « scuffia de cordoncini d’ Este che è al Louvre e la belle feronnière di Leonardo da negri » con sopra trecentocinquantaquattro ferretti d’ oro. E vero Vinci), non era punto indispensabile agli scuffìotti. Dei quali che una sua camóra aveva seicentonove bottoni d’oro; quindi scu f (lotti è spesso ricordo nei documenti mantovani, perchè la mar­ tutte le parti del suo vestiario si facevano degnamente pendant ! chesa ci teneva assai ad averli « galanti » e perchè, come di­ cemmo, in Mantova se ne fabbricavano. Isabella ne provvedeva di buon grado alle ragguardevoli dame che ne mostravano desiderio. Nel maggio del 1518 ne inviò a Maria di Monferrato, che doveva V. divenirle nuora. Nel 1523 ne fece avere alla Regina di Polonia, la quale le rispondeva con questa lettera notevolissima, che prova Gli orologi tascabili e loro storia. — Lusso strepitoso del vasellame da tavola. — una volta di più la fama quasi europea di Isabella pel suo buon Mediocre simpatia d’isabella per la ceramica, e sua vivissima passione gusto : pe’vetri di Murano. — Lorenzo da Pavia e Cleofas de Donati, suoi for­ nitori per oggetti d’avorio e d’ebano. — Dn bellissimo gioco di scacchi. — Specchi di metallo e specchi di cristallo. IH.ma S.ra affine nostra car.ma et lion.ma

    Salutem et prosperos ad vota successus. Per il nepote del barbiero Ci sia ora permesso di dedicare la nostra attenzione ad una regio liebbemo a questi di passati una lettera de V. S. et per essa sei serie di prodotti che riguardano il lusso degli appartamenti an­ scuffìotti de seta et de oro de nova foggia, et ne hanno satisfacto et pia­ ziché il lusso propriamente personale, ma che sono in relazione stretta coi lavori di oreficeria, di cui fin qui si è discorso.

    (1) Riproduzioni di L. B e l t i i a m i nell’ Emporium di Bergamo, voi. Ili, Anni sono, uno di noi, illustrando un sonetto del rimatore pagg. 85 e 94. Gaspare Visconti, che prende 1’ imagine da « certi horologi pie- 7 2 TI- LUSSO DI ISABELLA D’ESTE MARCHESA DI MANTOVA V. - L 'ARREDO DEGLI APPARTAMENTI 7 3

    coli e portativi, che con poco di artificio sempre lavorano mo­ nel maggio del 1709 ordinò a Ferrara uno « orologieto da sole », strando le bore e molti corsi de’ pianeti et le feste, sonando tutto d’ oro « ma più picolo et più legiero eh’ el possi venire ». quando il tempo lo ricerca », cercò dimostrare che già alla fine E in un poscritto allo Ziliolo aggiungeva: «Volemo el horo- del secolo xv gli orologi tascabili dovevano essere conosciuti in loglio così picolino et legére, che lo possiamo portare adosffo in Italia (1). Ma probabilmente quell’orologio portalivo, di cui un borsotto » (1). Devesi infatti notare che presso agli orologi parla il Visconti, non era punto tascabile. Il progresso, infatti, meccanici continuarono ad essere in uso fino al secolo xvn gli del secolo xv fu di adattare il meccanismo massiccio delle mac­ orologi a sole ed a sabbia, nonché le clessidre (2). Isabella me­ chine da torre, conosciuto sin dal medioevo (2), alle necessità desima, il 5 novembre 1511, ordinava a Lorenzo da Pavia di degli appartamenti. Si ebbero allora piccoli edifici a pendolo, che procurarle « uno orologio da polvere che non sia grande » (3). i gran signori del Quattrocento ricercavano con curiosità, ma Invece crediamo che fosse veramente a meccanismo tascabile che non erano tascabili. Il massimo perfezionamento venne al­ quell’ « horologio piccolo » che la marchesa commetteva a Ve­ l'orologeria nel secolo xvi, quando si sostituì il motorea molla nezia nel 1531. E senza dubbio lo era l’orologio « in forma de al contrappeso e s’introdusse il bilanciere. Allora le macchine officiolo quadretto piccolo », che Federico Gonzaga donò al Pe­ d’orologio poterono essere rinchiuse in grosse capsule che si scara, insieme con « un altro bello horologio grande che sona chiamarono uova di Norimberga (8). Così 1’ orologio da tasca et ha incluso lo resvegliatore », come si ricava da due lettere era inventato; e i perfezionamenti si susseguirono con rapidità. dell’Equicola a Isabella del 22 e 26 ottobre 1521. Federico Si gareggiò nel costringere le macchine in ispazi sempre più diede commissioni agli Sforzani di Reggio, celebri fabbricatori ristretti; se ne fecero dei gioielli elegantissimi, cacciando gli d’ orologi (4). orologi nei braccialetti, negli anelli, sin negli orecchini. Gin­ Strepitoso era il lusso della tavola nel nostro Rinascimento: gilli preziosi davvero, ma in cui la macchina d’ orologio non basti il dire che nei banchetti, non solo s’indorava la selvaggina aveva certo 1’ ufficio di segnare il tempo con precisione (4). più rara, ma si soleva dorare persino il pane. Lo sfoggio delle Reputiamo quindi che fosse portatile ma non tascabile nel argenterie era immenso, poiché dapprima tutto il fornimento da senso nostro della parola, 1’ « horologio picolino » che Bernardo tavola era d’ argento (5), e solo nel secolo xvi Alfonso I d’ Este Bembo acquistò da un « maestro riero mantoano » (5) e che introdusse sulle tavole principesche 1’ uso delle ceramiche e si nel 1506 rimandò a Mantova per farlo accomodare (6). Isabella segnalò egli stesso nell’ arte del fabbricarle. Non è qui il caso di rammentare a qual gloria assorgessero le nostre ceramiche

    (1) Renier, Gasp. Visconti, Milano, 1886, pag. 37 e s e g g . artistiche. Diremo invece che anche a questi prodotti la mar (•2) Per gli orologi pubblici in Ferrara vedi L. N. C ittadella, Do­ chesa mostrò d’interessarsi, e siccome le fabbriche mantovane cumenti ed illustraz. riguardanti le belle arti in Ferrara, Ferrara, 1852, non giunsero mai ad essere le migliori, commise ceramiche a prg. 20 e segg. Il grande orologio mantovano fu costrutto da Barto­ lomeo de' Manfredi, su cui vedi ciò che scrissero il Braghirolli, il Da- vari e il Gabotto (1) Un « orologio da sole d’ottone dorato dentro una scatola di noce (3) Molte ne riproduce il R a c i n e t nel voi. IV del Costume hislo- fatta al torno » è, fra parecchi altri piccoli orologi, in un antico inven­ rique. tario estense. Vedi C a m p o r i, Cataloghi, pag. 45. L' orologio a sole di (4) Per la bibliografia del soggetto vedi P. D o b o is , Eorlogerie, nel Isabella fu da lei perduto dopo il sacco di Roma. voi. II della raccolta Le Moyen dge el la Renaissance. Migliori notizie (2) F r a n k l i n , op. cit., pag. 67. in J L a b a r t e , Histoire des arts industriels, Paris, 1872, voi III, (3) Vedi « uno orologio da sabione » descritto in C a m p o r i, Catalo­ pag. 400 e segg, e specialmente in F r a n k l i n , La mesure du temps, ghi, pag. 32. Paris, 1888, pagg. 66, 77 e 84. (4) B ertolotti, Artisti, pagg. 9 1 -9 5 , e Arti minori, pagg. 7 4 -7 5 . (5) Su di lui qualche notizia in B ertolotti, Arti minori, pag. 42. (5) Vedi L. A. Gandini, Tavola, cantina e cucina della Corte di (6) C ia n in Giorn. stor. d. lett. italiana, voi. IX, pagg. 109-110. Ferrara nel Quattrocento, Modena, 1889, pag. 18 e segg. 7 5 74 IL LUSSO DI ISABELLA D 'ESTE MARCHESA DI MANTOVA V. - L.’ ARREDO DEGLI APPARTAMENTI Ferrara, a Venezia, a Faenza e specialmente alle rinomate fab­ L’inventario degli oggetti posseduti da Isabella ci dà conto briche del territorio di Pesaro e Urbino (1). Ma a noi sembra d' una serie copiosa di vasi d’ ogni specie in metallo, in vetro, di non ingannarci asserendo che il suo gusto aristocratico, av­ in porfido, in diaspro, in ambra, in ogni altra maniera di pietre vezzo agli splendori degli ori e degli argenti, non s’acconciò rare, da lei posseduti. L’ avere una ricca collezione di queste troppo di buon grado a sostituir loro 1’ uso delle ceramiche, al­ preziosità, da porre accanto alle numerose anticaglie ed ai pro­ meno per la mensa. Non troviamo nessun documento che ci di­ dotti delle arti maggiori ne’ suoi camerini e nella grolla, era mostri in lei per le terracotte e le maioliche quella passione un’ aspirazione ardente dell’ anima sua. Basta vedere con quale che ravvisammo per tanti altri generi di lusso. E invece le or­ passione contratta nel 1502 il cambio di due vasi, uno di cri­ dinazioni di argenteria non cessano mai. 11 15 novembre 1496 stallo e l’altro d’agata, con panni ragusei (1); con quanta in­ fa sapere a Pietro Albano: «Lo ill.rao Consorte et nui siamo sistenza nel 1506, dopo la morte del Vianello, interessa Pietro talmente exhausti de arzenti, corno sapeti, che n' è forza prove­ Bembo ed altri per ottenerne, di tra le belle cose da lui la­ derne, et havemo comesso al mag.00 Zo. Brognolo che ne ritrovi sciate, un vaso d’ agata ed un quadro della « sommersione di arzento da lavorare per 1500 ducati a termine uno anno ». Lo Faraone in pictura», che non è escluso fosse opera di Gio­ prega pertanto di trovare una sicurtà, rammentando quanto leal­ vanni van Eyclc (2); con quanta espansione ringrazia il 27 giu­ mente abbia altra volta soddisfatto i suoi impegni. Nell’ agosto gno 1529 il Cardinal Palmieri per due vasi eh’ ei le procurò del 1512 si fa mandare, forse in prestito, da Galeazzo Pallavi­ da Napoli. Nel 1515 Lorenzo Cambi eseguisce in Firenze la cino « 15 piatti et 15 tondi d'argento » per il banchetto che do­ commissione di due candelieri d'alabastro fattagli verbalmente veva offrire al cardinale Gurgense ed al viceré. A Venezia, quando dalla marchesa. Nel gennaio 1503 Isabella è tutt’ intenta alla vi fu nella primavera del 1530, comprò sei tazzoni d’ argento, ricerca d’una statuetta di bronzo che possa far riscontro al disdicendo l’ordinazione antecedentemente data a Sebastiano « putino dal spine » eh’ essa già possedeva (3); ed arbitro nella orefice in Mantova (2), e si fece fare una bacina d’ argento con scelta fu lasciato un orefice e medaglista in cui essa aveva piena in mezzo lo stemma. Ma quella bacina pare non fosse mai finita fiducia, Pier Iacopo Alari Bonacolsi, detto l'Antico (4). E pre­ o non riuscisse di suo gusto, perchè il 5 settembre del 1530 ziosa per chi indaghi il gusto d' arte della marchesa una serie ella scrive allo Ziliolo: « Io desiderarei far fare una bacina d’ar­ di lettere corse nel 1504 fra lei e l’Antico circa l’ordinazione gento da tavola, et perchè tutti questi aurefici di Mantova si tro­ d’ una figurina d’oro di san Giovanni Battista, che doveva andare vano adesso occupati et in cose mie et del ili.™0 Sig.1' Duca mio « in una filza de la corona portatila ». Da quella serie si può figliolo, talché diificilmente potriano far questo lavorerò de quella bellezza eli’ io lo desidero, siati contento dar opera lì in Ferrara (1) Oggetti diversi si solevano trarre da Ragusa, fra cui anche tap­ di trovare uno aurifice che voglia pigliare l’assunto di fare peti, schiavine, zambellotti. Vedi Lanza di Scalea, Donne e gioielli, dieta bacina quanto più presto sarà possibile ». Ma poi riuscì a pag. 157. combinare in Mantova stessa. (2) Sull' importante e intricato quesito ritorneremo altrove. Per ora basti il sapere che la Sommersione viene assegnata da un documento mantovano a Ianes de Brugia, nome con cui fu tante volte designato (1) Cfr. B ertolotti, La ceramica alla Corte di Mantova in Arch. il van Eyck. Risolta la difficoltà cronologica, potrebbe peraltro essere il stor. lombardo, voi. XVI, pag. 808 e segg.; Cam p o r i, Notizia delle ma­ dipinto di Giovanni Sehorell, che passò poi nella raccolta Giglio. Cfr. Ano­ ioliche e delle porcellane in Ferrara, Pesaro, 1879, pagg. 12-13, 20- nimo morelliano, pagg. 32, 178-179. 21, 77 ; B raghirolli, Lettere ined. di artisti, Mantova, 1878, pagg. 25- (3) Sarà stato probabilmente una copia del fanciullo che si leva una 26 e 45-47; M o l i n i k r , La céramique ilalienne au xv° siècle, Paris, 1888, spina dal piede, opera antica che ora si ammira nel museo Capitolino. pag. 42, e il nostro Mantova e Urbino, pagg. 286-287. (4) Armand, voi. I, pagg. 61-62, e il bel lavoro di U. Rossi, che è (2) Sebastiano Averoldi orefice e zecchiere, su cui vedi B ertolotti, il secondo nella sua memoria intitolata I medaglisti del Rinascimento Arti minoH, pagg. 39 e 46. alla Corte di Mantova. 77 76 IL LUSSO DI ISABELLA D’ ESTE MARCHESA DI MANTOVA V. - L’ ARREDO DEGLI APPARTAMENTI

