ALMA MATER STUDIORUM

Università degli studi di Bologna

FACOLTA’ DI AGRARIA Dipartimento di Scienze degli Alimenti Corso di Laurea in Scienze Agrarie Materia di tesi: Zootecnica speciale I

VALORIZZAZIONE DELLE RAZZE BOVINE AUTOCTONE NELLA PRODUZIONE DEL PARMIGIANO-REGGIANO

Tesi di Laurea Relatore: di: Chiar.mo Prof. KATIA BERNABEI FRANCESCO RICCI BITTI

PAROLE CHIAVE: RAZZE AUTOCTONE, REGGIANA, BIANCA VAL PADANA, CASEINA, PARMIGIANO-REGGIANO

Sessione II

Anno Accademico 2000-2001

1 Indice

Premessa 3

1-Introduzione 4 1.1 Cenni storici 5 1.2 Area di diffusione 8 2-Attuale procedura per la produzione del Parmigiano- Reggiano 10 2.1 Lo standard del formaggio Parmigiano-Reggiano 11 2.2 I contrassegni e i marchi di garanzia del Parmigiano Reggiano 13 2.3 Regolamento per l’alimentazione delle bovine 19 2.4 Il latte e le sue caratteristiche 30 2.5 La trasformazione casearia 61

3-Influenza del tipo di caseina sulla formazione della cagliata 67 4-Principali razze bovine allevate in provincia di Modena e Reggio Emilia 84 4.1 Evoluzione numerica 85 4.2 Riqualificazione delle razze bovine autoctone 92 4.3 Caratteristiche morfologiche e fisiologiche 96 4.4 Trend fenotipico 104 4.5 Miglioramento genetico 108

5-Attuale situazione 112 5.1 Sistemi di allevamento 113 5.2 I riscontri al caseificio 131

6-Prospettive 134

7-Bibliografia 138

2 Premessa

La lunga storia del Parmigiano Reggiano oltre ad essere legata ad un ambiente con caratteristiche pedo-climatiche peculiari che permette di estrinsecarne tutte le caratteristiche fisiche chimiche e organolettiche, s’intreccia con quella di due razze bovine autoctone: la Bianca Val Padana e la Reggiana. Si è instaurata attraverso i secoli una stretta connessione tra ambiente, tipi genetici e prodotto. Ciò garantisce la genuinità, la tipicità e più in generale la qualità del prodotto in questione. Per questo e per altri motivi di ordine biologico e culturale è importante, e allo stesso tempo può risultare interessante, mettere in evidenza le caratteristiche e le potenzialità di queste due “storiche” razze bovine.

3 1-Introduzione

4 1.1 Cenni storici

Secondo la classificazione dello svizzero Duerst la popolazione bovina viene suddivisa in tre raggruppamenti fondamentali: Bos taurus macroceros (longicorni), Bos taurus brachiceros (brevicorni) e Bos taurus akeratos (acorni). Dal Bos taurus brachiceros ha origine il Bos primigenius o Uro del sud da cui deriveranno tutte le razze europee e che si estinse intorno alla metà del secolo XVII. Decisivo, nell’evoluzione del patrimonio zootecnico, più in particolare quello bovino, fu un evento storico di grande portata: la caduta dell’ impero romano d’occidente (476). Subito dopo ebbero inizio le invasioni barbariche. Queste popolazioni provenivano dal sud-est europeo; tra queste vi furono i Longobardi i quali ebbero un ruolo fondamentale nella diffusione di nuove razze bovine in Italia. I Longobardi provenivano dalla Pannonia e, dopo aver invaso nel 568 il Friuli, dilagarono in tutta la Padania e conquistarono molti territori dell’Italia centro-meridionale. Durante le loro migrazioni utilizzavano numerosi bovini, indispensabili per il trasporto dei familiari e delle masserizie. Questi bovini erano stati razziati nei territori che avevano attraversato prima di scendere in Italia, cioè nella Russia meridionale, nella Podolia e nella Pannonia. Si può quindi ritenere che quei bovini portati in Italia appartenessero all’antica razza . Secondo recenti studi, il pigmento rosso del mantello, che è un carattere dominante, sarebbe stato trasmesso dalle antiche vacche rosse della steppa russa cha ancora oggi vivono nell’Ucraina e nell’est della Romania. Nel volgere di pochi secoli, la razza fromentina sostituì le razze indigene e

5 mantenne la supremazia fino alla prima metà del ’900. Fu proprio questa razza, a partire dal secolo XII, la protagonista della cosiddetta “rivoluzione casearia“ con la quale si ebbe la produzione dei primi formaggi a base di latte vaccino, i “caci parmigiani“ poi parmesan, ad opera dei monaci benedettini. A questo punto occorre fare un precisazione: la razza definita “fromentina“ comprende diverse sottorazze che si formarono nei territori pianeggianti e collinari compresi fra la provincia di Modena e l’Oltrepò pavese. Queste sottorazze avevano in comune il mantello rosso, seppure in diverse tonalità, ed elevata adattabilità alle diverse condizioni ambientali, ma si differenziavano tra loro per la taglia, per la diversa attitudine alla produzione di latte e carne e, in certi casi, per una minore resistenza ai lavori pesanti. Attualmente alcune di queste sottorazze sono ridotte allo stato di reliquia e rischiano l’estinzione. In particolare sono: , Ottonese e . La Bianca Val Padana e la Reggiana invece hanno una consistenza numerica più elevata; il rischio però di un ulteriore calo del numero di capi sussiste ancora per la Bianca Val Padana. Tornando alla storia della razza fromentina, tra il Po e l’ Enza (Piacenza e Parma) il mantello era di colore rosso accentuato, la mole media e la produzione del latte particolarmente ricercata; fra l’Enza e il Secchia (Reggio Emilia) il mantello rosso tendeva al pallido, perciò detto fromentino, la mole maggiore e una più spiccata attitudine lattifera; fra Secchia e Reno (Modena) la popolazione bovina, assai eterogenea come mantello, tipo e mole, era invece a più spiccata attitudine alla produzione di carne, ma, fin dal ’700, cominciò a prevalere la razza di tipo reggiano cioè a triplice attitudine (ma più lattifera) e a mantello fromentino. L’illustre Filippo Re, riferendosi ai bovini di Reggio, ma che simili si ritrovavano anche nel modenese, affermava:

“Il bovino di mantello fromentino (cioè rosso chiaro) è da tutti preferito ad ogni altro. Il bovino latteo (segno che già all’ inizio dell’’800 vi erano soggetti di colore bianco) è da tutti ricusato siccome indicante animale debole“.

6 Verso la metà dell’800, dal gruppo di bovini di cui si è parlato poc’anzi, si differenziò una popolazione a mantello bianco con centro Carpi e perciò detta anche “carpigiana“ che si estese poi nella restante pianura modenese, nelle zone confinanti della pianura di Reggio con centro Correggio e nell’Oltrepò mantovano, per questo assunse anche il nome “modenese“ poi “Bianca Val Padana“. Dalla seconda metà dell’800 con esposizioni zootecniche la Società Fiere e Corse di Modena incoraggiò l’allevamento dei bovini del tipo modenese premiando i soggetti migliori, ben sviluppati, con mantello tra il fromentino e il bianco, di buon accrescimento, con attitudine al lavoro e provviste di buone masse muscolari. Solo alla fine del secolo, con la comparsa dei primi caseifici nel modenese, si è cominciato a valorizzarne l’attitudine lattifera e quindi casearia. La Cattedra Ambulante di Agricoltura, dopo l’Esposizione Zootecnica di Mirandola del 1905, iniziò un metodico lavoro di selezione. Da allora si costituì la Commissione Zootecnica Provinciale della quale fecero parte tecnici ed allevatori incaricati di coordinare e uniformare i criteri di scelta dei riproduttori, si moltiplicarono le esposizioni zootecniche circondariali e comunali e nel 1913 si costituì la Commissione Provinciale per l’approvazione dei tori. Le prime informazioni accreditate sulla vacca rossa reggiana provengono invece da uno studio datato 1809 ad opera del Bolognini relativo al bestiame bovino allevato nel Dipartimento del Crostolo. In questi anni vengono importate dalla Svizzera vacche “lugane” per essere fecondate da tori reggiani per la vendita dei nati al macello (eccetto le vitelle di buona conformazione). Intorno al 1860, secondo Guardasoni (1931) era già iniziata una prima opera di miglioramento della Reggiana volta ad eliminare alcuni difetti morfologici della razza, come la linea dorsale avvallata e la coscia di pollo al fine di ottenere animali dotati di una migliore attitudine alla produzione di carne e di

7 più armonica conformazione. Allo scopo vennero introdotti e utilizzati per l’ incrocio bovini di ceppo Simmenthal dai cantoni di Friburgo e Berna. Tale incrocio fu effettuato soprattutto nella tenuta dei conti Spalletti presso S. Donnino di Casalgrande. I risultati furono ottimi, tanto da generare quasi una sottorazza, molto apprezzata, detta “razza Spalletti“. Per la monta pubblica oltre ai tori Simmenthal furono introdotti tori Durham, tori di razza Bruna Alpina e persino olandesi. Allo scopo di ottenere un miglioramento più rapido della produzione di latte e carne venne addirittura presa la delibera di intraprendere l’incrocio di sostituzione della Reggiana con la Simmenthal, ma l’ obiettivo della sostituzione della razza autoctona non fu mai raggiunto. La Simmenthal aveva innegabili qualità superiori, rispetto alla Reggiana nei riguardi della produzione di latte e carne, ma aveva ridotto le capacità di resistere alle fatiche dei lavori agricoli a cui era destinata. Dal momento che gli ibridi presentavano una minore consistenza del tessuto corneo ungueale ed un netto peggioramento dell’attitudine dinamica rispetto al ceppo autoctono, la tecnica dell’ incrocio venne abbandonata e s’iniziò l’opera di miglioramento della razza locale con la costituzione di nuclei di allevamento di bovini di razza selezionata tra i quali scegliere i riproduttori. Infine, il XIII Congresso Internazionale di Agricoltura, svoltosi a Roma nel 1927, avvalorò l’ opinione che il miglioramento delle razze locali andasse ricercato con la selezione e non con l’incrocio con altre razze. (1), (2), (3), (4)

1.2 Area di diffusione

Attualmente la distribuzione dei bovini di razza Reggiana e di Bianca Val Padana copre le province di Modena e Reggio Emilia (figura 1); in particolare gli allevamenti di vacche reggiane sono ubicati sia in aree montane

8 dell’Appennino Reggiano (Baiso, Casina, Carpineti, Castelnovo ne’ Monti) delimitate, come una sorta di confine naturale, dal fiume Enza (che separa la provincia di Reggio Emilia da Parma) e dal fiume Secchia che tagliando fuori Villa Minozzo (altra zona di allevamento di Reggiane) divide Modena da Reggio Emilia, sia anche nella pianura di Reggio e provincia (Cavriago, Cadelbosco di Sopra, Coviolo, Quattro Castella, Castelnovo di Sotto, Viano, Guastalla). I capi di Bianca Val Padana invece sono per lo più concentrati nelle aree appenniniche di Prignano, Zocca, Palagano, e Montefiorino; ve ne sono anche alcuni nuclei ‘sostanziosi’ nella pianura reggiana (Albinea) e in quella Modenese (Spilamberto e Sassuolo).

Figura 1. Distribuzione geografica della razza Reggiana e della Val Padana (ridisegnata da Atlante Mondiale Omnia De Agostini)

9 2-Attuale procedura per la produzione del Parmigiano Reggiano

10 2.1 Lo standard del formaggio Parmigiano– Reggiano

Formaggio semigrasso, a pasta dura, cotta ed a lenta maturazione, prodotto con coagulo ad acidità di fermentazione dal latte di vacca proveniente da animali, in genere a periodo di lattazione stagionale, la cui alimentazione base è costituita da foraggi di prato polifita o di medicaio. Viene impiegato il latte delle mungiture della sera, riposato e parzialmente scremato per affioramento, e del mattino. La cagliatura è effettuata con caglio di vitello. Non è ammesso l’impiego di sostanze antifermentative. Dopo qualche giorno si procede alla salatura, che viene praticata per 20-30 giorni circa.La maturazione è naturale e deve protrarsi almeno fino al termine dell’estate dell’anno successivo a quello di produzione, per quanto la resistenza alla maturazione sia anche superiore. Il formaggio stagionato è usato da tavola o da grattugia e presenta le seguenti caratteristiche: x forma cilindrica, a scalzo leggermente convesso o quasi diritto, con facce piane, leggermente orlate; x dimensioni: diametro da 35 a 45 cm. , altezza dello scalzo da 18 a 24 cm.; x peso minimo di una forma: kg. 24 (massimo kg. 40); x confezione esterna: tinta oscura ed oleatura o giallo dorato naturale; x colore della pasta: da leggermente paglierino a paglierino; x aroma e sapore della pasta caratteristici: fragrante, delicato, saporito, ma non piccante; x struttura della pasta: minutamente granulosa, frattura a scaglia; x occhiatura: minuta, appena visibile; x spessore della crosta: circa 6 mm;

11 x grasso sulla sostanza secca: minimo 32%; x zona di produzione: territori delle province di Bologna alla sinistra del fiume Reno, Mantova alla destra del fiume Po, Modena, Parma, Reggio nell’Emilia (fig. 2). (21)

Figura 2. Comprensorio del Parmigiano-Reggiano (da www.sirio.com/fanticini/pr.comefa-it.html)

12 2.2 I contrassegni e i marchi di garanzia del Parmigiano-Reggiano

Figura 3. I marchi e i contrassegni di garanzia del Parmigiano-Reggiano (rielaborato da www.bassaparmense.it)

La Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana n. 235 del 9 ottobre 2001 riporta il comunicato del Ministero delle Politiche Agricole e Forestali (Mipaf) in merito alla modifica al disciplinare di produzione del formaggio a

13 D.O.P. Parmigiano-Reggiano, avanzata dal Consorzio in all’Assemblea Generale dei Delegati del 20 luglio scorso. Tale modifica riguarda il Regolamento di alimentazione delle bovine da latte, lo Standard di produzione e il Regolamento di marchiatura, per aggiornare gli stessi documenti che già facevano parte del Disciplinare di produzione del Parmigiano-Reggiano, inoltrato alla Commissione CEE a seguito del Reg. CEE 2081/92 che ha introdotto a livello comunitario il riconoscimento delle D.O.P. e delle I.G.P. La modifica specifica meglio l’uso di latte crudo, il divieto dell’uso di additivi, le norme per l’alimentazione delle bovine da latte, indicando i foraggi e i mangimi ammessi e quelli vietati. Inoltre introduce l’identificazione all’origine di ogni singola forma mediante l’apposizione di un codice e introduce una distinzione nel marchio di selezione, indicando il Parmigiano-Reggiano idoneo alla prima stagionatura (circa 12-15 mesi) e quello idoneo alla lunga stagionatura (circa 24 mesi). A proposito della marchiatura si riportano le disposizioni generali e le definizioni:

UI marchi (art.1) I segni distintivi del formaggio Parmigiano-Reggiano sono rappresentati dai marchi d’origine e dai marchi di selezione (fig.3). 1. La marchiatura d’origine è eseguita a cura dei singoli caseifici mediante: a) l’apposizione di una placca di caseina recante la scritta “Parmigiano- Reggiano” o “CFPR” e i codici identificativi della forma; b) l’impiego di apposite matrici (fasce marchianti) imprimenti sulla superficie dello scalzo di ogni forma la dicitura a puntini “Parmigiano-Reggiano”, nonché la matricola del caseificio produttore, l’annata e il mese di produzione.

14 2. La marchiatura di selezione è effettuata dal Consorzio del Formaggio Parmigiano-Reggiano mediante l’apposizione di marchi indelebili, come riportato nei successivi art. 4, 5, 6, 7 e 8.

UDefinizione dei lotti produttivi e operazione di espertizzazione (art.4) 1. La produzione del caseificio è divisa in lotti e più precisamente: a) 1° lotto: il formaggio prodotto nei mesi da gennaio ad aprile; b) 2° lotto: il formaggio prodotto nei mesi da maggio ad agosto; c) 3° lotto: il formaggio prodotto nei mesi da settembre a dicembre. 2. Prima della marchiatura di selezione tutte le forme di formaggio Parmigiano-Reggiano sono esaminate da una Commissione composta da almeno due esperti nominati dal Consorzio. Questa operazione è detta “espertizzazione”. 3. Tutte le operazioni di espertizzazione e di apposizione dei marchi devono avvenire all’interno della zona di origine.

UEspertizzazione (art.5)U 1. Le operazioni di espertizzazione sono espletate per i tre lotti di produzione in tre periodi secondo il seguente calendario: a. Il formaggio del primo lotto è espertizzato a partire dal 1° dicembre dello stesso anno; b. Il formaggio del secondo lotto è espertizzato a partire dal 1° aprile dell’anno successivo; c. Il formaggio del terzo lotto è espertizzato a partire dal 1° settembre dell’anno successivo.

UClassificazione del formaggio (art.6)U 1. L’espertizzazione del formaggio avviene attraverso la valutazione dell’aspetto esterno, della struttura e delle caratteristiche olfattive della

15 pasta, avvalendosi dell’esame con il martello e dell’esame con l’ago con riferimento agli usi e alle consuetudini e secondo la classificazione riportata nell’Allegato. 2. Al fine di approfondire l’oggettività dell’espertizzazione, le commissioni devono procedere al taglio di almeno una forma per lotto e, comunque, non meno di una ogni mille o frazione di mille, per valutarne le caratteristiche strutturali ed organolettiche. Ai caseifici è fatto obbligo di mettere a disposizione le forme indicate dagli esperti da sottoporre al taglio e di consentire l’eventuale prelievo di una porzione delle stesse.

UApposizione dei bolli ad inchiostro (art.7)U 1. Contestualmente alle operazioni di espertizzazione, di cui all’art. 6, alle forme sono applicati bolli provvisori ad inchiostro indelebile per caratterizzare le seguenti categorie: a) Prima categoria, costituita dalle forme classificate in Allegato come “formaggio scelto sperlato” e “formaggio scelto mercantile” (forme qualificate come “uno” e come “zero”); b) seconda categoria, costituita dalle forme classificate come “formaggio mezzano”; c) terza categoria costituita dalle forme classificate come “formaggio scarto” o “formaggio scartone”.

UApposizione dei bolli a fuoco (art.8)U 1. Sulle forme di “prima categoria” e su quelle di “seconda categoria” si appone un bollo ovale a fuoco imprimente la dicitura “Parmigiano- Reggiano Consorzio Tutela” e l’anno di produzione; 2. il formaggio di seconda categoria è sottoposto all’identificazione mediante un contrassegno indelebile da applicarsi sullo scalzo della forma;

16 3. l’applicazione del bollo a fuoco può essere effettuata dopo sette giorni dall’avvenuta espertizzazione.

UAnnullamento dei marchi d’origine (art.9)U 1. Sulle forme di terza categoria, unitamente a quelle con gravi difetti strutturali che non ne hanno consentito la stagionatura e a quelle che hanno subito correzioni tali da compromettere l’estetica della forma e la qualità della pasta o i contrassegni identificativi del mese, dell’anno di produzione e della matricola del caseificio, saranno asportati i marchi di origine a cura degli addetti del Consorzio o le stesse dovranno essere consegnate a una o più strutture di trasformazione convenzionate con il Consorzio. Per tali forme il caseificio dovrà conservare la documentazione prodotta dalle suddette strutture da cui risulti l’avvenuto annullamento dei marchi di origine. L’annullamento dei marchi è effettuato anche per le forme sulle quali non sono stati correttamente applicati i marchi di origine.

UAllegatoU Classificazione merceologica del formaggio

1. Formaggio scelto sperlato Tale qualifica viene attribuita a quelle forme immuni da qualsiasi difetto sia esterno che interno (pezzatura, crosta, martello, ago, struttura della pasta, aroma,sapore) in qualsiasi modo rilevabile, sia alla vista sia al collaudo dell’ago e del martello.

2. Formaggio scelto mercantile 0-1 In questa classe sono comprese le forme classificate come: x Zero: le forme che, pur rispondendo alle caratteristiche di scelto, presentano sulla crosta fessure superficiali, piccole erosioni, spigoli

17 leggermente rovinati e qualche piccola correzione senza che la forma risulti deformata. x Uno: le forme aventi leggere anomalie di struttura e in particolare: - uno o due vescicotti (cavità di forma circolare od oblunga creatasi nella pasta) di diametro non superiore ai 3-4 cm e sempre che, sondato il vescicotto con l’ago, questo non riveli difetti olfattivi; - -vespaio localizzato (zona di pasta spugnosa) di pochi centimetri senza difetti olfattivi; - alcune “bocche di pesce” e cioè occhi di forma oblunga, non superiori ai 3-4 cm; - leggere sfoglie, costituite di alcune fessurazioni della pasta, di lunghezza non superiore ai 3-4 cm; - occhi radi e non eccessivamente ripetuti, - le forme cosiddette “lente”, e cioè quelle che alla percussione con il martello rivelano un suono sordo.

3. Formaggio mezzano (uno lungo) In questa classe sono comprese le forme con: - vescicotti di diametro superiore ai 3-4 cm immuni da difetti olfattivi; - vespai immuni da difetti olfattivi; - occhiatura diffusa nella forma (occhi lucidi, rotondi, di diametro medio- piccolo); - alcune fessurazioni e spacchi disposti orizzontalmente; - fessurazioni e spacchi orizzontali localizzati in prossimità di un piatto e/o interessanti parte dello scalzo; - correzioni in scalzo o in piatto, in assenza di difetti olfattivi, eseguite a regola d’arte di entità tale da non compromettere significativamente l’aspetto esteriore della forma.

18 4. Formaggio scarto In questa classe sono comprese le forme con: - bombatura molto accentuata dei piatti della forma; - pasta spugnosa con grande e diffusa occhiatura; - fessurazioni orizzontali multiple e diffuse con conformazioni a “libro”; - grosse fenditure e spacchi diffusi su gran parte della forma; - grossa cavità localizzata al centro o in zona sub-centrale a forma sferica od oblunga con o senza pasta spugnosa; - correzioni in scalzo e/o in piatto profonde ed estese; - forme con evidenti difetti olfattivi.

5. Formaggio scartone A questa classe appartengono tutte le forme nelle quali si nota la presenza di numerosi e gravi difetti e cioè tutte quelle che non possono per la loro qualità essere comprese nelle categorie sopra specificate. (10)

2.3 Regolamento per l’alimentazione delle bovine

L’ultimo aggiornamento del regolamento per l’alimentazione delle bovine risale al 1999 (Consorzio del Formaggio Parmigiano-Reggiano) Il razionamento delle vacche il cui latte è destinato alla produzione di Parmigiano-Reggiano si basa sull’utilizzazione di foraggi locali, il che consente di mantenere vivo l’imprescindibile rapporto che lega il prodotto al territorio. Per questa ragione: x almeno il 35% della sostanza secca dei foraggi utilizzati deve essere di produzione aziendale;

19 x almeno il 75% della sostanza secca dei foraggi deve provenire dal Comprensorio; x non più del 25% della sostanza secca dei foraggi (ivi compresi tutti quelli ottenuti per disidratazione ad alta temperatura) può provenire da territori collocati al di fuori dell’area del Parmigiano-Reggiano, purché prodotti nelle regioni contigue a quelle del Comprensorio di produzione.

