Abstract

S/Oggetti immaginari Per la prima volta in Europa nel 1995 un gruppo di studiose di varia provenienza sia geografica che disciplinare si interrogò sulla comparatistica al femminile: da quella interrogazione ebbe poi origine questo volume e sempre Letterature comparate al femminile nel 1996 la Società Italiana delle Letterate. Come attraversare esperienze letterarie a firma di donne eterogenee e diverse nei secoli e per le differenti culture? La risposta, allora come adesso, sta nella costruzione di una lettrice capace di ascoltare le proprie passioni letterarie, e quindi di addentrarsi nelle forme di un S/Oggetto che si accommiata dal proprio essere oggetto come a cura di Liana Borghi e Rita Svandrlik modalità narrativa del desiderio, nella discesa agli Inferi in cerca dell'arcaico sé materno e delle riscritture del mito, nella problematizzazione del rapporto tra soggetto sessuato e linguaggio. Grazie al movimento tra parole che si riappropriano del mito delle origini, le riletture operate dalle autrici dei vari saggi entrano in dialogo tra loro, in una pratica performativa di superamento o negoziazione dei confini tra discipline e letterature diverse. Molte quindi le tematiche, le fascinazioni e gli interrogativi posti allora che fanno sì che si possa guardare alla critica femminista nei caratteri di fondazione di un altro sistema di coordinate interpretative, letterarie, culturali e politiche.

MNEMOSINE Mnemosine è una collana con revisione paritaria Mnemosine is a Peer-Reviewed Series OLTRE IL CANONE OLTRE LE DISCIPLINE

MNEMOSINE 2

MNEMOSINE 1 Terra e parole. Donne / scrittura / paesaggi, a cura di Roberta Falcone e Serena Guarracino (2016)

Nella mitologia greca Mnemosine è figlia di Gea, la madre Terra, il principio femminile che dona vita al mondo, ed è a sua volta madre delle Muse, che amano le feste e la gioia del canto. Sia che si voglia risalire alle fonti del mito e alla sua potente energia che dà nomi a ciò che esiste, sia che si segua il tramutarsi della divinità nell’arte della memoria e della costruzione culturale, si tratta di una parola duttile: Mnemosyne, la dea greca, si è trasformata in Mnemosine nel corso dei secoli.

La collana a lei intitolata intende mettere in luce il doppio accento, i diversi posizionamenti della critica letteraria femminista prodotta dalla Società Italiana delle Letterate (www.societadelleletterate.it), dedicati a riattraversare e ridefinire la tradizione culturale che abbiamo alle spalle. Per andare oltre il canone, oltre le discipline, verso altre forme della conoscenza, altri mondi possibili.

Collana della Società Italiana delle Letterate

La cura editoriale e la supervisione di questo volume è di Laura Fortini

Comitato scientifico: Paola Bono, Nadia Setti, Rita Svandrlik Progetto grafico copertina: Giovanna Massini

Titolo originale: S/Oggetti immaginari. Letterature comparate al femminile

Prima edizione: ©1996 Edizioni QuattroVenti Urbino

Nuova edizione digitale:

©2017 Società Italiana delle Letterate

©2017 Ebook @ Women

ISBN: 978-88-98880-42-3

Ebook @ Women [email protected]

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EDDA MELON. Oltre i confini, l’origine. Hélène Cixous con Indice Clarice Lispector 99

RITA SVANDRLIK. Le frontaliere: Ingeborg Bachmann e Joanna Russ 105

ERNESTINA PELLEGRINI. Le spietate 112

Premessa alla nuova edizione digitale 8 III. NOTE PER UNA DISCESA AGLI INFERI

UTA TREDER. Orfea discende agli Inferi 122 LIANA BORGHI e RITA SVANDRLIK. Introduzione: S/Oggetti immaginari. Letterature comparate al femminile 9 PAOLA BONO. Nascere all’inferno 130 LIANA BORGHI. Le finestre di 138

I. TEORIE, METODI E LUOGHI ANNA NOZZOLI. Charlotte Salomon in Italia 150 RITA GUERRICCHIO. Charlotte Salomon: l’intrattenimento precario 153 VITA FORTUNATI. La sfida teorica del comparatismo femminista 18 FRANCA ZOCCOLI. Charlotte Salomon: i colori del sé 156 CARLA LOCATELLI. e/o: s/oggetti immaginari: letterature comparate al femminile 24 IV. NON SCRIVERE NELLA LINGUA DELLA MADRE MARINA SBISÀ. Il soggetto femminile: dimensioni di analisi 36

MARIA GRAZIA PROFETI. Il paradigma, lo scarto e RITA CALABRESE. Lingua della madre, lingua di assassini: l’immaginario femminile 43 Anna Seghers e Cordelia Edvardson 160

SUSAN WINNETT. Per una critica di genere sulla teoria del romanzo 49 TOBE LEVIN. Amia Yezierska e la lingua della madre: non in essa ma con essa 168 MARINA CAMBONI. Dall’una all’altra madre. Figure di identità e figure di lingua nell’opera di H.D 57 GIOVANNA COVI. Decolonizzare il soggetto: raccontarsi donna nei Caraibi e nelle Filippine 174 PAOLA ZACCARIA. Le stanze della scrittura 65

II. IL COMMIATO Bibliografia 182 Indice dei nomi citati 195 BARBARA MARX. Tra imitazione, gioco e parodia: modalità del ritorno della parola femminile nella poesia rinascimentale 76 Le autrici 202

ORNELLA DE ZORDO. Profezia di un commiato: l’ultimo uomo di Mary Shelley 83

GIGLIOLA SACERDOTI MARIANI. Muriel Rukeyser e Käthe Kollwitz: un confronto di segni 90 Ringraziamenti edizione 1996

Questo volume non sarebbe nato senza l’aiuto e l’ispirazione di tante altre donne. Desideriamo ringraziare in particolare Nicoletta Livi Bacci e la Libreria delle Donne di Firenze; Raffaella Lamberti, il Centro di Documentazione e Ricerca delle Donne, e l’Associazione Orlando di Bologna; Maresa D’Arcangelo e il Laboratorio Immagine Donna di Firenze; Anna Maria Crispino di

Legendaria; Pina Mandolfo dell’Associazione Beta Arte di Catania; Maria Rosa Cutrufelli di Tuttestorie; Roberta Mazzanti di Giunti-Astrea; Luciana Tufani di Leggere Donna; Ursula Isselstein e il Centro Interdipartimentale

Ricerche e Studi sulle Donne di Torino; Margit van der Steen e W.I.S.E.

(Women’s International Studies Europe) di Utrecht; lo Joods Historisch Museum di Amsterdam. Ringraziamo per l’aiuto nell’approntare questo testo Alice Bartolomei, Lara Mei e Aglaia Viviani, e inoltre l'Österreichisches

Kulturinstitut Rom e l’Istituto di Lingue e Letterature Germaniche, Slave e

Ugrofinniche della Università di Firenze. Dulcis in fundo, la nostra gratitudine va a Maria T. Caciagli Fancelli, nostra “sponsor” e sostenitrice in questi mesi di lavoro.

Le curatrici

Premessa all’edizione digitale metamorfiche che si riappropriano del mito delle origini, le riletture operate

dalle autrici dei vari saggi entrano in dialogo tra loro, in una pratica

performativa di superamento o negoziazione dei confini tra discipline e

letterature diverse.

Come ulteriore esercizio di comparazione possiamo chiederci come stanno Ecco di nuovo un testo che, aperto ora in questa nuova veste, da oggetto questi saggi in paragone alla comparatistica odierna. Chi ricorda il lavoro di mentre leggiamo si fa soggetto, raccontando un recupero che celebra la scavo necessario per fare ricerca allora lo misurerà con il nostro presente crescita in divenire della Società Italiana delle Letterate, nata per consonanza informatizzato e globalizzato, meravigliandosi forse del nostro sapere intorno alla passione condivisa della letteratura, sostenuta dall’impegno archiviato. E forse si chiederà quali tracce restano delle vertenze che ci culturale e politico che ci lega alla vita e alla scrittura delle donne, ovunque preoccupavano allora, e cosa rimane; a chi si appoggiavano le nostre citazioni esse siano nello spazio e nel tempo. – quali madri simboliche vi ritroviamo; sono ancora quelle le teorie che ci Ci siamo stupite, rileggendo queste pagine, di quanto siano ancora vitali e catturano oggi? interessanti, di come parole, metafore e allusioni ancora conservino il Ci auguriamo che la pubblicazione online, con la ricerca facilitata delle profumo, la musica, il sapore delle nostre ricerche, di discorsi e culture che ricorrenze di nomi, temi e parole ancora vicine a noi oggi e forse anche non dimenticano chi siamo, noi letterate per forza di cose comparatiste pronte domani, possa invogliare lettrici e lettori a questo esercizio di comparazione. a cogliere somiglianze e singolarità attraverso confini disciplinari, le lingue e le culture, per dare voce a cancellazioni e silenzi. Liana Borghi e Rita Svandrlik Per tale “accidentato viaggio testuale multilingue e interculturale durante il quale ogni testo si costruisce come scrittura di confine” – secondo le nostre parole nell’introduzione – avevamo scelto di iniziare con una sezione teorica, seguita da tre sezioni a tema: Il commiato, La discesa agli Inferi, Non scrivere nella lingua della madre. Mentre i primi due sono dei classici degli studi letterari e comparatistici, il terzo fin dal titolo era ed è più familiare per chi si occupa di scrittura delle donne, del rapporto tra soggetto sessuato e linguaggio. Ma nella nostra proposta anche i primi due avevano assunto un volto più vicino e dialogante: il commiato lo avevamo inteso come una modalità narrativa del desiderio, la catabasi come una discesa alle origini, alle Madri. Grazie al movimento tra parole del desiderio o della nostalgia e parole

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Liana Borghi e Rita Svandrlik Nel campo della letteratura, anche cercando di ignorare come le tecnologie della comunicazione stanno mutando il concetto di testo e il nostro rapporto Introduzione con esso, i cambiamenti metodologici e l’orientamento sempre più inter- e multidisciplinare hanno portato a una vera e propria instabilità di confini. È

quello che fanno notare Stephen Greenblatt e Giles Gunn nell’introduzione a

un volume di saggi, Redrawing the Boundaries (1992): le nuove aree di studi

letterari hanno subito e insieme prodotto una serie di trasformazioni nel

concetto di letteratura, dovute in gran parte alla venue à l’écriture di una Ci piace pensare che le donne abbiano praticato la comparatistica fin dagli quantità di nuovi soggetti, eterogenei per identità e appartenenza, tra cui le albori della Storia, costrette a un lavoro di incessante traduzione in una donne. La letteratura è diventata una categoria mobile e instabile, un cultura dominata dagli uomini (Dìaz-Diocaretz). Nel Medioevo, per esempio, territorio immaginario senza limiti naturali e quindi senza limitazioni di era comparatista una nostra antenata accademica, Trotula, che nella Salerno ambito per la critica il cui compito è proporre continue revisioni cartografiche. dell’XI secolo comparava i linguaggi dei corpi; e Bettisia Gozzadini che seguiva Ma i confini ciò nonostante esistono (linguistici, storici e sessuali, per le lezioni all’Università di Bologna travestita da uomo; e lo era anche Christine esempio) e vanno continuamente rinegoziati: confini sia nel senso di de Pisan (che si manteneva come noi con la letteratura) la cui Cité des Dames frontiera, zona di antagonismo e di contestazione, sia di limite, nel senso di traduce l’agostiniana Civitas Dei in una storia di laica genealogia al femminile. resistenza interna, ostacolo all’organizzazione del sapere che va aggirato Non che le comparatiste, per quanto cosmopolite, abbiano sempre rispettato anziché affrontato (Greenblatt e Gunn 1-7). le differenze culturali, specie se minoritarie. Esempio di illuminata Gli interventi di questa raccolta dimostrano un generale consenso al dialogo, intolleranza, Madame de Staël giudicava le sue interlocutrici tedesche dalla innanzitutto fra le due curatrici del volume, anglo-americanista una, competenza che avevano nell’uso del francese, allora egemone in Europa ‒ germanista l’altra, per le quali dialogare ha significato attraversare frontiere e non diversamente da chi impone il monolinguismo o discrimina in base al limiti disciplinari e culturali, capire che ogni confine è doppio, mobile, grado di accesso all’inglese e ai suoi numerosi ambiti di riferimento, oppure in permeabile, che ogni traduzione è un’equivalenza e una riscrittura, che base all’egemonia di un linguaggio critico o disciplinare. Ma nella presente somiglianza e differenza non sono due poli, ma l’indicazione di un passaggio fase di espansione transnazionale della tecnoscienza, di contaminazioni costellato di pluralità, perché ogni confine sta in relazione con altri confini, in/organiche e di interfacce cibernetiche del soggetto, siamo tutti inclusi i propri (Derrida 1993, 18-19; Missac 7). inevitabilmente poliglotti e comparatisti; ci sembra dunque necessario Forse la maggiore zona di frontiera per chiunque si occupi di women’s chiederci in che modo fare comparatistica al femminile. studies ‒ quel campo di ricerca su, per, e delle donne non considerato

9 disciplinare in Italia ‒ è la differenza sessuale, intesa anche nella sua accezione Locatelli nel suo saggio, ma vorremmo comunque spiegare perché l’abbiamo anglosassone di gender, genere. Spiega Catharine Stimpson che la critica scelto. Innanzi tutto, esso indica l’intento di esaminare il rapporto, anche femminista si occupa innanzitutto di come i testi creano, criticano, indagano autobiografico, tra autrici, personaggi femminili e lettrici; di vedere come certi le mappe di genere perché “come l’aria e il linguaggio, le donne e le testi di donne costruiscono soggetti femminili; di riflettere su come noi stesse rappresentazioni delle donne e del genere sono dappertutto” (251). Ma forse le pensiamo e ripensiamo il soggetto e la soggettività ‒ un lavoro svolto da letterature comparate al femminile dovrebbero occuparsi non solo di tutto ciò Marina Sbisà in quanto esperta del soggetto al femminile, ma che anche che è genere, ma anche di “ciò che non lo è”. Sebbene Eve Sedgwick abbia ciascuna autrice ha fatto per proprio conto riallacciandosi alle nuove geografìe definito questo l’ambito concettuale dei queer Studies (270-302), ci sembra di trasformazione culturale. invece una ricerca comune a molte teoriche e attiviste che si chiedono, come fa In un recente volume di saggi interdisciplinari che analizza come il soggetto anche Marina Sbisà in questo volume, quali strategie ci possano aiutare a venga costruito e sessuato, come esista frammentato, in relazione, e relazione uscire dalla gabbia socio-simbolica del genere. Le soluzioni offerte vanno dal di potere, con una quantità di differenze, un contributo di Gillian Rose discute posizionamento mimetico, alla politica antagonista, alla ricerca di un fuori- il modo in cui la soggettività femminile è diventata un progetto politico per campo nei filmati della nostra cultura fallogocentrica. Posizionarsi molte teoriche, scrittrici e artiste (Nigel e Thrift 332-36). In un certo senso, criticamente rispetto al “dover essere” del genere non esonera però dal questa è anche una tesi di Giovanna Covi che nel suo saggio coniuga un riflettere sul rapporto tra corpo e scrittura. A proposito della “scrittura-ponte, nomadico soggetto femminista (Braidotti) con il concetto di decolonizzazione scrittura infrasoggettiva” di Marguerite Duras, Paola Zaccaria parla di un testo di Angela Carter, e lo contrappone al termine “postcoloniale” che tende a omologare una varietà di soggetti storici in una medesima posizione che al massimo grado porta inscritto in sé operazioni di letteratura discorsiva. Il progetto di Covi è mostrare le contraddizioni di cui si nutrono comparata al femminile, dove per comparativismo s’intende sia quello soggetti decolonizzati come i personaggi della scrittrice caraibica Jamaica strettamente letterario fra generi, lingue, testi, che quello più squisitamente femminista di comparazione e interpretazione di discorsi, Kincaid, capace di accettare la propria storia di schiavitù e genocidio culture, che non dimenticano i segni dell’appartenenza sessuale, la rifiutando al contempo l’ancoraggio di una identità prestabilita. provenienza da un corpo di donna ‒ scritture che non rinnegano il legame del vivere femminile con la vita materiale, appunto. È un progetto politico anche il S/Oggetto immaginario del nostro titolo. Soggetto diviso e contraddetto à la De Lauretis, emergente dalla Una comparatistica, dunque, legata alla soggettività, all’esperienza e alla dis/identificazione con la femminilità, cosciente di abitare l’ideologia e di storia. esserne abitato, esso aspira tuttavia a essere soggetto storico, sessuato, di lingua e di cultura. In quanto S/Oggetto di comparatistica al femminile, si Il titolo di questo volume, S/Oggetti Immaginari, viene analizzato da Carla definisce tramite un processo di sconfinamento, negoziando un femminismo multiforme di coscienza e di pratica. Con la barra abbiamo voluto proprio

10 tracciare il confine tra Soggetto e Oggetto che rende possibile la soggettività, e sovrappongano a “mappe di stato”. Il discorso di Higonnet sulla letteratura attirare l’attenzione sullo specifico processo di sussistenza e resistenza che comparata femminista, ampiamente commentato nel saggio introduttivo di marca i nostri corpi di donna, incrociando e contraddicendo le differenze tra Vita Fortunati, si estende dalle analisi storico-sociologiche, semiotiche e noi. Che poi questo S/Oggetto venga definito immaginario, si riferisce non narratologiche ai modelli offerti dagli studi culturali, subalterni, postcoloniali. solo al fatto che “nell’orizzonte epistemologico patriarcale”, come dice In questi modelli la letteratura non è più separabile da altre culture “materiali” Locatelli, la donna è un s/oggetto immaginario; e nemmeno solo alla e discipline intellettuali, e il punto di vista viene contestualizzato e situato costruzione narrativa di un personaggio; ma proprio alla dimensione (Haraway) nella pratica di una “politica della località” (Rich 1984). Non dell’Immaginario, che, senza entrare nel dibattito sull’immaginario femminile, dissimilmente, anche le riletture di questo volume emergono dal terreno della abbiamo visto come “unica matrice di fantasia e finzione” (Schor 219), luogo nostra specificità in forma di una coscienza prospettica, una prospettiva di identità e identificazione dove la scrittrice può recuperare la dimensione cosciente, e indicano come collocazione eventuale per chi fa comparatistica la fusionale con la Madre. La barra serve anche a indicare il desiderio che nasce polifedeltà di una prospettiva mobile (ri)memore del corpo di provenienza. dall’incontro-scontro della nostra soggettività con il mondo, un desiderio di Ma alla comparatistica si addice anche la consapevolezza descritta da Trinh T. relazione che potremmo chiamare di comparazione, e qualche volta utopia. Minh-Ha (citata da Fortunati, Locatelli e Covi) come necessaria alla regista Così come per noi il comparatismo è prodotto e produzione del desiderio, “nativa” di film etnografici, il cui punto di vista deve essere quello della per Giovanna Covi in questo volume esso è una necessità vitale del insider/outsider, figurazione multipla, non duplice, dello stare tra. Alla sua femminismo, espressione della sua “creolizzazione interna”, “performance di posizione “exotopica” corrisponde una visione non etnografica, non una tradizione che è resistenza e trasgressione, ma mai assimilazione”. Non è oggettivante del s/oggetto della rappresentazione ‒ la stessa visione che fa dire quindi un caso che questo nostro volume mostri tra le righe la pratica a Locatelli che il comparativismo al femminile differisce dal comparativismo necessaria e interessata, tipica della critica femminista che tutte le autrici di tradizionale perché ha come contesto “le letterature in quanto mondi questi saggi hanno variamente sperimentato, di comparare i testi di un canone possibili”. internazionale continuamente in espansione e revisione, usando metodologie Il nostro si può chiamare un accidentato viaggio testuale multilingue e diverse ma quasi sempre affini. Il grande motivo di coesione, nonostante i interculturale durante il quale ogni testo si costruisce come scrittura di percorsi individuali, sembra essere l’analisi del genere. confine ‒ il borderwriting di Margaret Higonnet, Maggie Humm, Emily Secondo Margaret Higonnet in Borderwork (1994), le nuove cartografie Hicks, Diane Freedman ‒ che parla di paragone (misura di differenza, o di delle studiose femministe rivelano l’inscrizione del genere nella scarto come dice Maria Grazia Profeti), e insieme di comparazione (misura di rappresentazione simbolica dentro i testi in termini di confini corporei, esilio, somiglianza). Ogni autrice ha un suo carnet di viaggio, un libro di miti, una esclusione, identità, individualità, comunità; e rivelano inoltre come le mappe direzione, un percorso. di genere sottendano anche ai testi e ai codici che ci guidano nella lettura, e si

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Esemplare, a suo modo, il percorso di Edda Melon. Lavorando su un testo doppio, bilingue, di Hélène Cixous indirizzato come un’invocazione d’amore a che sappia creare uno spazio abitato da coloro che operano in senso etico, politico, e quotidiano.... Tradurre è... un fluttuare che deriva da una Clarice Lispector, Melon si interessa al cum, il legame di contiguità tra interrelazione tra più discorsi paragonabile alla politica della complessità che scrittrici e le loro forme di scrittura; leggendo un testo strutturato su quattro caratterizza il femminismo contemporaneo, una politica in perfetta sintonia con la transdisciplinarità e la comparatistica. opposizioni ‒ delle due lingue usate, della scrittura creativa/critica, del soggetto parlante/oggetto del discorso, del soggetto/mondo ‒ Melon indaga Accostiamo questi suggerimenti a un saggio sulla traduzione di Barbara intorno alle zone di confine, “le figure del due, come forme di associazione, di Godard, per sostenere che come la traduttrice, la comparatista decodifica e ri- rovesciamento, di passaggio”. Indaga sulla congiunzione, e trova che codifica i testi producendo intrecci e percorsi di cui non è mai univoca

l’interpretazione. Il rapporto con l’altro/gli altri testi non è tanto o solo di se ci interroghiamo su questo cum... vediamo subito che nel confronto, nel inter-testualità, quanto di trans-testualità, o addirittura di ipertestualità. con-tinuum, nel corpo a corpo, la zona che più ci coinvolge e che più stimola le nostre riflessioni è l’intervallo, l’entre-deux, il tra-noi, quella Questo avviene per esempio nel testo di Liana Borghi, dove le “finestre” terra di nessuno dove sorgono, o crollano, i bordi di frontiera. funzionano come nodi di un ipertesto ‒ sebbene i rimandi vengano prodotti

con mezzi grafici tradizionali. Ma questa aspirazione deriva da una La meta di Melon è una domanda sul metodo posta per tutte le autrici del contaminazione transculturale sorta in risposta alle sollecitazioni del testo volume: “vedere quali confini vengano accolti o tracciati per poi essere originale che accosta in modo complesso linguaggio figurativo e linguaggio valicati, aboliti, o modificati” in quello che noi definiremmo un continuum verbale. testuale e immaginario ‒ il vasto campo di eterogenee esperienze letterarie Dunque secondo Godard, femminili che questo tipo di comparazione attraversa, e che Ernestina

Pellegrini immagina come “un unico centogambe della letteratura femminile il discorso femminista è traduzione in duplice modo: come notazione di codici attraverso i secoli e le differenti culture”. “gestuali” e altri, derivata da quello che finora è rimasto un discorso “inaudito” Un’altra sollecitazione del testo di Melon parte dalla traduzione, che in e muto..., e come ripetizione e conseguente spostamento del discorso dominante. (90) questo caso non coinvolge solo due lingue ma “due sistemi testuali” (Godard

93) disposti dialogicamente tramite il testo a fronte. Sia Locatelli che Covi Di questa stessa, difficile, presa di parola ci parla Barbara Marx a proposito fanno l’accostamento tra comparazione e traduzione: per Locatelli, il lavoro di delle donne nel Rinascimento evidenziando in un contesto storico-culturale i traduzione e di trasferibilità costituisce l’ambito disciplinare della labili confini tra silenzio imposto e/o assunto e parola insubordinata. E anche comparatistica. Per Covi pensare alla comparatistica in termini di traduzione il discorso di Zaccaria ha molti punti di contatto con questa visione, partendo non si riferisce tanto alla lingua tradotta quanto alla traduzione di pensiero, come fa dalla “pagina bianca” di Karen Blixen considerata metafora dell’atto una traduzione (autobiografico) di scrittura-lettura-interpretazione al femminile che si

12 consuma nelle stanze, reali e narrate, delle donne, luoghi di libertà-possibilità- ritorno a casa nei testi di Nadine Gordimer sottolineando come non sia mai immaginazione-creazione, di costrizione-isolamento-follia, di co-identità io- stato un punto di arrivo bensì sempre l’inizio di un nuovo percorso. Eppure su lei. questo arrivo è stata costruita quella parte della teoria dei generi letterari che vede il romanzo quale successore dell’epica (Lukács, Bakhtin, Auerbach). Il nostro percorso immaginario attraverso le stanze della scrittura Partendo dal punto più vicino (Gordimer) per arrivare al punto più lontano corrisponde a una scelta tematica e strutturale fatta all’inizio del progetto, (l’Odissea), Winnett ripropone un’interpretazione aperta per quel lontano quando ci siamo poste il problema di come favorire il collegamento tra autrici inizio, e dal punto di vista più strettamente letterario mette in crisi il modello autorizzando allo stesso tempo quella libertà inter/testuale che è uno dei generativo unidirezionale. Secondo Winnett l’impossibilità del movimento di piaceri del comparatismo. I tre temi scelti, Commiato, Discesa agli Inferi, e andata/ritorno a casa delle figure femminili nei romanzi moderni si risolve Non scrivere nella lingua della madre, non sono omogenei: i primi due solo quando il ritorno significa l’ingresso nello spazio pubblico/politico. sollecitano approcci tematici; il terzo problematizza in senso politico-culturale Nella nostra proposta il commiato è una modalità narrativa del desiderio, e ‒ tramite l’imperativo negativo ‒ il rapporto tra soggetto sessuato e linguaggio. include quel sublime desiderio dei grandi amanti della letteratura mondiale Il Commiato e la Discesa agli Inferi sono temi tanto vicini da incoraggiare interpretato dal Romanticismo tedesco come desiderio inappagabile, desiderio sconfinamenti. Li attraversano i temi del viaggio, dell’assenza e della perdita. del desiderio. “Aber eine Sehnsucht war in mir, die ihren Gegenstand nicht Accomiatarsi, dice Ernestina Pellegrini, è un “entrare in contatto con le kannte, ich suchte immer, aber jedes Gefundene war nicht das Gesuchte...”, vibrazioni dell’assenza e lasciarsi andare al viaggio all’indietro ”; per Melon è scrive drammaticamente Karoline von Günderrode nel suo “Frammento un guardarsi dentro per scoprire le molteplici voci e far luogo all’altra. Le apocalittico” [ma in me c’era un desiderio struggente che non conosceva il parole del commiato aprono alla narrazione del sé in rapporto all’assenza. proprio oggetto, cercavo sempre, ma ciò che trovavo non era ciò che cercavo]. Così come l’assenza è la causa prima della lettera (d’amore), il commiato ne è La trama per eccellenza del Romanticismo è però la morte per amore, dove è il preambolo, movimento di ri-lettura dell’evento, di rivisitazione; quindi un la donna a morire. Modalità strutturale del Liebestod è quindi guardare indietro, un tornare per andare avanti. Il movimento del voltarsi l’(auto)soppressione sacrificale dell’amata affinché il femminile fluisca indietro (Winnett, Svandrlik, Pellegrini, Bono, Borghi) non è unidirezionale, nell’Arte: da Dante e Petrarca ai romantici, le figure femminili vengono ma autoriflessivo, a spirale, un circolo non concluso rispetto a un sé che è immortalate nella scrittura. ormai cambiato. Voltarsi indietro è spesso un guardare verso una possibile Le donne scrittrici operano un sostanziale spostamento in questo schema: origine. come illustra Barbara Marx, le poete italiane del Cinquecento prendono la Nel testo di Susan Winnett, al guardarsi indietro come ritorno a casa viene parola all’insegna della vedovanza, per articolare il loro desiderio solo dopo affidato il compito di revisionare un percorso classico della letteratura che il marito è morto. Celebrandolo nel monumento funebre dei loro versi, le comparata. Ritornando al nostos nell’Odissea, Winnett presenta il tema del autrici riescono a giocare i canoni che prevedevano e permettevano solo una

13 parola autodisciplinante. Il canone petrarchista rappresenta una vera e notturne, gli spazi letterari dove si legano morte e paura sono il modo in cui propria lingua straniera, talvolta doppiamente straniera, come nel caso di tante scrittrici contemporanee rispondono agli “stereotipi che legano le donne Vittoria Colonna, ma sfruttando l’ambiguità e le zone di sovrapposizione tra al regno della morte”. Queste “donne spietate” rovesciano il modello codici diversi le scrittrici possono appropriarsi della parola, e dire quella romantico di amore-morte e si accomiatano dalla narrazione patriarcale. “diversità indicibile” che è il corpo. Mentre le poete francesi del Cinquecento potevano azzardare solo l’ambiguità e la parodia (Marx), le scrittrici più vicine a noi possono lucidamente Il linguaggio autentico del corpo è per definizione quello più cifrato e esplicitare il desiderio di vendetta e la paranoia. “segreto”, traducibile solo in limine, in una parola in cui estasi mistica e Così Euridice può finalmente prendere parola e rispondere a Orfeo non solo seduzione diabolica convergono pericolosamente. nei versi di Alda Merini e di Sara Virgillito citati da Pellegrini, ma in testi di Oppure, aggiunge Marx, il linguaggio del corpo può essere, per le più George Sand e H.D., nell’autobiografia di Charlotte Salomon, nelle poesie di disinvolte francesi, traducibile in parola metamorfica: Catherine des Roches, Muriel Rukeyser, Ingeborg Bachmann, Elaine Feinstein e Adrienne Rich citati partendo da un gioco di parole, riesce a “deformare” il mito di trasformazione in altri saggi. Con un movimento tipico della riscrittura femminista di miti e di Dafne. fiabe, anche altre figure mitologiche diventano soggetto agente in una Quanto il commiato abbia un intreccio di affinità con il mito è desumibile in tradizione letteraria dove fungevano da oggetto (De Lauretis 1996). Ne è un molti interventi della sezione. Un saggio dedicato da Ornella De Zordo a Mary esempio la figura dell’ondina esaminata da Rita Svandrlik che paragona Shelley, autrice del mitico Frankenstein, rivisita lo scenario dell’Apocalisse nel l’elaborazione fatta del motivo da Ingeborg Bachmann con quella di Joanna romanzo The Last Man. Si può immaginare un commiato più radicale di Russ. Bachmann dedica a Ondina un breve racconto, un monologo di quello rivolto alla Terra e alla Storia dall’ultimo uomo, “commiato finale da un commiato dagli uomini, mentre Russ presenta Russalka all’interno di un testo sistema di valori logocentrico e razionale”? Eppure nemmeno questo è un che riscrive al femminile miti e fiabe, “costruendo” con una sua tecnica già percorso unidirezionale, visto che si situa alle origini di una scrittura ‒ quella collaudata una lettrice comparatista. In ambedue i casi l’ondina non è una fantastica femminile ‒ “che mostra il passaggio dall’ordine al caos”. Nel figura del commiato perché deve lasciare un mondo per un altro mondo, ma momento del caos affiorano dalla distruzione del vecchio sistema “una serie di perché in lei, come in altre figure mitiche della soglia, gli spostamenti tra piani valori nuovi e destabilizzanti che hanno a che fare con la realizzazione della spaziali e piani temporali sono inscindibili. parte nascosta e rimossa di sé”. Come altri temi della mitologia o della fiaba, la discesa agli Inferi è un fertile L’emergere del rimosso nel corpo del paesaggio fantastico di Mary Shelley terreno di indagine comparatista. L’approccio tematologico, spiega Maria viene rintracciato da Ernestina Pellegrini nel suo “sconfinare” attraverso i Grazia Profeti esaminando alcune scrittrici spagnole del Seicento nel loro territori della spietatezza femminile. Il rimosso cuore di tenebre, le storie ambito storico sociale, permette di misurare gli scarti rispetto al paradigma, analizzando la strategia combinatoria con cui sono stati elaborati elementi

14 originali e integrati elementi nuovi, e significa comprendere, nella peculiarità l’indifferenziazione ha portato alla demarcazione tra soggetto e oggetto, vita e e nello specifico letterario di un testo, il modo in cui un/una emittente ha morte, all’impossibilità della loro contiguità, dice Bono indagando sul concetto adattato temi e modelli forniti dai diversi generi letterari. Le tracce del di bordo, soglia, frontiera, e sviluppando un filo teorico sull’abietto materno di discorso tecnico di Profeti si ritrovano in molti dei nostri saggi, dove la ricerca Carter e Lispector attraverso fertili contaminazioni disciplinari, dal concetto di degli scarti viene perseguita usando altri termini di comparazione, soprattutto limen di Van Gennep e Turner fino all’analisi di Kristeva. Bono guarda alcuni il concetto di differenza. racconti di discesa agli Inferi, “distanti nel tempo, nello spazio, nel contesto di La rivisitazione e riscrittura dei miti è un esempio di questa operazione. Noi appartenenza, come racconti che in modi diversi parlano pur sempre della abbiamo scelto la discesa agli Inferi perché è un mito femminile delle origini: nascita, metaforizzandone la bellezza e la paura”. sebbene nelle narrazioni classiche di quest’origine sia rimasto ben poco, nel La discesa al mondo ctonio e il contatto con l’arcaico sé materno sono anche nucleo mitico la catabasi significa una discesa/ascesa verso le Madri. Nel mito il tema del saggio di Uta Treder su Karoline von Günderrode, Annette von di Demetra e Persefone, modello della relazione femminile primaria, quella tra Droste-Hülshoff e George Sand. Per le prime due scrittrici la discesa è una madre e figlia, la Madre viene esclusa dal regno sotterraneo, letto in magica fuga dal reale, un liquido e fluido discendere a ricongiungersi contrapposizione al regno terreno della luce, ma le scrittrici riescono nei loro estaticamente al grembo materno (Günderrode), o a riportare in vita il testi poetici a ristabilire la circolarità tra generazione e generazione che materno (Droste). Ma per Sand in Consuelo la discesa agli Inferi è l’iniziazione costituisce il ciclo della vita. Lo dimostra Marina Camboni in questa a un nuovo ordine che può riscrivere la realtà ripristinando una genealogia descrizione dell’opera poetica di H.D.: matriarcale. Perché il ricongiungimento con la madre riesca, in ogni caso il maschile deve venire rimosso, taciuto, ignorato, e l’uomo diventare il Innestandosi nel cuore mitico del narrarsi patriarcale, là dove la parola è figlio/amante della Grande Dea. Mentre le due autrici tedesche rielaborano il verbo, creazione e trascendenza, H.D. crea le proprie figure di identità, una mito di Demetra e Persefone, Sand lo contamina con il mito di Orfeo. propria genealogia, definisce il suo spazio, rivisitando e disaggregando miti, straniando la parola e la figura, lasciando che l’immaginario operi la È questo mito contaminato che struttura tematicamente la discesa agli Inferi trasformazione. di Charlotte Salomon, giovane pittrice ebrea tedesca, autrice di un testo che

In tutti i suoi scritti, H.D. esplora modelli alternativi di identità trasmutando combina scrittura e illustrazione raccontando la sua vita in più di mille lingua e parole in raffinati strumenti di decostruzione e rinnovamento culturale, guazzetti. In uno dei quattro saggi dedicati a Salomon in questa sezione, Anna e Camboni, svelando il nesso archetipico tra scrittura e ricerca interiore, collega Nozzoli parla di lei in rapporto all’edizione italiana di un catalogo delle opere il cambiamento nel sé e nel mondo alla rifigurazione della lingua della madre. del 1963, e colloca le gouaches nella tradizione del romanzo autobiografico Paola Bono invece rivisita il mito della Grande Dea mettendo a fuoco il novecentesco. Rita Guerricchio rilegge la “doppia autobiografia” di Salomon in momento del passaggio alla vita. Nel nucleo mitico originario, la Dea della termini di “un sintagma-scarto, una rottura del canone dovuta proprio a una morte e la Dea della nascita erano inseparabili, ma l’incapacità di sostenere trasmigrazione di generi e a una contaminazione interdisciplinare”; la chiama

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“autoritratto”, e richiama l’attenzione al suo connotato principale: “la di assassini. Seghers, comunista, e Edvardson, ebrea battezzata, hanno in sospensione dalla morte che invita o costringe... a un intrattenimento precario comune l’applicazione del precetto ebraico di ricostituire il mondo come il racconto, nel caso, il racconto di sé”. Mentre Nozzoli e Guerricchio ripristinandone l’integrità. Per Seghers questo si può ottenere riportando la mettono l’opera di Salomon in relazione con autori italiani del Novecento, lingua violata nel regno dell’umano; ma Edvardson rifiuta la lingua di sua Franca Zoccoli la collega alla pittura dell’Espressionismo, e spiega come i fogli madre, lei stessa scrittrice, e ritorna alla parola attraverso il difficile uso di una usati per i guazzetti rimandino “per analoga materia... a pagine di libro o di lingua franca, lo svedese. diario: uno spazio più limitato di quello del quadro, e in un certo senso Per Anzia Yezierska, protagonista del saggio di Tobe Levin, l’interdetto alla privato”. Liana Borghi, l’abbiamo accennato, trova il nesso strutturale parola della madre è la cancellazione dello yiddish necessaria all’assimilazione dell’opera di Salomon nella finestra: luogo autobiografico del commiato, della negli Stati Uniti. Yezierska riuscirà però ad affermare il proprio bilinguismo perdita del mondo materno, ricordo dell’origine dove vita e morte si tramite una operazione di creolizzazione e métissage che reintroduce l’altra incontrano, passaggio per una tragica discesa agli Inferi. Messa in relazione ad lingua nel linguaggio dominante. Usando strategie di nominazione e altri oggetti correlativi dell’esilio e della Shoah, la finestra si fa metafora per riappropriazione non solo linguistiche ma anche culturali e ambientali; l’instabile e inaffidabile passaggio tra evento storico e mito. usando parole, inflessioni, figure, situazioni e trame bastarde, sentimentali, Mentre la riflessione su scrittura e iconografia resta un discorso di spesso stereotipate, il linguaggio ibrido di Yezierska “trasporta il racconto comparazione interno al testo di Salomon che combina i due mezzi espressivi all’interno della letteratura americana, cambiandone l’ecologia lessicale e con finalità proprie, il saggio di Gigliola Sacerdoti Mariani accosta scrittura e quindi la cultura”. pittura stabilendo una comparazione tra la poeta americana Muriel Rukeyser La nostra raccolta di saggi si chiude con Giovanna Covi che rilegge Jamaica e l’artista tedesca Käthe Kollwitz (ambedue soggetti scomodi per Kincaid di Antigua e Jessica Hagedorn di Manila in termini, rispettivamente, l’establishment) attraverso una poesia che l’una ha scritto per l’altra. Si tratta di una identità prismatica e di una soggettività cibernetica: s/oggetti anche in questo caso di una comparazione “interna”, perché interiorizzando il immaginari in difficili contesti postcoloniali dove riescono a imporsi come dramma di Kollwitz, Rukeyser opera una discesa/ascesa nel profondo del sé, “forti agenti storici di cambiamento”. Con un percorso a spirale il testo ritorna la biografia in versi diventa autobiografia. Quando l’una con-fluisce nell’altra, verso il saggio iniziale di Vita Fortunati che ci affida il difficile compito del come il lutto personale confluisce nel lutto di un’epoca di guerre, “due volti, dialogo e confronto tra culture europee ed extraeuropee come fossimo agili due vite, due forme di arte, due mondi... coincidono o si rendono contigui”. acrobate in grado di negoziare qualsiasi confine. Il tema dell’ebraismo, in quanto collocazione socio-culturale che costringe a un riposizionamento del soggetto, continua nei primi due saggi dell’ultima sezione. Calabrese esplora il rapporto di Anna Seghers e Cordelia Edvardson con la loro lingua della madre, il tedesco, che i nazisti fanno diventare lingua

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TEORIE, METODI E LUOGHI

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Storicamente quindi si tratta di una disciplina che è stata posizionata verso Vita Fortunati l’Europa, gli scrittori “canonici” e le lingue maggiori. Un comparatismo che quando si è aperto alle lingue e letterature “altre” ha usato i “Master’s tools”, La sfida teorica del comparatismo femminista: gli strumenti metodologici, come ha acutamente rilevato Audre Lorde, delle tra universalismo e differenza culture egemoniche (Lorde 110). La letteratura comparata, basandosi sul concetto che suo scopo primario era lo studio delle grandi opere letterarie, definite da Wellek i monumenti della grande letteratura mondiale, ha provocato quel pericoloso fenomeno che Marie Louise Pratt ha definito “multinazionalismo selettivo” (Pratt 58-73). Se questi sono stati i limiti del comparatismo come disciplina storica, recentemente alcune comparatiste Il comparatismo letterario al femminile apre ampie prospettive teoriche e esperte delle letterature asiatiche hanno anche messo in luce i pericoli di un pratiche all’interno degli studi di teoria e storia comparata della letteratura1. annacquato multilinguismo e multiculturalismo. Molte volte, come Vorrei cominciare il mio intervento partendo da alcune domande che dimostrano certi curricula accademici, l’apparente apertura liberale alle altre circolano in alcuni libri di studiose comparatiste: perché la letteratura culture e alle lingue cosiddette minori nasconde una profonda ignoranza e comparata per molti anni si è disinteressata degli studi femministi? (Bassnett indifferenza nei confronti delle distinzioni storiche e politiche tra “culture 1993 e Higonnet 1994) Perché le donne paradossalmente solo di recente etniche” e “gente di colore”. Come osserva acutamente Rey Chow, hanno posto in maniera pressante il problema del comparatismo sia a livello delle teorie femministe che a quello dell’analisi dei testi letterari? Ma nell’atteggiamento liberalista, il multilinguismo è in fin dei conti soltanto I motivi per cui questo connubio tra femminismo e comparatismo non c’è un alibi: l’“apertura” caritatevole verso altri linguaggi e culture spesso si affianca a una totale ignoranza e indifferenza per quanto riguarda le stato, o per lo meno è stato tardivo, si possono rinvenire nella storia del distinzioni storiche e politiche tra “culture etniche” e “gente di colore”. Se la comparatismo: una disciplina che, pur volendo essere sempre all’avanguardia, politica reazionaria usa il multilinguismo allo scopo di indottrinare e sorvegliare, il liberalismo bianco, con la sua apparenza più benevola, usa il è stata, come dice Susan Sniader Lanser, fondamentalmente “orientata al multilinguismo per abbellire e divertire, come mero cambiamento esteriore. maschile”, eurocentrica e caratterizzata da una pratica incentrata su (Chow 110; traduzione mia) opposizioni binarie (Lanser 280-301). Infatti il comparatismo, nella tradizione di Wellek e Warren, ha puntato maggiormente sui valori estetici, sui problemi L’entrata degli studi femministi e post-coloniali nel comparatismo è stata relativi al “canone”, sulla “letterarietà” del testo, sulla competenza linguistica: lenta e tardiva, ma quando si è verificata ha provocato non solo uno scossone valori che non solo presuppongono un’ideologia della trascendenza, ma anche salutare, ma anche un’ennesima crisi di identità nella disciplina. Di questo se un concetto di letteratura come forza universale di civilizzazione. ne rendevano perfettamente conto Clayton Koelb e Susan Noakes nel 1982

18 nella loro introduzione ad una raccolta di saggi, The Comparative Perspective femministi è proprio l’interdisciplinarità e quindi il comparatismo. Per noi, on Literature: donne critiche, interessarsi della letteratura femminile ha voluto dire innanzitutto operare un continuo processo di comparazione con la tradizione Si nota la tendenza a prendere le distanze da elementi che sono stati letteraria patriarcale dominante. Come ricorda anche Elaine Showalter, il considerati fondamentali per capire la storia della letteratura come una gynocriticism è sempre stato “bitestuale”, un dialogo costante tra la tradizione grande impresa culturale unificata (movimenti, temi, periodi, la storia delle idee) e verso problematiche che riguardano la frontiera (letterature maschile e quella femminile, una comparazione che ha spinto le donne ad “emergenti”, rapporti con altre discipline, studi sulle donne, forme operare continui atti di revisione, appropriazione e sovversione del canone marginalizzate di lettura, “prerilettura”, “lettura al femminile”, e “lettura letetica”). (Koleb e Noakes, 6; traduzione mia) letterario (Showalter 243-70). Ma questa attenzione teorica al problema del

comparatismo femminile non poteva non nascere in questa particolare fase Attraverso questa crisi è subentrata l’idea di un comparatismo globale, pan- del pensiero femminista che Judith Butler ha definito “post-femminista”, dove europeo: sono stati critici come Edward Said e Lisa Lowe, per citare solo due l’aspetto meta-discorsivo appare predominante. Le donne non solo pensano, degli studiosi più rappresentativi in questo settore, che ci hanno reso ma riflettono sul loro pensiero, si interrogano sulla propria genealogia. Ed è consapevoli di quanto lo spostamento del centro modifichi radicalmente la proprio in questa fase che la comparazione con gli altri femminismi ha messo nostra prospettiva. È venuta meno l’idea che l’Europa occidentale e le sue in discussione l’egemonia del cosiddetto “femminismo bianco ”. Il letterature siano il centro unico di irradiazione e di educazione della comparatismo come metodo conoscitivo ha sottolineato come una delle letteratura del mondo. “Per il nuovo comparatismo il ‘centro’ è dappertutto, caratteristiche più innovative e fertili del femminismo sia il suo pluralismo, multiplo in ogni caso... dunque la multipolarizzazione si oppone alla che si fonda sull’idea che tutte le sintesi globali tendono ad amalgamare la bipolarizzazione”, dice Adriano Marino (1982, traduzione mia). complessità e la molteplicità dell’identità femminile. Il comparatismo Multipolarizzazione versus bipolarizzazione implica una letteratura comparata praticato dalle donne non potrà mai essere monolitico, proprio perché il plurale, una disciplina dinamica che si modifica nel tempo, stabilendo pensiero, la cultura e la letteratura delle donne si sono formati da un insieme rapporti differenti con altre forme di interrogazione del letterario. Il di saperi che nascono in contesti socio-politici tra loro molto differenti: saperi comparatismo, quindi, come disciplina mobile, che non si isola in se stessa, che si trasmettono da un continente all’altro con esiti ed ibridazioni tra loro ma che modifica alcune vecchie nozioni considerate come definitive e formula molto feconde (Braidotti 1992, 7-10). nuovi paradigmi (Carvalhal 15). Le nuove frontiere politiche sono state ridisegnate grazie ad una concezione Ma vorrei tentare di rispondere al secondo quesito che mi ero posta ad più planetaria delle forze politico-economiche che sono in campo. In questa apertura dell’intervento: perché solo recentemente le donne si sono prospettiva diventa essenziale per gli studi di letteratura comparata il criterio interessate del comparatismo? Di primo acchito questo fatto potrebbe della differenza: ci si discosta dalla ricerca delle analogie per immergersi nel apparire quasi un paradosso dal momento che il punto forte degli studi vasto dominio dell’interculturale in cui tutte le letterature trovano il loro

19 spazio. Per Earl Miner la nozione di differenza è indispensabile in quanto: “l’uso consapevole della differenza più radicale e di elementi che sono Essere comparatiste vuol dire quindi accettare l’alterità, le differenze: solo riconosciuti come somiglianti solo in parte spiega ciò che è messo alla prova, accettando questo rapporto di parità e di differenza con realtà culturali altre, ed è questa differenza a permettere la comparazione”. Il principio generale si può meglio comprendere la propria identità. che egli cerca di stabilire è quello della diversità: “la diversità è la differenza riscontrabile all’interno di un insieme di elementi realmente comparabili. Noi Per quanto possa sembrare non fattibile e inefficiente, non posso fare a meno di insistere che esista simultaneamente un’altra messa a fuoco: non solo chi non possiamo comparare ciò che è totalmente identico”. Anche Lisa Lowe sono io? ma chi è l’altra donna? Come le sto dando nome? Come dà lei nome a mette in luce come nei rapporti interculturali diventi essenziale il confronto me? (Spivak 150) tra letterature che si fondano su contesti culturali ben differenziati. Il comparatismo come pratica critica delle donne non si configura più come

La mia presa di posizione a favore dell’eterogeneità vuole sfidare la tradizione “stupro”, come rapporto di dominio, di sottomissione, di prevaricazione di che concepisce la differenza come strutturata esclusivamente da una una cultura dominante su quella subalterna, ma come operazione di continua opposizione binaria tra due termini... proponendo invece un’altra nozione di differenza che consideri seriamente le condizioni dell’eterogeneità, messa in discussione dei propri metodi. La studiosa comparatista mi sembra molteplicità, non equivalenza. (Lowe 1991a, 24) che debba affrontare, con grande coraggio e umiltà il disagio e talvolta lo

sconforto che inevitabilmente l’assale, quando si trova di fronte a nuovi Leggendo alcuni dei saggi teorici di donne critiche che si sono poste il orizzonti del sapere a lei sconosciuti: orizzonti che mettono in crisi le sue problema di che cosa significhi essere donne, letterate e comparatiste, mi certezze, ma che possono diventare un fecondo terreno di crescita. Deve sembra che emergano alcuni punti specifici di enorme rilevanza teorica. accettare la sua inquietante e paradossale situazione esistenziale: il suo essere Innanzitutto si delinea la figura di una donna critica comparatista capace di dentro e al contempo fuori della propria cultura. Si tratta di trovare un attraversare non solo diverse letterature e culture, ma anche diverse equilibrio difficile tra un imprescindibile radicamento nella propria cultura discipline. La donna comparatista è molto consapevole che quando si compara d’origine e un necessario distanziamento critico. Molto suggestive mi si innesca sempre inevitabilmente un problema di posizionamento: sembrano le metafore che alcune critiche femministe usano per caratterizzare

le qualità che la comparatista deve possedere: la donna come agile acrobata Sempre più viene riconosciuto che il dove da cui si parla condiziona il significato e la verità di quello che si dice, e quindi non possiamo presumere di che si muove tra saperi diversi, che è in grado di tradurre l’eterogeneità di avere la capacità di trascendere la nostra posizione. In altre parole,... il culture diverse, di transitare attraverso confini, di unire differenze etniche e posizionamento di chi parla è epistemicamente saliente.... Dovremmo sforzarci il più possibile di creare le condizioni per il dialogo e per la pratica di razziali. La voce critica della donna è “come una navetta che si muove in parlare con e a, anziché parlare per gli altri.... confrontarsi è un primo passo entrambe le direzioni attraverso il confine” (Higonnet 1994, 12). necessario a imparare a vedere e ascoltare gli “altri” che sono tra di noi. (Alcoff 15) La “finzione politica” che Rosi Braidotti adotta per denotare il pensiero

20 femminista, il nomadismo, mi sembra molto confacente alla pratica ai diversi contesti politico-culturali in cui le diverse letterature delle donne comparatista. operano. Per questo accanto al termine “comparatismo globale” compare quello di “specificità comparativa”. Il pericolo in agguato con il comparatismo Sebbene l’immagine dei “soggetti nomadi” si ispiri all’esperienza di genti e globale è quello di cadere in un vago idealismo di stampo romantico se esso culture che sono letteralmente nomadi, il nomadismo qui in questione si non si radica nei precisi contesti storico-politico-culturali che si vengono riferisce al tipo di coscienza critica che non accetta di conformarsi a modalità di pensiero e comportamento socialmente codificate.... È la sovversione di comparando. Da questa prospettiva le comparatiste si sforzano di superare rigide convenzioni a definire lo stato nomadico, non l’atto concreto del l’universalismo goethiano insito nel concetto di Weltliteratur in cui venivano viaggiare. Gli spostamenti nomadici pertanto denotano una specie di divenire creativo; una metafora performativa che permette incontri altrimenti accentuati l’universalità dei valori letterari, lo spirito transnazionale nelle improbabili e insospettate sorgenti di interazione tra esperienza e sapere. scienze umane per sollevarsi al di sopra dei confini nazionali. Il concetto di (Braidotti 1994, 5-6) letteratura comparata globale implica necessariamente l’idea post- In questa prospettiva, emblematico è il titolo del volume di Margaret strutturalista della letteratura come conglomerato dinamico e differenziato di Higonnet, Borderwork, dove nel termine “border” (confine, bordo) non si sistemi, caratterizzato da opposizioni interne e da spostamenti dinamici. La vuole più sottolineare il segno che delimita, fissa lo spazio, quanto piuttosto la nozione di letteratura come polisistema vede non solo i sistemi individuali zona di transito, di passaggio. Nella parola “border” è insita l’idea della come facenti parte di un tutto dalle molte sfaccettature, ma anche deterritorializzazione dal luogo d’origine, dal centro. La nuova letteratura l’eliminazione della distinzione gerarchica tra letterature maggiori e comparata femminista vuole rimappare il globo, cercando di inserire nella letterature minori, tra lingue maggiori e lingue minori (Marino 1990; mappa dei comparatisti i luoghi considerati marginali e di ridefinire i confini Lambert). La letteratura comparata globale, proprio perché si fonda sull’idea disciplinari (Bassnett 1993a, 35-56). Per queste ragioni molte donne della letteratura come eco-sistema (Moretti 84), ha messo profondamente in comparatiste si sforzano di connettere discipline tra loro diverse in una crisi la presunta universalità dei valori dell’estetica kantiana. Contro pratica ermeneutica che Françoise Lionnet definisce métissage “un ibrido l’eccessivo formalismo del comparatismo tradizionale, le comparatiste dialogico che fonde elementi eterogenei” (41). Una pratica di comparatismo sottolineano il loro rinnovato interesse per la letteratura come documento, che riconosce come la rappresentazione letteraria passi attraverso i confini dei ponendo in primo piano l’importanza del contesto storico-politico per diversi discorsi politici, giuridici, artistici e antropologici. l’interpretazione del fatto letterario. A questo proposito vorrei ricordare, come La seconda sfida teorica del comparatismo è il tentativo di operare una segno del mutato atteggiamento delle studiose femministe, il commento di interazione tra una prospettiva globale e un’attenzione allo specifico: un Susan Bassnett nei confronti della posizione critica di Elaine Showalter, tipica tentativo cioè di conciliare una visione globale senza perdere di vista le proprie della seconda fase del femminismo critico caratterizzata da un eccessivo specificità culturali di appartenenza. Da una parte quindi l’accettazione che formalismo. Showalter, quando cerca di delineare le caratteristiche esistono più comparatismi e più femminismi, dall’altra un’attenzione precisa dell’impresa critica delle donne, mette in luce come essa

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cioè dai nostri valori, ed è sempre filtrata dal linguaggio. Infine ad un’idea di definisce e traccia attraverso tutta la storia e i confini nazionali le immagini Storia monologica e monolitica è subentrata quella di una storia conflittuale e ricorrenti, i temi e gli intrecci che emergono dall’esperienza sociale, dialogica “un racconto di molte voci e forme di potere, un Potere esercitato da psicologica e estetica delle donne in una cultura dominata dagli uomini. (Showalter 5) chi è debole e emarginato oltre che da chi è forte e domina” (Newton 152).

La terza sfida teorica è di vedere come l’identità letteraria nazionale sia Proprio questa ultima frase sembra presupporre che esiste un modello intimamente connessa con la categoria del gender e come essa interagisca con universale nella rappresentazione e scrittura delle donne, non toccato, non la razza, la classe sociale e le inclinazioni sessuali. Questo mi sembra essere modificato dai differenti contesti storico-politici ed economici in cui questo uno specifico interesse del comparatismo delle donne ed è proprio su questo modello viene contenuto (Bassnett 1993, 117). punto che il new historicism delle femministe si discosta da quello dei colleghi La posizione di Bassnett è sintomatica dell’importante presenza delle maschi2. Questa forma di comparatismo mi sembra oggi di estrema rilevanza studiose femministe nell’attuale dibattito tra femminismo e new historicism. ed urgenza non solo in America, ma anche in Europa per i difficili problemi Sarah Webster Godwin in un importante articolo, prima di fare il punto che le ondate migratorie hanno provocato, per i preoccupanti fenomeni di sull’incontro-scontro tra femminismo e new historicism ricorda che la prima revanscismo nazionalista e di pulizia etnica3. Come dice la critica americana grande studiosa comparatista storicista è stata Madame de Staël, la cui opera Lisa Lowe, non è stata a sufficienza studiata.

Negli anni novanta possiamo permetterci di ripensare il concetto di identità Il contributo di de Staël chiarisce che la teoria storicista femminista sta etnica in termini di differenze culturali, classe e genere, anziché dare per proprio al centro della letteratura comparata; il lavoro di comparazione tra scontate somiglianze e porre a base dell’unione la cancellazione delle culture letterarie stimola la comparazione e la costruzione dei generi. (Godwin particolarità. Negli anni Novanta possiamo permetterci di diversificare le 260) nostre pratiche politiche includendo nel nostro continuo lavoro per la trasformazione dell’egemonia un gruppo più eterogeneo, e aprendoci ad Non si vuole qui entrare nel dettaglio del fecondo, anche se talvolta acceso alleanze cruciali con altri gruppi ‒ alleanze basate sull’etnia, la classe, il genere e la sessualità. (Lowe 199la, 39-40; traduzione mia) dibattito tra femminismo e new historicism: l’aspetto che qui mi preme sottolineare è che le studiose comparatiste condividono con i new historicists Vorrei terminare sottolineando come nel comparatismo delle donne alcuni importanti assunti teorici. Innanzitutto, come ci ricorda Judith Lowder compare una positività e una volontà di costruzione, in una parola un pensiero Newton, non esiste un’essenza umana universale e transtorica, ma la nostra “forte” che mi sembra essere la caratteristica più entusiasmante di questa fase soggettività è “costruita da codici culturali che ci posizionano e limitano in vari “post-femminista”. In questa fine, per tanti versi tragica, del nostro millennio, modi ”. In secondo luogo, la lettura/interpretazione dei testi e della Storia non percorsa da inquietanti segni di irrazionalità, di xenofobia, di antisemitismo, è mai oggettiva, perché è condizionata dalla nostra specifica posizione storica, ho notato nelle donne comparatiste una grande tensione verso una

22 progettualità utopica, come crescente volontà di reinventarsi nuovi modelli di pensiero. Questa progettualità utopica vede la luce non da un facile ottimismo, ma dalla sistematica decostruzione di un comparatismo ormai desueto. Una progettualità che non solo cresce nel sistematico sospetto dei pericoli insiti nella proposta di un comparatismo globale ma anche, come dice bell hooks, da una sensibilità sia affettiva che politica. La proposta di un comparatismo globale, attento alle singole specificità e alle differenze nasce proprio dalla volontà di costruire un’unità nelle differenze, di trovare delle basi comuni tra le forme eterogenee dei saperi delle donne. Si tratta cioè di vedere se è possibile nonostante le molteplicità, l’eterogeneità, la dispersione del pensiero e della cultura femminista stabilire una base comune per leggere ed interpretare questo corpus eterogeneo. Come molto lucidamente ricorda Trinh T. Minh-ha la sfida principale del femminismo post-coloniale risiede

non nella contrapposizione di varie culture le cui frontiere rimangono intatte, e non nello scialbo atteggiamento di mescolare tutto in un crogiolo che azzera ogni differenza nell’ansia di ridurre ogni cosa ad un Medesimo. Risiede invece in quell’accettazione interculturale di rischi, di inaspettate deviazioni, e complessità di rapporti tra dipendenza e rotture [dependency and rupture], che ogni escursione artistica e ogni impresa teorica richiedono man mano che vengono sfidate, minate, modificate e reinscritte le certezze dei confini. (traduzione mia)4 1 Un convegno molto importante all’insegna del comparatismo e della interdisciplinarità, dal titolo Teorie del Femminismo Made in USA, è stato organizzato a Bologna dal Centro di Documentazione delle Donne e l’Università di Bologna (Dipartimento di Lingue e Letterature Straniere Moderne). In questo convegno si metteva a confronto il femminismo italiano con quello americano. 2 Sarah Godwin discute la polemica tra Catherine Gallagher e Judith Newton su femminismo e marxismo rispetto alle diverse valutazioni che la Newton attribuisce alle categorie del gender in rapporto alla categoria di “classe” (Higonnet 1994, 260). 3 Susan Bassnett sottolinea l’enorme paradosso in cui si trova oggi la letteratura comparata: da una parte si constata la fine di un comparatismo tradizionale fondato sull’opposizione binaria ed eurocentrico, dall’altra il forte impulso nazionalistico e politico presente nei paesi post-coloniali, dell’ex-Unione Sovietica e nei paesi dell’Est. “Gli stati europei revisioneranno i loro programmi scolastici poiché stanno attraversando una fase di nazionalismo che è ormai sparita da tempo nei paesi capitalisti dell’Ovest” (1993, 9). 4 Trinh T. Minh-ha, “Vertigine orizzontale: la politica dell’identità e della differenza”, relazione tenuta al convegno di cui sopra liberamente tratta da When the Moon Waxes Red.

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interessate”, e disinteressate perché possono contare sull’universalità Carla Locatelli trascendentale del soggetto fallogocentrico, ovvero su formazioni simboliche di un’egemonia culturale quasi totalizzante. e/o: S/Oggetti immaginari: letterature Partendo da questi presupposti, ho intrapreso un’analisi del titolo di questa comparate al femminile: raccolta; nella fattispecie, una sua esplicitazione decostruttiva mi è parsa doverosa preliminarmente all’interrogazione della posta in gioco timica (e/o

desiderativa) dello sguardo “al femminile” che compara letterature, e aspira al

riconoscimento di uno statuto epistemologico. La presente riflessione si snoderà in modo paradigmatico e metacritico, tu sai, tu certo, a qual suo dolce amore similmente al procedere di A Room of One’s Own (1928, 1992) a cui si ispira. rida la primavera Ovviamente avrei potuto scegliere modelli ermeneutici diversi, ma la qualità Giacomo Leopardi aperta della modalità teorica woolfiana mi è parsa degna di rilettura, in quanto consente appunto di implicarsi come meta-critica di un ambito che La chiarezza apparente del titolo di questo libro: “S/Oggetti immaginari. resta incontournable1. Letterature comparate al femminile” mi ha fatto tornare in mente In effetti, discutendo di women and fiction (donne e romanzo), il saggio un’affermazione da L’urlo di Antonioni: “ci si capiva: non c’era niente da critico woolfiano finisce per diventare esso stesso romanzo, romanzo critico, capire finché ci si amava”. Mi sono chiesta: “può il tema di questo libro essere metanarrativo, sicuramente, ma che comunque dimostra con la sua singolare un ambito critico ed epistemologico se non lo si ama?” E, nel contempo: narratività, l’interminabilità dell’analisi del suo tema, o, in altri termini, “come può un ambito epistemologico costituirsi all’interno di una prospettiva l’inesauribilità del suo contesto. Ricordando Derrida (1967), potrei descrivere timica, e più precisamente, se a costituirlo è un interesse amoroso?” questo “libro” come primariamente “volume”, e precisare che si tratta di un La prospettiva femminista è cresciuta con queste commistioni e “volume non circoscrivibile ”. Ciò significa che il contesto vi è riconosciuto simultaneità, e vive con queste dislocazioni disciplinari e “contraddizioni”, pur come non-saturabile, anche perché i s/oggetti che vi sono messi in gioco si non legittimandosi come risoluzione logica delle stesse. Piuttosto, è, oltre che con-figurano proprio nel loro giocarsi2. Più poeticamente, potremmo una pratica politica (formativa di una galassia concettuale, se non di un descrivere A Room of One’s Own con le parole di Adrienne Rich: “Call it a simbolico, tout court), anche una pratica critica di lettura che, passando dalla book, or not / call it a map constant travel” [Si chiami libro o no, chiamalo comprensione alla significazione di certi testi culturali (Segre 9-22), riconosce mappa di un viaggiar continuo] (Rich 1986, 54): l’intervento della soggettività, un intervento che (come spiega ampiamente Con la sequela dei due punti nel titolo del mio intervento, ho voluto Luce Irigaray) è invece mascherato da pratiche ermeneutiche sedicenti “dis-

24 segnalare questa non-perimetrabilità dell’analisi femminista (e dello sguardo completamente diverso” (Foucault 1969/1971, 12). al femminile) per non reprimere né la storia, né l’ineliminabile dialogicità, né È su questo livello di decostruzione-reimpiego della sintesi (dei livelli l’iscrizione dell’evento inaugurale nei vari concetti femministi che entrano in eterogenei di un concetto) che mi pare possibile focalizzare l’operatività del gioco nell’elaborazione disciplinare delle “letterature comparate al femminile”. comparativismo “al femminile” in letteratura. In effetti, la configurazione della Una serie di “due punti” (né data per finita, né per infinita), non è genealogia critica di certi concetti può non solo costituirsi in quanto critica ad canonicamente prevista dalla cosiddetta buona prosa, dove non sembra una disciplina “formata”, ma può anche diventare essa stessa un operare accettabile concludere con un rinvio, segnalando il desiderio di un concettuale costitutivo di un nuovo ambito disciplinare (le letterature supplemento del discorso. D’altra parte, i “due punti” (scelti “al posto del” e comparate al femminile), la cui epistemologia si dà quindi come esplicitazione nel contempo “invece del” punto fermo) mi paiono importanti per la di una proceduralità concettuale che si riconosce politicamente ed eticamente configurazione del tema del presente volume. determinata. Irriducibilmente due all’origine, i due punti (due ma uno, nel senso di una Si comprende facilmente, in un’ottica attenta alla genealogia critica di certi sola marca prosodica) spostano la conclusione del senso, deterritorializzano il concetti, come, non a caso, A Room of One’s Own si qualifichi fin dal suo punto fermo che connota il detto come concluso. I “due punti” segnalano il esordio come un discorso sul metodo, prima ancora che come denuncia delle desiderio di un ritorno al detto e hanno il potere di mobilitare l’enunciato, molteplici esclusioni che riguardano le donne in quanto donne in una società aprendo il (con)testo alla possibilità di una testualizzazione. In questo senso, patriarcale. Infatti, Woolf scrive: “Quando mi avete chiesto di parlare di donne ogni testo si conclude con “due punti”, ed è solo un desiderio di autorità e di e romanzo... ho cominciato a chiedermi cosa significassero queste parole” egemonia che sigilla degli enunciati con un punto fermo (a full stop), (Woolf 1928/1992, 3) dimostrando così di sentirsi legittimata a prendere la sanzionando un dogma di chiusura testuale, che reprime l’irriducibile parola, in quanto interprete singolare e in questo “inaugurale” del tema, un implicazione del testo con la lettura. Questa condizione di mobilità, di rinvio, tema apparentemente già chiaro, come è appunto “donne e romanzo”. di dialogicità, di supplementarietà, contro la reificazione del detto, mi pare un Il saggio woolfìano può essere letto quindi come un’esplicitazione del presupposto teorico-metodologico irrinunciabile nel pensare la letteratura e la passaggio dalla comprensione alla significazione di un tema (donne e comparazione “al femminile”3. romanzo) che viene (ri)visto come un testo indeterminato, e/o, aggiungerei, iperdeterminato. Una mappa dell’inesplorato-da-esplorare, che diventa “mappa di un viaggiar Cesare Segre, nella sua prefazione a L’atto della lettura, di Wolfgang Iser, continuo” si costruisce tramite una genealogia critica delle mappe precedenti, afferma: cioè non solo come critica, perché il sapere in oggetto potrebbe dislocare la nozione stessa di “evidenza”, nel senso di rendere esplicita “l’elaborazione il testo comunica col lettore proprio mediante la sua indeterminatezza, la metodologicamente concentrata della serie... di tipi di avvenimenti di livello quale lo costringe a interrogarsi sulle intenzioni dell’opera. È solo nel

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passaggio dalla comprensione alla significazione che s’inserisce l’intervento possa ancora chiamare così). E allora che una pratica decostruttiva (e tra della soggettività. (Segre 12) queste quella femminista) può, dopo tutto, restituire al testo quella Fermo restando il mio apprezzamento per questa lucida sintesi teorica, mi indeterminatezza che lo rende leggibile, autenticamente “comunicativo” al di chiedo se sia sempre e solo l’indeterminatezza all’origine della comunicazione là delle sue intenzioni dichiarate (“informazionali” ). col lettore (o con la lettrice!). Credo che a volte non sia tanto l’indeterminatezza di un testo che “costringe a interrogarsi sulle intenzioni Inoltre, se l’indeterminatezza e l’irrappresentabile non possono intendersi dell’opera”, ma è piuttosto una certa sua iperdeterminazione, dei temi trattati, come sinonimici, allora i procedimenti di comprensione-significazione di un e/o l’iperdeterminazione dei modelli narrativi che gli sono sottesi, a mobilitare testo che implica o l’indeterminatezza o l’irrappresentabilità in sé e nella/della certi passaggi dalla comprensione (di quello che sembra già chiaro) alla sua rappresentazione, non possono che essere diversi. Tuttavia, non mi risulta significazione, attraverso pratiche critiche o scritturali decostruttive o che la semiotica o la teoria della ricezione abbiano valorizzato questa dislocanti (in ambito letterario si pensino, a titolo d’esempio, le riscritture di differenza, anche se si tratta di una differenza cruciale per la discussione Angela Carter). teorica della rappresentazione, che è un problema centrale non solo nel Queste pratiche decostruttive, più o meno teoriche, privilegiano non tanto pensiero estetico tradizionale, ma anche nel pensiero femminista. l’indeterminatezza del testo, quanto piuttosto la sua iperdeterminazione, che Spostandomi su un altro ambito disciplinare contiguo (quello della teoria viene erosa, corrosa, per rendere il testo suscettibile di una leggibilità “altra”. femminista), vorrei accennare al fatto che in un’ottica che valorizza la Le pratiche critiche decostruttive dell’iperdeterminazione letteraria, sono differenza tra indeterminazione e irrappresentabilità, è possibile una con- tipiche di uno sguardo femminista (ma certo non solo di quello), e corrodono figurazione dialogica delle posizioni concettualmente (= proceduralmente) un pieno che precluderebbe la visione che il testo è luogo di repressione, inconciliabili tra un femminismo fautore della strategia “della trascendenza spesso proprio nel presentarsi come iperdeterminato, con aspirazioni tramite l’immanenza radicale” (da Irigaray, a Cixous) e la strategia del totalizzanti, ossia dotato di un Significato, un senso ricostruibile oltre “privilegiare una posizione che superi il genere” inaugurata da Wittig e l’enigma, interpretabile a chiave (si pensi, ad esempio,all’Ulisse di Joyce). sviluppatasi nel “neo-materialismo lesbico” (Braidotti 1993). L’iperdeterminazione di certi testi (che non consente loro di essere Credo che queste posizioni teoriche possano dialogare invece che confutarsi indeterminati) spesso reprime il fatto che il testo è luogo di censura, proprio reciprocamente ‒ come nel caso di Judith Butler (1990) ‒ nella misura in cui ad opera dei suoi accumulati ipse dixit regolativi del senso, di un Senso dato instaurano un dialogo sui momenti e sulle discontinuità con cui hanno come normativamente intenzionale, ossia apodittico, chiuso, da s-velare, da s- elaborato o valorizzato l’indeterminatezza e/o l’irrappresentabilità nelle loro coprire invece che da costruire, da creare. In altri termini, rappresentazioni, nel momento in cui qualificano i referenti o pseudoreferenti l’iperdeterminazione può precludere la visione di ciò che il testo reprime, ivi che usano. Per esempio, il lavoro esemplare di Teresa De Lauretis costituisce incluso il fatto che il testo reprime la sua indeterminatezza (ammesso che si un paradigma dialogico estremamente interessante di valorizzazione

26 dell’indeterminatezza del campo teorico femminista, in funzione della non (1964/1971, 70). In breve, l’immediato è irrappresentabile. repressione dell’irrappresentabile. Esso si evolve da una con-figurazione del In sintesi, il pericolo di certe procedure critiche (anche sedicenti soggetto femminile femminista in rapporto al genere in Technologies of comparativistiche, ma in realtà spesso omologanti) riguarda la liquidazione Gender, alla sua con-figurazione in rapporto al desiderio in The Practice of sommaria del problema dell’irrappresentabilità, che mi pare invece Love, con un’attenzione lucida e sistematica nei confronti del ruolo del ineliminabile dal pensiero femminista, e non solo (Locatelli 1994). referente o pseudo-referente “donna”4. A questo proposito, come ottimo caveat metodologico, si pensi a quello Invece, almeno nella maggior parte delle sue formulazioni attuali, l’ambito straordinario lavoro di Gertrude Stein, prodotto con originale resistenza nel dei Queer studies angloamericano mi pare colonializzato dal pantestualismo 1936, che è The Geographical History of America or The Relation of Human di certa cattiva critica tropologico-decostruzionista, dove, a causa di una Nature to the Human Mind. Stein scrive: procedurale reificazione (della forma negativa) dell’aporia, non c’è più posto per l’irrappresentabile. In questo senso, mi pare si possa applicare in una certa Parliamo non di malattia ma di morte. Se nessuno dovesse morire come potrebbe esserci spazio sufficiente per chiunque di noi che viviamo per aver misura anche ai Queer studies la critica che Derrida (1993, 28) muove vissuto. Non avremmo mai potuto essere se tutti gli altri non fossero morti.... all’antropologia e alla biologia: “Hanno deciso senza nemmeno porre la La natura umana non sa questo. La natura umana non può sapere questo.... Ma la mente umana può. Può sapere questo... Questo è ciò che fa la religione e domanda, precipitosamente alla rincorsa della risposta, e presupponendo una la propaganda e la politica questo e con questo la mente umana e la natura delucidazione ontologica che non ha avuto luogo”. (Ovviamente le umana. (Stein 1936/1973, 45-46) proceduralità concettuali di biologia e Queer studies restano molto diverse, si Tutte queste citazioni mostrano come il problema dell’indeterminatezza potrebbe dire opposte). testuale si sposti inevitabilmente, in quanto investe anche il problema della Il pantestualismo implicato dai Queer studies sancisce l’impossibilità della rappresentazione in rapporto alla rappresentabilità. Esse portano niente scrittura del soggetto femminile femminista, perché ha decretato meno che verso l’articolazione del problema dell’ordine simbolico, o meglio dogmaticamente che non c’è vita prima della scrittura, ossia comporta la degli ordini simbolici, ossia il Simbolico (lacaniano e fallologocentrico) e separazione dell’essere dagli enti, silenziando la problematica ontologica5. l’ordine simbolico della madre6. Come ulteriore chiarimento, vorrei aggiungere quanto scrive Derrida

(1967/1971) in un noto saggio su Artaud: “La vita è l’irrappresentabile origine Dovrebbe essere ovvio, a questo punto, che la decostruzione del titolo di della rappresentazione”. A questo proposito, vorrei ricordare anche una frase questo volume, per la varietà di problematiche che solleva, richiederebbe una famosa di Clarice Lispector, che mi pare ribadisca come la vita sia trattazione molto ampia, ma ovviamente improponibile in questa sede. l’irrappresentabile origine della rappresentazione: “l’immediato ‒ non è cosa Procederò quindi in maniera necessariamente frammentaria, attivando solo immaginabile, tra l’immediato e me non c’è intervallo: è adesso, in me” alcuni spunti che riprendono il paradigma argomentativo woolfiano di A

