SCUOLA SUPERIORE PER MEDIATORI LINGUISTICI (Decreto Ministero dell’Università 31/07/2003)

Via P. S. Mancini, 2 – 00196 - Roma

TESI DI DIPLOMA DI MEDIATORE LINGUISTICO

(Curriculum Interprete e Traduttore)

Equipollente ai Diplomi di Laurea rilasciati dalle Università al termine dei Corsi afferenti alla classe delle

LAUREE UNIVERSITARIE IN SCIENZE DELLA MEDIAZIONE LINGUISTICA

Minoranze linguistiche in Europa: un patrimonio da tutelare.

RELATORI CORRELATORI Prof.ssa Adriana Bisirri Prof.ssa Maria Nocito Prof.ssa Marie-Françoise Vaneecke Prof.ssa Claudia Piemonte

CANDIDATA

VANESSA SABANI

ANNO ACCADEMICO 2016/2017

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DEDICA

Ai miei genitori,

i quali hanno permesso la realizzazione di questo sogno.

Ai miei nonni,

la fortuna più grande che si possa desiderare e che ho avuto,

i quali mi hanno insegnato i veri valori della vita,

pilastri per me ed esempi da seguire ogni giorno.

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3

Sommario SEZIONE ITALIANO ...... 7

INTRODUZIONE ...... 9

1. Cosa intendiamo per minoranza ...... 11

1.1 Breve excursus storico-linguistico: dal dialetto all’italiano ...... 14

1.2 Legge del 15 dicembre 1999, n. 482 ...... 16

2. Quadro generale delle lingue minoritarie in Italia ...... 18

2.1 Il francese in Valle d’Aosta, il tedesco in lo sloveno in Friuli - Venezia Giulia ...... 19

2.2 Il ladino ...... 24

2.3 Il friulano ...... 27

2.4 Il sardo ...... 32

2.5 I dialetti franco-provenzali ...... 34

2.6 Il greco ...... 38

2.6 I dialetti albanesi ...... 40

3. Le minoranze linguistiche nel Regno Unito ...... 44

3.1 Inglese standard e non ...... 47

3.2 Il Gaelico Scozzese ...... 48

3.3 L’Irlandese...... 53

3.4 Il Gallese...... 59

3.5 Le altre lingue del Regno Unito ...... 66

4. Dalle origini dei dialetti francesi alla lingua del Re...... 67

4.1 Il francese dall’Impero al secondo dopoguerra ...... 73

4.2 Le attuali lingue di Francia ...... 75

4.3 LSF e dialetti dell’Alsazia e della Mosella ...... 76

4.4 Il Basco e il Bretone ...... 77

4.5 Il Catalano e il Corso ...... 81

4

4.6 La lingua d’oc e il fiammingo occidentale ...... 84

4.7 Il francoprovenzale e le lingue non- territoriali...... 87

4.8 Le altre lingue della Francia d’oltremare ...... 89

CONCLUSIONE ...... 92

ENGLISH SECTION ...... 94

INTRODUCTION ...... 96

1. Minority languages in the UK ...... 97

1.1 The evolution of English ...... 99

1.2 Standard English...... 100

2. Scottish Gaelic ...... 101

3. Irish ...... 106

4. Welsh ...... 114

4.2 Other minority languages in the UK ...... 120

CONCLUSION ...... 121

SECTION FRANÇAISE...... 123

INTRODUCTION ...... 125

1. L’actuelle situation linguistique française ...... 126

2. LSF et les dialectes de l’Alsace et de la Moselle ...... 127

2.1 Le basque et le Breton ...... 128

2.2 Le Catalan et le Corse ...... 131

2.3 La langue d’oc et le flamand occidental ...... 134

2.4 Le francoprovençâl et les langues non territoriales ...... 137

3. Les langues de la France d’outre-mer ...... 139

CONCLUSIONS ...... 142

RINGRAZIAMENTI ...... 144

Bibliografia ...... 145

5

Sitografia ...... 149

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SEZIONE ITALIANO

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INTRODUZIONE La mia tesi ha l’obiettivo di affrontare ed esaminare attentamente alcune varietà linguistiche europee, studiando in particolare le lingue meno diffuse in Italia, Regno Unito e Francia.

La prima sezione, infatti, considererà ed analizzerà alcune minoranze linguistiche sviluppatesi in Italia nel corso dei secoli, facendo prima un excursus sulla nascita dell’attuale italiano parlato e standard. Le prime tre lingue che verranno prese in esame saranno il tedesco in Alto Adige, il francese in Valle d’Aosta e lo sloveno in Friuli - Venezia Giulia, poiché sono le lingue coufficiali insieme all’italiano. Successivamente osserveremo le <> come il ladino, il friulano e il sardo e infine, i diletti franco-provenzali e le colonie linguistiche di tutte le altre varietà minoritarie italiane.

Di seguito nella seconda sezione concernente la lingua inglese, individueremo le lingue delle British Isles, ovvero lo scozzese gaelico, l’irlandese e il gallese, facendo riferimento alla loro evoluzione e alla loro odierna diffusione. Poi, ci concentreremo anche su alcuni idiomi, frutto delle numerose migrazioni avvenute nel corso degli anni nell’arcipelago britannico.

Nella terza sezione, quella relativa alla lingua francese, ci focalizzeremo invece sul basco, il bretone, alcuni dialetti dell’Alsazia e della Mosella, il catalano, il corso, i dialetti franco-provenzali, il fiammingo occidentale ed alcuni idiomi diffusi nei DOM e nei TOM.

Il tutto citando leggi ed esempi pratici di come una lingua possa essere riportata in vita, attraverso misure ed iniziative efficaci; senza tralasciare l’importante ruolo che rivestono numerosi organismi,

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organizzazioni di volontariato ed enti privati e non, che promuovono le lingue meno diffuse e lanciano continuamente progetti al fine di diffonderle.

Pertanto non mancheranno progetti e dimostrazioni pratiche di come una lingua possa essere rilanciata e promulgata.

Infine, lo scopo ultimo di questo mio studio è proprio quello di far comprendere a più persone possibili che in una società come la nostra, che tende ad omologare tutto e tutti, il panorama del multilinguismo non è altro che una ricchezza, un patrimonio da tramandare alle generazioni future e da custodire gelosamente.

Insomma, non possiamo aspettare oltre, è bene che tutti i cittadini vengano sensibilizzati su questo tema ed inizino a collaborare gli uni con gli altri, magari un buon input potrebbe essere questo studio.

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1. Cosa intendiamo per minoranza

Prima di affrontare singolarmente il tema delle minoranze linguistiche in Europa e più nello specifico in Italia, Regno Unito e Francia, si devono chiarire alcune nozioni che sono alla base della comprensione di questo argomento. Attualmente i concetti di <> e di <> possono essere fuorvianti e sono da anni oggetto di discussione tra numerosi studiosi di branche diverse della linguistica e in particolare della sociolinguistica, dell’etnografia, dell’antropologia, delle scienze politiche, interessando così i più diversi campi del sapere. Per <> si intende un gruppo ristretto di persone che afferma la propria estraneità all’identità nazionale e che chiede dei <> che i paesi democratici devono tutelare e garantire a tutti i cittadini, come ad esempio: il diritto alla non discriminazione, il diritto alla preservazione della lingua e il diritto all’istruzione. Per <> , invece, si intende un gruppo di persone che parla una lingua materna diversa da quella di una maggioranza. A partire dall’Ottocento in Europa, iniziano a nascere le prime minoranze linguistiche e con esse il loro significato: infatti rappresentano un insieme di utenti che, all’interno di un complesso più o meno omogeneo, costituiscono un’eccezione al concetto prestabilito di <>. Tale idea si fonda quando le élites economico-politiche stabiliscono gli elementi peculiari di un dato paese e quando sanciscono alcuni simboli della propria identità nazionale.

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Passiamo ora ad analizzare i termini di <> e <> , entrambi sono codici grammaticali e fonetici utilizzati con il solo scopo di comunicare, esprimere un concetto ad altre persone. Il dialetto, non ha meno importanza della lingua, anzi, può variare, essere arricchito o addirittura aggiornato, proprio come quest’ultima. In poche parole è uno strumento di comunicazione linguistica di ambito e impiego demograficamente più ristretto rispetto alla lingua ufficiale dello stato. Inoltre, questi codici assolvono anche alla funzione sociale: due parlanti che condividono lo stesso codice comunicativo, non solo trasmetteranno un messaggio più velocemente ma stabiliranno pure una certa affinità. Secondo lo studioso, Žarko Muljačić, il dialetto diventa lingua solo se viene riconosciuto dallo stato e se risponde alle esigenze di una società organizzata, aggiungendosi alla sua storia e cultura, divenendo un mezzo di comunicazione, approvato dalle élites e al di sopra degli idiomi linguistici di un singolo luogo o gruppo. In poche parole, ciò che differenzia il dialetto dalla lingua sono la sua minore fruizione e prestigio. Per determinare il ruolo di lingua minoritaria subentrano delle caratteristiche: il suo prestigio culturale, la volontà di affermarlo, e la sua valorizzazione e promozione. Ovviamente ciò non significa che un siciliano o un friulano si sentano meno italiani, anzi, condividono anche un senso di appartenenza a una comunità o etnia. Il termine di origine greca <> (ethnos “popolo”) designa :

<>1. Quindi per minoranza si intende anche un’etnia circoscritta in un territorio che condivide e tutela una cultura,

1 F. Toso, Le minoranze linguistiche in Italia, il Mulino, Bologna, 2008.

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storia, lingua e status giuridico. Una lingua di minoranza deve rispondere a tre requisiti: deve essere utilizzata in qualche misura o per certe funzioni, deve essere diversa dalla lingua ufficiale e infine, deve essere parlata da una minoranza della popolazione.

In Europa sono state adottate numerose convenzioni e leggi per tutelare e valorizzare le minoranze linguistiche che delineano il nostro panorama socio- culturale. Scenario che deve essere protetto e di cui dobbiamo andare fieri, poiché oggi queste realtà non solo sono il risultato di un lungo processo di crescita, di affermazione o rivendicazione di una comunità o un’etnia , ma devono anche essere considerate come una risorsa e non un problema. In una società come la nostra sempre più intenta a standardizzare e a globalizzare gli individui, sono le minoranze linguistiche a fare la differenza e a portare avanti quelle tradizioni linguistiche, culturali, sociali, religiose che poche persone conoscono e che rischiano di andare nel dimenticatoio.

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1.1 Breve excursus storico-linguistico: dal dialetto all’italiano Dopo il 1861, anno dell’unità d’Italia, si inizia a sentire il bisogno di comunicare attraverso una lingua uguale per tutti; la lingua scritta c’è ed è il fiorentino, ma solo le persone ricche possono permettersi di studiarlo e quindi parlarlo. Le parole man mano si formano attingendo dai dialetti, non più dal latino come succedeva in passato, e si hanno due fenomeni derivati: i geoomonimi e geosinonimi. I primi sono parole uguali nella forma che in luoghi diversi assumono significati diversi, i secondi sono termini diversi che in luoghi differenti descrivono lo stesso concetto.

In seguito però, si assiste al processo di italianizzazione e di conseguenza i dialetti regrediscono a causa di molteplici fattori come ad esempio la diffusione dei mezzi di comunicazione, la presenza della Chiesa e l’istituzione della burocrazia a livello nazionale, l’obbligatorietà della scuola elementare e della leva militare, la crescita del fenomeno delle migrazioni interne, l’industrializzazione e l’urbanesimo. Solo successivamente i dialetti saranno rivalutati grazie al liberalismo di Manzoni e il principio di autodeterminazione di Ascoli, per la formazione dell’italiano corrente. Si passa quindi da una fase di dialettofonia ad una di diglossia (fenomeno di mescolanza di codici: “la lingua seconda relega la lingua madre a poche funzioni inferiori e a settori sempre più ristretti”) fino ad arrivare ad una fase di bilinguismo (entrambe le lingue mantengono la propria dignità letteraria), infine, in alcuni casi il bilinguismo può trasformarsi anche in diglossia, dando vita ad una nuova lingua dotata di caratteristiche singolari.2

2 F. P. A. Madonia, Le lingue di Francia, Carocci editore, Roma, 2012.

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Oggigiorno l’italiano che tutti noi parliamo è il neo-standard, influenzato da peculiarità regionali e che tiene conto dei cambiamenti avvenuti nel parlato. Nello scritto invece, rimane più forte quello standard, ovvero l’italiano che rispetta tutte le regole morfosintattiche, codificate dalle grammatiche.

Tuttavia, oltre all’italiano parlato in tutta la penisola, non dobbiamo dimenticarci che nel nostro territorio sono presenti numerose minoranze linguistiche ben radicate e dalla forte identità letteraria. Nel nostro paese soprattutto, l’espressione “minoranza linguistica” ha assunto nel tempo una connotazione particolare, mescolandosi con quella di “alloglossia”, che indica << varietà minoritarie aventi un’origine nettamente distinta rispetto alla lingua ufficiale e al diasistema dei dialetti italiani >>3.

Ciò nonostante, in Italia la diatriba sulle minoranze linguistiche e con esse sulle lingue meno diffuse rimane aperta, nonostante l’adozione della legge n.482/1999.

3 Fiorenzo Toso, “Lingue d’Europa. La pluralità linguistica dei Paesi europei fra passato e presente”, Dalai Editore, Milano, 2006.

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1.2 Legge del 15 dicembre 1999, n. 482 Negli Sessanta si delineano definitivamente quelle che oggi sono le attuali minoranze sociolinguistiche italiane e quindi, inizia a farsi sentire sempre di più la necessità di stabilire una legge che le regoli e le salvaguardi. Questa legge << Norme in materia di tutela delle minoranze linguistiche storiche>> rappresenta l’unico provvedimento- quadro che delinea le misure generali valide in tutto il territorio nazionale in ambito delle minoranze linguistiche. Questo decreto rivela non solo numerose falle che lo rendono inapplicabile, ma ci mostra anche le numerose mancanze del suo iter che non riescono a soddisfare uno scenario così ricco sia dal punto di vista culturale che linguistico. Al contempo sembra impossibile una sua rivalutazione e riformulazione dati gli interessi economici e politici che si sono venuti a creare.

Questa legge risulta del tutto imprecisa e inconciliabile per quanto riguarda l’enumerazione delle minoranze italiane: alcune comunità vengono elencate, altre anche se numericamente più grandi e geograficamente più diffuse non vengono citate o menzionate. Tra l’altro, ingloba realtà troppo diverse tra loro, presentando delle soluzioni inefficaci o superate. Tale provvedimento può essere inoltre considerato discriminatorio da tutti quei gruppi linguistici esclusi , affermandone la poca oggettività nei parametri di valutazione nella selezione delle lingue ammesse a tale salvaguardia. Quindi per le minoranze più << forti>> non sono stati introdotti elementi di novità, è il caso delle province autonome di Trento e di Bolzano o le regioni a statuto speciale, al contrario, per quelle più <> sono state solamente adottate iniziative folkloristiche poco pertinenti alla politica di tutela, nuocendo più che tutelando. Di fatto, accanto alla lingua ufficiale e alle tre o

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quattro lingue delle minoranze nazionali riconosciute, lo stato delle altre lingue <> da conservare sembra restare ancora a lungo quello di <> eteroetnici. Nel frattempo, gli sforzi per il processo di considerazione di tutela del patrimonio linguistico italiano come bene culturale passano in secondo luogo e sembrano essere sempre più lontani.

In conclusione, possiamo affermare che il quadro europeo risulta differente: le norme adottate risultano chiare e precise poiché è stata effettuata una netta separazione tra tutela dei diritti linguistici e del patrimonio linguistico, infatti proprio riguardo a ciò non si escludono le minoranze sociolinguistiche e i dialetti eteroetnici.

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2. Quadro generale delle lingue minoritarie in Italia

Di seguito troverete una presentazione delle realtà linguistiche minoritarie, basata sui criteri di individuazione già esposti in precedenza.

Le prime tre lingue ad essere analizzate saranno il tedesco in Alto Adige, il francese in Valle d’Aosta e lo sloveno in Friuli - Venezia Giulia, poiché sono le lingue coufficiali insieme all’italiano che << corrispondono a minoranze nazionali dotate di riferimenti culturali e politici in paesi esteri (Francia, Austria, )>> 4. Successivamente osserveremo le <> come il ladino, il friulano e il sardo e infine, i diletti franco-provenzali e le colonie linguistiche di tutte le altre varietà minoritarie.

4 Ibidem,pag. 2.

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2.1 Il francese in Valle d’Aosta, il tedesco in Alto Adige lo sloveno in Friuli - Venezia Giulia Il territorio dell’attuale regione autonoma della Valle d’Aosta è stato abitato da diverse popolazioni: da quella dei Salassi a quella degli Burgundi e Ostrogoti, passando poi nelle mani dei Carolingi (570) e finendo annesso nel 904 alla Borgogna. Con l’atto di sudditanza del 1191, la regione diventò parte integrante del regno dei Savoia, i quali le concessero sempre statuti autonomi, fin quando non venne annessa alla Francia rivoluzionaria, rimanendoci fino al Congresso di Vienna del 1815. Dopo la cessione della Savoia alla Francia, questo territorio vide l’insorgere di sentimenti regionalistici che vennero presto sradicati dal regime fascista, che dal 1923 al 1933 avviò un duro processo di italianizzazione forzato. Terminato questo periodo, alla regione venne concessa una forte autonomia amministrativa e linguistica, scongiurando il rischio di rivolte e avviando una serie di trattati internazionali con la vicina Francia. Attualmente secondo la Fondazione Émile Chanoux solo il 0,99% degli intervistati dichiara di parlare il francese come lingua materna, il 71,5% si ritiene essere madrelingua italiana e il 16,2% afferma di esprimersi in franco – provenzale.

In base alla legge n.482, lo stato italiano riconosce la libera scelta nei rapporti con l’amministrazione nell’utilizzo di una o dell’altra lingua. La segnaletica e la toponomastica (nomi di luoghi) sono in francese così come l’educazione scolastica, inoltre, non mancano programmi radiofonici e televisivi in francese. Da ricordare è anche la pubblicazione del quotidiano dell’Union Valdôtain, l’influenza dei media d’Oltralpe e l’ampio accesso alla stampa periodica proveniente da oltre il confine. Pramollo, Roure, Torre Pellice, Villar Pellice, Villar Perosa, Claviere,

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Bardonecchia, Sestriere sono solo alcuni dei nomi dei comuni che hanno presentato un’autocertificazione della lingua francese, tra questi alcuni non hanno minimi cenni di tradizioni francofone, altri invece, non hanno rivendicato la propria appartenenza alla minoranza.