    vedere quanta cura ponesse quella eccelsa donna nelle commis­ 1‘ altro bianco del suo avorio, che siano dela grandeza de questi sioni di simil genere e come ci pensasse e ripensasse di con­ che vi mandiamo in la scatola per mostra; ma del garbo et foggia tinuo affinchè gli oggetti commessi rispondessero al suo ideale (1). che a lui parerà, purché siano belli et excellenti et ben propor- Nè meno significante è il carteggio per certe statuette a lei ce­ cionati da cognoscersi uno scaco da 1’ altro, nè vi rincrescerà dute per antiche dall’ orefice Raffaello da Urbino, mentre in sollicitailo aciò che presto siamo servite ». Cleofas ne mandava realtà antiche non erano (2). In questo genere di trattative la un saggio, ed ecco la marchesa che riscrive al Vincemaglia (4 gen­ Gonzaga poneva tutta 1' anima sua, come se si trattasse dei più naio 1512): «Ye remandamo la mostra de li scachi facti per gravi negozi politici. Cleophas, quali ne piaceno molto, e speramo, come vui scriveti, Per intagli e oggetti di legno, d’ osso e d’ avorio, Isabella eh’ el li megliorarà, maxime lo arfilo (1), qual voria avere quelle ricorreva spesso a Cleofas de Donati, tornitore milanese, il quale, tre branche di sopra più distincte et ardite, cioè che guardassino come di freqqgnte soleva accadere, divenne in seguito suo cor­ in suso, et la pedona voria essere un poco più altetta et più rispondente anche per altre cose (3). La prima ordinazione no­ forte. Il resto de fogia et garbo ne piace summamente, precipue tevole che a lui troviamo affidata è quella d’ un giuoco di scacchi. lo cavallo, che non potria essere più bello. Sichè fatili subito Isabella era buona giuocatrice di scacchi e le piaceva di avere fare». Dopo quel tempo le commissioni a Cleofas si sussegui­ dei tavolieri e delle figure che corrispondessero all’ eleganza delle rono. Nel 1512 egli mandò alla marchesa una bacchetta d’avorio, altre sue suppellettili. Non si spingeva certamente al lusso dei e due altre « de barbise de balena » (2), e pezzi d’ ebano e saggi giuochi di scacchi medievali, in cui talora il tavoliere era d’oro di lavori d’ osso per una corona; poi nel 1514 dei bottoni ben e d’ argento e le figure pur metalliche tempestate di pietre pre­ lavorati, e allora e in appresso di quei bossoletli per mettervi ziose (4), ma si rammentava i bei giuochi che aveva a casa sua, dentro profumi, di cui parleremo in seguito ; e nel 1523 due a Ferrara (5), e non voleva essere da meno. Infatti già nel 1491 corone, e poi vasetti forse d’ avorio nel 1524, e scatole nel ordinò al Brognolo uno scacchiere d’ avorio che le costò cinque 1530. In quell’ anno (e non sarà stata la prima volta) abbiamo ducati. Ma quello fatto da Cleofas doveva riuscire di ben altra ric­ sicura notizia che Cleofas fu a Mantova in persona. E vi tornò chezza. «Mandiamovi », scriveva Isabella ad Angelo Yincemaglia probabilmente nel 1531 ; almeno la marchesa gli fece avere l ’ 8 dicembre 1511, « un pezo de ebano, qual dareti a Cleofas una patente di libero transito a questo scopo. Egli allora era dicendogli eh’ el ne facci d’ esso un gioco de scaccili negri, et entrato talmente nelle grazie della nostra gentildonna, che essa gli dava incarichi d’ogni specie: lo faceva contrattare con gli artefici per la costruzione e pel trasporto di certa fontana, gli (1) Le lettere caratteristiche sul san Giovannino sono edite da U. Rossi, Antico, pagg. 19-24. faceva comperare un gatto di Spagna « di grandezza comune ma (2) Cfr. il nostro Mantova e Urbino, pagg. 284-286. bello da portare suso la spalla », gli faceva sollecitare da un (3) Di Cleofas è finora soltanto noto ciò che ne scrisse con garbo Niccolò, che chiama «mio au refice », certe « agocchie ». Non il B raghirolli, Lettere ined. di artisti, pagg. 31-32 e 51-52, e quello deve far meraviglia il veder commessi degli spilli a un orefice. che ne accozzò senza discernimento il B ertolotti, Arti minori, pag. 179. Nel 1490 doveva fare cento « agugii... de bono cullo » l’ore­ fice Meliolo (3). Per quanto già nel secolo xm esistessero in (4) A. S c h u l t z , Das hófische Leben, voi I, pag. 415; Strohm eyer, Das Schachspiel im altfranzósischen, nelle Abhandlungen dedic. al Tobler, Halle, 1895, pagg. 400-441. Un giuoco di scacchi in argento con tavo­ (1) Arfilo è Yalficus antico, cioè Vaufin dei Francesi, che equivale liere d’avorio intarsiato è nell’inventario delle gioie di Leone X.(Arch. all 'alfiere. Nel volgarizzamento antico del libro sugli scacchi di Iacopo stor. dell’ arte, voi. I, pag. 71). Anche nel corredo della contessa di da Cessole lo si trova chiamato alfino. Vedi ediz. di Milano. 1829, Mesocco figura « un tavolino de avolio con scachi, tavola et dadi d’ar­ pag. 26. gento » ( M o t t a , Nozze principesche, pag. 35). (2 ) Documenti editi dal Braghirolli nel luogo menzionato. (5) C a m p o r i, Cataloghi, pag. 33. (3) M e r k k l , Tre corredi, pagg. 4 7 -4 8 . 8 78 IL LO SSO DI ISABELLA D’ESTE MARCHESA DI MANTOVA V. - L’ ARREDO DEGLI APPARTAMENTI 7 9

    Parigi parecchie fabbriche di aghi (1), gli spilli fatti con garbo avolio, 1’ altro de corno, lo legno de ebano et pezo de avolio».’ 11 erano molto stimati, sicché talvolta li troviamo indicati nei cor­ 23 settembre 1506, avendo inteso che Lorenzo disegnava di venire redi (2). Il 3 gennaio 1491 Isabella spedisce in Francia alla co­ a visitarla e portar seco alcune belle cose, tra le quali una viola, gnata Chiara « quatro miara de agugie damaschine, non perchè gli mostra il desiderio ch’essa sia di ebano o di sandalo, e frat­ sia presente digno di lei, ma solum per havere inteso da Salvo tanto si fa spedire un pezzo d’ ebano « grande circa uno pede che non ne sono in quelle parte de simili sorte. Havea anche per quadro et grosso più che se ritrova ». Da questi pezzi d’ebano mandato a tuore di cimbali per mandarli a le sue puttine, ma e d’ avorio la marchesa faceva poi trarre oggettini diversi di sono tanto malfacti, che ne par meglio ritenirli qua che dare galanteria. Caratteristica è in proposito la seguente letterina che questa vergogna a la Italia de lavorare cussi male ». Escla­ ella inviava a Lorenzo il 24 gennaio 1511: « Perchè facemo mazione caratteristica che vale meglio di cento ritratti ! fare un bambino di avolio di quel pezo che già più mesi ni man­ Altro provveditore ed artefice d’ oggetti di legno e d’ebano, daste, li manca da fare una mane con la balla di la grandeza e nel tempo stesso confidente e corrispondente, era Lorenzo da che vedereti per la mostra quale vi mandiamo. Pregamovi ad Pavia, che già più d' una volta abbiamo avuto a nominare. Lo­ volerni comparare tanto che basti a farla. Appresso vorressimo renzo Gusnasco di Pavia, dimorante in Venezia, fu valentissimo che ni facesti fare un peducio o sia basamento di ebano, di la intarsiatore e conseguì speciale celebrità nella costruzione di grandeza che vedereti per la mostra di legno et disegno in carta, strumenti musicali. E fu appunto questa abilità straordinaria che che sono una cosa medesima; ma fargli dare megliore gratia che 10 mise in relazione con la marchesa, la quale se ne servì per non hanno saputo dare questi nostri tornidori : qual basamento un ventennio, non solo per la fabbricazione di quelli strumenti volemo pur per posarvi suso ditto bambino ». Nel medesimo che essa, appassionata musicista, amava perfetti ed eleganti, ma anno, il 30 marzo, gli commetteva una corona d’ebano: « Vo- per 1’ acquisto di oggetti d’ arte, di vetri preziosi, dei libri im­ ressimo che ni facesti fare una corona de ebeno alla foggia che pressi da Aldo Manuzio, di cui era tanto ghiotta (3). Ma qui è el pater nostro che vi mandamo qui annexo, signata da teste- noi lasciamo da parte tutte le commissioni che si riferiscono alle cine de morto più grossette dii resto di la corona, che saranno arti maggiori ed alle lettere, per limitarci a quelle d’ oggetti octo segni et uno maggiore de li altri da mettere de sopra ... di lusso. Nel 1496 Lorenzo lavorava in avorio per Isabella ed ma vogliati pigliare cura che siamo meglio servite in questa anzi, a quanto riferiva Alberto da Bologna il 21 novembre di che non fussemo in quella de aloe, perchè la non era molto ben quell’ anno, poco mancò non infermasse gravemente per eseguire facta nè con la diligentia che voressimo. Et sopratutto fati eh’ el con prontezza certa bacchetta che la marchesa gli aveva ordinata. ebeno sia bellissimo ». Il 9 giugno 1524, essendo morto da pa­ Nell’ottobre del 1498 quella bacchetta non era ancora terminata, recchi anni Lorenzo, la marchesa, nello spedire a Venezia due poiché la Gonzaga gliela facea chiedere e insieme gli rimandava cassette d’ avorio per farle racconciare, dovette raccomandare a 11 bel liuto d’ebano, fabbricatole l’anno innanzi da Lorenzo (4), Battista Malatesta di darle « a quel maestro a chi ne fu parlato affinchè ne assottigliasse il manico. Il 28 marzo 1500 Isabella ri­ quando noi eravamo in Venetia, che sta in Merzaria et tiene il ceveva da Lorenzo, col liuto suddetto, anche « li pettini, 1’ uno de signo dell’Angelo ». Non sappiamo per qual ragione, già nel 1516, Isabella si rivolgesse a Bernardino de’ Prosperi, anziché a Lo­ (1) Franklin, Magasins, voi. II, pag. 167 e segg. renzo, per un crocifisso d’ avorio su croce d’ ebano. La marchesa (2) In quello di Anna Sforza (ediz. G. A. Venturi, pag. 28) figurano avrebbe desiderato che lo facesse un Michele tedesco, valentis­ infatti le « agugie da pomello e da cusire ». simo in simili lavori, ma egli era già morto, onde il Prosperi (3) Per quel che v’ è di stampato su Lorenzo vedi le nostre Relaz. con gli Sforza, pag. 121, nota 4 si rivolse prima ad un « maestro Paulo intagliatore, quale sta (4) Vedi il bel documento del 3 febbraio 1497 edito da W. B r a g h i - da San Leo, che dice esser corno fratello de maestro Antonio r o l l i , Leti. ined. di artisti, pagg. 2 6 -2 7 . Lombardo », e poi cercò di avere un crocifisso di Michele te­ 8 0 IL LO SSO DI ISABELLA D’ESTE MARCHESA DI MANTOVA V. - L’ ARREDO DEGLI APPARTAMENTI 81