Qualora l’azienda non disponga di un adeguato rapporto terra/bestiame (SAU pari 0,33 ha per vacca da latte in pianura e 0.66 ha per vacca da latte in montagna), il produttore deve documentare la provenienza dei foraggi acquistati. La razione di base, costituita dai foraggi, viene convenientemente integrata con mangimi complementari in grado di bilanciare gli apporti energetici, proteici, minerali e vitaminici della dieta.

I foraggi

Sono da ritenersi idonei per l’alimentazione delle vacche da latte: x i foraggi freschi ottenuti da buoni prati stabili naturali polifiti o artificiali purché falciati asciutti, all’inizio della fioritura e somministrati prontamente. In particolare si possono impiegare: erba medica; erba di prato naturale; erba di trifoglio; erbai di loietto, segale, avena, orzo, granturchino, sorgo da ricaccio, panico, dactilis, festuca, fleolo, sulla, lupinella, somministrati singolarmente o associati tra loro o con pisello, veccia e favino a giusta maturazione; x i fieni ottenuti a mezzo dell’essiccamento in campo o per aeroessiccazione delle essenze foraggere predette; x il foraggio ottenuto dalla coltura della pianta intera del mais raccolto a maturazione latteo-cerosa o cerosa e sottoposto a trinciatura (tale foraggio

20 deve essere immediatamente somministrato alle bovine onde ridurre al massimo i processi fermentativi); x le paglie di cereali e i foraggi di buona qualità disidratati ad alta temperatura.

Limitazioni d’impiego dei foraggi

Al fine di realizzare un corretto razionamento è necessario che l’utilizzazione dei foraggi avvenga nel rispetto delle seguenti regole: x le quantità massime di foraggi freschi, nel loro insieme, non devono superare i 30 kg per vacca al giorno; x la quantità di trinciato di mais, di sorgo e di granturchino non deve superare, complessivamente, i 10 kg/capo/giorno; x il fieno di medica non deve essere associato agli erbai di leguminose; x i prodotti ottenuti per disidratazione con alte temperature non devono eccedere i 2 kg per bovina al giorno. Il trattamento termico provoca infatti una drastica caduta della flora lattica autoctona e profonde modificazioni chimico-fisiche dei diversi principi alimentari; x l’impiego dei fieni di medica e di trifoglio ottenuti a mezzo di aeroessiccazione va associato a foraggi secchi di graminacee, per migliorare le qualità dietetiche, stimolare la masticazione e regolare la ruminazione.

I mangimi

Nel razionamento è necessario tenere conto che i trattamenti tecnologici (macinazione, schiacciamento, fioccatura, micronizzazione, estrusione…) modificano, anche in modo radicale, le caratteristiche chimico-fisiche dei

21 prodotti, rendendoli differenti da quelli da cui originano. Per il razionamento delle bovine in lattazione non è ammesso l’impiego di diete che abbiano come fonte di amido un unico cereale. Per valutarne la conformità, i mangimi devono essere corredati da “cartellini” in cui siano indicate le singole materie prime e non le sole categorie di materie prime affini. Inoltre, al fine di predisporre un corretto razionamento,è necessario che sia riportato, per ogni ingrediente, il trattamento termico o idrotermico cui, eventualmente, è stato sottoposto. I mangimi devono essere conservati in modo adeguato sia per preservare le caratteristiche dietetico-nutrizionali, sia per evitare che possano contaminare l’ambiente quindi il latte. A tal fine: x i sili devono essere periodicamente svuotati completamente, puliti e disinfettati; x i mangimi non possono essere conservati all’interno della stalla.

Tabella 1. Mangimi semplici utilizzabili e dosi massime d’impiego

% max nei materie prime mangimi Kg/capo/die

MAIS IN FARINA 35 4 MAIS SCHIACCIATO 30 3 MAIS FIOCCATO E\O ESTRUSO 20 2 MAIS TOTALE (FARINA+SCHIACCIATO+FIOCCATO+ESTRUSO) 50 6 ORZO (schiacciato e/o farina) 30 3,5 ORZO (fioccato) 20 2 FRUMENTO+TRITICALE+SEGALE: in totale 20 2 SORGO 15 1,5 AVENA 10 1 CRUSCA,CRUSCHELLO, TRITELLO, GERME, FARINACCIO E FARINETTA DI FRUMENTO: in totale 30 3 POLPE SECCHE DI BIETOLA (in fettucce e/o pellet) 15 2 FARINA DI ESTRAZIONE DI SOIA (inegrale e/o decorticata) 25 2,5 SOIA INTEGRALE (fioccata,tostata,estrusa o micronizzata): in totale 10 1 FARINA DI ESTRAZ. GIRASOLE (minimo 30% proteine) 10 1 FARINE DI ESTRAZIONE E/O EXPELLER E/O PANELLI DI LINO E DI GERME DI MAIS: in totale 10 1

22 TRINCIATO DI CEREALI CEROSI DISIDRATATI (mas, orzo, frumento, segale e triticale): in totale 20 2 FAVA E/O FAVINO 10 1 PISELLO PROTEICO 10 1 SEMOLA GLUTINATA, GLUTINE DI MAIS E BUCCETTE DI SOIA: in totale 10 1 SEME INTEGRALE DI LINO 3 0,3 ALTRE FORAGGERE DISIDRATATE: in totale 20 2 CARRUBA (come appetizzante) 30 MELASSO (come legante) 30

Note: le percentuali massime delle materie prime si riferiscono ai mangimi complementari che da soli integrano la razione dei foraggi e non si applicano ai concentrati ad alto contenuto proteico, minerale e vitaminico (i cosiddetti “nuclei”), utilizzati in dosi inferiori a 4 kg capo/giorno. Il contenuto di lipidi grezzi, dopo idrolisi acida, non deve superare il 4,5% nei mangimi complementari, ad esclusione dei “nuclei”. Non è consentita l’umidificazione delle polpe secche di bietola.

Probiosi (probiotici e prebiotici)

I probiotici ed i prebiotici autorizzati esplicano la loro attività, prevalentemente se non interamente, a livello del distretto rumine-reticolo. Per la loro efficacia nel mantenimento delle regolari funzioni digestive, l’impiego di lieviti vivi e di batteri lattici , utilizzati in preparati concentrati ed in piccole dosi, è ammesso nei cambiamenti di dieta, in presenza di turbe digestive e nei momenti di stress alimentare, gestionale ed ambientale. Anche l’impiego di oligopeptidi, di aminoacidi liberi (ruminoprotetti e non), di oligoelementi chelati, di oligosaccaridi non digeribili e di lieviti secchi, tutti in qualità di prebiotici, è consentito per i positivi effetti esercitati sulle funzioni digestive e sull’ ”igiene” del tratto digerente.

Acqua di bevanda

E’ necessario che le fonti di abbeverata siano facilmente accessibili agli animali e che l’acqua sia di buona qualità e ben appetita, non arrechi turbe digestive o metaboliche alla lattifera e non contamini il latte. In assenza di una specifica normativa in merito, l’acqua di bevanda deve soddisfare almeno i

23 requisiti minimi riportati in tabella 2. Particolare attenzione deve essere posta alla “clorazione” nell’intento di evitare la presenza di quantità eccessive di cloro libero che potrebbe interferire negativamente con l’attività microbica ruminale.

Tabella 2. Principali caratteristiche delle acque di bevanda

Valori guida Valori estremi Durezza totale 25 10-50 Acidità pH 6.5-8.5 6-9 Solidi totali disciolti (residuo fisso 13 g/l) Solfati (mg/l) 25 250

Fosforo (mg PB2BOB5B) 0.40 5.00 Ammoniaca (mg/l) 0.1 0.50

Nitrati (mg/l NOB3B) 5 50.0

Nitriti (mg/l NOB2B) assente 0.5 Flora fecale (coliformi, clostridi assente assente solfito riduttori, streptococchi) Cloro (mg/l) breakpoint 0.2

Alimenti non ammessi

Gli alimenti che non risultano espressamente ammessi sono da considerare non autorizzati. In ogni caso l’eventuale approvazione di alimenti non contemplati e le variazioni delle dosi d’impiego di quelli consentiti sono condizionate dall’esito favorevole delle osservazioni e delle sperimentazioni promosse e avallate dal Consorzio del Parmigiano- Reggiano.

24 Alimenti il cui impiego è vietato:

Foraggi e sottoprodotti freschi e conservati

1. Insilati di ogni genere, ivi compresi i pastoni. 2. Foraggi in fermentazione, anche se appassiti; foraggi trattati con additivi per migliorarne la conservabilità. 3. Erbai di sorgo zuccherino a maturazione estiva e di sorgo ibrido non maturo. 4. Colza, ravizzone, senape, fieno greco, foglie di piante da frutto e non, aglio selvatico, coriandolo. 5. Stocchi di mais e di sorgo, brattee e tutoli di mais paglia di soia. 6. Ortaggi in genere (cavoli, rape, patate, pomodori,…) ivi compresi scarti, cascami e sottoprodotti vari allo stato fresco e conservati. 7. Frutta fresca e conservata (mele, pere, pesche, uva, agrumi,…) nonché tutti i sottoprodotti freschi della relativa lavorazione. 8. Trebbie fresche di birra, distiller, borlande, vinacce, graspe ed altri sottoprodotti umidi provenienti dalla produzione della birra, dall’industria enologica e saccarifera e dalle distillerie. 9. Barbabietole da zucchero e da foraggio nonché le foglie ed i colletti. 10. Tutti i sottoprodotti liquidi della macellazione (contenuto ruminale ed intestinale, sangue, ecc.) e della caseificazione (siero, latticello,…).

Mangimi semplici

1. Tutti gli alimenti di origine animale (pesce, carne, sangue, penne, sottoprodotti vari della macellazione) nonché i sottoprodotti essiccati della lavorazione del latte (siero, latticello, farine lattee). 2. Grassi ed olii di origine animale e vegetale, compresi i saponi.

25 3. Semi di: cotone, veccia (comprese le svecchiature), fieno greco, lupino, colza, ravizzone e vinaccioli. 4. Sottoprodotti della lavorazione del riso: lolla, pula, puletta, farinaccio, gemma e granaverde. 5. Farine di estrazione, panelli ed expeller di: arachide, colza, ravizzone, cotone, semi di pomodoro, girasole con meno del 30% di proteine, babassu, malva, neuk, cocco, tabacco, sesamo, papavero,palmisto, olive, mandorle e noci. 6. Manioca, patate e derivati. 7. Alimenti disidratati ottenuti da ortaggi e sottoprodotti della loro lavorazione (buccette e semi di pomodoro ecc.) nonché frutta secca o essiccata di qualsiasi tipo (è consentito l’uso di carruba come appetizzante) e sottoprodotti della relativa lavorazione (marchi, pastazzi, buccette sanse, vinacce, vinaccioli e fecce. 8. Saccarosio, glucosio e tutti i sottoprodotti dell’industria saccarifera (il melasso può essere utilizzato solo come legante nei mangimi) cioè le borlande e delle birrerie (trebbie essiccate). 9. Urea e derivati, sali di ammonio, concentrato proteico di bietole (CPB) e borlande di ogni tipo e provenienza. 10.Antibiotici, terreni di fermentazione e qualsiasi principio attivo ed additivo non ammesso dalla vigente normativa nazionale e comunitaria. Non possono inoltre essere somministrati alle vacche da latte: x alimenti provenienti da colture geneticamente modificate; x foraggi e mangimi riscaldati, rancidi, ammuffiti, infestati da parassiti, deteriorati, imbrattati oppure contaminati da sostanze tossiche, radioattive o comunque nocive (anticrittogamici, insetticidi, micotossine, metalli pesanti, …);

26 x foraggi provenienti da terreni irrigati con acque di scarico di allevamenti, di industrie, di insediamenti urbani, da acquitrini, da terreni sommersi, da rive di fossi, nonché da terreni adiacenti alle grandi arterie stradali.

Insilati

La conservazione dei foraggi a mezzo dell’insilamento comporta la selezione e lo sviluppo di specie microbiche pericolosi per la buona riuscita del formaggio ed in particolare di batteri anaerobi sporigeni (Cl. tyrobutyricum e Cl. sporogenes) che, attraverso la catena alimentare, possono contaminare l’ambiente di stalla e trasferirsi al latte e alla pasta del formaggio. Per queste ragioni l’impiego di ogni tipo d’insilato è vietato tanto per l’alimentazione delle vacche in lattazione quanto per quelle in asciutta. Soltanto alle manze (ed eventualmente agli animali da carne) potranno essere somministrati insilati di mais (silomais e pastoni) alle seguenti condizioni: x l’allevamento di questi animali deve attuarsi in ambienti diversi da quelli in cui si trovano le vacche da latte e la gestione dell’insilato deve avvenire in modo da non imbrattare le aree e gli attrezzi adibiti al governo delle lattifere; x al prelevamento e alla distribuzione degli insilati devono essere destinati attrezzature e personale diversi da quelli utilizzati per le vacche da latte; in ogni caso devono essere adottati tutti gli accorgimenti per evitare le possibili contaminazioni; x lo spandimento delle deiezioni provenienti dalle stalle in cui si fa uso di insilati non deve avvenire sui prati in produzione, per evitare la contaminazione delle foraggere e l’effetto di accumulo legato al ciclo delle spore.

27 Le manze e gli animali alimentati con insilati di mais possono essere introdotti nell’allevamento delle vacche in lattazione solo dopo due mesi dalla sospensione della somministrazione degli insilati; in questo periodo gli animali devono essere tenuti in locali nettamente separati da in cui vivono i soggetti che continuano ad assumere insilato. E’ vietata anche la semplice detenzione in azienda degli insilati di erba e di quelli a base di alcuni sottoprodotti (polpe di bietola, erba di pisello da seme, trebbie di birra, buccette di pomodoro, ecc…), conservati in balloni fasciati, platee o con altre tecniche. Questi alimenti, per le loro caratteristiche, presentano altissimi contenuti di spore appartenenti a specie particolarmente virulente e, pertanto, non possono essere utilizzati nemmeno per le manze e per gli animali da carne. E’ comunque da sottolineare che anche la presenza di insilati di mais in azienda (silomais e pastone) rappresenta un potenziale rischio per la riuscita qualitativa del Parmigiano-Reggiano. La preparazione, la conservazione e la somministrazione di tali alimenti alle manze e agli animali da carne deve pertanto avvenire con la massima attenzione e con le dovute precauzioni.

Rapporto foraggi/mangimi

Gli elevati fabbisogni calorici delle bovine, particolarmente nelle fasi iniziali della lattazione, inducono ad aumentare la concentrazione energetica della razione con l’impiego di quantità crescenti di mangimi. Tuttavia, l’eccesso di concentrati è fonte di turbe digestive e metaboliche (acidosi ruminale, assorbimento di sostanze tossiche, ecc…) ed è causa, altresì, di alterazione della composizione e delle caratteristiche casearie del latte. Pertanto, in ogni fase della lattazione, la sostanza secca dei mangimi nel loro complesso non deve superare quella globalmente apportata dai foraggi (rapporto foraggi/mangimi non inferiore a 1). Il soddisfacimento delle crescenti esigenze nutritive delle bovine ad alta produzione deve pertanto essere raggiunto migliorando la qualità dei foraggi (dei fieni in particolare), piuttosto

28 che attraverso aumenti, non di rado a rischio, di mangimi generalmente ricchi di amido e di proteine.

Il “Piatto Unico”

Circa le modalità di preparazione e di somministrazione degli alimenti mediante la tecnica del “Piatto Unico” ci si deve attenere alle seguenti prescrizioni: x non è consentita la preparazione del carro con foraggi verdi, nemmeno nel caso in cui s’impieghi il trinciato fresco di mais. Se si utilizzano foraggi verdi, questi vanno somministrati a parte; x il “Piatto Unico” deve essere preparato all’interno dell’azienda che lo utilizza; x la preparazione del “Piatto Unico” non può avere luogo all’interno della stalla o nei pressi della sala di mungitura o del locale di raccolta del latte; x se si procede all’umidificazione della massa, la miscelazione deve essere effettuata almeno due volte al giorno e la distribuzione deve seguire immediatamente la preparazione; x il carro deve essere dotato di un sistema autonomo di pesatura, provvisto, preferibilmente, di dispositivi per la registrazione dei dati; x le greppie su cui viene distribuita la miscelata devono essere facilmente pulibili e lavabili; x nel caso in cui si usino insilati di mais per i vitelloni o per le manze, non può essere utilizzato lo stesso carro anche per le vacche in lattazione e nemmeno per quelle in asciutta. Va posta particolare attenzione alla contaminazione dei foraggi con terra, in quanto la probabilità che questa sia ingerita dall’animale aumenta con l’applicazione della tecnica del “Piatto Unico” .In ogni caso, qualora si somministrino agli animali alimenti ottenuti miscelando i foraggi secchi

29 trinciati in modo grossolano (lunghezza degli steli superiore a 2 cm) con i mangimi, la loro preparazione deve avvenire esclusivamente all’interno dell’azienda, al fine di verificare la provenienza e la rispondenza delle materie prime ed il rispetto del rapporto foraggi/mangimi.

Modalità di distribuzione degli alimenti

Nella scelta degli alimenti che possono essere utilizzati per il razionamento delle bovine e nell’adozione delle modalità di somministrazione è necessario tenere in considerazione che dal rispetto dei processi biochimici che avvengono all’interno del rumine dipendono lo stato di salute dell’animale e la quantità e la qualità del latte prodotto. Nell’alimentazione delle vacche da latte è necessario seguire le seguenti indicazioni: x somministrare i vari alimenti più volte nell’arco della giornata, alternando i foraggi ai mangimi; x distribuire i foraggi freschi ed i fieni prima della somministrazione dei mangimi. Il fieno può essere lasciato in continuazione a disposizione degli animali; x somministrare i foraggi freschi immediatamente dopo lo sfalcio, per evitare che, con l’ammucchiamento, s’inneschino pericolosi processi fermentativi; x frazionare uniformemente la distribuzione dei mangimi nell’arco delle 24 ore con l’ausilio, se possibile, di automatismi (autoalimentatori);evitare frequenti cambiamenti di dieta, responsabili di profonde alterazioni del biochimismo ruminale e, quando necessario, effettuare le variazioni in modo graduale e preferibilmente nell’arco di una settimana. (22)

30 2.4 Il latte e le sue caratteristiche

Il latte è il prodotto secreto ed elaborato dalla ghiandola mammaria che nella bovina presenta mediamente le seguenti caratteristiche (tab.3):

Tabella 3. Composizione del latte vaccino

Classe % media nel latte Costituenti (% di ogni classe) Acqua 87,1 (85-90) Lipidi 3.8 (3,5-5,5) Grassi veri (trigliceridi) 95-96 di e monogliceridi 1,452 Fosfolipidi (lecitine, cefaline e sfingomieline) 0,6-0,8 Steroli 0,3 Proteine 3,31 (3-5) % N totale Caseine (a, b, k) 76-86 Siero proteine 18 E-lattoglobulina 8 D-lattoalbumina 4 proteoso-peptoni 3,5 immunoglobuline 1,6 siero albumine 0,9 Azoto non proteico 6 Lattosio 5,06 (4,5-5) Glucosio 7mg/100 l Galattosio 2mg/100 l

Nel latte inoltre vi sono : Pigmenti: Carotene e carotenoidi, xantofille e riboflavine

31 Vitamine: Liposolubili Vitamina A e carotenoidi Vitamina D (colecalciferolo e ergocalciferolo) Vitamina E (a-tocoferolo) Vitamina K Idrosolubili Vitamina C (acido L-ascorbico e deidroascorbico) Vitamine del gruppo B

Tiamina BB1B

Riboflvina BB2B Niacina o acido nicotinico Acido pantotenico

Piridossina BB6B

Vitamina BB12 Biotina Inositolo Colina Acido para-ammino-benzoico Folocina Enzimi: aldolasi, amilasi, lipasi, esterasi (A, B e C), catalasi per ossidasi (lattoperossidasi), Proteasi, fosfatasi alcalina, fosfatasi acida (riduttasi), xantinossidasi, ribonucleasi, lisozima, anidrasi carbonica, salolasi, rodonasi,lattasi Vari:

Gas: COB2B, NB2 B e OB2B Urea, creatina, creatinina, acido urico, ammoniaca Costituenti cellulari:

32 frammenti delle cellule di secrezione, materiale nucleare, leucociti batteri. Aromi: vari in funzione del tipo di alimentazione

I principali componenti del latte sono presenti in tre differenti stati fisici: 1. fase di emulsione 2. fase di sospensione colloidale 3. fase di soluzione vera e propria. Le fasi si differenziano in base all’omogeneità e alle dimensioni delle particelle che le costituiscono: le particelle in soluzione hanno diametri inferiori a 10 mm, quelle in sospensione colloidale hanno diametri compresi tra 10 mm e alcune centinaia di mm e le particelle in emulsione hanno diametri di 0.2-20 mm. 1) Fase di emulsione: è la fase in cui si trova il grasso. Esso si trova in forma di globuli di 0,5-10 mm di diametro. 2) Fase di sospensione colloidale: è la fase caratteristica della principale proteina del latte: la caseina. Essa è presente in forma di micelle costituite da subunità di dimensioni minori. Il diametro delle micelle caseiniche è di 100- 300 mm mentre quello delle subunità è di 5-10 mm. 3) Fase di soluzione vera e propria: in questa fase si trovano i sali, gli zuccheri, le proteine a basso peso molecolare. Le particelle hanno un diametro inferiore a 10 mm. Più propriamente si può dire che il latte è un’emulsione di sostanze grasse in un plasma latteo, che a sua volta è una dispersione colloidale di proteine (caseine) in una soluzione vera e propria (siero) di altre proteine, sali, zuccheri, vitamine ed enzimi in acqua. Le tre fasi sono instabili e tendono a separarsi e ciò si può dimostrare facilmente lasciando riposare il latte per un po’ di tempo. Infatti dopo alcune ore si separa la fase in emulsione e si ha l’affioramento del grasso che ha un peso specifico minore; il liquido

33 sottostante impoverito del grasso è inizialmente allo stato di sol. Con il passare del tempo si verifica un passaggio dallo stato di sol a quello di gel a causa delle interazioni tra le particelle proteiche di caseina. In un primo momento il gel occupa tutto il volume precedentemente occupato dal sol, poi per azioni enzimatiche e chimiche il gel si contrae e si deposita sul fondo del recipiente separandosi dal siero. Se il latte è sterile il passaggio da sol a gel e da gel a coagulo contratto non avviene per la mancanza di enzimi attivi e di microrganismi. Per quanto riguarda il numero delle diverse particelle, vi sono per ogni ml di latte: 10 -10P P globuli di grasso; 4 -10P P micelle caseiniche; 17 -10P P siero proteine. L’estensione della superficie di queste particelle è notevole e ne determina la loro elevata reattività. Il volume occupato dalle micelle caseiniche rappresenta il 16% del totale, che è un valore alto in rapporto al loro peso (2,8%). Questo significa che le micelle caseiniche sono molto idratate e sono molto vicine tra di loro: la loro distanza grosso modo è pari al loro diametro. Le micelle possono interagire in seguito a modificazioni enzimatiche e dare un gel che occupa tutto il volume del latte. Se la quantità delle micelle fosse minore, l’interazione non sarebbe possibile, oppure si avrebbe un coagulo molle ed inconsistente o al limite si avrebbe una flocculazione. Quanto più il coagulo è consistente (ciò dipende in gran parte dalla percentuale di caseina nel latte), tanto più alta sarà la resa in formaggio, la sua qualità e la facilità della sua lavorazione. Al contrario, quanto minore è il volume occupato dalle micelle presenti, tanto maggiore sarà la distanza tra di loro e di conseguenza minore l’interazione e la facilità di formazione dei gel. Il latte è di colore bianco a causa della presenza della caseina, le cui micelle, grazie al loro diametro, riflettono la luce. Nel burro è presente il b-carotene e la provitamina A, che impartisce il colore giallo al grasso del latte; in caso di

34 carenza di carotenoidi nel foraggio (alimentazione invernale) il grasso è più bianco, e di conseguenza è più bianco anche il burro ottenuto da latte invernale. Il latte scremato è di colore più chiaro (bianco-azzurrognolo); il siero ha un colore tendente al giallo-verde a causa della presenza di

riboflavina, vitamina BB2B idrosolubile. La composizione chimica del latte può variare a causa di fattori endogeni o esogeni all’animale e sono ricollegabili a fattori genetici (specie, razza, individuo) e a fattori fisiologici (salute, n. lattazione,momento della lattazione) i primi; a fattori ambientali (alimentazione, clima, tecniche di allevamento) i secondi. (5), (9)

Fattori endogeni di tipo genetico

Oltre che per le prestazioni riproduttive e sanitarie (in senso lato) e nondimeno per la quantità di latte prodotto, il patrimonio etnico e individuale (tab.4) delle bovine da latte interessa i seguenti parametri: x % di proteine del latte; x % di grasso del latte; x quantità di proteina (kg di proteina/lattazione); x quantità di grasso (kg di grasso/lattazione). Il grasso è il componente del latte che presenta la maggiore variabilità a seconda di razza e individuo: il tenore lipidico nel latte di razze bovine diverse varia dal 3,5 al 5,7 %; anche la variabilità individuale è elevata (deviazione standard da 0,54 a 0,80). Il contenuto in proteine varia nelle diverse razze da 3,1 % a 3,9 %, ma diminuiscono gli scostamenti dalla media che vanno da 0,34 a 0,53. I componenti che variano di meno per fattori genetici sono il lattosio ed i sali minerali. (5), (7)

35 Tabella 4. Composizione media del latte di alcune razze bovine Razza Acqua Residuo secco Grasso Lattosio Proteine Caseine % % % % % % Bruna alpina 87.25 12.75 3,90 5,15 3,45 2,57 Frisona 87,50 12,50 3,58 4,80 3,25 2,49 Jersey 85,85 14,15 5,64 4,70 4,08 2,86 Simmenthal 86.69 13.16 3,89 5,00 3,37 2,63 * Reggiana 87,24 12,76 3,55 4,94 3,37 2,61 Bianca Val 3,34 3,40 2,58 padana * Il contenuto di caseina del latte della razza Simmenthal è quello teorico ricavato sapendo che la caseina è il 78% circa della proteina totale.