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Room of One’s Own, per una riflessione ulteriore sul nostro tema. specifico, questo paradigma ci aiuta a resistere all’implicazione di “letteratura” La proceduralità critica woolfiana di esplicitazione del passaggio dalla come concetto astratto, come parola sottochiave che, solo per questa chiusura comprensione alla significazione dell’espressione “donne e romanzo” mi pare potrebbe sancire un’operazione comparativistica ermeneuticamente felicemente trasferibile nell’interpretazione dell’espressione “letterature normativa, invece che dialogica. comparate al femminile”, un’affermazione che di solito si capisce innanzitutto In una prospettiva di trasferibilità dialogica tra il tema woolfìano e il nostro: come un “niente da capire”, ossia fintanto che resta qualcosa da non capire, 1) le donne e come sono (“what they are like” che, si noti, non è “come nel senso che non sollecita ulteriore significazione (e così, essendo sembrano” né “chi” o “cosa sono”), significa “il femminile”, implicato sia in “perfettamente comprensibile”, resta illeggibile). Women’s Studies che, nel sintagma “al femminile ”, che qualifica l’operazione Pensando a “Letterature comparate al femminile”, ossia a una galassia comparativistica in oggetto. concettuale che include: “letteratura ”, “letterature”, “letterature A questo primo punto collegherei anche la possibilità interpretativa comparate...”, “letterature... al femminile”, “comparare”, “comparare al dell’espressione-tema “S/Oggetti immaginari”, su cui avrò modo di tornare. femminile” e “...comparate al femminile”, vorrei sfuggire al pericolo critico di 2) le donne e il tipo di narrativa che scrivono (“women and the fiction they presupporre un significato prima di lasciar lavorare i significanti, in tutte le write”), verrebbe a significare le donne e le letterature (rigorosamente al loro ripetizioni. Sarebbe un’operazione pericolosa in un’ottica femminista plurale) che esse scrivono o comparano (credo non ci sia letteratura al (ossia critica), tesa a decostruire i significati egemonici di una cultura femminile che non sia intrinsecamente comparatistica, oltre che nella sua patriarcale, significati spesso normativi, ovvero formati senza valorizzazione struttura discorsiva, anche nel suo incipit enunciazionale). A questo secondo della differenza (a volte in nome dell’etica, che preferisce “altruizzare” punto collegherei non solo la constatata commistione e/o piuttosto che rischiare la reciprocità col diverso, e/o riconoscere l’inevitabile deterritorializzazione dei generi letterari, che spesso caratterizza la letteratura iscriversi della differenza nei suoi soggetti costituiti). scritta da donne, ma anche la vexata quaestio del rapporto tra letteratura e Dall’affidarci a un significato presupposto e quindi in qualche misura critica, che è ovviamente centrale alla concettualizzazione di “letteratura/e” e “normativo” ci hanno messo in guardia Derrida e la critica decostruzionista in di “comparate al femminile”. genere, ma ‒ con più umorismo ‒ anche Jeanette Winterson che nel suo 3) le donne e il tipo di narrativa scritta su di loro (“women and the fiction “racconto”, “The Poetics of Sex”, scrive: “Povere fanciulle, sotto chiave, fuori that is written about them ), starebbe a significare qui le donne e i tipi di dalle loro parole, proprio come le parole sono sotto chiave nel significato. C’è critica scritta “comparativisticamente” su di loro. A questo terzo punto proprio un gran rinchiudere sulla Terraferma...” (1993, 418, corsivo mio). Il collegherei anche il problema della rappresentazione del femminile, ovvero sia paradigma metodologico-esplicativo woolfìano, relativamente alla discussione l’universale logorrea rappresentazionale del femminile nelle culture patriarcali di “donne e romanzo” può servire a non lasciare alcune parole “chiuse dentro (uni-versale, ossia letteralmente a senso unico), sia il “silenzio della critica” (e al significato” e a non restare “chiuse fuori dalle nostre parole”. Nel caso della “Letteratura Comparata”), nei confronti della critica femminista, sia

28 letteraria che filosofica. seconda lettera dell’alfabeto inglese), testimonia e documenta un’avvertita E infine, distanza dal proprio enunciato (che viene comunque implicitamente ri- 4) la commistione-combinazione di tutte e tre queste componenti del tema affermato in questa negoziazione), e/o esprime un dissenso rispetto ad esso, (“all three are inextricably mixed”), che potremmo chiamare, con un termine asseverandone però il superamento, reso possibile, si noti, dall’economia e coniato da Braidotti (1991) la “con/disgiunzione” di queste possibilità, ossia dalla logica del dialogo in atto. dei molti discorsi eteronomi sottesi all’espressione “letterature comparate al A livello stilistico-strutturale il “ma” significa, in senso stretto, una distanza femminile”. Su questo livello d’indagine situo la possibilità di sviluppo di uno dal genere patriarcale dell’orazione: anteporre alle premesse (rationes) le sguardo femminista, ossia non solo critico dell’istituzione Letteratura e obiezioni, implica una diversa possibilità persuasiva. Non si parte da un attento alle produzioni letterarie in cui le donne sono coinvolte a qualunque assunto propositivo determinato, ma si afferma un’ermeneutica dialogica che livello e con forme diverse di agentività (lettrice/scrittrice, per esempio, o coltiva la differenza valorizzando il senso percorso-prodotto nel dialogo. consumatrice/promotrice/ripetitrice/interprete/performer, ecc.), ma anche In un mio articolo, sulla “parola chiave” di un testo, ho chiamato la modalità uno sguardo femminista teso alla espansione e valorizzazione dell’ordine di questo dialogismo “logica simultanea dell’e/o”, un “e/o” ripreso nel titolo di simbolico della madre. questo mio contributo, e a cui oggi aggiungerei “entrambe ”. “E/o, entrambe” significa una proceduralità concettuale che non aspira al ritrovamento di un Come ho indicato, è mia intenzione sviluppare brevemente alcuni di questi senso unico ‒ che, tradizionalmente, alla fine della negoziazione ermeneutica quattro punti della mappa woolfiana, senza tralasciare però degli aspetti di diventa universale (Locatelli 1995). Mi rendo conto che, in senso filosofico, figurazione discorsiva (ossia aspetti epistemico-formali) del saggio, che lo “e/o” indica il pensiero dell’impossibile, ossia, il pensiero di una struttura rendono suscettibile di dialogo col tema di questa raccolta, nel senso che senza centro; si potrebbe dire che è la marca della “traccia” (Derrida indicano l’elaborazione concettuale della prospettiva comparatistica. 1967a/1968). In ogni caso, credo che le implicazioni teoriche della mia Woolf prende la parola in A Room of One’s Own, ponendo come incipit del descrizione della logica dell’“e/o, entrambe” siano molto vicine a ciò che testo un “Ma”: “But, you may say,...” (“Ma voi potreste dire...”), dove il Raffaella Lamberti ha chiamato la “logica dell’et et”, “una logica capace di deittico “voi” non è ancora qualificato dal testo. Esso non ha orientamento custodire la pluralità piuttosto che di ordinarla in unità” (Lamberti 1993, 81). preciso, ma ha, beninteso, valenza politica relativamente all’economia della Adrienne Rich l’ha descritta in termini esistenziali di reciprocità: “e chiedo a persuasione in atto, perché la perlocuzione produce lavoro simbolico in chi me stessa e a te, quale delle nostre visioni ci rivendicherà / quale legge. In realtà, non esiterei ad affermare che essa pre-scrive (costituisce) il rivendicheremo / come continueremo a vivere...” (Rich 1978, 45). suo soggetto-lettore, in quanto lettore di-slocato, che si profilerà poi come lettore/lettrice femminista. Virginia Woolf e Adrienne Rich mi consentono di esplicitare (in relazione al Inoltre, questo “Ma” (un “But” con la maiuscola, che inaugura il testo con la Punto Quarto dello schema precedente) la proceduralità dell’operazione

29 comparativistica “al femminile” in letteratura, che situerei nell’attenzione per rinunciato alla coesione del Significato. Tra le altre, ce l’hanno ricordato, in il dinamico costituirsi di un testo, e più specificatamente nel “movimento del modi diversi, Clarice Lispector (1964), Julia Kristeva (1981), e Emily senso che desidera un testo, e il movimento del senso che un testo desidera” Dickinson: “Esultanza è l’andare / Di un’anima territoriale verso il mare, / (Locatelli 1995, 30). Oltre le case ‒ oltre i promontori‒ / Dentro la profonda Eternità ‒ // Allevato In questa prospettiva, mi paiono significativamente diverse la coerenza e la come noi, tra le montagne, / Può il marinaio comprendere / L’intossicazione coesione testuale, due nozioni di solito più o meno omologate, e cioè divina / Della prima lega che stacca da terra?” (Dickinson 1960, 39-40). appiattite, dalle teorizzazioni tese a valorizzare l’unità testuale, senza Si tocca qui il tema della necessità espressa da molte scrittrici mistiche di un attenzione alla proceduralità e modalità del suo costituirsi. “oltrepassamento del regime della mediazione” (Muraro 1991, 135). È per Se l’unità testuale formalizzata dalla semiotica tradizionale può concedersi il questo che la nozione di unità testuale andrebbe riconsiderata in una lusso di teorizzare il dialogismo, ciò non avviene mai nel senso del prospettiva critica che valorizza la differenza tra coerenza e coesione, tra riconoscimento della possibilità di un dialogo in atto (non si dimentichi che il nomadismo e radicamento del pensiero, tra mantenimento e/o dialogismo di certe teorizzazioni può essere ricondotto, in ultima analisi, a una oltrepassamento di soglie semantiche, tematiche, stilistiche, strutturali e forma di intertestualità, di citazione, o di autoriflessività metanarrativa, e semiotiche. In pratica, richiede una riconsiderazione delle nozioni di testo e quindi di chiusura del testo stesso). In breve, non userei il termine contesto, che vengono implicate in modi certamente diversi da un “dialogismo” là dove non si contempli la possibilità che un “altro-dal-testo” comparativismo tradizionale il cui contesto è la Letteratura, e/o da un (un testo altro) possa veramente rispondere. comparativismo “al femminile” il cui contesto è le letterature in quanto mondi La coesione è una qualità regolativa di un testo che ribadisce ciò che si possibili. conosce, ma la coerenza è un rischio (di illeggibilità) corso in nome del rifiuto In relazione al Secondo Punto del paradigma woolfiano, vorrei sottolineare a circoscrivere il testo stesso alle forme di mediazione regolativa che come la pratica critico-dialogica suggerita in A Room of One’s Own segnali la presupporrebbe. La coerenza è un rischio che si esplicita ogni volta che il presenza di un presupposto critico ben diverso da quelli tradizionali anche silenzio di un testo non tace, e/o in alcuni testi profondamente innovativi, relativamente alla definizione della funzione della critica. come ad esempio in Gertrude Stein. La coerenza non è coesione ogni volta che Ricorderò brevemente che Woolf si pone in una tradizione in cui la il discorso esprime il proprio non parlare, ossia pre-scrive il suo silenzio, come teorizzazione di Matthew Arnold nel suo “Function of Criticism at the Present nel caso del “testimone muto” che, non potendo testimoniare, testimonia di Time” (1864/1962) aveva un’autorità incontestata. Inoltre, anche T. S. Eliot, non poter testimoniare. In questo senso la coerenza di un testo (anche non sebbene contemporaneo di Woolf, da intellettuale soggetto all’“ansia coesivo) può articolare un senso altrimenti inesprimibile. dell’influenza”, riprende Arnold in un saggio dal titolo quasi identico, “The Per salvaguardare la coerenza del suo irriducibile dialogismo, il discorso “al Function of Criticism” (1951), ma meno “contestualizzato” e meno attento alla femminile” ha spesso rischiato con l’insensato, il primordiale, l’abietto, cioè ha dimensione storico-culturale. Entrambi insistono sulla funzione documentaria

30 e regolativa della critica, che si fa carico della valutazione dell’opera d’arte casa parrochiale di Haworth sotto la neve; qualche arguzia se possibile su Miss Mitford; un’allusione rispettosa a George Eliot; un riferimento alla Signora rispetto ad un ordine ideale. I reperti bibliografici di un archivio completo Gaskell, e sarebbe fatta. Ma, a ben guardare, le parole non sembravano tanto prescritti da Arnold, ricevono in Eliot valorizzazione in quanto autorevoli semplici7. (fondanti e prescrittivi), ossia si trasformano in nuovi ipse dixit della “buona” critica. Questo di Woolf è indubbiamente un importante caveat metodologico: Né il saggio woolfiano, né “le letterature comparate al femminile” ridurre il femminile a esempio o a una serie di esempi potrebbe reprime la (diversamente da “La letteratura comparata”) auspicano la costituzione di un possibilità di pensare al femminile, e/o di “leggere da donna”. In altri termini, archivio come presupposto autorevole per creare un criterio di comparazione; l’exemplum satura il gioco della significazione: il messaggio prende il posto del inoltre, in questi ambiti, la raccolta dati è per definizione incompleta, perché codice e ne reprime la potenzialità articolatoria, che è trasformativa e la nozione di canone è sussunta solo in quanto decostruita. Non solo il “politica”. “canone” è aperto sia geograficamente che temporalmente, ma non può Inoltre, collego la resistenza woolfiana nei confronti dell’esemplificazione stabilire il valore fondante della comparazione, comparazione che si sposta come pratica critica, alla valorizzazione della differenza tra Donna e donne, su semmai verso una valorizzazione della pragmatica delle reciproche ricezioni. cui molto è stato già detto e scritto, a partire da Wollstonecraft fino a Irigaray In questa prospettiva, il “Ma” woolfiano diventa contestualmente significativo, e oltre. Sarebbe ridondante ripetersi qui, se non altro per ribadire che la critica poiché in-scrive nel testo una resistenza al monolitismo dell’intera tradizione femminista valorizza l’identificazione come procedura femminile relazionale e critico-letteraria, pensata come monumento contro la “rovina”. non esemplare, come hanno storicamente dimostrato la critica al dualismo dei generi e alla obbligatorietà dei predicati associati al femminile (una Una critica della Letteratura e dell’ermeneutica normativa, e normatività data per aletica, ovvero come necessità, invece che come un’irrinunciabile qualità dialogico-relazionale della pratica critica assumono prescrizione). molta rilevanza in un ambito comparatistico “al femminile”, visto che Se il caso individuale viene esplorato in un’ottica letteraria e critica l’espressione “letterature comparate al femminile” esprime la polifonia di un femminista, è per un’attenzione decostruttiva alle differenze interne che esso atteggiamento critico che, con estrema coerenza nella difesa del “plurale”, si solleva, che sarebbero invece silenziate da un discorso fallologocentrico, che sviluppa in Woolf rifiutando programmaticamente la strategia retorica tradizionalmente presuppone l’identità e quindi ne silenzia o svalorizza le dell’esemplificazione. differenze costitutive. “Donne e romanzo” leggiamo nelle prime pagine di A Room of One’s Own : In breve, la storia delle donne non è mai stata una storia d’eroi, e non sorprende che il discorso epidittico non abbia mai avuto gran fortuna nella Potrebbero semplicemente voler dire qualche osservazione su Fanny Burney, tradizione letteraria femminile. In senso lato, ciò significa che non esistono qualcuna in più su Jane Austen, un tributo alle Brontës e uno schizzo della contenuti letterari femministi in sé (esemplari), ma letteratura e critica

31 femminista si reggono su un’economia irriducibilmente dialogica tra testi che purtroppo anche questa teorizzazione conferma implicitamente un orizzonte si costituiscono come tali tramite un dire “supplementare”. Credo sia epistemologico patriarcale, in cui “una donna” è un S/Oggetto immaginario, riproponibile in quest’ottica di lettura l’invito di Rosi Braidotti a scoprire e nel senso che in esso “la differenza sessuale è un dato... reso insignificante”, e valorizzare: “la titolarità di parola delle donne, non il contenuto propositivo rimane quindi intatto il problema di come si possano “aprire delle strade alla dei loro discorsi”. Come lei, chi compara “al femminile” vuole “mettere significazione sociale di quello che una donna è per se stessa” l’accento sul desiderio delle donne di divenire, non su un modello specifico del (Muraro/Bocchetti 109, 118). A questo proposito ricordo quanto scrive loro divenire” (Braidotti 1993, 90). In questo senso si può parlare di Barbara Johnson, perfettamente conscia della difficoltà di formare un’epistemologia passionale, timica, “inverificabile”. un’epistemologia a partire dal soggetto femminile femminista:

Sarebbe troppo lungo insistere ulteriormente sul valore epistemologico del non sarebbe facile asserire che l’esistenza e la conoscenza del soggetto femminile si può produrre semplicemente, senza difficoltà o danno “discorso sul metodo” woolfiano, che, come si è visto, esordisce indicando epistemologico all’interno degli schemi esistenti della cultura e della lingua. l’intenzione di delucidare il processo di formazione dei concetti che intende The Criticai Difference [titolo di un suo precedente libro] potrebbe qui ingenuamente indicare ‘donna’ come una delle cose che non sappiamo di non sviluppare, e in questo anticipa la valorizzazione deleuziana della sapere. (Johnson 1987, 40-41) proceduralità del concetto e quella foucaultiana sulla “genitalità del pensiero” (Foucault 1971). Tuttavia, mi pare valga la pena di vedere ancora come il Oggi la teoria femminista non si preoccupa più tanto della denuncia woolfiano “women and what they are like” (rimando al Punto Uno dello dell’“auto-mono-centrismo” trascendentale del soggetto maschile occidentale, schema delineato) implichi la nozione di soggetto, in relazione all’espressione che è ormai stato esplicitato, quanto di “definire le mediazioni che possono “S/Oggetti immaginari”. permettere l’esistenza di una soggettività femminile” e la ricerca di condizioni Ovviamente, il discorso sul soggetto si ripresenta anche nell’espressione “al di dialogo che non precludano la rappresentazione della differenza sessuale8. femminile”, che tuttavia non posso qui analizzare per motivi di spazio. D’altra In questa luce, “S/Oggetti immaginari... al femminile” significa soggetti da parte, ho già accennato all’inizio di questo saggio ad alcune problematiche rappresentare, in attesa di rappresentazione, e non (solo) soggetti relative alla rappresentazione-scrittura del soggetto femminile femminista. rappresentati. Ovviamente, le loro modalità di rapporto all’ordine simbolico Basti quindi sottolineare come la qualificazione “al femminile” determini una patriarcale e/o della madre sono molteplici e diverse. S/Oggetti ad esso, e valenza particolare all’espressione “S/Oggetti immaginari” nel sintagmatismo Soggettivati da esso, in un lavoro immaginifico di auto-significazione, del titolo di questa raccolta e nella con/disgiunzione dell’ambito disciplinare possono rendersi palesi in una prospettiva designativa di nominazione in oggetto. fallologocentrica e/o di ri-conoscimento relazionale9. Ho già rilevato come l’espressione “S/Oggetti immaginari” mi sembra Contro la decretata sparizione del soggetto, indebolito fino all’evanescenza, collegabile ai personnages conceptuels descritti da Deleuze e Guattari;

32 piuttosto che pensato nella prospettiva della differenza sessuale, l’espressione dell’interpretante nella creazione della referenza o nasconde il livello “S/Oggetti immaginari” resiste al “tono apocalittico” della filosofia simbolico dell identità. “S/Oggetti immaginari” esprime quindi anche il contemporanea, opponendogli una sospensione strategica, che ci consente di desiderio che il soggetto opponga efficace resistenza alla minaccia pensare oltre, cioè nelle parole di Luisa Muraro: “salvaguarda l’uso pratico dell’oggettificazione e della reificazione, ossia alla chiusura della referenza o della ragione... nel limitare l’opera limitatrice della critica” (1993, 187). In alla repressione del ruolo dell’interpretante nella referenza. questo senso, malgrado l’eccessiva astrazione che in questo significante marginalizza l’importante questione della differenza sessuale, l’espressione Per concludere, e in relazione al polimorfismo con-disgiuntivo del Quarto “S/Oggetti immaginari” (legata a “al femminile”) mi pare “un punto d’arrivo” Punto del paradigma woolfiano indicato, vorrei profilare qui una serie di linee rispetto alla possibilità di esprimere la mobilità (immaginifica) dei segni che di differenziazione tra “La letteratura comparata” di stampo tradizionale, e le implicano, ripresentano, rappresentano, il s/oggetto, rendendo suscettibile di “letterature comparate al femminile” (un plurale che resta anche nel sintagma rappresentazione la differenza sessuale (che non è comunque mai assimilabile inglese “Women’s Studies in Comparative Literature”). ai referenti “uomo” o “donna”). Il primo ambito disciplinare (“La letteratura comparata”) privilegia l’uso del “S/Oggetto immaginario” è una figura complessa, che non solo ha il potere concetto astratto, sviluppando la ricerca comparatistica come filologica di iscrivere in sé la mobilità (da soggetto a oggetto), ma, nel momento in cui ricostruzione di fonti ri-conoscibili, ossia di lingue, codici, citazioni e matrici qualifica il referente “donna” e/o “uomo”, ribadisce come siano comuni, implicite in vari testi. Il secondo ambito, ossia le “letterature irriducibilmente aperti all’interpretazione. Ovviamente, ci sono delle comparate al femminile”, non pone in primo piano un lavoro di ri- differenze culturali nella costituzione e nel funzionamento di questi due conoscimento della citazione (uso il termine in senso lato), quanto piuttosto referenti: la paura che una soggettività pensata in termini astratti significhi realizza una modalità di lettura genealogica e dialogica dei testi in oggetto, che solo una soggettività maschile, non è un mero dubbio “accademico”, ma si valorizza l’apertura alla differenza, interna ed esterna, (della lingua, del collega ad una pratica verbale e discorsiva quotidiana. codice, della citazione), e la reciprocità dello scambio ermeneutico. Inoltre, le S/Oggetti immaginari è un’espressione che indica e desidera: indica la letteratura comparate al femminile valorizzano la destinazione del reimpiego possibilità di immaginarsi da parte di un soggetto “in processo ”, che sa che citazionalista, come costitutivo del suo lettore ideale (femminista). per immaginarsi deve posizionarsi ed oggettivarsi relazionalmente. Non a caso La “Letteratura comparata” presuppone una nozione di lettura come sono in maiuscolo sia la S di soggetti che la O di oggetti, implicando un s- definita da George Steiner: “un processo complesso che mira oggetto immaginifico-immaginario. Nel contempo, “S/Oggetti immaginari” è all’incorporazione del nuovo nel noto” (Steiner 1995, 5); “letterature un’espressione che reca in sé l’iscrizione del desiderio che il soggetto si riveli comparate al femminile”, invece, rimanda a una nozione di potenzialità come immaginario nel senso di fittizio, ogni volta che viene ridotto ad oggetto d’ascolto e traduttive, ossia attente a logiche e retoriche del silenzio, e a da uno sguardo egemonico, ossia da una nominazione che nasconde il ruolo eventuali duplicità di indirizzo, che vengono esplicitate nel lavoro della

33 trasformazione di materiali, più o meno letterari. Le “letterature... al femminile” si comparano valorizzando la leggibilità delle Se nella “letteratura comparata” la posta in gioco della ricerca riguarda differenze (interne ed esterne) rispetto alla reciprocità dei contesti di l’origine e il ri-conoscimento, nelle “letterature comparate al femminile” la fruizione; esse rispettano le biforcazioni di un testo, le polifonie; si posta in gioco riguarda la proceduralità e la trasformazione di materiali non interrogano su cosa l’analogia reprime invece di reificarla; si chiedono cosa necessariamente identificati in rapporto all’Autore o all’origine, ma che non valorizzi nella costruzione del raffronto; e si chiedono perché il confronto vengono reimpiegati, in un diverso contesto, presupponendo una pragmatica (non) è un “conflitto di interpretazioni”. di destinatari a volte “doppi ”10. Le letterature comparate al femminile ammettono il limite di un paragonarsi In altri termini, lo sguardo al femminile “dialogizza” una disciplina basato sul solo raffronto tematico o strutturale (di motivi e dispositivi monolitica (basata sul paragone tra due unità), rendendola sempre già letterari); paragonano come i silenzi di un testo comunicano, prima ancora di “plurale”; quando “il paragone” diventa “paragonare” si conferisce porosità chiedersi cosa comunicano, e valorizzano una comparazione che si sviluppa a alla compattezza del misurarsi con la Letteratura canonica, rifiutando di partire dalla voce del testo, malgrado “la voce” sia un concetto semiotico sussumerla come oggetto e misura della comparazione tradizionale. È ovvio difficile da definire, ma nel contempo anche tanto affascinante da resistere a che, diversamente che nella disciplina “Letteratura comparata”, nelle dottrine semiotico-tropologiche che (fa notare la critica di Mizzau, Violi e “letterature comparate” (che prevedono un’individuazione dei S/Oggetti della Sbisà) concedono solo a un soggetto dell’enunciazione trascendentale di poter comparazione), il lavoro di traduzione e di trasferibilità costituisce (differendo mai iscriversi in un testo. continuamente) l’ambito disciplinare in oggetto. Ne consegue che “letterature comparate al femminile” designa un ambito Come Woolf, so che “non ce la farò mai ad approdare ad una conclusione” critico-disciplinare irriducibilmente dinamico e aperto: “comparate” qualifica (1928/1992, 4), ma come ho detto, il punto è precisamente che i punti sono la lettura come lavoro che registra e (ri)articola diverse discorsività, a livello sempre due. “Letterature comparate al femminile” è, per parafrasare Gertrude stilistico e strutturale; “al femminile” qualifica la performatività sottesa a Stein, una cosa che si fa facendola: “Naturalmente non si sa come è accaduta queste ri-articolazioni discorsive. Credo sia questo il senso profondo dell “in” finché non ha finito del tutto di iniziare ad accadere” (1926/1971, 24). In altri nell’espressione inglese “Women’s Studies in Comparative Literature” termini, un’“estensione femminista” dell’espressione “letterature comparate al un’ambito irriducibilmente con-disgiuntivo, nel suo essere constativamente femminile” connota tali ambiti con/disgiunti (“Women’s Studies” in/e performativo, performativamente constativo. “Comparative letterature”) come non descrivibili, o, più precisamente, come Credo sia questo il senso profondo (e duplice) di “al” nell’espressione “al non saturabili dalla descrizione disciplinare che sembrano presupporre in femminile”, che indica (nell’ablativo e nel dativo) sia il movimento quanto istituzioni culturali. dell’enunciazione, che la teleologia della destinazione. “Letterature comparate al femminile” (e anche “Women’s Studies in Comparative Literature”) è la figura, di una sintesi concettuale, ricavata dalla

34 proceduralità del pensiero con/disgiuntivo. Come tale può essera letta solo 10 Riporto una citazione di Barbara Johnson che mi pare indichi il senso profondo del “doppio” dialogicamente, stategicamente, allegoricamente, come se sapessimo la natura femminile: “Credo che le donne siano portate socialmente a vedere più di un solo punto di vista alla volta, e e la perimetrabilità dei suoi S/Oggetti immaginari al femminile. certamente più del loro punto di vista... C’è sempre un doppio messaggio e c’è sempre una doppia risposta. La difficoltà per le donne è quella di disimparare l’autorepressione, l’ambiguazione, la conciliazione e di realizzare l’autoaffermazione” (1987, 169-70).

1 Tutte le traduzioni sono mie se non diversamente specificato. Ricordo qui che Luce Irigaray intitola “L’incontournable volume” la conclusione della sezione centrale di Speculum. 2 Ritengo che i “S/Oggetti immaginari” in gioco nell’ambito disciplinare “Women Studies in Comparative Literature”, si possano collegare ai “personnages conceptuels” di cui parlano Gilles Deleuze e Felix Guattari (1991). In effetti, anche le personae delle “letterature comparate al femminile” non sono soggettività giuridico-concettuali o soggetti di “pura agentività” (quindi già costituiti), ma figure in gioco nella trasformazione di un pensiero della differenza, che rifugge dal costituirsi sulla base di Universali, riconoscendosi invece come autopoietico. 3 Il mio interesse per la marca diacritica “due punti” ha radici molto profonde, forse collegabili al rifiuto di Gertrude Stein per il punto interrogativo. Mi piace pensare di condividere con lei, in questa attenzione per ciò che non è tematico di un testo, il senso profondo che la letteratura delle donne (di donne, per le donne) rende il punto, anche interrogativo, superfluo, perché presuppone comunque una chiusura nella quale non può iscriversi la differenza. Se il punto è meccanismo regolamentativo della lettura, i due punti sarebbero il segno espressivo di una possibilità, “come se l’essere umano superasse se stesso per giungere alla totalità della vita”, dice Lou Andreas Salomé (1900/1985). 4 Certo non è possibile rendere conto in poche righe di un pensiero critico che si confronta con le problematiche maggiori del pensiero femminista di questi anni e si articola in maniera complessa, spaziando dalla semiotica alla psicanalisi, dalla teoria filmica a quella letteraria, etc. Rimando quindi ai suoi testi (1986, 1987, 1988, 1991, 1994, 1995). 5 Una ben diversa elaborazione concettuale ha prodotto il “pensiero della differenza” in Italia, perché la questione ontologica vi è sempre stata messa in gioco. Anche per questo il “recupero” dell’idea ontogenesi, da parte del gruppo Diotima (1987 e 1990), ed in particolare il lavoro di Luisa Muraro (1991) e quello di Adriana Cavarero (1990), mi sembrano particolarmente degni di nota. 6 In Muraro 1991 risulta chiara la differenza tra “la cultura dell’amore della madre in cui sono allevati” i figli di una società patriarcale e il loro fallimento ad insegnare “la capacità di tessitura simbolica che... hanno appreso nel rapporto con la madre”. 7 Woolf 1928/1992, 3. Mi pare interessante ricordare che George Steiner, nella sua lezione inaugurale (Oxford, 11 ottobre 1994) “Che cos’è la letteratura comparata?” non concede a George Eliot nemmeno “a respectful allusion”, ma la inchioda ad un provincialismo che ricorda il “local color” che ha stigmatizzato molte altre scrittrici trascurate dalla critica patriarcale: “Sir Walter Scott è la fonte dello storicismo romantico da Madrid a Odessa. George Eliot rimane essenzialmente una presenza nazionale” (17; corsivo mio). 8 Per questa sintesi di un percorso del femminismo, dagli anni Settanta a oggi, ho preso spunto dall’intervista di Elizabeth Hirsh e Gary A. Olson a Luce Irigaray (1994/1995). Ovviamente questa descrizione, che sinteticamente riprende il pensiero di Irigaray, silenzia molte delle differenze costitutive del femminismo e della teoria femminista. 9 La necessità di un lavoro immaginifico sul referente è stata più volte ribadita in ambito femminista, per esempio da Gayatri Spivak (1989, 220). Accanto al rigore della sua teorizzazione pongo il lavoro immaginativo di Jeannette Winterson (1993, 419).

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O possiamo forse costruire un’altra lingua? Sottolineare la parola “materna” Marina Sbisà nell’espressione lingua materna, sottolineare che è con la madre che abbiamo cominciato a parlare, sarà sufficiente a rendere la lingua uno strumento non Il soggetto al femminile. Dimensioni d’analisi estraneo, non ostile, non stravolgente?

O possiamo davvero parlare, scrivere, la lingua della madre? E che cos’è? Quella con cui il padre parla della madre? quella che tramanda le immagini del materno funzionali a un punto di vista maschile?

Intervengo in merito alle letterature comparate al femminile per affrontare O è la lingua della fusionalità, la lingua questa sì della Gran Madre? Una tal una questione, quella del soggetto al femminile, che può sembrare non lingua, sempreché esista ‒ una vera lingua ha bisogno di distinzioni ‒ non direttamente pertinente ai temi in discussione e che io affronterò, comunque, sarebbe forse la più nemica per i soggetti femminili che vogliono senza alcun riferimento diretto a problematiche letterarie. Ritengo infatti che, autoaffermarsi? se qui ci interessiamo alla produzione letteraria di donne appartenenti a Nessuna di queste lingue è il caso di parlare o scrivere, eppure sempre noi lingue e culture diverse, sia legittimo chiedersi: il loro essere donne è autrici e teoriche giochiamo col fuoco: prendiamo per così dire a prestito totalmente riassorbito dalla cultura da cui provengono, o ha una sua realtà, lingue materne e paterne perché per dire, per esprimere, per rappresentare, una sua consistenza variegata ma trasversale che deborda attraverso catene di per commentare e progettare, una lingua (un repertorio di lingue) somiglianze parziali e sempre diverse da tale cultura? Inoltre, ci indubbiamente ci vuole, se si vuol fare qualcosa di più che comunicare interroghiamo riguardo a ciò in quanto donne, noi stesse soggetti consapevoli mediante la recezione da parte degli altri dell’opera anche troppo aperta del della differenza, che desiderano entrare in relazione con donne di altre culture nostro silenzio. Difficile dire se e come esprimiamo in ciò veramente noi senza rimanere intrappolate nella propria cultura di provenienza e nei suoi stesse, noi stesse in quanto donne. schemi, o leggi, a loro volta estranee o avverse alle donne: e ciò pone, per noi E che cosa vorrebbe mai dire, esprimere se stesse in quanto donne. come per tutte le altre, la questione della possibilità di esprimersi in quanto Mentre sono certa, per le esperienze personali e per la partecipazione a soggetti al femminile. ormai diverse fasi della storia del movimento delle donne, che esprimere noi stesse in quanto donne sia possibile (se non altro perché ci è necessario), non 1. Esprimere noi stesse in quanto donne. mi sembra che, nonostante molti contributi importanti e fortemente suggestivi, a ciò corrisponda una sufficiente chiarezza teorica e metodologica Siamo donne. Parliamo, scriviamo. Facciamo cultura, letteratura, critica, riguardo ai modi in cui l’esprimersi in quanto donne può prodursi e rendersi teoria. In quale lingua? Una lingua maschile? Come possiamo negarlo? riconoscibile. Tenterò quindi di dare anch’io un contributo alla discussione di questi problemi: utilizzerò gli strumenti semiotici che adopero regolarmente

36 quando nel mio lavoro mi occupo di analisi di testi per affrontare la questione Alla formazione di una siffatta concezione del soggetto nella cultura della possibilità di un esprimersi delle donne in quanto donne e l’elaborazione contemporanea ha contribuito una più generale situazione di crisi delle di criteri metodologici nello studio di testi al femminile. nozioni che stavano alla base della cultura moderna occidentale. Mi rendo conto che i miei riferimenti disciplinari, apparentemente dati per L’evoluzione della scienza e del rapporto fra scienza e società, il diffondersi neutri e perciò sospetti, possono apparire una colossale ingenuità. Tuttavia, di una razionalità strumentale e tecnologica, il riconoscimento della fanno parte del gioco. Se una donna può esprimersi prendendo a prestito la dimensione inconscia della soggettività, la crisi della progettualità storico- lingua così com’è, ovvero appropriandosi di essa, una donna può anche politica, l’ambiguo rapporto fra individualismo da un lato e formazione di attingere a un repertorio culturale e scientifico attraversandolo con percorsi agenti sociali sovraindividuali: tutto ciò ha reso impossibile pensare il propri, che possono bene non essere quelli prefissati. E proprio questo quello Soggetto nei termini cartesiani dell’autocoscienza dell’individuo isolato. La che io spero di fare. visione semiotica del soggetto è una risposta a quest’impossibilità: tenta di dare alcune coordinate metodologiche per parlare di “soggetto” nella nostra 2. Il soggetto di enunciazione. epoca, in un modo che non sia né ingenuo né nostalgico. Perché, però, una tale nozione di soggetto possa rendere conto di alcuni Adotto una nozione di soggetto di carattere semiotico, secondo cui il aspetti della nozione intuitiva di soggetto, che essendo legati all’esperienza soggetto è un concetto astratto, un ruolo: qualunque istanza giochi, nei della soggettività non possono e non devono essere semplicemente rimossi, confronti dell’enunciazione di un testo, il ruolo semiotico di soggetto di stato o deve risultare compatibile con alcune esigenze di libertà e di “spessore”. Di di fare, senza alcuna restrizione al soggetto come mente o coscienza, e ancor libertà del soggetto di enunciazione si può parlare in quanto esso, con meno come individuo psicofisico si vedano le nozioni greimasiane di attante l’enunciazione secondo la classica impostazione di questo concetto che risale a soggetto (Greimas 1983) e di enunciazione enunciata (Greimas e Courtés Benveniste (1966), si appropria del linguaggio facendone un proprio discorso, 1979); e la distinzione fra enunciatore e locutore in Ducrot (1978 e 1980). operazione che lo rende presente semioticamente all’interno del discorso Allargando la prospettiva da una semiotica del testo a una semiotica sociale, stesso e nei cui esiti esso può essere rintracciato. Un soggetto così concepito anche dal punto di vista di una sociologia delle interazioni il soggetto è un sé ha margini di libertà assai ampi quanto alla propria costituzione e costruito e continuamente mutevole, espresso a vario titolo da parole e qualificazione: può scegliere i modi, le strategie della propria enunciazione comportamenti e sempre bisognoso di conferma mediante il riconoscimento e enunciata. L’unico vincolo cui deve sottostare non è di carattere propriamente eventualmente l’interpretazione da parte di altri soggetti. Non v’è coincidenza esterno, bensì intersoggettivo. Un soggetto di enunciazione così inteso, infatti, fra questo soggetto e l’individuo psicofisico, né è possibile una riduzione di un è pienamente tale se è riconoscibile nel discorso, nel testo, e la prova di questa Sé espresso all’attività cognitiva interiore che pure ha un ruolo centrale nella riconoscibilità è il riconoscimento intersoggettivo. Vi sarà quindi, oltre alla sua elaborazione (Goffman 1961, 1974, 1981). creatività del soggetto di enunciazione, un processo di negoziazione intorno al

37 suo riconoscimento come soggetto da parte di altri soggetti. “ancoraggio” cui già ho fatto riferimento in passato (Sbisà 1985), desumendola Per quanto riguarda la questione dello spessore, il soggetto di enunciazione da Goffman (1974). Il fatto che un enunciatore che si caratterizza in un non è semplicemente il punto d’incrocio delle coordinate dell’enunciazione. Su determinato modo (linguisticamente e semioticamente) sia “ancorato” in un questo punto vengono proiettati contenuti: competenze modali, epistemiche e individuo psicofisico dotato di certe caratteristiche e in particolare di un sesso, passionali. Un soggetto cioè, nel testo o grazie al testo che enuncia, si trova a è a sua volta qualcosa che risulta produttivo di senso. Non solo, ma possono essere investito di modalità quali volere, dovere, potere, sapere, che portano esservi consonanze o dissonanze fra la figura dell’enunciatore proiettata dal sul suo fare o sul suo essere, di stati epistemici e in particolare credenze, di testo e la figura offerta alla percezione visiva, uditiva, tattile..., o stati patemici che coinvolgono oltre alle modalità orientamenti timici e (riflessivamente) il vissuto propriocettivo, dell’individuo psicofisico che funge assiologici e vari tipi o gradi di tensione aspettuale (Greimas 1983, Sbisà e da ancoraggio all’enunciatore stesso. La considerazione di questi rapporti al Fabbri 1985, Fabbri 1987). Ciò permette di parlare da un punto di vista limite del semiotico fra il soggetto e il suo “ancoraggio” contribuisce a dare semiotico, quindi a partire dal testo, di quelle stesse cose che costituiscono da spessore alla nozione di soggetto semioticamente analizzata; e a mio avviso un punto di vista intuitivo lo “spessore” della soggettività. Beninteso anche la (ma si veda su questo anche Violi 209-12) può costituire un punto di partenza competenza modale, epistemica e passionale del soggetto enunciatore, in dal quale riconsiderare la questione del soggetto femminile. quanto manifestata nel discorso e/o comportamento, richiede e dipende da un riconoscimento intersoggettivo (Sbisà 1989). 3. Genere e ancoraggio sessuato. A questo effetto-spessore dovrebbe aggiungersi la consapevolezza che ogni discorso e ogni azione sono possibili grazie a un supporto, un insieme di Con i modi della propria enunciazione e gli altri aspetti del proprio risorse, che fa capo ad almeno un individuo psicofisico. Fra quest’individuo e comportamento che rinviano a una competenza e quindi alla soggettività, si almeno uno degli enunciatori espressi dal discorso può esservi coincidenza, costruisce, oltre ad altri aspetti della soggettività, anche l’appartenenza a un nel senso che l’individuo assume su di sé una determinata figura di genere. Il sesso invece pertiene a quell’individuo psicofisico che presta le sue enunciatore, con tutte le sue conseguenze. Tuttavia quest’assunzione può risorse all’enunciazione e cui l’enunciazione è, come abbiamo detto, essere in vari modi incompleta, mediata da “chiavi” situazionali particolari, “ancorata”. come la citazione o la recitazione, lo scherzo, l’essere semplici portavoce. E La distinzione fra genere e sesso, tuttavia, non è sempre chiara; non è facile inoltre può accadere che le risorse di un solo individuo diano luogo a un trovare un criterio per tracciarla. Seguendo una proposta di West e discorso in cui, semioticamente, compaiono più enunciatori (la polifonia Zimmerman (1987), vorrei qui tentare di distinguerli sulla base delle enunciazionale), oppure che un testo che rinvia ad un enunciatore procedure con cui vengono assegnati, interponendo perciò fra loro la nozione apparentemente unico (benché, spesso, sovraindividuale) sia frutto dell’opera di categoria sessuale. Il sesso viene assegnato in base a criteri che tengono materiale di più individui (ad es. una Legge dello Stato). E questa la nozione di conto della forma dei genitali alla nascita e/o dei cromosomi sessuali. Pur

38 essendo la biologia in quanto scienza un discorso interno alla nostra cultura, “genere”; o anche a non averlo, a decostruire i generi, a rifiutare o ridefinire le la descrizione biologica della posizione di un individuo nei confronti del sesso assegnazioni di genere. Il sesso invece è assegnato all’individuo psicofisico. è graduabile; esistono casi di ambiguità, anomalie, ermafroditismo, e questi Segnalare la propria categoria sessuale equivale a segnalare in quale tipo di possono essere a loro volta descritti tenendo conto degli stessi parametri. individuo psicofisico (nell’ambito della categorizzazione sessuale socialmente Nella nostra società, tuttavia, l’assegnazione del sesso si converte riconosciuta) è ancorato il soggetto agente-enunciatore. nell’assegnazione a una “categoria sessuale”, e le categorie sessuali sono due: Se intendiamo per soggetto femminile un soggetto che si fa attribuire un si può essere o maschi o femmine. L’assegnazione a una categoria sessuale è “genere” secondo i canoni in vigore nella sua cultura, ebbene, c’è sicuramente sostenuta, nella vita quotidiana, da segnali socialmente riconosciuti contraddizione fra soggetto femminile e prospettiva femminista. In una dell’appartenenza di un individuo ad una categoria sessuale o all’altra. La prospettiva femminista, non si può non intervenire criticamente, in un modo o verifica della corrispondenza di questi segnali alle caratteristiche genetiche e nell’altro, sui canoni già dati del genere. Se non altro a causa della loro morfologiche dell’individuo non ha solitamente luogo, per cui l’assegnazione a normatività e della loro funzionalità alla subordinazione. D’altronde una una categoria sessuale può di fatto essere svincolata dalla descrizione nozione di “soggetto femminile” siffatta è, in molte culture, al limite biologica delle caratteristiche sessuali; tuttavia, in caso di non corrispondenza dell’essere autocontraddittoria. Infatti negli attributi del genere femminile è la biologia potrebbe sempre compiere delle irruzioni sgradite nella vita sociale, implicito un carattere indebolito, impedito, della soggettività a cui alla donna per cui sorge comunque il bisogno di garantire una qualche congruenza del è consentito di accedere. Un soggetto femminile, in quanto soggetto corpo con la categoria sessuale cui l’individuo viene assegnato. L’assegnazione esprimente il genere, è dunque (fra l’altro) un soggetto dalla competenza di un genere tiene conto invece del modo in cui il soggetto adatta la propria modale limitata. condotta alle concezioni normative degli atteggiamenti e attività appropriati Se invece parliamo di soggetto femminile in un senso compatibile con per la propria categoria sessuale, e ciò al di là della mera segnalazione obiettivi femministi ‒ se per soggetti femminili intendiamo donne che sono e dell’appartenenza a questa (il che rende possibile parlare senza contraddizione si riconoscono donne e parlano e agiscono in quanto tali, non necessariamente di “femmine poco femminili”, e simili). Il genere può essere analizzato come accettando una data definizione di genere, le sue conseguenze sul piano dei qualcosa che i soggetti “fanno”, e ancor più, qualcosa che viene costruito non ruoli sociali, del prestigio, del potere ‒ non possiamo far riferimento a come opera di un solo soggetto, ma nell’interazione, nel gioco intersoggettivo caratteristiche del soggetto agente-enunciatore che siano di livello puramente di attese, risposte e riconoscimenti. semiotico: lì non c’è alcuna distinzione fra femminile e non-femminile, che Se confrontiamo queste distinzioni con il discorso precedemente abbozzato non sia già codificata proprio in quei modelli di genere che si vogliono mettere sulla nozione semiotica di soggetto, è chiaro che il genere pertiene al livello di in questione. Né sarebbe corretto ricorrere al sesso per qualificare il soggetto: i quest’ultima. È il soggetto agente-enunciatore costruito da comportamento e due concetti, come abbiamo visto, appartengono a due diversi livelli. Il sesso discorso (nonché dal riconoscimento intersoggettivo di questi) ad avere un

39 ha a che fare con il soggetto solo indirettamente, tramite l’assegnazione a un L’assunzione di un punto di vista femminile sarà caratterizzata da una sesso, e di conseguenza la categorizzazione sessuale, dell’individuo psicofisico relazione profondamente congruente fra soggetto agente-enunciatore donna e in cui il soggetto è ancorato. ancoraggio sessuato, indicata perlomeno da alcuni segnali di categorizzazione Per ciò stesso, tuttavia, in linea di principio non si pesa normativamente sul sessuale, ma non sempre accompagnata dal rispetto dei canoni del genere. soggetto se si constata che l’individuo cui si àncora sarà probabilmente o Anzi, a volte l’evidenza dell’ancoraggio può essere giocata come sfida maschio o femmina. La condizione biologica relativa al sesso, sia essa all’appropriatezza contestuale; si creano allora dissonanze, foriere di maschile, femminile, o costituita da qualsiasi caso difficile da categorizzare, trasformazione. Ad esempio, trovo importante che le donne si costruiscano nel costituisce semplicemente una delimitazione di fatto del tipo di esperienze del loro discorso come enunciatori complessi senza escludersi a priori da certe proprio corpo che saranno accessibili al soggetto incarnato. Vi sono occasioni determinazioni del proprio sé: fra le quali vorrei citare l’assertività, la di esperienza in cui si può imbattere solo chi ha un corpo sessuato al maschile, produzione “in proprio” di sapere. Ciò non deve essere scambiato per un o viceversa solo chi ha un corpo sessuato al femminile. E come il soggetto si tentativo di omologazione. La differenza non sta nel linguaggio, ma nel legame rapporta a queste occasioni di esperienza nell’ambito del suo percorso ‒ via il situarsi del punto di vista ‒ tra discorso e corpo. L’omologazione non costitutivo, a determinare in modo mediato la sua relazione alla sessuazione. consiste nel fatto (poniamo) di assumere su di sé l’assertività, ma deriva Un soggetto che riconosca, accetti ed elabori il proprio rapporto a un corpo dall’occultare, in ossequio peraltro ai canoni del genere, la rilevanza del fatto sessuato al femminile, sarà capace di un punto di vista femminile qualunque che si asserisce da un punto di vista situato in un corpo femminile. Esibire sia poi la sua posizione riguardo al genere. Sarà questa mossa, insieme al suo assertività e insieme ancoraggio al femminile può provocare dissonanze: ma riconoscimento intersoggettivo ‒ e ci sono ragioni per richiedere quest’ultimo sono esperimenti da tentare. La denegazione dell’ancoraggio può invece in primo luogo ad altre donne ‒ a rendere possibile il soggetto femminile, la provocare vere e proprie stonature fra l’esperienza di questo, le procedure per donna-soggetto. Che dal rapporto col corpo non trae l’acquiescenza a modelli occultarlo, e le regole, queste sì osservate, del gioco del genere. prestabiliti, ma energie tese alla trasformazione sociale e culturale. In letteratura assistiamo certamente alla lotta fra rappresentazioni e auto- rappresentazioni ricevute dalla tradizione e dal contesto socio-culturale (molte 4. Il punto di vista. sospette o accertate di marca maschile) e tentativo di esprimere un punto di vista femminile che a volte si avvale dell’uso ricontestualizzato o del sovverti- La nozione di punto di vista può fungere, a mio avviso, da mediazione fra mento di rappresentazioni ricevute: bisogna che l’autrice sia o molto abile o enunciazione e ancoraggio: il punto di vista si manifesta tramite molto istintiva per non lasciarsene dominare. Questa lotta e le strategie l’enunciazione, ma comporta un riferimento all’ancoraggio dell’enunciatore, autoriali al suo interno avranno prevedibilmente forme diverse ‒ diversi un riconoscimento o comunque una presa di posizione riguardo a questo. rapporti a diversi contenuti culturali ‒ a seconda di quale è la cultura di

40 riferimento e le rappresentazioni che questa offre (o impone). Anche riconosciuta non semplicemente come soggetto di enunciazione ma come l’ancoraggio ha un aspetto storico (l’individuo psicofìsico ha una storia attore che in un contesto narrativo ricopre il ruolo attanziale, positivo ed personale, in circostanze materiali storicamente determinate): questo è come attivo, del Soggetto. È interessante cercar di capire quanto difficilmente dire che “la donna’’ non esiste come categoria collettiva né al livello questo accada e quali conseguenze, accadendo, potrebbe avere. In effetti il semiolinguistico del soggetto di enunciazione né a quello psicofisico e storico soggetto maschile tradizionale, il soggetto femminile tradizionale, il soggetto dell’ancoraggio. Ma esistono parentele, somiglianze di famiglia, sia fra i modi femminile femminista sembrano corrispondere a diversi modi di distribuire, in cui le varie culture hanno irreggimentato il femminile, sia fra le condizioni intorno all’attante Soggetto, i ruoli di Oggetto e di Destinatore. psicofisiche e le circostanze di vita di donne in diversi paesi, momenti e Considero in questa sede, con qualche semplificazione, l’attante come condizioni. E soprattutto si può ipotizzare che il rapporto formale fra i due appartenente allo stesso livello semiolinguistico del soggetto agente- livelli della soggettività e dell’ancoraggio a un individuo femmina sia un fatto enunciatore, e l’ancoraggio in un individuo sessuato come uno degli costante, tale da giustificare nella varietà dei contenuti e dei problemi un investimenti tematici che sono costitutivi dell’attore. Il ruolo attanziale approccio semiotico metodologicamente unificato. tipicamente assegnato a un attore sessuato al maschile è quello di un destinatario-Soggetto che ha un rapporto contrattuale con un Destinatore 5. Dal soggetto di enunciazione al Soggetto-attante narrativo. trascendente e intraprende in base al suo mandato programmi narrativi che coinvolgono la congiuzione con Oggetti e/o il trasferimento di questi a Finora abbiamo considerato come un soggetto di enunciazione possa essere ulteriori destinatari (immanenti). I ruoli attanziali tipicamente assegnati a un donna. Se ho a volte parlato di soggetto agente-enunciatore, è in quanto anche attore sessuato al femminile sono invece, negli stessi contesti che vedono i comportamenti possono essere considerati come testi. Ma si può parlare e narrativizzazioni come quella sopra delineata, quello di Oggetto oppure quello anche agire senza rivestire, sul piano più ampio del contesto narrativo in cui si di Aiutante del Soggetto nel suo (di lui) programma narrativo. Se l’attore è inseriti/e, il ruolo di attante Soggetto. Per poter essere riconosciuto come sessuato al femminile tentasse di impersonare un attante Soggetto, il risultato attante Soggetto di una certa narrazione un soggetto agente-enunciatore deve sarebbe, in tali contesti, quello di creare un Anti-soggetto, spesso rinviante a trovarsi in determinate relazioni perlomeno a un Oggetto e a un Destinante, un Anti-destinatore: i personaggi femminili trasgressivi, come ben si sa, sono seguire un certo percorso di qualificazione, e via dicendo. E d’altra parte attori spesso ricondotti ad essere manifestazioni del male. La soggettività diminuita che, di per sé, parlano possono ricoprire ruoli attanziali diversi da quelli di caratteristica di un femminile conforme ai canoni del genere sembra così Soggetto e che rinviano a un Soggetto impersonato da un altro attore. Questa corrispondere, sul piano narrativo, ad una notevole difficoltà a ricoprire il distinzione mi suggerisce un altro aspetto della difficoltà a essere soggetti- ruolo di Soggetto. donne. Perché una donna sia pienamente soggetto, sfuggendo a quella che Ma mettiamo il caso che, nonostante ciò, in qualche narrativizzazione o abbiamo sopra chiamato una “soggettività diminuita”, deve poter essere fìnzionale, o inserita nella vita quotidiana, l’attante Soggetto sia effettivamente

41 rappresentato da un attore sessuato al femminile. La configurazione più ovvia assegnazione dei ruoli attanziali ad attori sessuati (al femminile, al maschile); in questi casi sembra essere quella in cui il Destinatore del Soggetto è uno dei Soggetti in gioco potrebbe essere incarnato in un corpo femminile e rappresentato non da un’istanza trascendente ma da un essere umano (spesso, l’altro in un corpo maschile, oppure l’ancoraggio di ambedue potrebbe essere un uomo), che presumibilmente ricompare poi fra i destinatari dei programmi sessuato allo stesso modo. Che quest’organizzazione della soggettività si narrativi di cui il Soggetto ha mandato. Pensiamo, ad esempio, ai modi in cui manifesti quindi nell’una o nell’altra situazione, dipende non da questioni di spesso, tuttora, si parla della maternità: espressioni come “dare un figlio a...” principio, ma da circostanze in senso lato storiche, che incidono sulle menzionano un destinatario dell’azione del Soggetto, che viene altresì disponibilità di determinati tipi di attore a ricoprire i ruoli attanziali di presupposto come Destinatore. Questo è forse, finalmente, un Soggetto di Soggetto e di Destinatore in modo reversibile. È così che il riconoscimento genere femminile. La sua caratteristica distintiva è il suo definirsi come intersoggettivo tra donne (tra Soggetti ancorati a individui femmine) è stato Soggetto in relazione a un Destinatore manifestato da un attore dello stesso un luogo privilegiato di manifestazione di quest’organizzazione della livello, e non di un livello superiore. La relazionalità viene così ad apparire soggettività, esercitando un ruolo importantissimo nel movimento delle donne come un attributo del Soggetto femminile: qualcosa che forse ha a che fare con e nel nostro impulso verso elaborazioni culturali al femminile. Delle quali la diffusa opinione, sostenuta anche in contesti di ricerca sociolinguistica o forse, circolarmente, fa parte anche la riorganizzazione su base intersoggettiva psicologica, che le donne possiedano, appunto, una maggior competenza e reversibile della soggettività. relazionale (Gilligan 1982; Tannen 1990). Ma la cosiddetta maggior competenza relazionale delle donne può svilupparsi al di fuori degli schemi del genere diventando una risorsa per ridefinire la soggettività. Possiamo trovarci allora di fronte alla seguente narrativizzazione bilaterale e reversibile: un qualsiasi Soggetto rinvia (in quanto destinatario-Soggetto) a un Destinatore, ma questo deve costituirsi contemporaneamente come destinatario-Soggetto in quanto il suo Destinatore coincide con il Soggetto di cui esso è Destinatore... (Sbisà 1989, 245-72). In una tale distribuzione dei ruoli attanziali, la reversibilità di Soggetto e Destinatore istituisce l’intersoggettività come prioritaria rispetto alla soggettività. E ciò senza rischio di scomparsa (fusionale) dei soggetti, poiché la reversibilità del riconoscimento costituisce, al contrario, una garanzia per ciascuno di essi. Una simile organizzazione della soggettività è compatibile con qualunque

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massimo comun denominatore, ma si pretenda di risalire dai testi agli Maria Grazia Profeti emittenti. E l’importanza dell’emittente mi è apparsa determinante, fin da un lavoro Il paradigma, lo scarto e l’immaginario al che negli anni settanta avevo dedicato al rapporto che lega tra loro ‒ e con il femminile tema svolto ‒ una commedia di Lope de Vega ed una di Calderón sul “Purgatorio di San Patrizio” (Profeti 1976). Nella rielaborazione di un materiale comune (storicamente determinato dalla riproposta narrativa di Juan Pérez de Montalbán) mi appariva in evidenza soprattutto l’ars

1. La tematologia sembra non aver ancora assestato una terminologia combinatoria delle componenti originali e lo scarto dal paradigma, univoca (e si parla quindi, a seconda delle varie correnti o dei singoli l’eliminazione di alcuni elementi constitutivi e l’integrazione di elementi interventi, di pattern, schema, tipo, stereotipo, mito, nucleo duro, tema, nuovi. Proprio il materiale comune che sostanziava le due opere offriva la possibilità di misurare questi scarti, le accettazioni e soprattutto la strategia motivo)1, e forse, ancor più, sembra non aver del tutto chiarito un metodo di combinatoria; uno strumento di controllo, insomma, che potesse mettere in approccio che non si limiti alla descrizione dei fenomeni, alla costituzione di evidenza le caratteristiche specifiche dei prodotti letterari su di esso costituiti, una storia dei materiali (vedi presentazione teorica e bibliografica in Beller), individuando le linee direttrici che avevano presieduto l’organizzazione stessa, alla recensione ed alla classificazione. Il problema si istalla nella forbice tra e dando così ragione della loro quidditas. queste misurazioni paradigmatiche e lo studio delle combinazioni dei Una volta ricostruita la fisionomia delle due redazioni, le loro caratteristiche materiali, del funzionamento in singole strutture (il modello potrebbe essere ideologiche e letterarie, la domanda ultima investiva le ragioni di una loro Brunel 1974 e 1977), nella distinzione (ecco una ennesima proposta peculiare articolazione. La risposta riproponeva allora in tutta la sua evidenza terminologica) tra sujet donné e sujet traité (Frauenrath). l’emittente e le sue operazioni, in un periodo in cui una sorta di prudenza Insomma, e prescindendo da problemi terminologici, la tematologia metodologica si sarebbe opposta al richiamo diretto alla “personalità” continua a dibattersi nella strettoia tra il paradigma (una serie di codici da dell’autore4. E i problemi della relazione tra tema ed autore costituivano intendere allo stesso tempo sia come la materia storicamente determinata che viene integrata al testo e ne costituisce una specie di ossatura, sia come lo l’oggetto della riflessione che un gruppo di lavoro veronese, all’opera sulle specifico del genere letterario e la pressione epocale che pare orientare strutture della commedia aurea spagnola, è venuto elaborando ed ha consegnato in La metamorfosi e il testo (AA.VV. 1990a). E là si potranno l’integrazione e la risemantizzazione dei materiali stessi)2 e lo scarto effettuato leggere le questioni anche teoriche ancora pendenti ed alcune verifiche da un testo peculiare3. Il che è ancor più evidente quando non ci si limiti ad pratiche di quei problemi. operare su una tradizione culturale, a rintracciare quindi una sorta di

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Qui voglio invece tentare un altro percorso, e domandarmi se un’emittente amor di Calderón, rappresentata il 19 gennaio 1662 nel teatro del Buen femminile assuma o rielabori in forma peculiare temi e motivi; che rapporto Retiro, con grandi apparati scenografici e con accompagnamento musicale. instauri una scrittrice, in quanto tale, con le forme, i modelli che costituiscono Come al solito Calderón si serve della materia mitologica per sottolineare una il repertorio letterario a sua disposizione. serie di valori simbolici, che giocano sui

2. Mi servirò innanzi tutto dello studio di Silvia Monti sul motivo rapporti di interdipendenza e coerenza con un sistema segnico, la mitologia greca, all’interno del quale la favola acquista un valore simbolico. Solo un dell’amante nascosto ( che poi si incarna nel tema di Amore e Psiche) e sulla lettore o uno spettatore che partecipi della visione del mondo che informa il sua rielaborazione in tre commedie auree spagnole: La viuda valenciana, di mito è quindi in grado di decodificarlo nella sua interezza. In tutti gli altri casi si assisterà a un processo di demistificazione o distruzione semantica del mito, Lope de Vega, El conde Partinuplés di Ana Caro de Mallén, e Ni amor se libra al termine del quale sopravviverà solo la componente diegetica. E a questo de amor, di Calderón de la Barca (Monti 17-46). punto la vicenda può essere sezionata in nuclei tematici, o motivi destinati a vivere di vita propria conservando con il mito originario una relazione che Silvia Monti rintraccia il motivo di un amante che si mantiene “in un appare più o meno evidente; in ogni caso essi vengono risemanticizzati nel incognito totale, manifestandosi solo nella più completa oscurità, fino allo momento in cui sono calati in un nuovo contesto. (Monti 45-46) scioglimento della vicenda” in varie culture, dalle Metamorfosi di Apuleio alla E veniamo al lavoro di Ana Caro de Mallén, che basa sul tema dell’amante Genealogia deorum di Boccaccio, dalle interpretazioni allegoriche dei padri nascosta una commedia destinata a diventare popolarissima, El conde della Chiesa alla leggenda folklorica di Melusine (Monti 18); ricchi materiali Partinuplés. Qui il tema giunge ad Ana Caro attraverso un romanzo che originano una ricchissima bibliografia critica. cavalleresco, l’Esforzado caballero Conde Partinuplés, a sua volta Ma vediamo come opera il tema nelle tre commedie auree esaminate. Nella trasposizione spagnola in prosa di un lungo poema francese Partinopeu de Viuda valenciana (che è probabilmente del 1595-99) Lope riprende una Blois, scritto da un anonimo poeta verso il 1180. novella di Matteo Bandello, con varie e sostanziali modifiche; ora è un’agiata Ana opera attraverso una semplificazione drastica della complicata materia vedova che si fa venire a casa nottetempo e senza essere da lui conosciuta un cavalleresca e gioca su scene ricche di ingegni teatrali, che permettono giovane di cui è innamorata, con un moltiplicarsi di casi ed equivoci, dovuti a l’apparizione e sparizione di oggetti e personaggi; la magia domina e regge lo tre corteggiatori respinti, fino a che la vedova potrà sposare il suo amante. In spettacolo. Silvia Monti traccia le differenze tra i materiali diegetici presenti questa commedia ambigua, più che “immorale”, come è stata giudicata ‒ non è nel romanzo e quelli della commedia, concludendo: un caso che sia preceduta nella Parte XIV (Madrid 1620) da una scandalosa dedica all’amante di Lope, Marta de Nevares ‒ l’emittente conduce l’intreccio L’amante invisibile, che nella favola di Psiche era un dio e nel romanzo una con ironia, tanto da rendere possibile una contro-lettura (Monti 28-29). donna-maga, nella commedia è solo una principessa in cerca di marito. Il Direttamente dal mito di Amore e Psiche deriva invece Ni amor se libra de motivo centrale della commedia, che la ricollega al mito attraverso una tradizione favolistica di tipo popolare, perde di fatto gran parte del suo

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significato magico-iniziatico e perfino l’alone di mistero. Ma non è neppure donne, soprattutto se si sottolinea il momento di azione dell’emittente. Come calato totalmente in un altro contesto, come quello spudoratamente giocoso si è visto la tematologia ci offre la chiave per “misurare” non solo gli scarti e le della Viuda valenciana; lo troviamo invece ridotto quasi esclusivamente a supporto di un’ingegnosa scena farsesca. E proprio nella ricchezza peculiarità delle singole strutture, ma anche i debiti ai modelli del genere dell’apparato spettacolare, col susseguirsi di aparencias, tramoyas, presenze letterario all’interno di uno stesso tema; nel nostro caso: novella italiana, invisibili e magie, nonché nella ripetuta comparsa di una prospettiva meta- teatrale, che strizza l’occhio ironicamente al destinatario, va rintracciata la tradizione mitologica, romanzo cavalleresco. Infatti una materia con chiave di lettura di una commedia che incontrò indubbio favore presso il caratteristiche archetipiche, come quella dell’amante nascosto, funzionò come pubblico contemporaneo. (Monti 37) argomento ispiratore per ognuna delle tre commedie in forma indipendente e 3. Vediamo ora il rapporto di questa struttura con l’emittente. Ana Caro non attraverso vie molto dissimili: la novellistica italiana per Lope e il romanzo solo è una delle poche donne scrittrici del secolo d’oro spagnolo, ma cavalleresco per Ana Caro, mentre solo per Calderón si può risalire alla fonte addirittura può essere considerata una professionista, dal momento che mitologica diretta. Più che il cliché qui pare interessante il diretto rapporto ottiene remunerazioni per la propria attività; conserviamo infatti una serie di con i generi letterari che operano a monte; sono essi, dunque, che sembrano ricevute annuali del Capitolo di Siviglia, quale compenso per le prestazioni determinare il tipo teatrale cui una commedia apparterrà: nel caso di Lope della dama, che allestisce testi per le feste della città, o redige la descrizione una commedia di costume, in quello di Calderón una pièce mitologica ai delle feste stesse (Luna 11-12). Essa è anche attenta, proprio da buona confini con la zarzuela, nel caso di Ana Caro un testo di grande apparato professionista, a vantare e pubblicizzare nei suoi testi questa inusitata scenografico. E questa sarà la soluzione per quanto attiene i problemi letterari. caratteristica di “dama poeta”, e come tale viene menzionata dai suoi colleghi Ma a livello di scelte degli emittenti niente impedisce di sostenere che Ana Vélez de Guevara o Matos Fragoso (Luna 12-13). Proprio a questo emittente Caro è attratta dal tema cavalleresco perché si sente vicina al mistero ed al tanto eccezionale si deve dunque la più convenzionale ‒ e si potrebbe dire mascheramento in esso impliciti. Lola Luna dichiara: “Un código de la superficiale ‒ delle riproposte del tema dell’amante nascosto. mentira y una poética de la imagen caracterizan las obras de Ana Caro” [Un In maniera molto chiara e didattica Lola Luna ripercorre i rapporti tra serie codice della menzogna ed una poetica della immagine caratterizzano le opere letteraria e serie storica nel ’600, tra teatro e pubblico, fa giustizia sommaria di Ana Caro] (Luna 15-16). Forse si può dire anche di più: forse Ana riconosce di un eventuale “proto-femminismo” della Mallén, per concludere che la nella magia una delle vie attraverso le quali una donna può manipolare una scrittrice “es una trasformadora de materiales literarios que opera a través de realtà sociale ostile. E quanto appare anche nelle novelle di María de Zayas, ed la imitación de modelos” [è una trasformatrice di materiali letterari che opera il fenomeno è stato adeguatamente studiato (Melloni 84). Così una scelta attraverso la trasformazione di modelli] (Luna 14). operativa (ricorso alla materia dei libri di cavalleria) ed una scelta formale A questo punto siamo in grado, confrontando i lavori di Silvia Monti e di (stesura di una commedia del “sottogenere di magia”) possono essere Lola Luna, di capire l’utilità della comparatistica applicata alla scrittura delle determinate da una peculiare situazione in cui si trovi l’emittente, in questo caso una donna commediografa del Seicento spagnolo.

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Con un codicillo: l’avvertimento, forse pleonastico, che va evitato ogni centro del testo. Si tratta di una dama benestante se non ricca, di stato sociale determinismo ineluttabile: Ana Caro non sceglie la favolosa evasione verso la elevato, con capacità di decisione e di autogestione, libera da relazioni fantasia perché è donna, ma tutt’al più perché è una donna scrittrice del secolo parentali, orfana oppure temporaneamente allontanata dal padre, o vedova. XVII; la sua elaborazione, infine, sarà marcata da una serie di operazioni Un universo unicamente femminile è quello che si dipinge in una delle letterarie personali, da un suo “idioletto”, che la farà unica ed irripetibile, novelle, Celos vengan desprecios, con la presenza in scena della protagonista, come accade per ogni autore, uomo o donna che sia. della cugina e di due amiche: un mondo affettuoso privo di tensioni e di screzi, in cui la violenza arriva dall’esterno con la prevaricazione maschile. E questa 4. Facciamo una riprova, esaminando un corpus di novelle come quello di centralità della donna passa dalle novelle alla stessa cornice: la protagonista, Mariana de Caravajal (che cito perché a me ben noto), nel quale si mettono in nella cui casa si riunisce il gruppo dei novellatori, è vedova con un figlio; luce una serie di caratteristiche peculiari non solo rispetto alle novelle di Lope vedova una delle inquiline con la figlia; sole le altre due dame “belle e nobili”, de Vega o di Montalbán (Profeti 1970, 1991), ma anche rispetto a quelle di che vivono insieme. María de Zayas. Riassumo all’osso le conclusioni a cui sono arrivata (Profeti Se esistono relazioni di parentela che uniscono la donna a un gruppo 1988). familiare, sono di tipo debole: per esempio le protagoniste vivono presso zie, Quando Mariana scrive le sue novelle, presumibilmente sullo scorcio della magari vecchie ed inferme; oppure si tratta di relazioni laterali e parellele, seconda metà del secolo XVII, le caratteristiche del genere erano già fissate, come quella fratello-sorella, addolcite dall’amicizia ed ancor più dall’affetto, compreso l’artificio della cornice, usato tra l’altro in entrambe le raccolte di che pemettono un partecipe interesse da parte dell’uomo-tutore, preoccupato María de Zayas. Quindi, volendo, si potrebbero esaminare sia i meccanismi di dal “gusto” della fanciulla, e propongono soluzioni matrimoniali ad essa costituzione delle coppie, sia quelli di ritardo nello scioglimento dell’azione, favorevoli. L’unico esempio di rapporto tirannico padre- figlia viene sia gli elementi ricorrenti e la loro funzione (il mascheramento ora della dama stigmatizzato, e sciolto positivamente per il doppio intervento risolutore ora del cavaliere, il gioco della comunicazione tramite biglietti e serenate), sia i prima di un futuro cognato, poi della legge stessa. temi utilizzati, come quello del viaggio. Niente di più diverso, naturalmente, dal sistema della Zayas, dove la Sennonché, e proprio in virtù dell’assestamento del codice, lo scarto di famiglia è un meccanismo perfetto teso alla distruzione della donna: non solo Mariana è altrove. Per questo, forse, si ripetono i giudizi critici di una padri privi di ragionevolezza consegnano le figlie a mariti-boia che le “semplicità, ingenuità, elementarietà” delle sue novelle, tenendo come termine vesseranno fino alla morte, ma lo stesso fratello si farà giustiziere spietato di paragone ancora una volta la Zayas (Serrano y Sanz; Bourland 331); cioè lo della sorella; e i cognati diffameranno ‒ da tutti creduti ‒ le povere strumento letterario non riesce a misurare questo scarto. Che, naturalmente, protagoniste. È costante poi anche la mancanza di solidarietà tra donne, è una maniera impropria di proporre il problema. pronte alla delazione, alla denigrazione, alla punizione abnorme e La novità è invece un’altra, di tipo strutturale: l’eroina di Mariana è sola al ingiustificata; di contro immediata e sollecita la solidarietà maschile.

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Invece nella Caravajal la donna, sola ed autonoma, si può addirittura vence desdenes è dedicata proprio alla registrazione della tenace affermazione inventare una parentela fittizia, che funziona come tutela sociale, ma di fatto di Pedro: le doti personali, l’abilità manuale nella pittura, l’accorta permette un maggior gioco di contrattazione e di progettazione da parte della utilizzazione del favore dei potenti, porta a ritagliare un agio ed una dignità, di donna, rompendo il nucleo del potere paterno (Profeti 1988). cui potrà far partecipi i parenti, e soprattutto il nipote. E allora ecco l’indugio Analogamente, Mariana inventa luoghi-altri rispetto alla casa-palazzo, luogo compiaciuto sulla dovizia, l’annotazione degli accorti traffici, l’acquisto della del padre, centro di potere-prigione. La casa di campagna, il giardino, dove si casa, delle schiave, dei mobili, la possibilità di invitare gli amici, in un costume svolgono tante di queste storie, permettono la perdita di relazioni formali e lo di civiltà, in cui rientra anche la “tina” per fare il bagno, minutamente stabilirsi di altre relazioni dinamiche, verso l’instaurarsi di affinità rinnovate e descritta... Anche la donna si iscrive in questa possibilità di promozione; come diverse, attraverso matrimoni non imposti dal sistema familiare, ma il canonico di Toledo è arrivato attraverso le proprie abilità e le industriosità liberamente scelti. E ho potuto verificare che le protagoniste hanno esatta alla bella casa, abbondante di mobili, tele, provviste, servitù, così la giovane consapevolezza che questo luogo-altro è funzionale al cambiamento di potere Beatriz, ancorché poverissima, ma seria e laboriosa, potrà sposarsi col nipote ed all’istituzione del patto matrimoniale alternativo. È la donna insomma che destinato ad ereditare tanto ben di dio. Le si domanda di essere riservata, ma finge protezioni parentali, ma di fatto esercita il potere, combina incontri, la sua virtù sarà premiata, e sotto l’apparenza di una docilità estrema otterrà predispondendo luoghi non formali, mette in atto strategie interrelazionali, sempre ciò che vuole. contratta il suo status. Così la descrizione minuziosa degli abiti, degli ambienti domestici, assume Quindi la differenza che marca i testi della Caravajal e della Zayas si rileva un connotato nuovo: non tanto “scrittura femminile”, non solo debito alle sul coté antropologico, nell’organizzazione delle parentele, e nella istituzione convenzioni della Accademia, ma sicura traccia di un interesse per la dei luoghi. Un successivo momento di riflessione sarà necessario se si vuol registrazione dell’ascesa sociale. Insomma: il minuzioso “realismo ”, il riposo rispondere alla domanda: in che misura la forma del mondo descritta dalla sul particolare quotidiano, la parte data all’urbanità, la annotazione impudica scrittrice può rispondere ad una osservazione del referente reale, ed in che dell’agio e della ricchezza, il sistema di valori adottato, sembrano allontanare misura invece corrisponde ad una fuga nell’utopia? queste narrazioni dal loro genere letterario, la novela cortesana spagnola, per Ora, sullo sfondo di questo cambiamento di potere si disegna l’ascesa di apparentarle al romanzo inglese alla Richardson, se un accostamento del classi nuove, capaci di “farsi da sé”, con l’industria, cioè con l’accortezza e la genere non suonasse ad operazione critica fantasiosa e stravagante. sagacia, capaci di “obrar bien”. Così proprio due dei titoli che meno Se si ritorna dunque allo scontato paragone con la Zayas, non si potrà che sembrerebbero giustificati rispetto ai contenuti (Quien bien obra siempre confermare la dinamicità delle soluzioni della Caravajal, in un fluido ed aderta, La industria vence desdenes) propongono il tema della industriosità e ottimista sistema “borghese”, contro la chiusura di quello di doña María, della operosità ben intenzionata, e da questo punto di vista si caricano di “vecchio” e quasi medievale, tant’è vero che l’unico tentativo di scardinarlo si significati a un primo sguardo non percettibili. La prima parte di La industria effettua attraverso la magia. Mariana, venticinque anni più tardi della Zayas,

47 osserva, o utopizza, una società in trasformazione, e che cambia perché la descrivibile nelle sue strategie, nei suoi limiti obbligati e nei suoi spazi di libertà. Per concludere: “più famiglia patriarcale viene sostituita da un progetto culturale che permette alla interessante ma anche più difficile sarebbe seguirlo nel ciclo di trasformazione che segna il suo passaggio donna una nuova libertà ed una possibilità di negoziato parentale. (del tema) dall’idea nuova all’idea ricevuta, e dall’idea ricevuta all’idea rinnovata”. Sullo sfondo della sua terminologia magmatica da un lato si situano analisi di tipo folklorico, che fanno del motivo l’unità narrativa minima ed invariante, e la ripresa di Tomasevskij, per cui “associandosi fra loro, i motivi formano i nessi tematici dell’opera” (185). Dall’altro gli studi simbolici, che vedono i temi come motivi ai quali la Un paragrafo della mia “Mujer y escritura en la España del Siglo de Oro” si storia ha conferito un significato secondario, in dipendenza da convenzioni culturali che presiedono alla loro risemantizzazione. E il tentativo di Segre (1981) di fare ordine anche nella terminologia. Si veda, a intitolava polemicamente “La mujer corno emisor. Una historia por hacer” proposito della confusione definitoria i moti di impazienza di Terracini (73). E analogamente Guillén (295), dopo aver ripercorso ed allineato nomenclatura, conclude “Importa poco ‒ anche se disturba molto ‒ la (Profeti 1995). E lo concludevo dichiarando che più che dibattiti teorici sulle confusione terminologica”. 2 Fin qui siamo ancora nella doppia definizione di Guillén, 254. “La condición del tema es attiva y donne scrittrici del Secolo d’Oro erano necessarie analisi concrete su queste pasiva a la vez. Aliciente integrador, por un lado. Objecto de modificación, por otro” [La condizione del tema è talvolta attiva e talvolta passiva. Da un lato incentivo integrante. Dall’altro oggetto di presenze misteriose, troppo spesso emarginate ed espunte dalla storia modificazione] (254). letteraria ufficiale. Spero tuttavia di aver indicato qui una via (non ho il 3 Forse non vale la pena di sottolineare che proprio la prospettiva dal testo all’archetipo rende inservibili conclusioni quali quelle relative al convegno su “Thématique et thématologie”, nella formulazione di L. coraggio di dire “un metodo di lavoro”) che permetta di cogliere le peculiarità Somville. 4 E tanto più in rapporto a due figure, Lope e Calderón, che hanno sempre avuto la funzione di poli e le singolarità di quelle scritture; una chiave di lettura che potrebbe essere il catalizzatori ed antitetici del panorama teatrale spagnolo del secolo XVII: da una parte Lope, quasi sinonimo di genialità istintiva; dall’altra Calderón, prototipo dell’intellettualismo barocco. Il pericolo era confronto tra le loro strategie di scelta e di scarto, e il paradigma culturale e quindi, nello sforzo di cercare risposte inerenti il sistema dell’autore, di “svirtuare” il senso della singola struttura. letterario, che esse ricevono e trovano a propria disposizione nel loro tempo, e che dovranno a loro volta trasmettere, magari risemantizzandolo.