L’attuale Alto Adige, originariamente abitato da popolazioni celtiche e retiche, vide dal IX secolo una forte immigrazione germanica e poi romana. Nel 1271 le aree al di qua e al di là delle Alpi vennero riunite nella contea del Tirolo, per poi divenire parte integrante dell’Austria. Nel 1805 Napoleone sottrasse il Tirolo all’Austria e lo unì alla Baviera, suscitando numerose rivolte popolari che alla fine portarono ad una guerra di . Con il Congresso di Vienna, il Tirolo venne restituito all’Austria, ma questa situazione durò ben poco: dopo la Prima guerra mondiale il e l’alto Adige vennero concessi all’Italia. Più tardi, con il fascismo si assistette all’italianizzazione della regione, scaturendo malcontenti e manifestazioni; ma con l’avvento del nazismo in Italia e dopo l’annessione dell’Austria al Terzo Reich, si diffuse un forte sentimento pangermanico. Così nel 1939, venne indetto un

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referendum per permettere di far emigrare ben 185000 Sudtirolesi, ma l’esodo non si completò mai definitivamente per via dell’annessione della provincia di Bolzano alla Germania. Non tardò la liberazione, portata avanti dal Südtiroler Volkspartei ( Partito Popolare Sudtirolese, SVP). Nel 1946, a Parigi vennero stipulatigli accordi Gasperi – Gruber, in nome dei quale venne istituita una regione a Statuto speciale; ciononostante nella pratica le promesse concernenti l’organizzazione amministrativa non vennero rispettate e ciò provocò l’indignazione da parte di Austria e della popolazione. Nel 1955, l’ONU dovette intervenire al fine di porre un freno alla stagione del cosiddetto “terrorismo sudtirolese”, che mirava all’indipendenza dell’area. Nel 1964 il trattato di Parigi venne revisionato dal SVP, dal governo italiano e austriaco fino ad arrivare al 1972 con la creazione di un nuovo Statuto speciale, sotto il controllo internazionale.

Così come per il francese in Valle d’Aosta, anche il tedesco in Alto Adige, iniziò ad essere tutelato come lingua minoritaria e gli venne conferito il suo prestigio, venne reinserito nell’educazione scolastica e furono introdotte le norme della proporzionale etnica, << gli incarichi ed i posti di lavoro nell’amministrazione dello stato e degli enti intermedi e locali sono distribuiti fra i tre gruppi linguistici in proporzione alla loro consistenza>> 5. Ancora oggi il SVP ha il pieno controllo della regione e rappresenta il gruppo di maggioranza nelle elezioni politiche e amministrative.

5 T. Telmon, Aspetti sociolinguistici delle eteroglossie in Italia, in Storia della Lingua Italiana, vol.3 , Le altre lingue, a cura di L. Serianni e P. Trifone, Einaudi, Torino, pp.923-950.

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La fascia di terra che si estende tra il Friuli - Venezia Giulia e la Slovenia include tre aree fortemente diverse tra loro dal punto di vista storico, culturale, geografico, economico e sociale. Quest’ultime sono la cosiddetta Slavia Veneta (in provincia di Udine), la Val Canale, le zone rurali vicino a e , che rappresentano l’area slovenofona principale a causa della forte immigrazione del periodo industriale. Durante il fascismo, le comunità slave qui situate subirono forti pressioni da parte del regime, che portò alla radicalizzazione delle posizioni filo – jugoslave. Dopo la Seconda guerra mondiale, l’Italia annesse l’intera Slovenia occidentale e al momento della liberazione da parte dei partigiani di Tito, fu costretta a cedere questo territorio insieme all’Istria e all’area dalmata alla Iugoslavia, mentre Trieste venne diviso in due zone sotto il controllo dei due stati. Dopo gli accordi di pace, la specificità culturale e linguistica venne riconosciuta alla popolazione slovena rimasta nel territorio italiano e infine, l’impegno italiano venne riconfermato dal memorandum del 1954 a dal trattato di Osimo nel 1975. Attualmente sono nate diverse organizzazioni culturali, ricreative e sportive che si prefiggono l’obbiettivo di diffondere il modello

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linguistico dello sloveno standard, molto importante è anche l’azione di alcuni media, come ad esempio le trasmissioni radiofoniche della RAI o di Radio Capodistria o il quotidiano “Primorski ”.

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2.2 Il ladino Al ladino, il friulano e il sardo è stato conferito lo status di lingue minoritarie poiché sono tre varietà dialettali privi di una lingua guida e distinte nel quadro degli idiomi neolatini per via di peculiarità fonetiche, morfosintattiche e lessicali tali da poter fare ipotizzare che hanno un’antica autonomia, unità e affinità.

Di seguito potete leggere il testo in ladino e la traduzione di Fabio Chiocchetti che riprende l’antico Canto di Conturina, tramandato per anni in Val di Fassa.

La cianzon de Conturina La canzone di Conturina

Son de sas e non me meve Sono di pietra e non mi muovo,

Son de crepa enmarmolèda nella roccia pietrificata,

Son na fia arbandonèda sono una figlia abbandonata,

E no sé per che rejon. e non so per quale ragione.

Gé son bela daperdut Sono bella come il sole,

Gé son sana fin en fond sono sana fino nel profondo,

E no l’é persona al mond non c’è persona al mondo

Che me posse someèr. che mi possa somigliare.

Sun sta crepa scialdi soula Sola su questa roccia,

A la neif a la tompesta esposta alla neve e alla tempesta,

Per me fosa na gran festa per me sarebbe una gran festa

Un cristian poder veder (…). poter vedere una persona (…).

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Il ladino si parla principalmente in Alto Adige in Val Gardena e in Val Badia e in Val Fassa fino a Moena. In Veneto, l’are ladina si estende nei territori del Livinallongo del Col di Lana (nel bacino del Piave), nel Cadore, nel Comelico e nella Val Fiorentina.

Le rivendicazioni culturali e linguistiche non mancarono né per l’area “tirolese”, né per quella “veneta”. I ladini tirolesi subirono le stesse pressioni delle altre regioni durante il periodo fascista, e nell’immediato dopoguerra il gruppo Zènt ladina dla Dolomites lanciò un progetto: quello di creare una comunità ladina sotto un’unica circoscrizione autonoma, ma questo tentativo fallì.

Nel tempo i ladini bolzanesi ottennero misure di tutela, mentre quelli tirolesi integrati nelle zone italiane no; solo dal 1987 furono adottati nuovi provvedimenti e nel 1994 il ladino venne dichiarato lingua ufficiale della valle. Diverse sono anche le organizzazioni che promuovono e tutelano questa varietà linguistica, come ad esempio l’Union Generèla di Ladins dla Dolomites che dal 1950 raccoglie le diverse unioni ladine delle valli Fassa, Badia, Gardena e del Livinallongo, e l’Istitut Ladin Micurà de Rü e l’Istitut Cultural Ladin << Majon di Fascegn>> che congiuntamente all’Union Generala e all’IPL hanno provato a codificare una lingua ladina scritta.

Nella pratica, lo Statuto di autonomia del Trentino – Alto Adige disciplina l’insegnamento del ladino nelle scuole primarie e secondarie inferiori e superiori. Con la riforma statuaria del 1972, inoltre, l’organizzazione delle scuole viene anche garantita dalla creazione dell’intendent ladin (intendente scolastico ladino nominato dalla provincia autonoma di Bolzano) che gestisce le scuole delle località

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ladine. Degno di nota è anche l’Istitut pedagogich ladin, fondato a Bolzano nel 1987, con lo scopo di creare piani scolastici, nonché testi didattici per tenere sempre aggiornati gli insegnanti e per rispondere a specifiche esigenze pedagogiche.

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2.3 Il friulano Il friulano è un idioma indoeuropeo e si inserisce insieme al ladino e al sardo nel quadro delle lingue retoromanze o ladine.

Di seguito potete leggere una poesia di Giacomo Sini, uno dei maggiori autori friulani del Cinquecento, tradotta da William Cisilino, esperto di diritti linguistici e scrittore di diversi articoli scientifici e monografici sulla tutela delle minoranze linguistiche. La poesia è un vero e proprio inno al friulano e si presenta come una dichiarazione della pari dignità letteraria di questa lingua.

In laude de lenghe furlane

Al par al monte chu cui chu scrif in rime

Al sei tignut a falu par toscan,

seii pur chui cu compogn napolitan,

lombard o d’altre tiarre o d’altri clime.

Io l’hai par un abus, parcè ch’un stime

Chu chel cil sool seii rich e vebi a man

Dut chel di biel chu chiaat in cur human,

ni chu ad altri Parnaas mostri la cime.

Io no soi di paree che in tal Friul

La frase sei mior, sint sparnizade

Di talian, frances e di spagnul.

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Par chest l’histoire ven tant aamirade:

Lu mont è biel, havint par cui chu vuul

Tante varietat in se sierrade.

In lode della lingua friulana

Tutti credono che chi vuole scrivere in versi

Debba farlo esclusivamente in toscano; sia pure, chi compone, napoletano, lombardo o d’altra terra o d’altro clima.

Per me è un abuso, perché si ritiene

Che solo questo cielo sia ricco e sovrano

Di ciò che di bello si trova nel cuore umano, e che in nessun’altra lingua sia possibile scrivere poesie.

Io non ho la presunzione di credere che in Friuli

La lingua sa migliore, essendo disseminata

Di italiano, francese e di spagnolo.

Se c’è un motivo per cui la storia è tanto ammirata

E il mondo è bello, è proprio perché, per chi lo vuole,

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racchiude in sé una gran varietà di elementi diversi.

Il friulano si parla nelle province di Udine, Pordenone, Gorizia (“Friuli storico”) , in alcuni comuni della provincia di Venezia e a Trieste.

In questa regione, la suddetta varietà nacque intorno all’anno Mille dopo che l’area venne romanizzata e conquistata da Unni, Visigoti, Bizantini e Longobardi. Nel 1420, il Friuli passò sotto il governo della Serenissima fino a quando non venne occupato da Napoleone nel 1797, per poi essere ceduto all’Austria con il trattato di Campoformio e infine, essere riunito all’Italia alla fine della Terza guerra di indipendenza del 1866. Nel 1843 il territorio venne occupato dai Tedeschi che iniziarono ad amministrarlo direttamente e vide numerosi scontri tra i partigiani iugoslavi e le truppe alleate che cercarono di assumere il controllo dell’intera area. Le controversie si risolsero con gli accordi del 1954, attraverso i quali le zone interessate vennero dapprima spartite e poi cedute all’Italia e alla Iugoslavia.

Con il passare del tempo questo idioma ha assunto una tale specificità nel contesto delle varietà dialettali settentrionali tanto da essere considerata come un gruppo linguistico a sé stante, dotato di grande autonomia e personalità. Il friulano ha sempre avuto una forte identità culturale ma la vera data da cui si può iniziare a parlare di ciò è il 1966, quando nasce “Movimento Friuli” che chiede misure sempre più specifiche per la tutela della cultura e della lingua della popolazione; è anche grazie a questo movimento che dal 1996 un “Osservatorio regionale della lingua e della cultura friulane” coordina le varie attività di promozione e salvaguardia.

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Non ci si dimentichi nemmeno dell’importanza del cinema in “marilenghe” (madrelingua, termine con cui i friulani chiamano la loro lingua). Nel anni Ottanta viene realizzato da Vittorio Cottafavi il primo film, Maria Zef, interamente in friulano, lanciando così un nuovo modello di cinematografia e aprendo la strada al cinema di Marcello De Stefano, il quale consapevole dell’espressività della propria lingua per l’affermazione dell’identità di un popolo, realizza il doppiaggio della trilogia Cuintrileture, part I, II, III. Dal 1988, si istituisce un festival biennale ad Udine, “Mostra del cinema friulano” con l’obiettivo di sensibilizzare i giovani e coinvolgerli. Oggi questo settore risulta avviato e consolidato e vede un’ulteriore espansione dopo che nel 2007 con la nuova legge regionale sono aumentati i finanziamenti pubblici. A questa e ad altre manifestazioni poi si sono aggiunti tanti altri progetti come il “Concorso per i testi cinematografici in lingua friulana” a cadenza biennale e la pubblicazione di una rivista annuale dedicata al cinema e di un dizionario italiano – friulano sui termini cinematografici.

Attualmente la lingua friulana è parlata all’interno della pubblica amministrazione e nei consigli degli enti locali, viene insegnata in molte scuole primarie e secondarie, ed infine, viene utilizzata per le trasmissioni radiofoniche di radio “Onde Friulane” e “Radio Spazio 103”.

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2.4 Il sardo La Sardegna venne occupata da diversi popoli: dai fenici e cartaginesi, ai vandali e bizantini. Nell’alto Medioevo venne divisa in quattro stati indipendenti basati su delle leggi fondamentali, ma ben presto vennero conquistati dagli Aragonesi, i quali istituirono un governo vicereale e un parlamento con delle proprie norme in catalano. Nel 1479, con l’unione delle corone di Aragona e di Castiglia, la Sardegna passò sotto il controllo spagnolo, questo idioma si andò ben presto a sostituire con il catalano. Nel 1713 l’isola passò all’Austria e poi nel 1718 ai Savoia, con la proclamazione del Regno di Sardegna. Quando nel 1861 la Sardegna ottenne l’indipendenza, dopo anni di sfruttamento coloniale da parte dei Savoia, piombò in una crisi economica e sociale che durò fino alla Prima guerra mondiale. Nel 1921, quando i reduci della guerra videro che il Governo non rispettò le promesse fatte, crearono un movimento, il PsdAz (Partito sardo d’azione) che dapprima nacque come partito agrario e poi dopo la Seconda guerra mondiale si trasformò in partito etnico, con la volontà di rivendicare la propria specificità culturale e linguistica.

Il sardo è una varietà linguistica molto particolare nel contesto degli idiomi neolatini in cui si inserisce, e del tutto diversa da quelli italoromanzi, tanto da poter essere considerata come una varietà dall’originalità a sé stante. Infatti, le condizioni di insularità del territorio, i fattori evolutivi interni e le numerose lingue che si succedettero nelle diverse dominazioni, sono tutti elementi chiave che ci portano ad affermare che il sardo e i suoi dialetti sono un gruppo di parlate separate dal resto dei dialetti italiani.

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Correntemente varie iniziative per valorizzare il patrimonio linguistico dell’isola sono state adottate, purtroppo molte sono rimaste su carta nonostante la legge regionale n. 26/1997, << Promozione e valorizzazione della cultura e della lingua della Sardegna>>. Infine, va ricordata l’attività dell’Osservatorio regionale per la cultura e la lingua sarda, che lancia piani folkloristici, di studi filologici e linguistici sardi e la possibilità di trovare negli atenei isolani cattedre di linguistica sarda.

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2.5 I dialetti franco-provenzali Ecco a voi alcuni versi di Petrus Gillius, naturalista, topografo e traduttore francese.

« ...les Vaudois de Provence étants « ...i valdesi di Provenza, essendo persecutés à l'instance du Pape seant en perseguitati dal Papa di Avignone, Avignon, (...) allèrent vers la ville de andarono verso la città di Napoli e con il Naples et avec le temps edifièrent 5 tempo edificarono cinque cittadine villettes closes: assauoir Monlione, fortificate, ossia Monlione, Montauato, Montauato, Faito, la Cella et la Faito, la Cella e la Motta... » Motta... »

I dialetti franco – provenzali sono delle varietà neolatine e con la lingua d’oïl (francese) e la lingua d’oc (provenzale o occitano) formano il gruppo linguistico galloromanzo. La definizione di queste varietà è stata coniata da Graziadio Isaia Ascoli ed esse contengono alcuni tratti comuni al francese e altri comuni al provenzale, mantenendo però la propria indipendenza e individualità in relazione alla langue d’oïl e alla langue d’oc. I dialetti franco – provenzali così come quelli tirolesi e sloveni hanno un legame di diglossia con il francese, loro lingua tetto tradizionale ed oggi di macrodiglossia con l’italiano, lingua ufficiale dello stato. Alcuni studiosi hanno affermato che in alcune zone della Valle d’Aosta e in certe vallate in provincia di Torino si ha un insieme di dialetti molto diversificati tra loro, ma tutti riconducibili al gruppo di diletti <>. La singolare frammentazione, l’assenza di usi pubblici ufficiali e la vicinanza con il francese sono tutti elementi che non hanno mai conferito un certo prestigio a questi dialetti, facendoli rimanere così nella sfera del parlato. L’area linguistica franco – provenzale rimane tuttavia difficile da stabilire, soprattutto in Valle d’Aosta, dove convivono già due lingue (italiano e francese); però si

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ritiene che essa comprenda la Svizzera Romanda, il Lionese, il Delfinato settentrionale, la Savoia e una parte della Francia Contea. Per quanto riguarda la zona piemontese, invece, solo alcuni comuni in base alla legge n. 482/ 1999 si sono dichiarati di lingua franco – provenzale come ad esempio: Ala di Stura, Balme, Cantoira, Ceres, Chianocco, Frassinetto, Giaglione, Ingria, Noasca, Pessinetto, Ribordone, Traves, Usseglio e pochi altri. Ciononostante in Valle d’Aosta soprattutto, il franco – provenzale non sembra ottenere lo status di lingua minoritaria, anche se non mancano iniziative volte alle promozione di questo idioma; basti pensare al Comité des Traditions Valdôtaines e alla Société des Recherches et d’Études francoprovençales. In Piemonte, inoltre, ricordiamo il Centro Studi per la documentazione della memoria orale e gli enti locali che collaborano con l’Università di Torino e il Centro Effepi di studi e ricerche che pubblica l’omonima rivista.

Ma quello che non tutti sanno è che una piccola minoranza francoprovenzale è presente anche in Puglia, nei comuni di Faeto e Celle San Vito, situati tra le province di Foggia, Benevento e Avellino. Probabilmente l’origine di questa minoranza risale al Medioevo, i fondatori di quest’ultima potrebbero essere stati soldati angioini o perseguitati valdesi che si stanziarono in questa zona per poi rimanervici. La questione risulta ancora poco chiara e sconosciuta a tanti, tuttavia questa varietà sembra essere molto più simile a quella valdostana che a quelle delle comunità dialettali dell’Italia meridionale.

Di seguito una novella in francoprovenzale di Faeto raccolta dal professore dialettologo Michele Melillo.

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Lla mùseche dde llu paravìe

<< Na vaie aiave un-n muén-n e na ffénne. I sevante marì e meglije. Un mattin-ne sa meglije i saglitte chi allave pechian-ne ’n pue de pane. Demménteche i cemmenave i vaie ntère na ffafe; la prénte e la pòrete a ciallaue, che s’arretire. Cumme i arrive la fate vetaie a ssu marì. La pprénte e ssu marì e la piante devan-ne la ppòrete de ciallaue; dappoie vitte ggiúore lla ffafe gli éve ggià nescì, e ssa ffénne e ssi muén-n, chi sevante marì e meglije e chi tenevante rréne l’assestevante tutte lò ggiúore, l’addaquevante, i mettevante llu terine bbun-n daccante pe la fà purtà lle ffafe sùbbete, dappoie de n’ate pu de ggiúore lla ffafe i cacciatte lò fiure pe ppurtà lle ffafe (…) >>.