    desco posseduto da una famiglia privata. Come appare da let­ vetro, che non presentava la solidità nè il valore intrinsecò dèi tera del Prosperi del 10 maggio 1516, non si mancò di consul­ metalli. Isabella peraltro, che pur non ebbe, come notammo, tare Lorenzo, ma egli non ebbe parte diretta nelle trattative (1). grand’ amore per la ceramica, mostrò invece simpatia immensa 11 crocefisso fu poi lasciato dalla marches'a, nel suo testamento» pel vetro lavorato (1). Sin dall’ottobre del 1495 troviamo “che ad una delle figliuole monache. essa ordina al Brognolo delle spolette di vetro. Ne vuole cin­ A Lorenzo da Pavia ricorreva pur anco di frequente la quanta nere, cinquanta torte, cinquanta gialle, e tutte « grosse nostra gentildonna per 1’ acquisto di quei vetri di Murano che in mezzo » e che si vadano « subtiliando da li capi ». Altre spo erano la sua delizia. Derivi 1’ antichissima e vaghissima arie M te simili gli ordina il 19 marzo 1496, ma questa volta ne vuole dall’ uso dei musaici ovvero sia provenuta dall’ Oriente con le dugento di berettine, cento di verdi e cento di turchine « che conterie, come altri suppone, fatto è che a Murano la fabbrica­ più presto siano azzurre che troppo chiare ». Il 14 ottobre 1498 zione del vetro e poi del cristallo assunse fin dal medioevo una commette a Tolomeo Spagnolo due tazzette, e gli ingiugne di importanza stragrande e si venne sempre più perfezionando nel farsi dare i denari per pagarle da qualcuno delle legazioni man­ xv e nel xvi secolo (2). V’ erano in quell’ isoletta, che divideva tovana o ferrarese, ovvero da Pagano o da Pietro Albano. De­ la sua celebrità fra i vetri e gli orti, centinaia di fabbriche, che sidera, il 18 novembre 1500, otto o dieci bicchieri col manico, alimentavano legioni di operai, stretti in corporazioni, distinti ed altri otto o dieci di « altra fogia et garbo, sì che siano dif­ secondo la qualità del loro lavoro in perlari (margaritai), pa- ferenti da quelli, ma che siano bene di tanta grossezza ». E ternostrari e supialume (fialai). Trentamila abitanti aveva nel vuole che l’ incaricato « usi ogni diligentia perchè siamo ben Cinquecento quell’ isola che oggi ne conta solo quattromila ! (3). servite, havendo advertentia ad farli fare schietti et politi ». Nel Narrasi in un antico libro che quando l’ imperatore Federico III luglio del 1502 riceveva da Venezia una « cassa de vetri » e ne fu a Venezia nel 1468 il Senato veneto gli presentò un magni­ accusava ricevuta a Taddeo Albano. Nel settembre del 1503 è fico vaso di vetro muranese, che il Monarca, fingendo inavver­ incaricato il fido Lorenzo da Pavia di far fare « dui vasi da be- tenza, si lasciò cadere di mano, sicché andò in frantumi. Di che vere a qualche bella foggia ... che siano apti al bere et de in­ dolendosi egli osservò che quelle scheggie non valevano più ventione non più facta, grossi de vetro et schietti ». Lorenzo nulla, mentre se il vaso fosse stato d’ oro, non solo, cadendo, risponde che quei maestri sono « poveri de invencione », onde non si sarebbe rotto, ma anche rompendosi, i pezzi avrebbero prega la committente di far disegnare lei « qualche fantasia così conservato un certo valore. L’ aneddoto, se non dipinge quel di grosso », eh’ egli poi curerà si eseguisca. D’ un’ altra ordina­ coronato come un fiore di cortesia, può essere significativo perché zione abbiamo sentore da un biglietto inviato a Taddeo Albano prova come i più alti personaggi avessero in dispregio anche il il 28 maggio 1505: « Piacciavi far intendere a maestro Anzeletto che lavora li vetri a Murano eh’ el non facci più quelli vasi (1) Qualche indizio di esse pubblicò il B ertolotti, Arti minori, cristallini che li ha ordinato Zoan Francisco da la Grana da pag. 175; ma quelli interessanti documenti meriterebbero d’essere cono­ nostra parte; ma havendone facti alcuni, ve li fareti dare et ce sciuti interi. Qui non si può farlo per la loro soverchia lunghezza. (2) I,’ arte muranese del vetro ha una ricca letteratura, di cui si po­ li mandereti facendo il conto cum lui sopra otto ducati che li trà trovare registrata una parte nelle bibliografìe del Cicogna e del So- furono dati per caparra ». Intorno al medesimo argomento scri­ ranzo Fondamentale rimane pur sempre la monografia di V. L a z a r i , L es veva all'Albano il 21 agosto 1505: « Vi doveti ricordare che verreries de Murano in Gaz des beaux-arls, 1861, voi. XI, pag. 320 m.ro Anzelino da Murano ne restò debitore de otto ducati per e segg. Vedi anche L a b a r t e , op. cit., voi. Ili, pag. 377 e segg.; Y r i a r t e , li vasi che volevamo eh’ el ne facesse, quali puoi facessimo so- Venise, Paris, 1878, pag. 201 e segg.; Urbani de G heltof, op cit., pag. 203 e segg. ; G e r s p a c h , L’arl de la ver rerie, Parigi, 1886, pag. 138. (3) Vedi M olm snti-M antovani, Le isole della laguna veneta> (1) Delle notizie che daremo alcune furono insaccate nello zibal­ Venezia, 1895, pag. 133. done del B ertolotti sulle Arti minori, pagg. 1 9 0 -1 9 2 . 82 IL LO SSO DI ISABELLA D 'ESTE MARCHESA DI MANTOVA v. - l’ arredo degli appartam enti prastare, ma ni promise fami altrotanto lavorerò. Pregamovi habbino li fili bianchi schietti senza oro Et vi piaccia che in captarli siati cum luy et ne faciati fare quatro vasi de la fogia del de­ conducati con voi per compagno Alphonso Faccino, qual è lì in Venetia, signo che vi darà Franceschino, et ultra di questo dui fiaschi perchè ambidui insieme, 1’ uno col parere de T altro, sarete più atti a sa­ di bel garbo, et puoi tanti altri vasi, de'diverse et varie sorte tisfare a l’intento nostro. Li potreti poi consignari a Joanbono Andréasio da bere, che pigliano la summa de li’ ditti otto ducati, mandan­ exhibitor presente, al quale havimo dato special carico de farceli bavere. doceli per il primo burchio venirà in qua doppo che li havereti Et dii costo vi saranno poi rimessi li denari. Et bene valete. Mantuae, hauti ». Ma 1’ affare non procedeva bene. Il 5 dicembre Isabella 2 maii 1529. replicava la commissione, e sembra Angioletto le facesse rispon­ Il Cardinal Pisani potè esser certo di procurare la più grata dere che aveva perduto i disegni dei vasi Onde il 27 aprile 1506, sorpresa ad Isabella, quando le fece trovare a Mantova, nel suo da Sacchetta, mentre in Mantova imperversava la peste, la ritorno da Venezia, una cassa di vetri di Murano. Isabella lo Gonzaga diceva all’ Albano : « Non credemo che maestro Anze- ringraziava con vera effusione : « mi piacquero tanto per essere letto abbia perso gli designi de quelli nostri vasi, perchè due bellissimi che veramente mi parve d’ essere ritornata a Murano » volte mo li ha hauti, ma credemo lo facci per non ni volere (5 luglio 1530). Infatti nella primavera del 1530 la marchesa erasi satisfare. Et acciò che più non habbi questa scusa, pregamovi recata a Murano e vi aveva visitata la casa Priuli e l’orto del Li- siati cum lui, stringendolo a farci tanti vasi crestnlini de diverse pomano; ma s’era specialmente fermata alla bottega della Sirena. fogg;e da bevere, corno a lui parirà, che siano belli, et fra’ quali Iacopo Malatesta così ne informa Federico Gonzaga : « Madama siano almanco due o tre sechiette come scià che nui usiamo da è stata a Murano con molto suo diletto et ha veduto gli vetri bevere acqua ». Il 9 aprile 1507 fa ordinare da Lorenzo di Pavia bellissimi che vi sono et quelli di la Serena fatti a similitudine cinque filze di paternostrini di vetro e gli manda insieme « una di credenza mandata al S. Turco, che gli è parsa cosa maravi- piadenetta de argento » acciò ne commetta a Murano cinque si­ gliosa: et certamente si pò dire cosa excellente et rara, ma mili « di vetro de smalto de diversi colori ». Il 20 maggio 1521 quasi tanto rara quanto se fusse gioie» (24 maggio). E anche: incarica un Formigon di far eseguire a Murano all' insegna della « Dappoi andò a vedere gli vetri alla botega de la Serena et Sirena (1) « certi scudellini di vetro di smalto bianco », già or­ per esser quelli excellenti et rari, li vide con tanto suo diletto dinati dai suoi credenzieri quand’ era stata a Venezia, e insieme et piacere che più non potria desiderare, et al presente ha le dei vasi da bere e delle « boccaline di vetro cisellate ». Appena più belle cose che già mai 1’ havesse. Il signor Duca di Ferrara tornata da Roma, ove assistette agli orrori del sacco, eccola a vi era stato da poco inanci et vi lassò de molti ducati. Madama ordinare il 18 giugno 1527 a Giov. Battista Malatesta « una cesta ill.a ha anche comprato alcuni vasi molto belli » (28 maggio). di belli bicchieri de diverse foggio et che siano de fino cristalo, Anche nell’ ottobre del 1533, quando la vecchia marchesa si et sino a due dozzene di boccaline piccole di la fogia che si usa recò di bel nuovo a Venezia, non dimenticò di fare replicate in Roma ». Altri vasi commetteva il 4 maggio 1528 « a simili­ visite a Murano, e di là si faceva inviare, ancor nel febbraio tudine de li due di terracotta » e ne voleva un terzo col boc­ del 1534, sei « boccalini di vetro » fatti ad una foggia da lei chino e due manichi. Della predilezione d’Isabella pei vasi mu- designata. Si può dunque dire che la passione per quei leggiadri ranesi è bell’ indizio questa letterina a Iacopo Malatesta : gingilli d’ arte vetraria la accompagnasse veramente sino ai suoi anni più tardi, quando ormai il suo desiderio di lusso s’ era ve­ Persuadendomi che alle apoteche delli vitriari a questa Ascensa ap­ pariranno qualche belli vasi novi, siati contento de ritrovami sino a dieci nuto illanguidendo. Fioriva in Murano anche 1’ arte di fabbricare gli specchi o dodici vasi da bevere che siino varii di foggie, taze et bichieri, et che di cristallo. Nota quest’arte in Italia fin dagli inizi del secolo xiv, (1) Il L a z a r i (op. cit., pagg. 325-326) menziona come famosa l'in ­ come chiaro apparisce dalle allusioni di Dante all’ impiombato segna dell’Angelo, sotto la quale lavorò nel secolo xv Angelo Beroviero. vetro, era passata in Germania ed in Fiandra, quando in sul prin­ Si IL LUSSO DI ISABELLA D’ESTE MARCHESA 01 MANTOVA VI. - L’ ARREDO DEGLI APPARTAMENTI 8 5 cipio del xvi secolo i muranesi Andrea e Domenico dal Gallo la milmente li abiamo tolti a piazimento a termine de 20 giorni. fecero risorgere in Italia e la condussero a grande splendore (1). De quelo che non è fornito ne vogliono ducati 4: de quelo che Gli specchi grezzi si facevano a Murano, ma la spianatura e la è fornito ne vogliono ducati 6». Ringrazia Isab* Jla il 16 mag­ lustratura erano date a Venezia da artefici speciali. Tuttavia gio 1514 il magnifico Giuliano de’ Medici del dono d' uno*spec non è da credere che questi prodotti * dell’ arte vetraria si con­ cliio, « il quale per amore di quella volemo sempre bavere per quistassero subito la simpatia dei grandi signori. Gli specchi di una delle più care cose che habbiamo». Che quello specchio metallo, famosi già in Etruria ed in Roma (2), per secolare uso fosse d’acciaio risulta da una lettera di Giambattista Cattaneo divenuti abituali nei nostri palazzi (3), non si lasciarono che con del 13 giugno 1514 in cui se ne annuncia la spedizione. Era or­ qualche stento cacciare di seggio dai loro fratelli, forse più ni­ nato di legno e il Cattaneo finisce di parlarne esclamando : « Ben tidi ma certo più fragili, di cristallo. Gli specchi d’acciaio si gli dico che 1’ è una cosa rarissima ». continuarono ad adoperare sino al finire del secolo xvi; nel 1572 un Francesco Zamberlan godeva ancora d’ un privilegio in questa fabbricazione (4). E della promiscuità dell’ uso ci offrono prova VI. novella i documenti mantovani. Con queste irose parole respin­ Tappezzerie: la prima fabbrica italiana di arazzi a Mantova. — I corami spa­ geva Isabella a Lorenzo da Pavia uno specchio che non le an­ gnoli e loro voga in Italia. — Gli « sparaveri » o baldacchini da letto. — dava a’ versi : « Ve remandamo el spechio de cristalo perchè Le lettighe e le « carrette ». — Isabella introduce per prima a Roma l’uso non ce piace, nè vui havereti da cercarne più nè di cristalo nè delle carrozze. de azalo, sperando che qua saremo servite » (3 aprile 1502). Ma come soleva sempre avvenire, quello sdegno sbollì presto. Al lusso degli appartamenti contribuivano in altissimo grado Nell’ autunno del 1506 la marchesa è tutta lieta per un bellis­ le tappezzerie, che qualche volta erano fisse alle pareti, più spesso simo specchio di cristallo che Lorenzo le invia, tutto adornatn si lasciavano staccare e venivano quindi usate per addobbare le di mano sua, e per compensarlo gli dona venti ducati. In quel stanze nelle occasioni solenni. Questa è la ragione per cui tali medesimo tempo riceveva da Vincenzo Albano uno specchio di tappezzerie, chiamate di solito col nome generico di apparamenli, acciaio che pagava due ducati. Il 17 agosto 1510 Taddeo Al­ si prestavano volentieri da una Corte all’ altra non meno delle bano, per corrispondere al desiderio espresso dalla marchesa, le argenterie. Isabella se ne faceva, all’ occorrenza, prestare da Fer­ manda a scelta delle turchine ed a scelta pure due specchi : rara e da Milano, e a sua volta ne mandava ai signori di Correggio, « Per la terza lettera V. Ex. richiede uno specchio de azalle che ai duchi d’Urbino, ai Pio di Carpi, ai Pico della Mirandola, alle sia bono; et cossi insieme cum Lorenzo de Pavia ne habiamo minori famiglie dei Gonzaga, specialmente a quella di Gazzuolo. trovato doi, che sono li migliori che abbiamo trovato, quali si­ Le tappezzerie solevano essere di raso o di broccato. Il 6 ot­ tobre 1495 la marchesa chiedeva al Brognolo che togliesse a (1) Vedi i documenti che ne produsse il Lazaki, op. cit., pagg. 3 3 0 - credenza « a più tempo che si può sei pezi di raso a verdate de 332, dal quale ripetono le loro notizie 1’ Urbani, il Gerspacli ed altri. cinque et sei braza 1’ uno, che siano belli, per mettere nella ca­ (2) M anosi, Il costume e l'arte delle acconciature nell' antichità, mera nostra ». Tappezzerie di gran lusso erano gli arazzi (panni Milano, 1895, pagg. 120-21 e 154. di razza), la cui fabbricazione passò nel Quattrocento di Fiandra (3) Vedi specchi d’acciaio nei corredi della contessa di Mesocco e d 'Ippolita Sforza in M o t t a , Nozze principesche, pagg. 22, 79. Anche in Italia. La prima fabbrica che se n’ ebbe fra noi fu manto­ tra gli arnesi da toilette d’ una dama francese del secolo xv descritti da vana (1), e da Mantova l’industria passò a Venezia, a Milano (2), Oliviero de la Marche v’è uno specchio d'acciaio; C i b r a r i o , Economia politica del medioevo, voi. III. pag. 137. (1) B raghikolli, Sulle manifatture di arazzi in M antova, Man­ (4) Z anetti, Degli specchi a Venezia, Venezia, 1867; M c l a n i , Svaghi tova, 1879; cfr. M u n t z , La tapisserie, pag. 161 e segg. artistici femminili, pagg. 312 e segg. (2) D’ A dda in Arch. stor. lombardo, voi. 1, pag. 28 n. 8 6 IL LUSSO DI ISABELLA D’ESTE MARCHESA DI MANTOVA VI. - L' ARREDO DEGLI APPARTAMENTI 8 7