1 Che quella terminologica sia una preoccupazione non indebita lo conferma Bremond (148-49), al momento di proporre la classificazione e la definizione teorica di “unità istituzionalizzate o istituzionalizzabili” come archetipi, topoi, clichés; di formulare il problema se “la relazione tra la struttura e il tema” sia antagonista o complementare e se il processo di tematizzazione, “visto come attività intellettuale che va dal tema al testo, nell’atto creativo, o dal testo al tema, nell’atto della lettura” sia

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costituisce una “casa”, e di chi sia a casa dove, ha complicato il problema. Susan Winnett Didymus Maquoma, un rivoluzionario nero, al ritorno dopo anni di esilio deve affrontare l’obsolescenza della propria forma di eroismo; sua figlia, cresciuta e “Non serve bere il fiume per tornare a casa”. istruita in Inghilterra, si sente a casa soprattutto con la nonna analfabeta in Interventi di genere nella teoria del romanzo una delle terre natie dal nome perverso; sua moglie Sibongile, eletta al governo a cui lui stesso aspirava, è pedinata da assassini politici. Il ritorno che pone fine alla loro odissea rappresenta l’inizio di una nuova dolorosa avventura ‒ uno svuotamento e un riaffrontare il sogno-divenuto-finzione che

li ha sostenuti per anni. Per tutti loro, “casa” diventa “la politica della casa” Molto tempo prima che Nelson Mandela lasciasse il carcere e tornasse a casa (Gordimer, None 78). Le identità di genere e razziali, che erano i principi per iniziare quel processo che è poi culminato nelle prime elezioni organizzatori della politica rivoluzionaria, assumono nuove valenze nel futuro democratiche del Sud Africa, Nadine Gordimer rifletteva su un futuro che si è ordine. Non è un semplice rovesciamento per cui i neri adesso sono a casa e i adesso realizzato: bianchi no, è come se il terreno fosse venuto a mancare sotto i piedi di tutti. Le categorie tradizionali dell’esperienza, “l’amore, la famiglia, lo stato”, e gli I neri sanno che nel futuro saranno finalmente a casa. I bianchi che si sono intrecci che esse generano, non organizzano più ciò che emerge come realtà. espressi a favore di questo futuro, che appartiene a quel segmento di loro che Il processo del ritorno a casa, e persino la narrativa del ritorno come non si è mai sentito a proprio agio nella supremazia bianca, non sanno se si troveranno finalmente a casa. (Gordimer, Gesture 270) sottogenere, occupano un posto privilegiato nella storia del romanzo. Ciò nonostante, quello del ritorno è un tema che fino a tempi recentissimi non In None to Accompany Me, il primo romanzo di Gordimer incentrato su poteva essere trattato in modo plausibile da una scrittrice che voleva narrare questo futuro, Vera Starle, un avvocato di razza bianca presso una fondazione la vita di una donna. Le cause di questo sono ovvie: per poter tornare a casa, la che si occupa di riallocare le terre confiscate sotto il regime dell’apartheid, si deve prima lasciare, e la posizione storica delle donne raramente ha offerto contempla i resti di un accampamento abusivo distrutto da vigilantes bianchi: loro questa opportunità. In letteratura, quando le donne lasciano casa, lo fanno, se sono fortunate, per sposarsi e addossarsi il peso di un’altra casa, per Non le era mai sembrato che gli accampamenti abusivi potessero diventare, con un meraviglioso americanismo degli anni cinquanta, “home- rappresentare ciò che qualcuno potrebbe considerare casa. Adesso, nella makers”. Se invece non sono fortunate, la loro sortita nel mondo al di fuori dei distruzione delle misere costruzioni fatte di rifiuti, vedeva che esse erano una casa e che anche il posto era stato tale. (Gordimer, None 119) confini del regno domestico si conclude con una morte anch’essa

rappresentata spesso come una sorta di ritorno a casa. Basti pensare alla La nascita di un nuovo Sud Africa, invece di risolvere la questione di ciò che Clarissa di Richardson che tormenta i propri corrispondenti annunciando la

49 propria intenzione di tornare “to her father’s home” [a casa di suo padre] precisamente casa” (e mi riferisco in particolare a Corinne di Germaine de (Richardson, 1233). Ovviamente non intende letteralmente un ritorno alla Staël e a Villette di Charlotte Brontë). casa del padre, irrazionale e incapace di perdono, bensì la morte. La sua è l’aspirazione a fuggire la tirannia della dimensione domestica tipica del 1. “Sono a casa, perché io sono lui” patriarcato nella casa ultraterrena del suo Signore. Per dare un’idea di quanto Per quanto il tema del ritorno, nel romanzo, sia stato territorio dei questa associazione tra casa e morte sia tenace, si può citare l’annuncio di personaggi maschili, la teorizzazione tradizionale ‒ che vede la caratteristica un’organizzazione patriottica austro-americana pubblicata su Der Spiegel: peculiare di questo genere letterario proprio nel rapporto con .la casa verso cui

tende la narrazione ‒ ha interpretato il romanzo come qualcosa di maschile, Holz für ihre letzte Ruhestätte ein Stück Heimat/ Ein Stück Heimat aus Holz/ Das Gefühl ein Stück von zu Hause zu haben./ Wir importieren für Sie Särge pur canonizzando certe autrici. L’evocazione del mondo epico fatta da Lukács aus österreichischem Holz./ Sedlak Caskets, 304 Union Street, Whitehall, nella sua Teoria del Romanzo articola una politica della casa che è anche una PA... [per il vostro ultimo luogo di riposo un pezzo di patria/ un pezzo di patria fatto di legno/ la sensazione di avere un pezzo di patria./ Importiamo politica ‒ e politica di genere ‒ del romanzo: per voi bare fatte di legno austriaco...]

Tempi beati quelli in cui è il firmamento a costituire la mappa delle vie Un altro esempio dimostra che non è solo per gli uomini del diciottesimo praticabili e da battere, e in cui la luce delle stelle illumina le strade. Tutto è secolo (e per gli addetti alle pompe funebri odierni) che la partenza di una nuovo, per essi, e insieme familiare, avventuroso eppure noto. Il mondo è ampio e tuttavia come la propria casa. (Lukács 57) donna da casa equivale a fatalità. In A Voyage Out di Virginia Woolf, il viaggio di una giovane dall’Inghilterra al Sud America, un viaggio verso la maturità e L’uomo infatti non se ne sta solo ‒ i suoi rapporti con gli altri e con le forme l’amore, finisce inevitabilmente, e con impeccabile logica narrativa, con la che ne derivano, sono altrettanto pieni di sostanza di quanto lo sia egli stesso, e anzi più ancora ricolmi di sostanza, in quanto più genericamente, morte. Non era un topos plausibile per i personaggi femminili un autentico “filosoficamente”, prossimi e parenti della patria originaria: amore, famiglia, ritorno a casa come quello dei personaggi del romanzo di Gordimer o invero stato. Il dovere è per lui soltanto un problema pedagogico, un’espressione del non-essere-ancora-tornati in patria. (Lukács 60-1) del loro prototipo letterario, Ulisse, in cui il personaggio parte da casa, ha avventure, incontra avversità, cambia, ha successo e rivaluta la propria vita, e Considerato che i ritorni a casa in None to Accompany Me sono infine ritorna a casa per continuare a vivere. rappresentati come sconvolgimento o delusione delle aspettative in essi Tra le donne della letteratura, coloro che lasciano veramente casa e non si riposte, il romanzo di Gordimer sembra confermare l’idea di Lukács del sposano né muoiono finiscono per vivere un esilio consapevole e ambivalente romanzo come epica decaduta, documento dell’inadeguatezza “delle gesta che concede loro certe libertà, negate invece dalle costrizioni domestiche, ma rispetto alle esigenze interne dell’anima: bisogno di grandezza, di espansione, le condanna in qualche modo a una relazione antagonistica permanente, per di totalità” (Lukács 58). Secondo la logica narrativa del romanzo di concezione quanto produttiva, con un luogo che continuerà a sembrare loro “non

50 lukácsiana, l’alienazione e l’esilio cui l’individuo è condannato sono Bakhtin che “nel mondo dell’epica non c’è posto per alcun tipo di apertura direttamente proporzionali al suo desiderio di tornare a casa. La sua finale, indecisione, indeterminazione” (Bakhtin 16), sembrano essere al esperienza conferma la totale incompatibilità tra avventura e proprietà, tra il servizio delle concezioni di romanzo che essi ricavano dalle proprie descrizioni vasto mondo e la casa. Il politico e il personale stanno su traiettorie talmente di epica più che da un’attenzione all’Odissea stessa. Le narratologie dell’ultimo inconciliabili tra loro che un ritorno a casa come quello descritto da Gordimer ventennio ci hanno sicuramente insegnato, se non altro, a diffidare della sembrerebbe essere, per definizione, destinato al fallimento. Ma è esattamente chiusura, soprattutto quando è rafforzata dalla retorica (se ci fosse tempo, qui che Gordimer ‒ e invero altre autrici contemporanee tra cui Paule potrei citarvi una quantità di brani che parlano di mura, ragnatele, trappole e Marshall, Toni Morrison, Christa Wolf e Audre Lorde ‒ si distaccano da case archetipiche). Cosa c’è in ballo in questo rifiuto di ciò che ammonta, per Lukács e dai canoni su cui si fonda la sua teoria del romanzo. Infatti, il dirla con Auerbach, all’interpretabilità dell’epica? E la nostra cultura, cosa romanzo tradizionale reagisce alla scoperta della Unheimlichkeit della casa voleva che fosse l’epica, se le ha poi negato un accesso al presente e ha negato con una caduta dall’illusione in un’autocoscienza demistificata, disincantata e al presente un accesso ad essa? O, in altre parole, quali strutture fingiamo di disillusa che si traduce per lo più nella rinuncia. Nei romanzi cui mi riferisco, non vedere per far sì che l’epica rimanga quella forma sicura di sé, chiara e invece, la disillusione e l’accettazione dei fallimenti inevitabili di una ricerca autoreferenziale di cui il romanzo è un discendente decaduto (per Lukàcs) o personale portano a un impegnarsi politicamente proprio in quelle situazioni felice (per Bakhtin)? Se l’epica precorre il romanzo, che è però diverso da essa, che minacciano o mettono in discussione la capacità individuale di tornare a quali aspetti del romanzo ‒ e anche quali romanzi ‒ ne vengono esclusi? E casa o di sentirsi a casa nel luogo a cui il personaggio fa ritorno. In questi questo non dall’epica stessa ma dai critici arbitri della storia letteraria che romanzi, il sé non è più l’unico punto su cui si focalizza l’attenzione; la danno versioni di epica al servizio di un certo tipo di letteratura che è a sua narrativa del sé serve a contrassegnare e a tracciare il percorso di una volta, ovviamente, al servizio di un certo tipo di politica. Infatti se diamo narrativa di tipo politico. un’occhiata veloce, o meglio, interpretativa, al ritorno a casa di Ulisse, Per poter considerare il romanzo come epica decaduta, la teoria tradizionale troviamo ben poco della chiusura, decisione e determinazione (Bakhtin), della deve leggere il ritorno a casa nell’epica, o nostos, come qualcosa che ripristina lucidità (Auerbach), dell’essenzializzazione della vita (Lukács) che distinguono un ordine minacciato e che riasserisce l’identità personale e nazionale. Far l’epica dal romanzo. questo, comunque, implica (e addirittura richiede) una dislettura del ritorno In realtà, troviamo una confusione di intreccio politico e edipico e una di Ulisse nell’Odissea, l’epica cui Lukács, così come Erich Auerbach e Mikhael resistenza alla chiusura impensabile nella stragrande maggioranza dei Bakhtin, in modi profondamente diversi, fanno riferimento nelle loro romanzi. Vorrei ora brevemente ricordare ciò che rimane irrisolto alla fine dell genealogie del discorso narrativo. Sia l’affermazione di Auerbach che “si può Odissea. Innanzitutto c’è l’intreccio edipico carico di tensione tra Ulisse, analizzare Omero ma non interpretarlo” (Auerbach 13), che l’asserzione di Telemaco e Laerte, una costellazione la cui fecondità narrativa è repressa dalla loro necessaria alleanza contro i Proci, ma che sembra destinata ad esplodere

51 al momento in cui il nuovo ordine entrerà in vigore. Inoltre, la pace con cui si richiede “l’esclusione di storie specifiche di oppressione e resistenza, la conclude l’Odissea non è, in definitiva, una conquista di Ulisse ma degli dei repressione delle differenze persino dentro di noi” (Martin e Mohanty 196). che, disgustati da un massacro che rischia di sfuggire di mano, impongono Riconoscere la pluralità e l’ambivalenza della casa porta necessariamente a una tregua ex machina: solo le esortazioni di Atena a controllarsi e una narrativa politica che risponde alle richieste contrastanti indirizzate sia un’amnesia generale mettono fine alle uccisioni che si susseguono al ritorno di verso il luogo definito casa, sia verso ciò che significa la casa per una persona Ulisse. Un assetto politico basato sulla dimenticanza è veramente ingegnoso (e cambiata durante il ritorno. probabilmente l’unico modo di mettere fine al tipo di guerre che si fanno al giorno d’oggi) ma non è in accordo con l’ethos della memoria e del racconto 2. “Chi parte è mai chi ritorna?” (Gordimer, None 135) che ha governato l’Odissea fino a questo punto. Infine, Ulisse non torna a casa per rimanerci: per garantire la pace imposta dagli dei, deve intraprendere un Come ho già detto, solo di recente la partenza di una donna da casa è viaggio via terra verso un luogo dove il vocabolario di esperienza degli abitanti divenuta un evento talmente comune che lo scandalo del suo ritorno non mina non comprende i segni del suo eroismo. La narrazione del ritorno genera poi la sua autorità di fare commenti critici sulla sua casa. Per esempio, è questioni che rimangono potenti e irrisolte alla fine dell’epica. impossibile immaginare la Lucy Snowe di Villette di Charlotte Brontë o la Il ritorno a casa implica l’asserzione, o l’ammissione, che si appartiene a un Corinne del romanzo omonimo di Germaine de Staël, che ritornano senza luogo e non ad altri perché di là si è partiti. Implica quindi un movimento problemi a casa dei genitori per riconciliare i frutti dell’esilio con il conforto associativo verso un complesso di determinanti geografiche, sociologiche, della casa. Lucy Snowe non ha casa; è stata obbligata dalla morte dei membri famigliari e psicologiche a cui fanno appello per la propria legittimazione i della sua famiglia e della sua benefattrice a cercare lavoro fuori dall’Inghilterra movimenti anticolonialisti di liberazione così come quelli nazionalisti di e l’esilio diventa la condizione necessaria per tutte le soddisfazioni che il destra. Nel saggio “Feminist Politics: What’s Home Got to Do with It?” romanzo le concede. Corinne è stata costretta a scegliere l’esilio da una [Politica femminista: cosa c’entra la casa?], Biddy Martin e Chandra Talpade matrigna puritana che, disapprovando il suo desiderio di lasciare la casa Mohanty ci mettono in guardia contro “la ricerca di luoghi sicuri e concezioni scozzese del padre defunto per andare in Italia, paese natio suo e della madre di comunità sempre più ristrette” basate su “nozioni indiscusse di casa, anch’essa defunta, le comunica che è libera di fare ciò che vuole, ma la avverte famiglia e nazioni” (Martin e Mohanty 191-92), ricerca non diversa da quelle che se dovesse scegliere di fare qualcosa che la disonorasse agli occhi della letture di Omero a cui ho fatto riferimento. Martin e Mohanty richiamano gente, dovrebbe, per rispetto verso la famiglia, cambiare nome e farsi credere l’attenzione su come “essere a casa” comporti una forma di cecità alle morta. Entrambe le protagoniste pagano per la libertà di vivere dove possono “demografie nascoste di certi luoghi”, ai processi che rendono un posto “casa” lavorare e mantenersi. Quando Lucy Snowe, disperata, entra nel confessionale per una persona e contemporaneamente lo rendono “non casa” per un’altra. della cattedrale di Villette e rivela al prete, “Mon pére, je suis protestante” La casa, suggerisce questa relatività del privilegio, è un luogo illusorio che

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[Padre, sono protestante] (Brontë 233), essa dichiara la sua identità nei demistifica la casa a cui i protagonisti fanno ritorno, il nostos genera una termini della sua alienazione, e lo fa in una lingua straniera, con un prete tensione produttiva tra la pretesa di appartenere a un luogo in virtù delle francese cattolico di Labassecour in Belgio. Il ritorno a casa di Lucy non proprie origini e un’alienazione dalla realtà socio-politica di quel luogo (e avrebbe senso (in Inghilterra non ha né una città natale né una famiglia, e persino una repulsione verso di essa). Forse è per questo motivo che alcune inoltre nessuno è interessato a un’insegnante inglese). Corinne torna delle più importanti scrittrici contemporanee hanno trovato il nostos una veramente in Inghilterra e Scozia, ma rimane in incognito per ritornare poi, forma congeniale all’esplorazione dei conflitti tra le esigenze di una vita disperata, in Italia. Ovviamente la storia di Corinne come quella di Lucy personale essenzialmente borghese e i molteplici impegni politici che minano dipendono dalla loro incapacità di tornare alle proprie “case paterne”. il conforto raggiunto dalla trama della realizzazione di sé. Varianti di nostos Entrambe le storie si fondano sul fatto che le eroine forgiano la propria vita, se strutturano molte opere di autrici come Christa Wolf (Kindheitsmuster e non al di fuori del sistema patriarcale, almeno a qualche distanza da ciò che Kassandra), Paule Marshall (The Chosen Land, The Timeless People, Brown potremmo chiamare il nom propre du père, il patronimico. Credo inoltre che i Girls Brownstones, Fraise Song for the Widow, Daughters), Toni Morrison loro ritorni sarebbero tanto inverosimili in letteratura, quanto impossibili in (Beloved), Gloria Naylor (Mama Day) e, come ho detto all’inizio, Nadine pratica, nonché ideologicamente controproducenti. È impossibile pensare che Gordimer. Lucy possa tornare a casa come fa Janie in Their Eyes Were Watching God di L’uso che Gordimer fa del nostos è estremamente esplicito nel mettere il Zora Neale Hurston. Non si può immaginare un interlocutore come l’amica di romanzo tradizionale al servizio di un programma indifferente, o anche Janie, Phoebe, che sfida il disprezzo della comunità per ascoltare il racconto avverso, al soggetto borghese. L’autrice costruisce un ritorno politicizzato e delle avventure di Janie lontano da casa. Se Lucy Snowe tornasse in non sentimentale da una partenza per un viaggio che è essenzialmente Inghilterra dovrebbe nascondere la storia di una vita gratificante sul personale. E stato questo a suggerirmi la possibilità di vedere i risvolti politici continente. Gli eventi più significativi in Villette, la quasi-confessione di Lucy, della trama personale in termini di struttura dell’epica. Sia in Burger’s il suo travestirsi da uomo e persino la corte al signor Paul non si potrebbero Daughter (1979) che in A Sport of Nature (1987), troviamo donne borghesi includere in un racconto volto a ristabilire il suo buon nome in Inghilterra. bianche che lasciano il Sud Africa per poi ritornarvi. Burger’s Daughter usa il Ovviamente è essenziale per il lascito del personaggio Corinne ‒ come per tema del nostos per documentare la presa di coscienza di Rosa Burger: quello del romanzo omonimo che la sua riunione con l’altra figlia di suo padre lavorare per la liberazione del Sud Africa significa lasciare ai sudafricani neri e il fatto che sia lei a istruire la figlia di questa sorellastra, avvengano sotto l’autorità di scrivere la trama della rivoluzione. Questa autorità era stata il l’egida materna dell’Italia. Qualunque tentativo di rivalutare il romanzo alla modo del padre, attivista e martire, di partecipare alla lotta a cui lei stessa luce del tema del ritorno a casa deve tener conto di quanto la narrativa del aderisce. I capitoli finali del romanzo suggeriscono che le narrative politiche e nostos al femminile sia recente, e radicale. Come forma narrativa che personali in cui Rosa si è trovata fin dalla nascita, e che hanno dettato le sue

53 azioni in Sud Africa e la sua decisione di andarsene, sono divenute protagonista di A Sport of Nature, è una casualità storica. Mentre Rosa lascia completamente irrilevanti per il processo a cui lei ha ridedicato se stessa ‒ il Sud Africa per allontanarsi quel tanto che è necessario per riuscire a capire oppure rilevanti solo in quanto le permettono di funzionare all’interno di una chi è a livello personale e politico, Hillela se ne va in compagnia di un trama costruita da qualcun altro. Il romanzo suggerisce che, dopo il massacro giornalista con cui fa amicizia quando viene cacciata dalla casa della zia che ha di Soweto, si risolve il “conflitto umano tra il desiderio di vivere una vita scoperto la sua relazione con il cugino. A Sport of Nature traccia il percorso privata e personale e l’opposta esigenza di responsabilità sociale verso i propri delle imprese di una donna con un enorme appetito eterosessuale e il talento simili” (Gordimer, What Happened 17). Ma non si risolve narrando, e per soddisfarlo. Le avventure sessuali di Hillela, che non a caso è la moglie di narrando la propria storia personale che era stata il tema di Burger ’s un rivoluzionario nero, Whaila Kgosane, ucciso dal governo sudafricano Daughter, bensì andando oltre e subordinando la ricerca di sé a un mentre si trova in esilio, la portano in contatto, più o meno casualmente, con movimento le cui strategie e i cui obiettivi sono definiti proprio da coloro la diversi movimenti di liberazione di vari paesi africani. Alla fine, Hillela torna a cui ricerca di sé è stata resa invisibile e impossibile dall’apartheid. Rosa non casa mentre accompagna il suo secondo marito, il presidente rivoluzionario di può tornare a casa finché non capisce l’oscenità del privilegio di cui ha goduto un altro paese africano che è anche presidente dell’OUA, alla cerimonia per in Sud Africa (anche il privilegio della persecuzione e del martirio), e finché proclamare “il nuovo stato africano che una volta era il Sud Africa” (Gordimer, non è pronta a lasciarlo a coloro per cui il Sud Africa e più propriamente casa. Sport 337). È impossibile far combaciare la traiettoria della partenza e del In Burger’s Daughter Rosa Burger deve riconoscere che la lotta contro ritorno di Hillela con la trama di liberazione che si realizza alla fine di A Sport l’apartheid, lotta ereditata dal padre e da lei sottoscritta, non è veramente sua of Nature, sebbene sia solo focalizzandosi su Hillela che il romanzo riesce a e che i suoi interessi non sono gli stessi del movimento. Il romanzo è ancora narrare un evento che nessuno scrittore bianco ha l’autorità di rappresentare. focalizzato sulla soggettività individuale come registro di questa presa di La scena finale del romanzo ci mostra Hillela che guarda mentre viene issata coscienza. A Sport of Nature, anziché investigare la soggettività della la bandiera del nuovo paese. Anche se questo momento sembrerebbe protagonista, esplora, attraverso il racconto idiosincratico della vita di una rappresentare la fusione e la risoluzione della trama personale e di quella sudafricana bianca, il processo per cui i sudafricani neri sono autori e politica, il passo, narrato dal punto di vista di Hillela, fa riferimento alla nuova protagonisti della loro rivoluzione. Se Burger’s Daughter tratta nazione come al “paese di Whaila”. Questo segna la dissociazione finale e dell’autoanalisi e della retrospettiva, A Sport of Nature parla di “una vita che definitiva di Hillela dalla causa di cui sta celebrando il successo. A differenza si muove sempre verso un momento, senza essere cosciente né di questo del nostos di Rosa Burger, la narrativa del ritorno di Hillela in Sud Africa l’ha momento né di cosa quel momento possa essere, e ciò attraverso un metro portata oltre il momento di un possibile ritorno a casa. non accessibile ad altri” (Gordimer, Sport 341). Il nostos di Rosa Burger è completamente frutto della decisione del personaggio, quello di Hillela, la

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3. “spargimento di sangue nel fallimento”, che richiede dedizione alla politica di cambiare la casa, inevitabilmente inospitale, cui si fa ritorno. Casa: quella parola quieta: rappresentazione, teatro, spettacolo pirotecnico di Le teorie del romanzo che continuano a rafforzare i canoni tradizionali emozione per coloro che tornano da guerre, bando, esilio, e che hanno dimenticato ciò che la casa era o che hanno sofferto perché non riuscivano a mentre fìngono di sostenere criteri alternativi e secondari (tutte le letterature dimenticare. (Gordimer, None 44) che hanno ancora bisogno di un genitivo descrittivo o di un aggettivo) ci

chiedono di considerare tutto ciò che non rientra nel canone come esterno al In “Generation”, poesia del 1966, Audre Lorde chiede territorio della teoria del romanzo. Quello di cui abbiamo bisogno è una

teorizzazione del romanzo che comprenda, o almeno faccia loro spazio, i testi Ma chi ritorna dalle serrate città della menzogna per cui abbiamo finora sviluppato teorie dell’eccezione. E qui il romanzo può avvisando davvero voltarsi indietro verso il suo antenato epico per avere una convalida la strada verso il niente scivola per il nostro sangue sia dei propri temi che della sua politica. avvisando Alla fine di None to Accompany Me, la donna bianca congela i suoi legami non serve bere il fiume per tornare a casa personali, vende la propria casa, va a vivere come inquilina nella casa di un abbiamo comprato ponti attivista nero diventato imprenditore e si immerge in politica. I reduci neri con l’oro insanguinato delle nostre madri (Lorde 37) sono coinvolti nel tentativo di giustificare le tattiche terroristiche con cui La poesia di Lorde parla delle esperienze di donne lesbiche di colore che hanno vinto, dall’esilio, la loro rivoluzione, di fronte a degli elettori che possono lasciare e lasciano veramente casa, e dei rischi e costi del ritorno. Il chiedono una democrazia che però non è ancora al sicuro dagli attacchi della suo racconto della partenza da casa in Zami ricorda molto le narrative destra. Il rapporto di ciascuno con “l’amore, la famiglia, lo stato” ‒ equazioni tradizionali della ribellione e dei tentativi di autorealizzazione degli che regolano le richieste di genere e razza, del personale e del politico ‒ adolescenti. Con l’avvertimento “non serve bere il fiume/ per tornare a casa”, cambia nella retrospettiva che segue il nuovo assetto politico. Se il romanzo è Lorde rompe con la narrativa della disillusione e della rinuncia riconoscendo il genere letterario della homelessness [l’essere senza casa] sia nel senso che il ritorno non è mai semplicemente un rovesciamento della partenza e che trascendentale di Lukács che nel senso più concreto e banale, esso è conforme bere il fiume non ci farà accettare né i grovigli che abbiamo ereditato né le allo spirito dell’epica come la intendo io, precisamente sotto questo aspetto. bugie che ci siamo e ci sono state dette. Il processo di costruire ponti, di creare Infatti, l’epica parla comunque di una nostalgia di casa non placata dal nuove metafore (sempre provvisorie) favorisce un ritorno che evita le insidie ritorno, perché il periodo di assenza e l’assenza stessa hanno cambiato sia della rinuncia e della rassegnazione, sebbene il ritorno stesso rimanga un l’individuo sia la casa. E questo a tal punto che non è solo una questione di procedimento difficile e comunque costoso. Per Lorde come per Gordimer, il identità recuperata, ma di identità determinata da una molteplicità di fattori e nostos è caratterizzato non dalla rinuncia, ma dalla coscienza dello

55 irretita in un tessuto di perdita, ritardo e incommensurabilità. Il lascito dell’epica al romanzo, la trama del ritorno, rende possibile una narrativa del sé che va oltre il sé per affrontare le richieste di un soggetto coinvolto nella politica della casa.

(Traduzione di Alice Bartolomei)

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molteplicità delle voci attraverso cui parla la coscienza critica di questa fine- Marina Camboni secolo. Privilegiando l’arte e la finzione sulla realtà, la singola donna sulla collettività, e quindi invertendo il percorso che vuole la storia come misura e Dall’una all’altra madre: figure d’identità e contenitore dell’individuo, mi è stato possibile inoltre individuare i nodi della figure di lingua nell’opera di H.D. storia letteraria ancora passibili di riscrittura. Per ultimo, allineando, ma non appiattendo, la mia prospettiva critica con quella della scrittrice, ho potuto anche intravedere le relazioni interne ai movimenti letterari e di questi con le

circostanze storiche da un’angolatura che può costituire il punto di partenza per una ricomposizione del quadro modernista. In una veste senza cuciture e un mantello variopinto Vorrei iniziare con una breve considerazione sull’immaginario quale luogo sto nel crocicchio, all’incrocio dei miti in attesa di Nessuno. in cui storia, cultura e letteratura si incontrano vuoi nella scena storica stessa, Fui, sono, sarò adesso. vuoi nel lavoro critico e interpretativo. Se nel passato la critica letteraria a (Cordelia Edvardson, “Schlußwort”) piene mani ha cercato nella storia e nelle biografìe le radici su cui far crescere e inverare le opere, oggi è piuttosto la Storia a narrarsi come intreccio di Se oggi propongo una lettura del motivo di Persefone e Demetra nell’opera storie, come prospettiva parziale e affabulatoria, come consapevole dell’americana H(ilda) D(oolittle), inserendolo nel percorso dell’immaginario costruzione di miti. In questa inversione di tendenza è sotteso il disegnato dai suoi testi, è innanzitutto per meglio mettere a fuoco le immagini riconoscimento del ruolo centrale che l’immaginario svolge nei processi attraverso cui si sono formate e trasformate una identità femminile e una storici, investendo tanto le minime vite private quanto le ideologie collettive. soggettività discorsiva che si riverberano sul nostro presente. Poiché l’opera di E tuttavia, se la narrazione letteraria ha conquistato uno spazio H.D., che copre un arco di oltre sessant’anni, dal 1912 agli inizi degli anni modellizzante nel discorso storico non è senza ragione. I massimi scrittori settanta, ha radici tanto nella liberazione emancipatrice del femminismo di europei della prima metà del Novecento ci hanno dato opere narrative di inizio secolo quanto nell’estetica modernista, è stato possibile delineare anche grande impatto in cui vicenda biografica, storia collettiva, riflessione filosofica un cammino della coscienza di sé espressa dalle donne del nostro secolo. si intrecciavano sulla scena immaginaria. Nei romanzi di Proust e di Questa coscienza, portando sulla scena della cultura una non mediata visione Richardson, di Woolf, Mann, Musil, e Svevo, l’individuo si riconosce soggetto del mondo, ha definitivamente incrinato la monolitica universalità patriarcale umano, uomo e donna, essere moderno, attraverso l’atto stesso del narrarsi. demolendone i presupposti e aprendo la strada alla dualità prima, e ora alla Disancorando la propria soggettività dal tempo cronologico, il/la protagonista incardina gli eventi in quello interiore dove, per adottare le parole di

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Bachelard, “la coscienza immaginante si trova ad essere, con estrema semplicità, ma anche con estrema purezza, una origine” (1975, 14). Entro questo movimento vorrei inserire l’opera di Hilda Doolittle, le cui Negli anni più recenti sono stati gli scrittori dei paesi cosiddetti emergenti, prime poesie nascono sulla spinta dell’emancipazionismo di inizio secolo ma da Borges a Marquez a Lispector, da Isabel Allende a Salman Rushdie; o la cui produzione degli anni della maturità, tuttora in parte inedita, anticipa e scrittori di minoranze all’interno di culture egemoni, come Toni Morrison, che stimola il pensiero letterario, critico e politico dei nostri giorni. La sua hanno usato l’immaginario per farci entrare nel cuore di un’identità personale produzione può considerarsi paradigmatica di un percorso dell’immaginario intessuta in una rete di relazioni mobili, umane e cosmiche, che investono femminile che ha inizialmente teso ad occupare territori della cultura fino ad passato e presente, che limitano ed espandono, moltiplicano e annientano allora preclusi (vedi in Woolf l’ansia di imparare il greco e il fascino per la l’individuo stesso; una rete in cui realtà e fantasia, fatto e magia cessano di grecità nella stessa H.D.) e quindi progressivamente definito il proprio spazio, opporsi e fluiscono uno nell’altro. È attraverso il loro immaginario che ha costruito una propria semiosfera e mitosfera. trovato voce il soggetto dei nostri giorni, chiamato all’avventura del nuovo Nell’immaginario di William Morris la statua di donna creata e amata da secolo. Pigmalione, bella come una scultura greca, si anima di vita per Nella prima metà del Novecento il rapporto tra vicenda biografica accondiscendere alla passione di lui e renderlo felice; nell’immaginario di H.D. individuale e storia, fra immaginario personale e collettivo, è quanto mai quella statua vuole uscire dalla nicchia in cui è stata posta dal desiderio stretto, anzi ineludibile quando il fuoco dell’osservazione si concentra sulla maschile e rendere felice se stessa. Quella nicchia è il luogo da cui prende letteratura prodotta da donne. avvio nella sua opera la ricerca di identità e di parola. L’intreccio fra azione politica e i suoi effetti nell’immaginario è tale che la H.D. è consapevole però della tensione che la donna reale vive, da un lato storia delle donne oggi non può essere letta indipendentemente dalla condizionata dalla doppia forza della tradizione e dell’attrazione sessuale che letteratura che esse hanno saputo produrre, non tanto nella sincronia quanto la vuole oggetto entro la zona d’influsso maschile, dall’altro mossa, nella diacronia. Le dimostrazioni delle suffragette, le loro azioni sono interiormente e collettivamente, ad affermarsi come soggetto e a confrontarsi proseguite nel Pellegrinaggio della Miriam di Dorothy Richardson o nella con il proprio desiderio. In “Helen” (1924), Elena di Troia, immobile e bianca, Stanza tutta per sé di Virginia Woolf. Le parole di queste ultime hanno a loro passiva e silenziosa come una statua, è annichilita dall’odio mortale che volta contribuito all’autorappresentazione delle donne degli anni sessanta e l’Occidente le riversa addosso. Quest’odio è l’altra faccia dell’amore e solo più settanta, facendoci uscire dalle morte paludi del secondo dopoguerra. esplicitamente rivela l’effetto distruttivo sulla destinataria. Ma nel poema L’intreccio fra immaginario e azione, fra arte della parola e movimento della Helen in Egypt, pubblicato nel 1961, Elena, divenuta soggetto di parola non storia è tale da potersi configurare come un ripercuotersi di onde sismiche. In solo rielabora tutti i miti che la riguardano dal suo punto di vista, ma assume questo senso l’immaginario, a cui le opere letterarie attingono, apre il tempo la propria responsabilità nella storia. proiettando il passato verso il futuro. Innestandosi nel cuore mitico del narrarsi patriarcale, là dove la parola è

58 verbo, creazione e trascendenza, H.D. crea le proprie figure di identità, una emozioni e tensioni, aspirazioni e desideri nella forma di figure linguistiche e propria genealogia, definisce il suo spazio, rivisitando e disaggregando miti, mitiche che proiettano un mondo classico idealizzato dove, diversamente che straniando la parola e la figura, lasciando che l’immaginario operi la nel presente, arte, bellezza e collettività si incontrano. Le poesie ricordano trasformazione. In Bid Me To Live (A Madrigal), H.D. fa affermare alla alcuni quadri metafisici di De Chirico, dove il tempo si ferma e, nella protagonista: “La storia (ovvero il romanzo) deve scrivere me, deve creare me” commistione con l’arché mitologica del mondo greco, rinuncia a definirsi, (181). diviene metafisico. I versi della scrittrice moderna si innestano direttamente Nella sua opera il soggetto che si costruisce nel narrarsi si riconosce sulle liriche di Saffo accedendo così all’universo atemporale dell’arte, liberi nell’immagine che crea. E tuttavia quell’immagine non è prodotto di un gioco dalla datata sentimentalità della poesie femminili ottocentesche. di specchi, ché prima del narrare non esiste né soggetto né oggetto. Esiste solo Di soggetto, in queste prime poesie, sarebbe erroneo parlare. Se v’è qualcosa un dato: un corpo con delle coordinate anagrafiche e storiche che da cui ha origine la scrittura è la coscienza che non esiste soggetto. Che la costituiscono solo un posizionamento oggettivo nello spazio sociale e storico. parola è voce senza corpo. Il discorso poetico nasconde il soggetto emittente, Il soggetto di parola e l’oggetto proiettato da questa sono l’uno e l’altro lascia spazio al mondo, fa agire tensioni e desideri quasi fossero forze prodotto di un affabularsi in cui l’immaginario filtra il passato e presente, li autonome. Sottraendo un corpo umano e femminile alla voce, H.D.fa, di mette in moto liberandoli dai limiti in cui, quale datum, sono costretti. questa immagine sonora, un’eco senza corpo. L’io poetico, scardinato da Soggetto e oggetto, come nel titolo di uno dei primi romanzi, HERmione, si un’identità storica particolare si proietta in un tempo mitico non tanto riflettono, come il pronome soggetto e quello complemento. precedente, quanto alternativo al tempo storico. “Hermes of the Ways” (1912), la prima poesia di H.D., è già una Nella superficie di scritture manifestamente diverse H.D., come Gertrude immaginaria ridefinizione del luogo verso cui si dirige colei che rinuncia ad Stein, opera, nelle opere più sperimentali, allo stesso fine. Occultamento essere oggetto. Come Ermes, “che guarda in tre direzioni” chi parla aspira a dell’individuo storico, liberazione della voce che costruisce figure mitiche nel esplorare altri spazi, ad aprirsi a più possibilità. Giardino di mare, Sea caso di H.D., figure di linguaggio nel caso di Gertrude Stein. Se volessimo Garden, si intitola la prima raccolta di poesie di H.D., pubblicata nel 1916. Qui enucleare aspetti trascurati del modernismo basterebbe seguire e adattare a ella mette in scena la ricerca di una via d’uscita dal giardino coltivato da mano misura della costruzione critica quanto Gertrude Stein affermava in d’uomo, e alla rosa-donna sensuale e immobile della tradizione letteraria, ella “Composition as Explanation”: contrappone una rosa scarna e essenziale, che aspira a lasciarsi portare dal vento e maltrattare dagli elementi, a subire le conseguenze della libertà di La sola cosa che è differente da un tempo all’altro è ciò che si vede e ciò che si vede dipende dal modo in cui tutti fanno tutto... Niente cambia da una movimento. Oltre il giardino. Oltre la nicchia. generazione all’altra eccetto la cosa vista e questo fa una composizione. (21) Nell’immaginario mondo di Sea Garden la donna fin de siècle perde ogni consistenza fisica e visibilità. Al suo posto agiscono entità e forze incarnanti Come per la composizione letteraria, allora, la differenza fra la

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“composizione” critica di una generazione e quella della successiva Moore racconta tuttavia un’altra storia ancora: quella del rigetto di un’identità dipenderebbe dalla prospettiva differente da cui si guarda ai testi, alle autrici e sociale appiattita sul materno, ovvero sulla produttività-utilità del corpo agli autori. Nel nostro caso alla prospettiva teoricamente universale del femminile, per rivendicare l’inutilità della donna artista e realizzare una forma “critico” si sostituirebbe quella sessuata dalla “critica”. E se la donna critica di sintonia e parità letteraria con lo scrittore uomo. L’estetica e l’arte oggi allineasse il proprio sguardo con quello della donna scrittrice modernista, divengono così portatrici di un’istanza emancipazionista. allora la sua composizione sarebbe doppiamente rimossa da quella dei critici che hanno dominato la scena dell’interpretazione modernista. Come la storia collettiva, così la storia umana e letteraria di H.D. non si è Se prendessimo la prospettiva di H.D. per definire la poetica del primo fermata a questo primo stadio. Se nelle sue prime poesie l’allontanamento modernismo, accantonando la concezione fondata sul più tardo teorizzare dalla donna-madre vittoriana si accompagnava all’attesa di un paritario eliotiano, avremmo una ben diversa visione del soggetto poetico. La poesia scambio intellettuale oltre che sessuale con gli uomini detentori del verbo, e la imagista di H.D., a detta di Pound (modello per eccellenza dell’avanguardia giovanile ispirazione alla libertà unita al senso di potere di trasformazione si anglo-americana), non ci guida verso l’oggettivazione del soggetto nell’oggetto proiettavano nelle immagini delle mobili ed eteree ninfe della mitologia greca, ma ci rappresenta la voluta rinuncia a un luogo, un corpo, un’identità dopo la prima guerra mondiale, con il carico personale di sofferenze che subalterna socialmente o anche culturalmente. I suoi versi testimoniano la l’accompagna1, H.D. si riconosce in altre figure mitiche. Attraverso la coppia genesi di quella parte del modernismo che affonda le radici non tanto in Demetra-Persefone in particolare, riscrive e reinterpreta la propria storia, un’estetica letteraria quanto in una politica femminista e emancipazionista; rielabora il duplice lutto dell’allontanamento dalla madre e del tradimento del non tanto in un teorizzare filosofico quanto nello “spaesamento” compagno uomo. Attraverso le due donne mitiche ella dà anche forma, dell’espatriata/o che apre le frontiere del tempo e dello spazio culturale, alla racconto dopo racconto, al mutare della coscienza dell’artista scrittrice. Il ricerca di nuove sintesi. Emblematica di questa genesi la famosa rivista The discorso narrativo diviene luogo e mezzo di costruzione di un soggetto pieno. Egoist, di cui furono animatori H.D. e Pound, Eliot e Aldington, nata dalla Negli anni venti e trenta l’enfasi cade su Persefone quale donna rapita alla femminista New Freewoman, a sua volta succeduta all’originaria The pienezza e alla felicità, costretta a vivere nel regno della morte. Nei racconti, Freewoman. nei romanzi e nelle poesie H.D. rappresenta il doppio movimento di Il soggetto universale che ha egemonizzato la poetica modernista, che ha Persefone-donna che vive nella notte dell’interiorità la perdita di sé causata riempito di sé antologie e storie letterarie, ha dimenticato la sua origine dal suo rapporto con l’uomo; e di Demetra-scrittrice che affida nonché la pluralità dei soggetti politici e culturali e dei discorsi a cui aveva all’immaginario e alle parole il compito di recuperare Persefone dall’oscurità, attinto e in cui avevano trovato egualmente voce le esperienze delle donne e le tessendo e ritessendo storie che la portino alla superficie della vita piena, e al ansie degli espatriati. La perdita del corpo che si nasconde dietro l’assenza di mondo. Due romanzi autobiografici in particolare, forse lo stesso romanzo soggetto nella scrittura di donne americane come H.D., Stein, Marianne originariamente, ripropongono il mito: Asphodel, degli anni venti, rimasto

60 inedito fino al 1992; e Bid Me To Live (A Madrigal) scritto intorno al venti, morire per ciò in cui credeva, sarebbe morto probabilmente. Ma quello era il suo problema. Era il problema dell’uomo, dell’uomo artista. Ma c’era anche la rielaborato alla fine degli anni trenta e ancora negli anni quaranta, compiuto e donna, non solo la grande dea-madre che lui venerava, ma la donna dotata pubblicato infine nel 19592. come l’uomo, con gli stessi ma anche con altri problemi. (136)

In Asphodel la protagonista Hermione si identifica con la Persefone rapita. Alla fine di questo romanzo, tuttavia, Julia esce dalla stanza- tomba, assume Come un leitmotiv il verso “Non ci sono campi d’asfodelo da questo lato della la propria autorità di scrittrice e afferma la sua voce profetica. È questo tomba” (135, 139) e la considerazione che “I fiori calpestati mandano un l’elemento narrativo che maggiormente rivela il percorso compiuto profumo più dolce” (137, 147) ricorrenti nella mente di Hermione, condensano dall’autrice, che nel personaggio si rispecchia, nell’arco di tempo intercorso fra la sua sofferenza. Ella sente che, al pari del rapitore di Persefone, il marito ha i due romanzi. Hermione di Asphodel soffre come Persefone ed è impotente calpestato i fiori dell’amicizia, dell’amore, della solidarietà letteraria che li come Demetra. In Bid Me To Live Julia riesce a far sì che l’io-scrittrice- avevano uniti. Hermione pensa a sé come a “Persephone in Hell” (168)3. Demetra liberi e salvi l’io-donna-Persefone. Questa donna all’inferno è colei che vive il tradimento del marito come una rivelazione della profonda differenza emotiva, dell’impossibile solidarietà fra Le due figure di madre e figlia, donna e scrittrice si ricongiungono nelle uomo e donna. Profondamente sola, ella ora cerca “sé in se stessa”, tenta di opere scritte da H.D. durante la seconda guerra mondiale. C’è un racconto in “darsi la nascita” (145). Within the Walls intitolato “Prima della battaglia” (Londra 1941) dove l’io Alla Hermione all’inferno di Asphodel corrisponde la Julia della prima parte narrante, in preda al terrore dei bombardamenti, incapace di rivolgersi alla di Bid Me to Live (A Madrigal) chiusa in “una stanza che è una tomba” (119). Madonna, “Sancta Dei genitrix” per chiederle sostegno, si rivolge al più In questo romanzo, non solo Julia è ancora Persefone ma il marito è potente Dio dei Salmi, al Dio pastore, perché la porti via da questa valle di esplicitamente “Dite degli Inferi, marito di Persefone” (141). Il senso di morte, lacrime. Quasi in risposta alla sua preghiera, poco dopo, arriva la figlia, vestita di perdita di sé tuttavia è associato non solo al tradimento del marito ma con un abito a fiori, immagine stessa della primavera. Da quel momento in poi anche al venir meno della solidarietà e del riconoscimento letterario la storia ruota intorno al rapporto madre-figlia. La figlia è la fanciulla dell’amico scrittore Rico (alter-ego di D.H. Lawrence). Rico, a cui Julia ha Persefone che porta vita alla madre. Ma, in un sogno, è la madre della mandato una poesia intitolata “Orfeo e Euridice ”, le rimprovera di aver dato narratrice, morta da anni, “sposata a Dite-morte”, Persefone anch’essa, che si voce ad Orfeo, di non essersi limitata a rappresentare Euridice. Riflettendo ripresenta alla figlia. sull’atteggiamento di Rico, Julia pensa: Nel racconto, fra realtà e sogno si completa il percorso circolare che unisce la madre alla figlia e la figlia alla madre di generazione in generazione, e si Rico con tutta l’accettazione dei versi di lei le aveva gridato in faccia il suo riavvia il ciclo della vita. Nel mezzo della morte provocata dai bombardamenti, uomo-è-uomo, donna-è-donna; il suo stridulo grido di pavone suonava come grido d’amore e di morte per la loro generazione. Lui sarebbe stato capace di la narratrice conclude: “Lei ed io insieme abbiamo riportato la primavera. La

61 guerra è finita”. Le immagini che salgono alla coscienza nella visione e nel un sé alto che hanno alimentato la nostra cultura. sogno, sono per H.D. le forme in cui ci vengono rivelate le verità del mondo e il nostro progetto nel mondo. Sono elemento essenziale di consapevolezza e Come nel racconto, in cui il sogno e il caso creano le condizioni della cambiamento e, come nel racconto, nella sua opera sono il perno della trasformazione, così nel secondo libro della Trilogia, composto nel 1944, la revisione mitica e della sua originale costruzione mitopoietica. Nel sogno, visione provocata dal desiderio del Padre, ma propostasi in suo luogo, proietta come nella visione, il tempo si apre. Nell’immagine onirica la nella mente dell’io poetico l’immagine di una Signora in bianco. La Signora, monoreferenzialità linguistica e simbolica ma anche la linearità della storia pur ricordando la Madonna, è vestita come Cristo nell’Apocalisse e al raccontata alla luce della cultura e della coscienza si dissolvono per farci momento della trasfigurazione, e non ha in braccio un bambino, ma “il libro attingere invece alle fonti della storia stessa, alle nuove combinazioni possibili non scritto del nuovo ”. La Madre ora è Musa, sé più alto, in trasformazione. di materiali originari o sedimentati, ridando al caso il posto sottrattogli dalla È a questo punto che il soggetto enunciante nell’opera di H.D., causalità deterministica che vorrebbe continuità anziché trasformazione. incardinandosi in un’identità femminile, si fa costruttore di mondi e di miti, Pur facendo proprio il procedimento di condensazione e trasposizione del rinnovatore del suo tempo. Nel terzo libro della Trilogia Maria Maddalena è il sogno di cui Freud aveva teorizzato i processi, H.D. ne stravolge la chiave personaggio che incarna la donna quale soggetto di parola e di mito: interpretativa. Il sogno-visione è per lei molto vicino a quella che Michel Foucault nella sua introduzione a Sogno ed esistenza di Binswanger, chiama Io sono Maria, disse lei, d’una città turrita, o credo avesse le torri, un tempo, “esperienza immaginaria” che “rientra nell’ambito della teoria della conoscenza” (35-6). Il sogno, scrive Hilda Doolittle nella Trilogia è “lo Spirito perché Magdala è una torre; Magdala sta sulla riva; santo”, “forma d’ispirazione.... accessibile a tutti”, “fa da mediatore, da interprete , “tuffa il futuro più lontano / nella più remota antichità”, esprime io sono Maria, disse lei, di Magdala, sono Maria, grande torre; “la filosofia più profonda” (63). Ne I segni sul muro, l’opera a cui ha consegnato il resoconto della sua analisi per mio volere e potere, Maria sarà mirra; con Freud, H.D. narra di un sogno ricorrente, in cui la figura di una Principessa neonata ‒ che Freud interpreta come aspirazione dell’analizzata a io sono Maria-oh sì, sono tante le Marie, (anche se sono Mara, amara) sarò Maria-mirra; farsi promotrice di una nuova religione ‒ è per lei proiezione di un sé trascendente. L’immagine che si presenta alla coscienza durante il sogno è per sono l’albero di mirra dei gentili, i pagani; ci sono adoratori H.D. prodotta da quella conoscenza profonda che nelle culture del passato ha dato corpo e nome a divinità come Ra, Iside, Ka: figurazioni immaginarie di anche in Frigia e in Cappadocia, che s’inginocchiano dinnanzi a immagini mutile

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di mirra al bambino, H.D. propone l’immagine di un sé che nasce alla e bruciano incenso alla Madre delle Mutilazioni resurrezione, ma può solo risorgere perché è altro da sé, maschile e femminile; a Attis-Adone-Tammuz e a sua madre, che era mirra; che è semplicemente vita umana che continua e si salva perché si riconosce era una donna segnata, materia animata. avendo concepito un figlio nella colpa; Tutta l’opera di H.D. è all’insegna dell’immagine, si chiami imagismo per le e pianse lacrime amare fino a che un dio pagano prime poesie, o sogno-visione nelle sequenze poetiche della maturità. Né non la mutò in albero di mirra; inusitate né utopiche, le immagini che ella ci propone fanno appello alla

io sono Maria, piangerò lacrime amare nostra memoria, alla nostra tradizione. E tuttavia sono diverse. Diverse perché amare... amare. ella ha disaggregato quanto era stato dato come semanticamente e

simbolicamente unitario, ne ha poi ricomposto i pezzi e, mutandone i contesti In questa Maria di Magdala, H.D. condensa le tre Marie dei Vangeli ‒ Maria di riferimento, ha creato una frattura temporale e visiva fra simboli e di Betania, Maddalena, la donna a cui Gesù ha cacciato i demoni ‒ ma anche la referenti5. Come Gertrude Stein, che in “Poesia e grammatica” dice essere samaritana e la Maria discepola, moglie e madre di Cristo della tradizione impossibile creare lingua exnovo, come Woolf, che pesca nel pozzo della gnostica. La condensazione in una sola figura di rappresentazioni oppositive mente le parole di altri per poi combinarle in nuove composizioni, così H.D. della donna nell’immaginario maschile, è segno di riappropriazione del mito e scandaglia in profondità i miti della nostra cultura, ne disaggrega immagini e primo passo per la sua trasmutazione. Maria di Magdala è l’una e l’altra, non simboli ricomponendoli secondo una prospettiva femminile. l’una o l’altra, donna. A questo punto ella può dire se stessa, darsi nome, e con Di fatto l’opera di H.D. nel suo complesso scandisce il percorso della questo definirsi figura di resurrezione. trasformazione della coscienza del nostro secolo operata dalle donne e addita Al centro dell’operazione di trasmutazione è il nome, che per H.D. è essenza una mitosfera quale tessuto dell’immaginario che avvolge e fa da supporto a stessa della cosa. Attraverso figure di ripetizione, attraverso coordinazioni quella che il semiologo Jurij M. Lotman definisce “semiosfera”, ovvero il accumulative amplificanti, attraverso straniamenti del corpo della parola e tessuto linguistico da cui nasce e a cui ritorna la parola individuale. l’uso di un’etimologia visionaria H.D. costruisce un personaggio che si dà nome ed insieme propone una propria genealogia4. Maria Maddalena si dice madre dolorosa ma il figlio concepito nella trasgressione, figlio e testo, ben presto diviene la figlia di resurrezione. La Trilogia si chiude con una scena che sembra estrapolata da una Natività rinascimentale. Maria Vergine e madre occupa il centro della scena. Ancora una volta non ha in braccio il bambino, bensì un fagotto di mirra. Maria ha generato Mirra. Nel sostituire il sacchetto

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1 Sugli eventi degli anni intorno alla guerra e il loro effetto sulla scrittura di H:D: si vedano sia la “Breve biografia letteraria” che “Alchimie,miti,sogni,parole revisionarie” nella Trilogia da me curata. 2 Per la datazione dei due romanzi vedi la cronologia delle opere e l’analisi fattane da Susan Friedman In Penelope’s web:Gender,Modernity, H.D.’s Fiction. Per un più articolato sviluppo di quanto accennato qui rimando al mio saggio “Il tempo in una stanza:Bid Me To Live di H.D.”. 3 Sulla connessione fra il verso citato e il motivo di Demetra e Persefone si veda il mio “La farfalla e l’asfodelo. Conoscenza e mito del monologo di H.D.”. 4 Per un’analisi più dettagliata delle scelte linguistiche di H.D. rimando a “L’immaginario linguistico di H.D.” di Patrizia Lendinara in H.D. e il suo mondo. 5 Sulla revisione mitica e sulla riscrittura di testi cardine della cultura occidentale rimando al mio “Le parole sono farfalle. Mitopoiesi verbale nella poesia di H.D.”.

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all’interno del soggetto folle, portato in primo piano ‒ cui più tardi si Paola Zaccaria riallacceranno Jean Rhys con Wide Sargasso Sea (1966), Doris Lessing con The Four-gated City (1969); ma in altre, tante opere, a cominciare da “The Le stanze della scrittura Mark on the Wall” (1917) di Virginia Woolf, “Prelude” (1918) di Katherine Mansfield, “The Blank Page” (1955) di Karen Blixen, Tribute to Freud (1956)

di H(ilda) D(oolitle), The Golden Notebook (1962) di Doris Lessing, The Bell

Jar (1963) di Sylvia Plath, carte da parati, segni sul muro, disegni di tende e coperte si posizionano come schermi di proiezione degli incubi e dei desideri, In un primo studio dal titolo “La stanza della scrittura” focalizzato su The ma anche come foglio da incidere. Yellow Wallpaper (1892) di Charlotte Perkins Gilman (1860-1935)1, guardavo Tutti questi testi per altro pongono anche questioni di ordine narratologico a quel racconto autobiografico ponendo attenzione alla condizione di una in quanto si interrogano sui (di)segni della “carta letteraria” nel momento donna che, isolata in una stanza di una casa di campagna per curarsi da “fatica stesso in cui il soggetto femminile concepisce il disegno di inscrivervisi. In nervosa” insorta in seguito al parto, consuma il tempo guardando, odorando e tutti questi casi, la stanza ‒ guscio, grembo, ma anche esilio, spazio muto ‒ leggendo una consunta carta da parati, unico Testo concessole da una cura che diviene il topos in cui ha luogo una straordinaria operazione di lettura- prevedeva assoluto riposo mentale e fisico. scrittura: tra la separazione dal mondo e la condizione d’attesa ‒ che è Mostravo quindi come The Yellow Wallpaper fosse trascrizione degli effetti aspettativa, anticipazione ‒ si insinua la lettura-scrittura. Tele di parole di questa condizione di forzata inoperosità che, agendo su una coscienza in nascono a partire da teli da tappezzeria e cantano l’abbandono, l’incubo, sofferenza proprio per le restrizioni ‒ soprattutto il divieto di leggere, scrivere, l’assenza, ma anche la voglia di ricostituire la presenza in un io solitario che e vedere la bambina appena nata ‒ produceva uno stravolgimento della cerca di allontanare da sé l’angoscia scrivendo. percezione del sé, del tempo e del luogo che andava a scaricarsi sulla Se ogni testo è un invito al lettore ad entrare in un luogo che inevitabilmente visualizzazione-lettura-interpretazione della carta da parati che veniva alla si configura come stanza, spazio in cui si presuppone che chi accoglie l’invito fine distrutta per portare in libertà la donna segregata nel fondo del pattern, si predisporrà all’ascolto, il lettore/la lettrice non potrà non tener conto degli donna che aveva strette attinenze con la Bertha Mason di Jane Eyre (1847), effetti psicomentali che la condizione fisica della reclusione produce. Seppure anche lei relegata nell’attico perché anomala rispetto ai codici epocali. inghiottita dall’ombra della stanza, resa acinesica da un sentimento di dolore Ricordavo infine come l’operazione di ascolto condotto da Gilman rispetto a pervasivo, indicibile e insopportabile, (auto) isolata da qualsiasi tipo di Jane Eyre di Charlotte Brontë, avesse fondato una modalità di scrittura comunicazione, in una situazione di estrema deprivazione sensoriale, la donna intertestuale al femminile ‒ centrata sullo spostamento della voce narrante

65 che dentro di sé porta questa malattia della scrittura che è l’altra faccia del consumato affatto; dice di un dramma sicuramente accaduto a seguito di desiderio di creatività, talora troverà modo, attraverso sogni brevi ad occhi quell’assenza di sangue, ma quel titolo, “la pagina bianca”, guida ad altre aperti, visioni, fulminee percezioni, di forzare l’asimbolia in cui è immersa, letture, media l’accostamento fra lenzuolo e foglio, allude ad altri (di)segni forzare il silenzio interiore ed esteriore e dar vita ad un testo nuovo che porta mancanti, altre scritture ‒ mette praticamente in scena il gioco della ricezione, testimonianza del lavoro di resurrezione - alla vita, al canto ‒ di un soggetto chiama in causa la soggettività in lettura, come quella che dà vita al testo: è la che ha saputo forzare la serratura (claustrum) della propria carcerazione. La pagina non ancora scritta quella che più intriga ogni essere affascinato da prigione del dolore può dare come esito una segni, comprese le nobili lettrici [il racconto parla di pellegrinaggio per sole (nobil)donne che è “insieme sacro e segretamente gaio” (120)] che scrittura bianca. Vuota. Fredda come il marmo. Una scrittura di mera intraprendono un difficile viaggio per raggiungere il convento pur di prendere constatazione. Da registro. Da cancelliere o medico legale. Una scrittura senza visione di segni lasciati da corpi di donne, incisioni a sangue della passione. Una fredda scrittura svuotata del proprio sangue. Dei suoi nervi. Scintillante come la neve sotto una luna gelata. Parole giuste e ghiacciate come consumazione dell’eros, residui solitamente ritenuti “abietti” e dunque il diamante. Una bianca scrittura come le ossa biancheggianti al sole. Una nascosti nella privatezza. scrittura da deserto. (58-9) È la pagina bianca lo schermo in cui proiettare le storie immaginate da ogni di cui parla Françoise Lefèvre ne Il piccolo principe cannibale. singola spettatrice. È la pagina bianca quella che più spaventa e affascina sia la Ma se si smette di credere che la scrittura debba raccontare la vita come narratrice che la lettrice. La pagina bianca in questione è un ritaglio di impresa, e si fa spazio ad altri (di)segni, altre lingue solitamente avvertite lenzuolo di lino bianco purissimo, seminato, coltivato, sbiancato e tessuto come dis-articolazione della voce-respiro- parola ‒ il deficit della mutezza, dalle gaie suore Carmelitane che hanno il privilegio di fornire le lenzuola l’impalpabilità del sussurro, l’eccesso del grido, come le terribili grida di un nuziali delle principesse reali e di riavere, per esporlo poi in una galleria posta bambino autistico ‒ nonostante tutto un testo verrà generato, o comunque la nel “corpo principale” del convento, il “ritaglio centrale” del lenzuolo che pagina bianca, come nel racconto di Karen Blixen che porta quel titolo, “attesta l’onore” della sposa (119). La “pagina bianca” in questione è l’unico racconterà una storia ancora più avvincente in quanto non scritta: il lenzuolo ritaglio senza macchia esposto nel museo della verginità, ma è proprio quella della prima notte di nozze non macchiato di sangue “verginale”, esposto in un la pagina di fronte a cui dame, principesse, accompagnatrici e persino le suore convento insieme a tanti altri “disegni” impressi col sangue di principesse, è si soffermano più spesso a meditare (121). quello che più attira gli sguardi, quello di fronte a cui più ci si sofferma. La storia è narrata da una vecchia che si guadagna la vita raccontando, Infinite allusioni sussurra quell’assenza che è presenza: dice di un eros forse discendente di narratrici professioniste alla quale la nonna ha insegnato che consumato fuori dalla norma, fuori dall’imene-matrimonio (hyme’n greco “Dove il narratore è fedele, eternamente, inflessibilmente fedele alla sua indica sia la “membrana della verginità” che “le nozze”), o forse non storia, là, alla fine, parlerà il silenzio.” E, dopo aver insegnato a sua volta all’ascoltatrice che solo il silenzio “racconta una storia ancor più bella delle

66 nostre” e che solo sulla pagina bianca “si legge una storia più profonda di pagine-lenzuola (seminano, coltivano, raccolgono, tessono, riseminano); le quelle scritte sulla pagina” stampata (116), la narratrice sdentata, chiamata viandanti-lettrici compiono un viaggio sacro e insieme gaio fra donne; le “vecchia strega” inizia il suo racconto. visitatrici, protette dalla discrezione delle suore, guardano a loro piacimento L'incipit narrativo presenta quindi due situazioni: la narratrice, ancorata quei segni (o quel segno assente) ripensando alla propria storia e a quella delle alla parola orale, è di sesso femminile ‒ vecchia strega discendente di loro compagne. Nel cuore stesso di un luogo vergine, il convento, le ballerine, amanti e narratrici ‒ e inoltre pone questioni di ordine narratologico spettatrici-interpreti contemplano il mistero della verginità, diventano relative a oralità/scrittura, silenzio/parola, narrazione/ricezione (i verbi che testimoni della soglia, del passaggio da vergini a donne ‒ quel luogo-tempo in qui ricorrono hanno a che fare con l’“ascoltare”, il “raccontare”, “leggere , cui l’essere per sé, l’essere con sé del femminile precipita nell’essere per l’altro, “scrivere”). Reiterato, in questo prologo che al fondo è teoria fictionalized essere con l’altro ‒ e s’interrogano in particolare sul più ambiguo dei (di)segni, dell’arte della narrazione, è il motivo della pagina bianca come silenzio, il bianco che porta insieme i due significati del silenzio: assenza di materia racconto più profondo della scrittura. Nella seconda parte ‒ la narrazione vera corporale, assenza di materia scritta. Ma insieme, sembra suggerire la vecchia e propria ‒ il motivo della pagina bianca viene ripreso nel lenzuolo senza segni narratrice-strega, è questo bianco portato nel cuore del testo del corpo che di ‘sangue da penetrazione maschile’. Tutta la storia si svolge in un ambito da può suggerire un di più che nessuna scrittura-/rottura d’imene potrà dare. Il cui è assente la presenza maschile (la narratrice nomina una genealogia di bianco, l’assenza, il vuoto diventa ammasso di significazione nella narrazione cantastorie donne; le suore coltivano e producono lino entro una comunità orale, nella vita delle donne, nella letteratura ‒ la pagina bianca è quella femminile; le pellegrine-spettatrici sono tutte donne; le macchie di sangue lasciata ancora vergine alle donne, non penetrata dalla penna maschile, la esposte sono di donna): il maschile viene pertanto percepito solo come causa pagina non scritta in cui ogni lettrice può diventare narratrice. La pagina dei segni di sangue inscritti sui ritagli di candido lino. bianca è la libertà: se letta come conservazione di verginità, parla di Il motivo della pagina bianca racchiusa nello spazio centrale di un convento sottrazione all'erotismo/logos della penetrazione e scelta di di suore non solo è fortemente iperdeterminato, ma inscrive al massimo grado (auto)interpretazione, autoascolto, o comunque di interpretazioni tutte l’idea della pagina della scrittura più intimamente corporea della donna come interne ad una comunità femminile; se letta come trasgressione sessuale, scrittura-(di)segno contenuta nel segreto della casa “vergine”/la casa delle consumazione dell’eros fuori dal matrimonio, parla di sessualità liberamente vergini. La novità, in questo testo di Blixen che non a caso, pur nella sua agita che lascia a tutte la libertà di scegliersi un erotismo nonché una lettura- insistenza infradiegetica sull’atemporalità, è tuttavia scritto in un’epoca che scrittura individualizzata e non già prescritta, o peggio proscritta. aveva ormai visto l’ingresso a pieno titolo delle donne nella letteratura, la Forte permane tuttavia in questa opera il legame fra sangue e scrittura- novità dicevo risiede nel riservare lo spazio di lettura-scrittura esclusivamente narrazione; insistentemente da parte di una narratrice elevata alla triplice ad un pubblico femminile: le suore letteralmente costruiscono da sole le potenza (l’autrice finge che una vecchia narra-storie racconti alla narratrice

67 infratestuale la storia della pagina bianca) viene reiterato il motivo del disegno reali, ma ogni singola lettrice sarà alla fine attratta dal quadro della pagina come traccia del corpo e, ancor più a fondo, scorre il discorso che i disegni bianca, la pagina anonima ‒ è l’unico quadro senza targa con il nome dell’“ sono prodotti a seguito della penetrazione, della violazione della membrana autrice”. Il testo in bianco non firmato è lo spazio della libertà-possibilità- che tiene la donna vergine ‒ il che, traslato sul piano letterario, implica che le immaginazione-creazione. Tutto sommato questo racconto di Karen Blixen, inscrizioni femminili in ambito di produzione scritta (traslazione autorizzata così allusivo, così bordeggiante sulle soglie della non rappresentazione oltre dalle insistenze della vecchia cantastorie sul legame silenzio-pagina bianca) che del silenzio, è in realtà testo inquietante che tuttavia non lascia sensazioni portano tutte il segno della penetrazione maschile, sono tutte prodotte grazie negative; questo racconto è già individuazione di uno spazio per la scrittura ad un “versamento di sangue” : segni che attestano la invasività del maschile. delle donna; è propositivo: pur collocato in un tempo passato, traspare la Non a caso il testo che più attira le spettatrici-lettrici è quello non ancora consapevolezza di genere di una autrice che può ormai contare su (di)segni scritto, la pagina bianca che indica le potenzialità-possibilità di un corpo-testo visibili della presenza femminile nel luogo della scrittura. non contaminato, una scrittura femminile non visibile che si fa senso Nel caso di Karen Blixen non bisogna trascurare che il tutto può alludere al attraverso una lettura di altre donne protette da un luogo sacro, abitato valore che questa scrittrice attribuiva all’oralità, alla ricerca costante nella sua esclusivamente da vergini che trovano conferma alla propria scelta di arte di avvicinarsi alla maestria delle vecchie narratrici, per cui la pagina coltivare, adorare il bianco (il lino/la verginità) in quell’ ammasso di senso, bianca non solo è figura per dire del silenzio come discorso più significativo suggestioni, voci che giungono dal silenzio che s’addensa nella pagina bianca. delle parole, ma anche della maggiore magia esercitata sugli ascoltatori dal La stanza della lettura-interpretazione, qui, è il cuore del luogo sacro, il racconto orale, quel racconto che non lascia tracce, segni, macchie, ma avviene centro di uno spazio isolato, difficile da raggiungere, abitato esclusivamente nelle con-tattività, in una stanza reale che porta insieme i due agenti della da donne. La stanza della lettura-interpretazione in questo racconto è figura narrazione ‒ chi narra e chi ascolta ‒ e li fa interagire. Se è vero che per le del sacrario, nonché della separatezza, si presenta come soglia invalicabile, donne il luogo, i luoghi sono segnati dalle relazioni, Karen Blixen vorrebbe imene inviolabile non solo fra il mondo e l’abitazione, ma soprattutto fra il segnare anche il luogo letterario con la rappresentazione di luoghi in sesso maschile e quello femminile: qui c’è divieto di ingresso agli uomini, così relazione. che le donne possano ritrovarsi fra loro, leggersi fra loro, e forse avere la possibiltità di creare un testo/disegno/senso femminile. Qui ci si reca in Intorno a noi, tutto scrive, questo bisogna arrivare a percepire, tutto scrive, la mosca scrive, sui muri... Potrebbe coprire una pagina intera la scrittura gruppo, ma si è anche autorizzate ad una lettura segreta, privata, sotto la della mosca. Allora sarebbe una scrittura.... Un giorno, forse, nei secoli futuri, protezione di una suora che, dopo aver accompagnato la visitatrice alla qualcuno leggerebbe questa scrittura, la decifrerebbe, la tradurrebbe. E l’immensità di una poesia illeggibile si spanderebbe nel cielo. (Duras 1994, 19) galleria, “si congeda, consapevole del suo desiderio di rimanere sola” (120) per ripercorrere i propri ricordi, per confrontare gli auspici che si usavano un C’è un capitolo de La vita materiale di Marguerite Duras che s’intitola “La tempo trarre dal disegno impresso a sangue sul lenzuolo e gli avvenimenti

68 casa”. Ad un certo punto, in un breve paragrafo dice: La mia camera non è un letto, né qui, né a Parigi, né a Trouville, è una certa finestra, un certo tavolo, l’inchiostro nero cui ero abituata, una macchia d’inchiostro nero diffìcile da trovare, è una certa sedia.... È avvenuto così, sono Ho letto Una stanza tutta per sé di Virginia Woolf, e La Sorcière di stata sola in questa casa, mi ci sono rinchiusa, con un po’ di paura, certo. E poi Michelet.... Quei due libri, è come se avessi aperto il mio stesso corpo e la mia l’ho amata. È diventata la casa della scrittura.... ho ancora quella solitudine, testa e leggessi la storia della mia vita nel Medioevo, nelle foreste e negli inafferrabile, intorno a me. (1- 13) Opifici dell’Ottocento. Il libro della Woolf, poi, non ho trovato un solo uomo che l’avesse letto. Siamo separati, come dice nei suoi romanzi M. D. Una straordinaria donna dei nostri giorni, una donna che ha attraversato La casa dentro. La casa materiale. La prima scuola è stata mia madre stessa. (Duras 1987, 55) nazioni, amori, guerre, scritture, una donna che può dire che grazie a Dio c’è stata già Woolf, una donna libera, parla della necessità di una stanza per E, a proposito della disponibilità della madre ad occuparsi degli altri, Duras scrivere, dei riti materiali perché la scrittura si compia, di come il libro porti i aggiunge: “La casa è anche questo, qualcosa che si estende all’esterno e poi segni dello spazio in cui è stato generato (“I miei libri escono di qui, anche da dice che la madre “era, insieme, la madre, era la casa intorno a lei, era lei nella questa luce, dal parco, da questa luce riflessa nello stagno”), di come la “vita casa.” (56) Qui non cita Woolf, ma a una lettrice abituata a costruire ponti fra materiale” della donna, che consiste soprattutto nella “impresa pazzesca” di le sue autrici preferite non sfuggono i sentori woolfiani di To the Lighthouse e condurre una casa, organizzare la propria vita e mettere le proprie capacità al di Moments of Being in questo portare insieme madre e casa, casa e madre. servizio di figli e uomini, produca poi una scrittura che non è traduzione, ma Non sfuggono le affinità fra quel restare a casa di Mrs. Ramsay mentre l’uomo decifrazione di quel che agli altri è illeggibile. Duras è esplicita: come soltanto progetta la gita al faro ‒ il viaggio, la traversata ‒ e l’affermazione durassiana alla donna riesce di trovare il filo che organizzi una casa, così solo a una donna “così, la donna viaggia”. Questo viaggio non è la guerra né la crociata, è un riesce di trovare “quel che c’è già”: “scrivere non è raccontare storie.... E viaggio nella casa, nella foresta, e nella sua mente... in questo caso è promossa raccontare tutto insieme” (“Il blocco nero”, Duras 1987, 33-34). Scrivere, per al rango di strega, come lo siete voi, come lo sono io, e bruciata” (63), dove chi la donna, è viaggio nell’ignoto: “È l’ignoto di sé, della propria mente, del scrive porta insieme se stessa, Michelet e Woolf, ma anche sua madre, la proprio corpo” (Duras 1994, 43). Lo scritto arriva nudo, “è inchiostro, è lo madre di Woolf, la strega-Judith Shakespeare descritta in A Room e se stessa scritto” , simile a tanti segni, non dissimile dalla scrittura, per ora illeggibile, strega in quanto scrittrice. Ma oltre ad essere affascinata nello scoprire i della mosca. Scrivere significa aprirsi all’ignoto, al vento, all’amore; è una sentieri segreti della letteratura, i segni che le donne tracciano a partire da delle tante attività della vita materiale e come tale è uno dei tanti disegni suggestioni di altri testi, qui mi preme sottolineare come la casa, la casa lasciati dai viventi ‒ segni necessitati da un bisogno, consegnati alla vita, materiale, sia essenziale alla scrittura sia per Woolf che per Duras, tanto che affatto investiti da un pensiero totalitario e definitivo. Scrivere non è scrivere questa più volte torna a parlare delle sue case e della stanza della scrittura, il romanzo, o scrivere il diario ‒ scrivere cioè all’interno di un genere soprattutto quella di Trouville. In Scrivere: letterario. Sempre più, come ci mostra in La vita materiale e in Scrivere, o in