Traduzione:

La musica del paradiso

<< Una volta, c’era un uomo e una donna. Essi erano marito e moglie. Un mattino la moglie uscì per andare a cercare un po’ di pane. Mentre camminava, vede per terra una fava. La prende e la porta a casa, giacché si ritirava. Appena arriva, la fa vedere a suo marito. Suo marito la prende e la pianta dinanzi alla porta di casa. Dopo otto giorni, la fava era già nata e questa donna e quest’uomo, che erano marito e moglie e non avevano nulla, la assistevano ogni giorno. L’innaffiavano, mettevano il terreno buono vicino per farle produrre subito le fave. Dopo altri pochi giorni, la fava mise fuori i fiori per portare le fave (…)>>.

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2.6 Il greco Di seguito potete leggere la ninna nanna in griko salentino.

Ninna Nanna

<< Ninìa, ninìa, ninìa, lès e mane echun pedìa, ta vàddhune panta ambrò, sacundu tuo en ei tinò Nanà, nanà, nanà, tui mu grafi ce meletà, mu canni tossa tossa pezzi a mmendule sti fossa To, to, to, cantalò ce o ppelecò, ce a ttò pelekìso mena nghizzi n'o ccittìso Nanà, nanà, nanà, tui mu scònnete pornà, ce pai stin aglisìa na mu cusi tin lutrìa. Na, na, na, e kiatèra-mu troi t'agguà, ce mana-ti t'aftìnni ma ecìni ta rufà. Ninìa, ninìa, ninìa, la mamma fimmena volìa, lu tata masculeddhu cu lu porta allà fatìa. Ninazzu, ninazzu, ninazzu, fimmena beddha ce me la fazzu me la pijanu li ziti me la portanu sutturàzzu >>.

Quando parliamo del greco e dell’albanese dell’Italia meridionale dobbiamo ricordare che si tratta di <>, ovvero aree in cui sono presenti delle varietà nate in seguito a trasferimenti, dislocazioni e colonizzazioni avvenuti in epoche passate, capaci di mantenere le proprie specifiche prerogative linguistiche.

Oggi la popolazione di dialetto greco o grecanico dell’Italia meridionale si raccoglie in due aree ben distinte: nel Salento in un gruppo di comuni in provincia di Lecce, e in Calabria sul fianco meridionale dell’Aspromonte, nella valle di Amandolea.

È risaputo, inoltre, che numerose popolazioni elleniche colonizzarono dapprima e poi si spinsero fino in Puglia e in Calabria stabilizzandosi poi qui e imponendo l’impiego del greco come lingua di cultura, cosa che continuò per molto tempo anche dopo la caduta dell’Impero.

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Nonostante tutto ciò sia un dato di fatto, rimane tuttavia difficile stabilire una data precisa dell’insediamento di questi gruppi; in realtà proprio le parlate di quest’ultimi non hanno nulla a che fare con il greco moderno, anzi, le comunità grecaniche dell’Italia meridionale continuano a conservare i loro dialetti influenzati dai vicini idiomi neolatini.

In generale, grazie alla legge n. 482/ 1999 le varietà grecaniche sono oggetto di tutela e vedono numerose iniziative volte al loro recupero e alla loro difesa, anche in ambito didattico. Va menzionata per il Salento, l’Unione dei comuni della Grecia Salentina e per la Calabria, l’Istituto regionale superiore di studi ellenocalabri e l’Osservatorio permanente per la lingua e la cultura greca in Calabria.

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2.6 I dialetti albanesi Di seguito potete leggere un canto propiziatorio, eseguito durante il periodo della mietitura del grano o nelle serate di settembre quando si accendono i fuochi nei rioni. Nel testo, vi è un chiaro riferimento al classico mito di Demetra, poiché si menziona il sole che prima viene catturato e poi nascosto sotto terra. La struttura musicale, a blocchi accordali, rappresenta uno degli esempi più significativi della polifonia arbёreshe. Questa canzone è una delle tante eseguite dal gruppo Vjesh di San Costantino Albanese, il testo e la traduzione sono a cura di Nicola Scaldaferri.

Jëma Shën Mitrit

Jëma Shën Mitrit / rrin po sa bënjen kunxil / të më mbjedhen diellin / të m’e kllasen ndë një grut / pirpara stisur me bot / mos t’i hini fare drit / dimri bëni mot i mir / primavera bëni vap / të më bëmi grurë shum / grurë shum e verë shum / të martomi ata guanjun / të marren ato kupile / lule lule trëndafile.

La madre di ottobre / faceva sempre dei complotti / per catturare il sole / nella profondità di una grotta / davanti fabbricata di terra / perché non gli entrasse affatto luce / d’inverno fece bel tempo in primavera fece caldo / perché producessimo molto grano / molto grano e molto vino / e facessimo sposare questi ragazzi / e posassero queste ragazze / spose come rose.

La cosiddetta Arberia, cioè l’insieme delle comunità albanofone dell’Italia meridionale, ricopre un’area di circa 1430 kmq, in cui si concentrano approssimativamente 100.000 persone che dichiarano di parlare o comprendere almeno una delle varietà dell’arbёresh, definizione con la quale si identificano le varietà delle lingua albanese storicamente insediate in Italia , oggi riconosciute e tutelate dalla legge

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n. 482/ 1999. La forma “arbёresh” coincide con la dizione antica di “albanese”, lingua considerata a sé stante nel quadro della famiglia indoeuropea, poiché ha influssi romanzi e latini, ma al contempo anche slavi e turchi che ne hanno notevolmente caratterizzato i caratteri originari. I dialetti albanesi si distinguono in due gruppi principali: il ghego e il tosco, quest’ultimo rappresenta la base standard letteraria dell’attuale albanese e pertanto è la lingua ufficiale della Repubblica di Albania. Va però detto che i recenti cambiamenti politici avvenuti nell’Europa balcanica hanno causato una forte emigrazione in Europa occidentale e in particolar modo in Italia: questo fenomeno va però differenziato dagli insediamenti storici delle comunità albanofone della penisola. I comuni di lingua arbёresh sono attualmente distribuiti in ben sei regioni italiane, questo frazionamento territoriale è legato ai numerosi insediamenti iniziati nel XV secolo, quando il re Alfonso I d’Aragona appoggiò l’immigrazione nel regno di Napoli di comunità provenienti da oltre l’Adriatico. Proprio quest’ultime diedero vita a forme di autogoverno, caratterizzate per lo più dalla conservazione del rito bizantino (rito greco) nelle pratiche liturgiche, infatti è proprio questo elemento a conferire specificità all’arbёresh. Ma l’ondata migratoria crebbe fino a dopo l’invasione turca dell’Albania nel 1453 e continuò fino al XVIII secolo.

Oggi le comunità albanofone sono precisamente presenti in:

- Molise nei comuni di Montecilfone, Portocannone ed Ururi;

- Puglia nei centri di San Marzano di San Giuseppe nel Tarantino, Chieuti e Casalvecchio di Puglia;

- Basilicata nel massiccio del Pollino e nella zona del Vulture;

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- Sicilia nei centri abitati di Palazzo Adriano, Biancavilla, Piana dei Greci, Piana degli Albanesi, Mezzoiuso, Contessa Entellina e san Michele di Ganzaria;

- Calabria in provincia di Crotone, Catanzaro e Cosenza soprattutto.

L’arbёresh parlato in Italia è quello tosco perciò se un parlante dell’Arberia e uno dell’altra sponda dell’Adriatico comunicano, grandi problemi di comprensione e di riproduzione orale non sussistono; anche se i dialetti albanesi parlati in Italia hanno subito influenze lessicali da parte delle parlate neolatine circostanti, rimanendo così non contagiate dagli influssi turchi e slavi che invece hanno raggiunto la madrepatria.

Le comunità arbёresh attualmente sono molto operative nel campo del recupero e rivalorizzazione della propria identità culturale, tant’è che all’università di Palermo e di Cosenza sono state istituite delle cattedre di lingua e cultura albanese e proprio a Cosenza è nata l’Associazione culturale italo- albanese che ha lanciato la pubblicistica in arbёresh e la rivista << Zёri i Arbёreshёvet>>, La voce degli Albanesi.

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3. Le minoranze linguistiche nel Regno Unito

Negli ultimi nove secoli, l’inglese è stato sottoposto a numerosissimi cambiamenti e variazioni, più di ogni altra lingua europea; la provenienza di questo idioma è attribuibile al ceppo germanico della famiglia delle lingue indoeuropee.

Nel 55 a.C., la decima legione romana approdò sul suolo britannico, provocando non solo un grande sconvolgimento politico e sociale, ma anche linguistico, interessando così tutte le varietà celtiche parlate fino ad allora nelle isole inglesi. Solo nel 43 d.C. si può iniziare a parlare di un vero e proprio insediamento permanente da parte dei Romani che alla fine durò per ben cinque secoli, dato che uno degli obiettivi principali di questa invasione è proprio la volontà di Cesare di invadere la Gallia.6

Tuttavia, sin da subito il latino trasmesso dai Romani si trova a fare i conti con le lingue celtiche, varietà simili tra loro per via di numerose caratteristiche fonologiche, parlate in diverse aree geografiche come ad esempio: il Cornico in Cornovaglia, il Gallese in Galles, il Mannese nell’isola di Man, il Gaelico Scozzese in Scozia, il Bretone in Bretagna e l’Irlandese in Irlanda. Con il passare del tempo e l’aumento del potere conferito a Roma, le lingue celtiche vengono sostituite dal latino e dalle sue peculiarità morfologiche (la sua influenza è visibile ancora oggi in alcune costruzioni inglesi o nomi di persone o di luoghi), si assiste così alla lenta evoluzione e al passaggio di una lingua comune e uguale per tutti.

6 D. Britain, Language in the British Isles, Cambridge University Press, New York, 2007. Traduzione propria e riassunto di questo testo.

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L’inglese si inizia a diffondere nel 449 d.C., anno in cui gli Angli, i Sassoni e i Celti dal nord-ovest del continente europeo, si stanziano in Gran Bretagna, portando con loro una serie di dialetti germanici. Tutti quelle varietà che vengono parlate sul suolo Britannico iniziano a costituire il cosiddetto inglese antico o Old English. Solo alla fine del nono secolo, si diffonde il termine “English” per designare la lingua del Regno Unito. Ben presto, i dialetti anglo-sassoni si diffondono in molti territori orientali e centrali dell’isola, raggiungendo anche quei luoghi dove il Celtico o il “Cymric” viene ancora parlato. D’ora in avanti l’inglese comincia a sostituirsi ai dialetti celtici, alcuni dei quali oggi sono scomparsi, e a subire diverse modifiche a livello sintattico, morfologico e lessicale.

Più in breve possiamo riassumere l’evoluzione dell’inglese in tre periodi:

I. Il periodo dell’inglese antico che si apre con i primi insediamenti anglo-sassoni fino ad arrivare a dopo la

conquista dei Normanni (1100-1150); II. La transizione dall’inglese antico all’inglese medio che va dalla comparsa dei primi testi nel Medioevo al XVI secolo; III. La rottura e il passaggio da inglese medio a moderno dal Settecento ai giorni nostri. Proprio questo periodo, infatti, appare il meno chiaro poiché la maggior parte delle variazioni sono avvenute prima nella lingua parlata di alcune popolazioni e poi quest’ultime hanno contaminato quella della altre.

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Oggigiorno, nonostante l’inglese rimanga il veicolo di comunicazione principale tra i parlanti del Regno Unito, persistono alcune varietà linguistiche molto forti: il Gaelico scozzese, l’Irlandese e il Gallese, le quali vengono ancora utilizzate da migliaia di persone.

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3.1 Inglese standard e non Oggi la definizione di inglese standard rimane ancora da stabilire, tuttavia alcuni linguisti sostengono che l’inglese standard sia quello legato alla cosiddetta pronuncia standard o “Received Pronunciation”. Si deve anche tener conto che non esiste un “accento standard” britannico dal momento che ne esistono diversi e tutti corretti. Più in generale quindi, possiamo affermare che l’inglese standard parlato è quella varietà linguistica priva di inflessioni regionali, presa come modello nell’insegnamento, dato l’alto numero di parlanti che ne fanno uso e basata perciò su regole grammaticali scritte.

Il concetto di inglese non standard invece assume spesso una connotazione negativa, che viene associata ad una lingua poco appropriata alla situazione o scorretta. Quindi, quando parliamo di inglese non standard semplicemente ci riferiamo ad una varietà linguistica che non si basa sulle delle norme grammaticali prestabilite o riconosciute. Un esempio di non standard English è l’uso della negazione multipla, che, anche se non segue una determinata norma, viene comunque usata dai parlanti anglofoni: “I won't not use no double negatives”. 7

7 Bart Simpson, The Simpsons, 1999, in https://www.thoughtco.com/double-negative- grammar-1690478 (Visitato il 24 luglio, 2017) .

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3.2 Il Gaelico Scozzese Cànan nan Gàidheal è una canzone che narra la storia della lingua Gaelica, scritta da Murdo MacFarlane. MacFarlane, originario di Melbost sull’Isola di Lewis, è stato un poeta ed attivista per la diffusione e la salvaguardia della lingua gaelica scozzese; inoltre, durante gli anni ’70 compose molte poesie, canzoni e melodie per cornamuse, a sostegno del movimento per la rinascita della sua lingua madre.

Cànan nan Gàidheal Cha b’e sneachda ‘s an reothadh o thuath Cha b’e an crannadh geur fuar on ear Cha b’e an t-uisge ‘s na gaillionn on iar Ach an galar a bhlian on deas Blàth, duilleach, stoc agus freumh Cànan mo threubh is mo shluaidh

[Seist] Thig thugainn, thig cò’ ruim gu siar Gus an cluinn sinn ann cànan nam Fèinn Thig thugainn, thig cò’ ruim gu siar Gus an cluinn sinn ann cànan nan Gàidheal

Nuair chithear fear fèilidh ‘s a’ ghleann Bu chinnteach gur Gàidhlig a chainnt Nuair spìon iad a fhreumh às an fhonn An àite Gàidhlig tha cànan a’ Ghoill

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Is Ghaidhealtachd creadhal nan sonn ‘S tìr “mhajors” is “cholonels” ‘n-diugh innt’ (…).

La lingua dei Gaeli

Non sono stati la neve e il gelo dal Nord,

Non è stato il tagliente e raggelante freddo dall’Est,

Non sono state la pioggia e le tempeste dall’Ovest,

Ma il flagello arrivato dal Sud,

che ha fatto appassire il fiore, la chioma, lo stelo e la radice

del linguaggio della mie gente e della mia razza.

[Ritornello]

Venite, venite con me verso l’Est,

a sentire il linguaggio degli eroi,

Venite, venite con me verso l’Est,

e sentite il linguaggio dei Gaeli.

Se un uomo con il kilt fu mai visto nella valle

il gaelico era sicuramente la sua lingua.

Poi hanno stappato le sue radici dalla terra

e rimpiazzato il Gaelico con la lingua straniera, e le Highlands, culla degli eroi,

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sono ora una terra di “maggiori” e “colonnelli”(…).

Il Gaelico Scozzese è una lingua celtica, appartenente al ceppo delle lingue Goideliche o Gaeliche, e strettamente legata all’Irlandese e al Mannese, con i quali condivide numerose strutture lessicali e grammaticali. Infatti, la struttura base di una frase tipica in questa lingua è VSC (verbo-soggetto-complemento), nella maggior parte dei casi gli aggettivi seguono i sostantivi che qualificano (come in inglese), e gli avverbi si formano aggiungendo il prefisso “gu-“ agli aggettivi. Esistono solo dieci verbi irregolari e il verbo essere ha due forme: la prima è Bidh! che viene usata per le dichiarazioni e può combinarsi con sia con il participio presente di altri verbi per formare dei nuovi. La seconda ha a sua volta due forme enfatiche: “is” che si utilizza per il presente e il futuro e “bu” per tutti gli altri tempi verbali; questi due verbi, se uniti a preposizioni e a pronomi, possono dar vita a una vasta gamma di espressioni idiomatiche.

L’origine della lingua gaelica e del regno degli scozzesi, è generalmente legata alla delocalizzazione del regno di Dal Riata dall’odierna contea di Antrim all’area occidentale di Argyllshire, avvenuta nel V secolo d.C. Durante il regno di Malcom III (1054-96), il gaelico iniziò a perdere il suo primato sia a corte che nelle Lowlands attraverso l’introduzione dell’inglese nell’area orientale e settentrionale della Scozia. Successivamente i norvegesi, insediandosi nelle Highlands e nelle Islands, diffusero la loro lingua fino al XVIII secolo, quando quest’ultima scomparve, lasciando evidenti segni nei dialetti nordici e nella letteratura scozzese del tempo. Fu proprio in questo periodo che vennero adottati una serie di provvedimenti volti all’alfabetizzazione e all’insegnamento dell’inglese, dapprima tra l’aristocrazia e poi tra il

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popolo; purtroppo, non mancarono nemmeno divieti relativi all’uso del gaelico e alle usanze connesse a quest’ultimo. Ma alla fine del XVIII secolo, il gaelico riprese piede e riconquistò le Highlands, e le isole Ebridi e Clyde, delineando la cosiddetta area gaelica o “gaidhealtachd”. Nel XIX secolo si assistette, invece, ad una grande migrazione di parlanti dalle Highlands e Islands in Nova Scotia, ma contemporaneamente a ciò nacque il sistema volontario delle Scuole gaeliche, il quale cercò di promuovere e tutelare questo idioma.

Più in generale, possiamo dire che nonostante i vari tentativi di riconoscere una vera e propria dignità letteraria a questa lingua, il gaelico è sopravvissuto fino al XX secolo più come forma orale che scritta, come ad esempio nei riti religiosi, nei riti presbiteriani e nella Bibbia, vedendo un forte calo nel numero dei parlanti, soprattutto dopo le due guerre mondiali. Ora come ora si può dire che coloro che parlano il gaelico scozzese sono sempre di meno e secondo l’ultimo censimento, all’interno di una famiglia si comunica maggiormente in inglese, tralasciando il fatto che tra gli adolescenti l’uso del gaelico è minimo. Tutto ciò ovviamente rappresenta un campanello d’allarme che ha portato migliaia di cittadini a mobilizzarsi al fine di creare organismi atti alla valorizzazione di questa lingua.