    a Ferrara (1), a Siena. Ma nei documenti nostri non vi sono indizi le coltrine da coprire una camera integra ». Un anno dopo,'mag­ di acquisti di arazzi, seppure non è un arazzo (com’è verosimile) gio 1501, essendo di nuovo in procinto di partorire, chiese al quell’ apparamento del Re di Francia che Francesco Gonzaga padre gli stessi corami dorati «per coprire tutta una camera». conquistò a Fornovo e che Isabella voleva tenere come trofeo di 11 7 giugno 1505, per mezzo dello Ziliolo, contratta corami d’ oro vittoria (2). Continue erano invece le. richieste di cuoi dorati. a Ferrara, e ne vuole quarantacinque pezzi, se j fabbricatore Con questi corami, ornati di rabeschi d’ oro e d’ argento, sole- può darglieli « per quello medesimo precio eh’ el faceva a la vansi coprire le pareti nelle ricorrenze solenni. Si chiamavano fe. me. del S.re nostro patre ». Nel settembre del 1516 ne ordi­ cuori d’ oro, o semplicemente, in un vocabolo solo, coridori, ed nava a Giambattista di Mogliano, ma avendo poi saputo che se erano assai pregiati per la resistenza che opponevano all’ umido ne trovavano di migliori in Roma, gli levava 1’ ordinazione : ed all’ ingiuria del tempo. Gli Italiani, abilissimi nell’ arte di con­ Circa li curami, sappiati che pochi giorni fanno essendo nui sopra ciare le pelli, furono maestri di cuoi dorati agli Spagnuoli, che tale materia in ragionamento con lalll.ma S.ra Duchessa di Urbino nostra poi ne fabbricarono di eccellenti e li introdussero in Francia. Cognata et sorella hon.», fossimo da S. Ex. exhortate a fornirni de essi Venezia aveva il primato in questo ramo d’industria, sicché si a Roma perchè più presto gli haveressimo là, et tanto bene come in Hi- calcola che ne ricavasse un profitto netto di centomila ducati spagna propria saressimo servite, per ritrovarsegli alcuni Spagnoli che l’anno; ma anche Ferrara, in seguito, vi si segnalò (3). Quando di questo mesterò lavorano benissimo. Per il che havendo nui uno nostro, nacque il primogenito Federico, la marchesa scriveva (17 mag­ qual presto è per andare a stare quslche giorni et mesi in Roma, per gio 1500) al padre : « Per honorare el mio felice parto, prego la via del quale sapemo che con presteza potressimo essere servite, ha- V. Cels.ne che me voglia servire del suo aparamento de coramo vemo voluto notificarvi che non havendo voi fin qui dato ordine alcuno d’ oro per coprire una camera ». Ma per equivoco non le giunse che ditti curami siano fatti, nostra intentione è che più non pigliati quello eh’ essa desiderava, onde eccola ad insistere il 21 mag­ cura di farli fare, perchè li faremo fare in Roma. gio, rivolgendosi ad Alessandro Pincaro : « Noi scrivessimo a lo Mantuae, in Nov. 1516. IU.mo S.e nostro patre che ce volesse prestare lo apparamento da coprire una camera de li soi corami dorati, ma solum ni è Da questa lettera si ricava che già in quel tempo i corami spa­ stata mandata la trabaca da lecto (4), che non è al nostro di­ gnuoli stavano per prender la mano ai nostri (1). Tuttavia in segno. Di nuovo scrivemo a Hieronimo Ziliolo che ce mandi tutte seguito la marchesa si rivolse a Venezia per averne, e nel set­ tembre del 1530 si mostrò soddisfattissima d’ una spedizione che gliene fece Domenico Veniero: « invero sono bellissimi et tanto (1) Cfr. Campori, Sulla manifattura degli arazzi in Ferrara, e G a n d i n i , Saggio cit., pag. 17. ben lavorati quanto io stessa havessi saputo desiderare ». Sicché (2) Lettera in proposito, del 1495, nelle nostre Relazioni con gli nel giugno 1531 ne faceva un’altra ordinazione, interessando il Sforza, pagg. 118-19. Veniero, informato pienamente della volontà sua, a tener solle­ (3) L. N. C ittadella, Notizie relative a Ferrara, pagg 65*2-55; citato il maestro. B e l g r a n o , Della vita privata dei Genovesi, Genova, 1875, pagg. 7 6 - 7 7 ; Ordinazioni ragguardevoli di mobili, che non entrino nella M o l m e n t i , Storia di Venezia, pagg. 2 -3 1 ; Urbani de G heltof, Les arts industriels à Venise, pagg. 263 e segg. categoria dei veri e propri oggetti d’arte, non abbiamo da se­ (4) Copertone di lusso che ponevasi sopra il letto. Il 16 luglio 1495 gnalarne, quando se ne eccettui una, di certe sedie, intorno alla Federico di Casalmaggiore cosi informa Isabella, lontana, dei prepa­ quale Isabella spende quella cura minuziosa che soleva prodigar rativi fatti in Mantova per ospitare 1’ambasciatore turco: « E la camera è di tale aparentia che non si vede se non tapezzarie, cominciando a sumità. del solare per fino in terra, cum una travacha dalmascata bianca (1) Nel cap. 109 dei Ricordi, Sabba da Castiglione parlando della tap­ cum lo aparamento » ; F e r r a t o , Il marchesato di Mantova e V Impero pezzeria più elegante per stanza, menziona i «corami ingegnosamente ottomano, Mantova, 1876, pag. 8. lavorati, venuti di Spagna ». 88 li- LUSSO DI ISABELLA D’ESTE MARCHESA DI MANTOVA VI. - L’ ARREDO DEGLI APPARTAMENTI 89

    sempre in tutto quanto riguardasse 1’ eleganza La lettera che quel nome dall’essere i baldacchini fatti a forma d’ uccello• con scrisse in proposito al maestro genovese inerita d’ essere cono­ le ali piegate all’ ingiù (1). sciuta intera: Il lusso nei mezzi di locomozione era ben lungi dal rag­ ♦ giungere allora la splendidezza che toccò di poi. Si viaggiava e Ln Ill.ma S. Duchessa d 'Urbino ha havuto de 11 da Genova alcune si girava di solito a cavallo; e per acqua, sui fiumi, s’impiega­ scharane di legname molto ben lavorate di bel garbo, et che hanno dii vano quei bucintori, che spesso rispondevano così poco al loro galante. Ma ài appettito nostro sono alquanto picole, et perchè deside- nome pretenzioso (2). Nel 1499, avenJo veduto Isabella la lettiga raressiino haverni otto di quella sorte, vi pregamo vogliati per amor nostro che usava sua cognata Chiara, ne oi.iinò una simile a Venezia e far ritrovare quello M.r0 che le ha facte et dargli commissione, che ce poi, sembra, in Francia. Difatti, il 22 maggio di quell’ anno, ingiun­ ne facci otto, quatro da homo et quatro da donna, advertendolo chele vo­ geva ad un suo dipendente di nome Evangelista: « Facemo con­ lemo de alteza, cioè da li legni dove se attaclia el curarne per il sedere, durre de Franza una lectica come era quella della ill.ma M.a Chiara lino a terra, apunto come è la mesura che qui inclusa vi mandiamo, cioè nostra cognata, alla quale bisogna mò fare provisione de dui cavalli quatro alla misura maggiore da homo, et quatro alla minore per donne, grandi et possenti che la portano, et intendendo che a Milano facendole poi dii resto grandi et picole come allui parerà alla propor­ fa venire spesso lo ili.™0 S.r Duca cavalli frisoni per dispensarli tione sua. Nè le farete coprire, nè far appozo di curarne, nè di altro, ma poi a li soldati et cortesani, voressimo che scriveste a qualche ce le manderete cosi nude, che nui poi le faremo fornire, come meglio a noi parerà, etc. nostro amico a Milano che cercasse de haverne dui possenti ». D' una lettiga portata da cavalli frisoni parla pure Isabella in In diporto alli 26 di agosto 1518. una sua lettera del 1509, da noi altrove pubblicata (3). L’ uso Al Cardinal Gurgense, eh’ era stato a Mantova, Isabella diede della lettiga era allora comunissimo, e oltreché da cavalli, so­ in dono un vaso d’ argento lavorato a smalto con sopra « la hi­ leva farsi portare da muli o anche da schiavi. Ma la marchesa storia di Romolo dal insomnio de Ilia fin alla deificatione de esso nostra andava anche spesse volte in carretta. Ora è risaputo Romulo », ed uno sparviero da leclo di cendalo. A questi spar­ che alle carrette, le quali erano a cassa ferma, si sostituirono vieri si dava importanza non esigua nel mobilio del tempo. Tro­ i cocchi o carrozze vere e proprie, a cassa sospesa e ondulante, viamo che nel testamento della Gonzaga è espressamente detto e che il primo a portare quest’ uso in Italia, verso il 1509, dal- eh’ ella lascia al figliuolo Cardinal Ercole uno « sparaviero da 1’ Ungheria, fu il cardinale Ippolito d’Este, nipote d’una Regina letto di lusso ». Per ricevere degnamente Giulio II e la sua Corte d’ Ungheria e titolare di due vescovati in quel paese « iperboreo » nel 1506, Elisabetta Montefeltro chiedeva a Isabella, tra l'altro, dove l’ Ariosto ricusò di seguirlo (4). Ma è altrettanto vero degli « sparaveri » (1) e del neonato di Beatrice Sforza è detto che le carrette all’ antica si continuarono ad adoperare per molto che aveva sopra la culla « uno sparavero galante, facto de cor­ tempo anche dopo l’ introduzione dei cocchi, e che i cocchi me­ delle d’ oro et de seda turchina, cum rizette d’ oro fra 1’ una desimi si chiamarono molte volte carrette (5). Quindi trovando cordella et l’altra » (2). Nei corredi principeschi tante volte noi sempre nei documenti mantovani che Isabella andava in car- menzionati di Anna e di Bianca Maria Sforza e della contessa di Mesocco non mancano gli sparavieri (3). Erano i baldacchini (1) Il G a n d i n i , Pupattola, pag. 22, spiega: «sostegni del baldac­ o padiglioni con cui il letto si copriva ed in origine forse derivava chino», ma crediamo s'inganni. Gli sparvieri infatti erano sempre di stoffa o di tela. (2) Cfr. Relazioni con gli Sforza, pag. 15. (1) Mantova e Urbino, pag. 172. (3) Mantova e Urbino, pag. 192. (2) Relazioni con gli Sforza, pag. 68. (4) Gozzadini, Dell’origine e dell’uso dei cocchi in Atti \e mera, (3) Vedi specialmente M o t t a , Nozze principesche, pag. 18, e C a l v i , della Deputazione di Romagna, voi. II, 1863, pagg. 2 1 8 -2 0 . Bianca Maria, pag. 140, ove sono accuratamente indicati. (5) Cfr. D’ A n c o n a , Varietà, voi. II, pag. 213. 00 IL LDSSO DI ISABELLA D’ESTE MARCHESA DI MANTOVA VII. - ACCESSORI E SEGRETI DELLA « TOILETTE » 91

    retta, non sapremmo davvero precisare se si trattasse della carretta diamo da queste righe di Benedetto Capiiupi a Isabella, in data * alla vecchia usanza o della carrozza recentemente introdotta. Se 3 febbraio 1505: « La conzadura de la testa de queste donne et non che conosciamo troppo la nostra gentildonna per poter sup­ de la duchessa è appunto come quella de V. Ex. et de le donne porre che vi fosse in Italia una novità così comoda, e per giunta nostre, cum le vellette chi zalde, chi braccate et chi bianche, portata fra noi da suo fratello, senza che lei ne profittasse. E nè attendono ad altro che ad meglio crisparle 1’ una de l’altra infatti un documento ci soccorre, che ce ne dà la sicurezza. In sì come facevano le nostre putte ». Il desiderio di acconciarsi un concistoro del 1564 papa Pio IV ebbe a dire non essersi an­ alla maniera della Gonzaga appare manifesto dalla seguente no­ cora usate le carrozze in Roma ai tempi della sua gioventù, « Mar- tevolissima letterina che le indirizzò nel 1509 la figliuola di chionissamque Mantuae primam viam patefecisse », e le altre Niccolò da Correggio: dame averla seguita (1). Ne risulta che l’uso delle carrozze in Roma era fatto rimontare ad Isabella, la quale ve l'avrebbe 1 1 1 .ma et Ex.™» patrona... Ritrovando; f\ a Locharno, ho presentito es­ portato nella sua seconda dimora che si chiuse col sacco del ’27. sere stk portato a Milano da certe zentildone una nova fogia de zazare Dunque anche in questo lusso dei veicoli la Gonzaga fu maestra, de seta provenute da notabile inventione de la prefata V. S.\ et per retro­ e maestra in una città come Roma. Cosa di qualche rilievo quando varmi al presente quasi senza capelli, cum sumo desiderio prego quella si pensi che ancora alla metà del secolo xvi in Parigi non esi­ me voglia fare essere degna de una; la qual cossa per me non saria al­ stevano più di tre o quattro carrozze (2). tramente domandata per non essere notata presumptuosa, se quella mia ardentissima fede corno è dicto non me havesse al tuto excitata e spinta a questo, et anchora per esserne sta mandato a Milano reputo la S. V. Accessori e segreti della « toilette ». non farne gran capituli, che quando fusse per sua particularità. servata non haveria ardito fare altra richiesta. Et cusi prego la prefata V. Ill.ma S.a che essendoli qualche conziatura de testa avanzata e che più non sia a VII. io uso de la S. V. ma più presto demissa, me ne voglia far partecipevole La pettinatura. — La «capigliara» a turbante d’isabella nel ritratto tizia­ aciò anchora io non para sia forra del numero de le fidelissime de epsa nesco. — L’arte biondeggiante e i ricettari galanti nel Cinquecento. — V. Ill.ma S. ecc. Solenne importanza data allora alla lavatura del capo. — La rarità della cipria. — I curadenti. Quella che tanto vive quanto è in gratia di V. S. Heleonora Ruscha Rifacciamoci ora a quella parte del lusso personale d’isa­ Comitissa de Corigia. bella, che non ha relazione alcuna con 1’ arte, ma rientra unica­ mente in quel complesso di cose che i Francesi chiamano toilette. E qui, prima di tutto, dobbiamo parlare dell’ acconciatura. Sembra che Leonora ci tenesse assai all'acconciatura, perchè L’ acconciatura d’Isabella godeva d’ una specie di celebrità. in una lettera a Isabella del 12 gennaio 1512, da Milano, Agnese Abbiamo fatto conoscere in questo medesimo scritto un documento degli Attendoli così scrive : « Nel principio eh’ io venne in questa da cui risulta qual vivo interesse avessero, nel 1502, per Lu­ terra assai laudavano la fogia de la cunciadura de la testa, excepto crezia Borgia le informazioni circa « la conciatura de la testa » m.ma Leonora, qual disse che non li piacea et che li parea una della marchesa. Infatti Lucrezia cercò di imitarla, come appren­ fogia da petegacola; et ley da li a duy giorni andete da M.ma Ipolita Bentivola a farse cunziare anchor lei a dieta fogia. Quando (1) Ciacconii Vitae pontificum et cardinalium, Romae, 1677, voi. I l i , io la vidi li dissi : dunque anchor voy voleti essere nel numero pag. 874. È tra le aggiunte di Andrea Vittorelli. Rilevò questo fatto il Muratori in una nota alla dissertazione 23“ e poi l’osservò il Gozzadini. de le petegacole? Credo bene li rencresca ley non essere stata (2) Franklin, Les soins de la toilette, p a g . 38. la prima a retrovare tal fogia, et ge porta una capigliara de 92 IL LUSSO DI ISABELLA D’ESTE MARCHESA DI MANTOVA VII. - ACCESSORI E SEGRETI DELLA « TOILETTE » 93