Estate ’80, Marguerite Duras si libera da canoni, formule, codificazioni,

69 generi; non infrequentemente, i frammenti che compongono testi siffatti sono invitandolo alla risposta. prima detti e poi scritti: “scrittura fluttuante”, definisce lei quella della Vita materiale, “quell’andare e venire fra me e me, fra voi e me in questo nostro Succede una cosa strana quando uno scrive di sé. Ci si dirige verso di sé, non avviene una vera proiezione di sé. Il risultato è freddo, spietato, un giudizio. tempo” (10). Scrittura-ponte, scrittura infrasoggettiva (“fra me e me”) e Oppure, se non è un giudizio, non c’è vita. (Lessing 1977) intrasoggettiva (“fra voi e me”), scrittura nata da comparazione (di testi, voci, In questa ultima parte spero di gettare un po’ di luce sul cammino che ci ha persone reali), fondata nel tempo storico, in uno spazio-tempo materiale, portato ad esiti di scrittura come quelli di Marguerite Duras o di Clarice contingente, come testimoniato dai capitoletti di questi testi. “Scrittura Lispector. Desidero cioè rendere conto e rendere grazie a chi ha tracciato la fluttuante”, incatalogabile, ché non rispecchia “nessuna formula libresca strada. prevista o in corso”, addirittura trattiene per un po’ l’autrice dal pensiero di Charlotte Perkins Gilman e Jean Rhys hanno dato risonanza ad alcune pubblicarla poiché scrittura eretica ‒ scrittura che tenendo presente “parole” (da intendersi come un “sotto-dire”) di Jane Eyre che allora, l’argomento del nostro incontro potremmo chiamare produttrice di un testo nell’Ottocento, non furono ascoltate; hanno ripreso figure che sembravano che al massimo grado porta inscritto in sé operazioni di letteratura comparata fantasmi condannati alla mutezza: la sostanza della parola del delirio, la al femminile, dove per comparativismo s’intende sia quello strettamente parola che non si arresta pur perdendosi nella notte della follia. letterario fra generi, lingue, testi, che quello più squisitamente femminista di È a questo atto d’ascolto di Perkins Gilman che si ricollega la trama di comparazione e interpretazione di discorsi, culture, che non dimenticano i riferimenti evidenziata in questo volume da Carla Locatelli, presente nei testi segni dell’appartenenza sessuale, la provenienza da un corpo di donna ‒ delle donne moderniste a cominciare da Virginia Woolf che scrive infiniti scritture che non rinnegano il legame del vivere femminile con la vita saggi sulle donne scrittrici, sulle donne-personaggio, sulle donne e la materiale, appunto. Testi aperti, stanza in cui non solo la narratrice dialoga letteratura fino a condensare il suo pensiero in A Room of One ’s Own, testo con se stessa, col personaggio e con i lettori, ma lascia lo spazio per la risposta. che oggi chiameremmo critical narrative (Meese) o, come suggerisce in Nella stanza della scrittura femminile, con Marguerite Duras c’è finalmente questo stesso volume Edda Melon, riferendosi a Cixous che legge Lispector, posto per un altro/un’altra dal testo: non a caso lei “racconta” spesso i libri ad “fiction della teoria”. La differenza fra il saggio e la narrativa critica risiede un ascoltatore, prima di scriverli; non a caso dice di scrivere lettere ogni volta nell’elisione della sbarra fra soggetto (che legge/scrive) e oggetto (della che non ha la presenza di un vivente; non a caso noi ci sentiamo ospitati e lettura/scrittura). Chi fa “narrativa critica” instaura una modalità critica che interrogati: in ogni suo testo c’è una poltrona che ci attende nella sua stanza. non prende il testo come oggetto neutro, altro da sé: l’interpretante è mossa Siamo di fronte al secondo movimento della messa in scena blixeniana: Duras, dal desiderio di ascoltare la voce dell’altro testo, di interagire. E per far questo, nostra contemporanea, ha risolto l’enigma oralità/scrittura, stanza/pagina nel predisporsi ad ascoltare la parola dell’altro/a, l’autrice di critica narrativa aprendo le pagine della scrittura all’altro/a, prevedendone la presenza, compie un atto di messa in discussione del sé, si libera dei lacci di una identità

70 forte, precostituita, e si dichiara disponibile all’ascolto, all’interrogazione, nasce all’interno della stanza che in altri racconti del periodo resta ancora all’interazione. La lettura diviene incontro intersoggettivo, fra un io che legge- stanza dell’orrore. traduce e un tu che è letto/ascoltato/tradotto. Le narrative critiche sono Il racconto dall’interno della stanza, scritto nel caso di The Yellow scritture praticate essenzialmente dalle donne, scritture che derivano dalla Wallpaper in prima persona, è indirizzato a un “tu”, ipotetico interlocutore- pratica della relazione, o, se si vuole, dal progetto di incontro fra le differenze lettore ammesso nella stanza-testo per condividere il segreto della ‒ scritture che inscenano un atto comparatistico per eccellenza: fra soggetti straordinaria tappezzeria. È proprio questa messa in scena del processo di (lettrice-autrice), fra testi soggettificati (quello in atto di critica e quello lettura-scrittura come operazione interattiva fra due soggetti testuali in cui il criticato), fra generi (quello critico e quello (s)oggetto a critica), sovente fra soggetto scrivente si configura come soggetto che legge un altro testo e scrive culture (quella di chi legge e quella del/la produttore/trice del testo). Fra la facendo germogliare l’innesto praticato nel punto d’intersezione fra il proprio tradizione critica dominante che vuole porsi come oggettiva, pretendendo di sé ‒ e dunque il proprio corpo, la propria mente, la propria coscienza, i propri cancellare la soggettività dell’interpretante e trattando il testo come oggetto sogni ‒ e quel che della soggettività dell’altra/o passa nel testo-luogo di estetico e quelle che io, riprendendo una terminologia di un certo filone critico relazione, che mi ha affascinata nel testo di Perkins Gilman. Una stanza tutta femminista, chiamo “narrative critiche”, è avvenuta la rivoluzione degli studi per sé non è un diritto in The Yellow Wallpaper, né una scelta. Non è stanza- culturali e femministi, come dimostra in questo stesso volume Vita Fortunati. rifugio, né stanza come luogo prescelto per l’interpellazione. È piuttosto cella Ma per la nascita di queste letture è stato necessario fare ancora un imposta, soggetta al controllo(re). Stanza dell’infanzia oltraggiata dove movimento oltre la teoria-pratica del “posizionamento” che tiene conto di chi degrado e giallore indicano l’anacronismo cui si vuole ridurre la donna scrive, da dove scrive: è occorsa la messa in gioco di chi legge, che ha dovuto confinata, ridotta a bambina in punizione. perdere i privilegi dell’oggettività, della spersonalizzazione e dichiarare da L’anima attraversa così vari stadi di reazione alla carta in un percorso dove ascolta, come suggerito da Gayatri Spivak. conoscitivo che anziché procurare la progressiva liberazione della soggettività costretta all’inattività, la intrappola in un processo ermeneutico (nei confronti È a partire da queste considerazioni che voglio rendere omaggio a una delle della carta) che sfocerà non già nella decifrazione del testo ‒ il disegno nella prime donne che in ambito anglo-americano hanno compiuto questa carta ‒ come altro da sé con cui confrontarsi per pervenire ad una identità operazione di ascolto non solo di un altro testo (Jane Eyre), ma delle donne differenziata e singolare, ma porterà alla messa in connessione testo-lettrice presenti nel testo ingiallito della carta letteraria. Charlotte Perkins Gilman, (che qui combacia con l’io narrante), donna nella carta-donna in lettura. La pur nella condizione di massima irrelazione (la carcerazione della stanza), ha conseguenza ultima sarà l’affossamento definitivo del processo di conoscenza avuto la forza, mossa dalla sete di lettura-scrittura, di interrogare un fantasma e della libertà del soggetto in lettura: si vivrà come una delle infinite donne di testo, una carta sbiadita, instaurando un dialogo, partorendo un testo che (nella carta) che lei ha aiutato a liberarsi, e come loro striscerà (nella carta/ in per quanto segnato dalla follia, dice della volontà di confrontarsi. Il tutto

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Jane Eyre/ nella stanza, e infine anche il mondo fuori sarà invaso da donne un’interpretazione attenta alla catalogazione dei testi per generi codificati che strisciano), fino a pervenire alla dissoluzione dei contorni autrice- proprio attraverso uno spostamento del focus dalla superficie al fondale: personaggio-lettrice in un gaudium dello strisciare che messo apertamente in grazie alla luce indirizzata dalla narratrice-regista questa figura viene ripresa scena sotto gli occhi del controllore della stanza-testo, ha il potere di mandare da una certa prospettiva ottica per cui passa dall’informe alla forma, letteralmente fuori di sé (sviene) questo gestore di spazi (abitativi e letterari). dall’illeggibile al leggibile. Appare così nell’atto degradante di strisciare (30) e Questo testo storicizza quello stadio del processo di lettura- scrittura di un nell’atto disperato di forzare le sbarre per fuoriuscirne, fino al festino della soggetto femminile i cui spazi erano ancora prescritti dal volere dell’uomo che reiterazione ossessiva del movimento carponi dell’una e dell’altra, dell’una concedeva alla donna una stanza vergata da segni ingialliti, sbiaditi, stantii, insieme all’altra del finale. La postura carponi da un lato sollecita associazioni ricoperta da una carta maleodorante ‒ stanza che rassomiglia tanto alla con immagini primordiali dell’umano, quando la postura umana si nursery dell’infanzia, lì dove si è appreso a camminare strisciando a quattro confondeva con quella animale; dall’altra, in quanto figura ibrida, sollecita zampe. associazioni con l’abietto, sensazioni di attrazione repulsione molto ben Nella fase finale di distruzione della carta, distruzione del diaframma fra descritte da Perkins Gilman attraverso quello stravolgimento percettivo che la soggetto narrante in lettura e soggetto narrato, si attua (a) la messa in scena porta a condensare colore e odore in semi che rinviano alla figura abietta e dell’atto autobiografico; (b) la messa in scena dell’atto di interpretazione insinuante, pervasiva della donna che gira in tondo. Colori che provocano soggettivo come atto di aiuto reciproco fra soggetto in lettura e soggetto odori, odori che si animano come (s)oggetti che s’appostano, assalgono, testuale (“I pulled and she shook, I shook and she pulled, and before morning avviluppano in una sarabanda che conduce all’abolizione dei confini percettivi we had peeled off yards of that paper” [Io tiravo e lei scuoteva, io scuotevo e lei e linguistici ‒ di forma. tirava, e prima di giorno avevamo staccato metri e metri di carta], 32) dove la D’altro canto, questa postura richiama quella dei bambini nella fase pre- co-azione fra “io” e “lei” non indica identificazione, fusione, poiché i due deambulatoria e dunque pre-verbale (associazione sollecitata dalla locazione soggetti si sono mossi verso una modalità relazionale grosso modo “nursery room”) e dunque pre-simbolica e sottolinea lo stadio infantile del identificabile col concetto di co-identità (Fachinelli 158-59), anche se in realtà femminile in letteratura sia nel senso di letteratura scritta da donne che nel a fine testo risulta evidente che forse proprio perché allucinata e non reale, senso di persona(ggio) letterario, eroina (quante donne strangolate nella l’altra (la donna nella carta) non è riuscita a portare l’io narrante fuori dalla prigione dello sguardo-pattern-testo maschile!). condizione di prigioniera folle. Affresco di epoca pre-storica, figura a-storica in quanto fuori dalla Storia A sua volta, l’io in processo di lettura di The Yellow Wallpaper permette alla sociale e letteraria vergata dall’uomo, questa immagine di donna viene donna del testo in processo di lettura della carta di fuoriuscire decifrata, si è detto, attraverso uno stravolgimento percettivo accompagnata dall’“inquadratura gotica” cui il discorso letterario al maschile l’aveva da una a-storicizzazione del tempo: una volta compiuta la fuga da una inchiodata per neutralizzarne la portata eversiva, di fuoriuscire cioè da situazione edipica a livello personale (rifiuto di accettare i diktat del marito-

72 medico) e a livello narratologico (rifiuto di leggere-scrivere papers in cui le ripescare il rimosso letterario, il rimosso linguistico. La ripetizione, che è una donne sono presentate dis-torte, imbrigliate in patterns strangolanti) si forma, è qui anche un gesto, un atto ricombinatorio volto a transcodificare un compie un processo di decifrazione della donna/delle donne in the paper che (geno) testo ‒ in questo caso quello della carta gialla che ha a che fare col per quanto stravolgente a causa dello stato allucinatorio del soggetto subpattern di Jane Eyre: nell’incontro tra i due testi, nel loro toccarsi, le deprivato, pone al centro del “quadro” la figura femminile. Lavorando quindi immagini del genotesto si intersecano con quelle del soggetto in lettura. su sensazioni provocate dall’introiezione del giudizio di abiezione (incarnato Dislocando i confini del testo/dei testi, The Yellow Wallpaper diviene punto nel giallore), su colori e odori suggestivi di decadenza ma anche di parti di confluenza di testi letterari che mettono in campo donne esiliate dal mondo, corporee rimosse ‒ la placenta, il pus, ecc. ‒ reiterando l’atto abietto dello confinate nell’attico. Con questa opera Gilman non vuole fare un discorso sulla strisciare, la decifrante sembra nonostante tutto voler rinunciare ad ogni tipo follia, e il diario serve a dimostrare, come tutti i manoscritti, che siamo di di strategia di assoggettamento all’ordine edipico. fronte ad una registrazione in vivo della lingua e della percezione folle. Il E come il primo atto simbolico dell’umanità sulla soglia fra oscurità muta e diario come ripresa in diretta spiazza la pretesa d’interpretare il testo con le aurora segnica fu l’inscrizione di sé nei graffiti delle caverne, così una delle leggi della linguistica. Il diario ci mette in difficoltà: se della follia non si può prime forme di scrittura sessualmente connotata al femminile in suolo dire con le parole della ragione, dobbiamo lasciare che le sicurezze della logica americano consiste nel riportare alla luce la figura femminile che ancora vacillino. nell’Ottocento non è pervenuta ad una fase di maturità, confinata ancora, Follia? Follia che, ascoltata, recita il processo di lettura-scrittura, come la donna pre-istorica, a nascondersi in altri disegni, ad avanzare trascrizione del farsi dell’Opera fra donne. Lingua che articola il strisciando. riconoscimento, da parte di un io narrante femminile, che l’opera nasce fra un Mi pare di poter a questo punto affermare che: io che desidera scrivere (nonostante i forti sentimenti di incapacità e i) questo testo si pone realmente come fondante di modernità per questo inadeguatezza che si esprimono attraverso la negazione) e un tu (soggetto lavorare sui frammenti sia in senso intertestuale (riferimento a frammenti di testuale) che desidera essere letta: l’opera è generata da atti di ascolto, un testo precedente, Jane Eyre) che in un senso che va in direzione di un transcodificazione, fantasticazione, ri-scrittura, contiguità di almeno due approfondimento verticale dell’opera in corso attraverso la volontà discorsi, due visioni che aprono lo spazio (della scrittura) ad una nuova ermeneutica di lavorare con gli scarti, i residui segnici minimali che l’ordine visione (re-visione), alla possibilità. (Godard; Zaccaria 1992) del discorso ha lasciato alla donna in lettura/scrittura ritenendoli La donna, suggerisce Gilman, è originariamente scritta come soggetto insignificanti. intrappolato in un disegno volto a nasconderla e a reprimerla, tanto che se ii) Questa operazione che ho definito indice di modernità (ma anche di post- tenta di forzare le (s)barre del discorso viene strangolata. Occorre un progetto modernità) avviene per il tramite di un processo che si situa all’interno della ‒ una donna che desidera leggere (un’altra donna) ‒ perché venga individuato figura della ripetizione. Lavoro fra (frammenti di) testi, lavoro volto a

73 sia il (s)oggetto intrappolato (nel libro/nella carta della rappresentazione) sia il soggetto liberante (la donna in lettura) così che insieme possano intraprendere un cammino a due, fuori dalla carta.

1 Questo saggio rielabora una parte dell’intervento per il Convegno AIA su “Le trasformazioni del narrare” (Bari-Ostuni, ottobre 1993), pubblicato in Spagna su Lectora, Revista de Dones y Textualitat (Barcelona I, 1995: 51-62), e riprende parte delle tesi sostenute in un saggio dal titolo “(Dis)velamento delle origini della tradizione letteraria femminile” (in corso di pubblicazione in America ieri e oggi. Saggi in onore di Piero Mirizzi, a cura di Erina Siciliani. Fasano: Schena, 1995).

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IL COMMIATO

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delimitazione tra il ‘femminile’ e il ‘donnesco’. Vanno qui di pari passo gli Barbara Marx scritti propagandistici di Galeazzo Flavio Capra, Della eccellenza e dignità delle donne (1525) di Agrippa da Nettesheim, De nobilitate et praecellentia Tra imitazione e parodia: appunti sulle foeminei sexus (1529), con traduzione italiana nel 1545 di Lodovico modalità della parola femminile nel Domenichi, La nobiltà delle donne (1549), il quale aveva anche dato dei campioni di quel che potevano essere ‘i ragionamenti’ poetici di questo gruppo Rinascimento privilegiato, con l’edizione delle Rime diverse d’alcune nobilissime e

virtuosissime donne nel 1559 (Marx 1985). In area francese vi corrispondono i cataloghi del Nef des Dames Vertueuses (1503) di Symphorien Champier, del Palais des nobles dames (1539) di Jean Dupré fin alle Vies des Dames

Illustres ad opera di Brantôme. 1. Nel Rinascimento si assiste ad una moltiplicazione dei discorsi sulla Sembrerebbe perciò che il diritto alla parola sia intrinseco ad un discorso donna, ed insieme ad una molteplicità dei discorsi al femminile. Accanto alla che concerne in primo luogo l’instaurazione di una nuova gerarchia sociale, la delimitazione discorsiva dell’essere donna “in genere”, tradizionalmente quale a sua volta ingloba la pratica culturale assegnata ai sessi, valutata molto rivolta ad indagare l’insieme dei connotati medico-fisiologici e psico-sessuali diversamente secondo l’ambiente in cui si svolge. La nuova distribuzione di della donna vista come oggetto somatico ‘aberrante’ (Maclean; Davies; valori di autoespressione e di autorappresentazione all’interno di un assetto di Ferguson et al.), si fanno strada determinate convinzioni che portano alla società in cambiamento presiede in modo obbligatorio al passaggio delle delimitazione del femminile in quanto soggetto/oggetto di una parola propria. donne alla scrittura. Rimane dunque, nel valutare “les marques du féminin” Sulla discussione intorno ai modi figurativi di rappresentare “la donna” e di (Mathieu-Castellani 1990a) nelle opere delle donne poetesse del Cinquecento, selezionare una tipologia femminile che permetta di valorizzarne la fruizione il problema se e come l’appropriazione della parola, poetica e no, così sociale e simbolica, s’innesta la convinzione che la donna stessa possa farsi saldamente radicata nel discorso altrui, possa tradursi nel gesto di scriver-si portavoce e garante di un discorso armonizzante e armonioso, a condizione di come donna, senza cadere con questo nella trappola di una falsificazione negare o di minimizzare, mediante la parola, la differenza sessuale che lei seducente. La presunta dimensione autobiografica della scrittura femminile, stessa impersonava. Emerge dunque la coscienza di un’apertura linguistica l’espressione autentica di sentimenti e sensazioni di cui il corpo della donna che facilita, in Italia, l’accesso delle donne alla scrittura (Dionisotti 1967) e che era custode e garante, è un malinteso scontato, a vedere tanta critica di fine permette di definire le prerogative di una nuova élite femminile non più in Ottocento e primo Novecento: il caso esemplare per verificare che ogni parola base a delle ‘eccezioni’ storiche, ma di spiegarla a partire dalla differenza di donna rischia di essere presa come naturale effusione, dunque conforme sociale. L’immaginario collettivo si arrichisce in questo modo di una nuova alla natura della donna, è ovviamente quello di Gaspara Stampa (Zancan

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1993). Stampa venne dato alla luce nel 1554, stesso anno della sua morte, ad opera La fondamentale ambiguità della parola femminile che si iscrive nel doppio della sorella Cassandra. Dietro questo pio gesto di commemorazione registro del discorso dislocatorio sulla differenza sessuale, e del discorso famigliare si cela l’istanza degli amici ‘accademici’, fra i quali il fratello omologante sul processo civilizzatorio (Elias), che la scrittura deve indurre e Baldassare poeta pure lui, se non addirittura il conte Collaltino di Collalto perfezionare, era già presente all’orizzonte della lettura rinascimentale, e desideroso di rendere finalmente pubblico il proprio patronato, forse più costituisce una delle più forti attrattive della poesia femminile per il pubblico materiale che sentimentale: Collalto vi veniva celebrato al modo di Ovidio dei lettori. Non è escluso che la possibilità di muoversi nello spazio di un dall’artista atteggiantesi a ‘altera Dido’ (Phillippy). overlapping fra campi semantici del tutto divergenti fosse sfruttata Porre l’impostazione dell’opera enigmatica di Gaspara Stampa in questi coscientemente dalle poetesse semiprofessionali come Gaspara Stampa in termini significa supporre che l’artificiosità della finzione poetica stia proprio area italiana, o Pernette du Guillet e Louise Labé in quella francese. Queste nel suggerimento di una confessione femminile più autentica e più intima del scrittrici puntano direttamente all’immaginario erotico del pubblico, ma va dramma passionale, significa anche constatare che tale finzione diventa fun- tenuto presente che in questi casi la scrittura è strettamente connessa zionale in quanto essa coincide perfettamente con l’immaginario dell’anonimo all’esibizione musicale e artistica davanti a una cerchia di ‘accademici’ e di lettore o della lettrice. La volontà di smussare o di rimuovere questa differenza intenditori capaci di apprezzare l’ambiguità del detto come forma raffinata di semiotica fra quel che viene percepito come ‘vissuto’ e quel che viene avvertito un gioco di società. Solo per il lettore solitario l’esibizione orale ridiventa come ‘finto’, stava già alla base dell’operazione poetica petrarchesca nei confessione scritta di un segreto ‘donnesco’, da cui muoveranno poi le Rerum vulgarium fragmenta, e sarà coerentemente ritualizzata a metà condanne morali rivolte a posteriori contro queste donne non ‘nobili’: ma né Cinquecento da chi, autore o editore, immetteva queste opere sul mercato Pernette du Guillet, né Gaspara Stampa avevano pensato di dare alla stampa i librario. Sia Cassandra Stampa, per conto della sorella defunta, sia Louise propri testi di lirica. Labé per conto proprio, essendo ancora in vita, sia ancora Tullia d’Aragona, le Le Rymes della prima furono infatti richieste da Antoine de Moulin, valet de cui Rime uscivano nel 1547, avevano avuto cura di accompagnare, nel volume chambre della regina di Navarra Marguerite d’Angouleme, per venir a stampa, le proprie poesie ad una corona di altrettante risposte ed omaggi pubblicate postume nel 1545 e nel 1552 a Lione da Jean de Tournes, futuro poetici scritti da amici letterati, in modo quasi da ricostituire in effìgie editore nel 1547 delle Marguerites de la Marguerite des Princesses, e delle scritturale la cerchia protettiva entro cui la parola poetica era stata accolta, Euvres di Louise Labé nel 1555. Se da queste date si può ipotizzare una forse come testimonianza di una intrinseca qualità ‘donnesca’ propensa al domanda crescente per la poesia scritta da donne, domanda inaugurata dalla sentimento, ma certamente anche come segno del nuovo virtuosismo al stessa regina di Navarra quando nel 1540 aveva fatto richiesta delle rime di femminile: il “signe d’amante” ideato dalla mente, non dal corpo, come Vittoria Colonna, non per questo cadevano le cautele nel rendere pubblica (e spiegerà Louise Labé (Labé 129, no. XIV). nel rendersi pubblica mediante) la propria parola. Il canzoniere di Gaspara Solo una generazione posteriore poteva permettersi di insistere apertamente

77 sull’operazione intellettuale che sottostava alla finzione amorosa. Nella lettera e mettere in atto. In questo modo il desiderio erotico veicolato dalla poesia introduttiva alle sue opere liriche pubblicate nel 1578, Cathérine des Roches, d’amore si deve palesare per poi venire ‘nobilitato’ mediante la scrittura, per per prevenire il rimprovero di comportarsi, da scrittrice, “sans advis et venir cioè disciplinato ed integrato in una pratica di comunicazione normativa discretion”, si difendeva svelando il congegno che stava alla base delle poesie atta a regolare lo scambio fra i sessi ai livelli alti della società. La scrittura d’amore più ‘sincere’ indirizzate sotto il nome di Charite a un personaggio praticata da una donna ‘nobile’ dilettante presuppone sempre un’asimmetria chiamato Sincero, come se l’ambientazione pastorale non fosse sufficiente a che le impone il transfert del potere simbolico maschile in circostanze indicarne la “finzionalità”: eccezionali. Il primo libro di poesia in cui figura il nome di una donna in qualità [Les lecteurs] diront peut-estre que je ne devois pas escrire d’amour, que si je d’autore, libro stampato non a caso abusivamente, fu un volume di liriche suis amoureuse il ne faut pas le dire, que si je ne suis telle il ne faut pas le feindre; je leur respondray à cela, que je ne le suis, ni ne feins de l’estre; car amorose, le Rime di Vittoria Colonna uscite nel 1538. In questo caso, la dama j’escry ce que j’ay pensé, et non pas ce jay vu en Syncero, lequel je ne connay aristocratica uscita da una delle più potenti casate romane e sposata ad un alto que par imagination. feudatario di Carlo V, si sentì autorizzata, e forse anche moralmente spinta, ad [(I lettori) forse diranno che non dovrei scrivere d’amore, che se sono innamorata non dovrei dirlo e che se non lo sono non dovrei fingere di esserlo. invertire la posizione petrarchista del colloquio poetico. È la donna diventata Risponderò loro che non sono innamorata né fingo di esserlo, perché scrivo vedova prematuramente ad intonare la nenia obbligata in una forma ciò che ho pensato, e non ciò che ho visto in Sincero, conosciuto da me solo nell’immaginazione.] (Des Roches 182; corsivo mio) culturalmente accettata e ad indirizzare, al di là della morte, il proprio appello al defunto Ferrante d’Avalos (m. 1525), non tanto per costituirsi finalmente 2. Gli stratagemmi difensivi sono di rigore perché la donna nobile ed persona libera d’esprimere sentimenti o sensazioni proprie, quanto per eccellente, al pari dell’uomo nobile, non scrive né parla di sé, ma è per raccogliere, nella scrittura poetica, i riflessi postumi di un omaggio dovuto al definizione quella che aliena la propria parola non dicibile, in una scelta rango e alla statura mondana del marito vivente. Le Rime amorose di Vittoria coatta, delegandola ad altri, da altri si fa perciò de-scrivere, come testimonia Colonna hanno per fondamento la categoria del dovere morale e sociale, esse tutta la trattatistica cinquecentesca dal Cortegiano di Baldassar Castiglione, costituiscono pertanto un imponente monumento funebre in cui s’iscrivono, del 1528, fino a La civil conversazione di Stefano Guazzo, del 1571 (Guidi; mediante la parola autocelebrativa dell’unione dinastica, le virtù esemplari Zancan 1983). Del resto, sul piano poetico, e più specificamente all’interno del dell’amato e insieme dell’amante-autrice. Il monumento si regge alla maniera colloquio ideale fra Petrarca e Laura che serviva da modello supremo per lo del ‘tempio poetico’ sugli emblemata esclusivi del maschile “vittore” scambio della parola amorosa, la donna non risponde mai all’appello se non al (“l’inVITTo tuo valOR vIA più ch’umano”, Colonna, 5 no. 5) e della vittima di là della morte. Di conseguenza, la donna colta del Rinascimento detiene il femminile (VITTImA è ’l propriIo cOR”, Colonna, 30 no. 55) tesi alla suprema potere della parola soprattutto per controllarne la portata sociale, per farsi Vittoria (“il suo ValOR qui col mio nome unITo/... la quale VIve ImmORTAl”, schermo di proiezioni nobilitanti ed edificanti che lei stessa dovrà legittimare “Vera glORI sarà vedermi unITa/... Poi sOl nel VIveR suo conobbi vITA ”,

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“omai VIncendo il Ciel IRATO” Colonna, 18 no. 30; 17 no. 29, 36 no. 66). Se Ma la censura imposta alle donne di esibirsi come esseri sessuati significa Vittoria Colonna lamenta la debolezza del proprio testo, con un gesto di pure poter trasformare quella minaccia di una diversità indicibile in uno presunta umiltà davanti al lettore che sarà seguito da altre donne scrittrici, è schermo letterario, e prendersi gioco di quegli elementi che informavano le solo perché non c’è scrittura che possa corrispondere all’altezza dell’oggetto nozioni insieme popolari e scientifiche sulla natura irragionevole della donna, designato. per rendere coscientemente più ambigua la propria autofinzione. Questo Il passaggio dall’onestà femminile in cui il sapere si esprime con il silenzio stratagemma viene usato molto abilmente da Louise Labé che ai testi poetici sapiente, all’onore maschile che impone il diritto all’affermazione simbolica di dati alle stampe nel 1555 premetteva un prologo scenico intitolato “Débat de sé, appare in questo caso significativo. Si tratta evidentemente di un transfert Folie et d’Amour” e che permetteva di leggere i seguenti “ragionamenti che conferisce alla donna un potere sostitutivo che, come eco e memoria della d’amore” alternativamente all’insegna convenzionale dell’Amore platonico parola altrui, funge da costante appello all’autodisciplina: “Rispondo: L’alte portatore di civiltà, oppure all’insegna rovesciata di un erasmiano ‘éloge de la tue parole intese / E serbate da me son fide scorte / per vincer qui nel mondo folie’ (già preconizzato nel Cortegiano del Castiglione) e che qui esalta quella empie contese” (Colonna, 10 no. 14). oscura forza femminile la quale sanamente da sempre governa il mondo La scrittura petrarchista che parla d’amore, impone un freno voluto e quindi (Cottrell; Wright Jones e Rigolot). una trasformazione simbolica a quel che poteva essere l’espressione corporea Anche l’eroica Vittoria Colonna accenna al pericolo del disorientamento della sentimentalità femminile, estendendo con questo le sue sanzioni sentimentale, del disordine creato dalla propria disposizione di cedere civilizzatrici, preconizzate già dal Bembo degli Asolani nel 1505, ad un campo all’immaginario e all’impressione lasciata dai sensi nella mente (Colonna 15 sociale fin qui escluso. Il risultato, in questa prima fase della poesia femminile, no. 25; 19 no. 32); evidentemente la memoria del defunto marito, fissata non può tradursi, soprattutto in Italia, che in una stretta aderenza ai canoni com’era nella lingua della poesia petrarchista, che non era solo un linguaggio moralizzanti del Canzoniere di Petrarca (Höfner). Ma il prendere la parola in altrui, ma una lingua addirittura straniera per chi era cresciuta nell’ambiente un gesto fondamentalmente autodisciplinante rimane argomento ripetuto da napoletano-spagnolo dei D’Avalos ad Ischia, significava davvero una parte delle stesse donne fino al Settecento inoltrato (Marx 1985; metaforica cintura di castità. A questa strategia di raffinato autocastigo si può Zimmermann; Guthmüller). Scrivere la propria sentimentalità significa de- accostare l’esempio di un’altra donna vedova, e nobile, quello di Elisabetta scrivere e rimuoverne quel che poteva esservi nascosto, quell’appannaggio Gonzaga, Duchessa d’Urbino, nota protagonista del Cortegiano e dedicataria proprio del sesso femminile che era visto come l’oscura minaccia del caos dei di numerosi omaggi poetici che ne celebravano la funzione moderatrice alla sensi e della follia. Il linguaggio autentico del corpo è per definizione quello corte dei Montefeltro. Apparteneva ad una generazione anteriore ed era tanto più cifrato e ‘segreto’, traducibile solo in limine in una parola in cui estasi più inibita ad esprimersi per iscritto, quanto più veniva esaltata quale modello mistica e seduzione diabolica convergono pericolosamente (Firpo, e più di donna eccellente negli scritti altrui; perfino la corrispondenza più generalmente Lacroix). famigliare veniva tenuta in terza persona, per intermediazione spesso di

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Emilia Pia. Quale non fu lo stupore, anzi l’orrore degli astanti quando questa parlano pure i testi ideati da tante presunte amantes délaissées. La pretesa donna così ben educata al silenzio, alla morte del marito Guidobaldo da dell’accesso alla scrittura è giustificata perché dimostra di essere finalizzata a Montefeltro avvenuta nel 1508, perse ogni contegno: colmare quell’intollerabile vuoto visibile agli occhi di tutti, e che non è tanto emotivo quanto simbolico. In compenso, la parola si deve far carico di tutte le caldissime lagrime mandate fuora, e indi più e più, secondo che il perduto istanze maschili che alimentano i discorsi sulla donna e che servono a vigore le ritornava, i pianti e le strida rinforzando, altro che già dolersi e lamentarsi e bagnar di lagrime ciò che v’era, quasi come se un fiume di loro rammentare e a riprodurre mimeticamente, all’interno del testo, le cautele nel capo avuto avesse... non fece, verso l’appello inarticolato e destabilizzante del corpo femminile (Niccoli).

riferisce Pietro Bembo. Per quanto egli fosse sinceramente affezionato alla Si assiste perciò allo strano fenomeno di un crescente richiamo, da parte Duchessa, non potè però esimersi dall’indicare pudicamente la dimensione delle donne, soprattutto di quelle borghesi non ‘nobili’, alla “virilità” del inaudita di un atteggiamento sentimentale che implicava il drastico ripudio proprio testo, e va notato, a questo proposito, che la tipologia delle femmes della parola socializzante, chiudendo il suo resoconto con queste parole: fortes del Seicento trova le sue ascendenze proprio nell’autoritratto delle “quanto ella molti dì e come amaramente si sia doluta, né io potrei dire, né voi poetesse del secolo precedente le quali aspirano non solo all’onestà muliebre, per aventura il mi credereste” (Bembo II, 21). Il brivido dello scandalo che ma all’onore virile acquisito mediante la conquista della parola. “L’honneste pervade questo testo epistolare proviene dall’inaspettato confronto con passetemps” di esercitarsi nella scrittura si dichiara analogo all’esercizio dei l’originaria violenza che la natura interdetta della donna racchiude in sé. La lavori domestici solo per finzione, mentre si tratta in verità di manovrare la donna abbandonata, dunque abbandonata a se stessa e alle pulsioni del suo parola come un’arma, praticando “la fureur de ma piume”, come dichiara corpo, è sempre sull’orlo di mutarsi suo malgrado nella figura del disordine Hélisenne de Crenne nelle sue polemiche Epistres del 1539, e “exerçant sociale e della follia. Per questa ragione, la vedova poetessa che è emblema oeuvres viriles” (Nash). Louise Labé (1520c.-1566) invocherà gli esempi di sociale della femmina liberata dalla patria potestas, e perciò libera di parlare Bradamante e Marfisa dall’Orlando Furioso (Labé 116): “Louise ainsi un proprio linguaggio mescolando alla parola autodisciplinante le effusioni furieuse” veniva a sua volta scherzosamente lodata e paragonata, in appendice sentimentali della propria corporeità, diventa, per il pubblico del alle proprie poesie, all’amazzone Pentesilea (Labé 182-83). Cathérine des Rinascimento, un soggetto/oggetto affascinante. Roches farà dei versi in ottava rima “Pour une mascarade d’amazones” avvenuta nel 1577 come spettacolo di corte, e una “Chanson des amazones” per

3. Alla luce di queste considerazioni si percepisce più nettamente perché la stessa occasione (Des Roches 289-92). Chiara Matraini, “posposta ogni altra l’avvento delle donne alla poesia d’amore si articoli, in un primo momento, scusa quantunque lecita, per esser donna, e accettabil fosse, non ho voluto, sotto l’insegna della vedovanza, dunque della (autentica o finta) perdita del quasi da vilissima pigrizia oppressa, biasmevolmente star pertinace”, scriverà portaparola maschile e della conseguente perdita dell’istanza sociale, di cui una Orazione in lode dell’arte della guerra uscita nel 1595 (Matraini 99 segg.).

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A dispetto del dettame amoroso di cui le donne poetesse si dichiarano Amoris” nella congiunzione Amore-Apollo ideato da Louise Labé, in cui portatrici, vengono per antonomasia invocati a proprio nome miti ed emblemi l’accesso all’amore viene esplicitato mediante raccesso alla scrittura d’amore e che disegnano un’area di rifiuto e di rigetto d’amore. Anche in questo campo l’acquisto ironico di una autonoma statura virile di poeta: “meintenant que sa semantico la libertà di manovra sta nell’immedesimarsi nelle configurazioni fureur divine / Remplit d’ardeur ma hardie poitrine / Chanter me fait...” [Ora simboliche destinate a rappresentare il freno sociale imposto alle pulsioni che il suo furore divino / riempie d’ardore il mio petto ardito / mi fa cantare] erotiche dell’individuo, o a prenderne ironicamente le distanze in un gioco di (Labé 107). L’apparente affermazione di umile sottomissione all’amante sottile rovesciamento. Al lauro dafneo autogeneratore della fama del proprio proferita da Louise Labé “Je suis le corps, toy la meilleure part” [Io sono il nome si richiama molto seriamente la petrarchista Chiara Matraini (Matraini corpo, tu sei la parte migliore] (Labé 124 no. VII) potrebbe invece leggersi 41 no. XLIV; 69 no. LXXVI). Molto meno serio è invece il gioco accademico in come un emblema programmatico, fatto di corpo-immagine e di anima-testo, cui Pernette du Guillet si confronta con la mitologia petrarchista dell’amico e in cui l’autoconfigurazione femminile viene sorretta dall’appropriazione cugino Maurice Scève e della sua raccolta Délie, riassumendo in proprio il orgogliosa del discorso altrui. Sia Pernette du Guillet che Louise Labé discorso della Dea Artemide nata a Delo, colei appunto che “délie” (“scioglie”) rivendicano perentoriamente la funzione della parola per le donne, incluse nel rifiutando ogni legame sentimentale. processo di civilizzazione solo a titolo negativo, per designare l’interdetto del Il gioco speculare degli acrostici “il t’a pleu de me faire congnoistre / Et par corpo. ta main, le VICE A SE MUER” [Ti è piaciuto di farmi conoscere, per mano tua, Un rovesciamento spiritoso della storia di Diana e Atteone, mito per il vizio di trasformarsi] (Guillet 12 Epigr. V) e della metamorfosi testuale nel eccellenza del desiderio frustrato, viene operato nell’Elegia II di Pernette du processo del “se transmuer en toy” [trasmutarsi in te] (Maurice Sceve = Guillet (Guillet 58-60) che è stata oggetto di una attenta analisi da parte di fratello di Artemide, Apollo Sole = “le Jour”/ Pernette du Guillet = la sorella Mathieu-Castellani (1990a). In questa poesia, Maurice Scève-Atteone è poetica = “la Journée ”, Guillet 82, chanson IX) fonda l’assetto poetologico di travestito da cacciatore in caccia di parole profonde e di discorsi ermetici, è una scrittura intesa come maliziosa riscrittura di modelli canonizzati (Miller, dunque un poeta assorto “en sa philosophie ”, che Pernette-Diana nuda per una lettura opposta invece Mathieu-Castellani 1989 e 1990a). Il disegno vorrebbe convertire a sé e fare suo, a dispetto di Apollo e delle Muse apertamente parodico di una finta “parole chétive” (“parola gracile”) magniloquenti, mediante la seduzione di una semplice e nuda canzone. La femminile investe soprattutto le figurazioni mitologiche e allegoriche. Basta canzone immaginaria, chiara e trasparente come la “clere fontaine” in cui si rileggere la pacifica ripresa del petrarchesco “Triumphus Amoris’’ nel bagna la donna, si riversa evidentemente nel testo scritto che finge la propria “Chanson” VI (Guillet 53-54) nel quale Amour e Vertu si congiungono mise en abîme, mentre continua a sostenere, a livello poetico, la situazione felicemente nella parola femminile capace, con questo, di emulare finalmente competitiva con il poeta maschile che ne aveva determinato la genesi. In tutti “l’heureux scavoir” [il felice sapere] riservato all’uomo. Altrettanto questi esempi la parola femminile si realizza attraverso l’autoreferenzialità del affermativo, sempre a dispetto del modello italiano, è il singolare “Triumphus discorso poetico in cui avviene una selezione caratteristica del materiale

81 simbolico a disposizione piegandolo al proprio uso deformante. a sé come veniva evocato anche nei “Blasons anatomiques du corps féminin”, L’atteggiamento di irreverenza delle scrittrici verso i canoni poetici mentre la pucelle reinventa la mitologia della verginità che è l’utopia di un denominatori della femminilità appare vistoso in Francia, nei centri di Lione e corpo non violato e dunque capace di parlare di sé. La trovata di Cathérine des Poitiers dove le donne tenevano ‘accademia’ e salotto, mentre in Italia il codice Roches acquista la sua originalità proprio in confronto alla ridondanza dei spagnolo di comportamento insieme con le direttive controriformistiche testi circostanti. L’autrice infatti ironizza il mito ovidiano di Apollo e Dafne impongono uno stretto autocontrollo e una rigida stilizzazione alle donne nell’immaginare la pulzella perseguitata dal dio Pan che, con “vierge courage”, nobilitate dalla scrittura. Questa differenza nel percepire la normativa sociale preferisce piuttosto cangiarsi in pulce che cedere al desiderio del pretendente. emerge anche, per contro, dalle corrispondenze diplomatiche, dove si palesano lo stupore e l’indignazione dei funzionari italiani in missione presso la corte dei Valois davanti alla disinvoltura dei costumi ivi praticati e allo spirito canzonatorio che pervadeva i colloqui più formalizzati (Smith).

Si deve dunque concludere che ci fosse uno ‘stile alla francese’ anche nella poesia femminile? Sembra difficile immaginare in Italia, a secolo avanzato, un gioco accademico e goliardico come quello svoltosi nel 1579 nel circolo delle

Dames Des Roches e che poi fu oggetto di una apposita pubblicazione nel 1582 col titolo La puce de Madame Des Roches (Yandell). In una gara poetica, gli habitués del salotto delle Signore Des Roches à Poitiers esibirono per iscritto le sensazioni di una pulce che percorre ed esperimenta le parti più nascoste del corpo della pudicissima Signorina Cathérine des Roches. Il gioco di un libertinaggio testuale per divertimento trova però una spiritosa controparte nella risposta di Cathérine des Roches. Da un semplice gioco di parole scaturisce il rovesciamento della posizione dell’agente scritturale: la pulce, l’animale che a guisa del desiderio maschile prende possesso nei meandri del testo del corpo passivo della donna, viene trasformata in pulcella , in un soggetto femminile che risponde in persona del significato della propria corporeità. La ‘puce’ testimonia del fatto che tante voci maschili diverse non sanno che congiurare e ridire un simulacro di corpo interdetto sempre uguale

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la critica più recente che si è occupata di questo argomento, ma anche nella storia della scrittura delle donne, come aveva intuito già qualche anno fa una Ornella De Zordo studiosa come Ellen Moers nel suo ormai storico Literary Women: The Great Writers. Profezia di un commiato: L’originalità del testo non sta certo nell’antichissimo spunto tematico della distruzione dell’umanità, qui presentata come la conseguenza di un l’ultimo uomo di Mary Shelley inarrestabile contagio di peste. Né sono estranee alla creazione dell’opera

shelleyana suggestioni più recenti derivate da un testo distopico come Journey to the World Underground (1742) del Barone Holberg, da trattati come Essay on the Principle of Population (1798) di Malthus e Ruins of

Empire di Volney (1791), per non parlare di altri romanzi di fine Settecento Se Frankenstein, come sostiene Brian Aldiss in Billion Year Spree: The come Vathek (1786) di William Beckford, The Mysteries of Udolpho (1794) di History of Science Fiction, può essere considerato un’anticipazione del Ann Radcliffe e The Monk (1798) di M. G. Lewis. Si può dire, anzi, che la moderno romanzo fantascientifico, The Last Man, oltre ad essere uno dei caratteristica di questo romanzo profetico sta nell’avere una sua specificità pur primi esempi di letteratura apocalittica a non richiamarsi esplicitamente alla nascendo in anni, quali sono quelli del secondo decennio del XIX secolo, in cui tradizione escatologica cristiana, è un’opera che si colloca alle origini di un si assiste in Inghilterra a una ripresa dell’antico mito della profezia filone di scrittura fantastica al femminile che rappresenta metaforicamente apocalittica, una ripresa alla quale non doveva essere estraneo il senso di sulla pagina la visione profetica della fine della civiltà patriarcale. Lo alienazione emblematicamente rappresentato dalla tragica figura del vecchio potremmo definire un filone di narrativa gotica più avanzata rispetto a quella marinaio dell’omonima ballata di S. T. Coleridge e più pacatamente espresso delle scrittrici di romanzi neri di fine Settecento, perché non si limita a in un’opera come The Spirt of the Age (1825) di William Hazlitt. esprimere i fantasmi del rimosso e la paura che li accompagna, ma dà corpo a Era l’espressione di un dramma esistenziale condiviso da una intera questi fantasmi e li trasforma in figure metaforiche che agiscono sul reale; così generazione di artisti che vedeva tramontata la fase dell’idealismo romantico decostruisce e dissolve i modelli culturali codificati e mostra il passaggio dominante negli anni novanta con le grandi personalità di William Godwin, S. dall’ordine al caos, fondando una genealogia di scrittura fantastica che arriva T. Coleridge, Robert Southey, e assisteva al progressivo affermarsi di una fino ai nostri giorni e agli esiti di Angela Carter e di Ursula LeGuin, come ha ideologia basata sull’utile e sul pratico, ultima e inevitabile conseguenza del evidenziato Mirella Billi in un saggio recente intitolato appunto L’avventura processo avviato con la Rivoluzione industriale. Ha ragione Fiona Stafford proibita: percorsi del fantastico femminile. The Last Man è dunque un testo quando afferma in un recente saggio intitolato The Last of the Race; The significativo non solo nell’ambito della letteratura apocalittica, e lo ha rilevato Growth of a Myth from Milton to Darwin, che il mito dell’ultimo uomo in

83 questi testi degli anni venti sta a indicare la coscienza diffusa da parte degli perché ogni nuova generazione della razza umana non potrà che essere artisti di essere loro stessi dei sopravvissuti rispetto ad una cultura malvagia. La scelta che si pone all’ultimo uomo è dunque ancora quella eroicamente idealista che in Inghilterra stava rapidamente tramontando, e iniziale tra l’obbedienza a Dio e l’amore per la sua donna; e a differenza del tuttavia andrebbe precisato che il romanzo di Mary Shelley si sottrae ai suo lontano progenitore, la creatura di Cousin de Granville non senza presupposti culturali del suo tempo, rifugge dal rimpianto e dal pessimismo sofferenze e lacerazioni finisce per obbedire a Dio, favorendo così l’auspicata espressi da opere coeve che portano alla lettera lo stesso titolo, e si propone fine del mondo e dell’umanità. Il testo mostra dunque la redenzione come romanzo apocalittico assolutamente sui generis. È appunto su questo dell’ultimo uomo che finalmente riscatta la caduta di Adamo ed Eva e, se pure aspetto, sullo scarto tra il paradigma e la lettura del mondo fatta da Mary solcato dai dubbi e dalle lacerazioni dell’autore, rientra nella trattazione del Shelley, che verte il presente intervento, su come un mito legato all’identità tema fatta dal canone apocalittico cristiano1. dell’artista diventa, nel testo di una scrittrice che come sappiamo è stata Un elemento comune che contraddistingue la serie di testi escatologici che considerata fin troppo rispettosa dei ruoli e degli stereotipi di genere, una fioriscono nell’Inghilterra degli anni venti e che appare estraneo al testo delle critiche più radicali alla cultura del suo tempo. francese è un pessimismo globale che non a caso priva le opere di cui Il progenitore del racconto romantico della storia dell’ultimo uomo è un parleremo della fase, essenziale per il discorso apocalittico cristiano, della romanzo pubblicato in Francia e subito tradotto in inglese; si tratta di Le resurrezione. Anche sull’onda di immagini derivate dalle nuove teorie dernier homme del prete cattolico Jean Baptiste Cousin de Granville (1746- scientifiche tendenti a provare la reale esistenza del diluvio universale, come 1805), edito a Parigi nel 1805 e in Inghilterra l’anno seguente con il titolo quelle contenute nel Reliquiae Diluvianae (1823) del paleontologo William Omegarus and Syderia, or The Last Man: a Romance in Futurity che ha Buckland, l’apocalisse diviene nell’immaginario del tempo non la premessa varie somiglianze superficiali con il romanzo di Mary Shelley: il narratore per una rinascita ma piuttosto una catastrofe naturale che mette fine alla racconta in prima persona di una misteriosa “Grotta della Morte ”, situata realtà presente. Testo emblematico di questo atteggiamento è la celebre poesia vicino alla città di Palmira e dell’incontro con il suo spirito tutelare, nei cui di Byron intitolata “Darkness” e composta nel 1816, proprio mentre Mary specchi magici gli è possibile vedere il futuro. Riflessi in questi specchi, al Shelley stava lavorando a Frankenstein: in seguito al progressivo spegnersi del lettore appaiono i due ultimi esseri umani sopravvissuti, i giovani Omegarus e sole, l’umanità viene spazzata via e sulla terra sterile e desolata rimangono Syderia, e contemporaneamente è visibile anche Adamo, raffigurato come un solo le tenebre, che si dilatano fino a avvolgere l’intero universo. Nessuna vecchio condannato ad assistere alle pene di ciascun dannato che entra possibilità di salvezza è offerta all’uomo, né si possono intuire le cause di una all’Inferno. Omegarus vuole salvare il mondo, che dallo stato di perfezione distruzione che appare un fenomeno immotivato quanto definitivo. iniziale è divenuto ormai sterile e spopolato a causa dell’insensato Questa stessa atmosfera di vuoto e desolazione viene visivamente sfruttamento delle risorse naturali da parte dell’uomo, ma quando dopo molte rappresentata in vari quadri dell’epoca raffiguranti catastrofi naturali: ricerche incontra l’ultima donna, Syderia, il matrimonio gli è proibito da Dio

84 temporali, eruzioni vulcaniche e terremoti abbondano nei dipinti del tempo, Ancora The Last Man viene intitolato un testo teatrale incompiuto scritto da tra le quali in particolare un quadro di John Martin acquista valore ai fini del Thomas Lovell Beddoes tra il 1823 e il 1825, dove prevale un senso più nostro discorso. Intitolato appunto The Last Man, viene dipinto nel 1826 e esplicito di terrore per l’impotenza dell’essere umano e l’assenza di una rappresenta una figura isolata che si erge su un promontorio tenendo le divinità benevola. Il dramma di Beddoes è teso a esprimere un’angoscia nata braccia aperte, circondata da scheletri di soldati, mentre sullo sfondo dal senso di vuoto di una “terra desolata” e testimonia, con la sua stessa compaiono due città flebilmente illuminate dalla fredda luce di un sole che si frammentarietà, la inutilità di rappresentare compiutamente l’esperienza sta spegnendo2. Il quadro era stato ispirato da un verso della poesia di dell’ultimo uomo senza la compensazione di una rinascita o la speranza di un Thomas Campbell intitolata appunto “The Last Man”, del 1823, nella quale mondo migliore. tuttavia la morte del sole, e quindi dell’umanità, non veniva esplicitamente Infine, nel 1826, proprio lo stesso anno in cui veniva pubblicato l’omonimo presentata come una tragedia, ma interpretata secondo la tradizione religiosa romanzo di Mary Shelley, usciva una ballata composta da Thomas Hood e medievale e dunque come una liberazione dal mondo terreno e un anche quella intitolata The Last Man, che ha alcuni interessanti punti di ricongiungimento a Dio. “The Eclipse of Nature spreads my pall, / The contatto con il romanzo. In entrambi la storia della fine dell’umanità viene Majesty of Darkness shall / Receive my parting ghost!... ”[L’eclisse delle narrata in prima persona dall’ultimo uomo sopravvissuto a una catastrofe di natura stende il mio sudario / la maestà del buio accoglierà / il mio spirito che proporzioni mondiali, anche qui identificata in un’epidemia di peste. Ma la si accomiata]. La distruzione della terra sembra qui essere addotta a riprova cifra della scrittura di Hood è una satira feroce e grottesca contro il genere dell’onnipotenza divina, e tuttavia il testo non offre immagini di vita futura, umano, che porterà gli ultimi due uomini sulla terra a fronteggiarsi l’uno ma solo le ripetute affermazioni del soggetto, tradendo la mancanza di una contro l’altro e a distruggersi. Niente e nessuno si salva in un clima che ancora reale fiducia dell’autore nell’esistenza di una vita eterna, tanto che il lettore ha una volta ripropone, pur nella variazione del registro che da lirico si è fatto la sensazione che Campbell si rivolga alla religione come ultimo baluardo satirico, la desolata visione di Byron, che rimane l’immagine emblematica contro il dubbio e l’angoscia che lo circondano. Interessante la polemica che della disillusione di questa generazione di artisti romantici. Una sorta di sorse tra Campbell e Byron su chi avesse per primo avuto l’idea di trattare il fatalismo pervade questi testi in cui l’essere umano, trascurabile presenza in tema dell’ultimo uomo. Francis Jeffrey in The Edinburgh Review affermò che un universo indifferente, assiste impotente alla distruzione della specie. Campbell aveva ripreso lo spunto da “Darkness”, ma lo scrittore si difese Rispetto a queste opere, la visione di distruzione, che pure il romanzo di sostenendo di essere stato lui ad aver suggerito a Byron l’idea di rappresentare Mary Shelley riprende quasi alla lettera utilizzando una serie di spunti e di l’esperienza dell’ultimo uomo sopravvissuto sulla terra, come ci racconta immagini propri dell’immaginario apocalittico del tempo, nasce, a me pare, da Cyrus Redding nelle Literary Reminiscences and Memoirs of Thomas presupposti molto diversi, che non hanno a che fare con l’angoscia legata alla Campbell (1869). caduta dell’utopia romantica ma semmai al contrario con la denuncia di quella utopia, e apre dunque prospettive insolite su una visione del mondo e della

85 società che si pone come alternativa a quella sottesa dall’episteme romantica. matrigna, ma una presenza reale, alla quale viene attribuito, oltre a un Il mezzo attraverso cui nel romanzo di Mary Shelley si propaga la appellativo che sembra un nome proprio, e un genere, quello femminile, anche distruzione della specie umana è la peste. Ancora una volta l’autrice si serve una volontà agente; persino quando l’epidemia si arresta nelle valli delle Alpi, dunque di un topos antico e ricorrente che dal De rerum natura di Lucrezio persino allora appare come una regina delle nevi che “ha abdicato al trono, si è percorre la tradizione letteraria occidentale fino a The Journal of the Plague spogliata dello scettro imperiale... ha lasciato solitudine e silenzio come eredi Year (1665) di Daniel Defoe, che la scrittrice ben conosceva, e a The Revolt of del suo regno” (Shelley 426)3. La peste non conosce differenze geografiche o Islam (1817) in cui P.B. Shelley identifica la peste con la barbarie politica del sociali, non rispetta leggi o privilegi, e per sette anni infuria in tutto il mondo dispotismo reazionario. Né dovevano essere estranee alla creazione del conosciuto, fino a lasciare quattro soli superstiti sulla terra; la sua funzione nel romanzo suggestioni provenienti dal filosofo Burke, che aveva testo risulta centrale perché agisce da elemento catalizzatore dei vari temi metaforicamente paragonato la Rivoluzione francese a una pestilenza, come affrontati; diviene infatti lo strumento attraverso cui l’autrice nega le presunte evidenzia Lee Sterrenburgh in The Last Man: An Anatomy of Failed verità assolute proclamate dalla scienza e dalla cultura, definendo i limiti di Revolutions, e dall’opera di Godwin Of Population (1820), che la figlia aveva ogni pretesa di ordine e razionalità (come aveva già fatto in Frankenstein), e letto con grande interesse e che era una risposta del pensatore radicale al attraverso cui rovescia le concezioni utopiche del suo tempo, dimostrando saggio di Malthus Essay on the Principles of Population (1798) nel quale si l’infondatezza delle grandi illusioni espresse così chiaramente nel pensiero di descriveva il mondo maltusiano come una città devastata dalla peste Godwin e dello stesso Shelley, gli uomini che, per essere rispettivamente il sviluppando la metafora del contagio fino a paragonare la classe dominante padre e il marito, furono i più vicini alla scrittrice e con i quali si poneva per lei inglese del tempo ai ricchi fiorentini descritti da Boccaccio nel Decamerone. un inevitabile e sofferto confronto. Nel romanzo il morbo si presenta dapprima nell’area orientale del mondo, si Nel suo romanzo, che è stato definito da Jane Blumberg un tributo ironico a trasmette quindi all’Occidente e arriva fino in lnghilterra, che si considera Shelley, un monumento colossale all’idealismo frustrato, il personaggio di all’inizio inattaccabile non solo per il suo isolamento geografico, ma per un Adrian è il portavoce di molte delle idee utopiche sul progresso dell’umanità altero senso di superiorità culturale, tanto che c’è chi, come Audrey A. Fisch in che Godwin aveva espresso in Political Justice (1793) e che P.B. Shelley aveva “Plaguing Politics: AIDS, Deconstruction and the Last Man”, ha visto un riproposto nel suo Prometheus Unbound (1820), in particolare la fiducia che parallelo tra questa rappresentazione del contagio e l’attuale atteggiamento lo sviluppo delle facoltà della mente avrebbe portato la felicità al genere nei confronti della diffusione della “peste del secolo”, come non a caso è stato umano sconfiggendo la malattia e persino la morte. Gli eventi del romanzo chiamato l’AIDS. Ma che cosa è la peste nella profezia apocalittica di Mary mostrano quanto queste teorizzazioni siano astratte e negate dalla realtà: la Shelley, e in che cosa si differenzia da quella descritta dagli artisti a lei peste sancirà la sconfitta dell’idealimo sognante di Adrian, e il suo paradiso si contemporanei? Non è una punizione divina (il piano trascendente risulta rivela un inferno in cui si scatenano gli egoismi e la rivalità. Proprio la sorte alieno alla visione shelleyana), né l’accidentale calamità di una natura

86 dell’uomo di scienza, Merrival, testimonia la falsità delle teorie sulla Ma la critica dell’autrice si estende ad altre teorizzazioni politiche, arrivando perfettibilità dell’uomo: Merrival, le cui teorie sembrano un compendio a dimostrare come ogni ideologia elaborata dagli uomini non sia altro che ironico delle concezioni di Godwin e di Shelley, all’arrivo del contagio si finzione e mistificazione. Questo vale ad esempio per l’ideologia conservatrice, preoccupa esclusivamente dei suoi studi su fenomeni che potranno portare anche se inizialmente l’autrice sembra condividere l’idea della superiorità benefici all’umanità tra migliaia di anni, e diviene il caricaturale portavoce di morale e fisica dell’aristocrazia sostenuta dal filosofo Burke nel suo una cultura che non vede il presente che sta sotto i suoi occhi per inseguire Reflections on the Revolution in (1790). Raymond e Lionel Verney si lontanissime chimere. Solo dopo che la sua intera famiglia, da lui sempre fanno portavoce delle teorie burkiane della superiorità di una monarchia trascurata, è stata annientata, lo studioso diviene cosciente della realtà e costituzionale, e Adrian, nonostante i suoi ideali repubblicani, nella perfezione impazzisce. della sua stessa persona incarna l’idea della superiorità della classe Quando la critica dell’autrice si rivolge alle concezioni più squisitamente aristocratica. Ma il testo in realtà riprende il concetto burkiano di società politiche del suo tempo, si fa ancora più puntuale. Attraverso il personaggio di come organismo vivente solo per sostenere l’infondatezza delle teorie del Ryland, il capo del partito del popolo i cui tratti fisici e caratteriali sono filosofo, dimostrando come non sia vero che la società è in costante e graduale ricalcati sulla figura del giornalista William Cobbett, molto apprezzato da P.B. progresso; proprio come qualsiasi organismo vivente può accadere al Shelley e poco amato da Mary, il testo mette in dubbio la convinzione contrario che si ammali e muoia. Ma è nel personaggio del falso profeta che si condivisa da Godwin e da Shelley per cui l’umanità avrebbe raggiunto la legge una feroce e ancor più globale parodia di ogni leader politico. Questo perfezione attraverso lo sviluppo della ragione e con un governo democratico. profeta autoproclamatosi tale è un fanatico religioso che riesce a conquistarsi L’arrivo della peste mostra tutti i lati deboli dell’utopia democratica, che se la fiducia di una parte dei sopravvissuti, che assumono il nome di “Eletti”. Né aveva funzionato quando una florida situazione economica aveva distribuito può sfuggire il richiamo diretto al gruppo di intellettuali e artisti espatriati in equamente le ricchezze, fallisce quando deve distribuire equamente il peso del Italia di cui facevano parte gli stessi Shelley che si chiamava appunto “The disastro. La peste diventa qui lo strumento che ironicamente completa quel Elects”. Nel romanzo questi discepoli sono vittima di un’utopia di salvezza, processo di livellamento sociale auspicato dall’ideologia democratica, ma solo perché sono convinti che obbedendo ciecamente al loro capo riusciranno a perché tutti devono soffrire e morire nello stesso modo. Quando Ryland deve sopravvivere e ad assicurarsi un posto nella vita futura. Il loro capo viene visto confrontarsi con questa realtà mostra tutta la sua inadeguatezza e l’autrice dall’autrice come un tiranno politico spinto dall’ambizione a commettere ogni impietosamente ritrae la caduta di un’ideologia attraverso la progressiva crimine pur di conquistarsi un posto nella storia dell’umanità e le offre lo demistificazione del suo portavoce, che all’arrivo della peste, per paura e spunto per esporre un convincimento di carattere più generale su quanto da egoismo fugge dalle sue responsabilità nel tentativo di mettersi in salvo. sempre è avvenuto nella storia dell’umanità, e cioè che L’ideale di repubblica vagheggiata dai grandi romantici diventa qui una concezione astratta deludente e mistificante. il filantropo, ardente nel suo desiderio di fare del bene, paziente, ragionevole e

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gentile, disdegna di usare altro argomento se non la verità, ha minore influenza sulla mente degli uomini di quello che ambizioso e egoista, non Più sottile la critica a questi stessi ideali che viene rivolta attraverso il disdegna di usare ogni mezzo, di risvegliare ogni passione, di diffondere ogni falsità per sostenere la sua causa. (Shelley 386) personaggio di Adrian, che nel romanzo appare come l’incarnazione della

perfezione anche morale, l’unico che riesce ad andare oltre il mito imperiale e Attraverso la creazione di personaggi maschili come Raymond e Adrian (nei a considerare anche i nemici come degli esseri umani. Ma proprio la sua quali si riconoscono gli stessi Byron e Shelley), la scrittrice va oltre le singole ricerca di perfezione assoluta fa sì che egli si sottragga agli impegni e alle teorizzazioni politiche e muove una critica all’idea stessa del leader perfetto. responsabilità che la realtà intorno a lui richiede. Rifiuta di prendere il Tutti e due questi grandi uomini ‒ e il testo mostra che sono grandi davvero se comando quando il paese avrebbe bisogno della sua guida illuminata e lo fa giudicati con il metro dell’ideologia romantica ‒ sono mossi dall’egocentrismo quindi precipitare nel caos, per il timore di cedere a una criticabile tentazione di chi insegue ciò che la cultura del tempo considerava alti valori, e cioè la di potere, e infine, chiuso nella sua algida ricerca di perfezione, intoccato dalla gloria militare e la dedizione alla politica, a spese dei rapporti umani e con passione, lascia cadere l’ultima possibilità che la specie umana ha di grandi sofferenze di chi vive al loro fianco. perpetuarsi attraverso la sua unione con l’ultima donna sopravvissuta, e Il mito del comandante perfetto viene infranto una prima volta con la storia accellera anzi l’estinzione dell’umanità insistendo per un viaggio verso la di Raymond, il cui equilibrio interiore regge solo finché il soggetto rimane mitica Grecia durante il quale moriranno sia lui che l’ultima donna. all’interno di un sistema che esclude, o rimuove, le emozioni e i sentimenti; È evidente che altri sono i valori in cui crede Mary Shelley. quando in lui si accende una passione che egli non sa controllare, e cede al The Last Man ci dice chiaramente che le decisioni che riguardano la vita di tradimento, lo stesso Raymond non può accettare di non essere più il perfetto relazione devono tener conto prima di tutto degli affetti, a partire dagli affetti e integro comandante di un paese che egli crede perfetto, e abbandona tutto familiari, e dalla volontà di proteggere i legittimi interesse e il benessere di per inseguire sogni di gloria militare in una guerra totalmente idealizzata al ciascun membro della grande famiglia che è l’umanità. Diviene così portavoce fianco dei Greci a Costantinopoli, sentendosi più al sicuro, come dice il testo, di quella “ethics of care” di cui Carol Gilligan avrebbe parlato un secolo e in una guerra vera (dove peraltro perderà la vita) che in una situazione che mezzo dopo, che si contrappone alla violenza, al sopruso e alla guerra; può provocare un conflitto interiore. Le sofferenze della moglie Perdita, e della qualunque guerra, si spinge a dire Mary Shelley, anche quella ritenuta allora figlia non arrivano a toccare questo sistema chiuso, e, come ben vede Perdita, più giusta, come la lotta di un popolo per l’indipendenza, visto che proprio una totalmente permeato di egoismo maschile: guerra di liberazione è il veicolo che porta alla diffusione del contagio in

Occidente e dunque alla distruzione del genere umano. E il messaggio Lui, lei pensava, può essere grande e felice senza di me. Oh, se anch’io avessi inquietante e autenticamente sovversivo contenuto nel romanzo era stato una carriera! Se io potessi caricare su una qualche imbarcazione nuova tutte le mie speranze, le mie energie, i desideri, e spingerla avanti nell’oceano della colto dai contemporanei che accusarono la scrittrice di aver tradito la vita. (Shelley 163) memoria e gli ideali per cui si erano battuti molti intellettuali romantici; a

88 questi Mary Shelley rispose con parole disarmanti nella loro semplicità: “I am uomo finalmente uscito dal torpore sterile in cui era caduto e intraprende un not a person of opinions...” (Feldman, 21 ottobre 1838). viaggio sulla sua barca in un universo sul quale, a differenza di quello The Last Man mostra che solo malattia e morte derivano dall’inseguire i byroniano, brilla ancora il sole, sorge la luna e si può indovinare “un augurio grandi ideali su cui si fondava l’episteme romantica, malattia e morte non solo nell’arcobaleno”, ma perché, come il lettore sa dall’Introduzione che l’autrice per un femminile che già molti testi avevano mostrato, e tanti ancora ha premesso, la storia narrata è solo una profezia decifrata dai frammenti mostreranno, perdente e relegato dalla società borghese agli spazi sparsi nell’antro della Sibilla, e ancora nessuno al mondo, né uomo né donna, claustrofobici del privato, ma, e qui sta la novità del messaggio racchiuso in è morto per il contagio di peste, non ancora. questo romanzo, per l’intero genere umano, anche per un maschile che Mary Shelley vede potente e vittorioso solo in apparenza e che sta preparando la propria distruzione. I limiti dell’ideologia romantica vengono dunque qui visti non solo dall’ottica di chi quell’ideologia subisce, ma come critica globale a un sistema che si è basato sull’ordine e la razionalità e che ha ignorato la parte emozionale della natura umana. Come già in Frankenstein, sentimenti e desideri repressi nel tentativo di uniformarsi alle regole del vivere sociale si materializzano e erompono in tutta la loro carica distruttiva rivendicando un ruolo attivo nel mondo che l’ha a lungo negati. “Io sentivo come se dall’ordine di un mondo sistematico fossi spinto nel caos, nell’oscurità, nel contrario, nell’inintellegibile”, dice l’ultimo uomo, e a me pare che le sue parole non esprimano il lutto per la perdita di quel sistema, ma spietatamente ne registrano l’intima debolezza e la caduta finale. La fine dell’umanità che viene raccontata nel testo corrisponde al commiato finale da un sistema di valori logocentrico e razionale, e dietro la profezia apocalittica di Mary Shelley si può 1 Anche se del romanzo è stata data una lettura meno ortodossa, che vi scorge non tanto l’esaltazione veder affiorare in trasparenza una serie di valori nuovi e destabilizzanti che della potenza divina quanto la sconfitta dell’uomo e dell’amore umana, di cui il testo afferma implicitamente l’importanza, legando la stessa sopravvivenza della specie alla sua esistenza, (ad esempio da hanno a che fare con la realizzazione della parte nascosta e rimossa di sé che Fiona Stafford nel citato saggio, alle pagine 202-205), non c’è dubbio che l’opera francese si inserisca nella solo dopo la distruzione del vecchio sistema possono affermarsi. Il romanzo tradizione escatologica cristiana. 2 Dell’opera esistevano due versioni, la prima è andata perduta, mentre l’acquarello del 1833 si trova alla lascia all’umanità una possibile via d’uscita, e contiene, più che una condanna, Laing Art Gallery di Newcastle. 3 Le citazioni sono di mia traduzione. un monito e un invito. Lo mostra chiaramente un finale che possiamo considerare aperto, non solo perché l’immagine conclusiva raffigura l’ultimo

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dovrà riconoscere, anche tardivamente, quale valenza possono acquisire le Gigliola Sacerdoti Mariani parole femminili. Una cosa è certa: Rukeyser è riuscita a trasmettere moltissimo con le parole Muriel Rukeyser e Käthe Kollwitz: dei suoi versi, così come Käthe Kollwitz ha espresso anche l’indicibile con le parole del suo diario (che, nella mente dell’autrice, non era certo destinato alla un confronto di segni pubblicazione). Vi presento, dunque, queste due “Women of Words”, che,

oltre ad essere state particolarmente generose di parole, hanno mantenuto

fede alla parola data, all’impegno etico-politico che si sono assunte nel corso

della loro vita. What would happen if one woman told the truth about her life? The world would split open Dell’opera poetica di Muriel Rukeyser (New York, 1913-1980) sono state date molte definizioni ‒ junghiana, marxista, femminista, realista, socialista ‒

“Che cosa succederebbe se una sola donna dicesse la verità sulla sua vita? Il appropriate tutte e nessuna, in quanto cercano di costringere, in modo rigido, mondo si schianterebbe”. Ho voluto usare questa epigrafe per il mio saggio, schematico, entro etichette precise, una produzione estremamente ricca1, perché, oltre ad essere un distico fondamentale della poesia di Muriel eclettica, magmatica, che ha avuto sicuramente le sue diverse fasi, ma che mal Rukeyser che esaminerò più avanti, mi sembra che, con tutte le sue tollera limiti o confini di scuola e di partito. Questa varietà di epiteti sta implicazioni, possa diventare una postilla al titolo di questo volume, S/oggetti comunque ad indicare che Rukeyser è stata una scrittrice dalle grandi immaginari. Inoltre, “The world split open”, usato come slogan del passioni, oltremodo scomoda per l’establishment politico e per quello femminismo americano all’inizio degli anni settanta, è diventato nel 1974 il letterario. Per l’establishment politico, perché di sinistra, perché ha titolo di un’antologia ‒ Four Centuries of Women Poets in England and partecipato agli scioperi degli anni trenta, all’epoca della “grande America, 1552-1950 ‒ pubblicata a cura di Louise Bernikow, con una depressione”, perché ha combattuto il maccartismo negli anni cinquanta, prefazione di Rukeyser. In quelle poche pagine, la poetessa americana scrive, perché si è dichiarata ripetutamente contraria alla guerra del Vietnam, anche con straordinaria semplicità di eloquio, con amarezza e orgoglio insieme: “We con un famoso sit-in a Washington, sul pavimento dell’aula del Senato, a have had our Men of Letters, here are the Women of Words”. Giocando sul seguito del quale ha conosciuto la vita di prigione per due giorni (sono tutti duplice significato che l’espressione “Men of Letters” può avere, Rukeyser ‒ episodi che Rukeyser ricorda in versi). con il gusto per l’ironia che indubbiamente possiede ‒ intende affermare, fra È stata parimenti scomoda per l’establishment letterario, perché ha l’altro, che le parole comunicano molto di più delle lettere, che il mondo intero trasgredito canoni, metri e tropi tradizionali, perché ha creato una poesia