Il patrimonio genetico di ciascun individuo inoltre si esprime in termini di produzione lattea più o meno elevata mediante gli ormoni. Infatti: x le lattifere che portano un feto ad elevata potenzialità lattifera ricevono dalla placenta più ormoni necessari allo sviluppo ghiandolare e quindi producono più latte (Eley e coll. 1981); x oltre alla prolattina, l’aumento del GH (ormone dell’accrescimento) innalza sensibilmente la produzione di latte (Bines e Hart. 1982); x l’insulina si riduce nel sangue dopo il parto ed una sua somministrazione esogena causa un calo produttivo (Bertoni e coll. 1986); x gli ormoni tiroidei se vengono aumentati con interventi esterni causano un calo produttivo (Giuseppe Bertoni, da dati non pubbl.).(6)

Fattori endogeni di tipo fisiologico

Nel corso della lattazione si verificano dei cambiamenti nella composizione chimica del latte: nei primi giorni dopo il parto viene emesso un latte, il colostro, che presenta una composizione chimica particolare, adatta a soddisfare, le esigenze del vitello. La composizione standard del latte viene raggiunta circa una settimana dal parto. Nelle prime ore dopo il parto il

36 contenuto di proteine è elevatissimo (17,57%) ed è dovuto soprattutto alle sieroproteine che forniscono al neonato i fattori immunitari (immunoglobuline). In seguito il contenuto in proteine diminuisce. Nel colostro si hanno anche un maggior contenuto di grassi e di sali minerali e un minor contenuto di lattosio rispetto al latte normale. Anche nei mesi successivi della lattazione si ha un’evoluzione diversa del contenuto di lattosio, grassi e sostanze azotate. Il contenuto di lattosio è correlato alla produzione giornaliera di latte: x aumenta e raggiunge un massimo verso il 45° giorno, per diminuire poi lentamente ed in seguito più rapidamente verso la fine della lattazione. x Al contrario, grasso e proteine diminuiscono molto fino ad un minimo intorno al 45° giorno e poi aumentano andando verso il periodo di asciutta. Stesso comportamento si registra per l’acidità, l’attitudine alla coagulazione e la fermetescibilità del latte (buoni ad inizio lattazione, tali parametri peggiorano fino circa ai tre mesi dopo il parto e solo successivamente, gradualmente, recuperano). Nel corso della lattazione le variazioni che si possono registrare sono anche di ordine quantitativo. La massima produzione di latte viene raggiunta a 30-35 giorni dal parto; ad essa segue una fase costante di circa due mesi dopo i quali la produzione diminuisce circa del 10% ogni mese; circa 60 gg prima del nuovo parto la vacca viene messa in asciutta attuando particolari tecniche che inibiscono la secrezione lattea, per favorire la ricostituzione delle riserve corporee in vista del parto e del primo periodo di grossa produzione. L’età dell’animale esercita il suo effetto tanto sulla quantità prodotta (è maggiore nei parti successivi al 1°) quanto sui tenori di grasso e proteine (calanti a partire dal 2°-3° parto). Anche lo stato di salute influenza la produzione di latte sia per quantità che per qualità. Alcuni componenti del latte vengono elaborati dalla mammella a partire da sostanze contenute nel sangue (prodotti di sintesi: grasso, caseina,

37 lattosio e alcune sieroproteine), altri passano direttamente dal sangue al latte (prodotti di filtrazione: altre sieroproteine e cloruri). La forma patologica più grave che interessa la mammella, e di conseguenza la produzione di latte, è la mastite. Tale malattia, dovuta a stafilococchi o streptococchi, provoca una diminuzione della capacità di sintesi da parte della ghiandola mammaria: ciò fa sì che la composizione del latte mastitico si avvicini a quella del sangue , verificandosi una diminuzione dei prodotti di sintesi ed un aumento di quelli di filtrazione. (5), (7)

Fattori esogeni

L’esempio più lampante dell’importanza del fattore umano è dato dalla costituzione dei Disciplinari del Consorzio del Parmigiano-Reggiano che garantiscono la sanità e la genuinità del latte e quindi del formaggio. L’alimentazione svolge un ruolo di primaria importanza tra i fattori ambientali tanto sotto l’aspetto quantitativo quanto sotto quello qualitativo e nella modalità di distribuzione. Per ciò che attiene il contenuto in grasso è ben noto che i principali precursori dei lipidi del latte (acido acetico e acido butirrico) vengono prodotti a livello ruminale ad opera della micropopolazione ivi ospitata e che la loro quantità ed i rapporti tra acidi grassi volatili che si producono dipendono in larga misura dal tipo di razionamento. Se infatti si abbassa il rapporto foraggi/concentrati si riduce la quantità di grasso. C’è inoltre da tenere in considerazione la composizione e la forma fisica della razione: 1. grasso. tenore in fibra grezza ( se 16% diminuisce il tenore in grasso) 2. tenore in NDF (se 28% il tenore in grasso diminuisce)

38 3. una trinciatura troppo corta ( 4 mm) comporta diminuzione in grasso (diminuisce il tempo di masticazione e la salivazione influendo sulle fermentazioni che vengono sfavorite) 4. impiego di cerali fioccati di fibra grossolana aumentano il grasso 5. tecnica UNIFEED aumenta il grasso 6. la somministrazione frazionata dei concentrati aumenta il grasso 7. amidi e zuccheri facilmente fermentescibili diminuiscono il contenuto in grasso (si ha aumento di acido propionico e lattico con conseguente abbassamento del pH e quindi deperimento dei batteri cellulosolitici) 8. un eccesso di foraggi verdi diminuisce il grasso 9. la presenza di proteine ad elevata degradabilità diminuisce il contenuto in grasso.

La sintesi delle proteine del latte avviene principalmente a livello della mammella (solo il 3% circa, in condizioni normali, proviene direttamente dal sangue) e richiede le disponibilità, in questa sede, di energia e aminoacidi. Ciò premesso, è necessario specificare che i margini d’incremento del tenore proteico del latte a mezzo dell’alimentazione sono molto più ridotti di quelli del grasso. Ciononostante qualche risultato si può ottenere. Innanzitutto occorre garantire la buona funzionalità del rumine e quindi consentire il massimo sviluppo della flora simbionte. Quindi, pur nel rispetto di opportuni equilibri, è proficuo “estremizzare” il livello energetico della razione, soprattutto a mezzo di carboidrati fermentescibili. Senza risultato sul tasso proteico del latte è l’aumento del tenore proteico della dieta. Esso deve essere comunque elevato (senza eccessi) perché favorisce l’ingestione di sostanza secca e quindi di energia con positivi risultati. Ottimo indicatore della correttezza della nutrizione azotata della vacca è il tasso di urea del latte.

39 Per concludere il discorso sull’effetto del fattore alimentazione, è importante sottolineare come si possa equilibrare i componenti del latte con un adeguato razionamento che tenga conto dei reali fabbisogni dell’animale. I fabbisogni di una bovina possono essere determinati con le seguenti formule:

FABBISOGNO ENERGETICO Mantenimento UFL = 0,8 X ql di peso vivo Produzione UFL = 0,44 X kg di latte

FABBISOGNO PROTEICO Mantenimento PD = 60 g X ql di peso vivo Produzione PD = 50 g X kg di latte

Un altro fattore da tenere in considerazione per la sua influenza sulle caratteristiche del latte è il clima. La temperatura della stalla influenza molto la produzione di latte, che presenta un optimum intorno ai 10°C: oltre i 27°C la produzione diminuisce fino a ridursi a un quinto di quella massima quando la temperatura supera i 40°C. Il caldo-umido determina il calo di grasso e proteine riducendo anche l’acidità titolabile; le giornate ventose generalmente inducono questi stessi effetti. Il fotoperiodo naturale e l’illuminazione non sembrano modificare, nella sostanza, il contenuto di proteine,il grasso però può diminuire con l’aumento delle ore di luce. I tipi di allevamento possono essere a stabulazione libera oppure fissa. Il latte prodotto in stalle chiuse e senza luce ha una minore attitudine alla caseificazione, perché in assenza di luce non viene sintetizzata la vitamina D che, essendo calcio-fissatrice, aumenta il tenore di calcio nel latte. Si ritiene quindi sia migliore la stabulazione libera, all’aperto, che favorisce un aumento della quantità di latte prodotto, grazie alla ginnastica funzionale.

40 Tutti questi fattori (compreso lo stato di salute dell’animale), influiscono sulla secrezione di ormoni (e sulla loro efficacia periferica dovuta ai recettori) i quali a loro volta controllano, oltre a molte funzioni vitali, la ripartizione delle sostanze nutritive fra le diverse funzioni e l’eiezione lattea. (5), (7), (8)

Principali costituenti del latte vaccino

Zuccheri

Gli zuccheri nel latte sono presenti come monosaccaridi o disaccaridi, con

peso molecolare variabile tra 170 e 350 (nel caso dei disaccaridi, CB12BHB22BOB11B). Alcuni fra gli zuccheri del latte sono legati a sostanze ad alto peso molecolare (le proteine, principalmente la K-caseina). Essi costituiscono l’1% della caseina e lo 0.03% in peso del latte. Il lattosio, zucchero tipico del latte, chimicamente è un disaccaride costituito da glucosio e galattosio. Esso è responsabile del sapore dolce del latte, sebbene il suo potere dolcificante non sia molto grande (circa un sesto di quello del saccarosio). La produzione del latte ha come fattore limitante la sintesi del lattosio: gli individui che sintetizzano poco lattosio producono anche poco latte. Il lattosio viene sintetizzato a partire dal glucosio presente nel sangue e dal galattosio, che viene in parte prodotto da una trasformazione del glucosio e in parte sintetizzato direttamente. La concentrazione del lattosio nel latte varia dal 4.7% al 4,9%, mentre nel colostro è molto bassa (2,2-3%) e nei latti mastitici può scendere anche sotto al 3% nei casi più gravi. Il lattosio è il principale substrato delle principali fermentazioni microbiche che avvengono nel latte e nei formaggi. E’ anche uno dei responsabili delle alterazioni del colore, sapore e odore che avvengono nel latte durante i processi di risanamento

41 (specialmente a seguito di sterilizzazione): infatti il latte pastorizzato è bianco, mentre il latte a lunga conservazione è di colore più giallino.(5), (9)

Lipidi

I lipidi sono tra i maggiori costituenti del latte ed acquistano un elevato pregio commerciale con la trasformazione in burro. Il grasso è presente nel latte sotto forma di emulsione in globuli di diametro variabile: il 20% dei globuli ha un diametro di 2-8 Pm (in media 5 Pm) e rappresenta in peso il 99% del grasso; il restante 80% dei globuli rappresenta in peso solo l’1% del grasso e ha un diametro di 0.5-1 Pm. Il latte magro (totalmente scremato) è ottenuto separando i globuli di maggiore diametro: restano comunque quelli con piccolo diametro che sono numerosi e, anche se il loro peso percentuale è irrilevante, hanno una superficie complessiva elevata. Il globulo di grasso non ha una struttura omogenea, ma ha una struttura lamellare concentrica dovuta alla sovrapposizione di strati di trigliceridi a diverso punto di fusione: quelli altofondenti si dispongono nella parte esterna del globulo, quelli bassofondenti all’interno. Il globulo di grasso è inoltre racchiuso da una membrana, dello spessore di circa 10 nm, che può essere paragonata alle membrane cellulari. Essa è costituita da una struttura chimica complessa, con la parte idrofila verso l’esterno e lipofila verso l’interno. La presenza della membrana nel globulo di grasso implica conseguenze molto importanti: 1. relativa stabilità dell’emulsione plasma latteo-lipidi: la parte idrofila della membrana instaura legami con la componente acquosa del latte cosicché i globuli di grasso, malgrado il loro minor peso specifico, per tempi limitati non affiorano. In altre parole la membrana funziona da emulsionante come le lecitine nelle sostanze alimentari confezionate. 2. protezione dallealterazioni:

42 la membrana, racchiudendo i trigliceridi, li protegge dalle più frequenti alterazioni: il burro, infatti, irrancidisce più facilmente della panna, perché durante la zangolatura le membrane dei globuli si disgregano. 3. agglutinazione con altre sostanze: i fenomeni di agglutinazione non avvengono solo tra globulo e globulo, ma anche tra globuli e altre sostanze presenti nel plasma latteo, come ad esempio le micelle caseiniche o le spore di microrganismi (es. spore di Clostridi butirrici). 4. problemi nella burrificazione della crema: per burrificare una crema occorre agire meccanicamente in modo da rompere i globuli. 5. interazioni tra globuli di grasso e micelle caseiniche. A differenza dell’agglutinazione (che avviene grazie a fenomeni spontanei), questo tipo d’interazione avviene in seguito a trattamenti a caldo del latte. Con il trattamento termico le micelle caseiniche subiscono una parziale denaturazione e interagiscono con le proteine della membrana del globulo di grasso; le interazioni sono tanto maggiori quanto più energico è il trattamento termico: legati alle proteine i globuli di grasso aumentano molto la loro densità, per cui la velocità di affioramento della crema, che segue la legge di Stokes diminuisce anche drasticamente; è dunque più difficile scremare un latte pastorizzato che uno crudo. Dal punto di vista chimico il 98% del grasso presente nel latte è costituito da trigliceridi, circa, l’1% è costituito da fosfolipidi e la restante parte comprende sostanze diverse, come gli steroli, tra cui il colesterolo (0,3% del grasso), e le vitamine liposolubili: la vitamina A, che si trova come il E-carotene nel latte di vacca, e le vitamine E, D e K. Il E-carotene dà il colore al grasso del latte; la quantità di E- carotene varia stagionalmente a seconda dell’alimentazione: il contenuto minimo si ha in inverno, in assenza di alimentazione verde. Per

43 quanto riguarda la composizione in acidi grassi, o composizione acidica, il grasso del latte è uno dei più complessi, essendo costituito da 150 acidi grassi diversi, legati chimicamente con la glicerina a formare i trigliceridi. In maggioranza sono presenti in concentrazioni minori dello 0,01%, ma una ventina di acidi grassi sono quantitativamente importanti. (5), (9)

Sostanze azotate

Le sostanze azotate presenti nel latte possono essere suddivise in tre porzioni fondamentali (fig.5 e tab.5): a) caseine b) proteine solubili del siero c) sostanze azotate non proteiche Le proteine del latte costituite comunemente da 18 aminoacidi, sono per l’80% costituite da caseine. Le caseine D, E e J possono formare aggregati per azione degli ioni calcio, mentre la K-caseina agisce come colloido-protettore impedendo alle micelle di aggregarsi. La rennina, labfermento o caglio scinde dalla K-caseina un peptide ricco di acido sialico e pertanto crea le condizioni per la formazione del coagulo. L’azione della rennina viene bloccata dalla E- lattoalbumina denaturata.

Il latte con maggior quantità di K-caseina e quindi con micelle più piccole, ha la caratteristica di avere un minor tempo di coagulazione rispetto al latte che contiene micelle di maggiori dimensioni; di conseguenza la K-caseina migliora le proprietà casearie del latte. La K-caseina presenta due varianti genetiche A e B ed il “latte K-caseina B” determina una migliore attitudine alla formazione del coagulo. A questo punto le caratteristiche del coagulo della Bruna e della Reggiana risultano migliori rispetto a quelle della Frisona. Non tutti i protidi presenti nel latte sono frutto di sintesi mammaria. In condizioni normali circa il 3%

44 proviene tal quale dal sangue, ma durante il periodo colostrale questa percentuale aumenta notevolmente così come in caso di processi infiammatori della mammella. Sostanze azotate

D K caseina* (77%) E minori proteina vera (94%) D lattoalb. Proteine (100%) sieroproteine (17%) E lattoglob. siero-alb. azoto non proteico (6%) immunoglob.

*caseina D+E= massa cagliata KBAB: coagulo lento minor velocità di rassodamento minore consistenza della cagliata caseina K = sensibilità alla cagliata

KB B: coagulo veloce maggiore velocità di rassodamento maggiore velocità di cagliata

Figura 4. Schema delle principali sostanze azotate presenti nel latte

Anche l’urea deriva direttamente dal sangue e le sue concentrazioni nel latte non dovrebbero superare i 25-30 mg per 100 g (tab.5). La quantità di urea nel latte può costituire un interessante mezzo per stimare alcuni aspetti alimentari e nutrizionali della bovina. Infatti essa tenderà ad aumentare in caso di eccessive concentrazioni delle sostanze azotate nella dieta.

45 Tabella 5 . Distribuzione delle principali sostanze azotate nel latte vaccino (5)

g/l proporzionipercentuale medie Protidi totali 32 100 1 PROTEINE

A- UCASEINA ISOELETU. 25 78

a. caseina DBs1 B9,0 36

b. caseina DBs2 B2,5 10 c. caseina E 8,5 34 d. caseina K 3,2 13 e. caseina J1, J2, J3 1,75 7

B- USIEROPROTEINEU 5,4 17 B 1 albumine a- E-lattoalbumina 2,7 50 b- D-lattoglobulina 1,2 22 c- albumina del siero 0,25 5 B 2 immunoglobuline 0,65 12 B 3 proteoso-peptoni 0,6 10 2 SOSTANZE AZOTATE NON PROTEICHE 1,6 5

Il contenuto in proteina ed in caseina è determinato da fattori genetici ed ambientali e ad essi può essere fatto risalire uno dei parametri essenziali nel definire l’attitudine casearia del latte, strettamente connessa al tipo di reologia della cagliata presamica da cui dipende in gran parte la riuscita del formaggio, specie di quelli a pasta dura e semidura. Soprattutto la costanza di questa attitudine è di fondamentale importanza per la standardizzazione del prodotto. Inoltre la conoscenza tempestiva di questo parametro permette di intervenire

46 con modifiche nella tecnologia tali da ricondurre i tempi di coagulazione ma soprattutto la forza del coagulo nel range della normalità. I cambiamenti di reologia del coagulo avvengono oltre che per fattori genetici anche per cambi di alimentazione, di stagione ed anche di ora di mungitura (tab.6); sono infatti diversi perfino i latti della sera rispetto a quelli del mattino. (5), (24)

Tabella 6. Fattori che influenzano le proprietà del latte (23)

FATTORI CHE INFLUENZANO LE PROPRIETA’ CASEARIE DEL LATTE Aumento dell’acidità (iperacidità) Alimentazione: - carenza di calcio e di vitamina D; - eccesso di principi alimentari facilmente fermentescibili.

Riduzione dell’acidità (ipoacidità)

Gestione dell’allevamento: - elevata quota di vacche pluripare; - elevata quota di vacche nella seconda fase della lattazione.

Ambiente: - temperature elevate. Alimentazione: - carenza di proteine; - carenza di energia; - carenza di fosforo.

Modifiche nella struttura della micella caseinica e nell’equilibrio salino fanno cambiare sensibilmente anche l’acidità del latte e di conseguenza la sua capacità a reagire all’enzima coagulante. Si incontrano frequentemente latti ipoacidi, dalla lenta coagulazione e scarsa forza di eliminazione del siero, e latti con acidità eccessive e valori di pH pure anomali. In entrambi i casi

47 comunque ci si deve garantire che l’irregolarità non sia da attribuire a sviluppo di microflore varie, acidificanti od alcalinizzanti. Si può ricordare che anomalie nel contenuto proteico del latte si sono riscontrate in allevamenti di ogni regione italiana e come esempio si può citare il confronto fra area Padana ed Emiliana di produzione del Grana: in entrambe si allevano bovine Frisone alte produttrici, nella prima zona ad alimentazione senza vincoli particolari, nella seconda dove l’insilato è escluso; qualora l’alimentazione sia stata impostata inseguendo un’alta produttività, senza il rispetto di alcuni equilibri (per esempio il rapporto Ca/P) o di un corretto apporto energetico o proteico, si sono manifestate irregolarità nell’attitudine alla coagulazione.

UFrazioni della caseina

++ DBsB: “s” indica che questa frazione è “sensibile” alla presenza del CaP P(ionico), ++ con cui forma grossi aggregati, perciò la frazione DBsB, in presenza di CaP P diventa insolubile in un ampio intervallo di temperatura e precipita come sale di calcio. E: è fortemente idrofobica (cioè non è affine con l’acqua) ed è insolubile in ++ presenza di CaP P a temperatura ambiente (20°C), mentre è solubile a temperatura di frigorifero (quindi non floccula a temperature inferiori a 10°C).