    sopra via et ha facto tenzere in negro li scuffiotti ge mandò Isabella, nell’Eremitaggio di Pietroburgo (1). E una donna col- Y. Ex., lasso fare iuditio a quella come la possa stare... ». Dove turbante assiste al rinvenimento della croce nella tela di Ben­ è da osservare quel termine capigliara, die ricorre anche in venuto Tisi da Garofalo, eli’è nella Pinacoteca di Ferrara. Ac­ un altro documento del 5 gennaio 1504, in cui un Camillo, che conciature simili si possono studiare negli affreschi di Michelint» non sappiamo chi possa essere, impetra da Isabella una capi­ Besozzi, che sono a Milano nel palazzo Borromeo (2) ; in una gliara : « Io sono cussi tosetto e ijon son sicuro de piacer cussi dama veneziana riprodotta dal Mulinelli (3); in un ritratto di senza capelli a quella persona a chi solo desidero molto molto Giulio Campi (4); nella prima moglie dell’ imperatore Massimi­ de piacere; prego adonche la S. V---- che voglia oprar che la liano ritratta dallo Striegel in un già menzionato quadro di benedetta capigliara se habia a farla dare al latore presente ». Vienna; in un ritratto muliebre di Bernardino Luini (5) ; in una D onde risulta, a noi pare, in modo evidente che la capigliara dama del Cavazzola che ha il n. 64 nella raccolta Morelli di era una specie di parrucca formata di capelli finti (1) o anche Bergamo; in due dame di Lorenzo Lotto e di Andrea Previtali, di stoffe preziose arricciate (2). Uno splendido esempio della nella raccolta Carrara pure di Bergamo, ecc., ecc Queste note, capigliara a turbante, che soleva portare Isabella, è nel fa­ che non la pretendono ad alcuna compiutezza, mostrano che moso ritratto tizianesco di lei che trovasi nel Museo di Vienna 1’ acconciatura prediletta dell‘/marchesa di Mantova era molto ed anche nell’ altro ritratto, che vuoisi la rappresenti nell’ età diffusa in Lombardia e nel Veneto. Idealizzava il Trissino quando matura, pur conservato a Vienna (3). Quelle caratteristiche ca­ rappresentava Isabella con « i capelli in capo diffusi, in guisa che pigliare a turbante erano di moda alla fine del secolo xv e nel sopra i candidi e dilicati umeri ricadeano, e quelli tutti erano principio del secolo xvi. Il Vecellio rappresenta una capigliara raccolti da una rete di seta color tanè, con artificio maestrevole simile in capo alle donne nobili antiche di Venezia e la chiama: lavorata, i groppi de la quale mi pareano essere di finissimo oro; « balzo fatto di fila d’ oro a modo di una ghirlanda tonda » (4). e fra mezzo le maglie di questa rete, le quali erano alquanto Ma quel balzo ricompare nell’ acconciatura delle dame dei tempi larghette, vi si vedevano scintillare i capegli, i quali, quasi raggi successivi, veneziane e padovane, ed anche degli uomini (5). E del sole che uscisseno, risplendevano d’ogni intorno » (6). E così infatti di quest’uso abbiamo parecchie sicure testimonianze. Ca­ pure idealizzavano la sua acconciatura Gian Cristoforo nella terina Sforza sposa si presentava al ballo che le fu dato in Forlì medaglia, ove i capelli si raccolgono in leggiadro nodo sulla nel 1481 « con una specie di turbante, dal quale scendeva un velo nuca, e Leonardo da Vinci, se rappresenta veramente Isa­ lunghissimo di tela d’argento guernito di ricami e di perle» (6). bella quel suo disegno di donna dai capelli spioventi (7), e il Un turbante di tal foggia ha la bellissima dama col bambino, Costa nella figura centrale della sua Corte d’Isabella del che passò, forse in grazia dell'acconciatura, per un ritratto di Louvre (8), che non sappiamo persuaderci voglia essere in modo

    (1 ) Sull’uso antichissimo dei capelli posticci vedi F r a n k l i n , Les (1) Oggi si attribuisce generalmente a Paris Bordone. Delle nume­ soins de la toilette, pagg. 59 e segg. rose copie che ne menzionano Cavalcaselle e Crowe (Tiziano, voi. I, (2) In origine valeva come cavigliera, cioè capigliatura, e così l’usa pag. 363) vedemmo quelle di Vienna e di Vicenza. ancora il Ca s t ig l io n e (Corteg, libro II, cap. 27, cfr. la nota del Cian a (2) M ììntz, Renaissance à l’èpoque de Charles Vili, pagg. 70-72. pag. 157), ma poi passò a designare senz’altro la capigliatura finta. (3) Del costume veneziano, pag. 91. (3) Vedi riprodotti ambedue questi ritratti in Y r i a r t e , Isabelle (4) Archivio storico dell’ arte, serie II, voi. I, pag. 258. d'Esle et les artistes de son temps, in Gaz. des beaux arts, serie III, (5) Archivio storico dell’ arte, voi. VII, pag. 257. Cfr. anche Napoli voi. XIII, pag. 14 (tavola), e pag. 21. nobilissima, voi. V, pag. 22-23. (4) Habiti, c. 40. (6) Opere, voi. II, pag. 273. (5) Habiti, cc. 73 e 165 e per gli uomini c. 71. Cfr. M erkel, Tre (7) M ììntz, Renaissance, voi. II, pag. 280 tav. ; Y r ia r t e , loc. cit., corredi, p a g . 44. pag. 17. (6) P a s o l i n i , Caterina Sforza, voi. I, p a g . 112. (8) Cfr. M u n t z , op. cit., voi. II, pagg. 175-76. 9 94 II, LUSSO DI ISABELLA D’ESTE MARCHESA DI MANTOVA VII. - ACCESSORt E SEGRETI DELLA « TOILETTE » 95 alcuno un ritratto della marchesa. 1 pittori e gli scultori italiani La giovane marchesa così si scusava il 25 gennaio 1404 del tempo amavano ricondurre anche le acconciature al tipo col marito del non potergli scrivere di sua mano: « Havendome classico. v » hozi lavata la testa, sono stata tanto a sugarla eh’ el dì è pas­ Se dice vero il ritratto tizianesco, o meglio se i ritocchi che sato ». Anche Lucrezia Borgia sposa (1502) non si fece vedere ha subito lo lasciano apparire veritiero, Isabella era castana un giorno intero « per haverlo speso tutto in lavarsi la tes.ta ». con forti riflessi di biondo. Più che verosimile quindi che per E Antonia del Balzo, dei principi di Altamura, moglie a Gian- raggiungere il desiderato color d’oro dei capelli ella usasse di francesco Gonzaga del ramo di Bozzolo, faceva sapere ad Isa­ quei mille mezzi che i ricettari del Cinquecento ci hanno con­ bella 1’ 8 gennaio 1518 che non poteva per quel giorno inviarle servati (1). Ma a farlo apposta, l’unico documento che abbiamo la figliuola Camilla « per havere hozi lavata la testa ». Era in proposito ci dà invece a sospettare che ella amasse piuttosto dunque questa del lavarsi il capo una solenne occupazione. Lu- tingersi in nero. 11 23 luglio 1490, infatti, scriveva ad un Ba­ creziaBorgia osservava regolarmente questa pratica, sempre, anche rone Benvesino di Milano : « Desideraressimo intendere se il per viaggio (1), ed una volta che l’ommise per otto giorni cominciò S. M. Galeazzo o altri, che si danno la tinta negra a li capilli, a risentirne dolor di ca.>/(2). E, come Lucrezia, si lavava il hanno rimedio alcuno per farseli poi tornare al suo pristino co­ capo anche Giulia Farnese (3) e con lei le altre dame del tempo. lore, perchè ne ricordamo, quando eravamo a Milano, bavere Era un uso generale, che si estendeva anche agli uomini e che veduto el conte Francesco Sforza uno dì cum li capelli negri, avea per iscopo la pulitezza insieme e l’igiene. V’ erano degli et l’altro cum li soi naturali. Trovando questo rimedio, prega­ statuti che riconoscevano come impedimento legittimo ad occu­ movi che vogliati impararlo: et poi subito scrivernelo perchè lo pazioni ufficiali Tessersi lavato di fresco il capo; v’erano donne voressimo operare per nui » (2). Se intendiamo bene, adunque, che avevano 1' ufficio speciale di assistere in questa bisogna (4), la marchesa, che appena ventenne si dava il nero ai capelli (3), e relativi arnesi fatti a posta (5) ; e certamente i sugacapita o desiderava un rimedio per farseli ritornare del color naturale. capitergia, specie di asciugamani che spesso ricorrono nei cor­ Tacciono, del resto, i documenti mantovani rispetto a tinture di redi (6), ricevevano il loro nome dalla consuetudine d'impiegarli capelli e solo parlano di quell'importante negozio ch’ era per per asciugare il capo, se non anche perchè si tenessero avvolti le dame del Rinascimento il lavarsi la tesla. attorno alla testa dopo seguita l’abluzione. Che poi, specialmente le dame, si lavassero il capo con l’acqua schietta, non oseremmo (1) Sulla eosidetta arte biondeggiatile s’è scritto assai in questi ultimi tempi e si sono richiamate le molte prescrizioni dei ricettari, fra certo asserirlo. Le più, quando non facevano convergere la la­ i quali tiene un luogo segnalato quello di Caterina Sforza edito dal Pa­ vatura a pratica d’arte biondeggiante, dovevano per lo meno mi­ solini. L’arte aveva radici nell’ antichità e s’ era continuata nel medioevo, schiarvi delle essenze odorose. In un manuale pel confessore (vedi W e i n h o l d , Deutsche Frauen*, voi. I, pagg. 3 2 2 -2 3 e voi. II, scritto nel secolo xv, fra le domande da rivolgersi alle donne pagg. 3 1 2 -1 3 ). Il modo più semplice di biondeggiarsi era quello di esporsi al sole sulle altane coi capelli inzuppati d’acque speciali (V ecei.lio, Ha­ bili, pag. 113), ma v'erano molti altri mezzi, fra cui la polvere d’oro; (1) Gregorovius, Lucrezia Borgia, Firenze, 1883, pagg. 224-225, cfr. R e n ie iì, Tipo estetico della donna, pag. 127 e segg. 246, ecc. (2) Relazioni con gli Sforza, pag. 121. (2) Gregorovius, op. cit., pag. 226. (3) Negli Experimenti di Caterina Sforza (Pasolini, voi. I l i , pa­ (3) Gregorovius, op. cit., pag. 379. gine 654, 656, 657, 786) vi sono diverse ricette per tingere in nero i ca­ (4) Cfr R e z a s c o in Giorn. Ligustico, voi. XVII, pag. 174, n. 4. pelli. Nel Ricettario galante edito dal G u e r r i n i v’è una sezione apposita (5) Nel corredo della bambola del 1484 illustrato dal G a n d in i {P u­ detta: Trattalo da fare li capelli di diverse sorte. Nel prologo alla Cas­ pattola, pag. 18) v" è anche « uuo lambicho da lavare la testa ». Vedi in saria 1’Ariosto scrive: V iollet-le-D uc, Dici, du rnobilier, voi. II, pag. 32, una donna che si Chi li fa neri, chi biondi, ma varii lava la testa in un bacino fatto ad hoc. E divisati iu due e tre di ritornano. (6) M e r k e l , Tre corredi, pag. 18 e segg. 96 IL LUSSO DI ISABELLA D'ESTE MARCHESA DI MANTOVA Vin. - ACCESSORI E SEGRETI DELLA « TOILETTE » 97