90 sperimentale, post-modernista, anche quando ha recepito e accolto nei suoi immediata. Quando arrivano a Barcellona, vengono confermate le voci versi la lezione whitmaniana. Prolifica forse quanto Whitman, scrive dei più allarmanti che hanno sentito durante il viaggio: l’agone pacifico ha ceduto il disparati argomenti, dal 1935, anno in cui pubblica il primo libro di poesie, passo ad un tragico conflitto. Dopo pochi giorni il governo catalano decide di Theory of Flight ‒ passando attraverso Body of Waking del 1958, Breaking rinviare tutti gli stranieri, compresi atleti e giornalisti, ai loro paesi d’origine, a Open del 1973 ‒ fino al 1976, quando dà alle stampe The Gates. Quei titoli, meno che non vogliano combattere per la repubblica spagnola, a meno che emblematici, sembrano voler tracciare la sua parabola, il suo itinerario non abbiano qualche esperienza medica o paramedica: Rukeyser, come lei spirituale: Rukeyser teorizza il volo per muoversi libera, nei pensieri, nelle stessa racconta, al suo attivo ha “solo un libro di poesie ”, quindi viene invitata azioni, al di là delle sbarre, al di là dei cancelli, fissati dalle scuole letterarie, a partire (Rukeyser 1974). Prima dell’addio, Otto Boch le trasmette un ultimo imposti dagli schieramenti politici, contro ogni oppressione patriarcale, in un messaggio: “You will do what you can in America and I in ”. Per continuo risveglio, riscatto di sé. quell’ideale, in nome di quella solidarietà, nel segno di quell’amore, di quel Nella sua opera può quindi parlare degli anni della depressione, dei minatori reciproco impegno, per un identico “no alle dittature”, Otto combatterà contro che muoiono di silicosi, di altri problemi sociali, di sessualità, della maternità il fascismo spagnolo e morirà sulle rive del fiume Segre, Muriel seguiterà a in generale, e della sua personale, e mette in guardia le donne, che pure creano fare in America “ciò di cui era capace”, diffondere in poesia “what we saw in il mondo, a non cadere ‒ proprio con la maternità ‒ nei pericoli del solipsismo. Spain” (Rukeyser 1978, 139). E ancora altri temi trovano posto nelle sue composizioni, la seconda guerra La guerra civile spagnola: è questo l’elemento unificatore, il filo rosso della mondiale, Auschwitz, la Corea, Hanoi, e spesso avverte il peso di essere sua produzione, è il tema, quasi l’incubo, ricorrente. Per quarant’anni, “vissuta nel I secolo delle guerre mondiali” (Rukeyser 1978, 450), si sente ininterrottamente, dal 1936 al 1976, Rukeyser, nelle sue composizioni, “held between wars”, “held among wars”. Stretta, smarrita fra le guerre, si ritornerà alla Spagna, rielaborerà l’esperienza di quel commiato obbligato da impegna, dunque, per il pacifismo, combatte per la giustizia sociale, in lirica un paese dove è stata pochi giorni ‒ eppure lo definirà “esilio” ‒ e rivisiterà, in dichiara il suo impegno etico-politico che scopre e definisce in Spagna all’età versi memorabili, quello che lei ha chiamato il suo “moment of proof”. di ventitré anni. Momento di prova, che io interpreto come il momento di descent/ascent, ma Viene inviata a Barcellona dal periodico Life and Letters Today, per fare un anche (giocando sull’omofonia delle parole) momento di dissent/assent: servizio sulle olimpiadi dei lavoratori, o olimpiadi antifasciste, fissate dal 19 al discesa nel profondo di sé/ conseguente ascesa verso il sociale, verso 25 luglio del 1936, in opposizione a quelle ufficiali di Berlino. Sul treno, che la l’impegno etico-politico/ dissenso nei confronti di chi rimane nella torre porta dalla Francia verso Barcellona, Rukeyser conosce alcuni atleti delle d’avorio/ assenso verso chi porta la propria testimonianza/ dissenso nei diverse squadre internazionali e, fra questi, Otto Boch, un corridore tedesco in confronti di certe scelte del governo americano/ assenso verso il pacifismo. esilio già dal tempo in cui Hitler era salito al potere. Con Otto l’intesa è Anche la lunga “Letter to the Front” (Rukeyser 1978, 235-43), che sembra partire da molto lontano, col suo verso iniziale che suona come un assioma,

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“Women and poets see the truth arrive” ‒ ribadito e ampliato più avanti con “Women and poets believe and resist forever” ‒ si sviluppa attraverso alcuni Se non avessimo visto la battaglia, se non avessimo guardato momenti e movimenti del suo personalissimo fronte spagnolo. E ancora, nella basso volava l’aereo poesia “Neruda, the Wine” (del suo ultimo volume, The Gates) definirà la plastica lacerata dai colpi la casa del contadino Spagna “that core of all our lives, / that long defeat that brings us what we se fossimo rimasti nel nostro mondo know” (Rukeyser 1978, 554), che mi piace qui tradurre in un italiano tra tavolo e scrivania tra villaggio e sobborgo ridondante, per non perdere nessuna delle implicazioni dell’originale (il lenta disintegrazione potenziale di senso e di suono di “core”): “quel nucleo, quel centro, quel cuore, uomo e donna. anima delle nostre vite, quella lunga sconfitta che ci porta ciò che Questi versi, tratti da “Mediterranean” (Rukeyser 1978, 140), con una conosciamo”. protasi ritualisticamente iterata per tre volte, un anacoluto prolungato, È questa conoscenza che Rukeyser intende trasmettere nella sua opera, l’assenza totale dell’apodosi, implicano una condanna severa, anche se convinta com’è che il potere della poesia risieda nel far succedere, nel far obliqua, di “chi non ha guardato”, “di chi non ha visto”, della pigra neutralità cambiare qualcosa nelle coscienze. Ripropone la guerra civile spagnola più “di chi è rimasto fra tavolo e scrivania”. La strofa successiva, piccolo volte, come fosse un prezioso palinsesto su cui riscrivere il conflitto reale e il capolavoro costruito su una forma di isocolon ‒ ha una struttura ritmica conflitto delle ideologie, l’archetipo di ogni altra guerra che ha visto; nelle parallela e un sistema argomentativo parallelo ‒ enfatizza il contrasto fra la poesie più tarde arriverà ad epifanizzare il conflitto tra la donna, agente della “lenta disintegrazione” di chi ha scelto una vita appartata nella sua città e la creazione, e l’uomo/dittatore, agente della distruzione (lo chiama “floating “rapida identificazione” (che appare appunto nella strofa successiva), che è man”, mutevole come una nuvola, che sovrasta, che domina, insidioso, sinonimo di accettazione e riconoscimento del ruolo di una donna che non proteico, e che è anche “magician”, esperto in “magic”, mostro del può fare a meno di portare la sua testimonianza, di credere e resistere per totalitarismo, che conosce i colori della forza e decide delle vite altrui); sempre, anche se, o proprio perché “stretta fra le guerre”. epifanizza il conflitto tra potere “in-valid” (non-valido e in-validante) e potere Ho ripetuto più volte questo verso, “Held between wars”, che è l’incipit della “valid”, tra potere oppressivo e potere costruttivo, tra “dominating power” e poesia intitolata “Käthe Kollwitz” (Rukeyser 1978, 479-84) ‒ pubblicata “responding power” (che deriva dalla conoscenza, che è anche amore, che è originariamente nel volume Speed of Darkness del 1968 ‒ la cui prima strofa capacità di dare delle risposte, di rispondere ai bisogni altrui), fino ad recita: assegnare la vittoria epistemologica alla donna, alla poetessa, a sé medesima che ha trasmesso “ciò che abbiamo imparato in Spagna”, e che così ha gridato Held between wars contro gli intellettuali che si sono ritirati nella “torre d’avorio”: my lifetime among wars the big hands of the world of death

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my lifetime dove Rukeyser “ascolta” la vita di Kollwitz: listens to yours2. Stretta tra due guerre Käthe Kollwitz è un’artista tedesca che, come la scrittrice americana, ha lo spazio della mia vita tra guerre le grandi mani del mondo della morte sentito fortemente la propria responsabilità sociale (Kollwitz 1992, 5) ‒ la mia vita dichiarata, oltre che nell’opera grafica e nelle sculture, nelle pagine del suo ascolta la tua. diario datate 4 dicembre 1922, quelle dove scrive: La comparazione tra Kollwitz e Rukeyser, che io vado tracciando, è dunque quando so di lavorare insieme ad altri, in una comunità internazionale, contro voluta, è suggerita dalla stessa scrittrice americana, è implicita, interna alla la guerra, provo un sentimento caldo, che mi pervade e mi dà soddisfazione.... Ognuno lavora secondo le sue capacità...: voglio segnare questo tempo in cui sua poesia. L’artista tedesca diventa soggetto/oggetto della poesia, Rukeyser si gli uomini sono così incerti e bisognosi di aiuto. Molti avvertono ora il dovere identifica in lei e si definisce attraverso di lei. Non ci sono confini di di agire e aiutare, ma la mia via è chiara ed evadente, altri percorrono vie oscure [...] Vorrei poter lavorare così ancora per tanti anni”. (Kollwitz 1992, generazione, di cultura, di lingua. Anche quel nome del titolo, Kollwitz, rivela 182-83) un bisogno di definizione-identificazione da parte di Rukeyser: è un ipersegno

Nata nel 1867 a Königsberg, nella Prussia orientale, Käthe Schmidt si che l’aiuta a ripercorrere, a ribadire le scelte che ha fatto, le tappe della trasferisce a Berlino quando, nel 1891, sposa il medico Karl Kollwitz. Nel 1898 discesa/ascesa (descent/ascent) nel profondo di sé, che le consente di espone le sue prime opere grafiche. Nel 1907 trascorre molti mesi in Italia, in riattraversare, cioè, le fasi del suo dissenso/assenso (dissent/assent), particolare a Firenze; nel 1908 inizia a tenere un diario, che scriverà attraverso le fasi della vita e dell’arte di Kollwitz. In lei Rukeyser trova le stesse ininterrottamente fino al 1943 (sono dieci quaderni, in parte non ancora dinamiche che la spingono in avanti e i freni che la inibiscono, trova la pubblicati). Il suo secondogenito, Peter, muore in guerra nell’ottobre del 1914. testimonianza di una costante tensione morale e un’identica convinzione che Nel 1919 è la prima donna a diventare professore presso l’Accademia l’arte debba avere un fondamento sociale (“sono al mondo / per cambiare il prussiana di Belle Arti. Nel 1932 firma, insieme ad Einstein, Heinrich Mann, mondo”, recitano i versi 12-13). E la composizione si sviluppa, quindi, come Arnold Zweig, l’appello per costituire un fronte unitario contro l'ascesa del una biografia dell’artista tedesca, scritta attraverso i segni tracciati nel suo nazionalsocialismo; l’anno dopo, per questa sua presa di posizione, è costretta diario e nelle sue incisioni, e si fa autobiografia della scrittrice americana. ad uscire dall’Accademia di Belle Arti e nel 1936 la sua opera viene vietata in La poesia è divisa in cinque parti: le prime tre non hanno un titolo, non ne Germania. Nel 1943, per scampare ai bombardamenti di Berlino, si rifugia a hanno bisogno, tendono tutte verso il distico con cui si chiude la terza parte, Nordhausen e poi a Moritzburg. Non fa in tempo a vedere la fine del conflitto “What would happen if one woman told the truth about her life? / The world would split open” (vv. 110-11), che suona come un perenne commento, mondiale, muore il 22 aprile del 19453. un’eterna riflessione, o, anche, come un coro femminile fuori scena, nel senso Veniamo ora al confronto dei segni, rileggendo la prima parte della poesia,

93 che si adatta ad ogni epoca, ad ogni temperie culturale, ad ogni scena dove le legata alla rappresentazione del popolo minuto, e la sua rappresentazione continuamente ripetuta era per me come una valvola di sfogo o una possibilità donne si trovino ad agire ‒ con quello “split open” che, come dicevo sopra, ha di sopportare la vita.... Talvolta i miei stessi genitori mi dicevano: “Ci sono tante implicazioni: fa pensare ad un’apertura con uno schianto, a una anche cose piacevoli nella vita. Perché mostri solo il lato oscuro?”. Non avevo nulla da rispondere loro. L’altro lato, appunto, non mi diceva nulla. Solo spaccatura provocata da un terremoto, l’apertura di un baratro che non si questo voglio sottolineare ancora una volta, che in un primo momento la richiude più, una ferita insanabile, ma anche lo squarcio, l’apertura- compassione, la compartecipazione al dolore della vita proletaria mi ispirarono solo in misura assai ridotta alla rappresentazione della vita rivelazione di un mondo femminile purtroppo sconosciuto, che ha tanto da proletaria, era soltanto che la trovavo bella. Come Zola, o chi altro, una volta mostrare e, ancora, di un inferno di dubbi ideologici e artistici, dove disse: le beau c’est le laid”. (Kollwitz 1992, 253-54) obbligatoriamente si deve scendere, sprofondare, per risalire, per riemergere, ‒ e le confrontiamo con i versi che riportiamo qui sotto, ci rendiamo conto di per dare voce al proprio dissenso/assenso. Poiché il silenzio, la non- come Rukeyser si assuma il compito di interpretare e comunicare i significati comunicazione sono soffocanti, poiché è inutile combattere il potere perduti di quell’esistenza, di quelle idee che sorgono dal travaglio di una patriarcale, poiché è più opportuno usare e celebrare un altro potere, poiché mente creativa: l’assenso deve andare a chi genera la vita, poiché una donna non può dire “la verità sulla sua vita”, Rukeyser dà voce alla Kollwitz, interpreta il suo diario, 30 “Dopo tutto si procede come in musica, talvolta lo cita fra virgolette, lo trasforma ora in monologo, ora in dialogo ‒ un come si sviluppa un brano di musica. Le fughe ritornano e confronto di segni appunto, uno scambio, un’interazione, per poter dire lei, ancora e ancora Rukeyser, la verità sulla sua stessa vita. si intrecciano. 35 Un tema sembra messo da parte, Se leggiamo alcune riflessioni di Kollwitz, tratte da una pagina datata 1941‒ ma seguita a ripetersi‒ la stessa cosa modulata, l’etichetta di artista ‘sociale’ che da allora in poi mi ha accompagnato.... il vero la forma in qualcosa è mutata.” motivo per il quale da allora scelsi di rappresentare quasi esclusivamente la [...] vita dei lavoratori fu che i motivi scelti da questo ambito mi offrivano con Una donna che riversa i suoi opposti. facilità e senza compromessi quello che io avvertivo come il bello. Bello era per “Dopo tutto ci sono anche cose felici nella vita. me il facchino di Königsberg, belli erano i marinai polacchi sulle loro navi, Perché mostri solo il lato oscuro?” bella era la generosità dei movimenti nel popolo. Uomini che conducevano una vita borghese erano per me privi di qualsiasi interesse. Tutta la vita “Non sapevo rispondere. Ma lo so‒ borghese mi sembrava pedante. Il proletariato invece mi stimolava. Solo molto 45 all’inizio il mio impulso di conoscere più tardi però, in particolare quando, grazie a mio marito, venni a conoscere le la vita proletaria difficoltà e la tragicità abissali della vita proletaria, quando conobbi donne che aveva poco a che fare con venivano da mio marito e in second’ordine da me cercando aiuto, fui colpita a fondo dal destino del proletariato e da tutte le manifestazioni esistenziali che compassione o compartecipazione. lo accompagnano. Problemi irrisolti come la prostituzione, la disoccupazione Semplicemente sentivo mi torturavano e mi inquietavano e furono una concausa di quel mio essere 50 che la vita degli operai era bella.”

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anche, nell’ultima parte della composizione) la poetessa abbraccia, raccoglie, I tormenti del processo creativo, le fughe psicologiche e artistiche, di chi interiorizza gli episodi salienti della vita privata e pubblica di Kollwitz, ricrea disegna come di chi scrive, trovano dunque espressione in questi versi; e, la pro/spettiva dell’epoca tra le due guerre, e ci fa intendere che il dovere ancora, la difficoltà di conciliare le dicotomie della vita e dell’arte, l’esperienza dell’artista ‒ segno verbale o segno iconico non fa differenza ‒ è quello di avere coniugale, l’eros, gli affetti sono i temi che si snodano nella seconda parte della una visione chiara degli eventi mondiali per comunicarne i significati alla composizione; la scrittura poetica scandisce i mutamenti di pensieri e di società. sentimenti ‒ l’orrore, lo sgomento, l’empatia ‒ consente la revisione, la Con una serie di citazioni intertestuali e intratestuali Rukeyser accosta le verifica, la definizione delle pulsioni, quelle della Kollwitz e quelle della figure umane della grafica della Kollwitz alle riflessioni del suo diario ‒ che Rukeyser; e il tutto viene visibilmente enfatizzato dallo splitting, dalle cesure, esplicitano i suoi tormenti di donna e di madre, nonché il suo impegno etico- dalle scansioni, dai vuoti grafici: politico. Con rapide giustapposizioni Rukeyser evoca anche il ciclo di litografie e acquaforti, che hanno per tema un evento storico, la rivolta dei tessitori “Quando la porta si apre della sensualità allora capirai anche tu. Ha inizio il conflitto. slesiani del 1844 che Kollwitz aveva deciso di illustrare dopo aver assistito alla Non esserne più libere, prima del dramma I tessitori di Hauptmann. E, ancora, fa riferimento 55 la sentirai come la tua nemica. A volte quasi ne soffocherai, all’acquaforte intitolata “La Carmagnola” (v. 90), traduce in versi gli sguardi la gioia che porta.” intensi, i volti deformati dalla fame, le espressioni dolenti (è quella miseria [...] che Kollwiz aveva conosciuto da vicino, nel quartiere operaio di Berlino dove il Disse: “In realtà, marito medico aveva il suo ambulatorio) e sembra che ridisegni le mani delle io credo sue litografie, mani che soffocano come due guerre (si rileggano i versi iniziali, che la bisessualità 75 sia quasi un fattore necessario che abbiamo riportato sopra), mani che stringono un volto disperato, che nella produzione artistica; in ogni modo, stringono strumenti di lavoro, che avvolgono corpi indifesi di fanciulli o corpi un tocco di mascolinità dentro di me mi ha aiutato inerti, mani che si levano in segno di protesta o con pugno chiuso, (e penso nella mia opera.” alle opere che ho visto personalmente, a Milano, “Dimostrazione” del 1897, “Alla culla”, dello stesso anno, “Donna con bambino morto” del 1903, “Donna Sembra che Rukeyser esponga le litografie, le acqueforti di Kollwitz ‒ che affila la falce” del 1905, “Le madri” del 1922-23) mani, infine, che riproducendo in versi quella che nel disegno è la sospensione tragica dei gesti divengono cancelli che si aprono verso il mondo (vv. 108-09). E se la morte ‒ e ne coglie il chiaroscuro, in una continua sovrapposizione di momento del figlio Peter all’inizio della prima guerra mondiale e la morte del nipote, che storico e momento individuale: con termini che suggeriscono il concetto di porta lo stesso nome ‒ cade durante la seconda guerra mondiale ‒ sono vista, di sguardo, di luce, più volte ripetuti (in alcuni dei versi già citati e,

95 ricordate con un lento, luttuoso tono narrativo, più intensi e più rapidi sono i Sono riflessioni in cui Rukeyser si riconosce sicuramente, lei che ha una versi che ritraggono la madre che avvolge e protegge con il suo corpo quello stessa ansia di agire, con la poesia, lei che ricorda come la parola poeta, ancora vivo del figlio. La madre che, animata dal senso del dovere verso la secondo la corretta etimologia greca, significa colui/colei che fa. E la fiducia patria, aveva convinto il marito a far partire il loro secondogenito, che voleva che Rukeyser ha nell efficacia dell’impresa poetica è testimoniata dal verso di andare volontario in guerra; la madre che, in occasione di quella partenza, una composizione, sempre dedicata alla vicenda spagnola, “the poem is the aveva donato a Peter un mazzo di fiori e una copia del Faust. Anche questo, fact” [la poesia è il fatto] (Rukeyser 1978, 139) che offrirà, che rimarrà. Ma c’è passando dal piano diegetico al piano analettico, viene evocato nella poesia, in di più: i versi “immagine davanti agli occhi, passata memoria, poesia / da versi che mirano ad un complesso e intrigante sistema di significazione: portare, diffondere e difendere di giorno in giorno” (Rukeyser 1978, 143), “Faust walking among the flowers of the world (“Faust che cammina tra i fiori inseriti come sono in un contesto simbolico complesso, sembrano voler del mondo”). Implicito il tema dell’introspezione, impliciti i temi della ribadire che la poesia, l’arte, oltre a tracciare, con versi troncati, con linee discesa/ascesa, del dissenso/assenso: dall’inferno collettivo e personale, spezzate, i crudeli rituali di guerra, può dire come effìmeri siano i confini tra attraverso conflitti/confini interiori, fino al rifiuto non solo della guerra, ma di l’orrore reale e l’orrore immaginato, può embricare l’emozione personale e ogni rivoluzione violenta, quando il comunismo rivela il suo vero volto l’ideologia politica, o rendere l’una trasparente attraverso l’altra. totalitario, distruttivo; infine il pacifismo, non in quanto automatica, naturale Queste nostre considerazioni relative alle affinità, alle consonanze di scelta femminile, ma come il risultato di quei conflitti morali-intellettuali che Kollwitz e Rukeyser ci portano direttamente alla quarta parte della poesia, che sono di Kollwitz come di Rukeyser. si intitola “The Calling Up”: è la chiamata alle armi, ovvero il richiamo al ruolo Infatti, nell’ottobre del 1920, Kollwitz si era abbandonata, nel diario, ad una di makers, al ruolo delle donne-artiste con gli strumenti che possiedono ‒ il lunga, amara riflessione sul comunismo: bronzo delle sculture, il segno inciso sulla pietra, sul legno, le parole delle poesie ‒ le donne che “vedono arrivare la verità”, che “credono e resistono per In realtà non sono affatto rivoluzionaria, ma evoluzionista. Giacché però mi si sempre ”. celebra come artista del proletariato e della rivoluzione, e sempre più mi si spinge in questo ruolo, ho ritegno a non continuare a sostenere questa parte. La quinta parte si intitola “Self-portrait”; sembra davvero tracciata, calcata, Io ero rivoluzionaria... sono atterrita e sconvolta da tutto l’odio che c’è nel con l’ausilio di fogli trasparenti, sui numerosi autoritratti che Kollwitz ha mondo, ho desiderio di un socialismo che lasci vivere gli uomini, e trovo che di assassini, menzogne, rovine, travisamenti, in breve di tutto quanto è lasciato (ha disegnato il suo volto anche come personificazione della morte) e diabolico, la terra ne ha visto abbastanza. L’opera dei comunisti, che vi si diventa autoritratto in versi di Rukeyser: fonda sopra, non può essere opera di Dio. (Kollwitz 1983, 14)

E in una lettera datata 21 febbraio 1944, aveva affermato 125 Guarda diritto a te la bocca categoricamente che “Il pacifismo non è affatto un tranquillo stare a guardare, nella loro interiorità guardano gli occhi ma lavoro, duro lavoro” (Kollwitz 1983, 15). diritto a te

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semichiaro semiscuro sementi non devono essere portate alla macina” ‒ lo aveva già citato nel 1918 donna, forte, tedesca, giovane artista quando aveva preso posizione ufficiale contro il poeta Richard Dehmel che, sul 130 fluida bocca aperta sensuale che medita foglio socialdemocratico Vorwärts, aveva chiamato il popolo tedesco a guarda giusto te combattere fino all’ultimo uomo. occhi ombreggiati con mano coraggiosa Ci sono anche riferimenti intratestuali, alcuni criptici, altri più espliciti: c’è guardano in fondo a te l’eco nostalgico dei versi che Rukeyser ha dedicato al suo grande amore, Otto 135 diventa Boch, e ancora il riverbero di composizioni che descrivono quel mondo bocca coraggiosa ferita afflitti socchiusi gli occhi patriarcale del totalitarismo da combattere e che assegnano la vittoria viva, tedesca, la sua prima guerra epistemologica alla donna, all’artista, che ha trasmesso ciò che abbiamo ritorna in imparato in Spagna, ciò che abbiamo imparato in Germania (vv. 145-49). 140 forza del volto esausto Versi ininterrotti, dicevo, che scorrono uno nell’altro, che disegnano il una matassa di linee dramma di Kollwitz interiorizzato da Rukeyser, versi che rendono fluide le incombe, ricade su madri fra tombe di guerra linee di questo “volto del nostro tempo” (v.156), grazie a quell’espressione piegate sulla morte verbale “flows into”, che tutto lega, come in un continuum, il lutto personale 145 a fronte del padre con il lutto di un’epoca, che porta a far coincidere, o a rendere contigui due accanito sul campo volti, due vite, due forme di arte, due mondi, ma un identico “no alle genera dittature”; quel “flows into” che, in virtù del suo valore polisemico (che in i segni della sua conoscenza‒ italiano ho cercato di rendere con termini diversi), ripercorre o ri-traccia i Nie Wieder Krieg 150 ipetuto negli occhi segni della discesa e dell’ascesa, del dissenso e dell’assenso e seguita a si riversa in generare “the marks of her knowing” (v. 148), mentre scoperchia, forse, livelli “Le sementi non devono essere macinate” inconsci di non-finito. Sono versi che terminano con la parola “closed”, ma

non si chiudono, non hanno un punto alla fine, seguitano a fluire nelle Sono versi ininterrotti (qui non sono citati tutti), pressoché senza composizioni che seguono, senza commiato, nella poesia successiva, “The punteggiatura, ellittici nel senso che presentano delle frammentazioni logico- Speed of Darkness”, alla “velocità del buio”. Ma questo è un altro discorso. grammaticali, morfo-sintattiche, che si snodano e tornano su se stessi, ricchi di riferimenti e citazioni intertestuali: il manifesto contro la guerra, Nie

Wieder Krieg, che l’artista tedesca aveva prodotto nel 1924 e il titolo tratto dal

Wilhelm Meister di Goethe, che aveva usato per l’ultima litografia del 42, “Le

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1 La produzione in versi di Rukeyser, raccolta nel volume The Collected Poems (alle cui pagine faccio riferimento nel testo) comprende i seguenti libri di poesia: Theory of Flight (1935), U.S. 1 (1938), A Turning Wind (1939), Beast in View (1944), The Green Wave (1948), Selected poems (1951), One life (1957), Body of Waking (1958), Waterldy Fire (1962), The Speed of Darkness (1968), Breaking Open (1973), The Gates (1976). Tutte le traduzioni delle poesie qui citate sono mie. 2 Qui, come altrove, Rukeyser presta molta attenzione all’aspetto grafico-visivo della poesia. Spesso, la punteggiatura, o meglio la scarsa punteggiatura, e gli spazi tra una parola e l’altra (che creavano non pochi problemi ai suoi tipografi) offrono al lettore molteplici possibilità di interpretazione. Si veda anche quanto dirò più avanti. 3 Di lei rimangono alcune sculture, circa 2500 disegni, più di 250 acquaforti, litografie e xilografie. Per ulteriori particolari sulla vita e sulle opere di Kollwitz, rinvio il lettore ai testi indicati in bibliografia. Per quanto riguarda la mia esperienza personale, posso dire che nel 1983, ispirata dalla poesia di Muriel Rukeyser, mi recai appositamente a Milano per visitare una mostra di grafica della Kollwitz che il Comune di quella città aveva organizzato, presso la Galleria del Sagrato, nell’ambito delle manifestazioni “Esistere come donna”. Le opere esposte provenivano dall’Accademia delle Arti della Repubblica Democratica Tedesca. Il catalogo di quella mostra (indicato in bibliografia) è molto accurato, anche nella prima parte, dove si legge una nota introduttiva di Harri Nündel, e dove vengono riportati alcuni brani significativi del diario e delle lettere di Kollwitz, tradotti da Luisa D’Angelo.

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linguaggio. Edda Melon Hélène Cixous. Nata nel 1937 a Oran, nell’Algeria francese. Attraverso i confini, l’origine. Il padre discende da una famiglia di ebrei spagnoli, la madre da una famiglia di ebrei dell’Europa centrale. Orfana di padre a 11 anni. A 18 anni si sposa con Hélène Cixous con Clarice Lispector Guy Berger, studente di filosofìa, da cui in seguito si separerà, e si stabilisce in Francia. Ha tre figli, uno dei quali muore a pochi mesi. La sua tesi è su James Joyce. Insegna letteratura inglese a Paris VIII, dove nel 1974 crea un dottorato di Etudes Féminines. Pubblica dal 1969 testi di finzione, di critica, e di teatro,

Una voce di donna è venuta a me da molto lontano,... in una lingua straniera, al ritmo di uno all’anno. Conosce l’opera di Clarice Lispector nel 1978. io non la parlo, ma il mio cuore la comprende. (Cixous 1979, 11) Una voce di donna è venuta a me da molto lontano,... quella voce non la Hélène Cixous pubblica nel 1979 un piccolo libro prezioso, Vivre l’orange. È conoscevo, è arrivata sino a me il dodici ottobre 1978, quella voce non mi un testo ‒ come dire? ‒ su Clarice Lispector? intorno a Clarice Lispector? a cercava, scriveva a nessuno, a tutte, alla scrittura, in una lingua straniera, io non la parlo, ma il mio cuore la comprende.... partire da, o andando verso, Clarice? Potremmo, in omaggio alla comparatistica, pensarlo come un cum, un insieme a, concetto (e modello di Clarice Lispector. Nata nel 1920 a Tchetchelnik, in Ucraina, emigrata a due relazione) del quale la teoria femminista non potrebbe più fare a meno e sul mesi con i genitori ebrei a Recife, nel Nordest del Brasile. Orfana di madre a quale ha variamente lavorato nel corso degli anni. Ma se ci interroghiamo su nove anni. Sposata con un diplomatico da cui in seguito si separerà, ha due questo cum, alla luce di quei lavori, vediamo subito che nel con-fronto, nel figli, vive in Europa, e poi a Rio de Janeiro. Qui muore di cancro a 57 anni, nel con-tinuum, nel corpo a corpo, la zona che più ci coinvolge e che più stimola le 1977. Ha cominciato a pubblicare romanzi nel ’44. La sua notorietà, sia in nostre riflessioni è l’intervallo, l’entre-deux, il tra-noi, quella terra di nessuno Francia che in Italia, arriva dopo la morte. Il suo testo capitale è La passione dove sorgono, o crollano, i bordi di frontiera. secondo G. H., del 1964. Chi parla qui è un personaggio di romanzo: Il testo di Hélène Cixous può essere pensato oggi, per noi, sia come un La mia voce è il modo in cui vado alla ricerca della realtà... La realtà è la lavoro attraverso Clarice (ma anche, reciprocamente, un lasciarsene materia prima, il linguaggio è il modo in cui ne vado alla ricerca ‒ e in cui non attraversare). E sia come un viaggio, con la guida e con la mediazione di la trovo. Eppure è proprio dal cercare e non trovare che nasce la cosa che non Clarice, attraverso, e oltre, i confini del soggetto. Un viaggio che ha come conoscevo, e che all’istante riconosco. Il linguaggio è il mio sforzo umano. Per destino devo andare a cercare e per destino ritorno a mani vuote. Ma ritorno causa la voce di una donna e come destinazione la ricerca dell’origine, non un con l’indicibile. L’indicibile non mi sarà dato che attraverso il fallimento del tempo, ma un luogo, un luogo della mente e più ancora un luogo del mio linguaggio. (Lispector 1964, 160-61)

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Nel 1990, un articolo di Earl E. Fitz, dell’Università di Pennsylvania, venire piano incontro alle nostre anime.... (Cixous 9-11) servendosi di categorie inerenti alla disciplina comparatistica (le nozioni di In prima persona, l’io scrivente evoca un momento diffìcile della sua vita, di traduzione, imitazione, stilizzazione, prestito, fonti, paralleli e influenza), crisi dell’ispirazione, di sfiducia nella propria scrittura, di isolamento: “Dieci faceva ottimamente il punto su “Il debito di Hélène Cixous nei confronti di anni ho errato nel deserto dei libri senza incontrare una risposta” (Cixous 11) Clarice Lispector. Il caso di Vivre l’orange e l’écriture féminine”. Rimando e, si chiede, “Che cos’ha in comune con le donne? Quando la tua mano non sa dunque a quell’articolo chiunque volesse sapere come i romanzi dell’una neanche più trovare un’arancia vicina e paziente e realizzabile, che se ne sta lì (Clarice) sembrino illustrare le teorie dell’altra (Hélène), come Cixous abbia ferma nella ciotola?” (Cixous 15). fatto sue ‒ a modo proprio ‒ le esperienze poetiche di Lispector e di quali Allora, riceve inaspettatamente il dono, la visita dell’angelo, la voce dell’altra opere soprattutto, e infine le loro differenze. donna. Pur facendo tesoro di queste argomentazioni, io ho provato a seguire un altro percorso, proponendomi di vedere come si inscrive in questo testo la Una scrittura è venuta a passi d’angelo ‒ quando ero così lontana da me, sola nozione di confine (potremmo anche dire limite, bordo, o frontiera, e chissà all’estremità del mio essere-finita” ... Ho domandato: Che cos’ho in comune con le donne? Dal Brasile una voce è venuta a restituirmi l’arancia perduta. Il che altro in quante lingue), e che tipo di lavoro ispira. Vedere quali confini bisogno di andare alle sorgenti. La facilità di dimenticare la sorgente. La vengano accolti o tracciati, per poi essere valicati, aboliti, o modificati, nello possibilità di essere salvata da una voce umida che è andata alle sorgenti. Il bisogno di andare più avanti nella voce natale. (Cixous 11, 17) scritto di Hélène Cixous a partire da, con, attraverso, Clarice Lispector. E se questa sua pratica della lettura/scrittura possa diventare un’estetica, una Nel suono di una parola, nell’immagine di un frutto, si condensano tutte le poetica (etica, o eretica che sia), se possa insomma diventare un metodo che ci qualità di questo dono, dono della vita, dono della scrittura: laranja in sia utile. portoghese/brasiliano, orange in francese. Un unico significante, che Prima ancora di fare questo, è necessario dare un’idea sommaria del assumerà di volta in volta i più diversi significati: da parola piena, che coincide contenuto e dell’andamento di questo scritto. Cantare le lodi di Clarice appieno con la cosa, a immagine del frutto, e del sole, e della terra intera, a Lispector ‒ quasi come in un Cantico dei Cantici, ha scritto qualcuno ‒ simbolo della vita, e del godimento femminile; e ancora saranno chiamate intrecciare le proprie parole con quelle dell’altra, lasciarsi alterare dal discorso oranges le donne islamiche velate e svelate, e la scrittura, e Clarice stessa. dell’altra, non elide infatti, e non elude, altri contenuti, altre meditazioni. Riprendendo un passo di Merleau-Ponty, Luce Irigaray ricorre appunto In principio, un riconoscimento: all’immagine delle due metà di un’arancia, come due mani che si toccano, per illustrare una maniera particolare del tatto, senza oggetto né soggetto, né Ci sono donne che parlano per vegliare e per salvare, (ci sono) voci per restare attivo né passivo, e, fra l’una e l’altra, la carezza (Irigaray 151). Arancia allora vicino alle cose, come la loro ombra luminosa, per riflettere e proteggere le cose che sono sempre delicate come i neonati.... Loro mi hanno insegnato che potrebbe essere anche l’incontro fra Hélène e Clarice, e, globalmente, il testo la tenerezza è una scienza. E le loro scritture sono voci diventate mani per

100 che lo provoca. Ma già, passando da orange a oran-je, si fa presente il nome nostre vite adulte, e anche di questi tempi: della città natale di Hélène, Oran in Algeria, in Lalgérie: in questi tempi deboli e dimentichi, quando siamo lontane dalle cose, così lontane le une dalle altre, lontanissime da noi stesse, in questi tempi tristi e Una voce di donna è venuta a me da molto lontano, come una voce di città dimentichi, di sguardi deboli, troppo corti, che cadono a lato delle cose, natale, mi ha portato il sapere che avevo una volta, sapere intimo, innocente e lontano dalle cose vive... e abbiamo freddo, un’aria glaciale soffia intorno alle sapiente, antico e fresco come il colore giallo e viola delle fresie ritrovate. anime, intorno alle parole, ai momenti.... (Cixous 48-49) (Cixous 11)

Su questo torneremo in seguito, e su come il testo, nel suo variare, provi a Faccio notare che per mantenere il sapore pieno di orange in quanto oran- riaprirsi alla gioia e alla speranza. Come si può notare anche in questo breve je, si dovrebbe in italiano tradurre arancio, aranc-io ma allora si perderebbe riassunto, tutto il discorso di Hélène Cixous si muove all’insegna del numero inevitabilmente il frutto, e il femminile, in favore dell’albero, come ci fa notare due. Non soltanto per la scelta di parlare di un’altra donna, di un’altra autrice Nadia Setti, studiosa e traduttrice italiana di Hélène. (che è in fondo la scelta obbligata, la posizione comune di ogni critico e critica Con un altro scivolamento associativo, da orange si passa a orage letteraria: prendere come oggetto gli autori, le autrici, e i loro libri), ma per la (tempesta), e da Oran si passa a Iran, alla situazione delle donne in quel paese, messa in opera di tutta una serie di figure del due, o chiaramente enunciate, o e alla questione del rapporto tra il personale e il politico, tra il soggetto e il che scaturiscono per effetto di lettura. Ora, senza dilungarmi troppo sulla mondo. Come trovare il coraggio di affermare che anche l’amore dell’arancia è teoria di Cixous, che ritengo nota, ricordo solo che uno dei suoi cardini è la politica? La gioia per il dono ricevuto minaccia di infrangersi contro la sua denuncia del discorso logofallocentrico basato sulla logica binaria, che stessa inadeguatezza, e apre su una serie di interrogativi angosciosi sul debito stabilisce rigidi e invalicabili confini tra A e non A, in favore di una logica e sulla colpa. aperta e, per così dire, infinita. La funzione del numero due nella sua Segue allora, nella parte centrale del testo, un racconto molto lungo, il costruzione non è dunque di contrapposizione, ma di associazione, di racconto di un sogno, dell’apparizione di Clarice con il suo dono, e la scrittura rovesciamento, di passaggio, di lavoro intorno alle zone di confine. Cercherò si fa più ricca, più slegata, modulando innumerevoli variazioni sulle sensazioni di darne qualche esempio concreto. della sognatrice. La nostalgia del tempo prima dei libri, prima della nascita, La prima duplicità che incontriamo è quella della lingua: il testo è bilingue, prima della separazione: “quando vivevo ancora all’interno, tutto era giardino, la versione francese, che si estende su tutte le pagine di destra, è affiancata ‒ e non avevo perduto l’entrata” (Cixous 47). sulle pagine di sinistra ‒ da una traduzione inglese (di Ann Liddle e Sarah Per molte pagine continua l’exploit di far vivere nella scrittura il succo del Cornell, rivista dall’autrice); e anche il titolo, non in copertina, ma sul frutto della vita, il profumo, la musica, il sapore delle cose, la gioia del corpo: frontespizio, è doppio, francese-inglese. Questa decisione, che ci colpisce al écriture féminine, insomma, nell’accezione più alta che Cixous le conferisce. primo sguardo, visivamente, non è commentata, quindi è tutta da Godimento prolungato, seguito dal ritorno alla gelida realtà del tempo delle interpretare, da far giocare durante la lettura. Su questo primo punto non ho

101 fatto un lavoro particolare ‒ forse neppure so farlo ‒ ma mi va di aprire Qui infatti, in Vivre l’orange, la scrittrice-critica non si fa sentire solo intorno ad esso delle questioni. A parte le ragioni politiche (di una attraverso i più consueti modi in cui il soggetto dell’enunciazione ‒ anche negli comunicazione più estesa) che possono aver dettato la scelta del testo scritti più asettici ‒ usa farsi presente ma, al contrario, si pone esplicitamente bilingue, mi chiedo: la presenza di due lingue, inglese e francese, in pagine sulla scena della scrittura come la voce da cui lo scritto prende origine, come il contigue, separate dalla cucitura ‒ e quindi dal taglio ‒ della pagina, sta in corpo vivente dell’esperienza. E già qui si profila la nostra terza opposizione, qualche modo a ricordare la differenza della lingua-madre, e della lingua quella fra soggetto e oggetto. La continua presenza dell’io narrante sta sì a letteraria, delle due artiste, francese e portoghese brasiliano? Forse sì. Altra tenere il filo del discorso, ma senza tendere a fondare la centralità di un questione. L’aver reso visibile questa separazione delle lingue, questi confini soggetto. E alla stessa maniera, Clarice, la scrittura di Clarice, non è mai, sin delle lingue, non contribuisce forse a far riaffiorare la vecchia nostalgia per la dal suo primo apparire, in una posizione di oggetto (di lettura, di studio, ecc.). mitica lingua universale, universale non solo perché comune a tutti gli esseri Non è la lettrice a incontrare, aprendo le pagine di un libro, le parole di una parlanti, ma perché in grado di abbracciare l’universo, senza scarti, senza donna lontana, ora morta, che la risveglieranno alla vita. Viceversa, è l’altra perdite? E dunque la separazione originaria, quella più radicale, fra le cose e le scrittura a trovare lei. “Una scrittura è venuta a passi d’angelo ‒ quando ero parole? A me è sembrato che proprio il corpo fisico del libro ‒ questo territorio così lontana da me, sola all’estremità del mio essere-finita... una scrittura mi diviso in due ‒ potesse, qui più che mai, metterci su una strada geografica, ha trovata quando ero introvabile a me stessa” (Cixous 11, 13). topologica, cartografica. Da ricordare che, tradizionalmente, il pensiero Con questo capovolgimento fra soggetto e oggetto, viene posto, nelle prime attribuisce al maschile la gestione del tempo, al femminile quella dello spazio. pagine del testo, il paradigma che modellerà l’intero discorso, l’intera tessitura Nello spazio, propone Luce Irigaray nel testo già citato, possiamo pensare a (dove soggetto e oggetto hanno la funzione, precisamente, dell’ordito e della due tipi di frontiere, quella sull’asse verticale, fra un sopra e un sotto, figlia- trama, in un gioco di sopra-sotto, dentro-fuori). Così questo limite, questo madre, madre-figlia; e quella sull’asse orizzontale, che Irigaray chiama il tra- confine, tra soggetto parlante e oggetto del discorso è continuamente donne, o tra “sorelle” (Irigaray 106). attraversato, spostato, eroso. La scrittura di Clarice offre il dono dell’arancia, Tornando alla mia lista di opposizioni binarie, la seconda è quella fra una ma il dono vale se qualcuna sa accoglierlo, e Hélène non pone limiti alla sua posizione, e una scrittura, critica e/o teorica (cioè di critico e/o teorico gratitudine per l’influenza dell’altra. Ma anche questo è rovesciabile, perché in letterario, accademico o non), e una posizione, e una scrittura, personale, definitiva è proprio l’autrice di Vivre l’orange che ne fa “omaggio” a Clarice, e libera, poetica. In Vivre l’orange, come in parecchi altri scritti molto noti, non a lei sola. Cixous fa sì che la pratica della critica letteraria, e/o della teoria, e la creazione poetica coesistano e si parlino. La polifonia del testo, e le sue necessarie E a tutte le donne le cui mani sono come voci che vanno incontro alle cose nel buio, e che tendono parole in direzione delle cose come dita infinitamente dissonanze, provengono anche da questo dialogo. attente, dita che non afferrano, ma attirano e lasciano venire, dedico l’esistenza dell’arancia.... (Cixous 17)

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anch’esso mobile, nel senso che la sua forma varia continuamente, secondo il Per comprendere l’importanza di questa modalità mobile di rapporto, che è variare dei discorsi che ne disegnano i bordi. poi anche quella praticata da Lispector nei suoi romanzi, la si può paragonare La quarta opposizione binaria che incontriamo è quella fra il soggetto e il ad un’altra, quella per esempio di Marguerite Duras. Rapite dallo sguardo o mondo, fra l’amore dell’origine e il peso della Storia. Nel testo irrompe come dalla voce dell’altra, con la quale si identificano totalmente, le eroine un’opposizione dolorosa, sgradevole, rifiutata. Suscita fastidio, ribellione, sia durassiane restano raggelate, immobili in un sistema di specchi e di doppi, che nei confronti della realtà e dell’oppressione politica, sia dell’arancia stessa, convoca chi legge a un godimento assicurato del dolore e della morte. diventata ora un dono difficile, visto che davvero non è onnipotente. “A quali Nel testo di Hélène Cixous ‒ e, perché no, anche nei nostri, quando nascono condizioni, a che prezzo, una donna potrebbe dire senza morire di vergogna in risposta allo scritto di un’altra donna ‒ c’è anche questo primo momento di ‘anche l’amore dell’arancia è politica’?” (Cixous 27) fascinazione, questo stesso godimento, che tenderebbe a bastare a se stesso, Come far sì ‒ potremmo aggiungere ‒ che la pienezza dell’orange, cioè tanto da ridurre al silenzio. Non a caso la causa di quel desiderio è la voce, ma l’unione di je con il luogo dell’origine, Oran, possa, con la grazia di un motto di proprio lì la parola può riprendere origine. spirito, trasformarsi in un Iran-je, che simbolizzerebbe l’avvenuta abolizione Così dal motivo iniziale (“una voce di donna è venuta a me da molto della separazione io-mondo. Qui il confine viene affrontato in modo ancora lontano”), che può somigliare al racconto di un sogno e ricorda la struttura di diverso. Tanto la propria divisione è, per una donna, insopportabile, e tanto è un fantasma già ascoltato (il fantasma che venga qualcuno a salvarci, madre, o alta la posta in gioco, che in questo caso l’autrice sembra suggerire una madonna, o principe azzurro che sia), da questo motivo, dicevo, statico, e strategia di uscita anticipata. Che ci sia separazione fra una cosa e l’altra, e anche estatico, radicato certamente nell’immaginario, prende slancio un dunque fra io e non-io, fra soggetto e mondo, è un effetto del linguaggio, in un movimento di andare e venire, dal territorio dell’una a quello dell’altra, che, preciso sistema di pensiero. Dunque, occorre innanzi tutto aggredire più con un lavoro eminentemente simbolico, crea varchi, trova passaggi, fa direttamente la logica che fonda la separazione, autorizzarsi a ipotizzare che emergere a poco a poco brandelli di reale. E l'amour de lohn, il cortese amore tale ordine possa effettivamente essere sovvertito; e in un secondo tempo di lontano, o amore di lontananza, esercizio ascetico di rinuncia al possesso, elaborare una strategia simbolica che crei passaggi molteplici fra interno ed continuamente sconfina in una sorta di amore da vicino, o amore di vicinanza. esterno. Vicino al cuore selvaggio, come scriveva Clarice Lispector citando James Allora Clarice diventa una finestra sulle cose, tutte le cose del mondo, e le Joyce: “vicino al cuore selvaggio della vita” (Lispector 1944). Vicino, non lascia entrare. Ma ancora torna l’angoscia, ancora il tema della Storia: dentro, il cuore selvaggio della vita, il cui unico suono è il suo pulsare. E “vicino” già implica una distanza. L’origine, il paradiso terrestre, non è dalla A che serve saper vedere, quando quel che la Storia ci mostra non è che smorfia e rovina.... E certe notti abbiamo paura se andiamo alla finestra, che si parte dell’una né da quella dell’altra. L’origine è nella zona di confine, affacci soltanto su camere a gas. (Cixous 87, 89) imprendibile, ma il discorso dell’una, e quello dell’altra, le fa luogo. Un luogo

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E poi ancora la speranza, anzi la fede:

Ma un’Amica chiama.... basta che una donna dagli occhi atletici ci insegni come pensare in direzione di una cosa, di una rosa, di una donna, senza uccidere un’altra cosa, un’altra donna, un’altra rosa, senza dimenticare. Basta che Clarice sia ‒ Perché la Storia cessi di separarci dalla vita.... Alla scuola di Clarice impariamo ad essere contemporanee di una rosa viva, e di un campo di concentramento. (Cixous 99, 101)

Anche qui, movimento, passaggi, nel tentativo di trovare quello giusto, che dia una soluzione, necessaria sì, desiderata, ma difficile, e che qui davvero appare più immaginata che dimostrata, e lasciata aperta, forse rinviata. Ho dato alcuni esempi del funzionamento di questo testo. Non c’è bisogno di sottolineare pesantemente le coincidenze, i riferimenti e anche le anticipazioni rispetto agli argomenti cardinali di tanta teoria femminista ‒ quella di Hélène Cixous compresa. Vivre l’orange non è da considerare un’applicazione di questi principi, ma meglio, una fiction della teoria oppure, ancora meglio, una drammatizzazione, una messa in scena. Mi piace pensarla così, anche in omaggio alla vocazione teatrale di Hélène, che la porterà poi a scrivere per il Théàtre du Soleil di Ariane Mnouchkine delle grandi epopee storiche sul destino di alcuni popoli travagliati o in via di estinzione ‒ India, Cambogia ‒ tentando dunque un’altra risposta alla questione che Vivre l’orange apriva, la questione della Storia. E spostando i propri confini, questa volta, verso l’origine del teatro, verso Oriente.

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Singen wir ganz andre Lieder. Rita Svandrlik Wo so viel sich hoffen läßt, ist der Abschied ja ein Fest.

Le frontaliere: [Oggi vado via. Se ritorno / canteremo versi molto differenti. / Dove è lecito sperare tanto, / il commiato è una festa], Goethe IX, 142 Ingeborg Bachmann e Joanna Russ Due versi dell’autrice dalla cui opera hanno preso avvio le mie riflessioni sul commiato, Ingeborg Bachmann, hanno invece un forte carattere appellativo:

Was dich trennt, bist du. Verström, 1. Vorrei proporre il commiato nel suo aspetto meno immediato, quale komm wissend wieder, in neuer Abschiedsgestalt. movimento di oscillazione, quale modalità del desiderio verso luoghi, persone, [Ciò che ti separa, tu sei. Defluisci, / sapiente ritorna, in nuova forma di oggetti, forme di espressione. Tradizionalmente siamo portati a immaginarlo commiato]. Bachmann 1978, I, 60 come un desiderio rivolto all’indietro, come lo sguardo dell’angelo di Nella situazione storica della Guerra Fredda e dell’incombente catastrofe Benjamin che si volta girandosi nella direzione opposta a quella del proprio nucleare, il tono è profondamente diverso, il commiato non può essere una cammino; si tratta di uno sguardo che può costituire un pericolo per il festa, è piuttosto un compito posto a ciascuno. Il commiato può essere visto procedere stesso, come viene esemplificato nella storia della moglie di Lot, come il momento di una radicale proiezione in avanti; Bachmann lo raffigura tramutata in statua di sale perché ha voluto girarsi a guardare la città che deve così in una delle sue liriche più note, quella che dà il titolo alla raccolta che la lasciare per sempre. Perfino il voltarsi durante un movimento opposto a quello rese famosa, ancora giovanissima, Die gestundete Zeit (Il tempo concesso a del commiato, qual è il ritorno dagli Inferi di Orfeo che riconduce alla revoca, 1953): superficie Euridice, determina il fallimento e il ritorno al punto d’inizio: da allora in poi Orfeo ripeterà il suo canto di commiato, il suo canto di dolore che Sieh dich nicht um. ha però acquisito la conoscenza misterica dell’Aldilà. Ogni percorso Schnür deinen Schuh. conoscitivo è segnato dunque da un commiato all’inizio e uno alla fine. Vorrei […] Es kommen härtere Tage. accostare un esempio classico di questo processo, tratto da Goethe, a un esempio che mette al centro l’esperienza moderna della soggettività [Non ti voltare a guardare. / Allacciati le scarpe.... Si avvicinano giorni più frantumata. Dice Goethe: duri]. Bachmann 1978, I, 37

Heute geh ich. Komm ich wieder, La situazione esistenzialista di un commiato legato a un sempre rinnovato

105 mettersi in cammino aveva trovato in questa poesia la sua espressiva metafora successo in tale contesto fu quella degli innamorati suicidi di cui un classico temporale ‒ quella del tempo revocabile in ogni momento, in una situazione esempio è il Werther di Goethe. Dunque anche in questo tipo “classico” di storica percorsa da forti visioni apocalittiche. congedo la dimensione spaziale è presente come dinamica tra l’aldiquà e Ma in quegli anni del dopoguerra, della divisione della Germania, dei grandi l’aldilà, ma implica un percorso unidirezionale, irreversibile. spostamenti di popolazioni tedesche dall’Est europeo e soprattutto di In una figurazione mitica del femminile, quella della sirena/ondina trovo riflessione da parte della generazione più giovane sulla colpa collettiva invece che il motivo del congedo degli amanti si unisce a una dinamica durante il nazismo, la letteratura tedesca è ricca di narrazioni del commiato, e spaziale più complessa e stratificata. L’ondina ci interessa qui come figura la parola Abschied compare per esempio nel titolo di un’opera di Peter Weiss, amante che vede fallire il suo progetto amoroso perché l’uomo non si attiene Abschied von den Eltern (1961) e di una di Peter Handke Der kurze Brief zum all’osservanza di un divieto, come avviene per tante altre unioni mitiche tra langen Abschied (1972). La saggista femminista Christina Thürmer-Rohr, lei creature non umane e uomini (Melusina, e numerosi personaggi delle fiabe). stessa originaria dei territori ad est dell’Oder, sostiene in una raccolta di saggi In particolare, il marito di Ondina la offende in riva all’acqua e la tradisce con del 1987 la necessità di congedarsi da ogni tipo di patria (Heimat) e da ogni un’altra donna, motivo per il quale le narrazioni attorno a Ondina sono state tipo di legame a luoghi (Orte), perché solo così si può mettere fine spesso interpretate nel contesto del tradimento d’amore (von Matt). Se prima all’aggressiva retorica nazionalista patriarcale che per i tedeschi è dell’unione con l’uomo Ondina era una creatura senz’anima, ora potrà vivere il doppiamente colpevole (76 segg.). La separazione e la divisione, con il dolore della separazione in tutta la sua intensità proprio grazie all’anima conseguente commiato, diventano motivi strutturali nella letteratura del acquisita; inoltre dovrà lei stessa farsi esecutrice della condanna che colpisce il dopo-Muro, ricorrenti in testi di scrittori della RDT, soprattutto in Christa marito per averla tradita. Wolf (Il cielo diviso, 1963); basta pensare alla sua Cassandra, la quale afferma Per il suo statuto di creatura che appartiene a un altro mondo, dove secondo all’inizio del testo: “Con questo racconto vado nella morte” (Wolf 1984, 19). la tradizione di Paracelso non esiste la morte, Ondina unisce il congedo dall’uomo amato al congedo da un mondo, da un territorio, rendendo il 2. Vorrei avvicinarmi al tema del commiato legandolo a spostamenti ‒ più o commiato stesso assoluto e allo stesso tempo sottraendolo sia alla dimensione meno immaginari ‒ nello spazio, piuttosto che alla separazione tra persone. E storica del tempo sia a ogni trascendenza. L’ondina più famosa della innegabile che il commiato tra persone, in genere tra due persone, è la forma letteratura tedesca, prima di Ingeborg Bachmann, quella del romantico più immediata di questo motivo, così come lo conosciamo da una ricchissima Friedrich de la Motte Fouqué (1811), si trasformerà in un ruscello che circonda tradizione, dove il congedo degli amanti (Romeo e Giulietta) spesso si coniuga la tomba del marito da lei ucciso perché infedele: con tale abbraccio alla separazione definitiva dalla vita, cioè da tutte le avversità e da tutti gli nell’indifferenziato della natura e della morte la separazione e quindi il ostacoli che si frappongono all’amore, con la speranza più o meno vaga del congedo non hanno più luogo proprio. ritrovamento dell amato/a al di là dell’esistenza. Una tipologia che ebbe molto Ma il motivo dei due spazi interrelati, uno dei quali si posiziona al di fuori

106 del tempo umano, è poeticamente così produttivo da aver dato vita a diverse il ritornare caratterizza l’opera di Ingeborg Bachmann fin da alcune liriche figure di frontiera sulle quali viene proiettata la dinamica tra i due spazi, in un della raccolta de Il tempo dilazionato: è importante il movimento nello spazio, ventaglio molto ampio di cui il testo di Fouqué costituisce secondo me una il mettersi in cammino, mentre non è prevista una meta o addirittura un specie di livello zero1. L’Ondina di Fouqué in particolare è la rappresentazione arrivo, per quanto relativo e incerto. di un tragico fallimento di ogni integrazione nel quale coincidono il momento Si tratta di una topografia simbolica che si muove tra uno sbarco appena del commiato e quello della morte. Se non c’è integrazione non ci può essere accennato nella terra da cui l’io lirico si accomiata e la negazione dello sbarco nemmeno separazione. Il cavaliere muore mentre Ondina, che non può stesso. Nella poesia “Congedo dall’Inghilterra”, l’Inghilterra esiste comunque morire, diventa acqua. solo come linea mediana da negare, perché quel che interessa è ciò che sta al Questa premessa è necessaria per capire la novità delle rielaborazioni a di sopra o al di sotto rispetto a tale linea; un simile immaginario dello spazio si opera di donne, ma soprattutto la rivisitazione del motivo fatta da lngeborg ritrova anche nell’unica poesia veneziana di Bachmann, “Valzer nero”: Venezia Bachmann in “Ondina se ne va” (1961), visto che l’autrice si ricollega è sospesa tra terra e acqua, tra il suolo in cui affondano i pali che sorreggono le esplicitamente al testo romantico, ribaltandone però radicalmente le sue costruzioni e il cielo verso cui spiccano il volo le sue alate creature, tra convenzioni. Ad un primo livello di rovesciamenti, nel testo bachmanniano, Oriente e Occidente; la città della laguna è la metafora di una dinamica Ondina è l’unica ad avere un’anima, mentre i mostri sono gli uomini; ad un radicalmente centrifuga. livello che riguarda la struttura profonda, le sequenze del testo realizzano un Ma la poesia bachmanniana è ricca di congedi perché la condizione dell’io movimento di andirivieni tra la separazione e il ritorno, tra l’elemento liquido lirico è quella dell’esilio, avendo come unica casa “la nuvola” della lingua dell’acqua e la terraferma, tra parola e silenzio. Ondina ha bisogno di aria tedesca (“Exil”, “Curriculum vitae”, “Von einem Land, einem Fluß und den notturna e di aria di confine, e il momento della soglia, della sospensione sul Seen X”). L’esilio però è anche conseguenza di una scelta, perché è una confine, viene espresso dal velo e dallo specchio (dell’acqua): condizione in cui i confini, le separazioni, i muri non vengono ignorati o cancellati, come succede invece agli abitanti della Berlino di Ein Ort für Non ci sono domande nella mia vita. Amo l’acqua, la sua densa trasparenza, il Zufälle e come accade anche alla protagonista de Il caso Franza, quando cerca verde nell’acqua e le mute creature (muta sarò presto anch’io!), e i miei capelli tra quelle, nell’acqua, nell’imparziale acqua, nell’indifferente specchio che se stessa nello spazio indefinito del deserto (Allerkamp). La ricerca di Franza m’impedisce di vedervi altrimenti. L’umida barriera tra me e me... nasce da una spinta simbiotica, da un movimento verso l’indifferenziato e [...] Non essere in nessun luogo, in nessun luogo restare. [...] Traditori! Quando non sapevate più come trarvi d’impaccio, ricorrevate alla quindi verso l'[auto]distruzione. Diversamente da Franza, altre figure denigrazione. Allora tutt’a un tratto sapevate che cosa v’insospettiva in me, femminili della prosa bachmanniana, come per esempio Elisabeth Matrei, l’acqua, il velo, il mio essere inafferabile. (Bachmann 1985, 186-87). scopriranno l’estraneità come destino (Die Fremde als Bestimmung, Faccio un passo indietro. Il pendolarismo tra acqua e terra, tra l’andarsene e Bachmann 1978, II, 416; Svandrlik 1993) e uno spazio delimitato da confini ben visibili, nel quale poter rielaborare le separazioni e gli “strappi” storici

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(Bachmann 1978, II, 453-54). popolo sottomarino che si è ridotto a vivere nella baia boema. Avendo perso il Ritornando al testo in prosa “Ondina se ne va” , il ricorso a una figura mitica contatto con altri popoli del mare, essi non hanno più una cultura propria e serve a costruire più livelli del discorso: Ondina si riappropria del discorso quindi nemmeno libri. Russalka ha molti tratti fisici della diversità, i piedi mitico-letterario diventando una figura assolutamente autonoma che può palmati, la pelle fredda e verdastra, un terzo occhio che di solito rimane giudicare del bene e del male inerenti all’umanità e alla sua storia, come se si chiuso, ecc. Ragazza molto presa di sé e piuttosto ribelle, è particolarmente trattasse di una divinità; non meraviglia dunque che possa decidere di esposta a disavventure, soprattutto da quando si è messa a leggere i libri degli andarsene o di ritornare, facendosi strumento del desiderio d’espressione umani. Russ insiste molto sull’isolamento culturale di Russalka, che non trova degli uomini. Ondina è infatti anche figurazione del discorso poetico come un campo d’azione adeguato per i suoi slanci vitali e per la sua curiosità. discorso amoroso, perché poesia e amore hanno in comune la dinamica Predisposta al romanticismo dai libri degli umani, è fatale che si innamori del desiderante che si muove tra un commiato e l’altro. Il testo di Bachmann è bel principe di Boemia, quando ha occasione di vederlo da sotto l’acqua, poesia che riflette su se stessa e che nel momento del congedo dagli uomini già perché è stata colta “dalla malattia tipicamente umana di desiderare ciò che decide il ritorno, in un percorso circolare. non si può avere” e dal fuoco diabolico della fantasia. Come nelle versioni tradizionali dell’ondina, Russalka fatica molto per riuscire ad adeguare il suo 3. La rivisitazione del mito operata da Joanna Russ in “Russalka, or the corpo alla sopravvivenza fuori dall’acqua. Con l’aiuto della strega marina si Seacost of Bohemia”, un episodio di Kittatinny: a Tale of Magic (1978), è sottopone a una metamorfosi che l’avvicina a una donna umana. I limiti della invece molto diversa da quella di Bachmann. Il sottotitolo stabilisce un’affinità magia emergono senza che Russalka li voglia riconoscere. L’imperfezione della elettiva tra le due autrici: Russ fa riferimento a un topos shakespeariano sua metamorfosi si rivela soprattutto nella mancanza della parola; non entrato nell’immaginario letterario europeo, quello della Boemia bagnata dal riuscirà infatti mai a parlare, e potrà solo scrivere biglietti che nessuno riesce a mare, che ha dato anche il titolo a una delle più belle poesie di lngeborg leggere. Il principe, “una brava persona”, è affascinato dalle caratteristiche Bachmann, “Böhmen liegt am Meer”2. Siamo in presenza di uno di quegli esotiche della giovane e la sposa. Ma il contatto corporeo nella prima notte di “incontri altamente improbabili” di cui parla Rosi Braidotti, che “mette a nozze si rivela disastroso, i due mondi non hanno possibilità di entrare in disposizione insospettate fonti di interazione tra diverse forme di esperienza e comunicazione e gli episodi successivi (ad esempio il principe che vede conoscenza” (1995, 9). Russalka cibarsi di pesci ancora vivi ed interi) non fanno che allargare il solco Andando più in profondità, l’accostamento tra le due autrici risulta tra i due. Il principe, totalmente incapace di dare una spiegazione logica a ciò interessante in particolare per seguire una possibile interruzione nella che gli succede, alla fine sembra trovare una facile soluzione: sua moglie ha tipologia dell’ondina: dato che qui la creatura del mare non è più sospesa tra subito un sortilegio e quindi basta rivolgersi a un mago. Il nuovo incantesimo, due mondi, e il confine non è permeabile. che i biglietti disperati di Russalka non riescono ad evitare, provoca una Russalka è una giovane orfana proveniente da una ricca famiglia di un seconda metamorfosi che la ritrasforma in creatura marina. Lasciata lontana

108 dall’acqua che nessuno capisce esserle vitale, Russalka muore senza poter versioni si inserisce quella della protagonista stessa, secondo la quale i pazzi tornare nel suo elemento. sono stati due, sia lei che il principe: nel momento estremo riesce infatti a dire Proprio in questo punto si trova un’interessante parodia del commiato: qualcosa, l’unica parola che sia mai riuscita ad articolare: “Matto” (Fool). mentre Russalka agonizza, la voce narrante prevede con molta ironia come il ricordo e la narrazione della vicenda sarebbero entrati nel discorso collettivo. 4. Il testo di Joanna Russ si inserisce nella tradizione delle riscritture La distanza, la separazione, tra l’ondina e il principe risulta amplificata per ironiche delle fiabe da parte delle scrittrici, la sua intenzione è chiaramente l’effetto reificante della memoria collettiva, dove reificante va inteso pedagogica, a differenza di quella di Bachmann: fabula docet che se si letteralmente, perché il ricordo di Russalka diventa un mausoleo, una specie rincorrono delle pure illusioni, perdendo il contatto con se stessi e con il di tempio: proprio ambiente, si possono subire sconfitte irreparabili. “Vivere de-lusi vuol dire vivere senza illusioni” dice Ingeborg Bachmann in un suo discorso Era un brav’uomo, e l’idea che una sirena morisse per lui non gli faceva per poetologico, e in questo caso “illusione” è strettamente correlata a falsità niente piacere. Una volta diventato molto vecchio e un po’ rimbambito, si (Täuschung; Bachmann 1978, IV, 277). Le false illusioni possono essere sarebbe rallegrato in segreto dicendo, “Sono l’unico principe in tutto il vasto mondo per cui una sirena è morta d’amore”. Si sarebbe sposato, naturalmente, decostruite, destrutturate proprio seguendo i confini, esponendosi ad essi e al non perché un principe debba farlo, ma perché lo voleva; ma avrebbe fatto loro valore conoscitivo come premessa a un produttivo e fluido movimento di costruire un mausoleo intorno allo stagno dei pesci rossi, con colonne, una tettoia, e un muretto dipinto con tutte le creature del mare. E avrebbe passaggio da uno spazio all’altro. Come fa notare in questo volume Edda ordinato che si inventassero canzoni e storie su di lei, e si sarebbe chiesto se i Melon a proposito della scrittura di Cixous, i confini devono essere accolti “o suoi amici marini erano addolorati ‒ e lo furono per un po’, ricordandola come “Russalka, sapete, quella un po’ tocca” ‒ e non avrebbe mai lasciato che tracciati, per poi essere valicati, aboliti, o modificati ”. Ma Russalka non perisse il suo ricordo. riconosce i confini. Si costrinse a guardarla. (Russ, 51) Il contesto in cui è inserita la sua storia mi sembra avere molte affinità con La memoria di Russalka non morirà, però intanto muore lei, la creatura del la posizione di Bachmann. La storia della giovane creatura marina, letta in un mare. Con questa previsione di carattere parodico, tipica di Russ (Borghi 1991) libro che forse “si è scritto da sé”, trovato sepolto sotto la sabbia tra le rovine ‒ viene infatti riflesso il discorso degli altri personaggi sulla vicenda ‒ si del mausoleo fatto costruire in onore della sirena, assume la funzione di interrompe la sequenza temporale, la quale non è più a senso unico; sembra exemplum negativo per la protagonista Kittatinny, facendola piangere e che la giovane venga uccisa nel ricordo futuro piuttosto che nel presente in cui disperare; accanto all’“autentica” versione della Bella Addormentata, il principe non riesce nemmeno a guardarla. Questo passo ci presenta due costituisce una pietra miliare nella vicenda di formazione dell’adolescente, versioni della storia di Russalka, quella del principe secondo il quale la formazione che la condurrà ad un progetto di vita e amore con un’altra creatura del mare è morta d’amore, e quella della gente di Russalka, secondo giovane donna. Nella sua complessa Wanderung ‒ i topoi del genere vengono cui la giovane è morta perché aveva perso la lucidità mentale; tra queste due qui tutti risemantizzati al femminile, compreso il motivo indispensabile del

109 congedo ‒ Kittatinny non solo è già riuscita a superare tutte le prove, ma ha essere il vero peccato originale dell’umanità (Ortese, 168-69). Diverso nelle anche incontrato le immagini archetipiche del femminile, prima fra tutte la sembianze dalla possente e immensa creatura all’origine di tutte le cose che è Grande Dea in forma del drago Taliesin. Tale incontro è fondamentale per la la “draga” Taliesin di Russ è anche il drago di Marlen Haushofer, che la costruzione della soggettività femminile di Kittatinny perché la “draga” protagonista de La mansarda dapprima scorge in una visione, diventa una sua immagine interiore che le permetterà di non farsi incantare materializzandolo poi in qualche modo come creatura propria quando dalle false illusioni di cui parla anche Bachmann. Russ realizza ciò che nell’atto del reciproco riconoscimento gli dà il nome di “Drago” e lo disegna, Bachmann riteneva indispensabile per la fondazione di un nuovo mondo al verificando “che ogni cosa era al suo posto” (Haushofer, 141). Uta Treder ha femminile. interpretato questa versione del drago come una figurazione del Sé femminile Nel racconto “Un passo verso Gomorra”, contenuto nella stessa raccolta di (Treder, 144 segg.). “Ondina se ne va”, la pianista Charlotte constata la mancanza di positive In queste invenzioni narrative non si tratta solo di cambiare di segno le immagini (Bilder) del femminile. Il suo tentativo di sovvertimento delle regole immagini mitiche, da negativo a positivo; esse fanno parte invece del patriarcali, di abbandono del mondo degli uomini e quindi anche del marito, macrotesto del “grande commiato”, il commiato dal femminile quale è fallisce prima di iniziare, perché in assenza di immagini interiori, il rapporto depositato nel discorso patriarcale, nel linguaggio dei “mostri” da cui Ondina di Charlotte con la giovane Mara, innamorata di lei, sarebbe destinato a prende congedo: ripetere gli schemi di dominanza di uno sull’altro, qui di una sull’altra (Svandrlik 1992, 15 segg.). In questo snodo del discorso Bachmann e Russ Già me ne vado. Poiché vi ho rivisti ancora una volta, vi ho sentiti usare un linguaggio che con percorrono due linee divergenti: Kittatinny di Russ ha già incontrato le me non dovreste usare. La mia memoria è inumana. A tutto ho dovuto immagini autentiche, quelle inutilmente cercate da Charlotte, perciò può ripensare, a ogni inganno e a ogni bassezza. Vi ho rivisti negli stessi luoghi; mi sono apparsi luoghi d’infamia quelli che un tempo erano luoghi di luce. Che mettersi in cammino dando la mano alla sua compagna. cosa avete fatto! Ho taciuto, non ho detto una sola parola. Ditevelo da voi. Ho Con la sua “draga”, Russ non è l’unica a femminilizzare l’archetipo, specie se sparso un po’ d’acqua su quei luoghi perché potessero verdeggiare come tombe. Perché alla fine rimanesse quella luce. (Bachmann 1985, 192-93). in questa categoria possono essere inclusi anche i draghi bambini. I draghi buoni abbondano nella rivisitazione dell’immaginario delle scrittrici: il mostro Il commiato è solo un momento di passaggio verso la creazione di quelle che nei miti e nel folklore era stato sempre l’oggetto e la vittima sacrificale “immagini antagoniste” (Gegenbilder, Bachmann 1978, II, 212) che mancano delle prove di coraggio di giovani eroi salvatori di principesse e fondatori di a Charlotte. città (Weigel, 157 segg.) diventa la cifra della natura offesa, o la Bachmann non ha rinunciato a cercare i suoi Gegenbilder, “disgregando” le materializzazione del femminile trascendente. Voglio ricordare qui il piccolo immagini tradizionali e facendole muovere e spostare tra i discorsi. Ondina, drago dagli “occhi infinitamente affettuosi, benevoli” di Anna Maria Ortese, spostandosi tra i discorsi, diventa un Gegenbild. Il suo desiderio inappagabile “un amico, un piccino, una creatura così buona ”, la cui uccisione sembra incontra specularmente il desiderio dei mostri/uomini che di notte talvolta

110 sentono il richiamo dell’altra, del diverso, del sogno. In quanto personificazione dell’arte (come ha detto Bachmann stessa), Ondina è s/oggetto3; l’arte viene prodotta dal desiderio di espressione degli individui, per vivere poi la propria dimensione desiderante in un’esistenza di confine, tra commiato e ritorno, tra separazione e ritrovamento. Accomiatandosi, Ondina dice: “Ma così non posso andarmene. Perciò lasciate che per una volta ancora io parli bene di voi, perché non ci si separi in questo modo. Perché nulla si separi’’ (Bachmann 1985, 193).

1 Le traduzioni sono mie, tranne quella di “Ondina se ne va”. Prima della fantascienza si è fatto ricorso a un altro tipo di creature ibride, più o meno mostruose, gli esseri sovrannaturali o spiriti elementari secondo la classificazione di Paracelso. Per i romantici tedeschi, per i quali non ci deve essere contrapposizione tra il sopra e il sotto, tra il dentro e il fuori, i due spazi vengono messi in relazione da questi esseri, ondine, fate, salamandri e serpentine. L’esito può significare un’interazione felice (E.T.A. Hoffmann, Il vaso d’oro, 1813) o una regressione all’indistinto come in Fouqué appunto o in Tieck. 2 In “Bohmen liegt am Meer” l’io lirico si definisce come “boemo” e “vagante” che proprio per questa sua condizione sperimenta il confine e il limite, un confine che nasce autonomamente dall’attività dell’io lirico. 3 In un articolo che prende l’avvio da “Curriculum vitae” e dalla terza lezione francofortese, Sabine Gölz contesta Derrida e accentua la reciprocità speculare tra soggetto e oggetto.