Le frazioni DBsB e E sono molto ricche di fosforo. K: è una glicoproteina che si considera costituita da due parti, la para-K- caseina (parte insolubile che, dopo l’aggiunta del caglio, resta unita alle altre frazioni caseiniche) e il glicomacropeptide, detto anche caseinoglicopeptide (contiene il 75% degli zuccheri legati alla caseina e molti amminoacidi con gruppi idrofili). La frazione K costituisce il substrato specifico nella ++ coagulazione presamica. La frazione K è solubile, in presenza di CaP P, in un ampio intervallo di temperature, anche se nella composizione amminoacidica

48 prevalgono i gruppi idrofobi: la frazione K è idrofila in quanto gli zuccheri sono disposti nella parte esterna e quindi questa frazione funge da colloide protettore dell’intera caseina, consentendone la dispersione in acqua. J: sembra che le frazioni J-caseiniche siano frammenti terminali della caseina E che probabilmente vengono separati da enzimi specifici già nella ghiandola mammaria. Per la trasformazione del latte in formaggio è importante il contenuto di caseina. I latti con basso tenore di caseina danno rese in formaggio minori e coaguli meno consistenti che incidono anche sulla qualità del formaggio: infatti nel passaggio da sol a gel la minor concentrazione di micelle, che sono quindi più distanti,dà luogo ad un numero minore di interazioni e quindi ad un coagulo meno consistente, che ingloba meno grasso e siero. Tutte le frazioni caseiniche possono presentare delle “varianti genetiche”, cioè delle piccolissime differenze nella sequenza degli amminoacidi, che influiscono in maniera determinante sul processo di caseificazione a seconda del tipo. Si tratterà più approfonditamente di questo aspetto nel capitolo successivo.(5), (9)

USieroproteine U(fig.4)

Il latte contiene lo 0,6% di sieroproteine e queste rappresentano circa il 20% delle proteine totali del latte. Le sieroproteine hanno un peso molecolare compreso tra 15000 e 150000, molto minore rispetto a quello della caseina: per questo sono in soluzione e non precipitano per acidificazione. Le sieroproteine al contrario della caseina che ha struttura lassa, hanno una struttura compatta. Le sieroproteine vengono così classificate (tab.7). L’D- lattoalbumina e la E-lattoglobulina sono proteine di sintesi, cioè prodotte dalla

49 ghiandola mammaria; l’albumina del siero del sangue e le globuline sono proteine di filtrazione, cioè provenienti dal sangue.

Tabella 7. Classificazione delle sieroproteine PM %

Albumine (75%) D-lattoalbumina 14000 22

E-lattoglobulina 18000 48 albumina del siero di sangue 70000 5 Globuline (15%) euglobine 150000 7,5 Pseudoglobuline 150000 7,5

Le immunoglobuline hanno la funzione di attivatori di anticorpi: vengono trasmesse di madre in figlio, con il primo latte (nel colostro il rapporto albumine/globuline è spostato a favore delle globulina). Caratteristiche delle sieroproteine: 1 non contengono fosforo e calcio a differenza della caseina; 2 non formano aggregati proteici; 3 sono oloproteine, ad eccezione delle immunoglobuline che sono glicoproteine; 4 sono più ricche, rispetto alla caseina, di amminoacidi contenenti zolfo: hanno quindi un valore nutritivo superiore a quello della caseina. Da questi amminoacidi dipende anche l’instabilità delle sieroproteine al riscaldamento; 5 non precipitano per azione enzimatica; 6 coagulano per riscaldamento Con il riscaldamento le sieroproteine si destabilizzano e possono interagire; se gli aggregati che si formano raggiungono dimensioni sufficienti si ha la flocculazione. Ovviamente le dimensioni iniziali delle particelle influiscono

50 sulla velocità del processo per cui in un siero sottoposto a riscaldamento precipitano prima le globuline, poi l’albumina del siero del sangue, poi la E- lattoglobulina e per ultima la D-lattoalbumina. Con il riscaldamento del latte inoltre le sieroproteine possono legarsi con la frazione K-caseina, se al riscaldamento segue l’acidificazione a pH 4,6 l’aggregato precipita formando il coprecipitato. Questa interazione ostacola l’azione del caglio sulla K-caseina ed è uno dei motivi per cui i latti sottoposti a riscaldamento coagulano meno bene dei latti crudi: un latte sterile, che ha subito perciò un drastico trattamento termico non coagula affatto. (5), (9)

Sali minerali

I sali minerali costituiscono circa lo 0,9-1% del latte vaccino. Il potassio è l’elemento presente in quantità maggiore (0,16%); seguono il calcio (0,12%) e il fosforo (0,11%). Questi tre elementi sono presenti nel latte in varie forme: solubile, colloidale e ionica. Il potassio si trova per più del 90% in forma solubile e circa un terzo di calcio e fosforo sono in forma solubile. I principali composti salini del latte sono presenti alle seguenti concentrazioni: x calcio = 1,30 g/l x fosforo = 1,00 g/l x sodio = 0,50 g/l x potassio = 1,60 g/l x cloro = 1,10 g/l x magnesio = 0,14 g/l x acido citrico e citrati = 1,80 g/l

Gli elementi che prendono parte alla costituzione delle micelle caseiniche sono: calcio, fosforo, citrati e magnesio. Le forme ioniche solubili e colloidali

51 di calcio e fosforo sono tra loro in equilibrio. Il rapporto tra le diverse forme varia in funzione del pH, della temperatura e della concentrazione. (9)

Indici chimico-fisici

Gli indici chimico-fisici (5) sono parametri analitici che permettono di rilevare rapidamente in laboratorio le caratteristiche qualitative per valutare se: x è un latte patologico; x ha subito alterazioni successive alla mungitura; x ha subito sofisticazioni; x è idoneo al consumo diretto o alla trasformazione industriale.

Gli indici chimico-fisici si possono dividere in tre grandi gruppi.

U1) Indici che dipendono dall’insieme delle sostanze presenti nel latte: - densità 1,030-1,033, g/l a 20°C; - acidità 6-8° SH/100 ml; - viscosità 2,2 centipoise a 20°C(1) - calore specifico 0,94 cal/g°C (da 14,5°C a 15,5°C); - tensione superficiale 47-53 dine/cm a 15°C.

2) UIndici che dipendono solo dalle sostanze in soluzione:U - indice di rifrazione 1,35; - punto di congelamento –0,55°C; - punto di ebollizione 100,15-100,17°C.

3) UIndici che dipendono dagli ioni presenti o da altre sostanze: - pH 6,5-6,7; 4 - conducibilità elettrica 40u10P P mho a 25°C; - potenziale di ossido-riduzione +0,20-0,30 volt.

52 pH

Il latte di vacca ha una reazione debolmente acida dovuta principalmente alla presenza della caseina (proteina acida) e degli anioni degli acidi fosforico e citrico. I valori dei pH di un latte normale varia da 6,5 a 6,7 secondo il periodo di lattazione e di alimentazione. In particolare se il pH è minore di 6,5 si tratta di un latte acidificato oppure di un latte di un latte colostrale (pH 6,5-6,4). Se invece il pH è maggiore di 6,7 si è in presenza di un latte mastitico (pH 6,9- 7,0) oppure di un latte di fine lattazione. In entrambi i casi si osserva un aumento delle proteine di filtrazione e una diminuzione della caseina che determina appunto l’innalzamento del pH. Il pH rappresenta l’acidità attuale del latte: da essa dipendono importanti proprietà come la stabilità della caseina. (5)

Acidità

Per acidità del latte s’intende l’acidità di titolazione, cioè i millilitri di una soluzione alcalina a titolo noto necessari per portare il pH di una certa quantità di latte al pH di viraggio di un indicatore. Per il latte si usa la fenolftaleina, che vira dall’incolore al rosa verso pH 8,4. Per mezzo della misura dell’acidità di titolazione del latte si può avere un’idea della quantità di funzioni che si dissociano tra il pH normale del latte (6,5-6,7) e il punto di viraggio dell’indicatore (pH 8,4). L’acidità naturale del latte appena munto, o comunque non alterato,è dovuta a sostanze diverse: 1 in piccola parte ad acidi organici (principalmente citrati); 2 per i 2/5 a sostanze minerali (fosfati, acido carbonico); 3 per i 2/5 dalla caseina; 4 in parte alla terza funzione dell’acido fosforico nelle reazioni di over-run.

53 L’acidità è una misura indiretta del contenuto in caseina e fosfati del latte fresco: per titolare un latte non acidificato occorrono tanti più alcali, quanto più il latte è ricco in caseina e fosfati. L’acidità di sviluppo è dovuta all’acido lattico e agli altri acidi provenienti dalla degradazione microbica del lattosio, ed eventualmente dei lipidi, nel latte in via di alterazione.(5), (9)

La sintesi del latte

La mammella sintetizza gran parte o tutti i componenti organici del latte partendo da loro precursori presenti nel sangue: x glucosio per il lattosio; x amminoacidi per le proteine; x trigliceridi, acidi acetico e E-ossi-butirrico per i grassi. Non vengono riportati i minerali, ma è chiaro che anche per essi la cellula mammaria attinge al sangue (pur senza svolgere alcuna attività di sintesi se non per la fosforilazione delle caseine). E’ evidente che, a parità di capacità sintetiche delle cellule integre (in buona parte regolate geneticamente ma comunque sotto controllo ormonale) la quantità prodotta di ciascun componente dipenderà da quattro fattori: 1 la concentrazione nel sangue dei principi nutritivi da cui la mammella parte per la sintesi del latte; 2 la quantità di sangue che passa nella mammella; 3 la capacità delle cellule mammarie di appropriarsi delle sostanze contenute nel sangue; 4 l’entità delle “forze” contrastanti la sintesi, specie la pressione intramammaria che riduce la circolazione sanguigna e le attività cellulari. C’è un meccanismo che lega questi fattori e ciò spiega le differenze di composizione del latte. Nel latte si distinguono: x componenti a concentrazione fissa o quasi (lattosio, K, Na e Cl);

54 x componenti a concentrazione variabile (proteine, Ca, P, Mg e acido citrico); x componenti a concentrazione estremamente variabile (grasso); x componenti che non sono frutto del metabolismo cellulare, ma sono scambiati “liberamente” col sangue e la cui concentrazione è quindi in relazione diretta con quella del sangue (es. urea, progesterone ecc.). Ecco le ragioni del comportamento dei primi tre gruppi: x il lattosio è la sostanza osmoticamente attiva e che quindi richiama acqua sino ad avere un equilibrio fra “latte” in formazione (nelle vescicole del Golgi) ed i liquidi cellulari (dunque indirettamente col sangue). Se le altre componenti osmoticamente attive (K, Na,Cl…) cambiano poco in quanto la loro immissione nelle stesse vescicole è di tipo passivo, appare evidente che verrà prodotto tanto più latte quanto più sarà il lattosio sintetizzato e dunque la sua concentrazione resterà relativamente costante. Da notare infine che, a livello della secrezione cellulare, le quantità di Na, K e Cl sono assai poco variabili alla pari del lattosio; tuttavia esiste un meccanismo extracellulare di variazione: per addizione di Na e Cl (aumentano) con sottrazione di K (diminuisce), che s’instaura solo in caso di alterazione nella integrità del tessuto secernente, per cui vi è passaggio negli spazi intercellulari. E’ così che si spiegano le differenze di composizione del latte prodotto da ghiandola “infiammata” ed analogamente si spiegano taluni metodi per individuare il latte mastitico (pH, conduttività elettrica, tenori di Na e/o Cl ecc…); x le proteine, alcuni minerali in buona misura correlati (Ca, P e Mg direttamente legati alle molecole proteiche o alle micelle caseiniche per circa 2/3) e l’acido citrico possono variare nel loro tenore assai più del lattosio in quanto non condizionano in senso stretto la quantità del latte: almeno per quanto concerne il richiamo d’acqua. E’ tuttavia ovvio ritenere

55 che fra la produzione di proteine e quella di lattosio esista una relazione; infatti il lattosio è prodotto da enzimi (es. lattosio-sintetasi) la cui quantità dipende in generale dalla sintesi proteica; x i lipidi (per la gran parte trigliceridi avvolti da membrane lipoproteiche a formare i globuli) sono invece sintetizzati ed escreti dalle cellule con meccanismo ed in luoghi totalmente diversi rispetto ai precedenti. Nonostante ciò, esiste una relazione con la quantità di lattosio (dunque di latte), per cui comunemente il loro tenore varia entro limiti non amplissimi Ciò appare ovvio se si considera che comunque la produzione dei vari sistemi enzimatici, la disponibilità globale di energia e l’attività generale delle cellule, interessano la sintesi di tutti i componenti del latte. Per quanto riguarda i fattori che influenzano il contenuto in grasso valgono le considerazioni fatte a proposito dei fattori esogeni ed endogeni. Esistono anche fattori particolari quale il fatto che il grasso, durante la mungitura, scende in larga misura con l’ultimo latte e se non venisse attuata una corretta sgocciolatura andrebbe “perso” inoltre si avrebbe una valutazione inesatta se il latte dell’intera mungitura non fosse ben rimescolato. Per concludere, in condizioni ottimali la mammella è in grado di produrre taluni quantitativi di lattosio, grasso e proteine che insieme ai minerali formano una certa quantità di latte con una ben precisa composizione (tipica per specie, razza, ceppo ed individuo). In condizioni non ottimali, a seconda che queste riguardino tutti o solo alcuni componenti si avranno possibilità diverse tra due estremi fondamentali: x minor produzione di tutti i componenti (meno latte ma con produzione pressoché invariata); x minor produzione di uno dei componenti da cui: a) se si tratta del lattosio, avremo calo del latte e relativamente più elevate concentrazioni di grasso (e talora proteine); b) se si tratta delle proteine o del grasso, si avrà la

56 stessa quantità di latte, ma con minori concentrazioni di questi componenti. (6)

Coagulazione presamica del latte

Viene detta coagulazione presamica del latte quella ottenuta per via enzimatica mediante l’utilizzo del caglio o presame o rennina. Questo enzima è presente naturalmente nella mucosa superficiale dell’abomaso dei vitelli di un mese: l’abomaso viene essiccato, pellettato e messo a macerare in una soluzione di NaCl al 15-20%. L’attività primaria del caglio è la rottura del legame Met-Phe con cui si stacca il glicomacropeptide dalla micella; in un secondo tempo presenta anche una certa attività proteolitica aspecifica. La coagulazione presamica avviene schematicamente in tre fasi che in realtà non sono distinte.

Fase primaria Essa è caratterizzata dall’azione enzimatica specifica sulla frazione K-caseina. In essa non avviene nessun cambiamento dello stato fisico del latte, ma solo destabilizzazione delle micelle che non sono più protette dai gruppi polari del glicomacropeptide (minor idratazione). Questa fase dipende dall’attività dell’enzima e può avvenire in condizioni molto ampie di pH (da 5,5 a 7) e di temperatura (da 4 a 45°C). L’azione del caglio può essere ostacolata, per esempio, in seguito a un riscaldamento del latte troppo energico: oltre i 70°C infatti avvengono interazioni tra le sieroproteine e la K-caseina che rendono difficile il distacco del glicomacropeptide (tab.8).

Fase secondaria Rappresenta il passaggio di stato della caseina da sol (micelle in sospensione colloidale) a gel (cagliata semisolida) che occupa tutto il volume inizialmente

57 occupato dal latte. I legami chimici che governano questa fase si possono formare ad una temperatura maggiore di 15°C, e la concentrazione di calcio ionico deve essere sufficiente da tener unite le micelle. In realtà le fasi primaria e secondaria avvengono contemporaneamente, ma il cambiamento di stato da sol a gel risulta visibile solo quando la fase primaria è avvenuta praticamente al 100% (tab.8). Nella produzione dei formaggi è importante la temperatura a cui viene condotta la coagulazione, al fine di ottenere paste con diversa struttura. Il caglio ha una temperatura ottimale di azione intorno ai 40°C (temperatura corporea del vitello).

Tabella 8. Le principali proprietà chimico-fisiche e biochimiche che influenzano la fase primaria e secondaria della coagulazione presamica del latte (25)

Caratteristiche del Fase Formazione coagulo e sineresi latte e del sistema primaria o micellare enzimatica Sviluppo Consistenza Contrazione Proporzioni delle + + + + + + + + + + caseine + + + PH-acidità + + + + + Varianti E e K-caseina + + + + Dimensione micelle + + + + + + Ioni calcio + + + + + + + + Fosfato colloidale + + + + + + Concentrazione caseina

Un formaggio a pasta dura si ottiene con un elevato spurgo di siero, per cui si utilizza una temperatura di coagulazione subottimale (es. 32°C per il formaggio Grana): si forma un coagulo a consistenza blanda che viene poi

58 disgregato in piccoli frammenti (struttura granulare); un formaggio a pasta molle, in cui lo spurgo deve essere poco spinto, si ottiene con un coagulo consistente, perciò la temperatura di coagulazione utilizzata sarà quella ottimale (es. 39°C per la Crescenza).

Fase terziaria Durante questa fase avvengono due fenomeni molto importanti: la contrazione della cagliata e la proteolisi aspecifica.

a) UContrazione della cagliataU: a mano a mano che aumentano i legami tra le micelle, queste si avvicinano e avviene l’espulsione del siero dagli spazi interni (sineresi o spurgo del gel). La sineresi può essere spontanea o indotta: il processo spontaneo è lentissimo, mentre alcuni fattori possono favorire lo spurgo della cagliata e vengono utilizzati nella produzione dei formaggi. Essi sono: acidificazione, riscaldamento e rottura del coagulo. x Acidificazione: la fermentazione lattica che si verifica con l’aggiunta dell’innesto fa abbassare il pH con conseguente tendenza alla demineralizzazione della caseina, contrazione della struttura e spurgo uniforme del siero. x Riscaldamento: aumentano le interazioni idrofobiche che fanno avvicinare le micelle. I grumi caseosi diventano sempre più consistenti. Per i formaggi a pasta dura si usano le temperature più alte. x Rottura del coagulo: aumenta la superficie di espulsione del siero. Tanto più duro deve essere il formaggio, tanto più piccoli dovranno essere i pezzi di cagliata.

b) UProteolisi aspecifica:U è l’attività del caglio sulle frazioni caseiniche diverse

dalla K. Avviene soprattutto a carico della frazione DBsB e porta alla liberazione di peptidi che influenzano il sapore del formaggio; inoltre influenza anche la struttura e la consistenza dei formaggi a pasta molle (es. Crescenze più

59 cremose). La proteolisi avviene se si lasciano maturare i formaggi per diverso tempo a temperature superiori a 1-2°C. Nel Grana dopo 12 mesi di stagionatura il 30% delle proteine si trova in forma di amminoacidi liberi e questo ne aumenta la digeribilità e quindi il valore alimentare.(5).

60 2.5 La trasformazionecasearia

Nel corso dei secoli “l’arte casearia” ha subito un’evoluzione che è stata frutto di molteplici cambiamenti dovuti al progresso e ai mutamenti socio-economici che hanno rivoluzionato la vita dell’uomo. I cambiamenti che interessano il Parmigiano-Reggiano riguardano:

1) Ule razze bovineU: la selezione e il miglioramento genetico hanno portato ad avere animali più produttivi sia in termini di latte che di formaggio;

2) Ugli allevamentiU: sono più grandi e arricchiti di strumenti tecnologici che facilitano il lavoro e favoriscono il benessere (non sempre) animale;

3) Uil latteU: anch’esso è cambiato (non sempre in meglio);

4) Ugli allevatoriU: hanno acquistato professionalità e cercano di sfruttare al massimo le potenzialità degli animali;

5) Uil mercato;U

6) Ui caseifici, Udove il progresso tecnologico ne ha migliorato e facilitato gli aspetti tecnico-gestionali. Nonostante tutto il Parmigiano-Reggiano ha mantenuto intatte le qualità di tipicità e genuinità originarie che sono garantite dai Disciplinari del CFPR (Consorzio Formaggio Parmigiano-Reggiano) e dall’attività di controllo della conformità ai Disciplinari, ai controlli analitici sul prodotto e delle procedure di espertizzazione del DCQPR (Dipartimento Controllo Qualità del Parmigiano-Reggiano). Si richiamano brevemente i Disciplinari che riguardano il caseificio (5), (21), (10):

1. Zona produzione: territori delle province di BO (alla sinistra del fiume Reno), MN (alla destra del fiume Po), MO, PR, RE; 2. Impiego del latte di due mungiture: sera e mattina; 3. Impiego di latte crudo; 4. Scrematura parziale per affioramento naturale;

61 5. Impiego di vasche rettangolari aperte per l’affioramento e il riposo del latte; 6. Divieto uso antifermentativi; 7. Impiego di siero innesto naturale autoctono; 8. Impiego di caglio di vitello; 9. Schema del processo tecnologico; 10.Caldaie di lavorazione in rame di forma tronco conica per la produzione di non più di due forme.

Come si “fa” il Parmigiano-Reggiano

Il latte munto la sera viene posto in vasconi rettangolari da 10-20 q e dotati di un impianto di raffreddamento per mantenere il latte ad una temperatura costante (la temperatura è controllata da sonde) compresa tra i 18 e i 23°C. La parte liquida di questo latte, (che è quindi parzialmente scremato in seguito all’affioramento) che ha un pH di 6,75, viene messo insieme a quello della mungitura del mattino in ragione di 50/50 in una caldaia di 10-11 q. Il latte della mungitura mattutina è intero e ha un pH circa come quello della sera. Le caldaie in cui vengono messi insieme il latte scremato della sera e quello della mattina, hanno una forma tronco-conica e sono detti “doppi fondi” perché costituiti da una parte interna di rame e una esterna d’acciaio tra le quali c’è un’intercapedine nella quale passa vapore ad alte temperature per fare avvenire la coagulazione. Per cominciare quindi si rilevano i valori del pH e della temperatura. Si aggiunge il siero-innesto: si tratta di una coltura naturale di flora lattica sviluppata sul siero della lavorazione precedente. E’ una pratica antichissima che innalza il grado acidimetrico del latte e, per così dire, guida il formaggio verso una fermentazione appropriata. A questo punto la temperatura del latte

62 1 si porta da 26,8 a 32,5°CTP PT agitandolo lentamente e aggiungendo contemporaneamente il caglio (abomaso di vitello polverizzato). La coagulazione si realizza in 10-15 minuti. Il prodotto della coagulazione si chiama “cagliata” e costituisce la parte più nutritiva del latte addensatasi per effetto del caglio; il liquido che resta si chiama siero. Si fa la prova dell’alizarina cioè si preleva un campione di 2 cc di latte e lo si mette in una provetta con una soluzione idroalcolica di alizarina al 68% e a pH 7,20. Da questa prova si osserva la flocculazione delle caseine: se è troppo marcata vuol dire che c’è troppo siero innesto, se invece è scarsa ce ne vuole di più. In questo modo è stata testata la stabilità delle caseine. Un minuto dopo la coagulazione si effettua la spinatura,(fig. 6) cioè la rottura della cagliata con una lunga asta alla cui estremità si hanno dei fili metallici che formano una sfera, più propriamente questo attrezzo è detto “spino”. Questa operazione deve avvenire in 2-3 minuti fino ad avere dei granelli (coaguli) non più grandi di un chicco di frumento e uniformi. Il coagulo deve essere morbido e la massa caseosa è tenuta in movimento da un agitatore. Nella caldaia poi viene messo un frangi-flutti per evitare che si formi il vortice. L’agitatore serve a evitare la precipitazione dei coaguli. Se il coagulo è troppo tenero si hanno striature troppo accentuate sul piatto (piatto di metallo usato come un “setaccio”). In questa fase avviene lo spurgo (o sineresi) cioè i granelli (coaguli) espellono liquido dall’interno. L’entità dello spurgo si vede dalla schiuma prodotta. Un buon latte ha molto spurgo. Mescolando il tutto poi si procede alla cottura ad 2 una temperatura di 44,2-44,4° RéaumurTP PT. Più velocemente si muove l’agitatore più aumenterà lo spurgo. Se i coaguli galleggiano significa che la temperatura è troppo alta. Si definisce latte con poca forza se porta ad avere

1 TP PT i valori di temperatura e pH riportati sono stati dedotti con gli appositi strumenti in un caseificio dove sono state osservate direttamente le fasi di lavorazione del Parmigiano-Reggiano 2 TP PT 44,2° Réaumur corrispondono a 55,25°C cioè 1° C corrisponde a 0,8° Réaumur.