La principale organizzazione per la lingua gaelica è “An Comunn Gaidhealach” ed è attiva da alcuni anni nel campo dell’educazione, della cultura e dell’editoria, nel 1987 è stato lanciato anche il National Gaelic Arts Project (“Pròiseact nam Ealan”) che promuove iniziative culturali e artistiche e nel 1986 è stato istituito un Ufficio per garantire dei fondi economici al gaelico. Negli anni ’70 è nata la Sùil, un’equipe televisiva che ha ispirato giovani talenti scozzesi e dato un forte input all’industria

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della televisione della gaidhealtachd, alimentando notevolmente la produzione di film in questa lingua; ma non finisce qui, poiché degni di nota sono anche i progetti educativi come il doppio diploma in gaelico, l’introduzione di quest’ultimo in molte scuole primarie delle Highlands e la trasmissione di programmi in lingua originale su alcune reti televisive della BBC2 Scotland.

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3.3 L’Irlandese

The Raid

Dirgidh bhar sleagha sealga Lé a ngonmaois fearba fíre Dirgidh bhar sleagha sealga Mar do bhámar re gaiseadh Ní dhénmaois aistear aoíne Dirgidh bhar sleagha sealga

Seólaidh bhar mbolcca corra Go borraibh loma lochlainn...

Lé bhar gcraoísreachoibh go ndaígne Ro gonsam Ráighni roscmall Dirgidh bhar sleagha sealga Mar do bhámar re gaiseadh Ní dhénmaois aistear aoíne Dirgidh bhar sleagha sealga

Seólaidh bhar mbolcca corra Go borraibh loma lochlainn...

Dirgidh bhar sleagha sealga Lé a ngonmaois fearba fíre Dirgidh bhar sleagha sealga

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up your hunting spear Mar do bhámar re gaiseadh Ní dhénmaois aistear aoíne Dirgidh bhar sleagha sealga

Seólaidh bhar mbolcca corra Go borraibh loma lochlainn...

Questa canzone è stata composta dal gruppo irlandese Anùna, divenuto celebre internazionalmente dopo aver partecipato allo show “Riverdance” negli anni ’90. Questo gruppo nasce grazie al compositore dublinese Michael McGlynn, il quale fondò la parola “An Uaithne” per esprimere tre tipi di musica: ninna-nanna, lamentazione e canzone allegra. Nel ’91 “An Uaithne” sono diventati Anùna; oggi, essi non solo portano avanti questo genere musicale, ma reinterpretano anche le composizioni e gli arrangiamenti di McGlynn di brani medievali e tradizionali.

Basandosi su evidenti prove sociali, storiche e politiche, alcuni studiosi affermano che l’irlandese si sia sviluppato in quattro fasi:

1. Old Irish (500-900)

Questo tipo di irlandese era già parlato ai tempi del cristianesimo e si diffuse in quest’area grazie ad alcuni gruppi celtici che emigrarono dal continente europeo. Tuttavia le prime fonti scritte risalgono al V-VI secolo, periodo in cui la lingua scritta venne standardizzata dalla classe

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erudita nei monasteri. Agli inizi del VI secolo però, i parlanti irlandesi colonizzarono le coste occidentali scozzesi espandendosi poi verso est, a questo processo contribuirono anche i monaci irlandesi che crearono quindi una fitta rete di monasteri cristiani in tutta la Scozia, in poco tempo così l’irlandese divenne la lingua corrente non solo dell’Irlanda ma anche della Scozia.

2. Middle Irish (900-1200)

Durante il X secolo, dei gruppi di scandinavi si stanziarono in entrambi i paesi, apportando numerosi cambiamenti linguistici e culturali che furono poi alla base dell’irlandese moderno.

3. Early Middle Irish (1200-1600)

L’irlandese era la lingua predominante in Irlanda e i tratti scandinavi di quest’ultima furono mantenuti e tramandati grazie alla tradizione letteraria del tempo che si diffuse a macchia d’olio in tutto il paese.

4. Modern Irish (1600- nowadays)

Nel XVII secolo, il sistema inglese di proprietà fondiarie spossessò molte famiglie antiche irlandesi e introdusse non solo un nuovo idioma, ma anche un gran numero di parlanti inglese. Alla fine del XVIII secolo, l’alta e media borghesia furono soggette alle pressioni sociali ed economiche del regno inglese, contribuendo ad un cambiamento linguistico, che alla fine interessò anche le aree urbane e gli entroterra orientali e occidentali. Altri fattori di rilevante importanza che coadiuvarono la standardizzazione del Modern Irish furono anche la “famine crops” del XIX secolo e le due guerre mondiali.

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Oggi l’odierno irlandese si colloca nella famiglia delle lingue indo-europee e proprio per questo ne presenta molte caratteristiche, ma allo stesso tempo ne ha altre, uniche e originali, ad esempio i sostantivi variano con il caso, non esiste l’infinito e l’ordine tipico della frase è VSC( verso- soggetto- complemento). In questa lingua esistono anche due modi per esprimere il verbo “to be” , di solito conosciuti come sostantivo e copula; il primo esprime la posizione, e la condizione. Invece, la seconda viene utilizzata per esprimere concetti e definizioni. Non esiste una pronuncia standard e il sistema vocalico irlandese consta di sette vocali brevi, sei lunghe e due dittonghi, quello consonantico invece, ha due gruppi di consonanti e la peculiarità più consistente è la “lenition”, cioè una riduzione dell’articolazione che riguarda tutte le consonanti intervocaliche singole.

Per quanto riguarda la politica di tutela e promozione dell’irlandese, possiamo dunque dire che correntemente viene insegnato principalmente come materia a sé stante in molte scuole primarie e rappresenta un requisito fondamentale per entrare alla University of Ireland.

Dagli anni ’20 agli anni ’50, si è assistito anche alla creazione di un nuovo pacchetto di misure volte alla standardizzazione e modernizzazione di questo idioma: da pubblicazioni di documenti in lingua a trasmissioni radio e programmi televisivi. Basti pensare che la gamma di politiche inserite in questa strategia è molto ampia, ambiziosa ed esigente, considerando poi che molti stati vogliono tuttora ottenere la propria indipendenza. Ricordiamo, inoltre, che nel 1922 è stata creata un’altra istituzione, il Parliamentary Translation Office, con il compito di tradurre documenti dall’inglese all’irlandese, che nel 1958 venne

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pubblicata la prima grammatica irlandese e nel 1959, il primo dizionario inglese -irlandese.

Comunque, il numero di parlanti irlandese non è molto alto, con il censimento del 2002, si nota che il 40% dei residenti nella Gaeltacht area (quartieri dove si parla solo irlandese) parla questa lingua quotidianamente e che solo il 5% degli intervistati lo considera la propria prima lingua; mentre al di fuori della Gaeltacht le famiglie parlanti irlandese sono sparpagliate qua e là delineando un quadro linguistico abbastanza disomogeneo e confuso.

Anche in Irlanda del Nord si parla irlandese, nonostante il duro braccio di ferro tra i nazionalisti irlandesi ( a maggioranza cattolica) e quelli inglesi (a maggioranza protestante) che dura dal 1922.

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In conclusione si può affermare che la lingua ufficiale è l’inglese e che dal 1989 l’irlandese è stato riconosciuto come lingua straniera nella scuola secondaria a tutti gli effetti, proprio come il francese e il tedesco e può essere appreso attraverso attività educative promosse dalle varie associazioni pro-irlandese.

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3.4 Il Gallese HEN WLAND FY NHADAU Mae hen wlad fy nhadau yn annwyl i mi, Gwlad beirdd a chantorion, enwogion o fri; Ei gwrol ryfelwyr, gwladgarwyr tra mâd, Dros ryddid gollasant eu gwaed.

Gwlad, gwlad, pleidiol wyf i’m gwlad. Tra môr yn fur i’r bur hoff bau, O bydded i’r hen iaith barhau.

Hen Gymru fynyddig, paradwys y bardd, Pob dyffryn, pob clogwyn, I’m golwg sydd hardd; Trwy deimlad gwladgarol, mor swynol yw si, Ei nentydd, afonydd, i mi.

Gwlad, gwlad … (ecc.)

Os treisiodd y gelyn fy ngwlad tan ei droed, Mae hen iaith y Cymry mor fyw ag erioed, Ni luddiwyd yr awen gan erchyll law brad, Na thelyn berseiniol fy ngwlad.

Gwlad, gwlad … (ecc.)

L’ANTICA TERRA DEI MIEI PADRI

La vecchia terra dei miei avi m’è cara, terra di bardi e di cantori, di uomini illustri;

di guerrieri coraggiosi, bravi patrioti, che versarono il sangue per la libertà.

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Terra, terra, fedele son io alla mia terra.

L’amata mia del mar si cinge come di mura,

e l’antica lingua dura!

Nel Galles, antica terra di monti, paradiso dei poeti,

in ogni sua valle, in ogni scogliera, io vedo bellezza;

incantevole quel mormorar di fiumi e ruscelli, per me

che amo la patria.

Terra, terra, … (ecc.)

Se il nemico soggiogasse, calpestasse la mia terra,

l’antica lingua dei gallesi vivrebbe ancora,

non indotta a tacere la musa dall’odiosa mano del tradimento,

né l’arpa melodiosa della mia terra.

Terra, terra, … (ecc.)

Questo è l’inno nazionale del Galles, ideato nel 1856 da Evan James e composto dal figlio James James, entrambi proveniente da una città gallese. La traduzione italiana è a cura di Andrea Bianchi e Silvana Siviero.

Il gallese o Cymraeg è una lingua celtica, appartenente al gruppo delle lingue bretoni, insieme al cornico (di fatto estinto agli inizi del XIX secolo, ma ancora parlato da alcuni appassionati) e al bretone (presente ancora oggi in Bretagna).

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Secondo il censimento del 2003, questo idioma è la varietà linguistica più viva tra le lingue celtiche moderne e la più attiva dato l’alto numero di parlanti. 8

Dal punto di vista grammaticale, il gallese consta di un solo articolo determinativo, che a sua volta ha tre forme. Conta una grande varietà di nomi singolari da cui si possono formare i plurali, che vengono raggruppati in due generi: maschile e femminile. Esiste anche una vasta gamma di pronomi personali: forma enfatica, congiuntivale, possessiva, ed altre eccezioni. I numerali 2-4 si coniugano in base al genere, e 1 invece, subisce leggere inflessioni per i nomi femminili, ma non per quelli maschili. Il modo indicativo ha quattro tempi, il congiuntivo due, e l’imperativo uno solo. Non esiste la voce passiva, ma ogni modo ha una forma impersonale ed il verbo “to be” (bod) è fortemente irregolare e perciò presenta più tempi verbali che verbi regolari e varianti morfologiche che definiscono il soggetto e il tempo.

E poi ci sono le cosiddette “mutations”, che sono dei cambiamenti fonologici della consonante ad inizio di parola per via di un dato contesto morfosintattico. Queste variazioni possono essere di tre tipi: lenition o riduzione delle consonanti intervocaliche, cambio nasale e cambio aspirato o spirantizzato. Infine, la tipica struttura della frase è VSC (verbo-soggetto-complemento) ed esiste anche una serie di particelle che contribuisce alla formazione di frasi interrogative e negative, alcune di queste però, sono tipicamente omesse nel parlato. Tra l’altro il linguista inglese Fife sottolinea nella sua opera le notevoli differenze fonologiche, morfologiche, sintattiche e lessicali esistenti tra

8 National Statistics Online in http://www.statistics.go.uk/downloads/cxensus2001/Report_on_the_Welsh_language.pdf, (consultato il 1 agosto, 2017).

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il gallese letterario e le varietà regionali colloquiali, un esempio che riporta è la frase “ you had not seen him”: in gallese letterario diventa “ni welsech ef”, in quello colloquiale “’do chi ddim wedi weld o”.9 Tuttavia conclude affermando che il gallese letterario viene utilizzato soprattutto nelle situazioni formali, come trasmissioni radio o televisive, e che nel parlato senza dubbio entra in gioco il background personale del parlante e le scelte fonologiche che decide di adottare.

Attualmente la letteratura gallese è molto attiva e si basa sulle regole grammaticali applicate per la prima volta nella traduzione nel 1588 della Bibbia, norme che poi sono entrate in contatto con le varietà regionali. Partendo da ciò, possiamo dividere quindi il Galles in quattro differenti aree dialettali: Venedotian a nord-ovest, Powysian a nord-est, Demetian a sud-ovest e Gwentian a sud-est.

Per quanto riguarda il contesto sociale di questa lingua, possiamo dire che nonostante il Galles abbia perduto la propria autonomia nel 1282, il gallese nella sua forma letteraria è rimasto invariato ed è stato patrocinato dalla nobiltà locale. Comunque, nel 1536 con l’Act of Union tra Galles e Inghilterra, questa varietà venne eliminata dai settori politici e legali e la tradizione poetica via via andò scemando. Successivamente alla riforma protestante, le scritture e molti libri di preghiera vennero redatti in alcune lingue vernacolari, ciò infatti rappresentò una vera e propria ancora di salvezza per il gallese. La traduzione nel 1588 della Bibbia e del Nuovo Testamento nel 1567, non solo ebbe un forte influsso sul gallese nel settore religioso, ma rappresentò anche un aiuto concreto alla forma standardizzata della lingua e dello spelling, tant’è che nei

9 Fife J., The Semantics of the Welsh Verb, University of Wales Press, Cardiff, 1990.

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secoli successivi questo idioma vide una forte spinta volta alla sua tutela e rivitalizzazione.

Purtroppo però, con la rivoluzione industriale si assistette ad un forte sviluppo di miniere di carbone nel Galles meridionale, al punto da favorire ondate di lavoratori che provenirono da tutto il Regno Unito per lavorare in quest’area. Secondo lo studioso R. O. Jones, fino al 1850 molti lavoratori giunsero dal solo Galles, ma dopo questa data molti dei quali iniziarono a venire da ogni dove. 10 All’inizio i parlanti non gallesi impararono questo idioma per comunicare gli uni con gli altri, ma dal momento che il numero di lavoratori parlanti inglese aumentò, la tendenza si invertì ed iniziò a diffondersi progressivamente l’inglese; a ciò si aggiunse il fatto che questa era anche la lingua della classe governante e dei proprietari dei pozzi. Nel 1847 poi, la “Royal Commission into education” definì il gallese come un ostacolo e una barriera commerciale al progresso, tanto che il suo uso venne ristretto al campo domestico e religioso.

Nel 1962, Saunders Lewis lancia la sua prima trasmissione radio Tynged yr Iaith, in cui sottolinea l’importanza di un’azione di rivitalizzazione del gallese, senza la quale questa lingua sarebbe morta entro il XXI secolo; tutto ciò ha delle conseguenze e porta alla nascita della fondazione Cymdeithas yr Iaith Gymraeg (The Welsh Language Society), la quale ha organizzato nel corso di decenni campagne civili non violente per far ottenere al gallese la stessa dignità letteraria dell’inglese. Queste iniziative si sono incentrate soprattutto sull’istruzione scolastica bilingue, la pubblicazione in gallese di

10 Jones R. O., The sociolinguistics of Welsh, in M. J. Ball, The Celtic Languages, Routledge, Londra, 1993.

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documenti da parte del governo centrale e locale, la realizzazione di segnaletica stradale bilingue, la creazione di una stazione radio e di una rete televisiva in gallese e la diffusione di questa varietà nelle università, e nel settore pubblico e privato. Con l’Acts of Parliament sono seguite nuove riforme e sono nate organizzazioni durature come ad esempio The Welsh League of Youth (Urdd Gobaith Cymru) per la promozione del gallese e la National Eisteddfod (Eisteddfod Genedlaethol) che ogni anno organizza competizioni nel campo dell’arte e si occupa della valorizzazione di attività ricreative e commerciali in tutto il Galles.

Inoltre, solo nel 1967 con il primo “Welsh Language Act”, il gallese è stato riconosciuto come minoranza linguistica, da allora sono stati emanati altri emendamenti ed è stato istituito un Ufficio per la lingua gallese (the Welsh Language Board) e nel 1999 è stata fondata l’Assemblea nazionale del Galles (the National Assembly of Wales), che opera con il consiglio e supervisiona il suo lavoro. Per concludere, possiamo dire che grazie a queste numerose iniziative il gallese viene sempre più parlato e perciò risulta un idioma molto vivo: è anche quello che appare dal censimento del 2001, secondo il quale il numero di parlanti gallese ammonta a 575.168, cifra destinata ad aumentare con il passare del tempo.

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3.5 Le altre lingue del Regno Unito Secondo un articolo del 2005 pubblicato dal The Guardian, solo la città di Londra ospita il più alto numero di realtà sociali, linguistiche e religiose al mondo. 11 Il multilinguismo pertanto è un fenomeno presente da sempre nel Regno Unito, riconosciuto e considerato come tale solo recentemente. Questo non deve essere considerato come un elemento di isolamento, ma bensì come un fattore identitario, culturale, etnico, religioso, in poche parole come eredità e capitale culturale per tutti.

Oltre all’ anglosassone e alle lingue celtiche, si aggiungono nuove lingue, che sono il risultato di migrazioni nel Regno Unito avvenute nel corso dei secoli. Stando al censimento del 1991 dell’Ufficio nazionale per le statistiche, metà della popolazione etnica totale proviene dall’India, Pakistan e Bangladesh, un quarto delle minoranze etniche invece, giunge dai Caraibi creoli e dall’Africa nera, mentre il 15% dei rimanenti si auto inserisce nel cosiddetto gruppo “misto”.

In tutto ciò non dobbiamo nemmeno dimenticarci della comunità cinese del Regno Unito: questa migrazione infatti è un fenomeno recentissimo che ha avuto inizio prima della Grande Guerra ed è continuato negli anni ’70 e ’80 e tuttora sembra inarrestabile.

Altre lingue da considerare poi, sono quelle dei segni e quelle degli immigrati europei e non, insomma, oggi il panorama che si prospetta è più che vario, ma soprattutto rappresenta una ricchezza da tutelare ed esaltare, poiché parte integrante della storia dei cittadini e del Regno Unito e un’eredità da tramandare alle generazioni future.

11 Benedictus L., Every race, colour, nation and religion on earth, in “The Guardian”, 21 gennaio 2005.

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4. Dalle origini dei dialetti francesi alla lingua del Re

Alla base della nascita dei diversi dialetti romanzi in Francia, bisogna senz’altro ricordare l’inevitabile processo di latinizzazione della Gallia che iniziò nel II secolo a.C. con la creazione da parte dei romani della provincia Narbonese, conosciuta ai contemporanei come Provincia, ovvero l’odierna Provence. Nei Commentarii de bello gallico (I, 1), Cesare descriveva la Gallia come un vasto territorio che ospitava tre popolazioni diverse fra loro per lingua, usi e leggi: a nord-est tra la Senna e il Reno vivevano i belgi; a sud-ovest fra la Garonna e i Pirenei c’erano gli aquitani e nella zona centrale, tra la Garonna e la Senna si trovavano i galli. I belgi e i galli parlavano due varietà molto simili tra loro, invece, gli aquitani si servivano di una lingua molto simile all’antico basco.