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(1926), si diceva affascinata da questa donna che considerava le “colpe” Ernestina Pellegrini umane come “schegge di marmo, frammenti inevitabili, che si accumulano, nello studio dello scultore, intorno al capolavoro incompiuto” (Yourcenar 189- Le spietate 207). Luigi Meneghello, apre il Dispatrio, così: “Death qui in Inghilterra non è

donna, naturalmente, non porta la veletta coi lustrini, non va a dire ai

giovanotti orfici ‘Je suis ta mort’: ma nel complesso non è nemmeno uomo, è un transvestite” (Meneghello 1993, 7). “Commiato” è una parola ambigua, Scegliendo il titolo “Le spietate”, mi sono ricordata di un pezzo di bruttissima. Pone l’accento sull’evento della morte come separazione da Marguerite Yourcenar, raccolto nel volume dal titolo Il tempo, grande questo mondo, escludendo il lato ignoto, più avventuroso, letterariamente, scultore, che inizia in modo poco promettente, risvegliando polverose della faccenda (per intendersi “l’altra metà del frutto” di rilkiana memoria). questioni: Nella lingua italiana, morte ‒ questa cosa in fondo molto spiacevole e che qualcuno ha definito ironicamente “un terribile spreco di tempo” ‒ è un Mi viene chiesto di collaborare a una raccolta intitolata Les coléreuses (Le arrabbiate). Il titolo non mi piace: approvo l’indignazione, che ai giorni nostri sostantivo femminile; forse per questo, mi sono detta, Liana Borghi e Rita ha tante e tante occasioni per manifestarsi, ma non posso dire di approvare la Svandrlik hanno scelto la parola “commiato” per intitolare al maschile, con collera: un piccolo attacco individuale di rabbia che scredita, toglie il respiro e acceca. E non mi piace neppure che la raccolta sia esclusivamente riservata a sottile spietatezza, la lugubre silloge dei saggi raccolti in questa sezione. Le scrittori donne. Non ripristiniamo i compartimenti per signore. (Yourcenar donne e la morte, dunque. Materia sterminata. Avrei potuto annoiarvi con 1985, 79) rassegne bibliografiche sull’argomento, di studiose che si sono occupate, nelle

Eppure, è sempre la Yourcenar che, quando compone le “Trois Elisabeth ”, diverse discipline e da punti di vista molteplici, del tema della morte. Faccio decide di costruire “ricche di tenebre” due figure su tre, per cui accanto a solo qualche nome: Ann Beth Bassein, Regina Barreca, Elisabeth Kubler Ross, Elisabetta d’Ungheria, la santa, mette l’imperatrice Elisabetta d’, che Patrice Van Eersel, Paula Pira, Lucia Venini, Maria Teresa Palmieri, Marie- compensa il suo malinconico narcisismo di amazzone coronata bevendo ogni Louise von Franz, e Elisabeth Bronfen. Ricordo poi che un gruppo di ricerche mattina un bicchiere di sangue caldo fatto venire dal mattatoio, e la strega interdisciplinari di studi su “La Femme et la Mort”, è stato creato Elisabetta Bathory che, in Slovacchia, aveva raggiunto un certo virtuosismo all’Università di Toulouse e ha portato alla pubblicazione di un interessante nello sperimentare tutta la suprema “imbecillità del crimine” (Yourcenar 89- volume nel 1984. Ma anziché entrare in problemi di carattere teorico e 97). Componendo poi le delicate Elegie sepolcrali (una del 1926; e le altre del generale, vorrei usufruire della libertà di “sconfinare”, presentando alcuni 1969 e 1976), la Yourcenar, disegnando il profilo di Jeanne de Vietinghoff materiali disparati, geograficamente e cronologicamente, seguendo un

112 percorso un po’ a sorpresa. immarcescibile stilnovismo e di ogni sentimentale e romantica “morte del tu”. Michelle Vovelle, in La morte e l’Occidente, dice, statistiche alla mano, che Si pensi, solo per rimanere in area italiana, al pavesiano “Verrà la morte e avrà “l’idea della morte rimane più familiare alle donne” (Vovelle 1986, 87). i tuoi occhi”; o a Nostra Signora Morte di Giorgio Voghera; o alla bella Bachofen, nei suoi studi sul matriarcato e su Il simbolismo funerario degli straniera in elegante tenuta da viaggio nel Gattopardo di Tomasi di antichi (Bachofen 1989), ha raccontato come le divinità femminili Lampedusa. Così, la donna veste ancora una volta le vesti di Psiche, il ruolo detronizzate, ad opera di forme religiose vincitrici, di epoca più tarda, abbiano dell’intermediaria fra i due mondi, per redimere nel linguaggio le potenze continuato ad esistere solo come rappresentazione del principio demonico del mute e latenti della natura. In un recente studio di Elisabeth Bronfen, Over male, e siano diventate tanto più cupe quanto prima erano state espressione her Dead Body, si affronta la questione dei rapporti fra morte e femminilità, del lato più luminoso e fecondo della vita e della natura. proprio cominciando a dimostrare come il corpo della donna abbia I culti femminili sconfitti si sono progressivamente colorati di nero, hanno rappresentato, nel corso dei secoli, nell’immaginario occidentale, il luogo assunto una forma demoniaca di fronte a un dio apollineo, che non ha avuto superlativo dell’alterità, fino a concretizzarsi nelle rappresentazioni della più nessun rapporto con la Morte e con il dissolversi delle forme. Insomma, donna morta, oscillando fra un eccesso di significazione simbolica e una nella peste del nostro immaginario occidentale, con simboli di lunghissima materialità muta, desimbolizzata. L’interessante studio, che spazia in un vasto deriva e di difficile estirpazione, sopra ci sarebbe la chiara eternità del regno repertorio iconografico e narrativo, fermandosi con particolare attenzione su della luce, sotto ci sarebbe l’oscuro Regno delle Madri, l’inferno delle micidiali materiale di artisti ottocenteschi e novecenteschi, dimostra come l’incontro fra Menadi, il territorio della caducità sublunare, il tellurismo con tutti i suoi due elementi carichi di enigmaticità, quali la donna e la morte, abbia portato, orrori e misfatti. In moltissime culture, le donne sono state investite del ruolo in certa produzione romantica e quindi simbolista e decadente, ad di vestali delle estreme soglie, con il privilegio biologico di dare la vita e la un’enfatizzazione tale che ha fatto sì che il cadavere femminile diventasse non condanna culturale di impersonare, talvolta, nello spaurito immaginario di solo l’oggetto ma addirittura il catalizzatore stesso dell’operazione estetica, in qualcuno, la dama nera, la scarmigliata moira che recide il filo dei destini. quanto raffigurazione di un mistero (Bronfen 1992, xi). Spesso, infatti, le Amazzoni, che mostrano il lato oscuro, sterile e negativo Perché, mi sono chiesta, al di sotto di questa raffigurazione si è insinuata della natura femminile, venivano rappresentate nei sepolcri antichi come le una latente e terrificante carica di sensualità? Ho deciso, allora, di fornire, in protettrici delle tombe. Anche Medusa appare in tutto il suo orrore a Perseo in questa occasione, un campionario di risposte femminili ad alcuni di questi punto di morte. Il mondo materiale a lungo, insomma, ha voluto riconoscere stereotipi che legano le donne al regno della morte. Ho deciso di andare a un’unica origine, quella materna. Forse non è da sottovalutare il fatto che nelle vedere come alcune scrittrici abbiano fatto la pelle alla retorica dei buoni personificazioni della morte, in letteratura, abbondi il genere femminile. sentimenti di ascendenza romantica, svalutando, caricaturizzando, Basterebbe fare un sintetico inventario di “morte dolce”, dove la donna capovolgendo, svuotando dall’interno quella che Philippe Ariés ha definito “la impersona “l’angelo della buona morte”, l’amplificazione stucchevole di un morte dell’altro ”, la scomparsa dell’essere caro, e come siano andate a cercare

113 la propria parte d’ombra, il proprio doppio interiore ‒ “la Pazza interiore” , sconvolgente, commovente, carica di erotismo, dei primi duecento anni (di un come la chiama Linda Schierse Léonard (1991, 137) ‒ annidato in un rimosso morto vivente)” (Rice 1977, 15) fino alle comiche succhiatrici di sangue della cuore di tenebre. Mi piace avventurarmi, senza alcuna ambizione di scrittrice austriaca Elfriede Jelinek, che in Krankheit oder Moderne Frauen sistematicità e col gusto dello sconfinamento e dell’entropia cronologica, nel (1987) capovolge ironicamente i modelli incarnati dalla Carmilla di Le Fanu e regno della spietatezza femminile, in quegli spazi letterari dove si legano dalla perturbante Signorina Cristina di Mircea Eliade. Del resto, già lo storico morte e paura. Come narrano alcune scrittrici le loro storie notturne? Direi Michel Vovelle, nel 1983, notava che “Dracula è in buona salute, ma ha che in molti casi prendono il punto di vista del personaggio “negativo”’, con generato soprattutto figlie” e che la “femminilizzazione del vampiro, un tratto pietas capovolta. universale”, ha condotto nella serie americana al personaggio di Vampirella, e, Si può seguire un itinerario fra i tanti, per esempio quello che comincia da nella produzione fumettistica italiana, in una chiave differente, “a eroine Mary Shelley, che costruisce il suo mostro con pezzi di cadaveri e che verso avvenenti e sessualmente attivissime che si chiamano Jacula, Zora, Belzeba, quella creatura fabbricata e gettata via come un prodotto mal riuscito, prova Shatana o Lucifera” (Vovelle 215). un forte senso di identificazione e di solidarietà, e lo fa parlare in difesa di sé Continuando la visita un po’ antiquaria, fra i reperti fossili delle ave e delle con le argomentazioni della filosofia illuminista e radicale. Si ricordi lo vecchie zie della letteratura, creando un’atmosfera da “Arsenico e vecchi splendido monologo finale del mostro, che la Shelley chiama The being, merletti”, si passa davanti a Emily Brontë di Cime tempestose, col personaggio l’essere: di Caterina che con un’espressione vendicativa e selvaggia dice “Io sono Heathcliff”, e poi afferra l’uomo disperatamente amato per i capelli gridando: Ma nella mia infelicità non cerco simpatia. Non ne troverò mai. All’inizio, “Non avrò pietà di voi, no, non ne avrò. Mi avete uccisa, avete abusato di me, quando l’ho cercata, desideravo condividere l’amore per la virtù e i sentimenti di felicità e di affetto che traboccavano da tutto il mio essere. Ma ora che la vi dico... Che cosa vuoi che m’importi delle tue pene? Perché tu non dovresti virtù è diventata un’ombra per me, e che felicità e affetto si sono trasformati in soffrire? Io soffro! Mi dimenticherai? Sarai felice quando io sarò sotto terra?” disperazione e amaro disgusto, perché dovrei cercare simpatia?... Quando scorro il catalogo pauroso dei miei peccati, non posso credere di essere la (Brontë, 1981, 164). Non può mancare, in area supercontrollata e stessa creatura i cui pensieri erano una volta pieni soltanto di sublimi visioni intellettualistica, la Cerimonia degli addii di Simone de Beauvoir, che descrive della bellezza e della grandezza del bene. Ma è così, purtroppo: l’angelo che cade diventa un angelo malvagio. Eppure, anche quel nemico di Dio e la fine di Sartre e gli dice: “Siete in trappola; non ne uscirete e io non vi dell’uomo ha degli amici e dei compagni nella sua desolazione; io sono solo. raggiungerò: se anche mi seppelliranno al vostro fianco, tra le vostre ceneri e i (Shelley 1982, 231) miei resti non vi sarà comunicazione alcuna” (De Beauvoir 1983, 3). Sembra Ci sarebbe tutto un capitolo da aprire, piuttosto vasto e con complicazioni fare eco Cristina Campo che in Passo d’addio scrive: “Moriremo lontani. Sarà vagamente psicanalitiche, su questa identificazione col mostro, di autrici che molto / se poserò la guancia nel tuo palmo / a Capodanno;... / ... / ... ma di noi fanno fra l’altro il verso, la parodia di un genere al nero: dai vampiri / sopra una sola teca di cristallo / popoli studiosi scriveranno / forse, tra mille emarginati di Anne Rice, che vuole offrire una “confessione ipnotica, inverni: / ‘nessun vincolo univa questi morti / nella necropoli deserta’”

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(Campo 1991, 20). sdoppiamento della personalità che si moltiplica in alter-ego persecutori, e Queste tre ultime citazioni potrebbero essere viste come la risposta di infine delle sue fantasiose, strazianti pulsioni autodistruttive, volgendosi un’Isotta un po’ risentita a un pomposo Tristano, contro ogni farsa di aggressivamente contro i modelli di estetica femminile dominanti: infinitizzazione del desiderio nella morte. Si può incontrare poi la Edith Wharton di Storie di fantasmi, che fa pronunciare all’infelice protagonista del Ricordavo i cadaveri... l’infermiera strabica... i venti chili acquistati con l’insulina.... Forse l’oblio come una bianca nevicata avrebbe attutito e coperto racconto “Semi di melograno” una parola definitiva sulla percezione tutte queste cose. Ma facevano parte di me. Erano il mio paesaggio. (Plath extrasensoriale fantasmatica e soprannaturale: “Penso che tutto quello che 1979, 204) riguarda un fantasma sia sbiadito” (Wharton 1995, 75); e si trova poi la Karen L’esposizione delle piaghe di Esther, miracolosamente scampata alla morte, Blixen di Sette storie gotiche, in cui si incontrano angeli della morte ricorda il macabro esibizionismo di “Lady Lazarus”, in cui la rediviva solleva il sottilmente sadici, come le due sorelle zitelle di “La cena a Elsinore”, che di sudario per il suo clamoroso strip-tease: fronte al fantasma del fratello morto impiccato ’tendeva[no] verso il basso e l’uno accanto all’altro i nastri della cuffia, come se tirasse[ro] una corda Via il drappo / O mio nemico! / Faccio forse paura? / Il naso, le occhiaie, la (Blixen 1994, 272), o come Francine del racconto “Il poeta” che uccide il chiostra dei denti? / ... / La folla sgranocchiante noccioline / Si accalca per vedere / Che mi sbendano mano e piede / Il grande spogliarello. / Signori e platonico Consigliere: signore, ecco qui / ... / Morire / un’arte come ogni altra cosa. / Io lo faccio in un modo eccezionale / ... / Dalla cenere io rinvengo / Con le mie rosse chiome / E mangio uomini come aria di vento. (Plath 1976, 25-27) Se anche Francine non l’aveva udito, l’aveva capito attraverso il contatto. Che il mondo era bello e buono, questo voleva dirle; ma ella sapeva ben altro... I morti che tornano, nelle poesie della Plath, appartengono a una memoria “Va’!” gli gridò. “Va’... poeta!” Con entrambe le braccia sollevò la pietra alta sul proprio capo, e la scagliò persecutoria, hanno parvenze vampiriche, come in “All the Dead Dears” [I cari sull’uomo ai suoi piedi. morti], per arrivare a toccare la parte sepolta della propria ulcerata identità Il sangue sprizzò da tutte le parti. Il corpo, che un secondo prima aveva femminile, quella delle “streghe”, delle “outlaws”: posseduto un equilibrio, uno scopo, una concezione del mondo circostante, si accasciò su se stesso, e giacque sulla nuda terra simile a un fardello di vecchi cenci, così com’era caduto, alla mercé delle leggi di gravitazione. (Blixen 1989, Come ci afferrano sottili e spessi, / Questi morti a ventosa! / Non è una mia 420) parente e tuttavia / Parente è questa signora: succhierà / Sangue, mi svuoterà tutto il midollo / Per dimostrarlo. Io medito sulla sua testa / E ora dal cristallo col fondo di mercurio / Madre, nonna e bisnonna / Fanno un cerchio di In questo montaggio di contrapposte sequenze si può incontrare il racconto streghe, vogliono prendermi dentro... (Plath 1976, 131) della “morte in diretta” di Silvia Plath, che attira il lettore in una dinamica voieuristica, presentando nel romanzo autobiografico La campana di vetro il Come dimenticare poi “The Ghost’s Leavetaking” [Il commiato del proprio volto sgradevole e depressivo, lo spettacolo perversamente fantasma], in cui ci si congeda ironicamente dal portavoce impostore di un esibizionistico della sua malattia, del suo degrado fisico, dei fenomeni di aldilà di contrabbando, che cela le proiezioni più ingrate di una psiche allo

115 sbando, decisa a compiere a tutti i costi la sua discesa agli Inferi: Di continuo, mi riappariva Aracoeli; anzi non proprio lei, ma l’oscuro suo corpo di carne, quale una caverna di stupendi misteri e di tenebre cruente. Là dentro germinavano occhi, mani e capelli, vi abitavano pupi e reginelle Entra nella gelida terra di nessuno delle / Cinque a un dipresso del mattino, prigioniere, ne sgorgavano latte zuccherino e sangue.... Era un focolaio di vuoto del non-colore / ... / È questo il regno dell’apparizione che svanisce, / morbi? era una magione di Dio? forse, come una serpe, vi si torceva la mone? Fantasma oracolare che su gambe a spillo digrada / A un nodo di biancheria, il (Morante 1982, 235) classico mucchietto di lenzuola / Alzato su, come una mano, in segno di addio. / ... / Va’, fantasma di nostra madre e nostro padre, fantasma di noi, / E Ci si ricorda, allora, del risentito monologo contro i crimini delle mamme, fantasma dei figli dei nostri sogni... / ... / Salve e addio. Ciao carissimo, o custode / Del graal profano, del teschio sognante. (Plath 1976, 134) che è fatto dal padre di Arturo, nel romanzo L’isola di Arturo (esempio di misoginia femminile, questa della Morante, che non ha niente da invidiare ai Testimonianze di un materialismo infelice ma irriducibile ‒ ritrovabile registri fobici di Gadda), e ci si ricorda della splendida dedica “A Lucia” di Lo anche in altre due splendide poesie, “Due vedute di sala anatomica” e “Morte Scialle andaluso, in cui la Morante sembra riconciliarsi con la sua parte & C.” (Plath 1976, 129; 41), che raggiunge il suo apice nell’ambiguo impasto di d’ombra: “Tu sei l’uccella di mare, che ha fabbricato il suo nido / sulla ribrezzo e intenerimento della celebre “Daddy”, nella sfida ad ogni retorica scogliera torva, fra le sabbie nere. / Né fili d’erba su quei tumuli atroci / né sentimentale (il capovolgimento, come dicevo prima, del modello romantico voci d’altre famiglie. Solo echi di strage / rompono lì, dal largo, su trombe e della “morte del tu”): campane d’acqua....” (Morante, 1988, 1407).

Non servi, non servi più,/ O nera scarpa, tu / In cui trent’ anni ho vissuto / La pietà senza pietà della Morante, questa forma non convenzionale, Come un piede, grama e bianca, / Trattenendo fiato e starnuto. / Papà, provocatoria di pietà, senza lamentosi monologhi o intonazioni ammazzarti avrei dovuto.... (Plath 1976, 69-75) melodrammatiche o effetti teatrali, si accentua nei frammenti del Diario 1938 Così simpaticamente spietata, a suo modo, può apparire la scrittrice Silvina (Morante, 1989), al quale la scrittrice affida soprattutto il registro della Ocampo, che nel racconto “Lenzuola di terra” (Ocampo, 1989, 67-71) descrive propria “autobiografìa subliminale” ‒ come la definisce Alba Andreini l’assorbimento da parte della natura di un incauto ed efficiente giardiniere, di nell’Introduzione (Morante 1989, x) ‒ passando in rassegna sogni, incubi, cui scompare prima un braccio, fra un leggero solletichio di lombrichi desideri, frustrazioni, come se il diario fosse una liberatoria discarica. Vi si indifferenti, quindi l’intero corpo cancellato dalla pioggia e dall’erba, in un trova espressa anche la paura di perdere la propria forza intellettuale e trionfo della morte come annientamento tellurico-materno, incubo di creativa, vissuta con un continuo senso di ambivalenza e di colpa, come se reinfetamento e di perdita dell’autonomia dell’io nell’indistinto non-essere. fosse la parte spuria, rifiutata della sua incerta femminilità, come si capisce Morte come agghiacciante regressione, come risucchio materno. È la stessa bene dal frammento “La morte di K.”: impressione che ci viene descritta dal perenne adolescente Manuel, protagonista del romanzo Aracoeli di Elsa Morante, quando pensa alla madre: spaventevole. Fra poco avrà la morte. E lo sa, questo è terribile. E sono le sue gambe che camminano per andarci, chiudersi dentro la tomba, con la benda nera.... Addio K, caro K. (Morante 1989, 40-42)

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Come al solito, quando mi sento bella, prendevo gli atteggiamenti superiori e quarantina si sente invecchiare, si sente respinta, e percepisce il mutamento sicuri che ci volevano. Raccoglievo e buttavo via con negligenza i libri che della rabbia in desiderio di vendetta e paranoia, e così si mette a scrivere avevo davanti a me, ma in me c’era una particolare cupezza.... Nessuno pareva badare al fatto che là contro la stessa parete della biblioteca c’era un letto, o Buongiorno mezzanotte (1939): meglio una culla tutta coperta di veli chiari. In quella culla lussuosa moriva Franz Kafka.... È alto, tutto vestito di un abito borghese scuro, ha perfino il cappello in testa. [...] Vedo ora che sul suo vestito scuro hanno posto una Sì, sono triste, triste come una leonessa da circo, come un’aquila priva di ali, vesticciola da ragazza, sbottonata dietro e piuttosto corta e larga, a fiori vivaci come un violino con una corda sola e per di più rotta, come una donna che gialli, rossi e blu, di cretonne ordinario. Lui sta fermo in piedi, e lascia fare. invecchia.... Triste, triste, triste... però se dicessi ‘merda’ forse sarebbe lo [...] E pensare che lui fra poco.... Guardo il suo viso bruno, vivo, cerco di stesso.... Non importa.... Un giorno, all’improvviso, quando meno te l’aspetti, immaginare il suo stato. Che penserà? Che sentirà? arrivato quel momento. prenderò un martello fra le pieghe del mio nero mantello e ti frantumerò la testolina come si schiaccia il guscio di un uovo. (Rhys 1993, 191) Kafka, anzi K., adulto agonizzante in una culla, vestito un po’ da impiegato Il femminile folle, la propria “pazza interiore ”. Quando Virginia Woolf un po’ da fanciulla in fiore, diventa per la Morante la fantasmagoria scriveva Le onde, era tormentata dalla paura della sua malattia psichica e burocratica e squallidamente indefinita di un mondo superiore, di un’esigenza immaginava un’onda dolorosa che si gonfiava nella regione del cuore e la di assoluto che mostra tutta la poesia e insieme la desolatezza di una tale sballottava, la travolgeva. Così scriveva nel Diario: sublime, patetica ricerca: insomma, cattiva infinità.

Ma i rimpianti e i rimorsi vengono lasciati alle spalle appena ci si avventura Sono infelice, infelice!... Mio Dio vorrei essere morta!... Ma perché dunque fra le pagine di Joyce Carol Oates che apre il suo Expensive People col sentire questo? Lasciatemi guardare.... Il fallimento.... Il fallimento, il fallimento! Vorrei essere morta! Spero di non avere più che pochi anni da mirabile attacco: “Ero una bimba assassina. Non un’assassina di bambine, per vivere! Non posso affrontare quest’orrore”. (Woolf 1981, 191) quanto possa essere un’idea. Voglio proprio dire una bimba assassina, cioè un’assassina che guarda caso è anche una bambina o una bambina che guarda E parlava di un “pozzo” in fondo al quale doveva discendere, per catturare i caso è anche assassina. Fate voi.” (Oates 1968, 5). Ma si potrebbe citare per temi liquidi, magmatici, che la tormentavano. Scendere nei pozzi della vita e intero anche dal mirabile inizio di The Assassins: “I was born. It was born. So negli abissi della follia. Laggiù stava la materia della sua arte. Lo aveva intuito it began. It continues. It will outlive me...” [Ero nata. Era nato. Cominciò così. già quando scriveva Al Faro e si identificava con la sterile Lily, che fingeva di E continua. Mi sopravviverà] (Oates 1975, 6). La perversione, la violenza, è dipingere e che tirava in ballo emozioni che non provava, almeno fino al studiata e ritratta, nelle opere della Oates, da una fredda, compassatissima momento in cui non era entrata in contatto con le vibrazioni dell’assenza e si intelligenza. La temperatura si alza, invece, quando si arriva al cuore stesso era lasciata andare al viaggio all’indietro, alla madre che le mancava e che della dipendenza, fra scrittrici che si sono totalmente e dolorosamente forse l’aveva sempre dominata e le aveva impedito di vivere soffocandola con identificate, anche nella vita, con il “femminile folle”, il femminile rifiutato la propria ineguagliabile generosità, una generosità crudele, possessiva, dalla società. Penso, solo per fare un esempio, a Jean Rhys, quando, sulla fagocitante. Scopre dentro di sé le molteplici voci femminili delle Onde: allora è Rhoda che esalta la notte e ama le metamorfosi, fino a smarrire l’identità,

117 senza volto, senza figura, come la schiuma sulla spiaggia; ma è anche Susan, noi qui del sottoterra ecco diremo / una messa dei morti per i vivi. / Morti... vivi... divisi! e i redivivi? / e chi ha il cancro? gli in coma? i semivivi? / Oh piena di odio, disperazione, amore, come le tempeste marine, che poi però notte, testimone di smeraldo, / che umiliazione per un po’ di affetto! fanno un sceglie la normalità convenzionale, diventa madre, si chiude nel cerchio della tale groviglio nel mio petto/ tutte queste cose che non capisco. / ... / Dò all’aria due manciate del mio sangue / per il suo chiaro.... E sarà il nero ancora. / Oh famiglia, rinuncia alla natura, sentendosi prigioniera per sempre del carcere notte solo mia! (Valduga 1991, 10) che si è scelta. La pazza interiore. Ecco, la signora Rochester in soffitta, appostata dietro la Anche Sara Virgillito, dalla sua caverna mistica, parla a un imprendibile porta, in ]ane Eyre (1847) di Charlotte Brontë: raramente il delirio edipico, il Orfeo: “Perché mi chiami Orfeo, perché dai pallidi varchi...” (Virgillito 1954, senso di colpa ma anche il desiderio di libertà e di rivolta, giungono a simili 11). E ancora, nello splendido poema visionario Incarnazioni del fuoco: “Vuoi torturanti intensità. Ecco, poi, in esplicita conversione cosa diventano queste ingannarmi ‒ o forse / giocare soltanto / come gli Dei sanno giocare: / crudeli, faccende interiori in Sciarra amara (1977), in Fendenti fonici (1982) e in La inattaccabili / dalla nostra lordura / gonfia di miasmi, incuranti della nostra clausura (1987) della scrittrice siciliana Jolanda Insana, che si definisce una fragilità / che li desta, anzi, al contrattacco” (Virgillito 1991, 228). Mi “spietata Penelope ”, una “studiatora di trappole linguarde” e dice di amare piacerebbe farvi ascoltare come suoni la risposta di Euridice a Orfeo, come solo “la parola che salta sul filo dell’alta tensione”: dall’oscura miniera delle anime che “corrono nel buio come vene d’argento, silenziose” (Rilke 1978, 31), finalmente Euridice trovi la forza di rispondere, se è questo che vuoi mi mozzo la mano e tene faccio / dono / bellezza come arrivi a forzare il muro di un’identità muta e chiusa in se stessa. cannibalica ma non espongo il sacrificio / perché non so che farmene della Ricordate la splendida traduzione di Pintor di Rilke?: “Ma ora seguiva il gesto verità svergognata / o con quale colpa ricorrere alle madri per il primo / cilicio / e dunque mi riprendo la mano e ti carpiono. (Insana 1987, 8) di quel dio, / turbato il passo dalle bende funebri, / malcerta, mite nella sua pazienza. /.... / Era in se stessa, e il suo dono di morte /le dava una pienezza In questo excursus rocambolesco nei territori della spietatezza femminile, /.... / Era radice ormai. / E quando a un tratto il dio/ la trattenne e con voce di che dovrebbero lasciarvi soltanto l’impressione di un turbinio di neri veli dolore / pronunciò le parole. Si è voltato ‒, / lei non comprese e disse piano: evanescenti, come se a parlare fosse un unico centogambe della letteratura Chi?” (Rilke, 1978, 31). Cito da La presenza di Orfeo (1953) di Alda Merini: femminile attraverso i secoli e le differenti culture, è possibile rintracciare i relitti vari, i graffiti di una vendetta scritta, per cui se scandalo ci deve essere ‒ Orfeo novello, amico dell’assenza, / modulerai di nuovo sulla cetra / la figura è importante sottolineare il concetto ‒ questo scandalo non si annida in un nascente di me stessa. / Sarai alle soglie piano e divinante / di un mistero assoluto di silenzio, / ignorando i miei limiti di un tempo/ godrai il possesso certo tipo di scrittura femminile ma in ciò che, molto prima, l’ha provocata. della sola essenza. / Allora concretandomi in un primo / accenno di presenza, Pensiamo alla Donna di dolori di Patrizia Valduga, che può essere letta come / sarò un ramo fiorito di consenso, / e poi, trovato un punto di contatto, / ammetterò una timida coscienza / di vita animale/ e mi dirò che non andrò una voce dall’aldilà che stila un atto d’accusa per il mondo dei vivi: più oltre / mentre già mi sviluppi, / sapienza ineluttabile e sicura, / in un gioco insperato di armonie / in una conclusione di fanciulla.... / Fanciulla: è questo il termine raggiunto? / E per l’addietro non l’ho maturato/ e non l’ho

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poi distrutto / delusa, offesa, in ogni volontà? / Che vuol dire fanciulla / se non superamento di coscienza? / Era questo di me che non volevo: / Sarebbero ancora tante le autrici e pressoché infiniti i testi che mi Condurmi, trascurando ogni mia forma, / al vertice mortale della vita.... (Merini 1953, 19; Pellegrini 59-71) piacerebbe presentare in questa rassegna arbitraria che ha soltanto il compito di far risaltare il succo concentrato di certi frammenti letterari senza spiegarli, Ma ancora più forte può risuonare la risposta che dà Marguerite Duras nel esposti così, con l’esclusiva tecnica del montaggio, di un mio parzialissimo, testo teatrale La malattia della morte, in cui sembra rivolgersi ad un Orfeo in anzi fazioso montaggio. Mi sia permesso almeno toccare di sfuggita un tema preda a dolori abbandonici, che ha posseduto la sua donna a pagamento sviluppato altrove in questa raccolta che riguarda l’estetica dello sterminio mentre lei dormiva o fingeva di dormire (i due attori, dice la Duras, nella scrittura delle donne. dovrebbero parlare come se stessero scrivendo il testo in camere separate, Voglio dire che questo mio itinerario non è stato esclusivamente un divisi l’uno dall’altra): vagabondaggio nei territori del fantastico, ma ha voluto muoversi nella direzione indicata da Adrienne Rich con The of a Common Language Un giorno lei non c’è più. Voi vi svegliate e lei non c’è. Se n’è andata nella notte. Nelle lenzuola vi è ancora la traccia del corpo, fredda. [...] Lei non (1978), in cui c’è sì la ricerca dell’utopia, del luogo altrove (la parte dei ritornerà mai. [...] Di lei non conoscete che il corpo addormentato sotto gli “”), ma dove avviene anche una potente operazione di decostruzione occhi chiusi o socchiusi. La penetrazione dei corpi voi non potete riconoscerla, non potete riconoscerla mai. Non lo potrete mai. Quando avete pianto, era su intellettuale e simbolica che riesce a far parlare la dimensione nuda del reale voi solo e non sulla mirabile impossibilità di raggiungerla attraverso la (per cui, per esempio, davanti a un corpo bruciato, per il quale c’è un vuoto di differenza che vi separa. (Duras 1993, 41-70) linguaggio, è il corpo stesso a significare, dando voce al male, all’imperfezione Non è forse leggibile in questa stessa chiave, mi sono chiesta, anche il del mondo, alla sua sgrammaticata semantica, a tutto ciò che appartiene romanzo Il Kit della morte di Susan Sontag, in cui una ragazza cieca ha il appunto a “The Common Language”). Davanti all’indicibile dell’orrore storico ruolo di “Psiche ”, perché assorbe nel suo mondo di tenebre, tutto dell’inferno dei Lager, c’è chi, e cito a caso, come Giuliana Tedeschi, in C’è un interiorizzato, un giovane trentatreenne, divorziato, che lavora in un’industria punto della terra... (1991) tocca le corde più profonde della femminilità, e chi, di strumenti scientifici, ponendolo a contatto con le proprie pulsioni come Liana Millu, con Il fumo di Birkenau (1979) si affida a venature distruttive ed autodistruttive (di suicida fallito, di omicida forse immaginario): melodrammatiche, nel senso alto della parola, e infine chi, come Cordelia Edvardson, con La principessa delle ombre (1992), racconta la sua storia di Senza essere veramente vivo, Diddy aveva una vita. Non è esattamente la esclusione e sofferenza, alla quale si era sentita destinata da sempre stessa cosa. Vi sono persone che fanno tutt’uno con la propria vita. Altre, come Diddy, che la abitano semplicemente. Come inquilini insicuri, che non sanno dall’eredità illegittima del padre ebreo e dalla madre che, rimasta sola, mai esattamente fin dove si estende il loro appartamento o quando scadrà il “violentata dalle proprie visioni”, le aveva letto “un piccolo canto sui venti contratto.... La loro sopravvivenza dipende da questa condizione d’accecamento. Ma quando questo liquido evapora, appare una vita glaciali che soffiano fuori nel mondo freddo e tenebroso”, e le aveva dedicato sottostante, ignorata, fetida, spaventosa. (Sontag 1973, 7) un romanzo intitolato Proserpina. Ella sarebbe finita in un campo di

119 concentramento, e sarebbe sopravvissuta. Ma qui mi interessa sottolineare solo la parte finale del capitolo cinque della parte seconda di questo libro sconvolgente, in cui Euridice, strappata al regno degli Inferi ‒ che è su questa terra e in nessun altro fantastico altrove ‒ non riesce a trovare più dentro di sé una “confidenza e un’intimità da dare. È, insomma, la storia di una pietà distrutta. Ma Orfeo, in questo caso, in silenzio capisce. Ed è con questa citazione che vorrei finire:

Egli capì che era una sonnambula in bilico su una corda allentata tesa sopra l’abisso.... Si incontrarono e lei rimase con lui, egli non la tratteneva, estraneo com’era a qualsiasi forma di esercizio del potere, ma le offrì se stesso e la sua mancanza di pretese. Non cercò mai di costringerla a una confidenza e a un’intimità che lei non poteva dare, ma vegliava premuroso e perseverante accanto alla soglia del suo distacco. Non intraprese nessuna marcia di conquista dentro la sua Terra di nessuno, ma attendeva paziente che la notte finisse, che lei si destasse da sé. (Edvardson, 135).

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NOTE PER UNA DISCESA AGLI INFERI

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vita al di là dei vincoli del mondo fenomenico ‒ ora nuvola, ora farfalla ‒ Uta Treder sperimenta il dolore dell’inviduazione e sogna di ricongiungersi con l’elemento ctonio che l’ha generata. Orfea discende agli Inferi Mi sembrò di essermi separata dall’intima vita della madre e di aver errato, bimba smarrita, negli spazi dell’etere. Mi venne da piangere, e inondata di lacrime scesi giù verso il grembo materno. Il tema della discesa agli Inferi, tema classico del romanzo gotico e del suo Calici variopinti cugino tedesco il “Bundesroman” o romanzo massonico, non viene trattato che di fiori odorosi accolsero le lacrime ed io li penetrai, raramente nella letteratura romantica tedesca forse perché considerato come tutti quei calici, appartentente ad un genere “basso” nel quale l’iniziazione era scaduta a livello scivolando verso il basso, attraverso i fiori, di intrattenimento. Tuttavia, il primo Romanticismo tedesco può vantare sempre più in fondo, almeno una discesa nelle viscere della terra ed è quella che Heinrich von fino al grembo della segreta Ofterdingen, protagonista dell’omonimo romanzo di Novalis, compie nel fonte di vita. (Gunderrode 2, 15 )1 quinto capitolo quando scende nella caverna del conte di Hohenzollern che gli insegna il senso della storia e lo illumina sulla sua storia passata e futura. Questa discesa non ha niente di orrifico; è il dolore per la separazione dalla Nelle donne romantiche invece, anche perché in senso stretto sono poche, il propria origine, dal “grembo materno ”, che spinge il soggetto lirico femminile tema è pressoché completamente assente. Bisogna aspettare Annette von a ricongiungersi “con la segreta fonte di vita”. Divenendo letteralmente Droste-Hülshoff, scrittrice dichiaratamente anti-romantica, e il suo romanzo l’espressione di questo dolore, cioè una lacrima, l’io lirico vive la discesa come giovanile Ledwina, scritto negli anni 1819-1826, perché il tema della discesa uno scivolare giù attraverso una distesa di fiori odorosi. Questa visione evoca agli Inferi acquisti una certa consistenza. il magico superamento dei limiti della propria individualità e culmina nel Ma a dire il vero già lo troviamo in una poesia di Karoline von Günderrode. ricongiungimento con chi l’ha fatta nascere. Giunto alla sua meta, al grembo Si tratta della poesia “Einstens lebt’ ich ein süßes Leben” (“Una volta vissi una materno, il soggetto lirico è di nuovo partecipe del tutto cosmico, del cosmico vita meravigliosa”), contenuta nella prima raccolta lirica Gedichte und principio materno, uno e indivisibile, da cui tutta la vita ha origine. Phantasien [Poesie e fantasie] del 1804. Alla fine di questo testo, un io lirico L’estatica visione del ricongiungimento con la madre potrebbe essere una sicuramente femminile, che aveva immaginato di aver vissuto nel passato una rielaborazione molto personale del mito di Demetra e Persefone, perché nella

122 poesia di Karoline von Günderrode la madre è innanzitutto la madre terra. A Una volta caduta nella tomba, Ledwina vi trova un cadavere che è proprio differenza di Demetra che nella mitologia greca è costretta a patteggiare con il quanto ha “di più caro al mondo” (Droste-Hülshoff 37-38). Questa cosa più Signore della Morte, il dio Ade, il ritorno della figlia Persefone sulla terra per cara al mondo si sottrae caparbiamente per tutto il brano ad una sei mesi all’anno, la madre immaginata dalla Günderrode in questa poesia è identificazione col maschile e viene sempre chiamata col genere neutro: “das ancora onnipotente e regna sovrana. Ecco perché è assente la figura maschile, Liebste”. e il ritorno alla primaria integrità psicofisica della donna viene rappresentato Nel sogno di Ledwina l’identità femminile si costituisce attraverso il rifiuto come volontario e estatico viaggio della figlia verso l’elemento ctonio che l’ha del mondo paterno e per mezzo della riscoperta “della parte sepolta di sé generata in una dimensione psichica e insieme metafisica. mediante una regressione al grembo materno” (Bianchi 94). Qui come nella Nel romanzo della Droste la protagonista, una giovanissima ragazza di poesia della Günderrode viene messa al mondo una conoscenza di sé che la salute cagionevole e di indole solitaria, compie la discesa agli Inferi in un donna compie attraverso il congiungimento con l’arcaico sé materno. In sogno dove alcuni elementi del romanzo gotico fungono da cornice. Ancora ambedue i testi è l’amore per la madre perduta la causa della discesa e della prima che il sogno venga narrato, il mondo onirico che sta per dischiudersi ritrovata pienezza psico-fìsica della donna: appena scoperto il cadavere, alla protagonista viene chiamato “pieno di terrori” (Droste-Hülshoff 36), Ledwina lo abbraccia infatti in un atto di amore in cui il ribrezzo è del tutto definizione alquanto fuorviante: il sogno è infatti fonte di inaudito assente. appagamento libidinale per Ledwina perché vi sperimenta il senso di Il testo della Droste va comunque un passo più in là rispetto alla poesia della onnipotenza creatrice di chi rifonda il mondo. Gunderrode. L’abbraccio fra Ledwina e l’arcaica potenza materna genera un In questo sogno la protagonista, mentre si sta recando ad una sapere femminile che si configura come superamento del pensiero astratto. rappresentazione teatrale insieme ad “una quantità di conoscenti”, si trova Esso viene vissuto da Ledwina come coincidentia oppositorum: mentre sopra improvvisamente in un cimitero. L’unica persona che le è rimasta accanto è terra è notte, nella tomba giorno e notte si succedono con inaudita rapidità, “un vecchio, ma trascurabile conoscente” nel quale non è difficile riconoscere mentre il corpo del cadavere è già putrido, le sue mani “sono ancora fresche” e un rappresentante dell’autorità paterna. In questa costellazione ha luogo la “cadevano fiocchi di neve, quantunque l’aria fosse afosa”. discesa di Ledwina nel mondo ctonio che è chiaramente legata al rifiuto del Nella tomba Ledwina disubbidisce una seconda volta all’autorità paterna, mondo patriarcale. La ragazza infatti si svincola “con un mugolìo d’angoscia quando anziché seguire l’invito del vecchio conoscente “di andare con lui”, terribilmente dilaniato” dalla figura paterna. Prima di sprofondare in uno dei concepisce l’idea temeraria di rimanere “per sempre a giacere qui finché non tumuli dove, come Ledwina sa con assoluta certezza, troverà “quanto aveva di fosse morta” (Droste- Hülshoff 38). A questo secondo rifiuto di rientrare nella più caro al mondo”, vede se stessa raddoppiata: ora come “spettatrice” che normalità sociale e simbolica prevista per la donna, presso la tomba compare osserva “la sua stessa immagine frugare nelle tombe mortalmente pallida, coi l’inaspettata figura di un bambino, anch’esso (“das Kind”) di genere neutro. capelli scarmigliati” che svolazzano al vento, ora come “la cercatrice stessa”. Con un tipico spostamento onirico questo bambino viene da Ledwina

123 collegato alla rappresentazione teatrale che ora sembra aver luogo nel attraverso la vivificazione del sé arcaico, il desiderio femminile della parola si cimitero. Il bambino le offre dei frutti, simboli di fecondità, e dei fiori, nei realizza, la parola si fa carne (“affinché vivesse e andasse con lei”). È questa quali la critica ha giustamente ravvisato il simbolo della verginità (Bianchi una estetica femminile blasfema, agli antipodi della separazione fra pensiero e 92). Ledwina accetta solo i fiori con i quali ‒ ed ecco l’idea temeraria farsi corpo, che Ledwina riporta dal mondo dei sogni alla luce della vita reale. corpo ‒ vuole “rimettere insieme il corpo decomposto, affinché vivesse e Quando Ledwina sceglie i fiori con i quali riportare in vita il cadavere, si legge andasse con lei” (Droste-Hülshoff 38-39). che proprio questa azione, paragonabile alla creazione del primo uomo da Rita Svandrlik ha interpretato questo sogno come una versione del mito di parte di Dio (con la differenza però che qui Ledwina, vergine profetica e Demetra e Persefone in cui la madre è sovrana e la figlia compie l’atto di taumaturgica, crea la prima donna e con essa riporta in vita una dimenticata discesa per amore (Svandrlik 106-07). Come invece si vedrà dall’analisi del genealogia materna, fonte e garante della scrittura femminile), le si iscriverà romanzo Consuelo (1842-43), George Sand (il mio termine di comparazione) è nella memoria, “poiché per chi sogna è solo l’ultima impressione a trapassare sempre molto più esplicita e audace delle due scrittrici tedesche. Nella sua nella vita da svegli” (Droste-Hülshoff 39). discesa agli Inferi è sempre presente anche il mito orfico, e la discesa verso Tuttavia, vi è fra i due testi tedeschi e quello francese una fondamentale l’arcaico sé materno è sempre anche discesa verso la potenza poetica, verso la differenza: ciò che per il soggetto lirico della Günderrode e per la protagonista parola che non sia però quella presa in prestito dall’uomo, bensì la perduta del romanzo della Droste è sottinteso, per Consuelo è esplicito: essere artista. parola della madre. Anche Annette von Droste-Hülshoff sogna una estetica Ed eccoci dunque a George Sand la quale, fin dall’inizio, si mostra molto più femminile agli antipodi della separazione fra pensiero e corpo; lo si evince in attenta ad una tradizione letteraria femminile realmente esistente. Infatti modo indiretto ma non per questo meno chiaro. Nel regno paterno la donna è parlare della discesa agli Inferi in un romanzo scritto da una donna significa, esclusa dal logos non solo perché la parola non le appartiene, ma anche perché innanzitutto, parlare del romanzo gotico e della sua maggiore rappresentante, non la contiene, non la nomina. Infatti Ledwina, prima di cadere nella tomba, Anne Radcliff, e renderle omaggio. Annette von Droste-Hülshoff non lo fa aveva tentato invano di decifrare le iscrizioni sulle pietre tombali; sotto il perché attinge l’elemento di terrore alla Schauerliteratur tedesca, George dominio paterno ‒ significativamente il vecchio conoscente porta un grosso Sand invece le rende omaggio quando prepara la prima discesa della sua lume ‒ lei “non sapeva alcun nome” per “quanto aveva di più caro al mondo”. protagonista agli Inferi: Nel regno ctonio della madre, invece, Ledwina comprende col linguaggio del corpo: afferrò quanto aveva di più caro “più saldamente di quanto non si Se l’ingegnosa e feconda Anne Radcliff si fosse trovata al posto del candido e possano afferrare i pensieri”; di fronte al gesto che la vede premersi “una delle maldestro narratore di questa storia molto veritiera, non si sarebbe fatta scappare una così buona occasione per condurvi, madama la lettrice, per una mani ancora fresche ardentemente contro le labbra” (Droste-Hülshoff 38) mezza dozzina di belli e avvincenti volumi attraverso corridoi, trappole, scale a forse non c’è bisogno di far notare che con le mani si scrive. Nel regno ctonio, chiocciola, tenebre e sotterranei per rivelarvi, solo nel settimo, tutti gli arcani della sua sapiente opera. (Sand 1, 265)

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Il vero motivo della sua permanenza in questo castello è da ricercarsi nella Oltre all’esplicito e sottilmente ironico omaggio a Anne Radcliff, chiamata fuga dalle insidie della sensualità e, di conseguenza, in una conferma del “ingegnosa e feconda”, salta agli occhi la vistosa resa al femminile di questa primato che l’arte esercita nella vita della giovane cantante. Al divieto materno apostrofe allocutiva: è “madame la lectrice” che George Sand, sulle orme della sessualità (alla madre ha dovuto giurare sul letto di morte di non aver dell’autrice inglese, si accinge a fare errare, insieme alla sua eroina, nelle rapporti sessuali con Anzoleto prima del matrimonio) si è aggiunto quello ben tenebre di sterminati corridoi, scale a chiocciola e labirinti sotterranei. E più grave del maestro Porpora, convinto assertore dell’aporia “fra amore e questo episodio, se anche non raggiunge i “sei bei e avvincenti volumi”, che la genio”. Consuelo è facilitata nell’obbedienza di questo divieto dal suo “calmo Radcliff secondo la Sand sarebbe riuscita a ricavarci, arriva comunque ad una senso” ‒ “era calma come l’acqua delle lagune” (Sand 1, 46) ‒ probabilmente estensione di ben undici capitoli nel primo e ad un numero ancora più alto nel dovuto al tardivo sviluppo della sua sessualità e alla sua bruttezza. Non vi è terzo volume e, complessivamente, a più di mille pagine. Come vedremo, forse eroina in tutta la vasta opera di George Sand che sia più brutta di infatti, questa genealogia femmminile che crea una insolita triade letteraria in Consuelo ‒ nel primo volume due capitoli, il settimo e l’ottavo, sono dedicati al cui lo scrittore, il lettore e l’eroe sono femminili, è la struttura portante entro suo essere “laide” e alla sua “laideur” (Vierne 33, Schlientz 199) ‒ e, al tempo la quale e per la quale la discesa agli Inferi della protagonista sandiana si stesso, più bella e seducente di lei quando, in una metamorfosi tanto svolge, segnando la parabola crescente della sua formazione. straordinaria quanto repentina, di fronte all’attonito occhio maschile non solo Consuelo, una zingara spagnola arrivata giovanissima con la madre a il suo volto, ma tutta la sua figura si trasformano nel canto. Pur essendo agli Venezia, si trova in questo momento in Boemia, in un castello fortificato con antipodi degli stereotipi di muliebre beltà, il “génie de l’ame” (Sand 1, 110), il ampi spazi sotterranei, passaggi segreti, cripte, ripidissime scale e catacombe, genio dell’anima di cui Consuelo è dotata riesce ad abbattere anche i più chiamato indifferentemente con il suo nome tedesco “Riesenburg” o con la sua ostinati pregiudizi maschili in campo di estetica femminile. Tuttavia, questo traduzione francese “Chateaux des géants”. Con questo nome George Sand “génie de l’ame” non si esaurisce in una bella voce, né a raggiungerlo bastano stabilisce, ancor prima di palesarlo, un saldo ed evidente legame con lo zelo e la perseveranza con la quale Consuelo si applica allo studio della l’archetipico edificio del terrore, Udolpho (Naginski 191). Ma la ragione per cui musica. “Le génie de l’ame” richiede la crescita dell’anima stessa. Inoltre, chi Consuelo soggiorna in questo ben lugubre castello, abitato dalla famiglia presta la sua voce all’esecuzione della musica altrui ‒ ruolo femminile per Rudolstadt, è invero una ragione ben strana per un romanzo gotico: l’arte e eccellenza ‒ deve passare alla composizione. Solo questa è una concezione l’assoluta devozione di Consuelo alla musica. dell’arte che sia all’altezza delle acquisizioni dell’anima. Cresciuta per le strade di Venezia, dove ha appena conosciuto il suo primo Queste poche e scarne osservazioni forse basterebbero a una germanista per trionfo come cantante al teatro di San Samuele, Consuelo è stata mandata dal lanciarsi in direzione del Wilhelm Meister e dei suoi anni di apprendistato e, suo maestro di canto, il musicista Nicola Porpora, che ha scoperto il suo infatti, la critica, soprattutto quella francese, sostiene questa affiliazione fino talento e sviluppato la sua voce, dai Rudolstadt nella mitica e mistica Boemia.

125 ai nostri giorni2. Ma come bene mette in evidenza la prima discesa agli Inferi (Sand 1, 373) dell’eroina, non è solo il condizionamento sessuale (che non sarebbe poco) a distinguere l’opera di Sand dal romanzo goethiano. Se proprio qualcosa di A differenza di Orfeo, però, Consuelo riesce a portare in salvo Albert e a farlo rinsavire, stabilendo con lui un legame spirituale sulla base del loro comune goethiano vi dev’essere, è la Theatralische Sendung che può aver esercitato un amore per la musica (Albert è un eccellente suonatore di violino) e per certo influsso sull’opus magnum di George Sand. Per il resto, le influenze, se l’umanità. Grazie ad Albert, visionario e profeta, capace di una pietà con proprio si devono trovare, vanno cercate altrove. l’umanità sofferente che supera gli spazi e i secoli, Consuelo approfondisce la L’occasione per la prima discesa di Consuelo nelle viscere della terra è assai sua conoscenza delle idee di libertà e di uguaglianza fra gli uomini, mentre realistica: lei cerca Albert, il giovane e malinconico erede dei Rudolstadt, Albert rinasce perché si libera dalla soffocante ottusità cattolica della sua caduto in preda a una delle ricorrenti crisi di follia durante le quali sparisce famiglia. Quando però il giovane Rudolstadt le dichiara il suo amore lei non sa per giorni e settimane intere senza lasciare traccia. Consuelo scopre il suo corrisponderlo e allo sbigottito padre Christian che, messo da parte il suo nascondiglio in una sorta di grotta sacra sotto una montagna vicina al castello, orgoglio aristocratico, chiede la mano all’oscura “zingarella” lei risponde: chiamata “Schreckenstein ” [Pietra dell’Orrore] perché vi era stato giustiziato e sepolto Johann Ziska, un antenato dei Rudolstadt che aveva combattuto per l’indipendenza della Boemia. Per raggiungere questa grotta bisogna scendere “Ma, monsignore, riprese Consuelo stupefatta, io ho una meta, una vocazione, una posizione. Io appartengo all’arte alla quale mi sono consacrata fin nel profondissimo pozzo della Riesenburg, dal quale, con un marchingegno dall’infanzia.... Io sono cantante e devo esserlo.” (Sand 1, 450) degno di Vaucanson, si abbassa il livello dell’acqua fino a raggiungere l’inizio di una galleria sotterranea, vero e proprio labirinto, che porta alla dimora che Dalla discesa agli Inferi la vocazione artistica di Consuelo esce dunque accoglie Albert durante i suoi accessi di ottenebramento mentale. Consuelo, rinvigorita e rafforzata. Ma ciò non basta. Sarebbe bastato, forse, al “conte dotata di straordinario coraggio e altrettanta determinazione, scende giù per vénitien” se l’opera fosse rimasta quale era stata concepita all’inizio (Vierne 5- le ripide e scivolose scale del profondissimo pozzo, discesa che ricorda quella 6). Il romanzo iniziatico ‒ poiché come tale sempre più chiaramente si profila di Goldmarie e Pechmarie nella fiaba “Frau Holle” dei fratelli Grimm, trova dopo la discesa agli Inferi ‒ esige ben altro. Alla morte (la discesa significa l’inizio del labirinto e, inseguita dalle acque e dall’insensato e geloso amico di innanzitutto questo: Consuelo non solo rischia di morire per ben due volte Albert che tenta di murarla viva come Antigone, percorre fino in fondo, fino a durante la discesa, ma cade anche gravemente malata dopo la risalita) segue la trovare Albert. È l’autrice stessa a mettere in risalto la somiglianza di questa rinascita della novella Orfea (Vierne 32, Naginski 207) ad un grado e stadio discesa con quella di Orfeo: più alto dell’arte e della sua missione nel mondo. Contro l’essoterico Wilhelm Meister, George Sand crea dunque in Consuelo, come Novalis nello Heinrich Come gli eroi del mito, Consuelo era discesa agli Inferi per prelevarvi il suo von Ofterdingen, un romanzo prettamente esoterico, nel quale la discesa nella amico, e ella di questo luogo aveva provato lo spavento e lo smarrimento.

126 propria interiorità ‒ perché anche questo significa la discesa nel pozzo ‒ è la volume, in sintonia con la crescita artistica di Consuelo che non solo introduce premessa necessaria affinché la novella Orfea possa compiere la sua missione il giovane Haydn ai segreti della voce e del canto, ma gli impartisce anche non nel mondo. meglio precisate nozioni di composizione, spingendolo anzi a diventare La donna geniale ‒ tema che era stato trattato trentasei anni prima da musicista, si ispessisce anche l’aspetto storico, filosofico e musicale del Madame de Staël nel suo romanzo Corinne; ou l’Italie (1807; Schlientz 200) ‒ romanzo. al tempo stesso “sacerdotessa”, sibilla, “iniziatrice” (Sand 1, 388) della Da , dove, applaudita persino dall’imperatrice Maria Teresa, religione dell’uguaglianza e della fratellanza universale, che è la religione del raggiunge l’apice del suo successo come cantante (sperimentando però sempre boemo Albert ma anche la religione “naturale” che Consuelo, la “bohémienne”, più nettamente la dicotomia fra la libertà dell’arte e l’illibertà della donna- “la povera figlia del popolo” (Sand 1, 235) ha sempre portato nel suo cuore. artista alla mercé di ogni libertino da strapazzo), Consuelo giunge nella Tuttavia, come per i cabbalisti e gli alchimisti, l’iniziazione è triadica. Alla Berlino di Federico II, da lei aborrito come incarnazione del despota. Sulla triade femminile lettrice-autrice-eroina corrisponde quindi una triplice strada tra i due paesi, l’Austria e la Prussia, che vicendevolmente si sono iniziazione di colei che, ripristinando la tradizione orfica del poeta-vate, apre impadroniti della Boemia riducendola a teatro delle loro battaglie, un’urgente la strada dell’arte come rifondazione del mondo al genere femminile. Alla chiamata (Albert in fin di vita) riporta Consuelo un’ultima volta nella prima morte segue dunque la rinascita di Consuelo, che dovrà rimettersi in Riesenburg dove sposa, per pietà, Albert in punto di morte. Per ora questa cammino, riprendere la vita vagabonda, la vita da zingara dell’infanzia, sosta e questo matrimonio sembrano solo una parentesi. Rinunciando al titolo ridiventando “bohémienne” a tutti gli effetti, proprio dopo essere fuggita dal e alla fortuna dei Rudolstadt, Consuelo mantiene fede al suo contratto con il castello boemo dei Rudolstadt: teatro di Berlino. Qui per la prima volta l’anima le fa difetto. Non è difficile vedere nel dispotismo militaresco della Prussia definita “questo regno della “Nel nostro linguaggio di artisti girovaghi, noi diciamo spesso correre per la ragione che è una cospirazione permanente contro la ragione” (Sand 3, 104) il Boemia per significare che ci si imbarca negli imprevedibili casi della vita motivo per cui il talento della cantante si riduce a mera bravura tecnica. povera,... nella vita degli Zingari, che in francese si chiamano anche Boemi.” (Sand 3, 61) Coinvolta, suo malgrado, in intrighi di corte e oscure trame di società segrete, e sorda al dispotico e goffo corteggiamento del re prussiano, Consuelo viene Nella nuova esperienza di “courir la bohème”, segnata da picaresche e rinchiusa nella fortezza di Spandau che, simile ad un castello gotico, diventa il rocambolesche avventure, suo compagno di strada è il giovane Joseph Haydn, teatro della sua attività di compositrice. Qui ha luogo il secondo grado della la qual cosa non contravviene alle leggi della verosimiglianza perché il sua iniziazione, che consiste nella folgorante scoperta dell’amore fisico, fino romanzo, scritto fra il 1842 e il 1844, è ambientato negli anni Cinquanta del allora sacrificato all’arte. diciottesimo secolo. In questa parte, che occupa interamente il secondo Non è senza meraviglia che la vediamo abbandonarsi a un cavaliere mascherato e farsi cullare dalle sue braccia in una carezza. Certo, siamo in una

127 situazione eccezionale, lo sconosciuto l’ha salvata dalla prigione e la sta Albert, anch’essa resuscitata da una morte presunta. portando verso una destinazione e un destino ignoti; rimane tuttavia il fatto È questo il punto in cui mi è sorta la certezza che tutta la complicata trama che Consuelo di questo cavaliere non conosce e sente che il corpo, perché il fosse stata inventata da George Sand solo per riscrivere il mito di Demetra e volto è mascherato e non gli è permesso di parlare. Inoltre, anche dopo la sua Persefone. salvezza, quando si trova nel padiglione del Castello del Graal, nel bel mezzo Per quanto rivisitare il mito significhi sempre anche trasformarlo, il della sua terza e più alta iniziazione, l’amore per questo sconosciuto di nome cambiamento cui George Sand sottopone il mito di Demetra e Kore è blasfemo Liverani persiste (Vierne 33). Che poi Albert, redivivo3, sia identico a Liverani tout court. Della diade madre-figlia Sand fa la triade madre-figlio-figlia e con e che questa identità porti all’unione degli opposti di eros (Liverani) e agape ciò non solo conferisce all’iniziale triade di autrice-lettrice-eroina una (Albert) sarà anche vero, ma è altrettanto innegabile che l’identità finale di dimensione metafisica, ma cambia genere alla trinità cristiana che da colui che Consuelo ha sposato e di colui che ama toglie George Sand patriarcale ‒ padre, figlio, spirito santo ‒ diviene matrilineare. Questo dall’impaccio di dover privare la sua eroina, finalmente divenuta donna, di sconvolgimento può ben eludere le leggi della verosimiglianza. Infatti contro quella componente fisica che aveva acquisito a così duro prezzo dopo la ogni plausibilità Wanda viene ad identificarsi con Albert: seconda iniziazione (Naginski 208). La completezza psico-fisica è infatti necessaria alla terza iniziazione; Consuelo non poteva quindi rinunciare a “Noi abbiamo spesso sofferto insieme gli stessi dolori fisici, causati dalle medesime emozioni morali,... dove la stessa febbre ci bruciava le vene, o lo Liverani senza tornare mutila. stesso annientamento confondeva i nostri deboli sospiri. Quante volte ci è Liverani, alias Albert von Rudolstadt, fa parte della società segreta degli sembrato di essere la stessa persona!” (Sand 3, 342)

Invisibili che per i suoi riti massonici ben si potrebbe accostare alla Società E Wanda diventa anche la madre di Consuelo. Per chi ancora resiste alla della Torre del Meister goethiano se non fosse per lo scopo diametralmente interpretazione che Wanda sia Demetra e Consuelo Persefone, ecco le parole opposto degli Invisibili che, col motto della Rivoluzione Francese “liberté, della “sibylle, pretesse de la vérité” (Sand 3, 394) venerata dagli Invisibili, egalité, fraternité”, combattono per la fine della società feudale e per una quando rivela la identità femminile alla protagonista: “Una madre ti è completa eguaglianza sociale. mancata.... Una madre ti viene oggi donata per assisterti e illuminarti” (Sand Nella terza iniziazione, al di là del sincretismo di esoterici riti massonici 3, 321). realmente esistiti e inventati, agisce e viene trasformato un altro mito, quello La terza discesa agli Inferi di Consuelo, che essa paragona a tutti gli orrori e di Demetra e Kore, che getta una luce nuova su tutto il romanzo avvicinandolo le sofferenze inflitti all’umanità nei secoli, si attua quindi sotto gli auspici e il al mio termine di comparazione, il sogno di Ledwina. Quando Consuelo deve vigile amore della madre. Infatti il suo alter ego Liverani alias Albert la segue sostenere le prove per compiere la terza e più difficile discesa agli Inferi come un’ombra sollevandola quando, giunta nell’ultima stanza degli orrori, scopriamo infatti che il capo degli Invisibili è una donna, Wanda, madre di Consuelo sviene.

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Mentre nel mito greco Persefone per metà dell’anno è costretta a vivere nel la visione di Consuelo, Albert e tre dei loro figli nuovamente in cammino; regno dei morti, sottratta alla madre da Ade, in George Sand ‒ come era questo cammino, questo finale “courir la bohème” è quello di Consuelo, della accaduto per la potenza materna della Günderrode e della Droste ‒ Wanda donna, che nel popolo misero e opppresso incoraggia la resistenza contro il dispone sovrana del potere materno perché nessun potere maschile, nessuna dispotismo e diffonde “la PAROLE PERDUE” (Sand 3, 414), il verbo autorità paterna si frappone fra lei e Consuelo. Come Corinne, Consuelo non dell’uguaglianza. Consuelo ha perso sì la sua voce di cantante pubblica, ma ha cognome ‒ Porporina è il nome d’arte, assunto secondo la consuetudine del non quella di profetessa (Naginski 219), di novella Orfea. tempo in segno di omaggio al proprio maestro di canto. Lei è “la fìlle sans Nell’epilogo suo figlio canta la ballata della “bonne déesse de la pauvreté” nomme, sans famille” (Sand 3, 264) che non solo non si è mai preoccupata di (Consuelo 3, 449-51), della buona dea della povertà, una composizione di sapere chi era suo padre, ma nemmeno è certa di averne uno (Sand 1, 235) e, Consuelo che contiene l’utopia del regno della madre di là a venire: “liberté, in quanto “bohémienne” è anche senza patria. La ripresa del topos romantico fraternité, egalité.... la vera religione eterna e sacra ‘dell’umanità’” (Consuelo dell’artista senza patria, forestiero sulla terra4, nel romanzo di George Sand 3, 406). Questo è forse l’atto di maggiore sincretismo che George Sand compia avviene all’interno di una genealogia femminile, in cui madre, figlio e figlia in seno a questo romanzo veramente sincretistico, e anche quello più sono una e trina e tutte tre rigorosamente di sesso femminile. Che questa temerario: la sacra trinità femminile, ricavata dal mito greco di Orfeo e da nuova trinità sia destinata a redimere il mondo è confermato dal fatto che quello di Demetra e Kore, impregnata di elementi cristiani e incarnata da dopo la risalita dalla terza discesa Consuelo risposa Albert in una cerimonia Consuelo (che alla fine è divenuta ciò di cui la sua musica parla, vale a dire “la che ha tutte le caratteristiche di una ierogamia, officiata dalla madre Wanda. bonne déesse de la pauvreté”), si appropria della triade rivoluzionaria “liberté, La madre si ricongiunge dunque alla figlia nel triplice aspetto di amore fraternité, egalité” e affida il compito della sua realizzazione nel mondo all’arte materno, amore filiale e amore erotico, perché Albert è pur sempre anche creata dalla donna. Liverani: quando la coppia rientra nel padiglione per la prima notte di nozze a Il romanzo gotico è divenuto sotto la penna di George Sand quello che nella Consuelo sfugge, mentre “appoggia la sua fronte in fiamme sulle sue spalle: O poesia della Gunderrode rimane inespresso e che nel breve sogno di Ledwina Liverani”. (Sand 3, 416) Il connubio fra Consuelo e Albert, celebrato dalla viene appena abbozzato: il romanzo della rifondazione del mondo ad opera madre, non si può quindi non leggere come avvento dell’ordine della madre. della donna, l’utopia dell’ordine della madre. Infatti, finalmente “la parole perdue”, la parola perduta è stata ritrovata dalla potenza materna, e Consuelo, erede della sacerdotessa Wanda, da sibilla e 1 Le citazioni da Gunderrode e Sand sono di mia traduzione. sacerdotessa che già era, può realizzare l’ultima delle sue tre funzioni, quella 2 Vierne 12. Secondo me nessuna o pochissima somiglianza lega Consuelo a Mignon, semmai l’eroina francese è più simile all’“anima bella” anche se è difficile immaginare quest’ultima come adepta dell’arte. di “iniziatrice ”, compiendo la sua missione redentrice del mondo. 3 Il topos del sepolto vivo è caro al romanzo gotico. 4 Nella letteratura tedesca il capostipite della tipologia del poeta come forestiero sulla terra è Heinrich Che Consuelo perda la voce non ne è una smentita. Il romanzo termina con von Ofterdingen.

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Paola Bono dietro cui si nascondeva, quell’immagine significava la nascita nella sua fisicità “impropria”, mostrandone le tracce sul corpo neonato sporco della Nascere all’inferno con/fusione, della fusione con il corpo materno. Muco, sangue, vischiosità della soglia di carne, con/fusione; elementi che con Julia Kristeva potremmo riconoscere appartenenti alla categoria dell’abietto. In quanto secrezioni, in

quanto inscritti in un’area di confine: tra il dentro e il fuori del corpo, tra il sé e il non sé della diade del periodo prenatale, appena terminato e ancora Una creatura appena nata, nuda e piangente, il viso raggrinzito dallo sforzo; presente in quelle tracce. Era un’immagine indecente che esponeva il segreto ancora sporca di sangue e di muco, marchi del passaggio della soglia ‒ fisica, di un evento a tutte e a tutti familiare; unheimlich ‒ perturbante ‒ nella sua corporea, carnale ‒ attraverso cui è giunta alla vita. Soglia di carne, vagina del risaputa quotidianeità e nel suo riportare alla percezione della coscienza ciò corpo materno, da cui viene, nel cui ventre è cresciuta ‒ materia vivente in che era, avrebbe dovuto restare, confinato e represso nell’inconscio. cammino verso l’essere; di cui porta i segni nell’umida vischiosità del suo Proprio a partire dalla rivisitazione e elaborazione della nozione freudiana piccolo corpo. del perturbante come tabù, e rifacendosi a ricerche antropologiche, in primo Non so chi ancora ricorda questa immagine: una delle tante “scandalose” luogo quelle di Mary Douglas sui concetti di purezza e contaminazione, in pubblicità di Benetton, che qualche anno fa ‒ almeno qui in Italia ‒ fece Poteri dell’orrore Kristeva individua nell’abiezione ‒ “una delle violente e anch’essa scandalo; perché usata a fini commerciali, si disse con grande oscure rivolte dell’essere” (Kristeva 1981, 3) ‒ appunto l’orrore di non sapere i sfoggio di buoni sentimenti, accusando quella pubblicità di sfruttamento confini che distinguono il sé dal non sé, un perturbante primario che ipotizza dell’infanzia. Mentre infanzia e sfruttamento sembrerebbero non riguardare i originato dalla fecondità e potenza generativa del corpo materno. quasi-neonati o neonate ‒ però così rosei, sorridenti e soprattutto puliti ‒ di Come l’abiezione, la gravidanza e con essa il periodo prenatale sono innumerevoli campagne su prodigiosi pannolini e omogeneizzati, giacché mai fenomeni di confine, spazio-tempo di con/fusione, intreccio corporeo di c’è stata in quei casi una simile alzata di scudi. identità che li vede legati in una relazione vitale (e mortale) ma insieme ne Ulteriore accusa, nella sostanza sebbene forse non formulata proprio in prepara la separazione/distinzione. Spazio-tempo che confonde eppure questi termini: aver violato ‒ sempre per quei disdicevoli fini commerciali ‒ il produce un’identità e un’altra, negando la demarcazione soggetto/oggetto su momento, così importante e sacro, dell’ingresso alla vita, della nascita. E qui cui si fonda l’illusoria stabilità dell’essere. Costantemente minacciato dalla credo che stia un punto importante, un punto di verità di quella reazione di fragilità di un confine costruito sul vuoto originario della perdita, il soggetto scandalo: nel concetto di sacralità, e nel riferimento preciso alla nascita. esperisce nella sensazione di abiezione l’incertezza della sua identità; il rischio Rifiutata con un disgusto tanto sincero quanto erano ipocrite le ragioni ‒ temuto e desiderato ‒ di ricadere in quello spazio-tempo nel quale e uscendo

130 dal quale si è formato ed è venuto all’essere. dei processi dissolutivi e al tempo stesso attinge ai processi della gestazione e Rifiutato, rimosso, espulso, eppure ineluttabilmente presente e dunque del parto; sicché gli stessi simboli ‒ ad esempio la capanna e il tunnel ‒ sempre da tenere a freno, nella sua fisicità l’abietto segna luoghi corporei che vengono a significare contemporaneamente il ventre materno e la tomba. La diverrano zone erotogene, in quella tensione/coincidenza tra attrazione e “coincidenza di processi e nozioni opposte è quanto caratterizza la peculiare repulsione in cui appunto si inscrive anche ‒ soprattutto ‒ il corpo femminile unità del liminale: non è né questo né quello, e tuttavia è sia l’uno sia l’altro” ‒ in quanto corpo materno. Occhi, bocca, naso, ano, genitali; lacrime, saliva, osserva Paola Cabibbo, sottolineando però la sostanziale valorizzazione che vomito, muco, feci, urina, sperma, sangue mestruale. nella prospettiva di Turner investe la fase di transizione, in quanto fertile Secrezioni del corpo che come in “orride escremenziali discariche” campo di potenzialità aperte (Cabibbo 1993, 13). caratterizzano l’inferno post-tridentino, luogo osceno di una carnalità Ma nei riti di passaggio propriamente detti non vi è ritorno al limen tra il promiscua e caotica; una visione, scrive Piero Camporesi, esplorando nella prima e il dopo dell’iniziazione, una volta che il sé sia stato ri-demarcato e ri- Casa dell’eternità le immagini e le figurazioni dell’inferno nella letteratura definito nei confini del suo nuovo spazio sociale e soggettivo. L’abiezione è soprattutto italiana, che perdura fino al XIX secolo. Diventerà allora nel invece il ripresentarsi alla coscienza di un’insanabile instabilità del sé, radicale “sottosuolo gaglioffo” dei sonetti del Belli “quasi una versione tartarea della e ripetuta messa in questione dell’integrità del soggetto; e trova nascita ex putri”, in cui “riemerge il fantasma del gran corpo collettivo rappresentazione nel corpo, nelle sue secrezioni che attraversandolo ne dell’umanità, l’arcaica credenza della morte feconda, della morte gravida, anzi eccedono la forma, nelle sue cavità, fessure, orifizi. Luoghi di espulsione e ‒ levatrice di nuove vite, il senso della continuità morte-vita” (Camporesi 1987, come nel caso del cibo ‒ di incorporazione; luoghi di confine, di piacere, di 26-27). Una continuità che non diventa però motivo di speranza o di sollievo orrore. nell’appartenenza al ciclo dell’essere, ma suscita l’orrore della confusione Scrive Kristeva: ammorbante e distruttiva del sé, condizione di un non-più-essere imperfetto e improprio. L’abiezione è anche frontiera ma sopra tutto ambiguità. Perché pur Imperfetto e improprio come il non-ancora-essere del periodo prenatale, demarcandolo non stacca radicalmente il soggetto da quel che lo minaccia, anzi lo riconosce in un perpetuo pericolo. Ma anche perché l’abiezione è trascorso nello spazio chiuso, rosso e pulsante che è il ventre materno: mescolanza di giudizio e di affetto, di condanna e di effusione, di segni e di protezione e soffocamento, Nirvana che nel desiderio del suo ritrovamento pulsioni. Dell’arcaismo della relazione preoggettuale, dell’immemorabile violenza con cui un corpo si separa da un altro per essere, l’abiezione serba ospita la pulsione di morte. Spazio liminale, necessariamente da attraversare quella notte in cui si perde il contorno della cosa significata e in cui solo agisce per venire al mondo; come in un rito di passaggio, questo limen è l’affetto imponderabile. (1981,11) ambiguamente connotato, è la non-vita e la non-morte. Studiando appunto la fase liminale dei riti di passaggio, Victor Turner E ancora: “l’abietto è la violenza del lutto di un ‘oggetto’ sempre già (1967) nota che il simbolismo ad essa relativo si rifà alla biologia della morte e perduto.... Riporta l’io agli abominevoli limiti da cui si è staccato per essere e

131 lo riporta al non io, alla pulsione, alla morte” (17). della scrittura di Céline o di Lispector sono quel cedimento del racconto a un Nel terrore/desiderio di essere sopraffatti da quel corpo perduto prende tema-grido che, scrive Kristeva, “quando tende a coincidere con gli stati dunque forma, una delle sue forme, la sensazione di abiezione, che in molte incandescenti di una soggettività-limite che abbiamo chiamato abiezione, è il culture viene espressa e tenuta sotto controllo tramite rituali di purificazione. tema-grido del dolore-dell’orrore” (162). Rituali, poiché l’abietto confina ‒ coincide, dice Kristeva ‒ con il sacro: “Tale Inoltrandosi verso gli Inferi dell’origine dove morte e vita si incontrano, l’abiezione ‒ tale il sacro” (19). Con gli interdetti per evitare di esserne dove si intrecciano il pericolo e il piacere della perdita di sé, anche nella contaminati, l’abiezione sta alla radice del sacro, dei suoi meccanismi di letteratura la sensazione dell’abiezione prende corpo attraverso il corpo instaurazione. femminile/materno. Già significata nelle religioni e nei miti, reinterrogata dal Nella nostra cultura è invece la scrittura a essere una delle espressioni sapere psicoanalitico, la madre, il materno, sono figura privilegiata dell’abiezione, e uno dei suoi argini. Fuori del sacro, l’abietto si scrive (20) ‒ dell’inestricabile prossimità di vita e morte al centro della costruzione sostiene Kristeva guardando alle modalità di purificazione dell’abietto, messe simbolica. a fuoco nel loro estrinsecarsi nelle diverse religioni, da quelle cosiddette Nei templi di Çatal Hüyük, in Turchia, la dea madre si trova spesso primitive o pagane attraverso il monoteismo ebraico fino al cristianesimo. rappresentata nella postura fisica del parto, mentre uscendo dal suo corpo si L’esclusione e il tabù, la trasgressione, il peccato; e anche, soprattutto nel inizia la vita; e tra quei templi ve n’è uno ‒ tutto rosso, pavimento e pareti, nostro tempo, la scrittura, istanza dello come l’interno di un ventre ‒ dove si pensa le donne andassero appunto a partorire. Ma ve n’è anche uno, sempre dedicato a lei, in cui sette avvoltoi,

sforzo estetico ‒ discesa nelle fondamenta dell’edificio simbolico ‒ [che] dipinti in rosso sangue su fondo rosa, incombono volteggiando a ali spiegate consiste nel rintracciare le fragili frontiere dell’essere parlante, quasi al suo su minuscole figure umane stilizzate, che tendono le braccia verso l’alto, come sorgere, presso quella ‘origine’ senza fondo che è la cosiddetta rimozione originaria. (20) per salutare la dea in questa sua manifestazione. È un gesto di adorazione e di accoglimento, che testimonia la convinzione che la dea/avvoltoio ha potere di La letteratura come esplorazione dell’abietto, dunque; metaforizzazione rigenerazione oltre che di morte. della mancanza e della paura perché l’io possa rinascere nei segni. In un secolo segnato dal processo di laicizzazione e insieme percorso dal prepotente Perché l’avvoltoio, che si nutre di cadaveri, non ‘porta’ veramente la morte ma riaffermarsi del bisogno di divino, la scrittura, il racconto, diventano trasforma ciò che è già morto in nuovamente vivo, cominciando un nuovo ciclo nell’assimilare la fine del vecchio. In tal modo la dea della morte e la dea “nascondiglio del dolore” (161); nella insostenibile oscillazione della frontiera della nascita sono inseparabili. (Baring e Cashford 87) tra soggetto e oggetto, la linearità narrativa si spezza fino al grido di un linguaggio che si apparenta alla violenza e all’oscenità. Le discese agli Inferi Tutte le grandi dee delle antiche religioni orientali sono caratterizzate da