63 un coagulo ruvido di scarsa consistenza e di conseguenza nella forma si hanno 3 microcchiature o strappiTP PT. La fase successiva è la sosta sotto siero durante la quale si aggregano i granuli i quali, rimanendo sul fondo dai 45 minuti a un’ora, si liberano ulteriormente del siero in eccesso. Successivamente, con l’aiuto di una pala in legno, la cagliata viene sollevata e fatta passare in una tela di canapa e poi estratta (fig. 6). La cagliata viene tagliata in due parti; ciascuna di queste “future forme” viene messa in uno stampo di legno o di metallo sagomato detto “fascera” e leggermente pressata per far uscire il siero (fig. 6). Le fascere vengono girate ogni 2,5 ore e la sera dopo l’ultima girata,si toglie la tela e viene messa una fascera di plastica con il marchio PARMIGIANO-REGGIANO, data, N° matricola del caseificio e N° di caldaia. Una volta appiattite, le forme vengono messe per due giorni in fascere di acciaio per prendere la bombatura poi vengono immerse in soluzione salina a 25 Bomait di NaCl, a temperatura di 16°C. Rimangono a bagno in soluzione per circa 18 giorni e periodicamente devono essere girate. Le forme poi vengono messe in camera calda per l’asciugatura e spigolate (smussate agli angoli). A questo punto vengono portate nel magazzino dove, una volta poste su scaffalature in legno massiccio, vengono pulite e voltate con pulitrici automatiche, nei primi tre mesi, una volta alla settimana, poi una volta ogni 15 giorni. La temperatura del magazzino è di 16°C in inverno e 18-20°C in estate con umidità pari al 75- 80%. Infine al 12° mese le forme vengono controllate dagli ispettori del CFPR (Consorzio del formaggio Parmigiano-Reggiano) e se risultano conformi allo standard e quindi ai parametri qualitativi vengono marchiate a fuoco oppure, se non conformi, vengono retinate. (10)

3 TP PT Le microcchiature e gli strappi sono rispettivamente cavità e fessurazioni e sono difetti a volte riscontrabili all’interno delle forme.

64 1 PROCESSO TECNOLOGICO DI PRODUZIONETP PT

Figura 5. Diagramma riassuntivo delle fasi della caseificazione (10)

65 1 2

3

Figura 6: 1 spinatura; 2 estrazione della cagliata; 3 messa in fascera (da opuscolo pubblicitario del Parmigiano-Reggiano).

66 3- Influenza del tipo di caseina sulla formazione della cagliata

67 Nel 1954 la razza Reggiana e la Bianca Val Padana contavano nelle rispettive province ben 92.000 e 120.000 capi, la Frisona invece, fino ad allora sconosciuta era in forte ascesa. Trommellini e Coll. nello stesso anno fecero delle prove di caseificazione sul latte di 60 bovine di razza Reggiana e 43 di razza Frisona lavorato a Parmigiano-Reggiano. I risultati di queste prove con il latte dei due gruppi messi a confronto dimostrarono la superiorità della Reggiana. In particolare le differenze di resa in formaggio e in burro per 100 kg di latte lavorato furono rispettivamente di +0,982 kg e di 0,140 kg. Le maggiori percentuali di grasso (+0,58%), di sostanze proteiche (+0,43%) e di caseina (+0,35%) tutte a vantaggio delle bovine Reggiane spiegano le maggiori rese in burro e formaggio ottenuto. Tra il 55’ e il 56’ Semprini e Coll. presero in considerazione anche il latte di bovine di razza Bianca Val Padana Bruna Alpina che analogamente alla Reggiana diedero rese in formaggio nettamente maggiori rispetto alla Frisona. Nella seguente tabella sono riassunti i risultati di queste prove di caseificazione (11):

Tabella 9. Rese medie in formaggio e in burro nelle razze Reggiana, BVP, Bruna e Frisona (26)

Rese medie in kg negli BiancaVal Reggiana Bruna Frisona anni 1955-56’ Padana

Resa in formaggio 1955P 7,583 7,577 7,598 7,054 Resa in burro 1955 2,071 1,863 1,564 1,646 Resa in formaggio 1956 7,747 7,735 7,769 7,230 Resa in burro 1956 1,866 1,620 1,725 1,599

68 Negli anni 60’ si accentuò il declino di Bianca Val Padana e Reggiana per una serie di motivi (4): - la migliore attitudine produttiva delle nuove razze introdotte sia dal punto di vista quantitativo (producono di più) che dal punto di vista funzionale (le Frisone si prestano meglio alla mungitura meccanica di recente introduzione); - il prezzo del latte in salita; - pagamento del latte su parametri quantitativi anziché qualitativi; - la costante domanda di manovalanza dell’industria che ha creato un vero e proprio “esodo” dalle campagne; - la meccanizzazione agricola che ha in breve tempo sostituito il lavoro animale. Il 1964 fu una data cruciale per gli studi sul latte: fu scoperto il polimorfismo della K-caseina. Mediante elettroforesi a pH alcalino, con opportuni accorgimenti analitici (27), (28), furono individuate due distinte bande o frazioni di K-caseina, denominate A e B, la cui sintesi è controllata da geni autosomici codominanti (29-32). Esse differiscono tra loro per la sostituzione di due dei 169 amminoacidi che costituiscono la proteina. Questa sostituzione determina una differenza di carica netta, che conferisce alla variante A una maggiore mobilità elettroforetica (33) (34) in campo alcalino nei confronti della B. Le frazioni minori di ciascuna variante differiscono, a loro volta, soprattutto per il grado di glicosilazione e quindi presentano anch’esse una differente mobilità elettroforetica. La prima indicazione circa un possibile ruolo delle varianti genetiche della K-caseina nella coagulazione presamica del latte risale al 1967 (35). Le successive ricerche, effettuate in diversi Paesi, dimostrarono che tali varianti possono influenzare anche in misura importante il comportamento della caseina nei riguardi del caglio. Negli anni 70’ si fecero diverse prove di caseificazione (ne furono promotori diversi studiosi tra cui: P. Mariani, G. Losi, V. Russo, G.B. Castagnetti, L. Grazia, D. Morini, E. Fossa,

69 Resmini e altri) tra le quali, a titolo esemplificativo, è interessante accennare a quelle effettuate con latte caratterizzato dalle varianti A e B della K-caseina nella produzione del Parmigiano-Reggiano e ai rilievi sul formaggio stagionato (13) (14): esse dimostrarono ancora una volta la superiorità dal punto di vista qualitativo del latte delle razze bovine autoctone in questione. A proposito del polimorfismo genetico del latte, furono osservate notevoli differenze tra la razza Frisona, Bruna Alpina, Reggiana e Bianca Val Padana nella frequenza delle varianti delle caseine e in particolare in quelle della K- caseina (36-39), in cui A e B risultarono presenti, rispettivamente, con frequenze pari a 0,73 e 0,37 nella prima e comprese tra 0,56-0,51 e 0,49-0,44 nelle altre tre razze. Queste differenze possono spiegare in parte le osservazioni di tecnici ed esperti caseari, secondo cui in seguito alla sostituzione delle razze locali prima e della Bruna Alpina poi con la razza Frisona si verificarono cambiamenti nelle caratteristiche casearie del latte, con diminuzione di resa e peggioramento della qualità del formaggio. In una prima ricerca (40) si vide che le varianti genetiche della K-caseina hanno una notevole influenza sui parametri lattodinamometrici: tempo di coagulazione

(r), velocità di rassodamento del coagulo (KB20B) e consistenza del coagulo (aB30B) i quali rivestono un grande interesse sotto il profilo tecnologico. In particolare si notarono differenze sensibili e statisticamente significative nella velocità di

rassodamento (KB20B) e nella consistenza del coagulo (aB30B) tra il latte di vacche 1 omozigoti per K-CnTP PT B e quello di vacche omozigoti per K-Cn A, a favore 2 del tipo B, a parità di costituzione genetica dei loci DBs1B-Cn, E-LgTP PT e di condizioni fisiologiche e ambientali. Il latte KB è risultato migliore nella fase di formazione e nelle caratteristiche del coagulo (minor tempo di coagulazione e maggiore consistenza), nelle fasi di frantumazione e di cottura della cagliata (grana più uniforme) e nelle caratteristiche reologiche della massa caseosa

1 TP PT Cn è l’abbreviazione di caseina 2 TP PT Lg è l’abbreviazione di lattoglobulina

70 (maggiore contrazione ed espulsione del siero). Esso, rispetto al latte KA, si è dimostrato nel complesso, più idoneo per la lavorazione a formaggio Parmigiano-Reggiano. I due tipi di latte sono risultati diversi anche nella composizione chimica e nella ripartizione elettroforetica delle caseine e delle sieroproteine Il latte KBB ha presentato un maggior contenuto di caseina calcio e fosforo, rispetto al latte KA, che invece, è risultato più ricco di acido citrico. Successivamente, in una ricerca condotta con l’impiego del microscopio elettronico (41) è stato possibile dimostrare che le micelle caseiniche del latte KBB sono più omogenee nella dimensione, rispetto a quelle del KAA e, inoltre, che le prime hanno anche una maggiore superficie micellare complessiva (42). Tutto ciò fa supporre che vi sia anche una relazione diretta tra tipo genetico della K-caseina e composizione del latte e, di conseguenza, una relazione indiretta tra varianti genetiche e caratteristiche tecnologico-casearie del latte. Sono stati infine analizzati i formaggi ottenuti dalla lavorazione separata dei due latti: il formaggio KB, nelle prime 24 ore, ha dimostrato di possedere una maggiore capacità di sineresi, mentre nel corso della stagionatura ha subito una minore perdita percentuale di acqua rispetto al KA. Il formaggio KB, per unità di proteina, ha trattenuto quantità lievemente superiori di grasso (tab.10 e 11). La proteolisi è risultata più precoce e più intensa nel formaggio KA, che ha presentato un coefficiente di maturazione più elevato rispetto a quello del formaggio KB (36,6% per KA e 34,3% per

KB). In quest’ultimo è apparsa più degradata la DBs1B-caseina, mentre nel formaggio KA, la E-caseina. Il formaggio KB, ad una valutazione organolettico-commerciale, è risultato di qualità leggermente superiore al KA (tab.10 e 11). (14)

71 Tabella 10. Rese in formaggio del latte in caldaia e cali a diversi stadi della stagionatura (1° ciclo).

1° ciclo di 8 caseificazioni (giugno-agosto) formaggio KA formaggio KB KA=100 Latte lavorato kg 340,1r36,3 (1) 351,8r23,6 (1) (1) Peso forme a 24 ore kg 25,2r2,4 28,2r1,6 (1) Peso forme all’uscita dal sale kg 23,7r2,4 26,6r1,5 (1) Peso forme al 6° mese kg 22,0r2,3 24,9r1,3 (1) Peso forme stagionate (2) kg 20,6r2,2 23,3r1,3 (1) Resa a 24 ore (resa p. d.) % 7,41r0,21 8,04r0,26 108,5 Resa all’uscita dal sale % 6,97r0,19 7,58r0,27 108,7 Resa al 6° mese % 6,47r0,19 7,07r0,27 109,3 Resa formaggio stagionato (2) % 6,05r0,16 6,64r0,24 109,7 a Calo 24P P ora-uscita dal sale % 5,86r1,17 5,70r1,22 97,3 Calo uscita dal sale-6° mese % 7,20r1,13 6,63r0,47 92,1 Calo nel periodo finale % 6,52r0,81 6,21r0,57 95,2 a Calo complessivo (dalla 24P P ora) % 18,33r1,90 17,42r1,40 95,0

Nota: il calo nelle prime 24 ore dopo la lavorazione è risultato 7,81% per KA e 9,00% per KB nel primo ciclo e, rispettivamente, 7,45% e 9,49% nel 2° ciclo. (1) La differenza nelle quantità di latte lavorato, dovuta alla mancanza accidentale di una parte di latte KA nella lavorazione del 15 luglio, non permette di fare un confronto valido tra le quantità di formaggio. (2) Stagionatura di 17-19 mesi per il formaggio del primo ciclo e di 15 mesi per il formaggio del 2° ciclo.

72 Tabella 11. Rese in formaggio del latte in caldaia e cali a diversi stadi della stagionatura (2° ciclo).

2° ciclo di 4 caseificazioni (settembre) formaggio KA formaggio KB e AB KA=100 Latte lavorato kg 386,8r24,0 386,8r24,0 100,0 Peso forme a 24 ore kg 31,4r1,2 33,1r1,8 105,4 Peso forme all’uscita dal sale kg 29,7r1,1 31,3r1,8 105,4 Peso forme al 6° mese kg 28,2r0,9 29,6r1,5 105,0 Peso forme stagionate (2) kg 26,6r0,9 28,1r1,5 105,6 Resa a 24 ore (resa p. d.) % 8,12r0,34 8,55r0,07 105,3 Resa all’uscita dal sale % 7,69r0,32 8,09r0,18 105,2 Resa al 6° mese % 7,30r0,29 7,66r0,13 104,9 Resa formaggio stagionato (2) % 6,88r0,27 7,26r0,11 105,5 a Calo 24P P ora-uscita dal sale % 5,21r0,74 5,44r1,66 104,4 Calo uscita dal sale-6° mese % 5,16r0,71 5,25r0,83 101,7 Calo nel periodo finale % 5,76r0,25 5,21r0,56 90,4 a Calo complessivo(dalla 24P P ora) % 15,29r0,68 17,08r1,05 98,6

Negli anni 80’ vennero aboliti i contratti di mezzadria e ciò fu un ulteriore colpo inflitto al settore zootecnico e a quello agricolo in generale. In questi anni Reggiana e Bianca Val Padana registrarono una forte contrazione numerica: in tutta Italia, secondo dati A.I.A, si contano 1320 capi di Reggiana e1790 capi di Bianca Val Padana. Ciò che comunque è di notevole rilievo è il peggioramento qualitativo del latte e ad un aumento notevole della produzione. Nei seguenti grafici sono riportati gli andamenti delle percentuali in grasso, della caseina, del rapporto grasso/caseina e dell’acidità dai primi anni del 900’ agli anni 80’. Fatta eccezione per il grasso che si è mantenuto ad una percentuale costante (grafico 1), le caseine invece sono diminuite quasi di un punto (grafico 2) di conseguenza il rapporto grasso/caseina è aumentato di 0,38 punti (grafico 3) inoltre anche l’acidità è passata da circa 4 a 3,25 punti

73 (grafico 4). Un latte con queste caratteristiche cioè più povero in caseine e con acidità più bassa, dal punto di vista caseario, dà più problemi al momento della lavorazione (minore spurgo e minore coesione della cagliata maggiori perdite nel siero ecc.), un peggioramento delle caratteristiche reologiche della cagliata (minore elasticità, consistenza e permeabilità) e minore qualità e resa in formaggio. (5), (15)

GRASSO%

3,6% 3,6% 3,6% 3,6%

Inizio 900’ 30-40’ 50-60’ 70-80’ ANNI

Grafico 1. Andamento delle percentuali in grasso nel latte dai primi del 900’ agli anni 80’

CASEINA%

>3,2 2,9 2,6 2,37

Inizio 900’ 30-40’ 50-60’ 70-80’ ANNI

Grafico 2. Andamento delle percentuali in caseina nel latte dai primi del 900’ agli anni 80’

74 GRASSO/CASEINA%

1,39 1,51 1,13 1,24

Inizio 900’ 30-40’ 50-60’ 70-80’ ANNI

Grafico 3. Andamento delle percentuali del rapporto grasso/caseina nel latte dai primi del 900’ agli anni 80’

ACIDITA’%

>4,0 3,8 3,5 3,30 3,25

Inizio 900’ 30-40’ 50-60’ 70-80’ ANNI

Grafico 4. Andamento delle percentuali di acidità nel latte dai primi del 900’ agli anni 80’

Contemporaneamente al calo qualitativo si è avuto però un notevole aumento quantitativo del latte prodotto. La produzione media di latte della razza Frisona aumentò da 4764 kg per lattazione nel 1973 ai 6008 kg nel 1988 mentre Reggiana e Bianca Val Padana passarono rispettivamente da 4311 e 3944 kg a 5006 e 4500 kg. Riprendendo il discorso fatto poc’anzi, il mutato quadro chimico e anche biologico del latte ha avuto notevoli ripercussioni sulla qualità del formaggio. Per prima cosa la minore percentuale di caseina (parametro chimico più importante per il giudizio d’idoneità casearia del latte) e quindi di fosforo ha comportato calo di acidità; il latte ipoacido (l’acidità del latte dipende molto anche dallo stato igienico-sanitario dell’animale) è

75 caratterizzato da una minore attitudine alla coagulazione presamica (tempi di coagulazione più lunghi) e quindi occorre una maggiore quantità di siero innesto e una temperatura di cottura più elevata al fine di favorire lo spurgo ed evitare la formazione di granuli caseosi friabili e scarsamente elastici. L’eccesso di siero però può condurre alla formazione di cagliate prevalentemente lattiche, poco elastiche, friabili e insufficientemente spurgate. Ciò trova conferma nella maggiore diffusione di taluni difetti nel formaggio grana caratterizzati da paste “slegate”, “friabili”, “biancastre” con numerose fessurazioni e tagli, molto probabilmente conseguenti ad una eccessiva distruzione dello stato micellare per l’eccessiva demineralizzazione dello stesso (15). Ulteriori prove effettuate in questi anni (41-47) (tra 1984 e 1987) supportate da quelle condotte nel decennio precedente e svolte su soggetti di razza Reggiana e Bianca Val Padana, dal momento che presentano una maggiore frequenza di soggetti KBB, confermano il primato di queste due razze in merito alle caratteristiche casearie del latte. Più precisamente il latte dei capi che presentano una maggiore frequenza dell’allele B nella K-caseina, al momento della coagulazione presamica, ha tempi di coagulazione e di rassodamento inferiori a quello dei soggetti A e AB (grafico 6 e 7) inoltre, rispetto a questi ultimi il coagulo presenta una maggiore consistenza (grafico 5). (12)

B AB A

100 136 167

Grafico 5. Tipi di K-caseina e consistenza del coagulo (k-A=100).

76 A AB B

100 87 76

Grafico 6. Tipi di K-caseina e tempo di coagulazione del latte (k-A=100).

A AB B

100 77 57

Grafico 7. Tipi di K-caseina e tempo di rassodamento o velocità di formazione del coagulo.

Altre prove (48-53) (46) svolte sul latte di soggetti di diverse razze (Frisona, Ayrshire, Bruna, Simmenthal, Modenese, e meticce) nonostante il peggioramento qualitativo del latte di cui si è parlato in precedenza, non hanno messo in evidenza cambiamenti significativi del quadro proteico e delle rese in formaggio (tab. 12 e 13) rispetto alle prove effettuate in precedenza. (14)

Tabella 12. Contenuto di proteina e di caseina del latte (14)

tipi di K-caseina KA KAB KB Contenuto medio di proteine nel latte (g/100g/100ml) 3,28 3,34 3,35 Contenuto medio di caseina (g/100g/100ml) 2,57 2.67 2,65

77 Tabella 13. Tipi di K-caseina e rese in formaggio (14)

tipi di K-caseina KA e KAB KB Kg formaggio/100 kg latte (%) 7,4 8,04 Grasso formaggio/grasso latte “ 69,7 82,10 Proteina formaggio/proteina latte “ 67,0 67,60 Proteina formaggio/caseina latte “ 87,5 89,20 Caseina formaggio/caseina latte “ 87,3 89,90

In questi ultimi dieci anni la nascita dell’UE (1-11-1993) ha permesso la creazione di accordi e di strategie economiche che riguardano anche il settore lattiero-caseario. Si cerca in particolare di risolvere il problema delle quote latte cioè di rivedere le ammende che l’Italia deve pagare per aver ecceduto del 20% la quota assegnatale dalla CEE nel 1984 e di innalzare questa di 600000 ton. tra il 2000 e il 2002 tenendo sotto controllo i prezzi del latte i quali ovviamente tendono a scendere per l’incremento dell’offerta. Questo unito anche ai casi di BSE (encefalopatia spongiforme) riscontrati nel 1996 nel Regno Unito e nel 2000 soprattutto in Francia e anche, in misura minore, in Italia ha messo in crisi la categoria degli allevatori. Come mostrano i grafici, la produzione lattiero-casearia, nonostante tutto tende a crescere. Il numero di caseifici invece ha subito una diminuzione del 32,5% (grafici 8 e 9 e tab 14). Nonostante questo è interessante notare che dall’81’ al 98’ le produzioni casearie sono aumentate del 50% (i grana sono cresciuti del 74%). Questa crescita ha generato forti surplus produttivi e un’acuta crisi del comparto sfociata in un naturale e forzato ridimensionamento della produzione tra il 90’ e il 93’ (-11,6%).