Nel 27 a.C., Augusto divise a sua volta la Gallia in tre grandi province:

1. La Lugdanese, ovvero la vera e propria Gallia celtica, in cui sorse la città di Lione;

2. L’Aquitania dove si stanziarono quattordici tribù celtiche, area che si estendeva dalla Garonna alla Loira; 3. La Belgica che comprendeva il territorio sulla riva sinistra del Reno fino alla Mosella.

Fu proprio la Gallia Belgica ad essere duramente romanizzata, tuttavia ciò non ostacolò la varietà linguistica dell’alto numero di germanofoni in questa zona, tanto che il gallico si parlò sino all’VIII secolo.

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In generale, il processo di latinizzazione di queste regioni fu un fenomeno lento e disomogeneo: dapprima interessò solo la vita pubblica e poi con il passare del tempo anche il “sermo quotidianus”di tutti i cittadini, adattandosi alle più diverse esigenze comunicative. Il latino in Gallia così non era una più lingua pura, ma bensì un vernicolo fortemente contaminato da elementi linguistici celtici. Tuttavia il processo di omogeneizzazione linguistica del latino venne interrotto da numerose invasioni germaniche a partire dal V secolo. I primi a stabilirsi in Gallia furono i franchi, i visigoti e i burgundi; furono propri franchi a dare origine alla dinastia merovingia e ad istituire i due nuclei del potere: il regno d’Austrasia di lingua e cultura germanica e il regno di Neustria di lingua e cultura galloromanza.

Durante tutto l’ VIII secolo quindi visigoti, ostrogoti e franchi si succedettero in queste regioni, senza mai pregiudicare i dialetti galloromanzi che qui si parlavano. Solo tra l’ VIII e il IX secolo si iniziarono a delineare le prime lingue di Francia: la lingua gallicana o gallice (in francese) designava il francese del Nord, mentre il romanacium era la varietà parlata dagli occitani a Sud. Verso la fine del Duecento si coniarono due espressioni: “lingua d’oïl” per indicare i dialetti o “patois” settentrionali e la “lingua d’oc” per quelli meridionali. Ciascun gruppo linguistico inglobava a sua volta altre varietà dialettali, inoltre, il gruppo di lingua d’oc era separato da quello di lingua d’oïl da una linea immaginaria che attraversava la Dordogna e l’Isle, continuava fino al Limosino e l’Alvernia e raggiungeva il Rodano a sud di Lione, scendendo verso le alpi Cozie e arrivando sino al mare. Questa linea separa ancora oggi i due territori.

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Nel XII secolo, dall’insieme dei dialetti francesi e dal latino, si staccarono pian piano alcuni idiomi, ma con l’estensione del potere del re, si affermò la varietà linguistica della corte parigina, cioè l’antico francese. Dal 1550 al 1600, i re che si succedettero cercarono in tutti i modi di adottare misure a favore della lingua francese. Infatti, poiché la corte era poco abituata alla lettura dei poemi classici, i sovrani francesi diedero una forte spinta all’attività di traduzione in lingua francese, affinché il patrimonio letterario greco e latino potesse raggiungere anche la nobiltà. Per questo motivo si assistette alla sostituzione del latino con il francese in due periodi: in un primo momento, i dialetti si sostituirono al latino, poi nella seconda metà del XIII secolo, il francese prese il posto dei dialetti; alla fine del XIV secolo, la lingua di Parigi si diffuse in tutta la Francia anche se in maniera differente e a seconda delle regioni. Eppure lo sviluppo del francese nell’Esagono venne ostacolata da una serie di più fattori:

- la tradizione letteraria provenzale, protrattasi sino al XV secolo;

- la lontananza di alcune aree rurali dalla corte;

- lo scarso interesse del sovrano di unificare linguisticamente i territori ;

- l’analfabetismo e la mancata volontà della popolazione rurale.

Questa situazione di stallo linguistico continuò fino alla prima metà del XV secolo, fino a quando dopo la Guerra dei cent’anni (1337- 1453) si unirono le province meridionali e si consolidò il potere del sovrano.

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Con l’estensione delle proprietà reali fu urgente la riorganizzazione del regno e la stesura degli usi e costumi tipici del Nord della Francia. Tale redazione venne stilata nell’ordinanza di Montilz-les- Tours (1454), che aveva l’obiettivo di creare un codice comune per i territori riuniti sotto la corona ed era alla base di una serie di riforme per il paese. Attraverso la raccolta e l’enunciazione delle consuetudini locali, la lingua del re acquisì valore e autorevolezza, pertanto la nuova amministrazione eliminò del tutto il latino dalla corte e coinvolse in questo cambiamento anche la magistratura e la borghesia imprenditoriale. Il 15 agosto 1539, a Villers-Cotterêtes venne firmata une « Ordonnance générale en matière de justice et de police » , emendamento che impose l’uso esclusivo della lingua francese e che segnò il passaggio definitivo a tale idioma.

Il 25 gennaio 1635, venne creata l’Académie française dal cardinale Richelieu, il quale portò avanti la stessa politica linguistica del re Francesco I. Con tale progetto si intendeva infatti rendere il francese puro e adatto ad ogni situazione, disciplinandone il lessico e la sintassi e redigendone un dizionario e una grammatica. A differenza della Crusca, l’Académie incoraggiava la diffusione di una lingua chiara e allo stesso tempo priva di termini dialettali o latini. Alla morte di Richelieu, la funzione di protettore dell’Académie venne assunta da i successivi sovrani, ma cosa più importante fu proprio il significato di questo organismo, inteso come <<“corpo simbolico della nazione”, la cui lingua è espressione dell’eccellenza dello Stato>>. 12

12 Principato A., Breve storia della lingua francese. Dal Cinquecento ai giorni nostri, Carocci, Roma, 2000.

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Nel corso del Seicento e del Settecento, per via del progresso scientifico e artistico e le conquiste reali, la lingua francese assunse maggiore prestigio, non solo all’interno dei propri confini, ma anche ben oltre le sue frontiere. Per quanto riguarda la progressione del francese in Francia, occorre dire che il sovrano ampliò i suoi confini e di conseguenza crebbe anche il numero di parlanti di questa lingua. Invece, per ciò che concerne il ruolo di questo idioma all’estero, bisogna soffermarsi su due aspetti: il primo fu proprio l’uso del francese come lingua della diplomazia, tant’è che venne usato in più trattati, il secondo fu il successo del francese come lingua di corte in Europa. Furono proprio le corti che si scoprirono grandi amanti di questa lingua, alcune si fecero addirittura sostenitrici dei philosophes, come Diderot e Voltaire. Alla fine del Settecento si assistette alla Rivoluzione e con essa al tentativo di coinvolgere le masse popolari alloglotte o dialettofone, presupposto fondamentale per diffondere i nuovi ideali. Purtroppo però, il problema di comunicazione con e masse rurali fu difficile da sormontare, sicché si decise di intraprendere due strade. La prima fu la traduzione dei decreti, la seconda fu l’istituzione dell’istruzione elementare in francese, poiché i vari dialetti erano considerati solo come delle preoccupazioni all’unità del stato e degli ostacoli alle idee rivoluzionarie. Pertanto durante il Terrore, i dialetti e le lingue straniere vennero considerate come serie minacce e vennero adottate delle misure al fine di annientarle; la più spietata fu quella dell’abate giacobino Grégoire che sottolineava l’inutilità della traduzione e ipotizzava un’unione tra l’uso del francese e la fedeltà ai valori della Repubblica. Comunque le proposte avanzate da Grégoire si limitarono soltanto alla creazione di una nuova grammatica e questa intolleranza nei confronti dei dialetti fortunatamente durò ancora per qualche tempo.

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Successivamente il Direttorio e il Consolato decisero di adottare una politica linguistica più indulgente e moderata: la divulgazione del francese doveva proseguire con il rispetto delle varietà locali.

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4.1 Il francese dall’Impero al secondo dopoguerra L’arco di tempo che va dal Consolato all’Impero è solo una parentesi di alternanze politico-istituzionali che vide il susseguirsi di due forme monarchiche, una seconda Repubblica e infine, un secondo Impero prima dell’assetto definitivo della Repubblica. In tutto ciò, il francese rimase la sola ed unica lingua ufficiale dello Stato, poiché raffinato e considerato il rappresentante di una tradizione storica illustre. Tuttavia nel corso del XIX secolo, crebbe l’interesse sociale e politico nei dialetti a tal punto che nacque la cosiddetta “dialettologia”; ben presto nacquero anche associazioni e movimenti di tutela sempre più combattivi e forti. Con lo scoppio della Grande guerra i poilus, ovvero i soldati “valorosi” educati nelle scuole riformate da Jules Ferry, furono costretti ad andare a combattere in trincea; qui impararono a comunicare con i commilitoni provenienti da ogni regione francese e quindi a servirsi della “lingua dei capitani”. Coloro che sopravvissero, quando rientrarono a casa, continuarono a parlarla trasmettendola così ai figli: questo fu uno dei fattori che contribuirono alla diffusione del francese. Tuttavia, al termine della Prima guerra mondiale, il francese perse il suo prestigio nel panorama diplomatico mondiale, dato che il testo del trattato di Versailles venne redatto in versione bilingue francese-inglese. Ciò comportò in un primo momento un irrigidimento nei confronti dei patois, poi in un secondo, una serie di iniziatiche locali che si protrassero fino agli anni ’30. Purtroppo però, durante la Seconda guerra mondiale si assistette nuovamente ad una politica repressiva verso i dialetti, sempre più depauperati e influenzati dal tedesco soprattutto nel territorio Alsazia – Lorena. Al suo termine, molti dialetti persero il loro vigore per non parlare poi anche di altre fenomeni che contribuirono in parte a questo

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processo, come lo sviluppo della rete stradale e ferroviaria, la diffusione dei mass media e dell’istruzione.

Senz’altro l’anno decisivo del secondo dopoguerra fu il 1951, quando l’11 gennaio di quello stesso la “legge Deixonne” venne approvata definitivamente in seguito a innumerevoli pressioni pubbliche. Tale legge infatti, non solo riconosceva ufficialmente le lingue regionali, ma lasciava anche facoltativo l’insegnamento dei dialetti nelle scuole primarie e secondarie e non obbligava gli studenti a fare una prova integrativa di lingua regionale all’esame di maturità. La legge Deixonne venne stesa anche al corso nel 1975, al tahitiano nel 1981e alle lingue melanesiane nel 1992 prima di essere sostituita dal Code de l’éducation il 15 giugno del 2000, misura ancora in corso che permette l’insegnamento pubblico di tutte le varietà regionali.

Con Mitterand, si istituirono i ventisei dipartimenti francesi (ventidue metropolitani, quattro d’Oltremare) e con la legge del 2 marzo 1982 le varietà regionali divennero patrimonio culturale. Infine, con la legge Toubon del 4 agosto 1994, si attua una vera e propria legislazione linguistica per la Francia, poiché questa disposizione ha lo scopo di mantenere il francese come un elemento di coesione sociale e uno strumento di comunicazione nazionale. Nonostante questa serie di progressi in campo linguistico e il tentativo di ratifica della Carta europea delle lingue regionali o minoritarie, un passo importante si ebbe con le Assises, le quali prestarono la stessa importanza a tutti gli idiomi minoritari parlati in Francia, nei DOM ( Départements d’outre-mer) e nei TOM (Territoires d’outre-mer). Esse rappresentarono il primo vero dialogo tra il governo e le associazioni di sostegno alle lingue regionali; si delinearono così le cosiddette “langues de France”.

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4.2 Le attuali lingue di Francia Attualmente la Carta è stata firmata da 33 paesi europei, la Francia seppur ha firmato la convenzione, ha deciso di non ratificarla, seguendone alcuni principi e redigendo una propria tabella di lingue minoritarie. Per quanto riguarda l’insegnamento nelle scuole pubbliche o private, può essere bilingue o monolingue; nelle scuole organizzate come associazioni culturali, invece, si pratica la varietà regionale e il francese viene introdotto in seguito. Nella giustizia e l’amministrazione l’unica lingua ammessa è il francese e per quanto riguarda radio e trasmissioni televisive, la diffusione delle lingue regionali è affidata a France 3.

L’odierno panorama della Francia metropolitana è più che vasto e comprende numerosi idiomi, successivamente li prenderemo in esame alcuni.

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4.3 LSF e dialetti dell’Alsazia e della Mosella Spesso tendiamo ad escludere dal quadro linguistico europeo la lingua dei sordi-muti, sempre più usata ed appresa. Anche in Francia quindi, esiste la lingua dei segni francese (LSF). Quest’ultima venne creata e scrupolosamente descritta nella seconda metà del Settecento dall’abate de l’Épée; successivamente raggiunse gli Stati Uniti, e qui si mescolò con il linguaggio gestuale autoctono, formando l’American Sign Language (ASL). A partire dagli anni ’80, alcune associazioni iniziarono a chiedere l’insegnamento bilingue (scritto-segnato) nelle scuole ed oggi, dei nuovi percorsi formativi sono stati attivati in alcune università francesi.

L’alsaziano è un dialetto che proviene dal ceppo germanico denominato Elsässerdeutsch. Attualmente l’Alsazia è divisa, dal punto di vista amministrativo, in due dipartimenti: il Basso e l’Alto Reno, i quali ospitano due aree dialettali differenti: l’alemanno e il francone. L’alemanno presenta a sua volta due varietà: il basso alemanno, parlato dai Bassi Vosgi a Belfort, e l’alto alemanno, parlato a sud di Mulhouse. Anche il francone è suddiviso in due varietà: il francone renano in Alsazia Bossue, e il francone renano meridionale a Wissembourg. Tuttavia, sia i dialetti alsaziani che quelli mosellani non vengono insegnati nelle scuole poiché non hanno goduto della legge Deixonne in passato e si limitano solo alla sfera orale. I dialettofoni sono circa 1.300.000, e si concentrano quasi tutti nell’are rurale del territorio dell’Alsazia.

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4.4 Il Basco e il Bretone La poesia sottostante è stata scritta nel 1900 da Pedro Mari Otaño e si rifà alle sette province basche. La traduzione italiana è a cura dell’associazione culturale Euskara.

Zazpiak bat

Zazpi ahizparen gai dan oihala ebakirikan erditik,

alde batera hiru soineko utzirikan, lau bestetik

guraizeakin berezi arren bakoitza bere aldetik,

ezagutzen da jantzi dirala zazpiak oihal batetik.

Oihaltzat hartu zagun euskera, guraizetzat Bidasoa,

ibai koxkor bat besterik ez da, hutsa balitz itsasoa:

elkarren hurbil daude zazpiak, muga deitzen da Pausoa,

zergatik izan behar ez degu family bakar osa (…)?

Le sette in uno

Stoffa per sette sorelle tagliata a metà,

lasciando tre vestiti da una parte, quattro dall’altra

anche se le forbici le hanno separate,

si vede che son fatte della stessa stoffa.

Prendiamo la lingua basca per stoffa e il Bidasoa per forbici,

non è altro che un fiumiciattolo, come fosse un mare vuoto:

le sette son vicine l’un all’altra, la frontiera viene chiamata Passo,

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perché non dovremmo essere un’unica famiglia intera?

Il basco non è una lingua indoeuropea, pertanto si pensa che sia l’unico idioma sopravvissuto di una famiglia di varietà parlate nell’Europa occidentale ed estintesi dopo le invasioni indoeuropee.

Oggi la lingua basca o euskera è parlata nella regione dei Pirenei Atlantici e al di là di quest’ultimi, nella Comunità autonoma basca in Spagna e nella Comunità forale di Navarra.

A supporto dell’euskera esistono un Istituto culturale basco e un’Accademia della lingua basca, nata nel 1919 e riconosciuta in Francia pubblicamente nel 1995. Dal 1951 il basco gode della legge Deixonne e il suo insegnamento nelle scuole pubbliche viene disciplinato e tutelato da una federazione di associazioni, la Seaska, e l’istituto pedagogico Ikas. Ma un’altra iniziativa molto innovativa è stata senz’altro quella avanzata dalla nota multinazionale Microsoft. Microsoft, infatti, sostiene un’apposita campagna, chiamata “Klik egin euskarari” , affinché più persone possibile installino le interfacce in euskera sui propri prodotti. Questo progetto, nato dalla collaborazione con il Dipartimento di politica linguistica della Comunità autonoma basca, è facile e pratico da attuare: basta andare sul sito Internet ufficiale di Microsoft e scaricare gratuitamente dalla specifica pagina i programmi in lingua euskera.

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Per quanto riguarda il bretone, invece, presentiamo alcune espressioni in lingua bretone, detta anche brezhoneg.

Degemar mat Benvenuti Breizh Bretagna Da bep lec’h Centro della città Skil-veur Università Kenavo Arrivederci

Il bretone è una lingua celtica parlata ad ovest nel dipartimento del Finistère, e in parte in quelli di Morbihan e delle Côtes d’Armor. Il brezhoneg si suddivide in altri quattro dialetti: il léonais (dialetto del Léon, vicino a Brest), il trégorois (nei dintorini di Lannion), il cornouaillais (dialetto della Cornovaglia bretone, nei dintorni di Quimper) e il vannetais (dialetto di Vannes). I linguisti hanno unificato i primi tre dialetti ad attualmente formano il KLT, impiegato dai mass media e nell’insegnamento, che giova del supporto delle scuole associative Diwan.

I parlanti bretoni sono ad oggi 240.000 ma ben 370.000 sono in grado di comprenderlo. Vanno menzionati anche il Conseil culturel de

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Bretagne e l’Institut culturel de Bretagne, che si occupano della salvaguardia e diffusione del brezhoneg.

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4.5 Il Catalano e il Corso Il catalano è parlato nel dipartimento dei Pirenei Orientali (Rousillon) in Francia, ma anche nella penisola iberica. Ecco alcuni esempi che mostrano la pronuncia e la complessità di questa varietà.

• Catalano: Català /kətəˈla/

• Ciao: hola /ˈɔlə/

• Arrivederci: adéu /əˈðew/ (sing.); adéu-siau /əˈðewsiˈaw/ (pl.); a reveure /ərəˈβewrə/

• Per favore: si us plau /si(w)sˈplaw/

• Grazie: gràcies /ˈgɾasiəs/; mercès /mərˈsɛs/

• Mi scusi: perdó /pərˈðo/, Em sap greu /am'sáp greu/

• Non lo capisco: No ho entenc /ˈnowənˈteŋ/

• Dov'è il bagno?: on és el bany? /ˈonˈezəlˈβaɲ/; on és el lavabo? /ˈonˈezəl:əˈβaβu/

• Parli italiano?: Parles italià? /ˈparləzitəliˈa/

• Parli catalano?: Parles català? /ˈparləskətəˈla/

Il catalano è una lingua indoeuropea proveniente dal ceppo delle lingue romanze occidentali. Questo idioma beneficia della legge Deixonne e pertanto viene insegnato nelle scuole primarie e secondarie dell’area interessata, è pienamente codificato e gode di un proprio dizionario. Dei 340.000 abitanti francesi del dipartimento dei Pirenei Orientali, quasi la metà è in grado di parlarlo.