132 questo duplice potere, a volte comprendendolo appieno, a volte articolandosi indipendente e autodissoluzione, piacere del corpo e suo decadimento” per meglio significarlo in una unità multiforme. Trasmigrando e (Bronfen 1992a, 56). E a partire da questo, guardare brevemente ad alcuni trasformandosi, il loro culto permane, più o meno integro o riconoscibile solo racconti di discesa agli Inferi, distanti nel tempo, nello spazio, nel contesto di in alcuni elementi, anche in ambiente ebraico e poi nel mondo greco e appartenenza, come racconti che in modi diversi parlano pur sempre della romano, fino a segnare secondo alcune interpretazioni anche la figura nascita, metaforizzandone la bellezza e la paura2. femminile centrale del cristianesimo, Maria sposa e madre di Dio. Celebrata in prossimità dell’equinozio di primavera, la festa della dea frigia Molte discendono agli Inferi, spesso ‒ in versioni relativamente più tarde, Cibele ricordava l’autocastrazione, morte e resurrezione del figlio-amante come nel caso di Ishtar e di Isis ‒ per cercare e riportare in vita il figlio- Attis, e la Pasqua, volontaria consegna alla morte e discesa agli Inferi di Cristo, amante. Invece nella “Discesa di Inanna nel mondo sotterraneo”, a tutte può essere vista come una versione del tema dell’accoppiamento sacrificale. precedente1, la dea intraprende il viaggio fatale come per una scelta L’inferno, nella visione dell’inconscio collettivo patriarcale, è allora il temuto conoscitiva, accettando per questo la provvisoria rinuncia ai poteri divini. aspetto femminile: la madre ‒ la dea ‒ nel cui corpo si prepara la nascita, Inanna si avventura nel buio regno della sorella Ereshkigal togliendosi di volta dentro cui viene gettato il dio sacrificato come necessario preludio alla in volta le insegne della regalità al passaggio dei sette cancelli del mondo ri/nascita. sotterraneo; per tre giorni resterà prigioniera in un sonno di morte, finché la Davvero infernale, e materno, è lo scenario del sacrificio che nella Passione sua fedele compagna Ninshubur otterrà che il dio della saggezza Enki invii due della nuova Eva di Angela Carter precede la ri/nascita in corpo di donna del messaggeri a liberarla. Tornata al cielo di cui è regina, stella del mattino e protagonista Evelyn (Evandro nella versione italiana), imprigionato nel regno della sera, signora della fertilità e della distruzione, Inanna manderà a sotterraneo della grande Madre. “Mostro sacro”, “personificazione di una sostituirla negli Inferi lo sposo Dummuzi, che è dunque in questa versione non fertilità bastante a se stessa” (Carter 1982, 60), la Madre è una delle figure salvato ma sacrificato. della sessualità e dell’eccesso attraverso cui Carter costruisce il percorso Ci porterebbe troppo lontano analizzare a fondo questo mito nelle sue allegorico della Passione: la sua staticità monumentale e austera assume connessioni con altre narrazioni religiose ‒ quelle già nominate di Ishtar e Isis, caratteri grotteschi nell’irruzione dell’animalità ‒ la doppia fila di “mammelle quella di Demetra, quella di Cibele ‒ anche nel possibile legame con il da scrofa” ‒ facendo tornare alla mente anche il commento di Bakhtin racconto cristiano della passione. Converrà dunque limitarsi a pochi cenni, sull’ambivalenza delle statuette Kerch di vecchie incinte, rappresentazioni di procedere per analogie e focalizzazioni di elementi significativi per una una morte gravida, una morte che dà la vita. riflessione su quella diffusa “convenzione culturale secondo cui il dono Impregnata di quell’angoscia e repulsione che spesso i processi biologici materno della nascita è anche dono di morte”, sicché la donna, la madre, è della riproduzione evocano, la Madre di Carter ben può iscriversi nella “tropo privilegiato della stranezza perturbante di unità e perdita, identità “retorica dell’abiezione” che in Poteri dell’orrore Kristeva rintraccia nei testi

133 di Céline. Racconto convulso e sconnesso, discesa agli Inferi che nella trilogia Perché è in questa stanza che si trova il cuore delle tenebre, lei è la meta di ogni uomo, il silenzio inaccessibile, l’oscurità che brilla, sempre sulla seconda guerra mondiale si trasforma in visione apocalittica, la scrittura irraggiungibile, la porta chiamata orgasmo che gli si chiude in faccia, che si violenta e oscena di Céline è intessuta di abiezione, esplode in immagini di chiude sul Nirvana del non-essere e sparisce nell’attimo stesso in cui si lascia intravedere. Lei, questa creatura del buio, questa morte carnale, al di là del putrefazione, deiezione, vomito, trova nella nascita e nel materno la tempo, al di là dell’immaginazione, sempre appena al di là, appena oltre la rivelazione ultima ‒ desiderio e negazione3. mano leggera dello spirito, questa morte che in eterno sfugge, che mi libererà dall’essere, mi trasformerà in altro e che, così facendo, mi annienterà. (Carter Riferendosi in particolare a Rigodon, ma soprattutto proseguendo e 1982, 60) coagulando la sua riflessione sui “poteri dell’orrore” in un passaggio incandescente che sembra quasi mutuare le modalità del linguaggio céliniano, Portato all’estremo dell’oscillazione tra i sessi e del loro attraversamento, si Kristeva scrive: ripropone ‒ in questa scena di ri/nascita che insieme nomina la morte ‒ il sentimento angoscioso dell’offuscarsi o perdersi del confine del sé. Evelyn diventerà Eva, e nell’esperire a fondo l’altro (l’altra) da sé potrà superare Quando situa il colmo dell’abiezione... nella scena del parto, Céline rende ampiamente esplicito il fantasma di cui si tratta: un orrore da vedere alle porte l’abiezione del materno e disporsi a sua volta a divenire madre in un mondo impossibili dell’invisibile che è il corpo della madre. La scena delle scene qui che si può, si vuole pensare non più dominato dall’Uno. Nel gioco dell’eccesso, non è la cosiddetta scena primaria ma quella del parto, incesto a rovescio, identità scorticata. Il parto: culmine della carneficina e della vita, punto l’abiezione della Grande Madre è insieme rappresentazione, critica, bruciante dell’esitazione (dentro/fuori, io/altro, vita/morte), orrore e bellezza, superamento dell’esistente; figura negativa di un femminile tutto centrato sessualità e brutale negazione del sessuale.... Alle porte del femminile, alle porte dell’abiezione”. (1981, 176-77) sulla funzione riproduttiva, frase di un discorso mistificante che etichetta e mutila, espressione di un potere imprigionato in rappresentazioni parziali che Il sangue colora la scena; il femminile è il segreto definitivo, conquista e aspirano all’universalità, pure è attraverso lei, passando nell’inferno uterino annichilimento. Così avviene anche nel regno della Madre del romanzo di del suo regno, che la nuova Eva può nascere, e incontrare provandola sul Carter, dove nel mondo sotterraneo di Beulah, terra di pace e gioia del proprio corpo una conoscenza che sorpassi quelle arroganti e misere Pilgrim’s Progress trasformata in una stazione della passione, in una stanza parzialità4. chiusa da rosse mura (ricordate il tempio della dea a Çatal Hüyük?), Evelyn A Carter non piacevano i miti, che definiva “sciocchezze consolatorie” ascolta terrorizzato il ritornello rimbombante che sempre più forte gli risuona (Carter 1979) e nella Passione riserva alla grande Madre una fine ingloriosa, nelle orecchie. rintanata in una caverna con un crollo nervoso. Non le piaceva l’uso che dei miti si è spesso fatto ‒ per quanto riguarda le donne proprio di quello della dea altre voci femminili intonavano il ritornello: ORA TI TROVI NEL LUOGO DELLA NASCITA, ORA TI TROVI NEL LUOGO DELLA NASCITA.... Capii madre ‒ per ricercarvi il conforto illusorio di una passata grandezza. allora che il luogo caldo e rosso in cui giacevo era il simulacro del grembo Ovviamente, non è questo il motivo per cui se ne parla qui; ma, si è già detto, materno”. (Carter 1982,54)

134 per rintracciarvi elementi che sono stati ripresi e però anche modificati nella agli Inferi. Entrata “nell’inferno della materia viva”, “inferno di vita cruda;... costruzione simbolica patriarcale, in cui l’intreccio vita-morte non ha certo un campione di calmo orrore vivo” (Lispector 1982, 52 e 53). Raggiungimento del ruolo secondario. nulla, nella stanza “deserta e pertanto primariamente viva” ‒ “e il nulla era Torniamo dunque al viaggio nel mondo sotterraneo di Inanna, per vivo e umido” (54). Passione della conoscenza, vita e orrore insieme: sottolineare le molte immagini di rigenerazione presenti nel poema; femminile, come la blatta la cui unica “differenza di vita è che doveva essere Ereshkigal, sorella e alter-ego della dea, sta partorendo quando giungono i maschio o femmina” (84), il nulla si presenta a G.H. “vivo e umido” in quella messaggeri di Enki. Ed è a Inanna che dà, rende, la vita, dopo che questa ‒ che stanza della domestica che è “il ventre” dell’edificio (29). pure è dea della vita ‒ ha accettato il passaggio nella morte, scendendo nelle O, rifacendoci ancora una volta a Kristeva, possiamo vedere nella Passione sue stesse profondità per riunirsi ai suoi aspetti sotterranei. La sua esperienza un tema-grido del dolore, esempio di letteratura dell’abiezione. Scritta dopo della dimensione ignota e paurosa degli Inferi drammatizza l’iniziazione alla un aborto, vita e morte, ne porta il segno diventando consapevolezza, terribile e rassicurante, che la morte è aspetto essenziale della vita; inscritta come la vita nella potenza materna della generazione, che come un rituale di depurazione della memoria dalle tracce dell’incontro con la entrambe le comprende ‒ garante, laddove lo voglia, di una continuità che materia organica che vi è o può esservi all’interno del corpo femminile. Ed esprime anche con chiarezza il confronto con il materno in quanto luogo sorpassa la singola vita come la singola morte. abietto ma inevitabile di identità femminile. (Braidotti 1993, 96) In altro modo la stessa consapevolezza, terribile e rassicurante, è stata letta nel mito di Demetra, che nella forza della relazione tra la dea e la figlia Kore, La Passione è un testo che molte hanno amato e interrogato, di cui molte sottrattale dal dio infernale Ade, mette a tema la “potenza materna inscritta hanno scritto: Braidotti, Cavarero, Cixous, Muraro..., offrendo riflessioni nell’intera natura: potenza di generare ma anche di non generare, ossia po- suggestive e assai pertinenti alla questione discussa qui. un testo di passione tenza assoluta che custodisce il luogo umano del venire al mondo ma anche il appunto, patimento e estasi della scoperta di una voce “venuta... da molto nulla come il non più della nascita, la fine del continuum materno e lontano”, che “scriveva a nessuno, a tutte, alla scrittura”, insegnandoci a simbolicamente del mondo” (Cavarero 61). È il non più della nascita ‒ diverso “essere contemporanee di una rosa viva, e di un campo di concentramento” dal non ancora, o dal non più, della singola vita ‒ che fa assoluta questa (Cixous 1979, 11 e 101)5. Insegnandoci ad accettare insieme la vita e la morte potenza; fulcro dell’essere al di là del singolo essere. come costituenti dell’esperienza umana ‒ e dell’esperienza femminile della Più oltre, all’interno della sua rivisitazione della figura di Diotima, Cavarero maternità; positivamente. riprende il concetto di continuum vitale a proposito di La passione secondo È evidente in Lispector la diversità di esito rispetto all’abiezione del materno G.H. di Clarice Lispector; narrazione esperienziale e trascendente, di G.H, di in Céline, e anche rispetto alla teorizzazione dell’abiezione proposta da Lispector, di tutte e di ognuno, che certamente possiamo chiamare una discesa Kristeva; affascinante e profonda analisi dello “stato della questione”, il

135 discorso di Kristeva resta all’interno dell’ordine simbolico dato, di cui mette in finita dominata dalla morte, che viene incarnata nel corpo femminile, luce ‒ ma non in questione ‒ la centralità orrorifica della figura della madre, ossimoro di generazione e annientamento: “Queste femmine guastano ogni della donna in quanto corpo (potenzialmente) materno. Tanto che alla donna infinito” (Céline 1964, 30). viene negata la qualità di soggetto della gravidanza (Grosz 1990, 96-98), un Tutt’altra è in Lispector la relazione con la morte “singolare” nel moltiplicarsi, frammentarsi, confondersi che secondo Kristeva la trapassa e riconoscimento di un articolarsi della vita che è sia zoe che bios. Come scrive travolge. Kerényi, “Zoe è il filo a cui sono appese come perle tutte le singole bios Momento di abiezione nell’esperienza e nel ricordo, cosciente o inconscio, la individuali, e che in contrasto con bios può essere concepita come senza fine” gravidanza, il periodo prenatale, la nascita, sono analizzati in Poteri (Kerényi xxxv), come vita infinita; nell’itinerario della passione, percorso di dell’orrore come perturbanti portatori di pericolo; minacciosamente vi si spersonalizzazione verso il “tessuto proibito della vita” (Lispector 1982, 9), “la annidano la morte e la pulsione di morte. Anche nel percorso doloroso di morte non è che un accadimento esperito dal singolo vivente nel suo transitare G.H., che ancora una volta ripropone la passione di Cristo6, rituale sacrificale alla vita infinita e impersonale” (Cavarero 117). Quello di G.H. è un percorso di della discesa nel femminile (ripensiamo a Inanna, Attis, Demetra; ma anche a immersione nella zoe, accettazione e superamento al tempo stesso della Evelyn) questa sensazione è presente; riconoscimento della finitezza fin dalla finitezza e dell’ambiguità, attraversamento progressivo di soglie del sé in cui il nascita iscritta nell’essere che si significa già quando “il primo grido, soggetto incontra l’abietto e incontrandolo rinasce anche nella morte. nascendo, scatena una vita” (Lispector 1982, 56). Ma, come scrive Muraro L “inferno” del materno, il suo fascino e il suo orrore, non scompaiono, ma (1987, 68), “lo spontaneo saliscendi della vita non ci appartiene”; varcando vengono reinterpretati come trascendenza radicata nel corpo femminile; una serie di soglie del sé, come spogliandosi di definizioni/difese/poteri ‒ non faticosa verità dell’essere che può nella singolarità di ognuna e ognuno ‒ è forse simile a Inanna, in questo “processo [di] immersione nelle profondità differentemente ‒ rimanere perturbante. Perché quando si fa della morte la del suo stesso sé” (Braidotti 1993, 94)? ‒ G.H. celebra il “sacramento” della misura di una vita che è solo bios, non si possono riconoscere nelle tracce sul differenza che nell’incontro con la blatta trova la sua materia, giungendo alla corpo neonato il segno del filo infinito ‒ zoe, vita che è in noi ma non ci piena assunzione dell’abietto come luogo della trascendenza e della vita. appartiene. E allora fa paura, e scandalo, la creatura appena nata che espone Céline si ubriaca di morte ‒ “La verità di questo mondo è la morte” (Céline nel corpo “vivo e umido”, segnato dal ventre materno, quella origine di 1978, 7) ‒ e nella curiosità appassionata della nascita rabbrividisce d’orrore; potenza femminile in cui la morte cambia (o forse acquista) senso: guardando per lui la madre, figura di accudimento e trasmettitrice di parola e di bellezza, indietro alla catena di generazione ‒ ai “quindici milioni di figlie, da allora fino è però colpevole nel dare la vita, in quanto nel momento stesso del suo inizio a lei” ‒ G.H. può dire: “io ero sempre stata in vita, poco importa se non inizia anche il percorso verso l’annientamento ‒ “Ha fatto tutto, lei, per farmi propriamente io, non la cosa che ho deciso di chiamare convenzionalmente io. campare, è il nascere che non ci voleva” (Céline 1964, 40). Angoscia di una vita Io ero sempre stata in vita” (Lispector 1982, 58).

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1 Inanna, figlia del dio del cielo dei Sumeri, An, diventa col nome di Ishtar un’importante divinità degli Accadi, e sarà in seguito la più grande dea del pantheon babilonese-assiro. Come poi Ishtar, Inanna (o Innana, il cui tempio Eanna, “casa del cielo”, fondato intorno al 3000 a.C., si trovava a Uruk) era la dea dell’amore e della fecondità, ma anche della guerra e della vittoria, e aveva come doppio emblema la stella della sera e la stella mattutina, cioè il pianeta Venere che ben simboleggia il suo doppio carattere. Il racconto della sua “Discesa”, le cui prime versioni scritte vengono datate intorno al 1750 a.C., è probabilmente assai più antico. 2 Brevemente, per cui la trattazione rimane quasi a livello di enunciazione del problema; accetto l’inevitabilità dell’incompletezza e anche il rischio della superficialità, sperando di essere almeno chiara in quel poco che riesco a dire. 3 D’un chateau l’autre, Paris, 1957; Nord, Paris, 1963; Rigodon, Paris, 1969. Come quasi tutte le opere di Céline, la trilogia si trova nelle edizioni Gallimard. 4 Per altre analisi del romanzo di Carter, rimando a Suleiman 1985, Antonini 1993, Balzano 1994, nonché a un mio scritto (Bono 1991) in cui approfondisco alcune questioni qui appena sfiorate. 5 Su Vivre l’orange di Cixous si veda la bellissima analisi che in questo stesso volume propone Edda Melon. 6 Vedi a tale proposito Muraro 1987, che osserva tra l’altro (70) come il testo si strutturi in 33 sezioni, oltre a essere ricchissimo di richiami alla passione e morte di Gesù Cristo ‒ il titolo è già un ovvio segnale, come in altro modo lo era nel testo di Carter.

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Invece: Liana Borghi Salomon cominciò a dipingere la sua vita quando aveva ventitrè anni. Tornava da tre settimane passate Le finestre di Charlotte: con suo nonno nel campo di internamento di Gurs, nei Pirenei, che è stato chiamato un campo di donne perché in quell’estate del Scene per una discesa agli Inferi 1940 ve ne transitarono 9.000, tra cui Charlotte e

Hannah Arendt (Felstiner 1994a, 118-23; Young-

Bruehl 152-56).

Di ritorno a Nizza lasciò suo nonno presso alcuni Il mio contatto con Charlotte Salomon è stato da sempre multilingue. amici, affittò una stanza con una finestra alta sul mare Affascinata da un articolo in inglese di Mary Lowenthal Felstiner, e e passò un anno a dipingere. Chiamò l’autografia Leben? oder Theater? (Vita? incoraggiata da Maaike Meijer che già conosceva il lavoro di Salomon, sono o Teatro?), sottotitolata ein Singespiel (un’operetta). La lasciò sedimentare andata a vedere le sue gouaches allo Joods Historisch Museum di per un periodo,poi la rimaneggiò, riordinò, la datò Agosto 1942, mise le 1325 Amsterdam1. Il primo film che ho visto su di lei era in olandese, quello più gouaches in una valigia le portò a un amico, il dott. recente sulla sua vita e opere è in francese, i libri di riproduzioni sono bilingui, Moridis. Gli disse: “Tenetela al sicuro....C’est toute ma in olandese e inglese, e il testo originale sulle gouaches è in tedesco, ma le vie”. citazioni ritornano in varie traduzioni e contesti. Dato che Salomon era Leben? oder Theater? racconta la vita di una ragazza emigrata a seguito dei nonni nella zona di Nizza, a Villefranche-sur-Mer, la ebrea in una buona famiglia borghese di Berlino, la sua Villafranca dei nostri confini contesi, ho poi cercato in italiano informazioni formazione artistica, la sua storia d’amore con Daberlohn, l’emigrazione in sulla politica del nostro governo verso gli ebrei dei territori occupati. Nella mia Provenza. Il titolo segna la distanza, nell’atto autobiografico, tra soggetto lettura della sua autobiografia confluiscono inevitabilmente una quantità di narrante e soggetto narrato, una distanza data dallo scarto temporale tra altri testi, testimonianze, romanzi, racconti, immagini, visitazioni, esperienze passato e presente, dal filtro della memoria, e dallo spessore ‒ tracce di un percorso complicato e spesso autobiografico ‒ ma la mia opaco della meta-rappresentazione che rende indecidibile, formazione critica resta situata nell’ambito della lingua inglese, e ho fatto in appunto, se di vita si tratti, o di (necessaria) finzione. La modo che anche questa traccia risulti nel saggio che segue. Mi dispiace però struttura del lavoro contesta i confini del genere non aver saputo correre il rischio di raccontare con parole semplici una storia autobiografico, o meglio, quella stretta definizione di genere di storie che, dicendo “intanto”, si aprono su altre vite travolte dalla Shoah. letterario che delegittimerebbe le strategie di referenzialità

138 dell’autrice. Apertamente basati sulla famiglia Salomon e il suo cerchio di vasto mondo che non consente di significare. In questo senso, è anche il luogo conoscenti, acquerelli e testo scritto significano il lutto, compongono l’elegia di una produzione di identità, il processo tramite cui l’autrice si situa in una di un mondo ormai scomparso, tentano di risarcire la perdita. narrativa. Leben? oder Theater? chiede di essere letta dentro e attraverso i Come fa notare Elisabeth Bronfen, nel processo di recupero dopo una suoi bordi, le sue cornici, le sue finestre, i termini della sua recita e messa in perdita, è fondamentale la ripetizione (quindi la narrazione e la rivisitazione) scena. di certi eventi, che può essere usata Secondo Leigh Gilmore, il per trasformare la posizione del marchio dell’autobiografia è il soggetto da passiva in attiva, ed tentativo di leggere il sé in esercitare una misura di controllo su rapporto a certi discorsi (Gilmore una situazione traumatica (1993, 7). La lettura di Salomon ha come 104- 06). Nel processo di ripetizione s/oggetto una giovane donna di Salomon, le immagini sono la presenza di una assenza evocata e messa in ebrea tedesca che con le leggi di scena tramite la costituzione di un secondo soggetto come doppio dialogico Norimberga del 1935 vede dell’autrice: la protagonista Charlotte Kann. Charlotte è quindi sia il soggetto sovrapporre alla propria immagine quell’altra figura che Geoffrey Hartman che l’oggetto della sua storia. chiama di un “eterno alieno” (Hartman 13). Vivendo Per rappresentarsi come tale, deve scendere nelle profondità della memoria, entro strutture sociali e politiche oppressive, spesso dei motivi e dei significati, a cercare sia una narrativa che una forma narrativa. contraddittorie, Salomon si trova all’incrocio di una Nel pensiero junghiano, che come vedremo è presente nel suo lavoro, la moltitudine di discorsi poco compatibili con la sua rappresentazione del sé ha una funzione compensatoria e terapeutica necessità di agire da soggetto-agente e percepirsi tale; (Hillman 1992). Salomon inscrive le tracce della propria esperienza e del eppure proprio sul filo di questi discorsi deve articolare proprio immaginario in termini di perdita e di esproprio. Questo non perché la visione della propria vita. Ne risulta una tensione tra abbia riflettuto sulla condizione di esproprio permanente delle donne ‒ quella la realtà del nazismo e il desiderio di libertà, stessa che potrebbe farci dire, con Shoshana Felman, che in quanto donne la l’incombere della morte (cercata o subita) e la nostra differenza sessuale è comunque assente tanto quanto la nostra possibilità di vita e gioia, sul bordo della speranza di autobiografia (Felman 17). Ma perché nel suo caso, come nel caso di tante una scelta che non c’è. altre persone emarginate e perseguitate, la scrittura del sé è atto di resistenza, Il processo di scrivere (di) se stessi (dice Shoshana corpo a corpo con il ricordo che non vuol farsi significare, lotta con la parola- Felman citando Shari Benstock in un passo su come immagine che resiste all’intenzione di significare, complotto contro il più

139 leggere “autobiograficamente”) mostra sempre le toppe e fessure della Munch, Ensor e Kokoschka, che mostrano una tendenza alla sintesi e alla discontinuità (Felman 156); l’autobiografia di Salomon non fa eccezione. Nel monocromaticità (Sbrana 136; Schulz 128; Zoccoli), articolando un testo che suo testo, pittura e scrittura, realtà e finzione si intrecciano e si commentano non è uno ma molti. imperfettamente a vicenda, esemplificando mirabilmente la descrizione fatta Troviamo giornali, manifesti, biglietti, lettere, libri in fase di scrittura, da Derrida. Il testo è un tessuto “di tracce riferite senza fine a qualcos’altro da certificati, annunci, proclami, libretti, canzonette, poesie. Gertrud Koch ha sé, altre tracce differenziali”, che sempre deborda, complicando i propri limiti fatto inoltre notare la centralità del cinema nella socializzazione estetica di e tutto ciò che viene posto “in opposizione alla Salomon (110), ma la connessione tra pittura e musica è molto più visibile. Lo scrittura (discorsi, vita, il mondo, il reale, la storia e spartito musicale riaffiora continuamente, segnalato da una notazione qualsiasi riferimento ‒ al corpo o alla mente, il musicale, più che dal riferimento discorsivo e pittorico a nomi, temi, motivi e conscio e l’inconscio, la politica, l’economia, e così brani di opere (l’Orfeo e Euridice di Gluck), lieder, ballate (“La Morte e la via)” (Derrida 1987, 84). Fanciulla” di Schubert), pezzi classici come l’“Inno alla gioia” di Beethoven, Leben? oder Theater? deborda intenzionalmente e canzonette (Zarah Leander). strategicamente, associando nella stessa Una varietà di oggetti collega ricordi di situazioni e composizione immagini, scrittura e musica senza persone; una rete di allusioni e di metafore consente separarne i livelli di significato, e anzi di tracciare il percorso autobiografico delle sovrapponendoli continuamente. Formalmente, la gouaches. Ma la metafora più propriamente narrazione si snoda su due livelli ‒ la pittura e la strutturante è la finestra. Con il suo insistente rimando al suicidio della scrittura ‒ in nessuno dei quali la sequenza mamma e della nonna, la finestra rappresenta il luogo della perdita del corpo temporale segue la successione narrativa. Come altri materno; si apre al ricordo dell’origine dove vita e morte si incontrano dipinti che raccontano una gouaches, di Salomon sono incastonate in una (Bronfen 1993, 115; Bono); si fa passaggio per una tragica discesa agli Inferi. storia romantica che le collega “al racconto, alla storia, e al contesto” (Steiner Nella sua connotazione più metonimica, in forma di cornice, riquadro, 1988, 6). inquadratura, la finestra mette a fuoco il modo in cui viene avvicinato e Non c’è opposizione tra dipinti e racconto, c’è invece uno scambio reciproco negoziato il soggetto. E poiché la cornice, con il suo statuto di dentro-fuori, di valore e significato (Housman, Spitz). La tecnica pittorica varia e muta, collega storia, storia personale, estetica, e tempo-spazio con certi correlativi dall’esuberanza dei primi quadri naif che ricordano Grandma Moses, ad altri oggettivi (Shloss 3-4, 21), in un continuo lavorio di identificazione e scambio, che evocano van Gogh e Chagall, Matisse e Dufy, fino alla tecnica più le finestre si evolvono in cornici, le cornici in finestre, dando adito a situazioni propriamente espressionista e astratta delle ultime gouaches, con richiami a liminali ,aporie ‒ circostanze in cui il soggetto si percepisce nel continuo vita- morte (Henderson; Derrida 1987, 1993); pause conoscitive sulle quali si

140 estende l’ombra-presagio di una discesa agli Inferi tra mito e storia. paesaggio è dominato da un orologio del tempo e un orologio dello spazio che In questa prospettiva, vivere diventa sopravvivere, qualcosa di fermamente si compendiano nel treno (Langer 72-73). Convogli precario, una disputa di confini. E infatti emergono in Leben? oder Theater? puntigliosamente documentati portano i deportati oggetti collegati allo statuto di confine, altrove, dove il tempo si fermerà: evento bordo, soglia, della partenza e l’arrivo, tragicamente reale anche nel caso di Salomon, la dello stare-tra, la precarietà, il tramite: cui morte non documentata può tuttavia essere la finestra, appunto, o il treno, seguita tappa dopo tappa nelle registrazioni del metafore correlate ad altre metafore- percorso del suo ultimo treno (Felstiner 1995, 198-203). oggetto di valore simbolico: l’orologio, la lettera, il fazzoletto, le valigie fatte, Per lei, come per tanti altri, il treno viene a significare il confine tra la vita e sfatte, rifatte, abbandonate che costituiscono l’iconografia dell’esilio (Felstiner la morte, e diventa metafora di quell’altra transizione, così forte nel suo 1990, 111). Mi torna in mente qui la valigia contenente il manoscritto, lasciata immaginario: il passaggio dall’evento storico al mito, e viceversa, nel topos del nell’albergo di Parigi dopo un suicidio, su cui Anna Seghers imposta Transit, il viaggio agli Inferi. Che è poi un modo per rendere dicibile l’angoscia della suo romanzo dell’esilio; e quella piena di manoscritti di Walter Benjamin che catastrofe. Arendt e suo marito riuscirono a portare con loro a New York (Young-Bruehl Leben? oder Theater? comincia con il 166); e mi riaffiora, nella sua insopprimibile tristezza, il ricordo incrociato del suicidio di Charlotte Knarre [Grunwald] dipinto di Charlotte seduta sul letto davanti alla grande valigia ancora vuota e il matrimonio di sua sorella Franziska alla vigilia della partenza per la Francia, e la serie di zaini nei diari e nelle a Albert Kann [madre e padre di lettere di Etty Hillesum, fino a Salomon]. Alla sua nascita, Charlotte ha quell’ultimo bagaglio preparato quindi il primo incontro con la morte per procura, quando le viene dato il dalle amiche ,la sera della inattesa nome della zia, e raccontando l’episodio come un incipit, da un lato racconta “selezione” (Hillesum 1981/1984 la propria morte e dall’altro ne prende le distanze, aprendo lo spazio 178, 183, 220, 275; 1986). dell’auto(bio)grafia. Nei ricordi dell’infanzia, il treno assume subito una connotazione sinistra, e Quando Salomon dipinse la sua autobiografia, il treno che l’avrebbe portata non mi pare un caso che la sua prima apparizione si colleghi al prato, altro a Auschwitz era nel futuro, ma i treni dei suoi dipinti convogliano i cronotopi luogo associato con il passaggio verso gli Inferi, nel mito di Persefone così della partenza, dell’arrivo, dell’ascesa e discesa, del commiato e come in questa narrativa. Un’allegra gouache (1981, 24) che sembra un dell’accoglienza, legandoli al tempo della deportazione, il tempo che va a quadro naïf ispirato a Brueghel mostra una bambina con il vestito blu, una finire. Il treno è una metafora ricorrente nelle testimonianze della Shoah, il cui donna con la gonna rossa e un uomo con l’Alpenstock ripetuti una trentina di

141 volte; camminano, giocano, corrono, si riposano su prati, ruscelli e boschi. Tra morte di Franziska. In uno dei più bei dipinti dell’autobiografia, Charlotte è a il verde c’è anche un lago blu come un grande occhio innocente che però letto a chiacchierare sotto una calda coperta rossa con la mamma che le sta ricorda lo Schlachtensee dove si è annegata la zia Charlotte (e il Wannsee dove raccontando quanto vuole andare in cielo e quante cose meravigliose i protocolli del 20 gennaio 1942 chiudono definitivamente le frontiere agli l’aspettano lassù (1981, 26). Poco convinta, Charlotte chiede a sua madre di ebrei e aprono la “soluzione finale”). Abeti, fiori, mucche ‒ i ricordi di una lasciarle sul davanzale della finestra una lettera per dire come si sta in cielo. Il vacanza in montagna che come tutte le vacanze deve terminare ‒ sono quadro è diviso in due da una linea di tante Franziska che salgono verso il incorniciati in alto e in basso da due treni scuri, uno in arrivo, l’altro in trono di Dio e da una folla di angeli che cantano. Da un lato, Franziska vestita partenza. Un presagio, rimando alla serie successiva di da angelo lascia la lettera dietro una finestra chiusa che per sempre separa il cornici e finestre. caldo materno della coperta rossa dal freddo ritorno angelico in bianco e blu. Tornati a Berlino, infatti, Franziska perde la sua gioia I dipinti immediatamente successivi mostrano di vivere e si butta dalla finestra. A Charlotte dicono che l’ossessione di Franziska per la finestra come via di uscita è morta di influenza; solo nel 1939, a Villefranche (dove dalla vita. Il primo inquadra la sequenza del suicidio in ha potuto raggiungere i nonni perché non è ancora in una grande finestra a sghimbescio, dal cui davanzale si va età da dover richiedere un passaporto che, in quanto distaccando un piede. Dentro questa cornice, un’altra ebrea, le sarebbe stato negato) viene a conoscere il sequenza: Franziska si rimette da un tentativo di segreto che le hanno tenuto nascosto per tanti anni: avvelenamento guardata a vista dall’infermiera (una oltre a sua madre, altre cinque persone si sono scena che verrà ripresa nel racconto della morte della suicidate nella famiglia materna, dove l’attrazione per la morte sembra essere bisnonna di Charlotte, sorvegliata per otto anni da due endemica. Essa si manifesta non solo dopo il 1935, quando tanti ebrei infermiere e poi morta di infarto davanti a una finestra); assimilati sono costretti ad assumere una identità che non si riconoscono, e a Franziska, sola, è tormentata dalla sua ossessione, contro vivere nella paura, ma prima ancora ,forse nell’angoscia di chi sente di non un fondale che potrebbe essere un prato di carboni ardenti; al centro, una avere radici ‒ quella stessa che porta al suicidio gli Knarre/Grunwald anche piccola Franziska apre una grande finestra scura. Il commento dice: “non ne durante i tempi d’oro dell’integrazione germanico-ebraica. E anche la nonna, posso più, sono sempre così sola” (1981, 30). La pagina successiva mostra ossessionata dal nazismo che dilaga, si suiciderà Franziska caduta, sul selciato. Dominano i rossi, i gialli, i verdi di un van Gogh nel marzo del 1940. impazzito. Pensate in retrospettiva, le finestre assumono Probabile sintomo di una coazione a ripetere, la storia della morte di un ruolo cruciale nella sequenza che porta alla Franziska è raccontata due volte, prima come vita di Charlotte, poi come vita della nonna che ricorda le sue disgrazie dopo aver letto, seduta vicino a una

142 finestra, la lettera in cui Paulinka (la matrigna di Charlotte) le proibisce di scheletro, “der wilde Knochenmann” (il cattivo uomo di ossa) della poesia di vedere la nipotina. Questa volta Franziska è dipinta insieme alla sua gemella Matthias Claudius che, Charlotte: una allegra e piena di salute, l’altra pallida e infelice. Quando la musicata da Schubert, sarà un sorella si uccide, Franziska si consola presto, si sposa, ha la bambina ma poi, motivo ricorrente nella sua come dice Monique Bosco in Babél- adolescenza. Opera, le entra nel cuore la lebbra della A questa prima perdita di malinconia, invisibile e nera (Bosco 57). innocenza di Charlotte, in coincidenza con il “tradimento” della madre che si è “Mio marito non mi ama, mia figlia non sottratta per sempre, e all’inizio del suo lavoro “di” lutto, va accostato ha bisogno di me, perché vivo?” si l’episodio di molti anni dopo, quando verrà a sapere della catena di suicidi chiede. In un disegno, il profilo del nella sua famiglia e comincerà a interrogarsi sulla propria pulsione di morte marito e quello della figlia le escono dai (1981, 563, 754, 777, 780). Nell’acquerello dello scheletro vediamo Charlotte due lati della testa. Passa il suo tempo a fissare fuori dalla finestra. Poi la dall’alto, di traverso, correre spaventata nel corridoio di casa (c’è una finestra vediamo dal dietro, con le mani gialle e la testa mezza rossa. Nel quadro chiusa nello sfondo dietro di lei) e rifugiarsi in bagno. Molti acquerelli dopo, in successivo la finestra è vuota. Segue il bel viso di Franziska morta con gli occhi un altro bagno sulla Costa Azzurra, la nonna cerca di impiccarsi. La salvano chiusi (1981,137-41). all’ultimo minuto; anche dietro di lei la finestra è chiusa. Nella parte raccontata come vita di Charlotte, dopo la morte della madre, la In una scena successiva, la finestra è aperta, la nonna si sta buttando di bambina aspetta la lettera dell’angelo, ma poiché questa non arriva, la sotto. La figura è disegnata appena; le coperte rimaste sul letto formano un bambina va al cimitero a portarne una lei. Inquadrata dalla pietra tombale, tunnel buio. Nell’inquadratura della nonna morta, il suo corpo ha la stessa Charlotte si inginocchia in una posizione specularmente rovesciata rispetto a posizione di Franziska suicida. Ma il quadro di Franziska era zeppo di colore; quella della caduta a morte della madre, e lascia una corona e la sua lettera questo è dipinto con pennellate color pastello quasi trasparenti. Charlotte, che davanti all’inanimata effige marmorea di una composta matrona ‒ evidenza di era assente alla morte della madre, ora è presente, piegata nel suo dolore, estraniamento terminale. Questo è il secondo combaciando a incontro di Charlotte con la morte. La lettera che distanza con la aspetta naturalmente non verrà, ma lei continua ad figura della alzarsi di notte per vedere se l’angelo ha messo nonna. Il sangue qualcosa sul davanzale. Poi comincia a avere paura. si spande dal corpo di Großmutter, il corpo di Charlotte è avvolto e sorretto Si sente inseguita nel corridoio da un gigantesco dalle parole rosso-sangue del suo amante Daberlohn: “Non dimenticarti mai che credo in te”. Dopo, aggomitolata in un angolo, Charlotte confronta la

143 possibilità di uccidersi: “E si vide porre la domanda se togliersi la vita o fare dell’autobiografia di Charlotte Salomon. qualche altra pazzia” (1981, 777). Raffiora il tema dello “sterben/überleben durch Kunst” (Schulz 127); Charlotte sceglie di sopravvivere attraverso l’arte. Una delle cose più La finestra viene dunque a connotarsi come la toccanti di questa giovane soglia della morte, contigua alla vita, anche per artista è il modo suggerimento di Daberlohn che più volte, nelle rispettoso in cui didascalie, parafrasa Jung. Nelle scene del suicidio, condivide i suoi incubi. ma non solo, la finestra è uno spazio in/transitivo, Per questo mi ricorda da simultaneamente dentro e fuori, specie nel processo vicino una ebrea- di sdoppiamento là dove Salomon si gemella con la americana di origine polacca, Irena Klepfisz, che come Salomon non vuole mamma o con la nonna morte. Il più delle volte la essere né una vittima né una “sopravvissuta”, e come lei ricostruisce il passato finestra sta per la separazione del sé dal mondo: la vita è un teatro dove siamo per sopravvivere nel presente (Borghi 1993). Con ogni mancanza di spettatori, non attori. Nella scena specifica in cui Charlotte guarda la matrigna probabilità, le finestre di Salomon rimangono aperte all’esperienza della Paulinka che si allontana a braccetto di Daberlohn, il senso di esclusione e di libertà, conservano il loro statuto di soglie, permettono ingressi e uscite solitudine della ragazza colpisce doppiamente per l’eco di un’altra scena in cui attraverso cornici espropriate, o ricevono il profumo del gelsomino come la perdita incombe: quella in cui sua madre guarda fuori, su paesaggi senza quelle di Etty Hillesum. Così, è in un’altra scrittrice ebrea, Hélène Cixous (di significato e destini conchiusi. Né è diversa la prospettiva in Costa Azzurra, cui parlano Edda Melon e Paola Zaccaria in questo volume), che mi è dove la finestra sul mondo, per la nonna, è la radio foriera di notizie sembrato di trovare un “consenso” con Charlotte Salomon, i suoi disegni, la sull’avanzata nazista. sua vita. “Finestra : pagina di luce : tempio ”, dice Cixous, evocando la Rita Svandrlik mi ha fatto notare le somiglianze tra il paesaggio di morte memoria di un’altra scrittrice ebrea, Clarice Lispector, e lodandola per il modo sotto le finestre di Salomon e la vista dalla finestra sul cimitero delle figlie in cui gli oggetti, LE COSE che vede spandono la loro presenza verso le assassinate in Malina di Ingeborg Bachmann (Svandrlik 1995). Certo, finestre del cuore, “dando il loro più perfetto consenso”. Non basta guardare nell’ottica della metafora radicalmente femminista di una crudele discesa nel fuori dalla finestra, aggiunge, è anche necessario “prendere la finestra nel patriarcato nazista, non sarebbe eccessivo estendere il paragone fino alla riquadro trasparente di una lunga e riflessiva meraviglia”, guardare la finestra, scena delirante in cui il padre, nei panni di un aguzzino nazista, apre le bocche aprirla, goderla, “entrare, uscire, cominciare, attendere, contemplare, tutto del gas per uccidere la figlia ‒ estendere il paragone per poi tornare alla morte quello che la finestra ci permette, propone, promette” (Cixous 1979, 84). reale di Salomon, incinta di cinque mesi, lo stesso giorno del suo arrivo a Anche se “certe notti abbiamo paura, se andiamo alla finestra, che non si apra Auschwitz. Ma se questa è la realtà, non è questo l’immaginario altro che sulle camere a gas” (88).

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un mucchio di cadaveri, durante la prima guerra mondiale, Daberlohn si Quasi metà di Leben? oder Theater? è identifica con la figura di Orfeo (Felstiner 59-61) e, attingendo a Nietzsche e dedicato alla storia di Charlotte Kahn e la Jung, imbastisce sulla propria discesa agli Inferi (e messianica resurrezione) sua matrigna Paulinka Bimbam con una filosofia di vita che Charlotte in parte farà sua. Proprio alla fine Amadeus Daberlohn [Alfred Wolfsohn] il dell’autobiografia, infatti (780), Charlotte sogna che lui è la Morte e lei la cui viso viene evocato ossessivamente, Fanciulla, e ne deriva consolazione per il passato e coraggio per il futuro. La centinaia di volte. Daberlohn\Wolfson era didascalia dice: in realtà un ottimo maestro di canto la cui tecnica di impostazione della voce diventerà E se lui era Morte, allora andava tutto bene, non c’era bisogno che lei si rinomata in Inghilterra dove riesce ad uccidesse come i suoi parenti, poiché secondo lui si poteva risorgere ‒ anzi, per amare la vita ancora di più bisognava essere stati morti. (1981, 780) emigrare. Egli si presenta in casa Salomon

nel 1937, in cerca di lavoro ‒ le leggi di La costruzione di Daberlohn come il personaggio di Orfeo va di pari passo Norimberga permettono agli ebrei di guadagnare denaro solo da altri ebrei con la costruzione della sua Euridice. Ma all’inizio non è chiaro chi (1981,ix) ‒ e si dimostra una figura positiva nella storia della famiglia interpreterà questo personaggio, perché Daberlohn corteggia assiduamente Kann/Salomon per l’incoraggiamento artistico alle due donne, alimentato dal Paulinka, e solo dopo essere stato respinto sposta la sua attenzione su suo visionario desiderio di generare il fuoco creativo del talento altrui ‒ il Charlotte. A quel punto la “storia dell’infelice amore” della ragazza prosegue, canto di Paulinka, la pittura di Charlotte. Daberlohn crede che arte e vita vista “non attraverso i suoi occhi ma attraverso quelli dell’altro interprete” attingano alle stesse sorgenti libidinali, e praticherebbe riti di fertilità ispirati (436), e si può dire che Charlotte diventa un s/oggetto immaginario. a Otto Rank, di cui adotta la teoria sull’equivalenza tra gestazione biologica e La ragazza è particolarmente vulnerabile perché l’arrivo del maestro di artistica. In questo testo e nei ricordi dei suoi conoscenti viene descritto come musica ha messo in crisi il rapporto di amore e cura stabilito con la madre- un don Giovanni (“Amadeus”) narcisista e gigionesco, una specie di guru (non matrigna. Il rapporto si guasta (1981, 209) ma non si interrompe: troppo dissimile dall’amante di Etty Hillesum, Julius Spier, psicologo allievo innamorandosi di Daberlohn, Charlotte sfida, punisce e continua a cercare di Jung) che non convince Paulinka ma Paulinka che, sentendola ostile, a sua volta le nega spazio e legittimità (non è affascina invece Charlotte, per quanto lo mia figlia), le toglie valore (come sei brutta, peccato che lei non sappia dipinga con i suoi difetti e capricci in modo disegnare), ma nella vita reale non ammetterà mai la rivalità. Intervistata acuto e sarcastico. dopo la guerra, Paula Salomon-Lindbergh sostiene che Charlotte si è inventata Felstiner lo definisce un uomo inquieto, la storia con Wolfsohn, non contraddetta in questo da un amico di famiglia, segnato da un trauma profondo. Sopravvissuto a tre giorni di sepoltura sotto

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Emil Straus, che, nella nota biografica all’edizione del 1963 dei disegni di Leggendo il testo, restiamo in Salomon commentata da Paul Tillich, dice che il marito di Charlotte, dubbio se Daberlohn sia Alexander Nagler, era probabilmente il primo uomo della sua vita. Ma se i vivi seduttore o sedotto. Charlotte è cercano di destabilizzare il nesso autobiografico, il testo si prende la rivincita innamorata e lo desidera. mostrando ripetutamente come il rapporto fosse tenuto segreto, specie da Quando lui le commissiona un Paulinka e dalla fidanzata di Daberlohn. disegno per il suo compleanno, L’evoluzione del ruolo di Paulinka da madre buona (affettuosa iniziatrice lei gli porta due disegni il cui invito non risulta oscuro. Uno rappresenta “La alla religione e cultura ebraiche e al mondo dell’arte) a quello di matrigna e Morte e la fanciulla”, il soggetto della canzone di Schubert, l’altro un prato con rivale attraversa una fase in cui lei viene rappresentata come amata amante. fiori gialli. Daberlohn può prendere solo un disegno, e sceglie quello del prato. Questo diventa ovvio nella sequenza di una riconciliazione tra Paulinka e “Ich möchte gerne auch den Tod und das Mädchen haben ‒ das sind wir Charlotte adolescente, accompagnata dal commento musicale di “È l’amore beide” [mi piacerebbe avere anche la morte e la fanciulla ‒ siamo noi due], le uno strano augello” ‒ la stessa aria usata nelle scene d’amore tra Franziska e dice (1981, 450). Charlotte prima rifiuta e poi glielo “presta”. Daberlohn Albert. Omoerotico o eterosessuale, l’amore si ricollega comunque alla morte. commenta l’episodio in uno dei suoi lunghi monologhi, intrecciando amore, Il riferimento a Carmen uccisa per gelosia si somma all’episodio di Charlotte morte, arte e seduzione: che va al cinema con una amica a vedere Mädchen in Uniform (1981, 85). Nel film di Leontine Sagan (1931), la collegiale innamorata dell’insegnante in un Qui vediamo una ragazza esprimere due diversi stati spirituali. Il primo dipinto, una singolare raffigurazione della Morte e la Fanciulla, è tutto repressivo collegio prussiano decide di suicidarsi buttandosi nella tromba disperazione. Nel secondo l’anima improvvisamente trova la speranza e il delle scale, ma viene salvata in extremis dalla sua amata e dalle compagne. In coraggio di affrontare la vita, e questo viene espresso dal prato con i fiori gialli. “La Morte e la Fanciulla” o “Il prato coi fiori gialli”: ecco il completamento di questa fantasia sui pericoli che incombono una volta spezzata la diade madre- un circolo. Queste ragazze sono talmente intrigate con se stesse. Ma anch’io figlia, l’amore tra donne può portare la vita. Per Charlotte, lo strappo nel credo di essere tra quelli pronti a sedursi e a farsi sedurre... (1981, 450) rapporto con Paulinka dopo l’avvento di Daberlohn non significa Con una seconda mamma cantante d’opera, Charlotte non può non aver l’estraniamento permanente dal “femminile”, bensì lo spazio necessario a assorbito la trama per eccellenza del Romanticismo, definirsi come soggetto: donna, artista, e madre. Con amore e compassione secondo la quale la morte e la soppressione della materna, infatti, assisterà la nonna sconfitta dalla memoria e dalla perdita di donna, e il Liebestod, costituiscono il più sublime senso, cercando di trasmetterle il proprio amore per la vita, fondendosi con lei oggetto di poesia. Se Paulinka interpreta questo al punto che nei disegni scompaiono le linee di contorno delle due figure topos mantenendo le distanze di sicurezza, Charlotte (Sbrana 134; Felstiner 1990, 331). Ma con adulto disamore si terrà invece è troppo innamorata per farlo. Nella sua offerta a lontana dal nonno, figura autoritaria e patriarcale, rivendicando autonomia.

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Daberlohn convergono tre miti: il ratto di Proserpina sul prato, la morte di che Demetra sparge in presenza della figlia amata; ma è anche il luogo Euridice per il morso del serpente (Gantz 721-25), e il corteggiamento della dell’iniziazione, dove Persefone viene rapita e Fanciulla da parte della Morte nella ballata omonima. Nell’autobiografia, comincia il suo viaggio verso l’Ade. In questo Daberlohn fa da Orfeo a tre donne: Paulinka che canta la parte di Euridice (e passaggio simbolico dallo spazio del femminile a di Orfeo; 1981, 412); la sua fidanzata ufficiale, sminuita al punto che quello del maschile, mi sembra che la differenza Daberlohn ha di lei solo una fotografia di quand’era bambina; Charlotte, sessuale si inscriva nel corpo come “interfaccia tra “sposata” in segreto sul tappeto della sua stanza da letto, tessuto di fiori come l’identità individuale e quella comunitaria” un prato. Nella canzone di Schubert la fanciulla respinge la Morte, ma la (Higonnet 1994, 2) quando la donna, kore della Morte (che in tedesco è di genere maschile) risponde come Daberlohn a madre, diventa gyné dello sposo; e che altrettanto Charlotte: che sarà delicata e la stringerà teneramente. avvenga nei miti ricorrenti della morte e la fanciulla, Non va però dimenticato che il tema del Liebestod riscritto a lieto fine nel dove “la fine della verginità significa la morte della fanciulla” (Dowden 3). contesto femminile di Mädchen in Uniform è presente anche nell’Orfeo e L’insistenza su questi nessi è per Charlotte un nodo figurativo che evidenzia Euridice di Gluck. Le arie e le citazioni che accompagnano i disegni di punte di crisi e riti di passaggio nella sua vita di donna e artista: zone liminali Salomon sono tratte dal libretto di Calzabigi (1762) dove Amore, dopo che di transizione da “soggetto a soggetto” (Keller 141). Così i suoi due dipinti Orfeo si è voltato, ricompensa l’amore ridando a Euridice la vita. Aggiungo per dialogano sul tema del dolore, della perdita, del cambiamento, mostrando nel inciso che se Calzabigi aveva “femminilizzato” la tragica fine del mito, la loro risvolto l’altro tema profondo di questa partitura tedesca “mascolinizzava” l’opera, cambiando l’interprete di Orfeo dal autobiografia: come l’amore per la vita si intreccia alla castrato delle origini (che era molto più appropriato all’ambivalenza sessuale pulsione di morte. di Orfeo nel mito) a un tenore. Tenendo presente dunque che Charlotte certo La lettura di come Salomon rappresenta il rapporto conosce sia il mito sia l’opera, non si può escludere che il suo Singespiel tra Orfeo e Euridice si arricchisce nel paragone con altre contenga la speranza di riunirsi a Daberlohn dopo l’esilio e la simbolica riscritture di questo mito, per esempio quella di H.D. di discesa agli Inferi, oppure di trovare amore e gioia altrove; ma la costante cui parla Marina Camboni, quelle di Adrienne Rich o Elaine Feinstein discusse ironia del testo sembra lasciare spazio sia alla tragedia della perdita che alla anche da Diane Purkiss, e altre indicate da Ernestina Pellegrini. Qui vorrei commedia del rovesciamento dei ruoli e del lieto fine. fare solo un breve collegamento, osservando che mentre nelle fonti classiche Euridice è un’ombra silenziosa narrata attraverso le gesta di Orfeo, H.D. e Se in questo testo il prato rappresenta il luogo dell’innocenza e della gioia ‒ Salomon interrogano la logica “della rappresentazione e della creazione su cui come nell’inno di Beethoven che Charlotte canta alla nonna esortandola a si basa la narrativa di Orfeo” (Purkiss 449), riconoscendo che nei miti è vivere ‒ nella mitologia classica rappresenta la fertilità, l’abbondanza di doni codificata l’esperienza di esclusione delle donne (Keller 151).

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L’Euridice di H.D. accusa Orfeo con rabbia di averla usata a proprio sono forti”, lamenta un’altra Euridice nella poesia omonima di Elaine vantaggio, fino all’ultimo sacrificio: “So you have swept me back, /... / so for Feinstein, “e tu non mi lasci andare” (1980, 24). Ma a modo suo, a patti suoi, a your arrogance / and your ruthlessness / I am swept back / where dead Villefranche-sur-Mer, Charlotte, sola nella sua stanza, dipingendo la sua vita lichens drip / dead cinders upon moss of ash... [Così mi hai ricacciata ritorna alla vita e si dà vita. indietro.... / così per la tua spietata arroganza / vengo ricacciata indietro là “Entrare nella propria stanza interiore richiede dove stillano i morti licheni / carboni spenti sul muschio della cenere...] (H.D. il coraggio di cominciare un romanzo,“ dice James 1983, 1462; traduzione mia). Charlotte, invece, in tutta la lunghissima sezione Hillman della terapia di Jung che si era curato dedicata al suo “Orfeo”, dove gli fa confessare il suo egocentrismo e lo scendendo nelle personificazioni della visione schernisce con scarsa tenerezza, non accusa mai Daberlohn di aver procurato interiore, aprendosi ai demoni e ascoltandoli; la sua perdita, come invece fa l’Euridice di H.D., né di averla cancellata “bisogna confrontarsi con persone autonome... mantenendo segreto il loro rapporto. Avverto in questo l’influsso di una logica fittizie o reali, finché non siamo tutti collegati come fili di un mythos, un che pesa più della differenza sessuale, come in tanta letteratura della Shoah: la intreccio, finché la morte non ci divide” (131). E Salomon, “Ero io tutti i minaccia della persecuzione razziale minimizza il conflitto tra i due sessi, personaggi del mio dramma, e così sono diventata me stessa”, scrive nel sollecitando il perdono anche mentre scava più profondo il solco della postscritto all’autobiografia. Conosci te stessa, capisci te stessa (1981, 535) ‒ separatezza e della solitudine. sono gli atti dell’anima che Charlotte impara, a suo modo, da Daberlohn. Non Possiamo però leggere la versione del mito di Charlotte anche era un piccolo dono. euforicamente, come un rovesciamento. È lei che emerge dagli Inferi, questa volta. È lei che nonostante il dolore della separazione prende il treno verso il sole, verso “the bright surface of gold crocuses / and of the windflower” [la superficie luminosa dei crochi dorati / e il fiore del vento]. Daberlohn rimane a Berlino, in un paesaggio “di crepuscolo (*) Per la ricerca e la stesura di questo saggio ringrazio il Five College Women’s Studies e di spine”. Prendo a prestito quest’ultima Research Center (Mount Holyoke College) che mi ha dato spazio generoso e affettuosa accoglienza nell’autunno 1995. immagine da “I Dream I am the Death of Orpheus” [Sogno di essere la morte di Orfeo] (1968) in cui anche Adrienne 1 Ove non indicato in bibliografia le traduzioni sono mie. Le citazioni relative i dipinti e alle didascalie fanno riferimento al catalogo delle opere di Salomon del 1981. Mary Lowenthal Felstiner ha scritto l’unica Rich riscrive il mito facendone una poesia-sogno dove i poteri orfici della biografia estesa di Charlotte Salomon, la cui vita può essere riassunta come segue. Nasce a Berlino il 16.4.1917 da Franziska Grunwald e Albert Salomon, ambedue ebrei. Il padre è molto assorto nella sua poeta emergono, e lei si apre (come Charlotte Salomon) “alla pienezza dei suoi carriera medica e diventa un famoso chirurgo. Sua madre si uccide nel 1926. Quattro anni dopo Alber Salomon sposa la figlia di un rabbino, Paula Lindbergh, già famosa come cantante d’opera. Nel 1933 i poteri / nel preciso momento in cui non li deve usare” (1984, 119). “I morti

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nonni materni di Salomon si trasferiscono in Provenza, e lei, rimasta a Berlino, lascia la scuola. Due anni dopo comincia a frequentare corsi all’Accademia delle Belle Arti. Dopo “la notte dei cristalli”, nel 1938, Albert Salomon viene internato nel campo di concentramento di Sachsenhausen e in seguito rilasciato in pessime condizioni di salute. Appena possibile marito e moglie si trasferiscono in Olanda, Charlotte in Provenza da nonni. Dopo il suicidio della nonna nel 1939 Charlotte vive con il nonno e con lui viene internata nel campo di Gurs per alcune settimane dopo l’inizio della guerra, nell’estate del 1940. Il nonno muore nel febbraio del 1943; in giugno Charlotte sposa Alexander Nagler; in Settembre vengono deportati a Drancy e da qui ad Auschwitz dove giunsero il 10 ottobre. 2 Le citazioni che si aprono come finestre nel testo hanno una loro necessità che lascio scoprire a chi legge. Vorrei però che non andasse perduta la traccia di un percorso che collega Arendt, Benjamin Feinstein e Salomon al tema della morte. Poco dopo il ritorno di Charlotte dal campo di Gurs, ai piedi dei Pirenei, Walter Benjamin percorreva i sentieri di montagna verso Port bou dove contava di attraversare il confine con la Spagna. Non è più certo come sembra che egli si suicidasse per evitare la deportazione (Scheurmann), ma a Port bou morì nel settembre 1940. Elaine Feinstein, nel suo romanzo Border, racconta di una vecchia signora ebrea emigrata in Australia, il cui nipote viene di lontano per avere informazioni su Banjamin che lei aveva conosciuto. La nonna gli racconta invece la propria storia, anzi la storia di un triangolo d’amore, e arrivata al nodo cruciale dell’arrivo a Port bou lo stesso giorno del presunto suicidio di Benjamin, liquida l’episodio dicendo “non parlammo con Walter a Portbou”. Se questa frase descrive un appuntamento mancato con la Storia, essa parla allo stesso tempo di un’altra storia, e come la pagine bianca di Karen Blixen testimonia che l’ellissi, il silenzio parlano, raccontando “the deepest tale”, la storia più profonda. All’in-segno della lateralità il testo di Derrida è “una lezione” sulla aporia che Portbou sta a significare; ma naturalmente Derrida, che va facendo un discorso sulla morte, parla d’altro. Benjamin è presente in questo saggio anche attraverso la valigia indirizzata all’insitute For Social Research di New York ( uno dei recapiti di mio padre) data a Hannah Arendt ( che non aveva parlato con Charlotte Salomon a Gurs), è attraverso l’Angelus di Scholem che qui sta a significare, per la mamma di Charlotte come per la mia [con il suo cavallo bianco] il terribile legame tra storia e mito.

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“Adoperava le sue ore”. Anna Nozzoli A voler fissare una minima trama di riferimenti temporali e bibliografici sarà il caso di ricordare che un’opera che è stata inevitabilmente richiamata in Charlotte Salomon in Italia quella circostanza, cioè il Diario di Anna Frank, era uscito da Einaudi nel 1954, e che il 1963 segna il ritorno alla scrittura di Primo Levi che in

quell’anno pubblica La tregua, opera seconda dopo il libro d’esordio Se questo

è un uomo, apparso nel 1947 e riproposto nel 1958 da Einaudi. Ricordo questa

circostanza perché l’autore della recensione più attenta al Diario di Charlotte è

Franco Antonicelli che pubblica ben due articoli, rispettivamente sul Questa discussione trova, forse, il suo significato profondo più ancora che in Radiocorriere (“Il diario in figure di Charlotte Salomon ”, 27 ottobre ‒ 2 un confronto critico, storiografico o semplicemente militante, nella novembre 1963) e su La Stampa (“Il diario per immagini di Charlotte ricostruzione e quasi restituzione di una identità. Se è possibile usare in un Salomon”, 6 novembre 1963). Proprio Antonicelli era stato l’editore nel 1947 contesto diverso la celebre antinomia fissata da Primo Levi in una delle sue del libro di Levi da lui intitolato Se questo è un uomo e il tempestivo recensore opere più grandi, I sommersi e i salvati, lo scopo fondamentale di questi del Diario di Anna Frank su La Stampa il 22 aprile 1945. interventi consiste proprio nella volontà di contendere e quindi di salvare la La scelta di Levi come prefatore del libro è verosimilmente dipesa memoria di Charlotte Salomon dallo sprofondamento e dall’oblio. dall’anfibio statuto del suo lavoro di pittore e insieme di scrittore spesso La circostanza ha senso se si sottolineano le coordinate specificamente capace di ibridare le due discipline, se pensiamo alla latitudine del repertorio italiane di questo esercizio salvifico. Charlotte Salomon non è sconosciuta iconografico che aveva accompagnato l’esperienza inventiva e memoriale di fuori d’Italia e anzi sulla sua figura e il suo lavoro esistono studi, ricerche, Cristo si è fermato a Eboli. Di più: in anni cronologicamente prossimi cataloghi. C’è stato tuttavia un momento in cui di Charlotte Salomon si è all’introduzione alla Salomon, Levi aveva pubblicato La doppia notte dei tigli parlato anche in Italia ed è da lì che voglio prendere le mosse per ricordare che del 1959 che costituisce una turbata interrogazione intorno alla identità la dimenticanza è scesa nei trent’anni seguiti ad un stagione sia pur breve tedesca e più marginalmente ebraica, e l’anno dopo addirittura un volume nella quale alla Salomon è toccata l’attenzione di un circolo esiguo di lettori. fotografico in edizione sia tedesca che italiana, Un volto che ci somiglia. L’anno è il 1963, quando la casa editrice Bompiani pubblica la versione Ritratto dell’Italia, con fotografie di Janos Riesmann, che presenta una italiana della prima scelta antologica delle tempere della Salomon, stampata a fisionomia perfino merceologicamente non lontana dal Diario di Charlotte. New York con il titolo Charlotte. A Diary in Pictures, il commento di Paul L’introduzione di Levi e la recensione di Antonicelli, pur nei limiti di un Tillich e una nota biografica di Emil Straus. L’edizione italiana del Diario in ossequio che può sembrare oggi convenzionale a un orizzonte antifascista, figure è accompagnata da una introduzione di Carlo Levi intitolata hanno tuttavia il merito di differenziarsi abbastanza nettamente da quanto fu

150 scritto intorno al Diario della Salomon all’estero e soprattutto da quanto circostanze della sua dispersione, tantoché il lavoro della Salomon potè essere scriveva Paul Tillich nell’introduzione all’edizione inglese. a lungo scambiato per un diario. Si aggiunga che nel 1963 la riflessione teorica Mentre per Paul Tillich il lavoro della Salomon si configurava come un intorno alle differenze e ai nessi tra diario, autobiografia, romanzo diario in cui era espresso “something universally human, something that autobiografico era ancora alle sue prime battute, ma piuttosto in Francia che bridges the distance between man and man... in the almost primitive in Italia dove avrebbe avuto corso solo in anni successivi. simplicity of these pictures” [qualcosa di universalmente umano, qualcosa che A trent anni di distanza dalla pubblicazione del Diario in figure, la colma la distanza tra uomo e uomo... nella semplicità quasi primitiva di queste ricomposizione di Leben? oder Theater? e la sua pubblicazione, i molti scritti illustrazioni], Levi e Antonicelli, sebbene ignorassero la struttura romanzesca che sono stati dedicati alla Salomon, le bellissime immagini dei video di di Leben? oder Theater?, leggevano le tempere della Salomon riconoscendovi Richard Dindo C’est toute ma vie (1992) rendono centrale il problema di una gli elementi costitutivi di un continuum insieme pittorico e narrativo. Carlo definizione dell’opera della Salomon dal punto di vista del genere e di una sua Levi indicava nella nozione di romanzo una delle possibili chiavi di lettura collocazione nel territorio della scrittura letteraria e figurativa delle donne nel dell’opera della Salomon: Novecento. Mary Lowenthal Felstiner e Silvia Sbrana hanno già segnalato, in modo mi L’autobiografia di Charlotte Salomon narrata nelle tempere dipinte nei suoi sembra ampiamente sottoscrivibile, la natura sui generis di Leben? oder ultimi anni di vita, fino alla vigilia nel campo di sterminio, può essere guardata Theater? che può essere ricondotta al territorio delle scritture dell’io, soltanto o letta, in modi diversi: come documento, come opera d’arte, come affermazione di vita, come romanzo di sentimenti di fronte al destino. se ad esso si annette quella variante tutta novecentesca dell’autobiografia che

è il romanzo autobiografico. I caratteri che un pioniere degli studi Franco Antonicelli riserbava un’analoga attenzione al racconto di una vita sull’autobiografia come Philippe Lejeune ha indicato come costitutivi del che Charlotte aveva affidato alle sue tempere, identificando nell’immagine romanzo autobiografico sono troppo noti perché sia necessario elencarli in della “finestra” il “leitmotiv tragico” ‒ quasi il nesso strutturale ‒ di tutto il suo dettaglio: ricordo soltanto che Leben? oder Theater? è una narrazione in terza lavoro. Nell’articolo apparso su La Stampa, il 6 novembre 1963, leggiamo: persona, l’identità dell’autore è distinta da quella del personaggio Charlotte

Kann, il testo è preceduto da un ambiguo patto romanzesco: “L’autore ha fatto nei due o tre anni prima della morte, come ispirata da una straordinaria del suo meglio, come forse è più apparente nella parte centrale, per uscire energia di vita, si mise a dipingere, raccontando di sé, tutta la storia della sua esistenza in pitture innumerevoli. C’è da pensare che presagisse di non aver completamente da sé e lasciar cantare o parlare i personaggi con la loro voce”. molto tempo a disposizione nel futuro, tanta febbrile speditezza ed Su questo terreno la Salomon percorre una strada che è in qualche modo abbondanza ebbe il suo lavoro (solo di tempere, un migliaio). obbligata per molti scrittori e scrittrici del Novecento che hanno narrato Il fatto appare tanto più notevole se si pensa che a quella data sia Levi che circostanze della loro vita, e, d’altra parte, il titolo dell’opera della Salomon è Antonicelli ignoravano i modi della costruzione di Leben? oder Theater? e le un esplicito omaggio, non so quanto volontario, ad uno dei grandi topoi della

151 letteratura novecentesca: Vita/Arte, realtà/rappresentazione, ecc. Ma una sembrano d’obbligo: l’Espressionismo tedesco genericamente inteso, e, per la definizione di tal genere non rende in alcun modo ragione della eccezionalità specifica attenzione all’universo ebraico, sia pure in forme piuttosto favolose del caso di Charlotte Salomon e del suo romanzo di figure. Sottolineo la che realistiche, Chagall. Quest’ultima, per certi aspetti perfino un po' ovvia, formula perché nel corso della sua esperienza l’aspetto figurativo è indicazione è confermata ad abundantiam da un episodio che si legge nella assolutamente centrale. Se la struttura narrativa che la Salomon conferisce biografia della Felstiner: nel 1963, a Salisburgo, Paula Salomon mostrò le alla sua autobiografia consente di avvicinarla, con tutte le approssimazioni del tempere di Charlotte a Chagall che “was very touched by them and said good, caso, a molti scrittori e scrittrici del Novecento, e la sua condizione di donna e they were good” [ne fu molto toccato e disse buone, erano buone]. testimone ebrea può richiamare alla memoria altre vicende femminili irretite nel cono d’ombra dell’Olocausto (dal libro di Cordelia Edvardson a quelli di Liana Millu, Edith Bruck, Giacoma Limentani), l’ibridazione dei generi che la

Salomon pratica (non solo pittura e scrittura, ma anche musica e teatro) rendono la sua esperienza un autentico apax nella cultura europea del Novecento. Soltanto le tragiche circostanze della morte e l’appartenenza dell’ultima fase della vita di Charlotte all’universo concentrazionario può autorizzare il richiamo, di per sé non del tutto pertinente, all’esperienza di altri artisti europei che hanno descritto gli aspetti banalmente o orrendamente feriali del campo di concentramento dopo averlo attraversato e patito su sé: un esempio significativo in tal senso può essere costituito dal Diario di Gusen, diario scritto e figurato del pittore Aldo Carpi, pubblicato da Garzanti nel 1971.