78 PRODUZIONE MEDIA ANNUA LATTE

8000000 6000000 4000000

ton. latte 2000000 0 1988 1990 1992 1994 1996 1998 2000 2002 anno

Grafico 8. Produzione media annua di latte dall’85 al 2000 (17)

Grafico 9. Produzione di Parmigiano-Reggiano 1990-2000 (10)

79 Tabella 14. Numero di caseifici attivi dal 1990 al 2000 (10) PROVINCE 1990 1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 BOLOGNA 23 20 19 19 17 16 16 14 14 13 13 MANTOVA 75 74 67 61 54 52 52 48 48 48 47 MODENA 222 212 199 175 160 154 153 149 142 138 134 PARMA 282 278 266 253 243 231 229 223 221 218 218 REGGIO EMILIA 259 253 236 228 211 199 199 192 187 181 169 COMPRENSORIO 861 837 787 736 685 652 649 626 612 598 581

Attualmente le ultime ricerche svolte sul latte di Reggiana e di Bianca Val Padana hanno avuto come fine il recupero di queste razze minori giustificato e basato sulla valorizzazione tecnico-economica del latte. A ciò bisogna aggiungere l’esigenza di un aggiornamento delle conoscenze sulla qualità e sulle caratteristiche del latte in modo da verificarne la corrispondenza con i risultati delle precedenti ricerche. Si riportano a questo proposito i risultati di analisi effettuate sul latte nel corso di un’intera annata e le osservazioni ricavate seguendo alcune caseificazioni di confronto tra Reggiana, Bianca Val Padana e Frisona (tab.15, 16 e 17). (16)

80 Tabella 15. Dati medi annuali relativi alla composizione chimica, chimico- fisica, proprietà di coagulazione e conteggio leucociti del latte delle tre razze considerate. (16)

Latte di: parametri Frisona Reggiana Bianca Val Padana Acidità titolabile 3,32 3,32 3,33 °SH/50ml ds 0,16 ds 0,11 ds 0,10 Grasso % 3,69 3,56 3,62 ds 0,35 ds 0,50 ds 0,19 Proteina % 3,23 3,30 3,29 Caseina % 2,49 2,61 2,58 ds 0,16 ds 0,15 ds 0,09 Indice di caseina 77,0r0,7 79,0r0,5 78,5r0,5 Grasso/Caseina 1,48 1,36 1,40 ds 0,14 ds 0,18 ds 0,09 LDG (freq %) A 66,80 79,00 73,70 B 3,20 4,70 - C - 4,65 - D 15,50 7,00 20,30 E 14,50 4,65 6,00 Cellule 340 310 320 3/ somatiche10P Pml ds 30 ds 30 ds 15 Urea mg/100 ml 25 23 27,5 ds 4,73 ds 5,44 ds 5,51

81 Tabella 16. Composizione chimica, chimico-fisica, attitudine alla coagulazione del latte di caldaia delle tre razze considerate.(16)

Latte di: parametri Frisona Reggiana Bianca Val Padana Acidità titolabile 3,24 ds 0,10 3,39 ds 0,23 3,31 ds 0,39 °SH/50ml Grasso % 2,63 ds 0,17 2,66 ds 0,18 2,60 ds 0,17 Proteina % 3,23 3,30 3,29 Caseina % 2,44 ds 0,05 2,61 ds 0,06 2,61 ds 0,07 Grasso/Caseina 1,08r0,07 1,02r0,06 0,99r0,04 Parametri lattodinamometrici

Tempo di 18,20 ds 2,00 16,10 ds 2,28 16,54 ds 1,21 coagulazione r, min Tempo di 7,45 ds 1,90 4,93 ds 1,55 5,55 ds 1,51 rassodamento KB20B, min Consistenza del 27,40 ds 5,30 37,51 ds 3,70 34,66 ds 2,50 coagulo aB30B, mm

82 Tabella 17. Dati tecnologici relativi ad alcune prove di caseificazione comparative del latte delle tre razze considerate. (16)

Latte di: parametri Frisona Reggiana Bianca Val Padana

Acidità titolabile 3,30 ds 0,1 3,40 ds 0,15 3,35 ds 0,10 °SH/50ml Grasso % 2,50 ds 0,12 2,60 ds 0,10 2,60 ds 0,10 Acidità della 4,20 ds 0,05 4,10 ds 0,08 4,20 ds 0,05 miscela °SH/50 ml Caseina % 2,38 ds 0,7 2,57 ds 0,10 2,55 ds 0,11 Grasso/Caseina 1,06 ds 0,05 1,01 ds 0,06 1,02 ds 0,06 Caglio 2,50 ds ,08 2,60 ds 0,07 2,60 ds 0,05 (1:125000)g/100kg Temperatura di 33,75 33,12 33,12 coagulazione °C Durata 12,2 ds 1,10 11,00 ds 1,20 11,50 ds 1,00 coagulazione min Durata 1,50 ds 0,30 2,00 ds 0,27 2,00 ds 0,30 rassodamento min Durata spinatura 2,30 ds 0,30 2,45 ds 0,27 2,50 ds 0,35 min Temperatura di 55,00 ds 0,30 55,60 ds 0,35 55,60 ds 0,30 cottura °C Durata totale 20,00 ds 23,00 ds 1,80 24,00 ds 1,50 lavorazione min 1,50 Durata giacenza 60,00 ds 60,00 ds 10,00 60,00 ds 10,00 min 10,00 Acidità siero dolce 2,80 ds 0,18 2,70 ds 0,15 2,70 ds 0,15 °SH/50ml Grasso nel siero % 0,40 ds 0,05 0,33 ds 0,03 0,30 ds 0,03 Resa in formaggio 7,47 ds 0,16 7,95 ds 0,23 7,90 ds 0,20 a 24 ore %

Ancora una volta Reggiana e Bianca Val Padana non smentiscono le loro migliori performance tecnologico-casearie: è quindi auspicabile un’attività di salvaguardia dell’immenso patrimonio genetico ma anche storico-culturale delle razze autoctone (non solo bovine).

83 4- Principali razze bovine allevate in provincia di Modena e Reggio Emilia

84 4.1 Evoluzione numerica

Attualmente le razze bovine più diffuse in provincia di Modena e Reggio Emilia sono la Frisona italiana e la Bruna. Nella provincia di Reggio Emilia la popolazione bovina è più variegata perché presenta (oltre alla razza Reggiana) anche un piccolo nucleo di vacche di razza Pezzata rossa e di Jersey le quali danno un discreto contributo alla produzione di latte. A Modena invece il quadro è più omogeneo e la razza Bianca Val Padana occupa uno spazio irrisorio. Nelle seguenti tabelle viene illustrata la composizione della popolazione bovina in entrambe le province in ordine decrescente.

Tabella 18. Principali razze bovine allevate in provincia di Reggio Emilia (17) Razza Numero vacche Produzione latte q.li Frisona italiana 59939 3615671 Bruna 3141 147799 Reggiana 765 31172 Pezzata rossa italiana 622 29770 Jersey 487 20726

Tabella 19. Principali razze bovine allevate in provincia di Modena (17)

Razza Numero vacche Produzione latte q.li Frisona italiana 31129 1811154 Bruna 758 36128 Bianca Val Padana 239 8381

85 Da quanto emerge dall’ultimo censimento dell’agricoltura il maggior numero di bovini è concentrato nelle province di Reggio Emilia Modena e Parma.

Bovini e bufalini / SAU (%) . Comuni

Figura 7. Mappa tematica del V° censimento generale dell’agricoltura 2000. Elaborazioni a cura della Regione Emilia Romagna su dati provvisori ISTAT.

Negli ultimi dieci anni la consistenza numerica bovina è notevolmente aumentata: nella provincia di Reggio Emilia l’aumento è stato pari a circa 20% e ha interessato tutte le fasce altimetriche, nella provincia di Modena invece si è concentrato nelle fasce pianeggianti e collinari con valori compresi tra il 30 e 50% (fig. 7)

86 Variazioni % 2000-1990

Dimin. % capi bovini e bufalini 2000/1990

Figura 8. Mappa tematica del V° censimento generale dell’agricoltura 2000. Elaborazioni a cura della Regione Emilia Romagna su dati provvisori ISTAT.

Anche la fisionomia delle aziende è cambiata: il numero di capi per azienda è aumentato di conseguenza pian piano le grandi aziende hanno sostituito quelle piccole (tab.20). L’allevamento bovino quindi è divenuto un’attività a carattere intensivo come dimostrano anche i dati della seguente tabella dove viene messo in evidenza il calo progressivo del numero di bovini rispetto alla SAU e parallelamente l’aumento dello stesso rispetto al numero di aziende.

87 Numero medio capi bovini e bufalini. Comuni

Capi bovini e bufalini / numero Bovini e bufalini / SAU PROVINCE E aziende COMUNI 1970 1982 1990 2000 1970 1982 1990 2000

Piacenza 16,0 30,6 39,9 58,8 1,1 1,2 1,0 0,7

Parma 13,0 24,5 37,1 58,1 1,1 1,1 1,2 1,2

Reggio Emilia 13,9 29,7 43,6 65,1 1,5 1,7 1,7 1,5

Modena 11,6 25,4 35,7 50,4 1,1 1,1 1,0 0,8

Bologna 11,0 22,5 25,9 31,4 0,6 0,5 0,3 0,2

Ferrara 18,2 72,7 96,9 104,8 0,4 0,4 0,3 0,1

Ravenna 9,4 20,0 22,6 25,0 0,5 0,4 0,2 0,1

Forli-Cesena 7,4 15,1 19,3 30,6 0,5 0,4 0,3 0,2

Rimini 4,5 10,2 12,6 11,6 0,5 0,3 0,2 0,1

EMILIA- ROMAGNA 12,1 26,2 36,3 52,3 0,8 0,8 0,7 0,6

Tabella 20. Numero medio percentuale di capi bovini e bufalini per azienda e SAU. Elaborazioni a cura della Regione Emilia-Romagna su dati provvisori ISTAT.

Da queste osservazioni si può individuare un’ulteriore causa del declino delle razze bovine autoctone; il fatto che vi siano grandi allevamenti con economia di scala e che fino all’inizio degli anni novanta il pagamento del latte fosse impostato senza i parametri di qualità ha influito sensibilmente sull’evoluzione numerica di Reggiana e Bianca Val Padana.

88 1200 1000 BVP 800 600

n. capi 400 200 0 1960 1970 1980 1990 2000 2010 anno

Grafico 10 Evoluzione numerica delle vacche Bianche Val Padana in provincia di Modena (17)

Tabella 21. Evoluzione numerica della razza Bianca Val Padana nella provincia di Modena. (18)

Anno n. capi % 1950 100.212 49,4 1955 120.166 51,1 1960 109.797 46,0 1965 79.789 38,9 1968 49.000 24,5 1971 35.000 17,7 1974 15.000 7,8 1979 15.00 -

89 900 800 700 600 500 400 n. capi 300 200 Reggiana 100 0 1960 1970 1980 1990 2000 2010 anno

Grafico 11. Evoluzione numerica delle vacche Reggiane in provincia di Reggio Emilia (17)

Tabella 22. Evoluzione numerica della razza Reggiana nella provincia di Reggio Emilia. (18) (4)

Anno n. capi % 1950 84031 45,3 1955 91858 41,1 1960 70525 31,0 1965 55364 25,8 1968 13560 6,4 1971 6716 3,5 1974 3850 2,0 1978 1320 0,8 1981 985 0,6

90 70000 60000 50000

40000 Reggiana Frisona 30000

n. capi Bruna 20000 10000 0 1965 1970 1975 1980 1985 1990 1995 2000 2005 anno

Grafico 12. Evoluzione numerica delle vacche allevate in provincia di Reggio Emilia (17)

35000

30000

25000

20000 BVP 15000 Frisona

n. capi Bruna 10000

5000 0 1965 1970 1975 1980 1985 1990 1995 2000 2005 anno

Grafico 13. Evoluzione numerica delle vacche in provincia di Modena (17)

91 La Bianca Val Padana come si deduce dalla tabella 21 ha raggiunto il numero massimo di capi nel 55’ e da allora in poi ha continuato a diminuire fino a rischiare l’estinzione, nell’ultimo controllo infatti conta solo 307 capi. La Frisona invece è quasi triplicata e costituisce circa il 97% dei bovini allevati in provincia di Modena mentre la Bruna dopo aver subito una consistente diminuzione tra il 70’ e il 75’(da 2181 capi a 773) si è mantenuta su cifre 2 oscillanti tra 600 e 700 capi (graficoTP PT 12). Per quanto riguarda la Reggiana ha raggiunto la maggiore consistenza numerica nel 1954 in quanto contava 139695 capi pian piano ha cominciato a scendere fino a toccare il minimo 1 storico negli anni 80’ con circa un migliaio di capi in tutto (graficoP P 11 e tab.22). Negli ultimi dieci anni, grazie ad una attenta opera di riqualificazione, il numero totale di capi stimati si aggira intorno ai 1700 (le sole vacche controllate rappresentano l’1,16% di quelle totali). La Frisona ha avuto lo stesso andamento riscontrato nella provincia di Modena, per essere più precisi il numero di vacche dal 70 ad oggi è quasi quintuplicato anche se, rispetto rappresenta il 91% dell’intera popolazione bovina della provincia di Reggio Emilia contro il 95% di Modena. La Bruna ha un andamento altalenante e si è 1 stabilizzata a una quota di 3000 capi (graficoP P 13). (17)

4.2 Riqualificazione delle razze bovine autoctone

L’attività di ricerca, come si è detto nel precedente capitolo, ha contribuito in maniera determinante al riconoscimento del valore qualitativo e tecnologico del latte di Reggiana e di Bianca Val Padana; naturalmente questo è stato il primo passo per portare avanti un progetto di riqualificazione (20) e di

2 TP PT Nota: i dati riportati nei grafici fanno riferimento ad animali controllati quindi il numero totale delle vacche è maggiore.

92 salvaguardia di queste due razze ma sono comunque indispensabili un’altra serie di elementi: 1. effettuare un censimento, il più esatto e completo possibile sulla consistenza delle razze in tutte le categorie (vacche, manze, tori, vitelli, ecc.) e contemporaneamente l’assegnazione di un numero d’identificazione; 2. prelievo di sangue e conseguente testificazione eritrocitaria mediante la quale è possibile accertare il grado di consanguineità all’interno della razza per l’identificazione della variabilità genetica; 3. congelamento del materiale seminale dei tori (soprattutto ma non solo per i tori portatori di caratteri interessanti; 4. accoppiamenti programmati per aumentare la variabilità genetica; 5. controllo funzionale del latte anche per le bovine non iscritte al Libro Genealogico; 6. aumentare il numero di capi allevati e creazione di una o più stalle dove concentrare le bovine più interessanti; 7. caseificazione del latte separata. Per quanto concerne la razza Reggiana si può dire che il pericolo di estinzione è scongiurato e che si sta portando avanti un’efficiente programma di valorizzazione del formaggio prodotto con il latte di bovine Reggiane. Più precisamente nel 90’ un gruppo di allevatori ha preso in considerazione l’ipotesi di caseificazione separata del latte di Reggiana. La fattiva collaborazione tra l’Associazione provinciale e il C.R.P.A (Centro ricerche produzioni animali) di Reggio Emilia ha portato alla formulazione del suddetto programma di caseificazione. Questo programma è stato presentato dall’APA al ministero Agricoltura e Foreste, che lo ha finanziato per l’80%. Dal momento che l’APA non era in grado di gestire la lavorazione e la trasformazione di questo latte, gli allevatori di Reggiana nel 91’ hanno dato vita al Consorzio di valorizzazione prodotti antica razza Reggiana (CVPARR)

93 che si è incaricato della gestione pratica del programma. Oltre a ciò il CVPARR, in linea con quanto detto a proposito del lavoro di riqualificazione e salvaguardia della razza (19), si propone di: - valorizzare il formaggio Parmigiano-Reggiano prodotto elusivamente con questo latte; - favorire lo studio, la sperimentazione e l’applicazione di nuovi metodi che valorizzino la lavorazione del latte di Reggiana; - aumentare il numero di soggetti allevati; - svolgere programmi di ricerca e di sperimentazione agricola, avvalendosi di istituti di ricerca e universitari; - divulgare i risultati delle prove sperimentali; - intraprendere azioni di marketing a favore dei prodotti della razza Reggiana; - ampliare il numero di soci e degli allevatori; - favorire lo sviluppo della fecondazione artificiale, dei piani di accoppiamento programmati ecc., in collaborazione con AIA, Istituto per la difesa e valorizzazioni del germoplasma animale, APA e CRPA; - provvedere all’approvvigionamento e alla vendita, per conto dei soci, di animali di razza Reggiana. Per quanto riguarda invece la razza Bianca Val Padana la situazione non è proprio rassicurante perché, dal momento che il numero di allevatori “fedeli” a questa razza si contano sulle dita di una mano e i loro allevamenti sono distanti, non è ancora stato possibile attuare un vero e proprio programma di riqualificazione come per la razza Reggiana. Per il momento esiste un comitato direttivo di gestione della razza Bianca Val Padana coordinato dall’APA di Modena mediante il quale è stato possibile perlomeno prendere in considerazione la salvaguardia della razza. Attualmente l’APA di Modena ha provveduto al congelamento e allo stoccaggio di materiale seminale e di

94 embrioni di Bianca Val Padana inoltre l’UE stanzia un piccolo contributo annuale per incentivare l’allevamento delle razze autoctone. Queste misure non sono di certo una panacea ma sono comunque un timido tentativo di conservare il patrimonio genetico di questa razza.

95 4.3 Caratteristiche morfologiche e fisiologiche

Standard della razza Reggiana

Tale standard fu elaborato dal prof. Mario Guadasoni e approvato il 29 giugno 1935. Recentemente è servito come linea guida nella redazione del Disciplinare del Libro Genealogico della Razza Bovina Reggiana con D.M. n.21838 del 26/3/1996.

Vacche

1) - Mantello: fromentino uniforme, variante tra il fromentino carico ed il fromentino chiaro, più o meno attenuato alle parti interne ed inferiori degli arti, al contorno degli occhi, attorno al musello ed alla faccia interna della coda, senza macchie di qualunque grandezza in qualunque parte del corpo. Ciuffo del sincipite, peli all’interno del margine del padiglione dell’orecchio, ciglia, crini della coda, sono dello stesso colore del mantello. Rosei sono: musello, epiteli, palato, lingua e superficie interna delle guance, cute perianale e perivulvare. Sono tollerate sfumature tendenti al colore ardesia. Cute delle mammelle e capezzoli, senza macchie. 2) – Pelle: di medio spessore, elastica, ben sollevabile, pelo fine, liscio e lucente. 3) – Statura e taglia: statura superiore alla media della specie, con, tronco lungo, solido impianto scheletrico e masse muscolari ben sviluppate ma non arrotondate. Taglia medio grande. Le misure indicative dell’altezza al garrese per le femmine sono: cm 130 per soggetti dell’età di 24 mesi cm 135 per soggetti dell’età di 36 mesi.

96 4) – Testa: sempre molto distinta e piuttosto lunga, fronte sufficientemente spaziosa e lievemente concava, sincipite con profilo ad emme molto schiacciato; profilo fronto-nasale rettilineo e non turbato dalle arcate sopraorbitarie leggermente sopraelevate rispetto al piano della fronte; occhi grandi, con rima palpebrale sempre “adagiata”, sguardo mite della vacca; orecchie abbastanza grandi, portate orizzontalmente, munite internamente di abbondante pelame; narici a fosse nasali rettilinee; musello ampio con labbra pronunciate; mascelle robuste ma non grossolane; corna a sezione leggermente ellittica, dirette prima in fuori, poi leggermente in avanti e quindi in alto, di media grossezza e lunghezza, di colore giallo con la punta scura o rosso intenso. E’ ammessa la decornificazione. 5) - Anteriore: collo ben unito al garrese, spalla e testa, di media lunghezza; garrese piuttosto ampio, non appuntito, spalle ben conformate mediamente muscolose; petto e torace mediamente larghi, torace lungo e profondo, raramente cinghiato, di altezza superiore alla metà della statura; arti robusti, ma non grossolani, ginocchio largo, garretto forte largo forte e asciutto, pastoie corte e robuste; piedi ben sviluppati, robusti, corno degli unghioni di colore rosso scuro o nero, a volte striato di nero, dotato di particolare durezza, raramente si verifica rilasciamento dei legamenti interungueali. 6) – Linea dorsale: rettilinea o leggermente avallata, lombi mediamente larghi e con attacco alla regione sacrale mediamente robusto; 7) – Groppa : trapezoidale, abbastanza larga alle articolazioni coxo-femorali, più o meno inclinata indietro e leggermente spiovente lateralmente, anche sporgenti, cresta sacrale alquanto rilevata; attacco coda, sempre alto; coda di fusto grossolano all’attacco, fornita di abbondante nappa a crini di colore biondo o rosso. 8) – Arti posteriori: cosce con muscolatura mai abbondante o troppo chiuse posteriormente; garretti asciutti, larghi e forti, stinchi solidi ma non

97 grossolani, spesso l’arto posteriore risulta leggermente falciato; pastoie e piedi come gli anteriori. 9) – Mammella: di forma e sviluppo normale con quarti posteriori generalmente ben sviluppati spesso rimontanti lungo il perineo abbastanza largo e fornito di duplicatore di pelle; vene ben sviluppate, cute fine e raramente molto pelosa, capezzoli a volte abbondanti per lunghezza e spessore. (foto 1)

Tori

Nei tori adulti il mantello è di colore più carico nel treno anteriore specie in corrispondenza del collo e delle spalle, occhio vivace e fiero, le corna sono più grosse e meno incurvate che nella vacca; collo con linea cervicale dalla testa al garrese piuttosto convessa, peli del pisciolare dello stesso colore del mantello, cute dello scroto senza macchie, testicoli molto pronunciati e ben penduli, frequenti i capezzoli rudimentali. Le misure indicative per i maschi sono: cm 128 per soggetti dell’età di 12 mesi cm 142 per soggetti dell’età di 24 mesi (foto 2) I difetti morfologici che si possono ancor oggi riscontrare nella razza sono: - a livello della mammella relativi all’equilibrio tra quarti anteriori e posteriori, alle dimensioni e forma dei capezzoli e la forza dei legamenti; - anomalie del mantello, quali la presenza di rabicanature diffuse, macchie bianche sternali o del fiocco della coda, commistione di peli neri con quelli rossi in prossimità del musello e delle conche auricolari (le vacche con questa tipica colorazione erano dette volgarmente “magnane” ed erano rinomate per le grandi capacità lattifere). (4)

98 Standard della razza Bianca Val Padana

1) Mantello:

Ufemmine: Ubianco latteo

UtoriU: bianco con gradazioni grigie al collo, alle spalle, all’avambraccio o alla coscia. 2) Pelle: sottile, morbida, facilmente distaccabile con cute non pigmentata. 3) Statura e taglia: taglia: mole e buon peso altezza al garrese: tori adulti cm 130-160 vacche adulte cm 125-140 4) Testa: piuttosto leggera a profilo rettilineo o leggermente concavo fra le orbite all’inserzione della fronte con la faccia, sincipite poco rilevato con profilo a M allungato; fronte ampia e faccia corta nei tori, di media lunghezza nelle vacche; occhi grandi con ciglia grigie; orecchie piuttosto ampie; narici ampie; musello largo color ardesia con depigmentazione centrale a V rovesciato (spaccatura); mascelle larghe; corna piuttosto corte, specialmente nei tori, a sezione ellittica, uscenti lateralmente e volte in avanti e leggermente in alto, di colore bianco giallognolo alla base e nere in punta nei soggetti di età superiore alla prima rotta. 5) Anteriore: armonico; collo corto e muscoloso nei tori, più lungo e sottile nelle femmine; giogaia poco pronunciata; garrese muscoloso nei tori, più sottile nelle vacche; spalle muscolose e ben aderenti al torace; petto largo e muscoloso, profondo con costole ben distanziate; arti ben diritti, con articolazioni ampie, specialmente quelle del ginocchio e delle falangi; piedi forti con unghioni ben sviluppati e serrati.