Questa lingua è molto diffusa nel settore della stampa ( circa dieci quotidiani, trenta settimanali e cento riviste sono in catalano) e dei mass

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media (quattro sono i canali completamente in lingua), inoltre, la principale televisione, Canal nou, trasmette programmi solo in catalano.

Va ricordato anche il Voluntariat per la llengua (“Volontariato per la lingua”) che mette in contatto persone che desiderano imparare il catalano con altre che già lo sanno, le quali si offrono come volontarie per fare conversazione in tale idioma. Questa idea, semplice e poco dispendiosa, si prefigge lo scopo di responsabilizzare in prima persona i cittadini riguardo il futuro della propria lingua e di interessarli nell’attività linguistica del proprio paese.

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Il corso appartiene al sottogruppo delle varietà italo – romanze, inoltre, è possibile distinguere due aree dialettali: il supranu, dialetto settentrionale, e il suttanu, dialetto meridionale. Dal 16 gennaio 1974, la lingua corsa rientra nella legge Deixonne e con la legge del 13 marzo 1991, n. 428, sullo statuto e la collettività territoriale della Corsica, sono state intraprese nuove misure per tutelare la cultura e la lingua isolana.

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4.6 La lingua d’oc e il fiammingo occidentale “Denant de ma fenestra” è l’inno del popolo occitanico ed è una canzone d’amore attribuita da alcuni studiosi al conte e visconte Gaston

Phoebus.

Denant de ma fenestra Davanti alla mia finestra i a un aucelon c’è un uccellino tota la nuech chanta tutta la notte canta chanta sa chançon canta la sua canzone

Se chanta, que chante Se canta, che canti chanta pas per iu non canta per me chanta per m’amiga canta per la mia amica qu’es da luenh de iu che è lontana da me

Aquelas montanhas Quelle montagne que tant autas son che sono tanto alte m’empachon de veire m’impediscono di vedere miei amors ont son dove sono i miei amori

Se chanta (…). Se canta ...

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La lingua d’oc o occitanico è la più insegnata nell’Hexagon, parlata in più di trenta dipartimenti, e la più praticata dagli studenti, distribuiti nei vari gradi di istruzione. Chiamata anche lingua provenzale alpina, l’occitanico è una varietà galloromanza distribuita presso le Alpi Cozie e Marittime, essa delinea una regione, l’Occitania, che si identifica con la Francia meridionale o Midi.

L’occitano comprende a sua volta altre varietà che vengono tutte tutelate dalla legge Deixonne. I massa media contribuiscono notevolmente alla sua diffusione, basti pensare ad alcune radio come Radio Occitania o radio Lenga d’Oc, alla televisione che emette telegiornali e trasmissioni su alcuni canali, o alla stampa che si occupa della pubblicazione di quotidiani o annuali in occitano. Inoltre, dal 1945 l’Istituto di studi occitanici attua misure a tutela di questo idioma, non mancano poi organizzazioni e iniziative che cercano di stimolare sempre più giovani ad usarlo.

Curiosa è anche la variante di occitano della Vall d’Aran, l’arenese, parlato principalmente in Catalogna, presente anche in alcune valli piemontesi (province di Piemonte e Torino) e a Guardia Piemontese in Calabria. La Vall d’Aran è l’unico territorio dove l’occitano ha acquisito lo status di lingua ufficiale, accanto al catalano e castigliano.

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Il fiammingo occidentale o West- Vlaams è un dialetto dell’olandese, parlato nell’estremo nord della Francia, nelle campagne vicino a Dunkerque e Bailleul. Non è noto il numero attuale dei parlati, e i tentativi di ridestare la pratica del fiammingo non hanno prodotti i risultati tanto sperati. Tuttavia, esistono corsi scolastici che vedono l’insegnamento di tale idioma che vengono generalmente affiancati dallo studio dell’olandese, lingua ufficiale dei Paesi Bassi.

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4.7 Il francoprovenzale e le lingue non- territoriali

Il francoprovenzale o francoprovençâl è una lingua in forte calo che sta scomparendo del tutto dal panorama linguistico mondiale. In Francia è parlato nei dipartimenti dell’alta e Bassa Savoia, dell’Ain, del Rodano, della Loira, dell’Isère, del Jura e a sud della Saône-et-Loire, in Svizzera romancia o romanda e in Italia in alcune valli alpine e a Faeto e Celle San Vito in Puglia.

Esistono diversi istituti e in particolare, il Centre d'études francoprovençales "René Willien" di Saint-Nicolas, il BREL (Bureau Régional pour l'Ethnologie et la linguistique, ovvero l'Ufficio regionale per l'etnologia e la linguistica della Regione autonoma Valle d'Aosta) organizza annualmente il Concours de Patois (concorso di dialetto) Abbé Cerlogne. A partire dalla prima edizione del 1963, il concorso coinvolge numerosi alunni di ogni grado della Valle d'Aosta e recentemente anche scolaresche della Savoia, del Vallese, delle valli arpitane del Piemonte e delle comunità Francoprovenzale di Celle di San Vito e Faeto in provincia di Foggia. Lo scopo è quello di far rivivere ai bambini il passato attraverso l’analisi di video, documenti e foto.

Oltre a ciò, dal 2004 opera la l’ACA (Fédération Internationale de l’Arpitan) la quale ha come scopo quello di rivitalizzare questo idioma che è una varietà del provenzale in Francia, Italia e Svizzera. Pertanto ha creato apposite pagine Internet dove è possibile scaricare file, documenti e immagini, rendendole accessibili a tutti, per promuovere questa lingua e il suo uso.

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Per lingue non- territoriali si intendono l’arabo magrebino, il berbero, l’armeno, la lingua dei rom e lo yiddish. Queste lingue sono parlate per lo più nelle cosiddette banlieues (periferie), tant’è che l’arabo e l’armeno sono lingue ufficialmente riconosciute e vengono insegnate in alcune scuole e associazioni culturali; mentre la lingua dei rom e lo yiddish no.

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4.8 Le altre lingue della Francia d’oltremare Per capire la situazione linguistica della Francia d’oltremare occorre ricordare brevemente l’espansione coloniale francese avvenuta in due fasi. La prima, detta “course aux épices”, iniziò nel 1534 e si concluse nel 1763 con la Guerra dei sette anni; la seconda, denominata “imperialistica”, ebbe inizio nel 1830 con l’occupazione dell’Algeria e terminò nel 1930. Durante la prima fase i francesi si concentrarono nell’area americana-caraibica e in quella a est del Madagascar, invece, durante la seconda in Africa e nell’Est Asiatico. Come risultato di una forte politica imperialistica si ebbe la nascita di un impero, composto da territori che ancora oggi hanno forti legami commerciali e politici con la Francia metropolitana, i DOM, i TOM e le collettività territoriali.

I DOM (départements d’outre-mer) comprendono la Guadalupa isola dell’Atlantico), la Guiana francese (in America Latina), la Martinica, la Riunione (isola dell’oceano Indiano). Di conseguenza, la legislazione francese viene applicata a questi dipartimenti che allo stesso tempo fanno parte dell’Unione Europea. In generale, si parla il creolo a base francese.

I TOM (territoires d’outre-mer) includono la Nuova Caledonia (oceano Pacifico), Polinesia francese, isole Wallis e Futuna (oceano Pacifico) e le Terre australi e antartiche francesi (TAAF) composte da quattro distretti: le isole San Paolo e Amsterdam (oceano Indiano), le isole di Kerguelen (oceano Indiano), le isole Crozet (oceano Indiano) e la Terra Adelia (Antartide). Questi territori fanno tutti parte della Repubblica francese ma non dell’Unione; le lingue qui parlate non hanno alcun legame con il francese, perciò la popolazione parla tutte varietà appartenenti alla famiglia austronesiana. Sono state create otto “aree

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linguistiche consuetudinarie” (aires coutumières), ciascuna dotata di un Consiglio che ha la capacità di statuire riguardo la questione della lingua e della cultura. I parlanti di queste otto aree sono plurilingui e nessun dialetto è più prestigioso degli altri.

Infine, ci sono le collettività territoriali, le quali comprendono l’isola Mayotte (oceano Indiano) e le isole Saint-Pierre e Miquelon (oceano Atlantico), quest’ultime sono amministrate da un Consiglio generale, mentre un prefetto rappresenta il Governo francese. Anche qui si parlano della varietà appartenenti alla famiglia austronesiana e il mahoriano, a base araba.

Anche i DOM e i TOM sono stati interessati dall’attività legislativa tesa alla tutela delle loro specificità linguistiche. Infatti, con il decreto del 12 maggio 1981 la legge Deixonne venne stesa al tahitiano; e con la legge del 2 agosto 1984, vennero concesse ai DOM le stesse facoltà riconosciute alle collettività territoriali metropolitane. Tutto ciò venne rafforzato da un’aggiuntiva estensione della legge Deixonne alle varietà kanak: ovvero l’ ajië, il drehu, il nengone e il paicî. Nel corso degli anni vennero emesse anche altre leggi in favore degli idiomi dei vari territori; ad esempio, la legge del 27 marzo 1993 venne emanata per tutelare le canzoni, le trasmissioni televisive francesi o regionali nei DOM.

Oggi, le trasmissioni radiofoniche sono divulgate in tutto l’Esagono dal Réseau France Outre-mer (RFO) e Radio France Internationale (RFI) che diffonde un programma settimanale in creolo. Gli spettacoli televisivi d’informazione e d’intrattenimento oscillano dalle 2-3 ore (mahoriano) a 40 ore (creolo guianese) settimanali. Al

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momento bisogna solo attendere che altre misure di tutela vengano emanate e messe in pratica per tutte le lingue delle ex colonie francesi, sempre più note per la prestigiosa produzione letteraria.

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CONCLUSIONE La società delle Nazioni Unite, nata nel 1919, diede vita ad un programma di tutela delle minoranze linguistiche, focalizzandosi però solo sui diritti dei singoli individui e non su quelli delle minoranze intese come soggetti giuridici. Dopo la Seconda guerra mondiale e gli orribili crimini commessi in nome della religione e della razza, il quesito delle minoranze etnico- linguistiche si presentò subito agli occhi degli autori della Carta delle Nazioni Unite, che imposero a tutti gli stati il diritto universale all’uguaglianza e alla non discriminazione sulla base della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo. Nel 1947 venne creata una sottocommissione per i diritti dell’uomo, volta a sconfiggere ogni forma di discriminazione e a definire i diritti dei gruppi minoritari. Nel 1960 la Convenzione sulla lotta contro le discriminazioni nel campo dell’insegnamento, adottata dall’UNESCO, individuò per la prima volta i diritti linguistici delle minoranze e la loro legittimità giuridica.

Tuttavia la tappa più significativa nel percorso delle misure messe in atto dal Consiglio d’Europa, si è avuta senz’altro con la creazione della Carta europea delle lingue regionali e minoritarie, approvata dalla Conferenza permanente dei poteri locali e regionali, dall’Assemblea consultiva e dal Consiglio dei ministri nel 1992, questo documento pertanto presenta gli impegni che tutti gli stati sono obbligati a garantire per lo sviluppo dei diritti linguistici e culturali delle minoranze storiche europee nell’ambito della giustizia, dei mezzi di comunicazione, dei servizi pubblici, dell’amministrazione e dell’attività culturale, economica e sociale di ogni singolo paese. Inoltre, il lavoro del Consiglio europeo non si è limitato a ciò, infatti nel 1994 ha elaborato anche un’altra Convenzione quadro per la salvaguardia delle minoranze nazionali.

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D’altro canto, il Parlamento europeo ha adottato altre iniziative e dal 1987 una Risoluzione sulle lingue e le culture delle minoranze regionali ed etniche della comunità europea è in vigore.

Insomma, oggi la diversità linguistica rappresenta per l’Europa una vera e propria prova, ardua ma anche stimolante. Il multilinguismo è una realtà ormai sempre più attuale ed innegabile, per questo dobbiamo riflettere sui concetti di integrazione europea e di dialogo delle culture; solo così facendo la società può arrivare ad apprezzare e a capire l’importanza e la necessità della diversità culturale, linguistica, etnica e religiosa, e soprattutto i vantaggi che comporta, garantendo un modello di riferimento indispensabile ad una società sempre più caotica e omologata.

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ENGLISH SECTION

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INTRODUCTION

Everyone knows that English is the official language of the UK, but often we forget about other languages that exist in the British Isles and are presently studied and recognized as real idioms. Their origins are secular and they are actually at the basis of the current registers and linguistic diversities.

Firstly in this section, we will analyze a brief linguistic outline of English, taking into account some factors and periods of time.

Secondly, we will focus on the recognized minority languages of the British Isles, namely: Scottish Gaelic, Irish and Welsh; therefore, we will study their morphological peculiarities, their historical and linguistic development over the centuries and the initiatives in order to preserve them.

Thirdly, we will concentrate on other idioms, which are the result of recent migrations. In conclusion, a series of measures and conventions launched by several bodies will be properly explained and analyzed.

More in general, this section has the objective to get you hooked on some linguistic minorities and try to make you understand the importance of this great cultural heritage.

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1. Minority languages in the UK

During the last nine centuries, the English language has been subjected to a great number of grammatical changes and variations, more than any another European language. Its origin is attributable to the Germanic branch of the Indo-European family of languages.

In 55 BC, the 10th Roman legion arrived in the UK, causing not only a political and social upheaval, but also a linguistic transition, involving all the Celtic languages which were spoken in the British Isles at that time. Historians affirm that Romans established permanently in the UK only in AD 43; in fact, their settlement lasted for five centuries, since one of the main goals of Caesar’s policy was to invade Gaul.

Nevertheless, Latin came into contact with other Celtic idioms that were very similar to each other because of their phonological characteristics. However, they are still spoken today in some areas: Cornish in Cornwall, Welsh in Wales, Manx in the Isle of Man, Scottish Gaelic in Scotland, Breton in Brittany and Irish in Ireland.

Over time and with the extended power of Rome, Celtic languages were replaced by Latin and its morphological peculiarities, in fact its influence is still visible today in some English constructions and names of places or people; therefore, in a short time Latin became the common language for everyone in the UK.

The English language started to spread all over the Isles in AD 449, when the Angles, Saxons and Jutes from the northwest of the European continent, settled in Britain. They carried a wide range of Germanic dialects, hence all those dialects spoken on the British soil started to constitute the so-called “Old English” (or Anglo- Saxon). The term

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“English” appeared for the first time only at the end of the ninth century to refer to this new idiom. Anglo-Saxon dialects arrived very soon in many eastern and central island territories, reaching even those kingdoms where Celtic (or “Cymric”) is still in use today.

However, since then English has continued to substitute Celtic dialects (some of them have disappeared) and has undergone further syntactical, morphological and lexical shifts.

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1.1 The evolution of English We can briefly sum up the evolution of English in three different historical periods:

I. The Old English period starts with the first Anglo-Saxon settlements in Britain and lasts until the Norman Conquest (1100-1150). II. The transaction from the Old English to the Middle English period begins with the first written texts in the earliest Middle Ages and lasts until the fifteenth century. III. The shift from Middle English to Modern English goes from the eighteenth century to the present day; this period is considered to be more vague because the majority of changes initially occurred in the spoken language and then in the written form.

Despite the fact that English is the main vehicle of communication among people in the UK, some minority languages still persist and they are solidly entrenched, i.e. Scottish Gaelic, Irish and Welsh, that are currently being used by thousands of people.

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1.2 Standard English Currently the definition of “ Standard English” is at the centre of a lively debate among linguists; nevertheless, some of them support the idea that Standard English is the language linked to the so-called “Received Pronunciation” (standard pronunciation). We also have to keep in mind that a “Standard” English accent does not exist, considering that there are many accents and pronunciations and they are all correct. More in general, we can say that Standard English is the spoken language lacking in regional accents and it is based on written norms. Thus, it is taken as an example in the education field, due to the high number of speakers who regularly use it. Often this concept is connected to “non-Standard English” that has a negative connotation because it can be associated with an incorrect or inadequate use of the language in a certain context. Therefore, when we talk about non- Standard English, we simply refer to a dialect or a language that is not based on adopted norms or standards. An example of non-Standard English in the spoken language is the double negative: “I won’t use no double negatives.” 13

13 Bart Simpson, The Simpsons, 1999, from the website (Consulted on 24 July 2017).

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2. Scottish Gaelic

“Cànan nan Gàidheal” is a typical song written by Murdo MacFarlane and arranged by Billy Jackson. It tells us the story and the origins of the Gaelic language. MacFarlane, who came from the Isle of Lewis, was a poet and an activist for the spread and the maintenance of the Scottish Gaelic idiom. Moreover, during the ‘70s he composed many poems, songs and melodies for bagpipes, in order to support and encourage the movement for the revival of his native language.

Canan nan Gaidheal

Cha b'e sneachda 's an reothadh o thuath Cha b'e an crannadh geur fuar on ear Cha b'e an t-uisge 's na gaillionn on iar Ach an galar a bhlian on deas Blàth, duilleach, stoc agus freumh Cànan mo threubh is mo shluaidh

Thig thugainn, thig cò' ruim gu siar Gus an cluinn sinn ann cànan nam Fèinn Thig thugainn, thig cò' ruim gu siar Gus an cluinn sinn ann cànan nan Gàidheal

Nuair chithear fear fèilidh 's a' ghleann Bu chinnteach gur Gàidhlig a chainnt Nuair spìon iad a fhreumh às an fhonn An àite Gàidhlig tha cànan a' Ghoill

101

Is Ghaidhealtachd creadhal nan sonn 'S tìr "mhajors" is "cholonels" 'n-diugh innt' (…).

The language of the Gaels

It was not the sharp, cold blasts from the east

It was not the rain and the storms from the west

But the disease from the south that has starved

The bloom, foliage, stalk and root

Of the language of my race and my people.

Come with us, come with me to the west

Until we hear the language of the Fein

Come with us, come with me to the west

Until we hear the language of the Gael

When a kilted man was seen in the glen

It was certain that Gaelic was his language

But they have torn his roots from the ground

In place of Gaelic is the Lowlander’s language

And the Highlands, cradle of heroes

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Today is the land of majors and colonels (…).14

Scottish Gaelic is a Celtic idiom belonging to the Gaelic or “Goidelic” branch, closely connected to Irish and Manx; in fact, it shares several lexical and grammatical structures with both idioms. The typical structure of a sentence is VSO (verb-subject-object); in the majority of cases, adjectives follow the nouns which they qualify (just like in English) and the adverbs are generally composed by adding the prefix “gu-” before the corresponding adjective. There are only ten irregular verbs and the verb “to be” can have two different forms: the first one is “Bidh!” and it is used for referring to statements and it can be combined with the present participles of other different verbs to form other tenses. The second one has at the same time two emphatic forms: “is”, used for present or future situations, and “bu” used for all past tenses. These two verbs can be combined with many prepositions and pronouns, so they generate a wide array of idiomatic expressions.