    intorno all’ inesauribile soggetto della loro vanità, troviamo anche di acque lo dimostra un documento pubblicato dal Pasolini, dal questa: si nimis sluduil circa capitis lavationem e si lavit caput quale risulta che un tal Luigi Ciocca nel 1502 sottraeva, per aquis artificiose factis (1). E insomma presumibile che le gen­ mandarlo alla signora di Forli, « el vero uncto et la vera re­ tildonne più raffinate usassero la lavatura del capo non solo per cepta che ha M.a marchesana et l’è per el volto et per le mane»(l). pulizia, ma per ridurre più lisci e odorosi i capelli e per pre­ Ma assai meno dannoso e meno ributtante era certamente, l’uso pararli alle più artificiose acconciature. Queste delicate opera­ di queste acque che non quello dei veri e propri belletti, cioè zioni esigevano molto tempo e perciò durante la loro toilette le degli impiastricciamenti per cui il volto diveniva una vera ma­ dame permettevano talora l’accesso ai famigliali più intimi. Ga­ schera. L’andazzo dei belletti, che riuscivano talora pernicio­ leazzo Visconti, in un documento da noi già pubblicato (2), ricorda sissimi, perchè vi si mescolava il sublimato, rimonta all'antichità con desiderio d’essere stato ammesso nei camerini d’isabella più remota (2), nè certo ne fece a meno il medioevo (3); ma dove trovava la marchesa « che se conzava el capo», con in­ 1’ età raffinata del Rinascimento ne accrebbe l’abitudine a di­ torno le sue fide damigelle « in maniche de camisa ». smisura. Tutti gli scrittori più assennati, senza far professione I ricettari del tempo sono uno specchio fedele dei mille ar­ di moralità, nè essere stinchi di santi, se ne preoccuparono. tifici che usavano le donne del Rinascimento per apparire più Menzioneremo qui solamente le fiere parole con cui biasimarono belle. Acque mirabili, talora complicatissime, variamente e biz­ questo mal vezzo Baldassar Castiglione e Alessandro Piccolo- zarramente composte e combinate, servivano a rendere liscia, mini (4), l’epigramma latino che gli avventò contro Filippo morbida, bianca, senza macchie la pelle; e le gentildonne ne ave­ Beroaldo (5), le riprovazioni del Tansillo (G), del Garzoni (7), di vano la privativa, sicché negli Experimenti di Caterina Sforza Paolo Foglietta (8). Lo stesso Marinelli, che pure ha tanta copia è detto in un luogo espressamente: «Questa è una acqua eccel­ d’ acque « per far bella», avverte le donne: « da me non im­ lentissima che fa bianca et oltre modo colorita la faccia delle parerete di portar maschere sopra il volto nel cospetto de’ vostri donne ... de modo che non se deve se non a nobbili madonne in- mariti o di altre persone» (9). Dai documenti nostri non si segniare » (3). Alcune mantenevano il nome delle dame che prime rileva punto che la marchesa usasse mai il belletto, neppure le avevano messe in voga. Per esempio, nel Ricettario galante quando l’inesorabilità degli anni fece sparire quella sua balda, edito dal Guerriui troviamo una «acqua de viso perfettissima fresca ed elegante giovinezza. Anzi nel 1519 lo Stabellino l’ in­ usata dalla ili.ma signora Isabella duchessa di Milano » (4). E formava da Ferrara d’ un casetto che forse le avrebbe taciuto che anche la marchesa di Mantova adoperasse di questa sorta se lei pure avesse avuta la debolezza di colorirsi le carni. Narra

    (1) C rivellucci, I codici della libreria di San Giacomo della Marca (1) Pasolini, Caterina, voi. Ili, pag. 606. in Monteprandone, Livorno, 1889, pag. 81. V'è anche un’altra domanda (2 ) Vedi M a n o n i, op. cit., pagg. 118-20, 183, 185-6. per noi interessante: «si prima invenit aliquam novam formam vesti­ (3) Ne abbiamo prove nello letterature provenzale e francese, nei pre­ mentorum ». dicatori medioevali, in Dante, nella nov. 136 del Sacchetti, in una poesia (2) Relazioni con gli Sforza, pag. 40. italiana edita dal W i e s e (Handschriftliches, Halle, 1894, pag. 12), ecc. (3) P a so l in i, voi. Ili, pag. 778. (4) Il C ia n , a pag. 88 della sua edizione del Corlegiano, riferisce le C4) A pag. 23. Vedasi, del resto, per tutta questa «chimica della parole del Piccolomini a commento di quelle del Castiglione. toeletta», come la chiamò il Burckhardt (voi. II, pag. 131, n. 3), fondata (5) Riferito in U ngarblli, Vecchie danze italiane, Roma, 1894, in gran parte sulla superstizione, il gran ricettario di Caterina Sforza e pag. 42. quello che v’ è nella lettera 31 del lib. IV del Calmo (ed. Rossi, pag. 321 (6) Cfr. F l a m i n i , Tansillo, pag. xcvii; G raf, Attraverso il Cinque­ e nota a pag. 323), e specialmente il notevole libro di G. M arinelli, cento, pagg. 2 4 0 -4 2 . Gli ornamenti delle donne, Venezia, 1574, ove si troveranno ricette di (7) Piazza, Venezia, 1617, c. 278 v. ogni genere, perfino per rendere piccola e soda « la beltà del seno » e (8) R o s i, Il Barro di Paolo Foglietta, Genova, 1894, pag. 124. per far mutar colore agli occhi 1 (9) Op. cit., c. 238 r. 98 IL LUSSO DI ISABELLA n’ESTE MARCHESA DI MANTOVA VII. - ACCESSORI E SEGRETI DELLA « TOILETTE » 99

    Io Stabellino che una sua sorella « volendosi far bella per Pia regalava alla marchesa « uno legno quale ha proprietà di comparire fra queste gentildonne, si ha posto suso il petto et fare molto lustre le onghie de le mani » e le indicava il modo sopra la faza acqua di tal virtute e forza,che l’ha tutta scor­ di usarlo, e nello stesso tempo le prometteva « uno uncto da ticata », sicché, aggiunge, « ora sta nel medicarsi et cum im- inane quale sirà difficultà haverlo, ma sirà per excellentia » (1). piastramenti bianchi usa ogni diligentia per sanarsi », tappan­ Anche alla pulizia, alla bianchezza, alla lucidezza dei denti dosi nelle sue stanze tra le beffe del pubblico. Da parte della si dava molta importanza, come dimostrano le descrizioni della marchesa abbiamo solo un' ordinazione di cipria : « Haveriamo bellezza perfetta. I ricettari hanno di gran prescrizioni in pro­ desiderio d’ bavere della polvere di Cipri che fosse de tutta posito, nelle quali si mira non meno a far « belli i denti » che excellentia; però ci farete cosa gratissima a far cercare lì in « a consolidar le gengive » (2). L’Ariosto nel prologo alla Cas­ Venetia se vi n’è di buona, et trovandosene vi piacerà de man­ saria mette in burletta le dentiere false e gli altri artifici odon­ darcene. Quando mò non ve ne fosse di quella bontà che inten­ tàlgici; il Castiglione argutamente scherza su coloro che «fan dete essere nostro desiderio, pregareti da parte nostra mons. ar­ professione di denti » (3) U 12 ottobre 1504 Isabella pregava civescovo di Cipri che havendone di buona ce ne voglia far Florimonte Brognolo di farle avere dalla marchesa di Cotrone parte». E una lettera all’ Agnello del 7 aprile 1532, ad inten­ « la recetta de la polvere de denti, perchè la havemo finita ». dere la quale è da avvertire che nel Cinquecento la cipria era E da Emilia Pia le perveniva una «aqua de denti... che è de ben lungi dall’essere comune in Occidente come divenne nel Sei­ quella sorte che usavano quelle regine de Napoli » (4). Nel 1510 cento e specialmente nel Settecento. il giovinetto Federico Gonzaga mandò in regalo a Isabella bal­ Alla pulitezza ed eleganza delle mani, che dovevano essere lerina (forse la Lavagnola), dam gella della marchesa, uno stuz­ delicate, morbide e bianche come avorio, si teneva dalle dame zicadenti, onde la gentil fanciulla gli scriveva il 9 novembre: immensamente (1). Ed il più bell’ornamento della mano erano « Baso la mano a V. S. che la se sii dignata de recordarsi de le unghie accurate, non troppo lunghe, bene incarnate e lucide. me, mandandomi a donare un bel stecho da denti, il quale non Troviamo pertanto che Isabella, il 16 dicembre 1511, mentre reputo già sì poco, anci me vagheggio in tanto favore. Io non ringrazia Lorenzo da Pavia per certo « calamo di dente di 1’ ho reputato convenire a’ miei denti che non ne erano degni, pesce » per scrivere, che le aveva inviato, lo sollecita a farle però ne ho fatto dono alla Ill.ma Madama vostra madre, che fare una « forbesetta... lavorata alla damaschina ». Gliene invia 1’ ha havuto gratissimo ». La quale interessante attestazione si un’ altra per modello e gli raccomanda che la nuova sia « dii intenderà solamente quando si sappia il pregio in che erano te­ garbo che parerà a vui, facendola tenere un pochette più curta nuti i curadenti nel nostro Rinascimento. Essi figuravano solo et li busi dove intrano li diti menori, et habi la ponta aguzza nei conviti più solenni. Sabba da Castiglione nel cap. 109 dei et tagliente, perchè la volemo operare a tagliare le onge de le Ricordi, discorrendo d’un banchetto offerto dal duca di Milano, m a n i». Infatti la ricevette l’anno appresso e ne fu paga: « Ha- dice espressamente che alla fine fu « data 1’ acqua alle mani vemo etiam la forbesetta lavorata che ne piace » (16 marzo 1512). et dati gli stecchi d’odorifero lentisco per gli denti». Il Messi- Il maestro, conoscendo la incontentabilità della marchesa, ne sburgo accenna che nei pranzi da lui ordinati si mettevano in ta­ aveva prima, in gennaio, spedita una mostra, approvando la vola, sempre alla fine, fra le confezioni, degli « stecchi profu- quale Isabella mandò a Lorenzo anche un pezzo di ferro, acciò ne facesse fare «lime da ungie». Nel marzo del 1505 Emilia (1) Mantova e Urbino, pag 167. (2) P a s o l i n i , voi. ,111, pagg. 661-63. Trattati speciali nel Ricet­ tario galante, pag. 61 e segg. e nel M arinelli, op. cit., pag. 160 (1) Pasolini, voi. III. pagg. 663-64; Ricettario galante, p a g . 71 e segg. e seSSt ov’ è uua sezione speciale pei saponi, olii, grassi odorosi per le (3) Cortegiano, libro II, cap. 27. m a n i. (4) Mantova e Urbino, pag. 167. 100 IL LUSSO DI ISABELLA D’ ESTE MARCHESA DI MANTOVA Vili. - ACCESSORI E SEGRETI DELLA « TOILETTE » 101

    mati » o anche degli «stecchi recamati e profumati» talvolta in spendeva di più, e in seguito si venne moderando, per i pro­ piatti d’argento (1). Ma nelle abitudini comuni della mensa lo fumi invece si riscontra l’opposto. Con 1' andar degli anni sempre stuzzicadenti di legno o di lisca di pesce, secondo l’uso romano, più se ne mostrava passionata e diveniva valente nel comporli. non compariva. Quindi la necessità di-avere seco questo ar­ Il materiale primo, particolarmente il muschio, ritirava da Ve­ nese e 1' abitudine di farlo di metallo, frequenti volte prezioso nezia (1), e con gl’ ingredienti avuti faceva le sue composizioni. e talora ornato di gemme. Parisina d’ Este ordinava al suo L’arte della profumeria, specialmente diffusa nella deca­ fabbro i « netezaduri da denti » (2). Le donne genovesi portavano denza romana (2), era stata un po’ negletta nel medioevo. Nel sospeso alla cintura, con 1’ agoraio, anche il curadenti (3), e a nostro Trecento ed anche nel Quattrocento erasi conservata ab­ questo scopo era assai probabilmente destinata « una scatolina bastanza semplice (3), checché potesse dirne Bernardino da Siena dorada per gli schideti de li denti », in cui c’ imbattiamo nel cor­ nelle sue prediche ; ma nel Cinquecento dilagò, sopratutto in redo della contessa di Mesocco (4). Questi stuzzicadenti preziosi Italia ed in Spagna, e divenne quasi una scienza. Nei ricettari erano fatti in forma di coltellini, ovvero anche di unghie. In più volte menzionati, negli Ornamenti del Marinelli, nei Nolan- un inventario estense incontriamo « una ungia d’oro da curare dissimi secreti dell' arte pi'ófumaloria del Roseto, nei molti e li denti cum uno brillo tavola da uno lato, da 1’ altro lato uno rari libretti che citano il Baschet ed il Feuillet de Conches nel rubino codulo in forma di core voto et tristo cum meza perla loro noto e curioso volume su Les femmes blondes, si potranno trista zalla et rota di sopra» (5). E nell’inventario di Carlo Y trovare innumerevoli saggi di quella specie di alchimia con cui figurano « deux ongles à fourger les dens, dont 1’ un est blanc si producevano artificialmente gli odori più delicati e più sva­ et l’autre noir, garny d’argent esmaillè de France» (6). Fu uno riati (4). Per quanto 1’ abuso dei profumi s’osservi specialmente di questi gingilli preziosi che dovette regalare Federico alla nei bellimbusti e nelle cortigiane (5), non è men vero che costoro Isabella Lavagnola, la quale gentilmente ne fece omaggio alla trovavano imitatori ed imitatrici assai condiscendenti negli uo­ marchesa. mini seri e nelle dame per bene. Dice il Bandello discorrendo di uno zerbinotto, che la sua cavalcatura « era sempre da capo a piedi profumata, di maniera che l’odore delle composizioni Vili. di muschio, di zibetto, d’ambra e d’altri preziosi odori si faceva I profumi. — Isabella fornitrice di misture odorose alle Corti di Roma e di sentire per tutta la contrada » (6). Ma 1’ uso di profumare le Parigi — I guanti profumati : la regina di Francia conserva religiosa- mule lo aveva anche Alfonso del Vasto, che pur non era un mente i guanti vecchi donatile dalla marchesa di Mantova. — I ventagli. — bellimbusto di professione (7). Dame austere, come Vittoria Co- Conclusione.