99 6) Linea dorsale: rettilinea, con dorso largo muscoloso e lungo; lombi larghi e di media lunghezza e ben attaccati alla regione sacrale. 7) Groppa: larga e lunga, poco inclinata con spina dorsale poco rilevata; coda ben attaccata, sottile, con vertebre non oltre il garretto, con fiocco poco abbondante, nero. 8) Arti posteriori: ben diritti, con articolazioni ampie, specialmente del garretto e delle falangi; cosce muscolose, specialmente nei tori; garretti asciutti; piedi di media grossezza, forti e serrati con unghioni neri; pastoie corte e forti. 10) Mammella: ampia e globosa, estesa sotto il ventre e all’indietro, ricoperta di pelle fine con vene mammarie evidenti; quarti regolari; capezzoli ben disposti in quadrato, piuttosto sviluppati; vene sottocutanee grosse e tortuose. 11)Altre caratteristiche: sono tollerati: pelle leggermente grossa, purché distaccabile facilmente, ciuffo fromentino chiaro, palato e lingua moscati, fiocco della coda grigio, unghioni anteriori giallognoli con striature nere; epitelio ardesia chiaro con ciglia bianche e cute leggermente marezzata nei capi adulti; la testa può essere leggermente camusa, con sincipite rilevato, corna relativamente grosse e di colore giallo-nero; collo con gibbosità e giogaia abbondante nei tori, leggera depressione retroscapolare; ventre retratto; attacco di coda moderatamente alto, spina sacrale leggermente rilevata (nelle vacche), mammella cascante. (foto 3 e 4)

I difetti che si possono a volte riscontrare sono: - mammella con capezzoli lunghi e grossi che comportano difficoltà nella mungitura meccanica; - il carattere della “doppia coscia” che sul piano commerciale è un pregio ma comporta difficoltà al momento del parto. (3)

100 Foto n. 1: vacca Reggiana

Foto n. 2: toro Reggiano (da ANABORARE)

101 Foto n. 3: vacca Bianca Val Padana (foto personale)

Foto n. 4: toro bianco Val Padana (foto personale)

102 Fisiologia

Rispetto alle razze cosmopolite Reggiana e Bianca Val Padana hanno una maggiore rusticità longevità e fecondità. La Reggiana raggiunge la massima produzione di latte oltre il 4° parto mentre la Bianca Val Padana al 3° parto come più o meno Bruna e Frisona. La permanenza in stalla per Reggiana e Bianca Val Padana in media va dai 5 ai 7 anni ma questo limite può essere spesso superato (questi aspetti verranno approfonditi ulteriormente nel capitolo successivo). Bruna e Frisona hanno invece una media di 4-5 anni.

103 4.4 Trend fenotipico

Nel 3° capitolo si faceva notare il generale andamento qualitativo del latte, vediamo ora l’andamento delle percentuali in proteine e grasso e i Kg di latte delle razze allevate in provincia di Modena e Reggio Emilia (grafici 14, 15, 16, 17, 18 e 19). Come si può notare dai grafici 18 e 19 la quantità di latte prodotto ha andamento crescente mentre le percentuali di grasso e proteine in provincia di Modena hanno avuto una caduta notevole a partire dal 1975 fino al 1986 (grafici 15 e 16), a Reggio Emilia invece il calo si è avuto, per i due componenti del latte, a partire dalla metà degli anni 80’ fino ai primi anni 90’ (grafici 14 e 17), periodo in cui il pagamento del latte ha cominciato a prendere in considerazione i parametri di qualità. (17)

104 3,6

3,5

3,4 Reggiana 3,3 Frisona Bruna 3,2 % proteine

3,1

3 1960 1970 1980 1990 2000 2010 anno

Grafico 14. Andamento percentuale delle proteine nel latte delle razze allevate in provincia di Reggio Emilia (17)

3,5 3,45 3,4 3,35 3,3 3,25 BVP 3,2 Frisona Bruna

% proteine 3,15 3,1 3,05 3 1960 1970 1980 1990 2000 2010 anno

Grafico 15. Andamento delle percentuali di proteine nel latte delle razze bovine allevata in provincia di Modena (17)

105 3,9

3,8

3,7 BVP 3,6 Frisona 3,5 Bruna % grasso 3,4

3,3

3,2 1960 1970 1980 1990 2000 2010 anno

Grafico 16. Evoluzione delle percentuali in grasso del latte delle razze bovine allevate in provincia di Modena (17)

4,1 Reggiana Frisona 4 Bruna 3,9 3,8 3,7

% grasso 3,6 3,5 3,4 3,3 1960 1970 1980 1990 2000 2010 anno

Grafico n. 17 Evoluzione delle percentuali di grasso nel latte delle razze bovine allevate in provincia di Reggio Emilia (17)

106 9000 8000 7000 6000 5000 4000 Kg latte 3000 Reggiana Frisona 2000 Bruna 1000 0 1960 1970 1980 1990 2000 2010 anno

Grafico 18. . Andamento della produzione di latte delle razze allevate in provincia di Reggio Emilia (17)

8000 7000 6000 5000 4000

Kg latte 3000 BVP Frisona 2000 Bruna 1000 0 1960 1970 1980 1990 2000 2010 anno

Grafico 19. Andamento della produzione di latte delle razze allevate in provincia di Modena (17)

107 4.5 Miglioramento genetico

In base a quanto detto sull’importanza del fattore genetico, allevatori e associazioni preposte (AIA e associazioni di razza ad essa affiliate) compiono la scelta degli animali (dei riproduttori) secondo precisi criteri; attuano cioè una selezione razionale secondo “indici” che nel tempo, conduce ad una evoluzione della popolazione animale nel senso desiderato. Il problema risiede nella scelta degli indici di selezione. I principali caratteri riguardanti la produzione del latte (Kg proteina, Kg grasso, Kg latte, % proteina, % grasso, ecc.) sono tra loro geneticamente correlati a vario grado. Ciò vuol dire che una parte più o meno numerosa di geni che controllano un carattere interviene contemporaneamente nell’espressione di un altro carattere. Tanto maggiore è la quota dei geni in comune, tanto più importante sarà la correlazione genetica tra due caratteri e viceversa. Quando l’azione è concorde, cioè favorevole all’espressione di entrambi i caratteri, la correlazione è positiva. Viceversa, quando gli stessi geni agiscono in direzioni opposte, cioè a favore di un carattere e a sfavore dell’altro, allora la correlazione si definisce negativa. Tra i principali caratteri riguardanti la produzione di latte si annoverano alcune correlazioni genetiche di segno positivo e altre di segno negativo: (7)

Tabella 23. Correlazioni indicative tra i principali caratteri riguardanti la produzione di latte Correlazioni genetiche positive Correlazioni genetiche negative Kg latte-Kg grasso +0,75 Kg latte-% grasso -0,37 Kg latte-Kg proteine +0,87 Kg latte-% proteina -0,37 % grasso-% proteine +0,58 Kg proteina-% grasso Kg proteine-% proteine +0,39 Kg grasso-Kg proteine +0,84

108 Nel programma di selezione adottato per la razza Reggiana si è preso in considerazione il carattere Kg proteina. Le correlazioni genetiche positive tra il carattere Kg proteina ed i caratteri Kg latte e Kg grasso consentono il miglioramento anche di questi ultimi due. Questo programma presuppone: - disponibilità degli indici genetici - scelta dei tori - predisposizione dei piani di accoppiamento. Gli indici genetici sono elaborati dall’Ufficio Studi dell’AIA a fine anno, sono relativi ai caratteri Kg latte, Kg proteina, Kg grasso, % proteina, % grasso e sono ottenuti con il metodo Blup Animal Model. Nel calcolo di questi indici è sempre stata considerata solo la prima lattazione mentre con la nuova procedura, studiata per le razze a limitata diffusione, considera, quando è possibile, 5 lattazioni per una maggiore attendibilità dell’indice stesso. Per i soggetti di razza Reggiana, maschi e femmine, nati dal 1982 al 1998, è stato calcolato il trend genetico. Per i caratteri Kg latte, Kg proteina, Kg grasso il trend è positivo (grafico 20). La scelta dei tori viene effettuata fra i migliori soggetti classificati per l’indice Kg proteina. La razza Bianca Val Padana purtroppo non può per il momento usufruire di veri e propri programmi di miglioramento genetico dato l’esiguo numero di tori disponibili per la fecondazione artificiale (solo 2!) e dei capi in generale. Bruna e Frisona vengono valutate mediante ILQM (indice latte qualità morfologia) e prove di progenie. I caratteri più interessanti dal punto di vista caseario sono le percentuali di K-cn BB: il miglioramento genetico ha dato un buon contributo su questo fronte. Si vedano a questo proposito i grafici 22, 23 e 24.

109 Grafico 20. Trend genetico femmine di vacca Reggiana, elaborazione indici con 5 lattazioni, kg latte, grasso e proteine (54)

frequenze genotipiche K-caseine nella razza Reggiana

KAA KBB 26% 27% KBB KAB KAA KAB 47%

Grafico 22. Frequenze genotipiche delle K-caseine nella razza Reggiana (54), (4)

110 Frequenze genotipiche K-caseina nella razza Bruna

KAA 14% KBB KBB 39% KAB KAA KAB 47%

Grafico 23. Frequenze genotipiche della K-caseina nella razza Bruna (55)

Frequenza genotipica K-caseina nella razza Frisona

KBB 4% KBB KAB KAB 29% KAA KAA 67%

Grafico 24. Frequenza genotipica della K-caseina nella razza Frisona (56)

111 5 – Attualesituazione

In questo capitolo verranno riportati i risultati delle osservazioni fatte da me a partire dal settembre del 1999 al novembre del 2001 in diversi allevamenti e caseifici dislocati nelle province di Modena e Reggio Emilia. In particolare ho visitato due allevamenti di Reggiane, uno a Coviolo di Reggio Emilia e uno a Quattro Castella, quattro allevamenti di Bianca Val Padana di cui uno si trova a Spilamberto, uno a Saltino di Prignano, uno a Susano di Palagano e un altro a Castelvetro, tre allevamenti di Brune di cui due si trovano a Montefiorino e uno a Montecavolo di Quattro Castella e infine due allevamenti di Frisone, uno a Campogalliano e uno a Pavullo nel Frignano. I caseifici li ho citati nel paragrafo 5.2.

112 5.1 Sistemi di allevamento

La Bianca Val Padana

Caratteristica comune a tutti gli allevamenti di Bianca Val Padana in generale è la dimensione aziendale medio-piccola; infatti questi allevamenti vanno da un minimo di 35 ad un massimo di 65 capi. Altro aspetto comune è la presenza, nello stesso allevamento, di altre razze bovine (Frisona Bruna e meticce) e da questo punto di vista è possibile rilevare le differenti esigenze alimentari e le relative performance produttive. La maggior parte degli allevamenti di Bianca Val Padana, come si diceva nel primo capitolo, (ad eccezione di due consistenti nuclei ubicati uno a Spilamberto e l’altro ad Albinea) sono distribuiti nella fascia altimetrica submontana appenninica compresa tra i 500 e i 1000 m (zona di colore verde più chiaro con frecce indicanti le località come indicato nella figura 9).

Figura 9 Cartina fisica dell’Appennino (da Omnia Atlante Mondiale, De Agostini)

113 In questa zona i foraggi presentano caratteristiche organolettiche e quindi nutrizionali migliori rispetto a quelli coltivati nelle fasce altimetriche inferiori in quanto l’epoca di sfalcio cade nel periodo in cui è minore il rischio di incorrere in giornate piovose e le temperature sono più basse e rallentano i processi di lignificazione dei tessuti vegetali di conseguenza è più ampio il margine di tempo per eseguire lo sfalcio ed è meno probabile il distacco delle foglie durante i processi di rivoltamento e andanatura del foraggio a terra. In genere si effettuano tre sfalci: il primo si effettua intorno al 10-12 maggio, il secondo circa 40 giorni dopo (quindi intorno al 20 giugno) il terzo infine si effettua verso i primi di agosto. In merito all’effetto del ritardo dello sfalcio (57) sulla qualità del foraggio, vale la pena ricordare che, nella medica, ogni giorno successivo alla fase fenologica di inizio fioritura, comporta una diminuzione della digeribilità della sostanza organica pari allo 0,5%. Considerando anche la minore ingestione di sostanza secca da parte dell’animale, si arriva ad una perdita di valore nutritivo pari all’1% per ogni giorno di ritardo del taglio, equivalente a mezzo kg di latte al giorno. Altro aspetto da sottolineare, legato alla zona, è la disponibilità di pascoli erbosi. Nonostante in questi allevamenti di montagna prevalga la stabulazione fissa, ho potuto constatare che alcuni allevatori portano al pascolo manze e manzette in modo tale da poter utilizzare terreni che per diversi motivi non possono essere coltivati. I foraggi sono per il 90% di produzione aziendale e sono composti per lo più da erba medica e prato stabile. Proprio in merito all’alimentazione nella tabella 24 ho riportato i valori medi dei quantitativi di foraggio e di concentrati che vengono normalmente somministrati alle vacche Bianche Val Padana con riferimento agli allevamenti che ho visitato nella zona di Prignano e Palagano nei quali sono presenti anche Brune e Frisone e quindi è stato possibile operare un confronto fra le diverse razioni. Ho preso in considerazione le stagioni perché con il foraggiamento verde cambia

114 notevolmente la composizione della razione e questo ha delle ripercussioni sulla composizione e sulla quantità di latte prodotto (tab. 26.).

Tabella 24. Esempio di razionamento stagionale delle vacche Bianca Val Padana, Bruna e Frisona di allevamenti di montagna.

Razze Stagioni Foraggi (kg) Concentrati (kg) Bianca Val Primavera Foraggio verde di 1° e 6-7 Padana Estate 2° taglio 20 Autunno Fieno di prato polifita 6-7 inverno 15 Bruna e Frisona Primavera Foraggio verde di 1° e 8-9 Estate 2° taglio 15 Autunno Fieno di prato polifita 8-9 Inverno 15

Dalla tabella inoltre si evince anche un altro dato importante: la differente dose di foraggi e concentrati a seconda della razza. Infatti la razione giornaliera di una Bianca Val Padana è costituita da 15 kg di foraggio e 6,5-7 kg di concentrati, mentre quella di Bruna e Frisona è di 17 kg di foraggio e 8 kg di concentrato. La composizione media del concentrato è riportata nella seguente tabella:

115 Tabella 25. Composizione chimica media del mangime somministrato alle vacche Bianche Val Padana

Analisi chimica del mangime % Umidità 13,00-13,50 Proteina greggia 15,50-22,00 Grassi greggi 3,00-4,00 Cellulosa greggia 6,00-9,00 Ceneri gregge 8,00-8,50 Vitamina A (integrazione) 40000-50000 U.I.

Si sospende la somministrazione dei concentrati durante l’asciutta (questo periodo dura 70-60 giorni fino al parto) e si alimenta l’animale con foraggio di prato stabile: il giorno prima del parto si ricomincia a somministrare concentrati nella dose di 2 kg e il giorno del parto ne vengono somministrati 4-6 kg. Le performance produttive e qualitative che si ottengono da questa alimentazione di tipo tradizionale sono riassunte nella tabella 26 dove sono anche riportati anche dati relativi a Bruna e Frisona. Come si può vedere la percentuale di grasso nelle tre razze considerate presenta variazioni molto più accentuate dall’estate all’inverno rispetto a quella delle proteine: ciò è dovuto principalmente al foraggio il quale durante la stagione invernale, essendo somministrato solo come fieno, ha un più alto contenuto in fibra e per il fatto che le proteine sono più strettamente correlate al fattore genetico che a quello ambientale. Anche la quantità di latte, come il grasso, dipende in maniera determinante dai fattori ambientali: infatti la maggiore produzione di latte coincide con periodi dell’anno in cui non vengono somministrati foraggi verdi e quindi è maggiore l’ingestione di sostanza secca.

116 Tabella 26 Andamento stagionale delle percentuali in grasso e proteine nelle razze Frisona, Bianca Val Padana e Bruna (dati aziendali del 2000)

Stagioni % % % Kg latte Razze Grasso Proteine Caseina primavera 3,57 3,11 2,43 28 kg/gg estate 3,6 3,18 2,48 28 kg/gg Frisona autunno 3,75 3,16 2,46 27 kg/gg inverno 3,9 3,2 2,50 28,6 kg/gg primavera 3,17 3,47 2,71 24,6 kg/gg estate 3,26 3,53 2,75 23,6 kg/gg BVP autunno 3,81 3,56 2,78 21.5 kg/gg inverno 3,46 3,63 2,83 24 kg/gg primavera 4,12 3,35 2,61 26 kg/gg estate 3,8 3,31 2,58 23 kg/gg Bruna autunno 3,83 3,48 2,71 23 kg/gg inverno 4,18 3,42 2,67 23,5 kg/gg

Vediamo ora i dati di allevamento relativi alla Bianca Val Padana delle aziende campione (tab 27). In uno di questi allevamenti si è raggiunta la quantità di 60 q di latte per lattazione ma sostanzialmente la media in generale è di 50 q.(tab. 28). La situazione di questi allevamenti è piuttosto variegata ma, per quanto riguarda la percentuale in grasso e proteine, gli scostamenti dalla media, in particolare nelle aziende di montagna, sono lievi.

117 Tabella 27. Dati medi aziendali di allevamento relativi ad alcuni allevamenti di vacche Bianche Val Padana

Mungitura Periodo Età al parto Effettiva gg parto primipare concepimento gg A M Latte kg Grasso % Proteine % Insemin.N 6114 3,48 3,58 265 122 2 4 1,6 4192 3,34 3,48 279 193 2 7 2,4 4942 3,19 3,31 252 63 2 2 1,2

Analizzando inoltre altri dati di allevamento ho potuto notare altre peculiarità della Bianca Val Padana (tab.28). La prima cosa che ho notato è l’elevata fertilità che con un intervallo di tempo più basso (126 giorni), rispetto alle altre razze cosmopolite, tra il parto e il concepimento permettono un numero di parti che va dai 6 ai 10 per l’intera carriera produttiva dell’animale. Ciò implica anche una permanenza in stalla che va dai 7 ai 10 anni e, data l’alta fecondità e anche rusticità di questi animali, un notevole risparmio sulle spese veterinarie. Da notare inoltre che la massima produzione viene raggiunta al terzo parto e i valori massimi di proteine e grasso si hanno al primo parto. Le primipare di Bianca Val Padana producono dai 15 ai 18 kg di latte al giorno: se si assestano sui 15 kg di latte giornalieri possono arrivare a produrne 20-25 kg, se invece superano i 18 kg possono produrre anche 30-35 kg di latte al giorno. Il parto spesso posticipa addirittura di 20-25 giorni (il vitello infatti è anche più grosso perché alla nascita può pesare da un minimo di 35 ad un massimo di 45 kg) mentre Brune e Frisone possono ritardare il parto rispettivamente di 10-15 giorni e 3-4 giorni (i vitelli alla nascita pesano in media non più di 30-35 kg). A volte quando nascono i “fascioni” è necessario il taglio cesario ma normalmente dopo il parto non si verificano casi di collasso puerperale.

118 Tabella 28. Dati provinciali di allevamento della Bianca Val Padana (bollettino AIA 2000)

Età parto Periodo parto Lunghezza A M concepimento lattazione gg n. lattazione Latte kg Grasso % Proteine % Insemin. N. 1 4421 3,46 3,46 2 5 102 285 1,6 2 5204 3,22 3,43 3 6 152 290 2,0 3 5466 3,35 3,39 4 5 132 278 1,7 4 e oltre 5029 3,38 3,35 7 119 275 1,5 MEDIE 5008 3,35 3,40 4 7 126 282 1,7

Lo svezzamento del vitello si ha a circa 70 giorni di vita (i “fascioni” a 90 giorni); alcuni allevatori continuano a somministrare il latte al vitello fino alla fine dello svezzamento passando da 6 litri di latte al giorno nel primo mese di vita per poi scendere a 4 dai 30 ai 50 giorni e arrivare a 2 litri al giorno dai 50 alla fine dello svezzamento; altri invece somministrano il latte solo fino a due mesi. A partire dai 15 giorni si comincia a somministrare mangime in pellets e a 20-25 giorni si mette foraggio (solo di primo taglio) a disposizione dell’animale. I vitelloni di Bianca Val Padana costituiscono una fonte di reddito, benché la paura della BSE freni i consumi, in quanto forniscono carni di buona qualità con rese al macello del 58-60%; un vitellone di 18 mesi pesa infatti circa 380 kg quindi la resa al macello è sui 228 kg e l’incremento medio giornaliero è stimato intorno a 1100 g. Anche la carcassa dell’animale a fine carriera dà rese al macello superiori del 5% circa alle razze cosmopolite. Sempre riguardo alle rese, si sono dimostrati validi, sia sotto l’aspetto quantitativo che qualitativo, i soggetti ottenuti dall’incrocio tra Bianca Val Padana e . Buoni risultati sono stati ottenuti, in termini di produzione di latte, da soggetti ottenuti dall’incrocio tra Bianca Val Padana e Frisona; questi animali, con denominazioni “clericali” per il colore del

119 mantello (sono detti “preti” gli individui ottenuti con toro di razza Frisona e vacca Bianca Val Padana e “frati” quelli ottenuti facendo l’incrocio al contrario) producono infatti 35-40 kg di latte al giorno. Per quanto concerne la mungitura, la Bianca Val Padana richiede tempi più lunghi perché tende a trattenere il latte e sembra che ciò dipenda dall’indole diffidente e scontrosa dell’animale; a volte la forma dei capezzoli che possono essere lunghi e grossi crea problemi alla mungitura.

La Reggiana

Gli allevamenti di Reggiana sono più di 200 e sono distribuiti in maniera uniforme in tutta la provincia di Reggio Emilia. Le aziende che allevano bestiame di razza Reggiana in generale non superano i 70 capi quindi sono di medie dimensioni. Anche in questi allevamenti è facile rilevare la compresenza di altre razze bovine, in particolare, la Frisona. La maggior parte di questi allevamenti sono a stabulazione libera quindi foraggi e concentrati sono distribuiti ad libitum. I foraggi aziendali coprono totalmente o quasi i fabbisogni dell’allevamento e sono composti per lo più da essenze di prato stabile che rappresentano il 50 e anche il 65% del foraggio totale e da erba medica che non supera in genere il 50%; i foraggi inoltre vengono somministrati anche allo stato fresco dall’inizio della primavera all’autunno inoltrato a seconda dell’andamento stagionale (tab. 29). I pascoli sono praticamente scomparsi per la difficoltà di gestione del bestiame che comportano e per il carattere intensivo dell’agricoltura (soprattutto in pianura). Come per la Bianca Val Padana l’alimentazione è di tipo tradizionale. Durante l’asciutta in genere si eliminano totalmente i concentrati perché l’animale tende ad ingrassare facilmente e si somministra solo fieno di prato stabile; il giorno del parto si riprende l’uso di concentrato nella dose di

120 1,5-2 kg e pian piano si aumenta fino alla razione normale di 7-8 kg giornalieri.

Tabella 29. Razionamento medio stagionale delle vacche Reggiane

Stagioni Foraggi (kg) Concentrati (kg) Primavera Fieno di medica 3 6,5-7 Fieno di prato stabile 6 Foraggio verde 6 Estate Fieno di medica 4,5 6,5-7 Fieno di prato stabile 4,5 Foraggio verde 6 Autunno Fieno di medica 4 6,5-7 Fieno di prato stabile 6 Foraggio verde 5 Inverno Fieno di medica 5 6,5-7 Fieno di prato stabile 10

Nella tabella 33 ho riportato la composizione media dei concentrati che vengono somministrati negli allevamenti che ho visitato:

Tabella 30. Composizione chimica media del mangime somministrato alle vacche Reggiane

Analisi chimica del mangime % Umidità 12,00-12,90 Proteina greggia 15,00-16,80 Grassi greggi 3,80-4,25 Cellulosa greggia 6,00-6,50 Ceneri gregge 8,00-9,00 Vitamina A (integrazione) 52000-80000 U.I.

Le primipare producono giornalmente dai 15 ai 20 kg e una peculiarità di questa razza è che la massima produzione di latte viene raggiunta a partire dal 4° parto. Si riportano a scopo comparativo la tabella 31 con i dati aziendali

121 degli allevamenti oggetto delle mie osservazioni e la tabella 32 con le medie provinciali a lattazione.