The origin of the Gaelic language and the Kingdom of Scots have a connection with the relocation of Dal Riata Kingdom, from the current Antrim county into the western part of Argyllshire in the fifth century AD. During the Kingdom of Malcom III (1054-96), Gaelic lost its supremacy at court and in the Lowlands because of a settlement of a group of English speakers in eastern and central Scotland. Thereafter, Norse groups arrived in the Highlands and Islands bringing with them the Norn language. When this latter disappeared, it had already

14 Cànan Nan Gàidheal from the website (Consulted on 29 August 2017).

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influenced the northern dialects and the Scottish literature of that time. From the late fifteenth century to the eighteenth century, a great quantity of acts were adopted to promote English, firstly among the Gaelic aristocracy, and secondly among the population. Unfortunately, during this period there were also some bans on the use of Gaelic and on the habits connected to it. At the end of the eighteenth century, the Gaelic idiom regained its value and spread again all over the Highlands and the Hebrides and Clyde Islands, mapping out the Gaelic speaking-area or the “gaidhealtachd”. Since the nineteenth century, a big flow of Gaelic speakers from the Highlands and the Islands moved to Nova Scotia; meanwhile the popular voluntary Gaelic School system was established: its aims was to safeguard and promote this native language. In spite of several attempts to give Gaelic the fair literary recognition, it survived only as an oral form until the twentieth century, chiefly thanks to religious rites, Presbyterian churches and the Bible.

After World War II, the number of Gaelic speakers decreased; according to the last census, households generally speak English and among teenagers the use of Gaelic is minimum. All this is a wake-up call for everyone, so for this reason thousands of Gaelic citizens have mobilized some bodies to protect this idiom. The main Gaelic language organization is “An Comunn Gaidhealach” (“The Highlands Association”) and it has been working in the educational, publishing and cultural fields for years. In 1897, The National Gaelic Arts Project (“Pròiseact nam Ealan”) was created for encouraging artistic and cultural initiatives and in 1986 a Scottish Office was established to grant funds for Gaelic. In the ‘70s, a television community, called Sùil, was an inspiration for young Scottish talents as it gave importance to new

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television companies of the Gaidhealtachd area, thus intensifying this sector. Other measures were the introduction of Gaelic in the primary schools of the Highlands and the possibility to get a double degree in some universities within the Gaelic-speaking area. Last but not least, nowadays it is also possible to watch some shows in Gaelic thanks to some channels of BBC2 Scotland.

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3. Irish

“The Raid” is an Irish song composed by the Irish choral group “Anùna”, which became very successful after its participation at the “Riverdance” show in the ‘90s. The founder of the group is the Irish songwriter Michael McGlynn, who also invented the word “An Uaithne” which stands for a lullaby, a cry of sorrow and a happy song. Today this Irish chorus plays this kind of music everywhere and reinterprets medieval and traditional songs written and arranged by Michael McGlynn.

The Raid

Dirgidh bhar sleagha sealga

Lé a ngonmaois fearba fíre

Dirgidh bhar sleagha sealga

Mar do bhámar re gaiseadh

Ní dhénmaois aistear aoíne

Dirgidh bhar sleagha sealga

Seólaidh bhar mbolcca corra

Go borraibh loma lochlainn ...

Lé bhar gcraoísreachoibh go ndaígne

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Ro gonsam Ráighni roscmall

Dirgidh bhar sleagha sealga

Mar do bhámar re gaiseadh

Ní dhénmaois aistear aoíne

Dirgidh bhar sleagha sealga

Seólaidh bhar mbolcca corra

Go borraibh loma lochlainn ...

Dirgidh bhar sleagha sealga

Lé a ngonmaois fearba fíre

Dirgidh bhar sleagha sealga up your hunting spear

Mar do bhámar re gaiseadh

Ní dhénmaois aistear aoíne

Dirgidh bhar sleagha sealga

Seólaidh bhar mbolcca corra

Go borraibh loma lochlainn.

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The Raid

Raise up your hunting spear

With which we injured the white deer

Raise up your hunting spear

When we were at war

We did not fast on our journey

Raise up your hunting spear

Sail the round hulls of your ships

To the barren lands of Lochlainn ...

With our great lances

We killed slow Raighne

Raise up your hunting spear

When we were at war

We did not fast on our journey

Raise up your hunting spear

Sail the round hulls of your ships

To the barren lands of Lochlainn ...

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Raise up your hunting spear

With which we injured the white deer

Raise up your hunting spear

When we were at war

We did not fast on our journey

Raise up your hunting spear

Sail the round hulls of your ships

To the barren lands of Lochlainn.

However, considering some social, historical and political evidence, some linguists declare that Irish has developed over four stages:

1. Old Irish (500-900)

This type of Irish was already spoken in Ireland during the early centuries of the Christian era; it was brought here by some Celtic groups that emigrated from . However, the first written sources date back to the fifth and sixth centuries. At the beginning of the sixth century, Irish speakers began to colonize the western coasts of Scotland and then, they expanded towards the eastern areas. This colonization was solidified by Irish monks, who set up a strong network of Christian monasteries throughout Scotland. In a short time, Irish became the prevailing language not only of Ireland but also of Scotland.

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2. Middle Irish (900-1200)

During the tenth century, some Norse groups settled in Scotland as well as in Ireland, so they brought many cultural and linguistic changes that were at the basis of modern Irish.

3. Early Middle Irish (1200-1600)

In this period Irish is the predominant idiom in Ireland; Norse linguistic traits were preserved and passed down thanks to literary tradition.

4. Modern Irish (1600- nowadays)

By the early seventeenth century, the English system of land tenure seized many ancient Irish families by their lands, introducing a new language and a high number of English speakers. At the end of the eighteenth century, middle and lower middle classes were subjected to the social and economic pressures of the English kingdom that fostered a language shift in urban areas and in the western and eastern hinterlands. Other factors which contribute to the standardization of Modern Irish were the famine crops of the nineteenth century and the two world wars.

Today, Modern Irish can be considered an Indo-European language and for this reason, it shares many features with this family; but at the same time, it has some unique and original characteristics, for example: there is no infinitive, nouns vary with case and the typical order of a sentence is VSO (verb-subject-object). We can use two forms to express “to be”, usually known as the substantive verb and the copula, this latter is used to coin concepts and definitions; the substantive form is used to speak out about position, time, condition. There is no a standard

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pronunciation and the vowel system consists of seven short vowels, six long vowels and two diphthongs. The consonantal system, instead, has two groups of consonants: palatal and non-palatal. The most significant change is lenition: a reduction in the articulation of all intervocalic consonants.

As for the protection and promotion policy of Irish, we can say that it is taught mainly as a singular subject and is a fundamental requirement to enter the National University of Ireland. Moreover, from the ’20s to the ‘50s a new package of measures was launched in order to standardize and modernize this language: starting from the publications of documents in Irish to radio and television programs and many others. Suffice it to think that the range of measures included in this strategy was very broad, ambitious and severe, considering the fact that many regions actually requested to gain their independence.

In 1922, the Parliamentary Translation Office was created with the objective of translating documents from English into Irish; in 1958 and in 1959 the first Irish grammar and the first English-Irish dictionary were published, also incorporating the new standard Irish forms and expressions.

However, the number of Irish speakers is quite high: according to the last census of 2011, about 50% of Irish speakers reside in the Leinster region (including Dublin) and 14% of the respondents use it daily. Outside the Gaeltacht area, Irish speakers are scattered everywhere, marking a quite uneven and confused linguistic context.

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This is the regional map of Ireland.

Even in Northern Ireland, Irish is spoken and taught regardless of the strenuous tug-of-war between the Irish (mostly Catholics) and the English nationalists (mostly Protestants) which has been going on since 1922.

In conclusion, we can state that in this region the official language is English and since 1989 Irish has been considered a foreign language in secondary schools on an equal footing with French and German. It can be learnt through several educational activities promoted by the pro-Irish associations and initiatives.

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4. Welsh

“Hen Wland fy Nhadau” is the national anthem of Wales, written by Evan James and his son James James, both native of the Welsh of Pontypridd.

MAE HEN WLAD FY NHADAU

Mae hen wlad fy nhadau yn annwyl i mi,

Gwlad beirdd a chantorion,

enwogion o fri;

Ei gwrol ryfelwyr,

gwladgarwyr tra mâd,

Dros ryddid gollasant eu gwaed.

Cytgan

Gwlad, gwlad, pleidiol wyf i’m gwlad.

Tra môr yn fur i’r bur hoff bau,

O bydded i’r hen iaith barhau.

Hen Gymru fynyddig, paradwys y bardd,

Pob dyffryn, pob clogwyn, I’m golwg sydd hard;

Trwy deimlad gwladgarol, mor swynol yw si,

Ei nentydd, afonydd, i mi.

Gwlad, gwlad … (ecc.)

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Os treisiodd y gelyn fy ngwlad tan ei droed,

Mae hen iaith y Cymry mor fyw ag erioed,

Ni luddiwyd yr awen gan erchyll law brad,

Na thelyn berseiniol fy ngwlad.

Gwlad, gwlad … (ecc.)

THE LAND OF MY FATHERS

The land in which poets and minstrels rejoice;

The land whose stern warriors were true to the core,

While bleeding for freedom of yore.

Chorus

Wales! Wales! Fav’rite land of Wales!

While sea her wall, may naught befall

To mar the old language of Wales.

Old mountains Cambria, the Eden of bards,

Each hill and each valley, excite my regards;

To the ears of her patriots how charming still seems

The music that flows in her streams.

My country tho’ crushed by a hostile array,

The language of Cambria lives out to this day:

The muse has eluded the traitors’ fouls knives,

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The harp of my country survives.

Welsh or “Cymraeg” is a Celtic language, deriving from the Brythonic group of languages, as well as from Cornish (basically extinct in the early nineteenth century, but still spoken by some enthusiasts) and Breton (actually spoken in Brittany). In accordance with the census of 2003, this language is the liveliest of the modern Celtic languages spoken today, and it is also the most active due to the high number of speakers.15

As for grammar, Welsh only has a definite article that has three forms. There is a large set of singular nouns used to form plural ones that are divided into two genders: masculine or feminine. There is also a great variety of personal pronouns: emphatic, conjunctive and possessive pronouns. There are some exceptions and numerals 2-4 go hand in hand with gender, whereas, the numeral 1 changes for feminine but not for masculine nouns. The indicative form consists of four tenses, the subjunctive has two tenses, and the imperative form has one tense. The passive voice does not exist, but every tense has its impersonal form; the verb “to be” (bod) is irregular, and so it has more tenses than regular verbs as well as many morphological variants that define the subject.

There is even the so-called “mutation” phenomenon, that is a phonological change of the initial consonant of a word because of a specific situation. There are three main consonant variations: lenition, nasal mutation and aspirate mutation or spirantisation. To conclude, the

15 National Statistics Online from http://www.statistics.go.uk/downloads/cxensus2001/Report_on_the_Welsh_language.pdf, (consulted on 1 August, 2017).

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typical sentence structure is the following: VSO (verb-subject-object); a range of preverbal particles is also common to form questions and negatives; some of these are usually omitted in the spoken language.

James Fife, the Welsh linguist, in his plays explains the phonological, morphological, lexicon and syntactic differentiations between literary Welsh and various regionally colloquial registers. An example is the sentence “you had not see him”:

Literary: ni welsech ef;

Colloquial: ‘do chi ddim wedi weld o. 16

This is why J. Fife points out literary Welsh is generally used in formal situations, such as TV shows or radio programs, whereas, the regional colloquial register is used in the spoken form.

Nowadays, literary Welsh is very active and it follows the grammatical rules written for the first time in the translation of the Bible in 1588. As for the social background of Welsh it is important to note that despite the fact that Wales lost its independence in 1282, the language in its literary form has been supported by the local system. However, in 1536 the Act of Union signed between Wales and England, established that Welsh had to be eliminated from legal and political sectors and consequently the poetic tradition deteriorated. After the Protestant Reformation, many scriptures and prayer books were translated again into some vernacular languages, this was a real lifeline to Welsh. The translation of the Bible in 1588 and that of the New Testament in 1567 helped this idiom to become standardized.

16 Fife J., The Semantics of the Welsh Verb, University of Wales Press, Cardiff, 1990.

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Unfortunately, during the Industrial Revolution many coal fields were built across the south valleys of Wales, therefore many workers coming from other areas of Wales, settled here. For the linguist R. O. Jones, after 1850 many workers came from outside Wales, so they brought their language and habits17 with them. Initially non-Welsh speakers learnt Welsh to communicate with one other; as the number of English speakers increased, there was a slow shift and English became the most widespread language; in addition, it was the idiom of the pit owners and of the aristocracy. Moreover, in 1847 the Royal Commission into education banned Welsh because it was considered an obstacle and an economic barrier to the commercial progress of the country; in substance, the use of Welsh was restricted to home and religious rites.

Nevertheless, in 1962 Saunders Lewis, the Welsh poet, dramatist, historian, literary critic and political activist, launched his first radio broadcast called “Tynged yr Iaith”, where he showed the importance of taking action in order to revive Welsh, without his intervention, this idiom would be dead in the twenty-first century. This broadcast influenced another foundation “Cymdeithas yr Iaith Gymraeg” (the Welsh Language Society) that promoted non-violent campaigns to gain equality for Welsh. These initiatives also focused on bilingual education, the provision of Welsh publications from the local and central government, the establishment of bilingual road signs, the creation of Welsh-language radio and television stations and the provision of this language by universities and the public and private sector. The Acts of Parliament followed and new organizations were created, such as the Welsh League of Youth (Urdd Gobaith Cymru) that promotes Welsh and

17 Jones R. O., The Sociolinguistics of Welsh, in M. J. Ball, The Celtic Languages, Routledge, London, 1993.

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the National Eisteddfod (Eisteddfod Genedlaethol), which every year organizes art competitions and encourages recreational and commercial activities throughout Wales. Moreover, only in 1967 the Welsh Language Act accepted Welsh as a minority language and the Welsh Language Board was established and only in 1999, the National Assembly of Wales was founded. To conclude, we can see that today, Welsh is more and more spoken thanks to these initiatives and the figure of speakers is bound to increase.

Above is the Map Density of the current Welsh speakers.

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4.2 Other minority languages in the UK

An article published in The Guardian in 2005, reports that only the city of London hosts more social, linguistic and racial minorities than any other city in the world.18 Furthermore, multilingualism has always been an ever-present phenomenon in the UK, which only recently seems to be recognized and celebrated.19 Multilingualism cannot be considered an element of isolation, but an identity, cultural, ethnic and religious factor; basically, it is our cultural heritage.

In addition to English and other Celtic languages, new idioms have been introduced lately in the British Isles as a result of several migrations. The data provided by the 1991 census of the National Statistics Office show that half of the total ethnic population comes from India, Pakistan, Bangladesh; a quarter of minority ethnic people come from Black Caribbean and Black Africa; and only 15% of the remainders describe themselves as “mixed”.

It is also worth mentioning the large Chinese community of the UK: in fact, this migration is a recent phenomenon that started before World War I and continued during the ’70s and the ‘80s.

Other spoken languages are sign languages and those of European and non-European migrants. As a matter of fact, the panorama is bigger than we think; but above all, all these languages are a real fortune to protect and safeguard given that they are an integral part of the story of citizens and a heritage to pass on to the future generations.

18 Benedictus L., Every race, color, Nation and Religion on Earth, parts 1, 2 and 3, in “The Guardian”, 21 January 2005. 19 Gibson M., Languages at a Single Click, GP Newspaper, 20 January 2003.

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CONCLUSION

Initially the League of Nations, founded in 1919, launched a program to protect minority languages, focusing merely on the rights of individual citizens and not on those of minorities, seen as legal entities. After World War II and the crimes perpetrated in the name of religion and race, the issue concerning ethnic-linguistic groups immediately came to the forefront of the heads of all the delegations of the United Nations Charter. They thereby forced Member States to fulfill the universal right to equality and non-discrimination on the basis of the Universal Declaration on Human Rights. In 1947, a Subcommittee on Human Rights was created with the task to fight against all forms of discrimination and define the rights of minority groups. In 1960, the Convention against Discrimination in Education, adopted by UNESCO, identified for the first time, the linguistic rights and the legal legitimacy of minorities.20

However, the most significant step carried out by the European Council, was undoubtedly the creation of the European Charter for Regional or Minority Languages, approved in 1992 by the Conference of the Local and Regional Authorities and the Council of Ministers. Additionally, this document shows the engagements that every Member State has undertaken and the ones that must be granted for the development of the linguistic and cultural rights of the European historical minorities, in the field of justice, mass media, public services, administration, economy, social and cultural activity pursued by every single country.

20 Toso F., Le minoranze linguistiche in Italia, Il Mulino, Bologna, 2008.

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Moreover, in 1994 the European Council endorsed a new Framework Convention for the Protection of National Minorities. Even the European Parliament has adopted further initiatives: since 1987 the Resolution on the languages and cultures of regional and ethnic minorities in the European Community has been in force.

Today linguistic diversity is a real and tough challenge for Europe. Multilingualism is a more and more topical and undeniable reality, thus we have to reflect upon the concepts of European integration and dialogue among cultures. By doing this, we can appreciate and understand the importance and the need of cultural, linguistic, ethnic and religious diversity, but above all, we can see the advantages in store for our society that is more and more chaotic and globalized.

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SECTION FRANÇAISE

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INTRODUCTION Nous savons que le français est la langue officielle de l’Hexagone, mais souvent nous oublions que d’autres langues existent : elles sont reconnues comme telles et sont enseignées de la même manière dans les écoles et universités françaises. En effet, leurs origines sont séculaires et sont à la base des courants idiomes parlés en France.

Dans ce chapitre, nous examinerons d’abord toutes les langues présentes sur le sol métropolitain, puis nous étudierons brièvement les idiomes de la France d’outre-mer qui sont également reconnus et protégés par des lois. Nous devons aussi rappeler que tout l’ensemble de ces mesures sont le résultat des milliers d’années de lutte pour la protection et la sauvegarde de ces langues.

Enfin, nous aborderons la question de certaines solutions innovantes et efficaces, mises en œuvre par des organisations et des sociétés internationales qui proposent des exemples simples et clairs.

Pour conclure, nous parlerons des conventions et des résolutions lancées par différents organismes.

En bref, ce chapitre a l’objectif de faire comprendre le rôle et la nécessité des minorités linguistiques, ayant le droit d’être sauvegardées dans le temps et considérées comme partie de notre patrimoine culturel et linguistique.