    Un’altra raffinatezza nella quale Isabella emergeva era (1) Vedi specialmente una lettera di Taddeo Albano del 3 ottobre 1508, quella dei profumi. Mentre nella più parte delle particolarità in cui v' è un elenco di droghe per profumi. (2) Cfr. M a n o n i, pagg. 116-18. del suo lusso troviamo che nei primi anni dopo le nozze ella (3) Vedi L anza d i S c a lea, Donne e gioielli, pagg. 94-95. (4) Per la storia dei profumi cfr. E. R im m e l, The booti o f perfuraes, (1) M essisburgo, Banchetti, Venezia, 1564, cc. 19r, 28 r, 29«, 32r, London, 1865, e F r a n k l in , Les magazins de nouveautis, voi. II, 38 r, ecc. pag. 39 e segg. (2) Gandini, Saggio, p a g . 12. (5) Vedi R ezasco in Giorn. Ligustico, voi. XVII, pag. 204, e lo (3) Me r k e l , Tre corredi, pag. 46. studio del G raf sulla Franco nel citato volume Attraverso il Cinque­ (4) M otta, Nozze principesche, p a g . 23. cento. (5) C a m po ri, Cataloghi, pag. 23. (6) P. II, nov. 47. (6) F r a n k l i n , Variètés gastronomiques, Paris, 1891, pag. 224. Ivi (7) R e u m o n t, Vittoria Colonna, pag. 4 2 ; cfr. M u r a t o r i , R. I. S., sono molte altre notizie interessanti sulla storia dei curadenti. voi XXII, pag. 87. L’ uso del marchese del Vasto di ungersi e profu- 10 102 IL LUSSO DI ISABELLA D’ESTE MARCHESA DI MANTOVA Vili. - ACCESSORI E SEGRETI DELLA « TOILETTE » 103

    lonna, non trascuravano di profumarsi; abbiamo di lei una let­ di questi invii alla Corte francese, pel tramite dell’ agente man­ tera al poeta Berardino Rota in cui gli commette una cassetta tovano : « tutta a colonnati bianchissimi » e dorata,, per mettervi dentro profumi «lavorati bianchi» (1). Enrico.lll di Francia acquistò a Mandiamo una scatoletta, nela quale sono tre busoletti di com­ Venezia, all’insegna del Giglio, per 1125 scudi di muschio (2). positione, quel di cristalo col coperto d’ oro per la S." Regina, quelli Le botteghe de’ profumieri erano salite in tanto credito che là di corno, l'uno per madama matre dii re, 1’ altro per la duchessa di si davano convegno i nobili, come si farebbe oggi in un caffè (3). Lansone suà sorella, come ci liavete raccordato, gli li presentarete in Di paste d’ odore si facevano perfino delle statuette sacre (4), e nome nostro con giunta di quelle parole che ve pareranno convenienti. sarebbe curioso il constatare che si profumassero persin le mo­ Siamo certe che la gli piacerà, perchè al judicio nostro non facessemo nete (5). I principali profumi erano le acque rose, le acque mai la megliore. Et semo contente e'ae dicati alla Regina clic molto ne nanfe, il muschio, lo zibetto, l’ambracane e il moscato (6); ma reputamo felici ad esserne porta occavione di servire S. M.u in cosa che si facevano poi innumerevoli misture. Quei profumi eran così gli gradisca, et che noi sapiamo et possiamo fare, perchè in componer ricercati e cari, che certo Stella da Castelgoffredo, con,e s’ ap­ questi odori non cederessimo al miglior perfumero del mondo, e però prende da una sua lettera alla marchesa di Mantova (7), viveva suplicate S. M. a non cambiare la bottegha, ma dandone aviso a tempo con una famiglia di sette figliuoli sul reddito d’ un gatto zi­ che la possiamo servire, gli basarete la mane in nome nostro et ne rac- betto, cioè sul marsupio profumato di una viverra. comandereti in sua bona gratia. Siamo contente di fornire la detta re­ Isabella aveva grande reputazione pei profumi ch’essa fab­ gina et madama di la nostra compositione, ma a dirvi il vero non vo­ bricava, e se ne compiaceva. Il 5 maggio 1514 Galeazzo Ben- lemo già. questa cura per le altre donne. tivoglio le notifica da Roma: «Ho combatuto cum quanti profu­ mieri ha questa cità et cum quante signore co sono cusì spagnole Mantue, xvm maii 1516. come italiane che V. Ex. fa et adopera la più excellente mistura et compositione si trovi al mondo ». Ne inviava persino in Francia Chi certo aveva fatto massimamente apprezzare i profumi della alla Regina ed alle maggiori dame di quella Corte. Ecco una marchesa in Francia era il suo primogenito Federico, che lettera in alto grado caratteristica con cui si accompagna uno allora si trovava colà e che alla madre chiedeva con eguale frequenza profumi e... denari. Ma a lei riusciva cosa più facile marsi è sferzato a sangue da Pietro Aretino nel sonetto caudato II e più gradita il compiacerlo di quelli che di questi. In una marchese del Vasto avea pensato, che il T r u c c h i mise in luce nelle Poesie inedite di dugenlo autori, voi. Ili, pag. 213. lettera a Stazio Gadio, che stava a fianco del giovincello, la (1) Carteggio di Vittoria Colonna, Torino, 1889, pag. 90. vivace madre, alla quale la precoce intraprendenza amatoria del (2) De N olhac-Solerti, Il viaggio in Italia di Enrico III di figlio era motivo di spasso, scrive scherzando: « Perchè Fede­ Francia, Torino, 1890, pag. 138. Cfr. F r a n k l i n , Magazins, voi. I, rico non cessi di intratenersi cum quelle gentildonne et possi pag 145 e segg. meglio far l’amore gli mandiamo uno bussolo di compositione, (3) U ngarelli, Vecchie danze, pag. 41, n. 3 (4) Campori, Cataloghi, pagg. 20-21. quale esso potrà partire et dami a chi più gli piacirà » (3 di­ (5) Lo afferma il Burckhardt, Civiltà, voi. II, pag. 133, citando cembre 1515). Quelli squisiti profumi avevano molti clienti, e la una lettera di Pietro Aretino a Cosimo I, in cui lo ringrazia di certi marchesa sapeva di non poter fare a’ suoi amici più accetto re­ scudi «nuovi e profumati». Ma qui deve trattarsi di metafora, come galo che offrirne loro qualche bossoletto. Nel 1513 ne inviava a quando oggi si dice che altri fu pagato profumatameiUe d’un servizio. La metafora, peraltro, d’onde provenne? Pietro Bembo, che per mezzo del segretario Gianfrancesco Valerio (6) Cfr. il citato libro del Roseto e anche L u ig i n i , Il libro della s’era lamentato che la marchesa non gli avesse mai donato in bella donna, Milano, 1863, pag. 48. cambio di tanti brevi papali ottenutile « pur uno bossoletto o bus­ (7) Edita dal B ertolotti nel Mendico, voi. IX, pag. 8. solino, non so come chiamarlo cortegianamente, di quella sua 104 IX, LUSSO DI ISABELLA D’ESTE MARCHESA DI MANTOVA Vili. - ACCESSORI E SEGRETI DELLA « TOILETTE » 105

    excellente mistura » (1). All’elegante e mite Giuliano de’ Me­ Fedeli. Ce lo attesta la seguente letterina del 20 maggio 1512 dici Isabella faceva tenere ogni anno qualche bossolo, come si a Girolamo Ziliolo: « Marniamovi una ballotta de cornposition apprende da queste parole scritte il 16 njaggio 1514 all’arci­ de odori acciochè la diati a maestro Hercule, cum ordine che diacono Gabbioneta: « Et gli direti che.non volemo mai per cosa gli facia una coperta d’ oro sopra ben lavorata a suo modo, mà alcuna cessare dal tributo che gli solemo dare ogni anno de la non si curamo eh’ el lavoro .sii troppo sutile, perchè volendola nostra compositione, et adesso gliene mandiamo questa ». portare dallato, saria periculosa da rompersi. Etdicetegli eh’el 1 profumi confezionati da Isabella, essendo, come oggi si facia un qualche busetto da potergli mettere dentro un cordone direbbe, mantecati, e non liquidi, venivan riposti in certi bosso­ et tacarcelo da lato. Fatelo tenere solicitato, che 1’ habiamo letti, nome usitato allora, corne provano esempi di Nicc. Franco presto ». Presto, no, non 1’ ebbe davvero la buona marchesa. e dell’ Ariosto (2), per indicare delle scatolette che in origine Dovette pur tempestare 1’ artefice molte volte, per più anni, e erano probabilmente di bosso. Ma in seguito furono anche di solo l’ il agosto 1516 troviamo che la riceve e se ne dichiara cristallo, di corno e d’ altra materia, come prova la lettera ri­ soddisfatta « per essere benis>imo lavorata » (1). ferita del 151G. Isabella voleva che fossero essi pure eleganti La piccola palla d’ odore, come Nhiaramente indica la Gon­ e pratici. Il 22 novembre 1498 ordinava a Lorenzo da Pavia: zaga, doveva portarsi attorno appesa ài la cintura e tale costume « Pregamovi che ne faciati tre o quatro bussoletti de ebano non era raro in quei tempi. Nell’ inventario delle suppellettili re­ da cibetto, lavorati diversamente a modo vostro, et quanto più state nella Grotta d’Isabella troviamo parecchi oggetti che dove­ presto potereti mandarceli, che ne fareti cosa grata ». E in po­ vano avere un uso simile, fra gli altri « un bottone in foggia di scritto: « Yoressimo che uno de quelli bussoletti fusse in forma pero lavorato, di fillo straforato da tener muschio ». E di arnesi che tendesse al quadro per haver più facilità de cavar el cibetto ». congeneri la marchesa ne inviava anche in Francia: « Poi che Il 7 marzo 1516 esorta il Suardino a sollecitare il maestro Cleofas alla S.ra Regina tanto sono piaciuti li brazaletti, havemo pensato « per li nostri bussoli, a ciò eh’ el sii in questo meno longo che in de mandarli alcuni bottoni d’oro pieni di perfumo, quali saranno le altre sue opere ». Il 22 novembre 1502 ordina a Lorenzo da più atti da portare continuamente al brazo, maxime la nocte» Pavia di farle fare « un vasetto da unguento » col pezzo di la­ (18 maggio 1516). I braccialetti contenenti profumi, a cui Isabella pislazzoli che il Gusnasco le aveva inviato e che erale piaciuto accenna prima, solevano essere d’ osso. A quest’ uso certamente assai. Qualche volta usavansi anche recipienti preziosi, come le erano destinate le due paia di braccialetti d’ osso negri, che la cassette dorate, per pasta di muschio, di cui è cenno nel corredo marchesa commetteva il 5 luglio 1516 per mezzo del conte di Beatrice d’ Este (3), e le palle ed i bussolini d’ argento che Francesco Fontanella. E fors’ anco non aveva scopo diverso la figurano nel corredo della contessa di Mesocco (4), e la palla « cinta d’ osso » che per mezzo di Annibaie Malaguzzi la nostra e la « pignatina d’arsento per perfumi » che sono citati nei gentildonna ordinò il 5 maggio 1523 a « maestro Angelo che documenti estensi (5). Anche Isabella, volendo una simile galan­ lavora di osso». Il nome del Malaguzzi ci richiama a Reggio teria, si rivolse a quell’artefice eccellente eh’ era Ercole de’ d’ Emilia, ove l’industria degli ossi e degli avori lavorati ebbe segnatamente a fiorire (2). (1) Cian in Giorn. stor. d. lett. italiana, voi. IX, pagg. 118-121. Quella stessa passione pei godimenti dell’olfatto che faceva (2) Vedi C ian in Giorn. sto r, voi. IX, pag. 120 n e il menzionato pro­ cospargere di odore, come vedemmo, sin gli stuzzicadenti, ren- logo alla Cassaria. (3) A. V e n t u r i , L'arte ferrar, nel periodo d’Ercole I, pag. 122. (1) Quest’aneddoto è accennato anche dal B ertolotti, Arti minori, (4) M o t t a , Nozze principesche, pagg. 22-23. p a g . 63. (5) G a n d i n i , Tavola, cantina e cucina, pag. 28. Ivi pure sono due (2) Cfr. Campori, Della lavorazione degli ossi e dell’avorio, M a n ­ perfumadori damaschini lavorati di argento. Isabella parla di profum a­ to v a , 1875. Altre commissioni di oggetti d’ osso in B ertolotti, Artisti tori in due lettere a Girolamo Ziliolo, del 1505 e del 1506. in relazione coi Gonzaga, p a g g . 108-10. 106 IL LUSSO DI ISABELLA D’ESTE MARCHESA DI MANTOVA Vili - ACCESSORI E SEGRETI DELLA «TOILETTE» 107

    deva gratissimi i guanti profumati. L' uso dei guanti a scopo di cie (1). E nella penisola iberica la città che dava i migliori guanti puro ornamento non è, specialmente nelle dame, antichissimo. profumati era OcaBa nella Nuova Castiglia, non lungi da To­ 11 fatto che in Firenze, nel secolo xiv,