Tabella 31. Dati medi aziendali di allevamento relativi ad allevamenti di vacche Reggiane

Mungitura Età Periodo parto effettiva gg parto concepimento A M gg Latte kg Grasso % Caseina % Insemin. n. Proteine % n. lattazione 1 4576 3,42 3,42 2,67 282 2 2 86 1,3 2 6073 3,45 3,40 2,65 285 3 4 84 1,2 3 6672 3,40 3,32 2,60 281 4 3 90 1,3 4 7030 3,33 3,30 2,57 288 5 2 106 1,2 5 5822 3,21 3,22 2,51 287 6 3 89 1,3 6 6964 3,29 3,21 2,50 298 7 3 93 1 7 6231 3,09 3,30 2,57 291 7 11 103 1,3 MEDIE 6195 3,31 3,31 2,58 287 5 2 93 1,2

Tabella 32. Medie provinciali a lattazione della Reggiana (bollettino AIA 2000)

Età parto Periodo parto Lunghezza A M concepimento lattazione n. gg Prot. % Latte kg lattazione Grasso % Insemin. n. 1 4997 3,59 3,36 2 3 118 286 1,6 2 5515 3,58 3,41 3 5 107 287 2,0 3 5860 3,57 3,40 4 5 119 287 1,7 4 e oltre 5970 3,51 3,33 6 11 116 284 1,5 MEDIE 5562 3,55 3,37 4 5 115 286 1,7

122 Dal confronto tra la tabella 31 e 32 si può notare che riguardo alla percentuale di proteine i valori sono quasi alla pari anche se nell’allevamento preso in esame la quantità di latte prodotto è maggiore alla media e il numero di interventi fecondativi è minore. A dimostrazione di quanto detto nel precedente capitolo (tab. 23) a proposito della correlazione genetica negativa tra alcuni caratteri, dai dati riportati nelle tabelle 31 e 32 si può vedere come all’aumentare dei kg di latte contemporaneamente diminuiscano le percentuali di grasso e proteine. Data la compresenza di Frisone nel medesimo allevamento ho potuto mettere a confronto i dati presenti nella tabella 33.

Tabella 33. Dati medi aziendali di allevamento relativi alla Reggiana e alla Frisona in uno stesso allevamento

Mungitura Periodo Età al Effettiva parto parto gg concepimento primipare Latte kg Grasso % Caseina % Proteine % gg A M Insemin. N. Reggiana 6195 3,31 3,31 2,58 287 93 2 2 1,2 Frisona 7678 3,20 3,02 2,36 283 126 2 2 2,0

A parità di condizioni ambientali la Frisona produce un più elevato quantitativo di latte ma con percentuali in proteine e grasso sensibilmente inferiori e una minore fecondità. La rusticità della Reggiana, oltre alla fecondità (gli interventi fecondativi in media per la rzza sono 1,6), si esprime anche in termini di longevità: anche se la media è di 5-6 anni molte vacche permangono in stalla anche 7-8 anni. Queste vacche inoltre non hanno problemi al momento del parto: l’attacco alto della coda favorisce l’espulsione del vitello. I vitelli alla nascita pesano in media circa 40 kg perché spesso le vacche ritardano il parto di alcuni giorni (in media di 10-15 giorni). Lo svezzamento dei vitelli si compie in 70-90 giorni; il latte nei primi 15 giorni di

123 vita viene somministrato nella dose circa di 5-6 litri a pasto e alla fine dello svezzamento la dose si riduce a 2 litri; il foraggio (fieno di prato stabile) viene somministrato a partire dai 15 giorni di vita e i concentrati invece a un mese. La mungitura in genere viene effettuata con impianti a spina di pesce e salvo qualche eccezione procede normalmente senza problemi di lentezza: anche da questo si vedono i positivi risultati della selezione in quanto una ventina di anni fa le vacche Reggiane presentavano dei capezzoli più corti che davano problemi per il fatto che non permettevano un adeguato svuotamento della mammella con il conseguente pericolo di mastite causata dal latte residuale. Per quanto riguarda gli incroci con altre razze è stata presa in considerazione la Rossa Danese: i risultati però non sono stati soddisfacenti.

La Frisona

Dal momento che la Frisona è la razza più diffusa in tutto il comprensorio del Parmigiano-Reggiano viene spontaneo chiedersi il perché di un tale successo: tutto si riconduce ad una serie di motivi che sono in parte emersi nel corso della trattazione e sono strettamente legati al declino delle razze bovine autoctone. Più precisamente le ragioni che hanno portato la maggior parte degli allevatori a preferire la Frisona sono: 1. la maggiore produttività (oggi la media per la razza è di circa 85 q di latte per lattazione); 2. la buona qualità del latte: il contenuto medio in grasso è 3,57% e quello in proteine è 3,24%; 3. raggiungimento dei massimi livelli produttivi già a partire dal 2°-3° parto; 4. buon adattamento alle condizioni ambientali (soprattutto a quelle legate all’allevamento). Tutto ciò ha portato ad un’evoluzione sia strutturale che gestionale delle aziende che operano in questo settore. Il primo carattere distintivo di questi

124 allevamenti è la dimensione medio-grande che va dai 70 a oltre 100 capi, che conferisce all’azienda una tipologia a carattere intensivo, inoltre si ha la stabulazione libera. In questo tipo di allevamenti, viste le premesse, è possibile fare investimenti in nuove tecnologie che facilitano le operazioni di pulizia, mungitura, somministrazione degli alimenti ecc. e consentono un risparmio di manodopera, e avere un più frequente ricambio del bestiame. Persiste ancora l’alimentazione tradizionale, soprattutto in montagna ma non si fa più foraggiamento verde; in pianura invece si sta diffondendo l’UNIFEED (“piatto unico”) che è un particolare tipo di razionamento nel quale sono presenti sia i foraggi (trinciati) che i concentrati miscelati insieme. Ecco schematizzata la composizione di una razione giornaliera di UNIFEED:

Tabella 34. Miscela tipo di una razione UNIFEED componenti alimentari dell’UNIFEED kg Fieno maggengo 3 Fieno di medica 4 Orzo schiacciato 2 Mais schiacciato 6 Polpe pellettate 1 Soia 1 Glicole 0,3 Mangime complementare 3 Medica disidratata 3 Fieno di loietto 1

125 Tabella 35. Composizione chimica dell’UNIFEED

Analisi chimica del mangime % Sostanza secca 52 Proteina greggia 14 Grassi greggi 2,4 Cellulosa greggia 20 Ceneri gregge 8 Vitamina A (integrazione) 80000 U.I.

Per il fatto che vi è una maggiore possibilità di utilizzo di sottoprodotti di scadente qualità, difficoltà nel valutare la qualità dei foraggi e una maggiore ingestione di terra, ne consegue che la tecnica è a più elevato rischio, pertanto, per sfruttare i vantaggi connessi all’UNIFEED occorrono maggiori cure igieniche nella scelta degli ingredienti, nella preparazione e nella somministrazione della miscelata. Come ho detto prima l’alimentazione tradizionale è ancora largamente impiegata negli allevamenti di montagna anche se non si fa più foraggiamento verde; una razione di tipo tradizionale è costituita da 16-17 kg di fieno composto per 70% da prato stabile e da un 30% di medica e da 8 kg di concentrato la cui composizione è riportata nella tabella 36.

Tabella 36. Composizione chimica del mangime somministrato a vacche Frisone

Analisi chimica del mangime % Umidità 13,00 Proteina greggia 15,50 Grassi greggi 3,50 Cellulosa greggia 5,50

126 Ceneri gregge 8,00 Vitamina A (integrazione) 50000 U.I.

Vediamo in media i dati produttivi e di allevamento:

Tabella 37. Dati medi aziendali di allevamento relativi a vacche Frisone alimentate in maniera tradizionale e con l’UNIFEED e medie provinciali relative all’anno 2000 e alla provincia di Modena e Reggio Emilia.

Tipo Mungitura Periodo Età al alimentaz. Effettiva gg parto parto concepimento primipare Latte kg Insemin. Grasso % Proteine % gg A M tradizionale 7688 3,12 3,15 297 153 2 3 1,9 UNIFEED 8821 3,40 3,37 309 156 2 1 2,7 MEDIE PROVINCIALI MODENA 7493 3,46 3,22 292 159 2 6 2,1 REGGIO E 7656 3,50 3,16 293 152 2 4 2,1

Come risulta dalla tabella 37 l’alimentazione UNIFEED presenta rendimenti sia quantitativi che qualitativi superiori all’alimentazione tradizionale proprio per il fatto che si ha una maggiore ingestione di sostanza secca. Questo tipo di alimentazione però comporta un numero di interventi fecondativi superiore. Rispetto alle medie, che differiscono tra loro in particolare nella percentuale di proteine (in provincia di Modena sono superiori di 0,06 punti), i quantitativi di latte prodotto dell’allevamento con alimentazione UNIFEED sono superiori di ben circa 10 q e la percentuale di proteina è 0,15 punti superiore alla media di Modena e ben 0,21 superiore a quella di Reggio Emilia. Per quanto riguarda la gestione dell’asciutta normalmente ha una durata di 60 giorni e dal punto di vista alimentare si somministrano nel primo mese foraggi di prato stabile e mangime complementare alla dose di 2-2,5 kg per capo al giorno fino a due settimane prima del parto; in quest’ultimo lasso di tempo si adotta la tecnica

127 dello steaming-up che consiste nel sostituire il mangime dell’asciutta con quello da latte. Il vitello alla nascita pesa sui 35 kg e lo svezzamento si compie in 60-90 giorni; già dopo la prima settimana si comincia a somministrare il pellet e il foraggio e la dose di latte (6 litri al giorno) viene diminuita gradualmente. La permanenza media in stalla di una Frisona è di circa 4-5 anni e il massimo della produzione viene raggiunto intorno al 2°-3° parto. La mungitura viene effettuata in impianti a spina di pesce e non presenta in genere difficoltà legate alle caratteristiche della mammella. La Frisona quindi è una razza che si presta molto bene ad allevamenti di tipo intensivo soprattutto per la sua grande produttività (in alcuni allevamenti si raggiungono anche i 120 q) che è il risultato di anni di miglioramento genetico il quale l’ ha resa una vera e propria “macchina da latte” ma le ha fatto perdere longevità e rusticità.

La Bruna

Per quanto riguarda la razza Bruna, nonostante sia una buona lattifera sia sul piano quantitativo che qualitativo (si veda il capitolo 4), non ha avuto lo stesso successo della Frisona; infatti il numero di capi allevati tende a rimanere sugli stessi valori se non a diminuire. In provincia di Modena le aziende che presentano un numero più consistente di Brune sono di medie dimensioni (60- 70 capi) e sono ubicate in aree montane. In queste zone le manze sono allevate a stabulazione libera, le vacche invece a stabulazione fissa. L’alimentazione è di tipo tradizionale ma non si fa più foraggiamento verde; in media le aziende riescono a sopperire ai fabbisogni aziendali di foraggio circa per l’80%. Nel Reggiano le aziende che allevano Brune sono distribuite in maniera più omogenea ma, a parte qualche eccezione, presentano al loro interno una consistenza numerica di questa razza dai 10 ad un massimo di 60 capi. Il

128 motivo di questa situazione un po’ stagnante della razza nelle due province va ricercato in alcuni problemi a carattere fisiologico-sanitario; è abbastanza frequente infatti la presenza di ulcerazioni negli unghioni, problema probabilmente legato all’originario carattere di pascolatrice della razza Bruna, e spesso si hanno difficoltà nel riscontrare i calori (calori silenti). Per quanto riguarda l’alimentazione, negli allevamenti che ho visitato a Montefiorino per esigenza di caseificio non si fa foraggiamento verde mentre nell’allevamento di Quattro Castella, il quale conferisce il latte ad un caseificio che pratica la caseificazione separata del latte di Bruna, si somministrano foraggi freschi. Schematicamente una razione giornaliera è così composta:

Tabella 38. Razionamento medio giornaliero della Bruna

Foraggi kg Concentrati kg

Alimentazione con Prato polifita con 60% di 6,5-7 foraggio verde medica 8 Fieno di prato stabile 8 Alimentazione senza Fieno di prato stabile 8 7 foraggio verde Fieno di medica 8

I concentrati presentano la seguente composizione chimica (tab.39):

Tabella 39. Composizione chimica del mangime somministrato a vacche Brune

Analisi chimica del mangime % Umidità 12,00-13,50 Proteina greggia 16,20-18,00 Grassi greggi 3,00-4,50 Cellulosa greggia 6,00-8,00 Ceneri gregge 8,00-8,80 Vitamina A (integrazione) 40000-70000 U.I.

129 Nei mangimi impiegati dagli allevatori di montagna la percentuale in proteina greggia è più alta (17,50-18,00%): ciò può essere dovuto alla minore presenza di medica nel foraggio. Vediamo ora le medie dei dati di allevamento (tab.40).

Tabella 40. Performance produttive e dati di allevamento di tre aziende che allevano Brune

Mungitura Periodo Età al Effettiva parto parto gg concepimento primipare Latte kg Grasso % Insemin.N. Proteine % gg A M 6200 4,01 3,43 273 139 2 4 1,7 5373 3,78 3,49 285 106 2 7 1,5 6794 3,95 3,64 302 176 2 5 1,7 MEDIE PROVINCIALI MODENA 6354 3,77 3,48 289 145 2 5 1,8 REGGIO E 5929 3,87 3,40 287 135 2 4 1,8

Dalla tabella si deduce che la Bruna ha un latte molto ricco in grasso e di proteine quindi, come le razze bovine autoctone, possiede i requisiti per essere definita la vacca “ideale” per il Parmigiano-Reggiano. Non si riscontrano grosse differenze tra dati aziendali e medie provinciali. La gestione dell’asciutta e lo svezzamento del vitello seguono più o meno le stesse modalità della Frisona; il vitello alla nascita pesa circa 35 kg e a seconda che sia maschio o femmina il parto può essere ritardato rispettivamente di 10-15 giorni e di 20 giorni. La massima produzione di latte viene raggiunta intorno al terzo parto e la permanenza media in stalla è di circa 6-7 anni. Sono stati sperimentati degli incroci tra Bruna e Rossa Danese con scarsi risultati; si è invece dimostrato buono l’ibrido ottenuto da Bruna e Blu Belga per il vitellone da carne.

130 5.2 I riscontri al caseificio

Dopo aver illustrato le caratteristiche di queste quattro razze mi è sembrato opportuno verificare le diverse rese in formaggio per ognuna di esse tranne la Bianca Val Padana per la quale purtroppo non esiste ancora la caseificazione separata. Ho compiuto le mie osservazioni presso tre diversi caseifici presso i quali veniva conferito il latte degli allevamenti da visitati: il Caseificio Notari di Coviolo dove viene effettuata la caseificazione separata del latte di Reggiana, la Latteria Matilde di Canossa a Montecavolo dove allo stesso modo viene fatta la caseificazione separata ma con latte di Bruna infine il Caseificio Sociale di Albareto che lavora latte di Frisona. Nella tabella ho riportato i dati relativi al latte in caldaia mediante i quali ho potuto calcolare le rese in burro e formaggio:

Tabella 41. Analisi dei latti in caldaia Razze LDG Rapp. % Grasso nel Gr/Cas siero cotto Grasso % Caseina % Frisona E (unifeed) 2,54 2,73 0,93 0,33 AE (tradiz.) 2,68 2,69 1,00 0,37 Reggiana A 2,82 2,75 1,03 0,41 Bruna AE 2,48 2,45 1,01 0,37

L’LDG è un tipo di analisi che serve per valutare le caratteristiche di coagulazione del latte per mezzo di uno strumento denominato lattodinamografo; le caratteristiche di coagulazione del latte vengono suddivise in classi contrassegnate dalle lettere A, B, C, D, E, F (tab 42). Si può vedere che il latte della Reggiana ha un tempo di coagulazione inferiore rispetto a Frisona e Bruna in quanto il tipo A ha una coagulazione della durata

131 compresa tra 11,30 e 18 minuti mentre il tipo AE ha dei tempi che vanno dai 18,30 ai 19 minuti.

Tabella 42. Classi per la valutazioni delle caratteristiche di coagulazione del latte relative all’esame LDG

1 2 3 rTP PT (min.) kTP PTB20 B(min.) aTP PTB30 B(mm) Classe 6 t0 -DD 6d r 10,30 <9 - D 6d r 10,30 t9 -C 10,30d r 11,30 <9 - AD 10,30d r 11,30 t9 -AC 11,30d r 18,00 --A 18,30d r 19,00 --AE 19,00d r 25,00 t5,30 -E 19,00d r 25,00 <5,30 - B 25,00d r 26,00 --EF 26,00d r d30,00 --F >30 - - FF 11,30d r<15,00 - t50 D 15,00d r d18,30 - t40 B d18 - <20 E

Il rapporto grasso/caseina risulta essere vicino a 1 nel caso della Reggiana: è un dato ritenuto ottimale per una buona caseificazione. I riscontri che ho cercato in caseificio sono relativi ai dati riscontrati direttamente in caldaia (termine che sottintende il locale in cui avviene la lavorazione del latte) e sono riportati nella tabella 41. I successivi controlli che ho effettuato hanno riguardato la resa da 24 ore dalla cagliata, la resa dopo salamoia e, dato più importante la resa dopo 12 mesi, data in cui viene effettuata la scelta delle

1 TP PT tempo di coagulazione in minuti (dall’inizio della prova fino a che il tracciato lattodinamografico raggiunge un’apertura di un mm). 2 TP PT velocità di formazione del coagulo in minuti: si calcola misurando la distanza fra l’inizio della formazione del coagulo e l’apertura a 20 mm delle branche del tracciato lattodinamografico. 3 TP PT consistenza del coagulo a 30’ (corrisponde ala distanza in mm fra le due estremità del tracciato).

132 forme che andranno alla stagionatura. Questi dati vengono riportati nella tabella 43.

Tabella 43. Rese in burro e formaggio in tre caseificazioni separate

Reggiana Frisona Bruna Resa dopo 24 ore 8,73 8,45 tradiz. 8,32 8,35 unifeed Resa % dopo il 8,29 8,03 tradiz. 7,90 sale 7,93 unifeed Resa dopo 12 7,86 7,58 tradiz. 7,55 mesi 7,48 unifeed Resa in burro 1,50 1,41 tradiz. 1,45 1,32 unifeed % scarti 1-2 3-5 1-2

Dall’analisi della tabella 43 si può notare come tutti i dati relativi alla Reggiana siano, anche se leggermente, costantemente superiori rispetto a Bruna e a Frisona. Per quanto riguarda le rese in burro abbiamo dati che si equivalgono tra le razze anche se, a detta dei casari, i dati della Reggiana e della Bruna sono sottostimati. Circa la percentuale di scarti si può vedere come la Frisona abbia un dato peggiore rispetto alle due razze che può essere spiegato proprio dalla diversa costituzione caseinica del latte.

133 6 – Prospettive

134 In questa trattazione ho voluto mettere in evidenza l’insieme di potenzialità della razza Reggiana e della Bianca Val Padana che sono andate configurandosi all’interno del quadro zootecnico in continua evoluzione del Comprensorio del Parmigiano-Reggiano. Da questo lavoro è emerso un problema che interessa un po’ tutte le specie animali autoctone: il rischio di erosione genetica. Come ho detto nel capitolo 4 a proposito della riqualificazione delle due razze, il pericolo di estinzione nel caso della Reggiana è per ora scongiurato mentre per la Bianca Val Padana è più che mai imminente. I risultati ottenuti dallo studio di queste due razze nel loro contesto zootecnico-locale mi hanno dunque condotta a trarre le seguenti conclusioni: 1. La qualità del latte delle razze bovine autoctone è indubbiamente superiore a quella delle razze cosmopolite: ciononostante le differenze che si riscontrano sul formaggio, a parità di condizioni (zona di allevamento, alimentazione delle bovine e tecnica casearia), non sono poi così marcate in termini di caratteristiche organolettiche (colore, odore, sapore, consistenza ecc.) che sono i parametri di orientamento di noi consumatori. Differenze significative si riscontrano invece al momento della caseificazione: infatti, da quanto è emerso dall’esperienza dei casari, il latte delle bovine autoctone si lavora meglio perché la coagulazione avviene più velocemente così come la sineresi la quale è quindi più abbondante, inoltre la resa di 100 l di latte è di un kg in più. 2. La quantità di latte prodotto delle razze bovine autoctone è sensibilmente inferiore a quella delle razze cosmopolite e questo implica una maggiore economicità di queste ultime. 3. Il permanere dell’alimentazione tradizionale garantisce la tipicità e la genuinità dei prodotti lattiero-caseari e da anche prova di una certa cura da parte degli allevatori nello svolgere il loro lavoro.

135 Viste queste conclusioni a cui sono giunta ritengo giusto salvaguardare l’immenso patrimonio genetico della Reggiana e della Bianca Val Padana per una serie di motivi: x Dalla genetica abbiamo appreso che un individuo (fenotipo) è il risultato dell’interazione tra genotipo cioè una base genetica e l’ambiente; com’è noto l’ambiente è in continua evoluzione quindi un individuo per sopravvivere deve adattarsi ad esso e quindi disporre di un grande numero di geni e di conseguenza una maggiore possibilità di ricombinazione. Nel momento in cui quest’ultima venga a diminuire per la perdita di materiale genetico si avrebbero minori possibilità di sopravvivenza per la specie. In pratica se scomparissero a poco a poco gli elementi di variabilità di una specie quali possono essere le diverse razze si avrebbe un impoverimento dell’ecosistema e un indebolimento della specie stessa. x Il secolare legame tra razza prodotto e ambiente è garanzia di tipicità e genuinità inoltre è una parte di storia in quanto è il risultato dell’intensa attività di selezione umana e naturale e dell’evoluzione socio-culturale del mondo rurale. x L’evoluzione dei gusti dei consumatori e quindi del mercato; in questi ultimi anni il consumatore è alla ricerca di prodotti sani, naturali e che abbiano buone proprietà nutritive quindi un prodotto di “nicchia” come il Parmigiano-Reggiano delle razze bovine autoctone può essere una valida risposta a questo tipo di esigenze. x Dal momento che questi animali conservano caratteristiche di rusticità e frugalità possono contribuire al ripopolamento di aree montane incolte e difficilmente meccanizzabili (questo vale in particolare per la Bianca Val Padana) in modo tale da valorizzare terreni altrimenti destinati a dissesto idrogeologico. I motivi che hanno portato le due razze bovine in questione molto vicine al rischio di estinzione sono già stati ampiamente dibattuti; resta però da

136 chiedersi quale futuro si prospetta per l’inestimabile patrimonio genetico di cui sono depositarie Reggiana e Bianca Val Padana. Attualmente la salvezza delle razze bovine autoctone è nelle mani di alcuni coraggiosi allevatori e all’attività di organizzazioni intergovernative (FAO) tra i cui obiettivi vi è la conservazione in situ ed ex situ della biodiversità. Senza voler fare del “romanticismo zootecnico” salvare queste razze vuol dire anche conservare il ricordo delle nostre tradizioni e soprattutto difendere il Parmigiano-Reggiano da chi vuole equipararlo a quegli “pseudo-formaggi” che ne sono un’imitazione solo verbale (Parmesan) ma soprattutto dalla “globalizzazione” del gusto.

137 7 – Bibliografia

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