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1. L’actuelle situation linguistique française Aujourd’hui, la Charte européenne des langues régionales ou minoritaires a été signée par 33 pays européens. La France, bien qu’elle a souscrit la Convention, a décidé de ne pas la ratifier, en suivant seulement des principes et en désignant ses langues minoritaires.

Pour ce qui concerne l’enseignement de certains idiomes locaux, nous affirmons qu’il peut être public ou privé, bilingue ou monolingue. Au contraire, certains dialectes sont introduits tout de suite dans les établissements organisés.

Dans le domaine de la justice et de l’administration, la seule langue admise est le français. Dans le cas de la radio et la télé, la diffusion des programmes est donnée à France 3, en tous cas plusieurs stations existent et elles émettent des différents programmes.

En définitive, le panorama linguistique français est plus que riche et il comprend un grand nombre de langues que nous examinerons prochainement.

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2. LSF et les dialectes de l’Alsace et de la Moselle Très souvent nous ne prenons pas en considération la langue des sourds, toujours plus utilisée et étudiée. En France aussi, la langue des signes (LSF) existe. Elle a été conçue et strictement décrite par l’abbé de l’Épée à la fin du XVIIIe siècle. Quand elle est arrivée aux États-Unis, elle s’est mélangée avec le langage gestuel du lieu, en formant ce que l’on a appelé l’« American Sign Language » (ASL). À partir des années 1980, certaines associations ont commencé à réclamer l’enseignement bilingue (écrit- signé) du LSF à l’école. Aujourd’hui des universités françaises ont lancé des cours de formation en LSF.

L’alsacien est un dialecte d’origine ethnique germanique, appelé Elsässerdeutsch. D’un point de vue administratif, l’Alsace est répartie en deux départements : le Bas et le Haut-Rhin, où la langue allemande et francique se parlent. L’allemand a à son tour deux dialectes : le bas allemand, parlé dans les Vosges à Belfort, et le haut allemand utilisé au sud de Mulhouse. Le Francique aussi compte deux dialectes : le francique rhénan en Alsace Bossue et le francique rhénan méridional à Wissembourg. Néanmoins, ces dialectes ne sont pas enseignés à l’école parce qu’ils ne sont pas protégés par la loi Deixonne et donc, ils se limitent seulement à la sphère orale. Les dialectophones sont 130.000 et presque tous se concentrent dans la zone rurale du territoire alsacien.

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2.1 Le basque et le Breton Vous lirez ci-dessous un poème dédié aux provinces basques, écrit en 1900 par Pedro Mari Otaño, un écrivain hispano-basque.

Zazpiak bat

Zazpi ahizparen gai dan oihala ebakirikan erditik,

alde batera hiru soineko utzirikan, lau bestetik

guraizeakin berezi arren bakoitza bere aldetik,

ezagutzen da jantzi dirala zazpiak oihal batetik.

Oihaltzat hartu zagun euskera, guraizetzat Bidasoa,

ibai koxkor bat besterik ez da, hutsa balitz itsasoa:

elkarren hurbil daude zazpiak, muga deitzen da Pausoa,

zergatik izan behar ez degu family bakar osa (…) ?

Le basque n’est pas une langue indoeuropéenne, ainsi les linguistes pensent qu’il est le seul idiome qui ait survécu d’une famille de langues parlées en Europe occidentale et puis disparues après des invasions indoeuropéennes.

Actuellement la langue basque ou euskera est parlée dans la région des Pyrénées Atlantiques et dans la Communauté basque en Espagne et dans la Communauté forale de Navarre.

Afin de promouvoir l’euskera, des associations ont créé un Istitut culturel basque et une Académie de la langue basque, celle-ci est née en 1919 et puis a été reconnue publiquement en France en 1995. À partir de 1951, le basque a bénéficié de la loi Deixonne et l’enseignement de cette

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langue dans les écoles privées a été réglementé et protégé par une fédération d’associations, la Seaska, et un Institut pédagogique, Ikas.

Il faut aussi mentionner l’une des initiatives les plus innovantes de tous les temps : c’est-à-dire l’action de Microsoft. En réalité, Microsoft soutient une campagne, appelée « Klik egin euskarari », pour que autant de gens que possible installent des interfaces en euskera dans leurs articles. Ce projet est né de la collaboration avec le Département de politique linguistique de la Communauté autonome basque; de surcroît, il est très facile et pratique à mettre en œuvre. Il suffit de télécharger gratuitement des programmes en langue basque, en cherchant sur Internet le site officiel de Microsoft.

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Maintenant nous mentionnons certaines expressions en langue bretonne, connue aussi comme brezhoneg, pour vous démontrer la spécificité de ce dialecte.

Degemar mat Bienvenus Breizh Bretagne Da bep lec’h Centre de la ville Skil-veur Université Kenavo Au revoir

Le breton est un idiome celtique, parlé à l’ouest dans les départements du Finistère, de Morbihan et des Côtes d’Armor. Nous pouvons affirmer qu’il y a quatre groupes de brezhoneg : le léonais (le dialecte de Léon, près de Brest), le trégorois (autour de Lannion), le cornouaillais (le dialecte de la Cornouaille bretonne, autour de Quimper) et le vannetais (dialecte de Vannes). Les linguistes ont uni les trois premiers dialectes et actuellement ils forment le KLT, une langue utilisée dans la majorité des cas par les médias. Le KLT, en plus, est aussi employé par les écoles Diwan (des établissements scolaires expérimentaux où l’enseignement s’effectue en breton).

Le dernier recensement compte 240.000 parlants bretons, mais seulement 370.000 d’entre eux peuvent le comprendre pleinement. Il convient de rappeler également le Conseil culturel de Bretagne et l’Institut culturel de Bretagne, qui s’occupent de la sauvegarde et diffusion du brezhoneg.

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2.2 Le Catalan et le Corse Le catalan est parlé dans le département des Pyrénées Orientales (Rousillon) en France, mais aussi en Espagne. Voilà, des exemples qui attestent la complexité de cette langue :

• Catalan: Català /kətəˈla/

• Tchao: hola /ˈɔlə/

• Au revoir: adéu /əˈðew/ (sing.); adéu-siau /əˈðewsiˈaw/ (pl.); a reveure /ərəˈβewrə/

• S’il te plaît : si us plau /si(w)sˈplaw/

• Merci: gràcies /ˈgɾasiəs/; mercès /mərˈsɛs/

• Excusez-moi : perdó /pərˈðo/, Em sap greu /am'sáp greu/

• Je ne le comprends pas : No ho entenc /ˈnowənˈteŋ/

Le catalan est un idiome indoeuropéen qui vient de la famille des langues romanes occidentales. Cette langue tire profit de la loi Deixonne et alors, elle est enseignée dans les écoles primaires et secondaires du territoire impliqué. Le catalan est pleinement codifié et donc un véritable dictionnaire existe. Pratiquement la moitié des habitants des Pyrénées Orientales parle cette langue.

Le catalan est un dialecte très actif dans le domaine de la presse (environ dix journaux, trente hebdomadaires et cent magazines sont en catalan) et des médias (il y a quatre chaînes dans cette langue) ; la principale télévision, Canal nou, transmet seulement des programmes en catalan.

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Le Voluntariat per la llengua (Volontariat pour la langue) est une association qui fait communiquer une personne qui veut apprendre le catalan avec d’autres qui le savent déjà. Ces dernières sont des volontaires et elles sont disponibles à faire de la conversation. Cette idée, simple et peu coûteuse, a le but de faire responsabiliser fortement tous les citoyens et de les impliquer dans l’activité de protection linguistique de leur dialecte.

Le corse appartient au sous-groupe des langues italo- romanes. Nous pouvons distinguer deux régions où deux différents dialectes coexistent : le supranu, dialecte septentrional, et le suttanu, dialecte méridional. Depuis le 16 janvier 1974, le corse est protégé par la loi Deixonne. Enfin, de nouvelles mesures en faveur de la culture et de la langue corse ont été prises par le biais de la loi du 13 mars 1991, n. 428.

132

133

2.3 La langue d’oc et le flamand occidental « Denant ma fenestra » est l’hymne du peuple occitan et selon des experts, il s’agit d’une chanson d’amour dédiée au comte et vicomte Gaston Phoebus.

Denant de ma fenestra

i a un aucelon

tota la nuech chanta

chanta sa chançon

Se chanta, que chante

chanta pas per iu

chanta per m’amiga

qu’es da luenh de iu

Aquelas montanhas

que tant autas son

m’empachon de veire

miei amors ont son (…).

La langue d’oc ou occitan est le dialecte le plus enseigné dans l’Hexagone, parlé dans plus de trente départements. Cet idiome, d’origine gallo-romaine, est appelé aussi langue provençale alpine, parce

134

qu’il se concentre auprès des Alpes cottiennes et maritimes. Ce territoire localisé délimite ce que nous appelons l’ « Occitanie », connue aussi come France méridionale ou Midi.

L’occitan comprend d’autres dialectes, tous protégés par la loi Deixonne. Les médias favorisent sa diffusion et la radio joue un rôle fondamental : nous devons penser à Radio Occitanie et à Radio Lenga d’oc. La télévision délivre des transmissions en langue et la presse s’occupe de la publication de journaux et de magazines annuels. À partir du 1945, l’Institut des études occitanes travaille pour favoriser cette langue.

Mais ce qui est curieux, c’est la question de l’occitan en Val d’Aoste. Ici le dialecte utilisé est l’aranais (le plus parlé en Catalogne aussi), les personnes qui le parlent se concentrent dans les vallées piémontaises et à Garde Piémontaise en Calabre. En Val d’Aran, l’occitan a acquis le rang de langue officielle, parallèlement au catalan et au castellan.

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Le flamand occidental ou West- Vlaams est un dialecte issu du néerlandais, parlé dans l’extrême nord de la France, surtout autour des zones rurales près de Dunkerque et Bailleul. Les linguistes ne connaissent pas le nombre spécifique des parlants et tristement, les tentatives de relancer et revivifier le flamand n’ont pas donné les résultats attendus.

Cependant, il y a des cours scolaires qui prévoient l’enseignement du flamand et ils sont généralement combinés avec des cours de néerlandais, langue officielle du Pays-Bas.

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2.4 Le francoprovençâl et les langues non territoriales Le francoprovençâl est une langue qui est en train de disparaître définitivement en Europe. En France cet idiome est parlé dans les départements de la Haute et Basse Savoie, de l’Ain, du Rhône, de la Loire, de l’Isère, du Jura et au sud de la Saône-et-Loire, en Suisse romande et en Italie (précisément dans les vallées alpines et à Faeto et à Celle San Vito, dans les Pouilles).

Le Centre d’études francoprovençâl « René Willien » de Saint- Nicolas et le BREL (Bureau Régional pour l’ethnologie et la linguistique du Val d’Aoste) s’occupent de la protection de ce dialecte. En particulier, le BREL organise chaque année le « concours de Patois Abbé Cerlogne ». À partir de la première édition en 1963, le concours fait participer nombreux étudiants du Val d’Aoste, de la Savoie, des vallées arpitanes du Piémont et des communautés franco-provençales de Celle San Vito et Faeto, en province de Foggia. Le but est de faire revivre aux étudiants le passé à travers l’analyse de vidéos, de documents et de photos en francoprovençâl.

En outre, depuis 2004 l’ACA( Fédération Internationale de l’Arpitan) cherche à revitaliser le francoprovençâl. Et donc pour cette raison, l’ACA a créé des pages Internet où tous ceux qui veulent, peuvent télécharger des fichiers, documents et infos dans cette langue.

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Enfin il y a les langues non territoriales, c’est-à-dire: l’arabe magrébin, le berbère, l’arménien, la langue des Roms et le Yiddish. Ces langues sont parlées surtout par les habitants des banlieues françaises, si bien que l’arabe et l’arménien sont deux langues officiellement reconnues et sont divulguées par des écoles et des associations culturelles.

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3. Les langues de la France d’outre-mer

Pour comprendre la situation linguistique d’outre-mer de la France, il faut brièvement rappeler l’expansion coloniale française qui a eu lieu en deux phases. La première phase, appelée « course aux épices », commencée en 1756 et terminée en 1763, à la fin de la Guerre de sept ans. La seconde phase, impérialiste, a commencé en 1830, suite à l’occupation de l’Algérie et s’est terminée en 1930. Pendant la première étape, les français se sont installés principalement dans l’Amérique des Caraïbes et à l’ouest de Madagascar, au contraire, pendant la seconde, en Afrique et en Aise Orientale. Le résultat évident a été sans doute la création d’un empire, composé de territoires qui encore aujourd’hui ont d’étroites relations commerciales et politiques avec la France métropolitaine.

Les DOM (départements d’outre-mer) comprennent la Guadeloupe (île de l’océan Atlantique), la Guyane française (en Amérique du Sud), la Martinique, l’île de la Réunion (île de l’océan Indien).

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En conséquence de quoi, la législation française est systématiquement transposée dans ces départements, qui font également partie de l’Union Européenne.

Les TOM (Territoires d’outre-mer) englobent la Nouvelle Calédonie (océan Pacifique), la Polynésie française, le Territoire des îles Wallis-et-Futuna (océan Pacifique), et les Terres Australes et Antarctiques françaises (TAAF) divisées en quatre districts : les îles Saint Paul et Amsterdam (océan Indien), les îles de Kerguelen (océan Indien), les îles Crozet (océan Indien) et la Terre Adélie (Antarctique). Tous ces territoires font partie de la République française, mais pas de l’Union Européenne. Les langues parlées dans ces territoires n’ont pas de lien avec le français, pour cette raison la population parle des idiomes qui proviennent de la famille austronésienne. Huit aires coutumières ont été créées, chaque zone a un Conseil qui peut prendre des décisions en matière de langue et culture. Les habitants de ces aires sont plurilingues et il n’y a pas un dialecte plus prestigieux qu'un autre.

Puis, les collectivités territoriales comprennent l’île Mayotte (océan Indien) et les îles Saint-Pierre et Miquelon (océan Atlantique). Ces dernières sont gérées par un Conseil général, tandis qu’un Maire représente le Gouvernement français. Les habitants parlent des idiomes issus de la famille austronésienne.

Les DOM et les TOM sont affectés par l’activité législative de sauvegarde de leur langue. En effet, la loi Deixonne a été étendue au tahitien en 1981, et grâce à la loi du 12 mai 1984, les DOM ont obtenu les mêmes droits reconnus aux collectivités territoriales métropolitaines.

140

Au cours des années, d’autres lois en faveur des dialectes ont été formulées, par exemple la loi du 27 mars 1993, délivrée pour protéger des chansons, des émissions télévisées françaises et régionales dans les DOM.

Aujourd’hui des émissions radios sont diffusées en France par le Réseau France Outre-mer (RFO) et Radio France Internationale (RFI).

Pour l’instant, il faut seulement attendre que d’autres mesures linguistiques soient lancées et mises en pratique pour toutes les langues des anciennes colonies françaises.

141

CONCLUSIONS Au début la Société des Nations Unis, née en 1919, avait lancé seulement un programme de protection des minorités linguistiques, en se concentrant uniquement sur les droits des individus et pas sur les droits des minorités vues comme des entités légales.

Après la Seconde guerre mondiale et les terribles crimes perpétrés au nom de la religion et de la race, dès lors le problème des minorités ethnolinguistiques était devenu évident aux yeux des auteurs de la Charte des Nations Unis. En effet, ils souhaitaient imposer le droit universel de l’égalité et de la non-discrimination à tous les états membres.

En 1947, une Sous-commission pour les droits de l’homme a été créée, afin d’éliminer chaque forme de discrimination. En 1960, la Convention concernant la lutte contre la discrimination dans le domaine de l’enseignement, adoptée par l’UNESCO, a défini pour la première fois les droits linguistiques des minorités et leur légitimité juridique.

Néanmoins, la création de la Charte européenne des langues régionales et minoritaires a été l’étape la plus importante dans le parcours des mesures mises en œuvre par le Conseil européen. Elle a été aussi approuvée par la Conférence des pouvoirs locaux et régionaux, l’Assemblée consultative et le Conseil des ministres en 1992. Ce document contient tous les engagements pris par les états membres dans le domaine de la justice, des moyens de communication, des services publics, de l’administration et de l’activité culturelle, économique et sociale de chaque pays.

En 1994, le Conseil européen a élaboré une autre Convention cadre pour la sauvegarde des minorités nationales.

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Par contre, le Parlement européen a adopté à son tour d’autres initiatives et depuis 1987, une Résolution concernant les langues et cultures des minorités régionales et ethniques de la communauté européenne est en place.

En résumé, aujourd’hui la diversité linguistique représente pour l’Europe un véritable essai, difficile mais stimulant.

Le multilinguisme est une réalité contemporaine et indéniable, pour cette raison nous devons réfléchir sur les concepts d’intégration européenne et de dialogue entre les cultures. Si nous comprenons ces deux notions, nous pouvons apprécier l’importance de la diversité culturelle, linguistique, ethnique et religieuse.

Enfin, nous pouvons bénéficier des avantages du multilinguisme, en garantissant un modèle de référence indispensable à une société toujours plus chaotique.

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RINGRAZIAMENTI Innanzitutto ringrazio la mia relatrice nonché direttrice della SSML Gregorio VII, la Prof.ssa Adriana Bisirri, le mie correlatrici Prof.ssa Nocito Maria, Prof.ssa Vaneecke Marie-Françoise e la Prof.ssa Piemonte Claudia, le quali mi hanno assistita e consigliata nella stesura di questa tesi e hanno avuto una grandissima pazienza nel seguirmi in questo percorso triennale, facendomi crescere non solo culturalmente ma anche personalmente.

Il grazie più sincero va alla mia famiglia, ai miei genitori, che hanno sempre appoggiato qualsiasi decisione prendessi o iniziativa intraprendessi, senza mai dirmi di no, incoraggiandomi e spronandomi giorno dopo giorno. Grazie ai miei nonni che hanno contribuito ugualmente a quest’avventura, regalandomi consigli e tanto amore.

Ringrazio le mie amiche del quartetto se non colleghe, Sara e Giorgia A. perché insieme abbiamo iniziato un percorso anni fa e oggi sempre insieme lo portiamo a termine. Le mie colleghe Claudia e Martina che hanno condiviso con me ogni singolo momento ed emozione di questi tre anni, senza mai dimenticarmi delle altre super colleghe che ho avuto la fortuna di incontrare e conoscere.

I miei ringraziamenti vanno a tutti i miei amici e alle mie amiche Clara, Maddalena, e alle mie migliori amiche Giorgia P. e Giorgia T. che non hanno mai smesso di credere in me, mi sono sempre state vicine e mi hanno spronata a fare del mio meglio.

Infine, ringrazio me stessa per averci creduto, per esserci arrivata e non aver mai mollato e per essere diventata la persona che sono oggi.

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