    (1) R e z a s c o in Giorn. I.igust, voi. XVII, pag. 165. (1) F r a n k l in , Magazins des nouveautès, voi. II, pag 37 ; P. Oc- (2) S o le rt i in Gazz. lett., voi. XII, n. 11. c e l l a , I l guanto, Torino, 1891, pag. 79 e segg. (3) C laretta in Giornale araldico-genealogico, voi. XI, pag. 278. (2) O ccella, pag. 75. (4) M arcotti, Un mercante fiorentino e la sua famiglia nel se­ (3) Intendiamo con la ripiegatura al polso, come quelli che tiene colo xv, Firenze, 1881. nella destra la nobile ed elegantissima dama che alcuni vogliono del (5) Cibrario, Economiapolitica nel medioevo, voi. Ili, pag. 137. Sodoma, altri dicono essere Giulia Gonzaga dipinta da Sebastiano del (6) Cortegiano, lib. I, eap. 40; Raffaella, p a g . 33. Piombo, nell' Istituto Stadel di Francoforte. (7) Banchetti, c. 14 v. (4) I documenti hanno sempre de doc >gna, con un elemento con­ (8) Piazza, c. 281 v. cresciuto spiegabilissimo. 108 IL LUSSO DI ISABELLA D’ESTE MARCHESA DI MANTOVA VIII. - ACCESSORI E SEGRETI DELLA « TOILETTE » '109 era uno giorno di festa, la dominicha, e disseme erano di guanti che venivano da V. S. a lei donati per el S. Marchese suo cu­ parlando cum la Maestà de la Rezina e vedendoli in mane certi gino quando era quà in Francia, e se li avpva conservati che an- guanti assai frusti, li dissi che senza vedere el calendario preco­ chora ne avova uno altro paro e atiò che più li durassero non noscere quando fusse festa ma solo a veder che guanti la aveva li portava se non alle feste per qualche tempo, tanto che erano in mane io lo conoscerei, che era questo segno infallibile. Incomen- corno novi, poi incomenzava a portarli ogni di ma la sera li ca­ zette a ridere e respose che certamente la aveva tanta tema de fru­ vava e ne metteva poi de altra sorte per farne più massaria, e stare quello paro che li era restato de quelli de V. S. che anchora questo faceva perchè non ebbe mai guanti de sorte che tanto li non s’era messa a portarli se non alle feste, et quelli che me piacesseno corno questi e gli n’ era stato mandato una infinitate dette per mandar a V. S. erano li cotidiani, laudando tali guanti da diverse persone de Italia e de Spagna, ma questi erano li fa­ per li migliori e meglio aconzati che mai portasse. Io li feci voriti dicendo non saper in qual modo fare come fusseno finiti... animo che dovesse portare quelli che li erano restati, ateso che Io gli dissi de scrivere a V. S. rendendome certissimo quella fa­ presto ne averebe secondo che V. S. mi aveva scripto: me disse rebbe el possibile per retrovarne de la medesima qualitade, ma non ne voleva far niente, che prima voleva aver quelli e tanto che me ne dasesse uno per monstra, e così me ne ha dato uno più ne voleva far bona massaria per farsene onore a questo par­ paro e con vergogna parendoli che fusseno troppo veghi e ver­ lamento, che alora bisognarà portarli ogni dì et molto se fru- gognosi, che se dicesse che lei li portasse così frusti, ma solo era starano; e per questa causa no^li seppi dar torto, se li voleva spa­ perhò causato per la bontate et per farli durare più; et àme ragnare per tale solemnitate. Apresso molto minutamente Sua Mtà dicto che da un canto li fusse milli schudi, da l’altro canto una volse intendere de le cose passate de V. S ... concludendo che donzena de guanti simili più amerebbe li g u a n ti... » Quindi la Re­ a quello che ha inteso de molte parti che sono in Y. S. quella gina « la ne vorebe una donzena, e questo fa perchè dice ne serrà sarebe stata una de le donne che secondo el suo apetitto avendo fornita per molti anni e per non fastidire Y. S. tanto spesso... auto comoditate de averla in sua compagnia molto li sarebbe Para sei per l’inverno e sei per la instate, quelli per l’inverno piaciuta ». serano de la qualitate de questi che mando dopij et com el pe­ Con questi documenti mirabili vorremmo chiudere lo scritto loso de dentro atacha la mane, li altri per la instate pur dopij nostro già troppo lungo, e infatti le particolarità più importanti ma soltanto el lisso de la pelle verso la mane e de la medesima del lusso personale d’Isabella sono toccate. Ma ci resta ancora grandeza... Circha alla conza dice che mai sentite una tanto qualche quisquilia da spigolare. Nel giugno 1506 le monache del bona che li mantenesse la mane migliore nè più biancha, e li convento dello Murate in Firenze regalarono la marchesa di piace che siano uno pocho morbidi de la conza. E perchè dice alcuni rami di fiori di seta, eh’ ella si fece recapitare per mezzo che in quelli che hebbe ve ne fu certe para che avevino una del suo corrispondente fiorentino Angelo del Tovaglia, scrivendo conza che sentivino de 1’ odore de olio de fior de cedro, che 1’ 8 luglio a quelle buone suore una letterina di ringraziamento molto li piaceva tal odore, vorebe che dua pari d’ essi fusseno tutta informata a sentimenti di devozione. Con quei fiori di seta aconzati com el medemo sentore, cioè uno paro per l’inverno costumavano specialmente le donne ferraresi di ornarsi il seno (1) : e uno per la instate ; ne vorebe poi due para da inverno e due il Messisburgo ci dice che in una cena fu collocato, su ciascuna da instate che fra 1’ una pelle e 1’ altra fusseno profumati de delle salviette piegate a varie foggie, « uno mazzolo di fiori di sentore de composicione, ma che avesseno perhò verso la mane seta et d’oro profumati » (2). Anche le maschere avevano atti­ la conza solita per conservatione de la mane ». E mentre la rato l’attenzione di quella gentile e gaudiosa creatura. La sua marchesa stava probabilmente allestendo questi guanti, per farsi nativa Ferrara godeva una specie di celebrità nella fabbricazione onore con una tanta signora, ecco una nuova non meno signifi­ cante lettera del Soardino, in data di Blois 17 aprile 1520: «Eri (1) Campanini, Ars siricea Regii, p a g . 40. (2) Banchetti, c. 33 v. 11 1 IO IL LDSSO DI ISABELLA D'ESTE MARCHESA DI MANTOVA Vili. - ACCESSORI E SEGRETI DELLA « TOILETTE 111

    delle maschere (1), e così pure le città emiliane, Bologna, me ne voglia fare gratia-, la quale quanto serà più presta, 1’obligo che Parma (2) e sopratutto Modena (3). Ma se, ne facevano anche a ne haverò alla S. V. serà tanto magiore. A la quale me recomando Mantova (4), e solevano essere di tela impeciata e incerata di sempre. fuori e di dentro, con sopra degli strati di colore che simulavano Ferrariae, xiiii maij 1511. il volto umano (5). Cento maschere, questa volta provenienti da Cognata et soror Ferrara, inviava la marchesa al Valentino nel gennaio 1503(6), Lucretia Ducissa Ferrariae e quell’ uomo fastoso e voluttuario, con cui i Gonzaga armeg­ giarono astutamente (7), se ne mostrò soddisfatto. Il 3 gennaio 1505 E sembra che questa non sia stata 1’ unica richiesta di simil Isabella fece invio di trenta maschere a Guglielmo da Sermoneta, genere pervenuta alla marchesa di Mantova, poiché troviamo che e acciocché gli giungessero presto, si giovò della mediazione della il 2 giugno 1513 così scriveva al conte Lorenzo Strozzi: «Inteso duchessa d’ Urbino. per la littera vostra el desiderio de la ili."* Duchessa nostra co­ Per quanto corresse tra Lucrezia Borgia ed Isabella quella gnata et sorella hon. de bavere uno ventaglio picolo de la sorte tal quale rivalità che in addietro abbiamo avvertita, la duchessa che si cominciano ad usare qua, et retrovandone haver uno, di Ferrara era costretta a rivolgersi alla marchesa quando vo­ quale havemo facto fare per noi a la fogia de alcuni che vedes­ leva dei ventagli di buon gusto. Ecco una sua letterina in pro­ simo a Milano, che molto ni piacquero, per poterli portar attac­ posito : cati a la cinta, vi lo mandiamo aciò che in nome nostro lo do- niati a S. Ex. con li che s’ el gli piacesse n' haremo piacere; se non, che ne avisi la fogia et la grandezza de che la el voria, Ill.raa S.ra mia cognata et sorella lion. che subito il faremo fare ». Quei ventagli, adunque, tenevansi Ancora di’ io pigli despiacere in incommodare la S. V, pur havendo appesi alla cintura con una catenina d’ oro. I manichi solevano a quisti dì facto scrivere per bavere da Milano una qualche bella fog­ essere elegantissimi, talora gemmati (1); nell’aprile del 1519 Isa­ gia de ventagli, dubitando che per la conditione de quisti tempi non bella ordinò al tornitore Cleofas de Donati « uno manico da ven­ vengano cum quella presteza eh’ io desiderarla, cum la fiducia eh’ io ho taglio negro che sia ballo ». Già in fin d’aprile dii 1498 vediamo in la V. S. la prego grandemente che trovandosene qualcheduno nigro, nel copialettere che ella aveva scritto a Francesco Staffetti : « De­ senza però guarnitione alcuna, che sia bello et di qualche bella foggia, siderarne bavere tri ventalii negri de la grandeza che furono li altri ce mandasti, ma non voressimo che havessino carta in mezo, come hanno quelli, ma che per forteza gli fussero poste inframezo (1) C it t a d e l l a , Notizie relative a Ferrara, pag. 666; G arzoni, Piazza, c. 279 e spgg. ; Pentamerone, ed. Croce, voi. I, pag. 160. le penne col nervo, coperte poi de le piume come si coprono le (2) Dollett. stor. della Svizzera italiana, 1886, pag. 145. carte, però che esse penne integre col nervo non se inviscaranno (3) Il G arzoni (Piazza, c. 380 r) chiama le maschere « volti mode­ così facilmente come fanno le carte ». D’ onde si ricava che v’ e- nesi ». Sabba da Castiglione nel ricordo 107 assomiglia una faccia im­ rano ventagli di carta ornati superiormente di penne e ventagli bellettata ad « una nuova mascara de Modena ». Cfr. anche So l e r t i, tutti di penne. D’ uno di questi ultimi v’ ha uno splendido mo­ Ferrara e la Corte estense, pag. lxxxii, n. 2. (4) Vedi il Mendico, voi. YI, n. 5. dello nel ritratto di Francoforte che rappresenta secondo alcuni (5) Un bel documento del 1471, che parla di una ordinazione di Giulia Gonzaga (2). Dal ventaglio semplice a banderuola che durò maschere a Bologna e accenna al modo come erano fatte, leggesi nella Raccolta milanese, febbraio 1888, pag. 21. (1) L anza di S ca lea , Donne e gioielli, pagg. 183-84. (6) G regorovius, Lucrezia, pag. 425. (2) Quella gentildonna porta il ventaglio appeso alla cinta e le penne (7) Pei rapporti dei Gonzaga con Cesare Borgia, v. Mantova e Ur­ pare vi siano ritrattili, come mostra anche la grossezza e lunghezza del bino, pag 125 e segg. Tra il Valentino e Isabella seguirono anche ami­ manico. Il M u n tz riproduce quel ventaglio con le piume spiegate: Re­ chevoli scambi di cani.Vedi il Mendico, voi. VII, n. 13. naissance, voi. II, pag. 178. 112 IL LUSSO DI ISABELLA D’ESTE MARCHESA DI MANTOVA, ECC.

    poi ancora per lungo tempo a Venez a e nel Veneto (1), e cho figura nella tela della galleria di Dresda in cui Tiziano ritrasse sua figlia Lavinia, si passò ben presto al ventaglio piumato, che Cesare Vecellio fa portare così spesso in inano alle sue gentil­ donne (2). Ma il Vecellio stesso ha ventagli di carta o stoffa, fermati, sembra, con bacchette, e ritrattili (3) o chiudibili come quelli che oggi si adoperano (4). Le più ricche gentildonne ri­ chiedevano nel ventaglio 1’ornamento delle piume, che talvolta erano applicate al sommo delle bacchette d’ altra materia. Straor­ dinariamente elegante dovette essere questo di Lucrezia Borgia, che si trova notato nel suo inventario: « Uno ventaglio pic­ colo novamente fatto per maestro Alfonso veronese, cioè tutto il corpo fatto d’ oro battuto a fiori stampiti cum uno quadretto da ogni canto nel mezo lavorato di filo con pasta di composi­ tione, et il manico pure d’ oro batuto, circondato da penne de struzo negro » (5). Così resta esaurita la nostra investigazione del lusso d’Isa­ bella Gonzaga, investigazione che speriamo possa riuscire non del tutto inutile alla storia del costume italiano nel Rinascimento. Certo gioverà molto a comprendere interamente quella mirabile figura di donna, che incarnava la parte migliore dello spirito dell’ età sua, e nelle più minute ordinazioni di oggetti di lusso sapeva manifestare un gusto squisito, un’ appassionata bramosia per ogni cosa bella ed elegante.

    (1) V e c e l l io , Habili, sul verso delle cc. 98, 100, 113,157 L’opuscolo nuziale sui ventagli veneziani dell1 Urbani de Gheltof ci rimase inacces­ sibile. Cfr. Mei.ani, Svaghi artistici femminili, pagg. 260-61. (2) Nelle figure che sono sul verso di cc. 17, 19, 101, 108, 158, 159, 160, 163. 164, 198, 200. 205. (3) V ec e llio , Habili, cc. 103, 154, 167, 184, 212, sempre al verso. (4) Non possiamo intendere diversamente i ventagli che sono nel V ec e llio alle cc. 18 v. e 207 v , quantunque il M elami (pag. 259) ritenga che il Rinascimento non conoscesse i ventagli da aprire e chiudere. (5) Ca m po k i, Cataloghi, pag. 36.