O forse più opportuno, dati la comune matrice ebraico-tedesca, il legame con l’Espressionismo, l’esilio dalla Germania, è il riferimento ad una grande poetessa come Else Lasker Schüler (morta nel 1945, ma era nata nel 1869 e apparteneva alla generazione dell’Espressionismo storico) che disegna le copertine dei suoi libri e illustra i suoi testi poetici. Quanto ai modi e alle forme della pittura di Charlotte, precisato che la ricerca delle radici o delle fonti ha senso solo se la si colleghi all’articolazione narrativa del discorso pittorico di cui già si è parlato, due richiami mi

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Rita Guerricchio fuori scena, può costituirne un commento, svolgersi cioè in concomitanza, ma anche, lo ha dimostrato Felstiner, in discrepanza rispetto alla figurazione. Charlotte Salomon: l’intrattenimento precario Come se, data la loro contiguità, ognuna fosse in rapporto metonimico con l’altra, entrambe parte e assenza l’una dell’altra. In un’opera così anomala e inedita, un precedente da citare può essere la Vie

d’Henry Brulard, una della molte autobiografie di Stendhal, dove alcuni disegni interrompono il testo scritto, ma a evidentissima sua subordinazione, Se, tematologicamente parlando, il s/oggetto di questa sezione è la illustrazione precisa o minuscola mise en scène di qualche immagine del comparatistica al femminile, intesa come territorio di confine, luogo mondo narrato. Per di più, nell’autobiografia della Salomon, spesso la fantasmatico di confluenze nel segno di quell’etica dell’erranza o er/etica scrittura entra dentro la scena e acquista una visibile interagenza con il codice menzionata da Edda Melon, ci sembra che la figura di Charlotte Salomon figurativo, prende essa stessa una configurazione iconica e induce, in sostanza, risulti non solo pregnante, ma anche esemplare di un virtuale nomadismo tra a considerare il grafema prima del fonema ponendo in secondo ‘piano’ il alcuni motivi emersi dalle relazioni, ne arbitri qualche passaggio cruciale: il significato della locuzione. È procedimento ben noto nelle avanguardie commiato o la sua profezia, per riprendere il titolo della relazione di Ornella artistiche alle quali indubbiamente si rifà, almeno in parte, molta pittura della De Zordo, la discesa agli Inferi, l’esilio, la migrazione coatta. Come dire, Salomon. Ma, altrettanto spesso, la parola in scena si lega e instaura un secondo le indicazioni di Maria Grazia Profeti, che rispetto al paradigma, nel dialogo fra i personaggi, attua sicuramente, come ha rilevato Giovanni Pozzi in caso l’autobiografia, Salomon opera un sintagma-scarto, una rottura del margine a esempi di pittura antica, la virtualità teatrale dell’iconografia, canone dovuta proprio a una trasmigrazione di generi e a una contaminazione esprime quanto nei gesti o nelle espressioni era allusivo o sottinteso. Del resto, interdisciplinare. nel caso di Leben? oder Theater? lo stesso dettato ‘a pié di pagina’, quello Siamo avvezzi ormai a molte, peraltro meritevoli pubblicazioni-album che composto su carta soprammessa alla gouaches, evidenzia la sua natura allestiscono biografie per immagini, di solito fotografiche e corredate da teatrale, se risulta, a sua volta, articolato per didascalie e dialoghi. A partire opportune didascalie illustrative estrapolate da opere del biografato. Il rinvio è dal titolo, il testo si presenta come una pièce, divisa per scene, atti, introdotta in realtà pretestuoso e superficiale perché Leben? oder Theater? è sì costruito dall’elenco delle dramatis personae e condizionata dalla presenza di inserti attraverso tappe iconiche (le gouaches) ugualmente accompagnate da musicali. Il sottotitolo Ein Singespiel, oltre a evocare esempi brechtiani, didascalie, ma, soprattutto, si rivela un’autobiografia, anzi una ‘doppia’ rimanda a un modello di rappresentazione come quello affidabile a un autobiografia, geminata dai linguaggi adoperati, quello iconico e quello scritto. cantastorie che, indicando i cartoni-scene, dia voce al commento, reciti E se la priorità sembra spettare al primo, almeno sul piano dell’esecuzione, in dialoghi e monologhi. Ma è anche vero che, lo accenna Silvia Sbrana, realtà i due testi rivendicano piena autonomia di identità: la scrittura è posta l’apparato scritto richiama la funzione dei sottotitoli di un film muto, come,

153 aggiungiamo noi, la sequenza delle gouaches può essere assimilabile a quello loro perdita. Un’altra costante iconografica può essere considerata il letto dove sfoglio digitale e progressivo di immagini ripetute e appena variate che dava vengono ritratte tutte le figure femminili materne, anche quelle vitali e risolte luogo a un antico, primitivo gioco di animazione. come Paulinka, per definirle eterne convalescenti o eterne morenti, inferme Sono tutte suggestioni legittime, ma che coinvolgono, rispettivamente, comunque, ancora e sempre collocate in un luogo di passaggio, in un posto, diverse e antitetiche complicazioni. Poiché molte scene, di contesto e senso tradizionalmente, di confine tra la vita e la morte. differenti, figurano accostate nella stessa tempera e devono alla loro adiacenza Questo, d’altronde, il connotato principe dell’autoritratto della Salomon, è un appiattimento prospettico, di natura spazio-temporale, puntualmente proprio la sospensione dalla morte che invita o costringe (nei termini canonici rispettato e rispecchiato dal presente verbale, vale a dire da un tempo non- di Sheherazade) a un intrattenimento precario come il racconto, nel caso, il tempo, che sostiene tutto il commento. Episodi diversi della ricostruzione del racconto di sé. L’autobiografia nasce proprio dal tentativo di allontanare un passato, come dovuto all’angolazione autobiografica, sono infatti equiparati, appuntamento obbligato e predestinato: poiché è la rivelazione del suicidio drammaticamente livellati in un ensemble che evita rapporti consequenziali e, materno a provocarla e intenderla come un possibile esorcismo. Si ricordi piuttosto, raduna, ma allineandole, serie di sequenze gratuitamente aggregate. quanto Charlotte propone alla nonna tentata di morire: “non prendere la tua Inoltre, per molte scene relative a esterni come a interni, risalta un curioso vita, scrivi la tua vita”. Se l’autobiografia è classicamente imperniata su una punto di vista, dall’alto, che rimpicciolisce i tratti e dona agli ambienti, di ‘conversione’, sicuramente quella della Salomon si fonda su una conversione nuovo, i connotati di quinte teatrali, caso mai quelle di un progetto di scena alla ‘vita’, secondo un’applicazione letterale, oltre che metaforica, del progetto dovuto alla sapienza postuma di uno straniato metteur en scène. La presenza autobiografico. In questo senso l’impiego di una narrazione eterodiegetica (qui frequente di procedure iterative, l’immagine che in una singola gouache si può meglio motivarsi il rinvio a Stendhal) sembra convogliare il valore ripete appena variata, riconduce a una figura retorica che, legata ad analoghe dell’exemplum, dove la storia personale coinvolga every woman e il genere composizioni di Ensor, come accenna Franca Zoccoli, vale una coazione a scelto coincida con la scelta del gender. L’autobiografia in terza persona può ripetere destinata a essere sintomo infantile di affezione e ossessione (di richiamare affini, e infrequenti esperienze di scrittrici italiane fra Otto e morte, notoriamente). Alcune ripetizioni sono, però, ricorrenze, e diventano Novecento: pensiamo a Ada Negri (Stella mattutina), a Grazia Deledda motivi: Liana Borghi ha ben evidenziato il senso di una costante iconografica (Cosima) a Anna Banti (Itinerario di Paolina), ma per le quali, forse, agisce come la finestra, luogo-soglia, luogo-tramite diffusamente dotato delle relative una necessità opposta di oggettivazione, quella sociale, che richiede proprio valenze simboliche. Nel caso della Salomon, del confronto con l’origine della una simulazione e del genere e del gender. Felstiner asserisce, giustamente, sua famigliare catena mortuaria, essa vale come archetipo personale del che anche nell’autobiografia della Salomon il problema della specificità del confronto con la morte. Nessuno dei suicidi, come voleva una regola del teatro genere non risulta cruciale, ma riconosce come dal leitmotiv del suicidio antico, si svolge in scena, la finestra è ipostasi congrua e perfetta della materno emergano i segni dell’esperienza femminile e l’impegno con le donne presenza-assenza, rimemora le figure perdute materializzando il luogo della assuma coscienza d’investimento. In questo senso l’uso della terza persona, la

154 qualità teatrale del testo, trovano le loro giustificazioni e condizionano la effetto di realtà in grado di prevaricarne la portata artistica. E se non è facile singolarità del patto autobiografico: “L’autore ‒ dice la presentazione iniziale ‒ per Leben? oder Theater? non farsi condizionare dalla fine storica di Charlotte ha provato a uscire completamente da se stesso lasciando che i personaggi Salomon, è bene ridurne il margine di interferenza allotria pensando, almeno, cantino o parlino con la loro propria voce”. E altrove, soprattutto (in un all’immagine che chiude l’autobiografia, quell’orizzonte di attesa, marino e appunto citato nelle note biografiche di Emil Straus): “Io ero mia madre, mia solatìo, in cui si compone la controfigura Charlotte, precocemente ma nonna;... ero tutte le persone che appaiono nella mia opera. Ho imparato a sicuramente al termine di un’opera compiuta. vivere le loro vite e così sono diventata me stessa”. Per immedesimazione e straniamento, per tecniche opposte e complementari di recitazione, Salomon tenta, dunque, di restituire corpo e parola alle madri, e così riguadagnare il proprio corpo e la propria parola; rendere le donne soggetti per recuperare, al massimo apparente di oggettività, la propria identità soggettiva. “Non sono risorto dalla morte per nulla”, dice Daberlohn, l’alter ego maschile di Charlotte (ma “la creazione dipende dalla combinazione di maschilità e femminilità in un’unica persona”) cui l’esperienza della morte dona maggiore consapevolezza di vocazione e argomentazione sull’arte-vita. Il rapporto speculare fra i due è complicato dall’amore e dalle prove della rispettiva creatività, ma resta fermo nel fatto che anche per Charlotte, se è vero che “ogni vera arte viene dall’esperienza della vita, dal cuore”, l’arte si raggiunge attraversando l’inferno (Daberlohn scrive un libro su Orfeo,

Charlotte disegna La morte e la fanciulla, sulla traccia della canzone di Matthias Claudius o del quartetto di Schubert), cioè la zona ctonia abitata dalle madri. Per voci altrui, per multipli sosia, Charlotte attua la sua ricerca delle origini, a stabilire differenza e coidentità: Charlotte è insieme Demetra e

Persefone, rinnova la loro quest, accreditata dal mito e derisa dalla storia. Poiché, guardando e leggendo Leben? oder Theater?, è difficile eludere l’impressione che Vittorio Sereni, recensendo l’edizione italiana, uscita nel ’63, definiva “reversibilità della suggestione”: una sorta di prolessi indebita che si compie nei confronti dei testi legati all’Olocausto e vi aggiunge un preliminare

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Franca Zoccoli ricevuto all’Accademia di Berlino, si colloca in questa linea con una cifra stilistica di indubbia originalità, soprattutto per il modo nel quale Charlotte Salomon. I colori del sé interagiscono parola scritta e figurazione, per il rapporto dialettico tra segno e pennellata-colore e infine per l’audacia dei tagli prospettici e l’immaginosa

varietà dell’impaginazione. Specie nell’ultima parte della raccolta certe sue invenzioni formali, come i corpi ridotti a crisalidi, le fattezze sgorbiate con

tratti convulsi, sembrano addirittura precorrere recenti sbocchi dell’arte

Per Charlotte Salomon sembra che tutte le vie fossero segnate, anche quella tedesca. dell’arte. La mole e l’urgenza della sua autobiografìa figurata ‒ 1325 fogli Il tragico racconto per immagini della vita sua e delle altre donne cui si sente eseguiti in circa 400 giorni ‒ le imponevano di adottare un linguaggio formale più legata la madre, la nonna, la zia è affidato a “fogli”, che rinviano, per sintetico ad alto quoziente emotivo. L’artista si inserisce così, analoga materia, la carta, a pagine di libri o di diario: uno spazio più limitato spontaneamente, in quel vasto filone che rappresenta l’asse portante di tutta di quello del quadro, e in certo senso privato. E anche la tecnica prescelta, la l’arte di area germanica e più in generale del Nord Europa, l’Espressionismo. gouache, rimanda alla scrittura poiché la tempera diluita nell’acqua ha la Tale termine non va ovviamente inteso in senso restrittivo, e cioè riferito fluidità e l’immediatezza dell’inchiostro. soltanto agli specifici movimenti di inizio secolo (da Die Brücke, prima fra Le scritte sono tracciate su una velina nella prima parte, direttamente sul tutte le avanguardie, al Blaue Reiter) ma in senso lato, a indicare la linea che foglio nella seconda parte quando all’opera viene impressa un’accelerazione privilegia deformazione ai fini espressivi, drammaticità, coinvolgimento, progressiva. In entrambi i casi le lettere si dilatano, si restringono, la grafia si sollecitazione emozionale. Tali caratteristiche si riscontrano già nella pittura snoda serpentina intorno alle figure, invade con prepotenza i più diversi spazi religiosa del tardo medioevo (non a caso l’arte gotica è indicata dagli del foglio, ben lontana dal ruolo subordinato della didascalia o anche del Espressionisti tra le fonti di ispirazione del movimento) e poi in Grünewald, in fumetto; ha invece un autonomo impatto visivo che si integra con quello delle Dürer, per giungere, attraverso i protoespressionisti Ensor e Munch, ai figurazioni. Nella parola scritta, l’attenzione spostata dal significato al movimenti storici già menzionati e poi fino a ridosso dell’attualità con il Neo- significante, cioè al veicolo, al supporto del significato, ha una lunga storia che espressionismo tedesco sorto negli anni Ottanta che vede in prima fila il va dai carmina figurata medievali alle sperimentazioni tipografiche di Sterne, virulento Baselitz. Se è vero che esiste a riscontro una “linea fredda” dalle pagine illustrate di William Blake alle tavole parolibere dei futuristi e ai all’insegna del distacco, del rigore, del geometrismo, la quale culmina nel calligrammi di Apollinare. In Salomon tuttavia vi è un più spontaneo fluire del Bauhaus, il filone dominante resta quello espressionista. segno verbale, che sembra sgorgare dall’intimo per venir registrato dalla Charlotte Salomon, messi da parte gli insegnamenti compassati che aveva mano. Se da un lato vi è a monte la scrittura automatica surrealista, dall’altro l’irruenza del segno fa già pensare a quello che sarà il fenomeno dei graffiti

156 metropolitani. Anche la linea di contorno delle figure, rapida, via via sempre vena di ironia ben lontana dal truce sarcasmo di Grosz. L’andamento più stenografica, talora spezzata, ha un andamento grafico, quasi scritturale narrativo sul flusso della memoria è tenuto su un registro di quotidianità mentre il colore, spesso con valenze simboliche, è steso a pennellate non domestica, con riferimento continuo alle cose comuni che segnano il ritmo del coincidenti. Per il suo lessico Salomon attinge alla cultura alta e a quella bassa, giorno: la tavola apparecchiata, il letto. Proprio come avviene nella naïve popolare. vicina ai pittori dell’angoscia che precedono l’Espressionismo, americana Grandma Moses, nei cui quadri ricorre anche il tema della finestra, Munch, Ensor, nelle cui opere gli esseri umani divengono segni di sia pure con diverso significato. drammaticità; in particolare ricordano Ensor certi volti indistinti, senza La vita come teatro è un topos letterario cui di frequente fa riferimento connotati, mentre il gesto assume valore dominante. Fra gli espressionisti la anche la pittura. Del resto il quadro è in sé rappresentazione (non maggiore affinità è con Emil Nolde per il timbro cromatico e per i corpi necessariamente in senso descrittivo), è scena. In Charlotte Salomon il titolo danzanti, disarticolati. Talvolta nei fogli di Salomon sono rintracciabili vere e Leben? oder Theater? diventa una precisa scelta di campo. Ogni avvenimento proprie citazioni, dai cipressi di Gauguin nel periodo di Arles alle figure in è selezionato e quasi offerto su un palcoscenico illuminato da riflettori. Come volo o agli arredi folclorici di Chagall. nella più classica drawing-room comedy, l’azione si svolge per lo più in Altrettanto importante è l’aggancio con la cultura popolare. Il riferimento interni, fra le pareti domestiche. Diviene perciò emblematico l’appartamento più ovvio è quello al “fumetto” anche perché la storia procede talora per scoperchiato di Franziska che compare in uno dei primi fogli e che subito ci sequenze, a registri sovrapposti, proprio come le strips; Salomon ne adotta propone i punti di vista anomali, le impaginazioni eterodosse di Salomon: la però le convenzioni per poi subito trasgredirle: elimina la “nuvoletta ”, sceglie suddivisione dello spazio in scomparti, la prospettiva spesso dall’alto, per le parole collocazioni arbitrarie, talora addirittura con scollamento tra vertiginosa, precipitata. Da questo punto di vista privilegiato, l’artista osserva narrazione verbale e iconografica. Sempre nell’ambito della cultura “bassa”, se stessa (non usa mai il pronome “io” ma “lei”) e gli altri personaggi della altri riferimenti sono le tavole dei cantastorie e il feuilleton per l’uso dichiarato storia dal di fuori, come se fluttuasse sospesa nell’aria, in strana sintonia con della teatralità, anche a “tinte fosche”. Non manca infine una certa parentela certi racconti parapsicologici dei “ritornati in vita”. con la pittura dei naïfs, sulla quale tornerò in seguito. La narrazione procede scandita dal ritmo sempre più incalzante delle Autobiografia, storia di una vita: quella di Charlotte Salomon è tutta ripetizioni, che non sono semplicemente “incrementali ”, al fine di portare all’ombra della morte, fra il martellamento di suicidi nella sua famiglia e la avanti il racconto, come nelle strisce dei fumetti, nei fotogrammi di un film o premonizione dello sterminio. Duplice è dunque la minaccia, che incombe sia nelle antiche ballate, ma sono anche répétitions différentes, per usare dall’esterno sia dall’interno per una sorta di pulsione congenita. Non vi è un’espressione di Deleuze, usate allo scopo di ottenere maggiore intensità tuttavia nell’opera di Charlotte la tragicità appassionatamente spietata dei espressiva. Ne è un esempio il volto di Daberlohn ripetuto moltissime volte corpi nudi di Egon Schiele o l’orrore puro, violento come un pugno nello mai del tutto uguale, a differenza della Marilyn di Andy Warhol sul cui viso stomaco, di Joseph Beuys. Il dramma è intenso ma come stemperato da una immutato varia solo l’esposizione cromatica: fisionomia umana costantemente

157 mutevole contro icona mercificata e congelata dai mass media. Numerosi sono i richiami fra immagini lontane e sempre in questi casi l’implicazione psicologica appare assai intensa. L’esempio più evidente ed esplicito è l’immagine della madre suicida con un volo dalla finestra, raffigurata con una gamba tesa in alto e l’altra rattrappita contro il corpo; le corrisponde identica l’immagine della nonna morta nello stesso modo, molti anni dopo. In questa circolarità di un fato ineluttabile si inserisce, nel mezzo, una terza figura, quella di Charlotte bambina che si inginocchia sulla tomba materna: una figura che ripropone con chiarezza la stessa immagine, capovolta. Subentra poi l’inconscio a suscitare talvolta analogie forse non programmate, come quella fra un’immagine della nonna (che nella resa del volto ricorda certi autoritratti della Kollwitz) ed una di Charlotte che dipinge davanti al mare nel foglio conclusivo della raccolta. La nonna è inscritta in un cerchio perfetto ‒ bozzolo duro di dolore e disperazione ‒ che la rinserra in se stessa, senza possibilità di fuoriuscita, di comunicazione. Benché in modo meno evidente, anche la figura dell’artista, accoccolata con le spalle al riguardante, è racchiusa in un cerchio. Si tratta di un’immagine la cui serenità di superficie, per il raggiunto compimento dell’opera, è sottesa da un senso di imminente pericolo che è forse anche tragico desiderio di annullamento. Vi è un particolare inquietante in questo foglio: al di sopra dell’acqua, alcune delle pennellate raffiguranti nuvole o cielo ripetono identica la sagoma della testa di

Charlotte, in procinto di sprofondare come se il mare dovesse inghiottirla per sempre.

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NON SCRIVERE NELLA LINGUA DELLA MADRE

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ma per elementi fondamentali riconducibili alla matrice ebraica, che cercherò Rita Calabrese di delineare. Tutta la produzione di Anna Seghers è segnata da una polarità tra impegno e Lingua della madre, lingua di assassini creazione poetica che ne rappresenta una delle caratteristiche più originali. L’esigenza di mettere insieme realtà e fantasia, l’albero e il sogno di un albero, “raccontare ciò che oggi mi colpisce e i colori delle fiabe” (Wolf 116) è alla base di quel “realismo mitico” che a mio avviso caratterizza le sue opere migliori. Intendo per “realismo” ciò che nasce dall’esperienza e da autentico amore per Anna Seghers. Ebrea, donna, comunista. I tre aspetti in cui si attua il l’umanità, e non dall’osservanza delle direttive di partito, e per “mito” non continuo sconfinamento di un’identità fissata sbrigativamente nell’icona della intendo un relitto del passato o la fuga regressiva, bensì la trama vitale Staatsdichterin, l’autrice di stato, trovano nel linguaggio la più efficace e vitale dell’esistenza, garanzia di eterno mutamento e di insopprimibile speranza. Mi focalizzazione. pare si configuri così quella simultaneità (la sospetta doppiezza, in realtà Come per molti ebrei e ebree assimilati, il comunismo si configura per lei in grande ricchezza) tipica della condizione diasporica: ebrei e tedeschi; qui e una sorta di laicizzazione del fare e del dialogo che dell’ebraismo sono tratti l’anno venturo a Gerusalemme; vivere nel 1995 ed insieme nel 5755; essere e fondamentali, nella traduzione in termini politici ed etici dei precetti di divenire; fede e dubbio; adesione e distacco, elementi che rivelano una cultura tzedakah (non semplice carità ma senso di pietà e giustizia) e di tikkun- monoteista paradossalmente basata sul due. haolam, (riparazione del mondo, trasformandolo e migliorandolo) nell’utopia Per una narratrice, e grande, come lei, il presente è la dimensione propria, secolarizzata della redenzione collettiva (Schrade 53). Se Anna Seghers ma non completamente. Direi che il suo presente acquisti la peculiare densità sembra condividere la convinzione diffusa tra gli ebrei marxisti che la della concezione ebraica, in cui ogni istante contiene in sé passato e futuro, Judenfrage(come la Frauenfrage)si sarebbe automaticamente risolta nella perché ogni minuto può rappresentare la creazione e la redenzione società socialista ‒ speranza destinata a essere delusa nell’uno e nell’altro caso messianica. ‒ nella sua opera queste appartenenze si rivelano nella fecondità di una insolubile contraddizione. Ebraismo ed ebraicità (Levi Della Torre 33) possono essere paragonati a un Chiacchiere in molte lingue mi colpivano l’orecchio: storie di navi che non partivano più, di navi arrivate, di navi bloccate, di navi catturate, di uomini fiume carsico ‒ invisibile a occhio nudo eppure presente sotterraneamente, che volevano mettersi al servizio degli inglesi o di De Gaulle, di gente che che talvolta si manifesta in modo palese ‒ non solo per l’uso di materiali doveva tornare ai campi di concentramento forse per degli anni, di madri che avevano perduto in guerra i loro figli, di uomini che partivano lasciando le mitologici dell’ebraismo e del cristianesimo in una sorta di sincretismo che proprie donne. Chiacchiere nuove e secolari dei porti, chiacchiere dei fenici e dei greci, dei cretesi e degli ebrei, degli etruschi e dei romani. informa la struttura stessa delle opere nelle ricorrenti citazioni o riferimenti, Allora per la prima volta riflettei seriamente su tutto: su passato e futuro,

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l’uno uguale all’altro e impenetrabili allo stesso modo, e sulla condizione che pescatori di Santa Barbara,le donne, oltre le figure ricorrenti di Marie, nei consolati viene chiamata di transito e, nel linguaggio comune, presente. tradizionalmente divise in madri e puttane, sembrano avere una dimensione (Seghers 1985, 219-20) propria, possedere un sapere altro: Nel ciclico ripetersi della storia rimane sempre aperta la porta della speranza, anche se appare immutabile la tragedia della conditio judaica: Le donne in fondo agli occhi dei loro uomini, che guardavano lontano, al di sopra della tavola, vedevano qualcosa di nuovo, di fermo, di oscuro, come

appare il fondo dei recipienti, quando si vuotano. (Seghers 1976, 107) Ogni anno si ripeteva un fatto nuovo in questo Paese, ed ogni anno lo stesso: che, sotto i raggi miti e rannuvolati del sole e con la fatica e le cure degli Nella scena finale, sono le loro figure scure a rimanere a guardare gli uomini uomini, maturavano le mele e il vino. Perché il vino occorreva a tutti, per tutto: ai vescovi e alla nobiltà terriera per eleggere il loro imperatore, ai che si allontanano a bordo della “Maria Ferére”, diventando protagoniste del monaci e ai cavalieri per fondare i loro ordini, ai Crociati per bruciare gli ebrei quotidiano, garanti della continuità della vita, del legame con la terra. Le ‒ quattrocento in una sola volta sulla piazza di Mainz, che ancor oggi è detta “piazza del fuoco” ‒ agli Elettori, religiosi e laici (e quando il Sacro Impero era figure femminili di Anna Seghers presentano un modo diverso di stare al crollato, le feste dei grandi divennero più gioconde che mai); ai Giacobini mondo, dimostrano la forza dei deboli, il coraggio di vivere contrapposto al infine per danzare intorno agli alberi della Libertà. (Seghers 1958, 11-12) coraggio di morire dei rivoluzionari messianici.

Vediamo adesso come i tre aspetti si manifestano nella scrittura. Anche l’espressione di un’identità femminile mi pare rimanga segnata dall’ebraismo, da un riconoscimento di differenza, in genere non rilevato. È stato spesso sottolineato lo “sguardo maschile” di Anna Seghers, identificando Dio creò il mondo. Ce lo ha dato come un campo nudo e incolto. come prettamente maschili la forza della sua prosa, la lucida oggettività, il E venne il poeta e creò la vita, linguaggio scarno ed efficace. Ed è significativo che lo pseudonimo A. Seghers, e solo allora vedemmo e sentimmo il mondo. (Ausländer I, 104) il nome di un incisore contemporaneo di Rembrandt, con cui apparvero i suoi primi racconti, “Grubetsch” e quell’autentico capolavoro che è La rivolta dei Così Rose Ausländer assegna al poeta un ruolo fondamentale nel pescatori di Santa Barbara, fece immediatamente pensare ad un uomo e miglioramento del mondo. Tikkun diventa il proseguimento dell’opera della ispirò una caricatura dell’ignoto e promettentissimo esordiente con baffi e creazione, il suo completamento ad opera degli esseri umani, con la sacralità sigaro. della parola. Come altre comuniste della sua generazione (1900), Seghers è sembrata fin Come è noto, l’impegno attivo è al centro della poetica di Anna Seghers. Il troppo concentrata sulla lotta di classe per interessarsi della questione compito dello scrittore nel socialismo è un tema spesso trattato dalla scrittrice, femminile (Haas 1980, 148; Stephan 42). Lo scarto di una ricca identità a partire dal celebre carteggio con Lukàcs degli anni Trenta, in cui la scrittrice femminile si rivela invece, a mio avviso, nella scrittura. Già nella Rivolta dei esprimeva posizioni certamente non omologate alla disciplina del partito,

161 ponendo l’accento sulla creatività artistica e sulla fantasia, che si Peter Weidel, che raffigura lo scrittore Ernst Weiß morto suicida, è un vero e esemplificano nell’esaltazione del valore eversivo dei romantici (tra cui proprio testamento del poeta morto: Karoline von Günderrode), tacciati invece di decadenza borghese dagli organi culturali del partito e proibiti poi per decenni nella DDR. In tutta la sua lunga Repressi un sorriso: “E per che cosa ha dunque combattuto?”. vita è stato il tema principale delle opere teoriche che si sono immediatamente “Per ogni parola, per ogni frase della sua lingua materna. Si è battuto perché i suoi brevi racconti talvolta un po’ pazzi, fossero così belli e così semplici che a tradotte nella prassi della scrittura. Anche nella narrativa sono frequenti i tutti potessero piacere, ai bambini non meno che agli uomini maturi. E ciò riferimenti al compito dello scrittore, più vicini alla trasfigurazione di Rose non è forse far qualcosa per il proprio popolo?” (Seghers 1985, 221) Ausländer che non al rigore vincolante di Lukàcs, come sono presenti alcune Dovere del ricordo, legame con la lingua materna, impegno di fedeltà e sua metafore della scrittura che acquistano un più profondo significato se difesa sono esemplificati al massimo, da prospettive diverse, in due racconti: ricollegate alla matrice ebraica. “Posta verso la Terra Promessa” (1943-44) e “La gita delle ragazze morte” Nel racconto “Das Argonautenschiff” (1948), Argo, la nave di Giasone, mi (1946). sembra rappresenti la scrittura che può portare in nuovi mondi, ma che Se in molte opere appaiono personaggi biblici o ebrei che rimangono deperisce e perde ogni valore se allontanata dal rapporto con gli altri, avulsa marginali, nel racconto “Posta verso la Terra Promessa” la condizione ebraica dal contatto vitale con la comunità. Lo scrittore vede più degli altri, indica il diventa tema centrale. Nel racconto, che può essere letto come un Kaddisch cammino nel racconto emblematicamente intitolato “Il profeta”: per la tragedia del popolo ebraico e insieme come confronto con la propria

ebraicità, viene narrata la vicenda di una famiglia per quattro generazioni, Una pubblicazione a cui ogni volta lavorava a lungo e con cura affinché dalla Polonia a Vienna, in Slesia e infine a Parigi dove i due vecchi Grünbaum potesse trovare veramente espressione quello che voleva esprimere, senza fronzoli inutili, senza abbreviazioni fuorvianti, non gli portava al massimo che con il genero Nathan Levi ed il suo figlioletto Jakob sembrano trovare pochi Pfennig insufficienti alla sopravvivenza. Ma non aveva pace, né sosta finalmente un asilo sicuro. Con il cambiamento in Jacques del nome del finché ogni suo pensiero non aveva trovato la forma più precisa possibile. Imparò in fretta lingue straniere, con il traduttore che lo aiutava lottava per nipote, giunto bambino in Francia, è compiuta l’assimilazione, vista come un ogni singola frase. (Seghers 1965, 57) inevitabile processo naturale che include il progressivo abbandono della

tradizione. Allorché con la nascita di un nipote maschio è assicurata la La scrittura, vista come fedele espressione del pensiero, faticosamente continuità, Nathan, ormai vecchio, decide di trascorrere gli ultimi anni nella conquistata, acquista nel racconto una dimensione simbolica di profezia laica terra dei suoi padri e si trasferisce in Palestina. Con le lettere che padre e figlio ed è un omaggio alla sacralità della lingua in forma secolarizzata. La poesia si si scambiano, si instaura quella comunicazione che non aveva avuto luogo configura anche come ricordo, obbedienza ad un imperativo categorico della prima: “Il dottor Levi scrisse molto più facilmente e serenamente di quanto tradizione ebraica. Il romanzo Transit (1943) fa l’apologia della parola poetica avesse mai potuto parlare prima con suo padre” (Seghers 1962, IX, 166). Il e della sua funzione rivoluzionaria, della scrittura come memoria. L’omaggio a

162 colloquio proseguirà oltre la morte dei due e la scomparsa della moglie e del saranno la figlia di una di loro, come speranza, e la futura scrittrice, come figlioletto di Jacques Levi durante la guerra. Altri continueranno a inviare custode della memoria. Tornati in città, la piccola Netty si affretta verso casa lettere per destinatari che non esistono più. Un legame fantasmatico, pura poiché a lei l’insegnante ha assegnato l’incarico di fissare per sempre i memoria, sembra ormai unire l’estinto ebraismo della diaspora con la particolari di quella gita nella descrizione da preparare per l’ora di tedesco. Palestina (non c’era ancora lo stato di Israele), patria nel senso di Joseph L’impegno si intreccia strettamente al ricordo che è più che mai recupero di Roth, luogo dove si seppelliscono i morti (Haas 1995). sé, della propria storia, del linguaggio. La lingua di questo racconto, come è Mentre questo commosso omaggio è una narrazione epica in terza persona, stato sottolineato (Seghers 1975, 44), è priva di certezze, piena di dubbi, dal che rappresenta una vicenda emblematica della diaspora, il bellissimo ritmo spezzato. Una lingua che viene nuovamente appresa, come è successo racconto “La gita delle ragazze morte” è una immediata narrazione di sé in realmente all’autrice dopo l’amnesia causata da un grave incidente, ma è prima persona. E l’opera forse più genuina di Anna Seghers, pur nella anche un processo simbolico di purificazione e di riappropriazione che nella complessità della costruzione, dove l’esilio messicano si riallaccia con la vita figura della madre, scomparsa ad Auschwitz, trova il punto di fuga, il nuovo precedente in una dimensione trasfigurata aperta al futuro, l’unica opera inizio. E la madre con i suoi capelli nuovamente scuri a garantire il linguaggio espressamente autobiografica, in cui la voce narrante con lievi sfasature si che Netty potrà usare: “avrei eseguito il compito assegnato”, sono le parole identifica con l’autrice. Sembrano esemplificate nel modo più felice quelle conclusive del racconto. Il compito dello scrittore che qui assume una categorie di “autenticità soggettiva” e di “futuro ricordato” che Christa Wolf inequivocabile valenza sessuata è l’imperativo categorico a ricordare individua nell’opera dell’autorevole progenitrice letteraria e su cui a sua volta (zakhor)a impedire l’oblio, a cui chi scrive non può sottrarsi se non vuole fonda la propria poetica. La voce narrante, esule riparata in Messico, appena scadere nell’insignificanza, come sottolinea un brano di Transit che di tutto rimessasi, come la scrittrice, da una lunga malattia, si avvia con sicurezza da ciò costituisce l’esatta “immagine rovesciata” (Gegenbild): sonnambula attraverso un paesaggio assolato. Nebbia e polvere smorzano i colori e sfumano la realtà in una dimensione onirica. Come in una fiaba si Quand’ero ragazzo facevo spesso delle gite con la mia classe. Erano gite assai trova dinanzi ad un portale dal cancello infradicito e divelto, lo attraversa ed è allegre. Ma purtroppo l’indomani il maestro ci dava come tema: “La gita della nostra classe” .... E tutti quei pennaioli che erano stati internati con me e che un passaggio ad un’altra realtà. Una voce chiama Netty, il suo vero nome, e la come me si sono salvati, ecco che ora sembrano aver vissuto le fasi più strane e donna matura ritorna ragazza, rivive la gita scolastica della sua adolescenza. Si terribili della loro esistenza, il campo di concentramento, la guerra, la fuga, solo per poter scriverci qualcosa sopra. (Seghers 1985, 193) intrecciano i ritratti di una quindicina di ragazze: giovani piene di sogni e di speranze che la prima guerra mondiale e il nazismo sconvolgeranno Per ripristinare il senso di appartenenza alla comunità umana la lingua deve inesorabilmente. Nessuna si salverà, moriranno tutte, suicide, nei campi di essere redenta dalla violenza e dalla barbarie nazista, riconquistata parola per sterminio, nelle prigioni naziste o sotto i bombardamenti, per eroismo, per parola, in un autentico corpo a corpo, riportata alla sacralità del linguaggio viltà, per sacrificio, per tradimento, per caso. A sopravvivere alla tragedia

163 materno. Termini come “popolo” e “patria” sottratti alla deformazione nazista Heimatsprache, lingua della patria, è finita con il diventare Sprachheimat, vengono riconsegnati all’umano. Vaterland, sanguinaria terra del padre, patria linguistica: “La mia patria [Vaterland] è morta/ l’hanno sepolta/ nel ritorna materna Heimat. Egualmente, il Reno, il fiume germanico per fuoco/ Io vivo/ nella mia terra materna [Mutterland]/ la parola (Ausländer, V, eccellenza, eroico e virile, dell’ideologia nazista, mitico custode della purezza 98). della stirpe (Magris 26), diventa il dolce sfondo della vicenda quotidiana, Dopo Auschwitz, cesura definitiva della coscienza dopo la quale si dovrebbe ricondotto a far parte della vita in una dimensione di pace. Il mito tecnicizzato addirittura inventare una nuova numerazione del tempo (Edvardson 1991: viene restituito alla sua genuinità, le parole di morte vengono sconfitte dalle 49), la scrittura ha costituito per gli scrittori tedeschi anche un problema parole della vita. Come il poeta creatore evocato da Rose Ausländer, come il linguistico. Ci si è chiesto come fosse possibile usare un linguaggio profanato defunto Weidel di Transit, Anna Seghers lotta per la sua lingua madre, dalla barbarie, sfigurato dalla propaganda nazista. I giovani che diedero vita al violentata e profanata dai nazisti e cerca di riscattarla, di redimerla dalla “Gruppo ’47” parlarono di Anno zero, Nullpunkt, e vollero credere a una barbarie. Perché ritorni Muttersprache, legame originario, che mai può venire palingenesi linguistica ripartendo da un lessico elementare e disadorno che meno, perché intessuto con tutte le fibre del corpo, oltre che della mente, a cui potesse rispecchiare la desolazione materiale e spirituale delle macerie. si rimane sempre legati, autentico cordone ombelicale. Come pochi altri un Diversa ovviamente la situazione per quelli che avevano vissuto l’esperienza brano di Transit esprime la “sensualità” (Seghers 1975, 153) e la fisicità del estrema di Auschwitz, schiacciati tra il dover parlare e il non poter raccontare: linguaggio: non solo è sembrata inservibile la Muttersprache diventata Mördersprache, lingua di assassini, ma qualunque altra lingua: “Non c’è una lingua, non ci E mentre leggevo righe su righe, sentivo che questa era la mia lingua, la mia sono parole con il cui aiuto tu possa dire l’indicibile, con cui possa spiegare lingua materna, ed essa mi entrava in corpo come il latte in un bambino. Non l’inspiegabile. Nessun rivestimento linguistico che possa essere gettato sopra schioccava o strideva come la lingua che usciva dalle gole dei nazisti con ordini assassini, con ripugnanti pretese di obbedienza o ignobili vanterie. Era seria e lo scheletro delle tue esperienze” (Edvardson 1988, 9). Così a Cordelia tranquilla. Mi sembrava d’essere nuovamente solo con i miei. Ritrovai parole Edvardson il linguaggio e il mondo sono sembrati irredimibili. Come lei, tanti che aveva usato mia madre per rabbonirmi quand’ero violento e crudele, parole con le quali mi rimproverava quando mentivo o litigavo. Ritrovai parole sono ammutoliti e hanno potuto parlare solo molto più tardi2. che io stesso avevo usato, dimenticate ormai. Nella mia vita non avevo più Dopo un silenzio di 40 anni, per dar voce all’orrore, Cordelia Edvardson si è riprovato sentimenti simili che richiedessero simili parole, c’erano parole nuove che io da allora uso ancora qualche volta. (Seghers 1985, 31-32) servita di una lingua non contaminata e ha scritto in svedese. L’esperienza concentrazionaria è resa raccontabile e comunicabile trasposta in forma Mentre Seghers, dopo la guerra, si stabilisce nella zona di occupazione fiabesca. E la sua è una favola crudele dove il distacco è accentuato dall’uso sovietica, poi DDR, con una scelta coerente con il compito dello scrittore1, per della terza persona, è “la bambina” e successivamente “la ragazza” e “la gli emigrati non ritornati che dell’esilio hanno fatto una scelta definitiva la donna” a vivere “nell’eterno presente del ricordo” (Edvardson 1988, 99), quasi

164 a sottolineare l’impossibilità di uscire da Auschwitz. l’incubo. Riconosciuta per tre quarti ebrea deve abbandonare la scuola, Fin dalla nascita Cordelia porta il segno della elezione, orgogliosa diversità e portare la stella di David e sottostare alle vessazioni imposte dai nazisti. La dolorosa esclusione insieme, retaggio di una negativa genealogia femminile: madre rifiuta di mandarla lontano da sé in Svizzera, una decisione fatale ma dopo un errore giovanile, la nonna, di ricca famiglia cattolica, ha dovuto comprensibile che però Cordelia non le perdona, con un rancore che appare “accontentarsi” di sposare un ebreo, che comunque si è convertito al attraverso la trasfigurazione letteraria: “La realtà piantò le sue unghie nella cattolicesimo. La figlia, già apprezzata lirica e poi famosa romanziera, madre, però non riuscì a scalfire la sua fede incrollabile nella propria magica Elisabeth Langgässer, ha avuto a sua volta la figlia da un uomo sposato, ebreo onnipotenza, con l’aiuto della quale avrebbe ancora potuto salvare la figlia” che muore subito dopo in Spagna. Cordelia, dal fatale nome shakesperiano, è (Edvardson 1992, 71). legata da un intensissimo rapporto simbiotico, diventato poi un complesso In realtà la scrittrice cerca disperatamente di salvarla, riesce a farla adottare groviglio di sentimenti ambivalenti, alla sua bella e affascinante madre, formalmente da una coppia di spagnoli. Con un passaporto straniero Cordelia “creatrice e... vittima di miti” (Edvardson 1992, 13). Vive nella sua cerchia può togliere la stella di David e tornare alla normalità, ma è solo una breve magica una vita intessuta di miti e fiabe, musica e poesia. Come la tregua. È un inganno di breve durata che la Gestapo non tarda a scoprire. Per protagonista di un racconto giovanile di lei, è Proserpina, è nata, come scrive salvare la madre dall’accusa di alto tradimento e per di più mezza ebrea, la madre in una lettera a un’amica, da un abbraccio tra Danae e Zeus sotto Cordelia la fedele, Proserpina la prescelta, firma l’accettazione delle leggi forma di pioggia d’oro. Nausicaa, figlia di re che si innamora di uno straniero. tedesche. Viene così strappata dalla famiglia, nella sua trasposizione fiabesca, Elisabeth Langgässer, rimossa completamente la sua origine ebraica, è una cuculo indesiderato: “caddi fuori dal nido, dal nido di -Eichkamp, o fervente cattolica, dai tratti mistici, fortemente individualisti. Qualche anno forse mi portò via un astore e quelle tre si strinsero ancora più strettamente dopo sposa un uomo dall’indiscutibile aspetto ariano, Orfeo e Parsifal insieme, tra loro e accumularono una grossa riserva di noci e speravano di superare nella descrizione di Cordelia, l’esatto contrario dei due ebrei ‒ il padre e l’inverno” (Edvardson 1988, 22). l’amante ‒ che l’avevano sedotta e tradita. Nella nuova famiglia della madre, Per la quindicenne è la discesa nell’Ade: prima internata nell’ospedale che in breve mette al mondo altre tre figlie, a differenza di lei ariane e frutto di ebraico, dove è costretta ad imparare questa identità mai immaginata, un un’unione benedetta, Cordelia, che ha assunto il nome del patrigno, apprendistato che attraverso Theresienstadt si conclude nell’inferno di Hoffmann, si sente estranea, un elemento dissonante con i suoi occhi “scuri, Auschwitz dove il marchio A3709 è la sanzione della sua ormai ineludibile tristi e pensosi ereditati dal padre” (Edvardson 1992, 10), anche se mai viene condizione. Nel regno dei morti retto da due crudeli sovrani, il dottor Mengele fatto cenno alla sua origine. Cresce infatti cattolica, devota come la madre, va e Marie Mandel, diviene la principessa delle ombre. Solo poche, pochissime in chiesa la domenica, non mette mai piede in una sinagoga, non sa nulla di pagine che assumono i tratti trasfigurati della visione: Torah e di ebraismo. Con l’entrata in vigore delle leggi razziali ha inizio

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Chi mandò Proserpina a servire il sovrano degli Inferi? Perché era così che la Ma la Svezia è solo una tappa. Si trasferisce in Israele con il figlio subito ragazza viveva il suo destino, ella non era né carnefice né vittima, era stata dopo la guerra di Yom Kippur, non per fede, ma sentendo l’appartenenza al mandata per servire, per essere utilizzata e adoperata. Per essere consumata come un lustro soldo di rame che riflette indistintamente ciò che non può suo popolo nel momento che avrebbe potuto segnarne ancora una volta essere detto. (Edvardson 1992, 95) l’annientamento. Abbandonando pace e sicurezzza va a vivere nel pericolo e

nella provvisorietà, poiché ‒ se capovolgiamo il proverbio nel titolo dell Dopo la liberazione, verrà portata in Svezia gravemente malata nel corpo e edizione originale e tedesca ‒ è come un bambino scottato che invece di nell’anima. Perseguitata dal rimorso e dal senso di colpa sperimenta “L’ira del schivarlo si ostina a cercare il fuoco. sopravvissuto che diventa angoscia” (Edvardson 1992, 133) e si rifugia nel silenzio, a lungo: “Era muta. In principio era la parola, ma alla fine la cenere” Come fa notare Cordelia Edvardson, “uno dei misfatti del nazismo ‒ e non (Edvardson 1992, 95). certamente il minore di tali misfatti ‒ è stato l’assassinio della lingua tedesca” Della sua esperienza ancora così viva scrive alla madre che ha bisogno di (38). Il tedesco contaminato non può più essere adoperato. La memoria può dettagli sulla quotidianità nei campi di sterminio per un libro. Ha finito un manifestarsi solo con un’altra lingua. Ma nel suo racconto lo svedese sembra romanzo dal titolo agghiacciante, Das unauslöschliche Siegel [il sigillo, il usato come puro medium da cui affiorano i relitti della vita precedente: suoni, marchio indelebile], dove si descrive la vicenda di un ebreo convertito. Di espressioni, preghiere, canzoni, attraverso cui vengono sottoposte a quella vita ancora palpitante si impossessa per scrivere Märkische dissoluzione lingua e cultura tedesca, entrambe colpevoli, distruggendo così Argonautenfahrt, dove la Shoah appare quasi come una meritata punizione l’abbaglio della vera Germania dell’umanesimo, contrapposta alla rozza divina. Un romanzo che dovrebbe affrontare l’ambiguo rapporto di Elisabeth brutalità nazista, vista come altro da sé. È il modo di fare i conti con la lingua Langgässer con l’ebraicità, ma che si rivela pieno di stereotipi e di luoghi materna, di elaborare cioè il rapporto con la madre poiché espressamente la comuni. Cordelia non riconosce i suoi ricordi, dovrà essere lei faticosamente a madre biologica è anche madre simbolica, dispensatrice di linguaggio e di cercare per quarant’anni le parole per dirlo. significato: Decide di vivere in Svezia, ne assume lingua e cittadinanza, si sposa, ha figli, Poesie, frammenti di poesie, miti e fiabe, attimi della Santa Messa, questo il diventa un’affermata giornalista. L’uso delle parole in un’altra lingua diventa filo di Arianna che mia madre mi aveva dato per trovare il cammino. Formule magiche che mi nutrirono ed insieme mi resero invisibile, un mondo nascosto la sua professione, ma rimane sempre la zona d’ombra. Quell’identità in cui io, come credevo, ero irraggiungibile. Il mondo della lingua tedesca. marchiata a fuoco ad Auschwitz finisce per diventare una scelta. Il (Edvardson 1992, 40) cattolicesimo, la fede della madre e dell’infanzia, ha perduto subito significato. Ma è anche la possibilità di esprimere la loro lingua comune della visione, Si iscrive alla comunità ebraica ed è un modo di spezzare quel filo di Arianna oltre la gabbia del significante. che la madre le aveva dato, il filo della fiaba, del mito e della poesia, sottile E dopo questo lunghissimo processo prende finalmente congedo dalla come seta e più forte della morte che l’aveva condotta agli Inferi.

166 madre amata e odiata di cui è stata “pregna” per quasi 60 anni (Edvardson 1988/1991, 133). Solo ora può cominciare ad elaborare il passato ed interrogare il presente anche per gli altri e creare memoria. Ma l’uso del tedesco rimane interdetto, tranne rare eccezioni: “Non scrivo lettere, specialmente nella mia lingua ‘madre’. Rimossa, dimenticata, assassinata ‒ ma non da me”3. Lucida e appassionata coscienza critica si mostra nei saggi raccolti nel suo secondo volume, Die Welt zusammenfügen, sia rispetto al suo paese di nascita, la Germania, che a quello della sua ultima ‒ finora ‒ tappa, Israele. Nella “terra promessa del consumismo” (Edvardson (1988/1991, 59) tutti vengono ricondotti alle proprie responsabilità, contro l’amnesia collettiva.

Non smettere mai di interrogare è il modo di riscattare il passato per sé e per figli e nipoti contro la tentazione del silenzio, poiché i sopravvissuti sanno che non si può veramente raccontare Auschwitz, dove Dio è morto e la sua parola è stata negata: “Abbiamo lingue ma non possiamo parlare e chi ha orecchie non può sentire. Costruiamo una lingua di segni, che vive e sopravvive, ma chi

4 ha occhi non può vedere” (Edvardson (1988/ 1991, 53) . Tragica parodia dei salmi. Cordelia Edvardson non smette di interrogare e di interrogarsi neanche nella sua nuova patria. Compito ineludibile è comunque rimettere a posto il mondo (e il linguaggio) o almeno “raccogliere con pazienza e coscienza i suoi cocci” (Edvardson (1988/1991, 3). Come conclusione cito alcuni suoi versi originariamente in svedese intitolati, nella versione tedesca, 1 “Sono tornata in questa parte della Germania perché qui posso avere la risonanza che uno scrittore si “Schlußwort”, parola conclusiva: “In una veste senza cuciture/ e un mantello augura. Perché qui c’è uno stretto rapporto tra parola scritta e vita. Perché qui posso esprimere quello per variopinto / sto nel crocicchio, all’incrocio dei miti / in attesa di NESSUNO. / cui ho vissuto” (Seghers 1962, X, 222). 2 Recente il caso di Helga Schneider, autrice del volume autobiografico I roghi di Berlino, ma basti Fui, sono, sarò / adesso” (Edvardson (1991/1993). pensare a Ruth Klüger, con il suo weiter leben, di cui è appena apparsa l’edizione italiana (Vivere ancora). 3 Fax alla scrivente dell’11.2.1995. 4 Si tratta evidentemente di una parafrasi negativa del Salmo 115.

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Gloria Anzaldùa si rivolse alla sessione plenaria in spagnolo ‒ e senza tradurre Tobe Levin ‒ intendeva mettere in discussione il monolinguismo dominante. Oggi rimane al potere negli Stati Uniti una maggioranza anglofona, visto che un attivo Anzia Yezierska e la lingua della madre: movimento a favore del monolinguismo ha portato tredici stati a dichiarare l’inglese lingua “ufficiale”. Un secolo fa predominava un tipo di intolleranza non in essa ma con essa1 simile.

Nel 1899, negli Stati Uniti la politica razzista sull’immigrazione “riclassificò

gli ebrei polacchi e russi come ‘giudei’” allo scopo di “enfatizzare la loro

origine semitica (e quindi orientale)” (Gabaccia 8)2. Così, le donne ebree furono rese ulteriormente ‘altre’, ed in modo particolare: esotizzate come All’inizio degli anni ottanta, intervistando cittadini americani emigrati a esseri sessuali in un mondo di ‘signore’ e di fatto esentate dall’essere donne. Il Parigi, Roma ed in altri paesi dell’Europa occidentale, scoprii che un motivo loro inglese imperfetto, trasformato in una prerogativa razziale e definito raro ma interessante per partire era stata un’avversione alla vita monolingue. ‘giudeo’ ‒ la razza ebraica fusa metonimicamente con la lingua ‒ non faceva Personalmente, una volta mi trovai a dire: “Per quanto mi riguarda, sono che rafforzare la loro condizione degradata3. venuta in Germania per parlare tedesco, così quando i tedeschi cominciano a Anzia Yezierska, nata nel 1880 circa, autrice di racconti e romanzi di parlarmi in inglese, mi dà fastidio. Capisco che vogliono essere gentili, ma...”. successo negli anni venti, arrivò negli Stati Uniti poco dopo il 1890 e si trovò Prima che riuscissi a finire la frase, Lauren Sedofsky si era alzata di scatto, era quindi a dover combattere con questi stereotipi razziali. Come scrittrice, corsa ad uno scaffale ed era tornata con Le Schizo et les Langues di Louis affrontò il problema in modo originale. Visto che le etichette oppressive non si Wolfson. A pagina 33 lesse, a proposito del protagonista, “... il tâchait possono semplicemente rifiutare, prese ciò che lei definiva la “passione russa” systematiquement de ne pas écouter sa langue maternelle” [cercava e la infuse a piene mani nelle sue figure di donne ebree. Sperava che la loro sistematicamente di non ascoltare la lingua materna]. Per lui l’inglese era statura morale più elevata, l’orgoglio professionale e l’esuberanza emotiva fonte di angoscia quando sua madre glielo parlava. Vivendo a New York, avrebbero cambiato la visione imperante dell’essere donna, e che il l’“eroe” sfugge all’assalto o parlando yiddish con il padre o pensando ad una cambiamento avvenisse in una lingua meteca, un inglese misto di yiddish che serie di omofoni sonori di parole inglesi in moltissime altre lingue. Sebbene il è a sua volta un misto di tedesco medio-alto, ebraico ed il dieci per cento di suo sia un metodo estremo, e decisamente schizofrenico visto che la sintassi caratteristiche indigene prese dalle popolazioni vicine. scompare, esso rispecchia certe preoccupazioni di coloro che ritengono L’inglese letterario di Yezierska quindi, aveva caratteristiche sfacciatamente sospetto il monolinguismo stesso. Quando, alla conferenza dell’Associazione aschenazite in sintassi, tono e lessico, simile in qualche modo alla molto più Nazionale per gli Studi sulle Donne (NWSA) tenutasi nel Minnesota nel 1988,

168 complessa opera poliglotta Call It Sleep di Henry Roth, il cui uso dell’ebraico e implicano una donna bilingue che scrive di un’altra donna poliglotta che, nel dello yiddish è stato definito da Hana Wirth-Nesher fondamentale per la primo caso, era anch’essa una scrittrice, nel secondo una baleboste [padrona letteratura ebraica in generale, come lo sono “il bilinguismo e la diglossia... di casa, casalinga] affannata, rivalutata come oratrice e musa. Entrambe le perché presuppongono... la padronanza di più di una lingua, e quindi di più di storie codificano il Vecchio Mondo non nell’inglese colto della narratrice, ma una cultura” (298). Anche il testo poli-vocale occupa una posizione nello yiddish bastardo dei bassifondi, senza dubbio inautentico perché gli importante nella letteratura post-coloniale: il critico chicano Alfred Arteaga abitanti del ghetto usano il ‘vero’ yiddish invece dell’invenzione narrativa di usa i termini “ibridazione multilingue” (9) o “doppia voce” (11), e Françoise Yezierska. Ma il linguaggio ibrido trasporta il racconto all’interno della Lionnet, riprendendo Edouard Glissant, parla di “creolizzazione” o letteratura americana, cambiandone l’ecologia lessicale e quindi la cultura. “metissage”4 una “metafora fertile di transculturazione” (15). Credo che questi Un osservatore di inizio secolo rese l idea di quanto fossero separati il concetti possano aiutare a chiarire l’opera di Yezierska, perché il suo progetto mondo del ghetto e quello esterno e quindi di quanto fosse rivoluzionario richiede l’“influenza reciproca” che la poetessa cubana Nancy Morejón (in questo tipo di letteratura: “La vasta East-Side non è proprio New York. È Lionnet) applica a questa transazione (15). Yezierska, come altre scrittrici Europa, con un tocco di Asia” (Dublin xi). Nella sua autobiografia Out of the bilingui, seduce il suo pubblico anglofono non sopprimendo gli elementi Shadow (1918), che ispirò il racconto di Yezierska “Wild Winter Love”, Rose stranieri ma anzi introducendoli di soppiatto nel linguaggio dominante, Cohen scrive che, sebbene avessero abitato negli Stati Uniti per molti anni, né cambiando così entrambi i vettori. Come ho sostenuto altrove a proposito di suo padre né sua madre parlavano inglese, e che neppure lei, sfruttata a cucire Jeannette Lander, un’ebrea americana emigrata in Germania ed autrice di a cottimo in una serie di laboratori, aveva avuto l’opportunità di impararlo. romanzi in tedesco (colto e dialettale) con qualche interpolazione in inglese, Con le parole di Cohen, “la bambina... nel laboratorio rimaneva nel vecchio ‘americano del Sud’, afroamericano e yiddish, il risultato è un “decentramento ambiente con la vecchia gente, intrappolata dalle vecchie tradizioni, dal radicale” (Levin 1995, 256), in cui l’identità ‒ e anche gli stereotipi ‒ sono proprio analfabetismo” (246). Anche se si trovava a Manhattan, era come se costantemente in movimento. non avesse lasciato lo shtetl. Questo suggerisce che, a differenza dei critici della scuola del ‘lamento’ che Il fatto che la scuola serale, a dispetto della disperata povertà e dello pongono l’attenzione sui problemi delle scrittrici immigrate, costrette a sconforto, avesse potuto fare di Rose Cohen una scrittrice, fu di ispirazione per comunicare in una lingua per loro inusuale e sfalsata rispetto ai loro desideri, Yezierska. Ma alla stessa vita toccarono trionfo e fallimento. Il 17 Settembre Yezierska considera il multilinguismo sì una sfida ed una difficoltà, ma anche 1922, il New York Times riportò la notizia di un tentato suicidio. “Rose Cohen, una vera manna. 40 anni, residente al 25 di Decature Avenue, Brooklyn... si è gettata nell’East Due dei suoi racconti illustrano superbamente questi temi dell’idioma, etnia, River da un attracco del New York Yacht Club” (Dublin xv). I soccorritori genere e classe. “Wild Winter Love” (1927) e “My Own People” (1920) riuscirono a salvarla, ma in “Wild Winter Love” l’eroina di Yezierska annega, costringendo la narratrice a tentare di ricostruire dai frammenti la vita del

169 personaggio Ruth Raefsky. La giornalista lascia tutto per visitare il quartiere sacri, non sembrano avere importanza neppure per “le persone del libro” della sua vecchia amica: “La sua storia non mi dà pace. Mi sveglia di notte. Mi stesse. È ovvio che si scrive di questi lavoratori, non per loro, perché dopotutto salta addosso in ogni angolo in cui tento di nascondermi” (316). Perchè una Yerzieska e la sua narratrice pubblicano in inglese, non in mameloshn [la donna così appassionata, un’artista, voleva morire? lingua della madre], anche se fino alla metà del secolo la cultura yiddish era All’inizio della sua indagine, la narratrice di Yezierska si trova di fronte al fiorente. Eppure quando il narratore chiede: pregiudizio: i conoscenti non sono imparziali, le prove sono frammentarie. Risalendo con un flashback ad un periodo precedente l’incontro tra le due Come potevano conoscere la vera Ruth Raefsky? Quegli anni di lavoro giorno e scrittrici, la giornalista ricorda di aver udito commenti scoraggianti sui notte, cercando di sradicare la propria infanzia affamata, l’adolescenza indigente, cercando di raccontare, attraverso la sua storia personale, quella tentativi letterari di Ruth: “Ma tu pensa ‒ una donna come quella ‒ la moglie della sua gente. Come potevano capire l’impulso travolgente che la spingeva a di un povero sarto ‒ una casa ed un bambino a cui badare ‒ e quel tarlo nella tentare di colmare con le parole l’abisso tra il ghetto e l’America? testa ‒ va alla scuola serale ‒ vuole scriversi un libro sulla sua vita” (317). Il la domanda è retorica. Le malelingue (yentes) la conoscono e capiscono, ma vicinato continua in un inglese sgrammaticato: nutrono risentimento quando Ruth “parla” per loro e migliora la propria

condizione sociale. E questo perché sono loro a parlare, mentre lei non fa che Il marito suda dalla mattina alla sera, si consuma a cucire notte e giorno per quei pochi centesimi. E lei è tanto una signora, quando va al mercato, non si tradurre e scrivere. Definire il desiderio di Ruth “l’impulso a dar voce” porta perde a trattare per avere la roba a meno come noialtre. Se la fa incartare e alla luce le differenze tra l’oralità, la comunità e la pagina scritta. non guarda nemmeno il resto. Come fosse una cristiana, una gentile. (317)5 Direi che Ruth Raefsky si aspetta di essere salvata non dalla voce ‒ che la

potrebbe legare alla sua tribù ‒ ma dal libro con il quale si identifica Un discorso simile nega la possibilità stessa che un’immigrante ebrea possa fisicamente, forse influenzata dalla tradizione ebraica per cui la Torah viene scrivere: qui Raesky è apostrofata (per usare la terminologia di Althusser) in rivestita con i paludamenti sacri, cullata, baciata e accarezzata6. Questa ipotesi termini di genere (come baleboste fallita che non fa la propria parte in è avvalorata dalle immagini che ricorrono nel racconto: la narratrice legge non famiglia), in termini di classe (non è una signora) ed in termini di etnia (non è le parole scritte da Ruth, ma il libro vergato sul suo corpo: “lo sguardo una gentile). Questa prima generazione di madri fa resistenza, torturato e angosciato sul suo volto” (324), “notti insonni... passate a contrapponendo il proprio orgoglio operaio, materno e religioso alle barriere piangere” (324). L’accoglienza positiva riservata al suo romanzo dai letterati innalzate contro di essa. Per questa generazione non sarà facile diventare non le ha dato sollievo: sembra “paurosamente vecchia, i lineamenti... affilati” americana. Ma alla base del progetto di Raefsky c’è il desiderio di superare le (327), è appassita. Alla narratrice, venuta a congratularsi con lei, Ruth dice, mura del ghetto, un desiderio secondo lei condiviso da tutta la sua comunità. “Sono una donna senza patria,... sradicata e senza radice alcuna” (327). Nonostante questo, Raefsky non raccoglie consensi. I libri, tranne quelli Alla luce di una tale distanza, il ruolo precedente di Ruth all’interno della

170 comunità è stupefacente. Sebbene come persona fosse stata distaccata, come scrivania, Sophie combatte con un genere letterario straniero e con una lingua autrice si mescolava avidamente con la gente disposta a collaborare per le aliena. Incontriamo l’aspirante scrittrice mentre “dibatte tra sé” se intitolare il strade del quartiere, nei suoi negozi e nelle sue istituzioni: suo saggio “Credi in te stesso” o addirittura “Abbi fiducia in te stesso ”, e si chiede se “loro” non penseranno che abbia plagiato Emerson (232). Come Sempre più presa dal suo racconto, iniziò ad irritarsi per il piccolo aiuto che studentessa assidua della scuola serale, avendo cercato forma e sostanza per il riusciva a trarre dalla scuola serale. Andò dall’animatore del centro di suo lavoro non nella vita ma nella letteratura, trova i propri scritti noiosi: accoglienza, da uno studente universitario, dal farmacista all’angolo, dal dottore dell’isolato. Fermava chiunque incontrasse e che avesse un lampo “Non c’è niente... di vivo qui” ‒ si lamenta, scartabellando tra i suoi appunti d’intelligenza negli occhi per fargli ascoltare qualche piccola scena... su cui alla ricerca di metafore per dar vita al libro. Ma “quello che ho dentro” ‒ stava lavorando. In qualche modo i loro commenti la aiutavano a trovare una parola più giusta, un quadro più vero. (323) esclama — “devo... tirarlo fuori, anche se mi strazia la carne, anche se mi uccide!” (229). Ma, come risultato della sua lotta, riesce solo a generare Ma quelli a cui chiede aiuto non sono i suoi lettori. “parole piatte, morte...”. Ovviamente non è questo il testo che noi leggiamo, Scrive invece per una musa maschile inglese. All’anonimo innamorato di bensì la censura di Sophie. Partecipiamo però al suo travaglio, alla sua Raefsky, basato sul modello di John Dewey che ricorre in tutta l’opera di maternità e al suo schmerz mentre squarcia e smembra. Nulla attecchisce Yezierska7, è affidato il compito di riconciliare pubblico e artista, gentili ed finché la scrittrice non viene disturbata. La padrona di casa, entrando nella ebrei, immigrati ed americani. Scrivendo per lui “poesie della [sua] gente, le stanza, diventa inaspettatamente una levatrice e una musa. loro speranze, i loro sogni” (331), fa della loro unione una nuova fonte di luce a Hannah Breineh è una persona che Sophie ha rifiutato di vedere, così come cui attingere: “quell’amore era una grande spinta al lavoro. Dava al suo modo non si vede il ghetto. Sophie “sente appena le ciarle di Hannah Breineh” (227); di scrivere un fascino nuovo, un’umanità più profonda” (333). Con le parole di e quando la donna le porta il tè, la scrittrice chiude le orecchie alla Raefsky, “quest’uomo guarisce, come con un unguento, la colpa e l’autodifesa “geremiade” (231), “decisa a non ascoltare” (232). Mentre traffica con delle che segnano la mia carne ed il mio spirito come cicatrici. Con lui posso essere carte, “la voce di Hannah Breineh continua, ma a Sophie sembra all’inizio un semplicemente quello che sono. Mi vuole come sono” (332). Dewey, il grande ronzìo debole e lontano” (232) per poi diventare un “lamento sordido” (233) educatore, lo stereotipo trasformato da degradante in desiderabile, sembrava una volta che la sua concentrazione è andata completamente distrutta. Se accettare “l’appassionata ebrea russa”. Eppure l’uomo non è che un miraggio, consideriamo che Hannah Breineh parla in yiddish mentre Sophie sta evocato dal bisogno della donna di fissare un’identità che può soltanto cercando di comporre in inglese, la pressione della voce in contrasto con rimanere fluida. Sospesa tra due mondi, è logico che oscilli. Ecco che quando l’autorità della scrittura, riusciremo a capire perché la prima viene presentata se ne va, l’abisso si spalanca. in termini non di significato ma di sonorità. Quello che abbiamo è solo suono, “My Own People” di Yezierska solleva questioni di pubblico e arte simili a caricato emozionalmente, certo, (poiché lo yiddish, non l’ebraico, era queste. In una stanza di un casermone fatiscente, un barile da patate come

171 accentato al femminile), ma percepito dalla protagonista come rumore. flusso semiotico. Quando Schmendrik, lo tzadik [lo studioso] invita Hannah Ovviamente il lettore la pensa in modo diverso perché fa attenzione al testo Breineh ed i suoi figli a dividere con lui il pasto della festa, invita anche la (tradotto) di Hannah Breineh, che ci parla degli orrori del lavoro minorile, roomerkeh [l’affittacamere], il “contagio di questa ilarità improvvisa cancella della fame, della profanazione del sogno americano: “Perché sono venuta in dalla mente di Sophie ogni pensiero di lavoro” (239). In altre parole, le si America?” ‒ chiede ‒ “Cos’è la mia vita? Nient’altro che una lotta durissima e chiede di giocare e mangiare. Il ‘succo d’uva’ e il dolce, che nessuno “osa interminabile con il droghiere, il macellaio e il padrone di casa” (235). assaggiare prima che il rituale [della condivisione] sia finito” (240), Un altro pensionante, uno studioso che viene dalla vecchia Europa, offre il concentrano l’attenzione di Sophie sulla nutrice archetipica, la madre. Ecco suo “canto degli oppressi”, il suo “lamento dei reietti” (248) che, insieme a che, “guardando Hannah Breineh” (241), Sophie arriva a capire che forma e quello di Hannah, mostra adesso la vita di Sophie “come figure in un libro”, contenuto le sono state date da questo ghetto-madre. “Ah, se solo potessi portando il lettore al di là del discorso dominante, riportandolo all’infanzia, scrivere come Hannah Breineh parla!” ‒ pensa. “Le sue parole danzano in una alla Polonia, dentro i millenni di storia ebraica. Lo riporta anche alla miriade di colori.... Affascinata, ascoltava Hannah Breineh.... Ogni frase piena distinzione tra vita trapiantata in un altro paese e vita monolingue: imparare di brio... un’estasi di creazione” (242). una seconda lingua è come tornare di nuovo bambini, indifesi, bambini che Ma non a nome proprio. C’è bisogno di una narrativa della democrazia e tentano faticosamente di identificare i confini tra una parola e l’altra in quel della rappresentazione. Quando la loro festa viene interrotta da alcuni ebrei ronzio indistinto che è una lingua straniera, e anche la madrelingua, prima che tedeschi, amministratori di un’associazione di beneficienza, che accusano riusciamo ad impararla. L’accesso alla lingua straniera passa per l’orecchio e Schmendrik di frode per non averli informati del suo dono culinario, Sophie per l’occhio che teniamo fisso sulla bocca altrui, attraverso l’immediatezza dei continua le proteste di Hannah, gridando “Cosacchi! Aguzzini di pogrom!” sensi. Per dirla con Dianne Hunter, (247) alle spalle dei “ben nutriti” e “gentili visitatori” che battono in ritirata. Traducendo l’esperienza nei termini della vecchia Europa, essa cancella in la soggettività costituita nel linguaggio (le relazioni sintattiche di “io” contro modo ironico lo spettro di una lettura ostile, perché l’establishment è formato “tu”, “egli” contro “lei”) è sovrapposta al nostro rapporto ritmico e corporeo da ebrei ma gli ebrei sono uniti. Quelle spalle, sparite su per le scale, sono sia con la madre. Prima di entrare... nell’ordine della grammatica, esistiamo in un mondo diadico e semiotico di suoni puri e ritmi corporei, siamo tutt’uno con rimpiazzate sia recuperate dal canto di Schmendrik, che porta con sé chi ci nutre, come immersi in un unico oceano.... La coscienza di noi stessi “memorie sepolte, risvegliate dalla musica, la musica secolare della razza come esseri separati, come soggetti, è legata al nostro ingresso nell’ordine del linguaggio, in cui la parola diventa un sostituto della connessione fisica. (98- ebraica”. Questo linguaggio liturgico, biblico, “morto”, sulla cui sonorità solo 99) Sophie è sintonizzata ‒ visto che le donne di solito non imparavano l’ebraico ‒

le concede il silenzio necessario, tanto che, “in silenzio... ascoltando il ritmo Sophie supera il suo blocco di scrittura esattamente con questo movimento del proprio cuore”, dissolta la paura del pubblico, scrive: “non sapeva se era a preliminare dall’età adulta all’infanzia, un ritorno realizzato immergendosi nel

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Dio o all’uomo che si rivolgeva, ma continuò a scrivere per tutta la notte”

(248). All’alba si accorge che “finalmente si sta scrivendo dentro di me”, ma “non sono io, sono le loro grida, è la mia gente che grida in me! Hannah Breineh,

Schmendrik, non taceranno fino a che tutta l’America non si ferma ad ascoltare” (249). Quando il soggetto agente si dissolve ‒ “scrive se stesso in me” ‒ l’autrice trionfa. Diventata contenitore, madre del messaggio, la donna apre la bocca e lascia che il discorso si gridi.

Questo è far nascere con una voce da creola. Come ci ricorda Judith Sanders, è l’amalgama di tradizioni culturali che ha portato all’evoluzione della letteratura yiddish in ebraico-americana. Capire meglio Yezierska significa leggere il suo bilinguismo. Yezierska non scrive nella lingua della madre, ma con essa.

(Traduzione di Alice Bartolomei)

1 Una prima stesura di questo saggio è già stata pubblicata (Levin 1994a). 2 In Russia, dopo la legislazione anti-ebraica nella zona del Pale, le leggi del maggio 1881 spinsero più di due milioni di ebrei a rifugiarsi in America. Tale cifra diminuì solo dopo che il clima xenofobo portò, nel 1924, alla restrizione dell’ingresso legale nel paese. 3 Sander Gilman, in The Jew’s Body, discute un particolare idioma ebraico, il mauscheln, in associazione con altri elementi di un ritratto anti-semita (134-35). 4 Nella sua discussione degli autori bi- e multilingue, Elizabeth Klosty Beaujour sottolinea la sofferenza che molti associano all’esilio: “il vero problema dell’avere due lingue è l’interferenza emozionale” (40), il fatto di sentirsi colpevoli in una situazione anormale nella quale “molti scrittori bilingui esprimono la propria condizione linguistica (ed il proprio malessere) in termini di bigamia, adulterio o incesto” (41). Mi sarebbe piaciuto che Beaujour avesse applicato a queste metafore un’analisi femminista. 5 Nel suo studio delle autobiografìe di donne ebree, Sally Ann Drucker fa notare come Yezierska, Antin, Cohen ed Elizabeth Stern dipendessero tutte da non-ebrei, sia che fossero dei mentori o che avessero con loro un rapporto sentimentale, per staccarsi da famiglie che ritenevano egoiste le loro ambizioni. 6 Quando si iniziavano all’ebraico i bambini di tre anni, si abbelliva ogni lettera versando sul foglio una goccia di miele, volendo simboleggiare così la dolcezza dell apprendere. Questa tradizione rendeva il testo scritto anche un piacere per i sensi. 7 Se ne può trovare un breve panorama nella voce “Yezierska” da me curata (1994).

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specificità sociale. Come la traduzione, il soggetto così articolato presenta Giovanna Covi delle caratteristiche comuni che ne garantiscono la circolazione al di fuori del proprio contesto, ma mostra anche in trasparenza gli aspetti di tale contesto, Decolonializzare il soggetto dai Caraibi alle aspetti che impediscono di congelare la soggettività umana ‒ molteplice, Filippine fluida, relativa e sempre relazionale ‒ nella fissità di un’icona. Voglio precisare che con traduzione intendo sottolineare un concetto che ritenga il senso della retoricità del linguaggio, quindi della sua logica e al contempo del suo silenzio, un’operazione che non ha niente a che vedere con la ricerca di sinonimi, di una sintassi, o di un po’ di colore locale. Pertanto,

Propongo di porre la questione della comparatistica e del femminismo in pensiero tradotto sarebbe da intendersi come una retorica che sappia termini di traduzione, e di dare al tema di questa sezione, “Non scrivere nella muoversi tra e intorno alle parole e che proprio nel suo rapporto disordinato lingua della madre”, il senso di un pensiero in traduzione, più che di una con la logica sappia creare uno spazio abitato da coloro che operano in senso lingua tradotta. Questa angolazione mi consente di accomunare, anche se qui etico, politico, e quotidiano. Questa definizione, che derivo dalla proposta solo con un breve cenno esemplificativo, la scrittura della caraibica Jamaica articolata da Gayatri Spivak di mirare a una “intimità della traduzione culturale” (Spivak 1992a, 178), impone a mio avviso che l’agente di un mondo Kincaid a quella della filippina Jessica Hagedorn1. Il paragone mi interessa così tradotto sia proprio il soggetto femminista, il quale, pur non potendosi non tanto perché entrambe da tempo scrivono e risiedono negli Stati Uniti e permettere il lusso di sottoscrivere la morte del soggetto, rifiuta di ridursi a quindi fanno parte di quella letteratura nazionale che Paul Lauter bene ha identità fissa. Tradurre è un processo che insieme dà voce e mette sotto definito “letterature comparate americane”, ma piuttosto perché tutte e due silenzio ( Locatelli 1996), un fluttuare che deriva da una interrelazione tra più partecipano all’articolazione del discorso femminista sulla soggettività. Questo discorsi paragonabile alla politica della complessità che caratterizza il può essere progetto comune a diverse realtà geopolitiche, etniche, culturali e femminismo contemporaneo, una politica in perfetta sintonia con la anche storiche nella misura in cui si articola appunto nei termini di pensiero transdisciplinarità e la comparatistica. in traduzione e in quanto tale non omogeneizza la specificità socio-culturale di Là dove traduzione equivale veramente all’intimità del pensiero tradotto, chi vi partecipa. Kincaid e Hagedorn intessono quindi un dialogo non perché essa è strumento per dire “quelle cose per le quali prima non esisteva entrambe parlano inglese e nemmeno perché l’inglese per entrambe è lingua linguaggio” e per “creare i mezzi espressivi per una varietà di esperienze di colonizzazione ‒ non è lingua della madre ‒ bensì perché nelle loro infinitamente più grande di quella fino ad ora ritenuta possibile.” Sono queste figurazioni della soggettività femminista sanno far emergere, accanto al le parole con cui Angela Carter, invitando le scrittrici a scrivere in quanto superamento della dicotomia del gender, i tratti distintivi della propria

174 donne, sottolinea l’importanza di partecipare “al lento processo di Certo, trovare una parola nuova non basta; si sa che tante teorie decolonizzazione del linguaggio e delle nostre basilari abitudini di pensiero” dell’ambiguità e del nomadismo non hanno cambiato di un pelo l’ambiente (Carter 1983, 75); ed è questa parola carteriana - decolonializing, segno di un accademico, come se le etichette istituzionali avessero geneticamente una pensare tradotto ‒ che ho scelto per descrivere l’intento della mia ricerca funzione paralizzante. Eppure, quando teoria e prassi non sono disgiunte, rivolta a isolare nella letteratura femminista contemporanea le figurazioni di quando la teoria critica si coniuga con la poesia, come nella migliore una soggettività sessuata che sia forza socio-politica e si esprima in termini tradizione del discorso femminista, si ha forte la sensazione che processo, altri, più complessi e meno prevedibili, da quelli imposti dalla legge movimento, cambiamento rimangano vivi. “Se non cambiamo il nostro modo dicotomica del gender. Il “lento processo di decolonizzazione” auspicato da di parlare continuiamo a riprodurre la stessa storia”, ce lo ricorda anche Luce Angela Carter comprende una serie di punti fondamentali per la definizione Irigaray (1992, 205): ciò significa opporre resistenza a qualsiasi linguaggio che del soggetto femminista:2 sottolinea innanzitutto la marca politica del abbia dimenticato il proprio luogo fisico e sia distante dall’espressione discorso e lo stretto rapporto tra linguaggio e politica; mette quindi in rilievo il personale del fatto comune, che si riferisca cioè a una teoria ormai morta; fatto che la liberazione è un processo ed è lento, in quanto non è solo lotta di significa diffidare da un pensare che non sia pensiero tradotto e in quanto tale liberazione ma anche progetto socio-politico e culturale di ricostruzione; abbia perso, come direbbe Robert Creeley, “l’infinito senso di un altro” (Covi infine nella scelta, importante, dell’insolito decolonializing libera il discorso 1988, 75), cioè della inalienabile presenza della differenza. Quando Gloria culturale contemporaneo dall’ambiguità suscitata dall’abuso del mistificante Anzaldúa dice che dobbiamo de-accademicizzare la teoria critica (1987, xxvi), termine postcoloniale3: infatti, la radice aggettivale (colonialize anziché penso intenda proprio abbracciare un parlare che sia sempre processo di colonize) della parola carteriana si riferisce a tutte quelle realtà che sono state traduzione e di trasferimento di significato e nel quale, come osserva Nomi dominate, rese coloniali, e non solo alle colonie dei vari imperi storici, mentre Bhabha, scompaia l’opposizione tra politico e teoretico-retorico. il prefisso (de-) indica inequivocabilmente negazione, separazione, netto Il pensiero femminista è articolato come posizionalità che parla insieme il distacco da una condizione di assoggettamento, e non solo un suo linguaggio della poesia e della teoria e, al pari della traduzione, non sa/può superamento cronologico, come lascia credere il prefisso post-. Non meno sopprimere la differenza: è una scrittura tradotta dall’ignoto che libera poesia importante, descrivere in termini negativi la lotta per il cambiamento delle e letteratura dalla loro prigione di estetismo e puro verbalismo. Trinh Minh- condizioni materiali dell’esistenza e del discorso che le esprime significa Ha dice che il pensiero femminista si pone come un momento in cui evitare anche di prestabilire il raggiungimento di un obiettivo e quindi liberare il percorso dal pericolo di una politica prescrittiva e discriminante; con le il confine tra scritti teorici e non teorici sfuma e viene messo in discussione, al punto che teoria e poesia di necessità si mescolano, entrambe spinte dalla parole di Angela Carter, significa evitare di diventare “legislatore consapevolezza del segno e dalla destabilizzazione di significato e di soggetto dell’umanità” (Carter 1983, 75). scrivente. (1989, 42)

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Per il femminismo che è pensiero tradotto, dunque, il comparativismo non è termini heideggeriani di un postmodernismo della resistenza, nella una scelta ma una necessità vitale. Parimenti è vitale per il soggetto formulazione di un soggetto impegnato nella Verwindung del gender. Judith femminista essere poeta/filosofa che costruisce ponti, traccia rapporti e pensi Butler ha chiaramente criticato la presunta nozione di un sesso naturale che a se stessa come ad una “interprete culturale” impegnata nella performance di dovrebbe precedere iscrizioni culturali di gender, il suo invito a considerare una traduzione che è resistenza e trasgressione ma mai assimilazione4; è invece il sesso come produzione culturale e a studiare le norme che ne essenziale essere colei che abita la linea di confine, il bordo in cui regolano la materializzazione mi pare restituire molteplicità, indefinibilità, continuamente ricercare quel “linguaggio del terrore che è l’emozione del corpo, sessualità ‒ e con essa forza sovversiva ‒ al discorso femminista. La limite” (vedi Anzaldúa), nell’impegno a portare in superficie le “affiliazioni” separazione tra sesso e gender ha inoltre causato in seno alla critica tra classi sociali, gruppi, strutture politiche, ecc. ‒ e uso il termine un’anacronistica divisione tra gender studies e queer studies (Martin), troppo nell’accezione di rete di associazioni culturali, proposta da Edward Said per la spesso lasciando fuori il femminismo da entrambi i campi. Una simile creazione di una nuova cultura. esclusione sembra essere avvenuta nell’ambito del discorso scientifico che, Nuove e interessanti figurazioni di soggettività così tradotte popolano la come gli studi femministi ci aiutano sempre più a chiarire (si vedano, ad letteratura femminista contemporanea e consentono di dare corpo alle esempio, Plumwood e Birke), ha come oggetto della propria indagine proprio proposte sulla soggettività che vengono avanzate dalle filosofe femministe; quel sesso naturale di cui il discorso culturale non dovrebbe occuparsi. Sul terreno particolarmente fertile è costituito da quei testi che appartengono ad modello del titolo dello studio di Tania Modleski, Feminism Without Women, un postmodernismo della resistenza, cioè a un discorso culturale la cui dignità potremmo dire che c’è il rischio di arrivare a un “feminism without sex”. epistemologica deriva dall’avere abbracciato una politica della complessità5. Questi cenni schematici al dibattito femminista contemporaneo mostrano la Questo discorso precipita la crisi della modernità e in prospettiva femminista necessità di superare la divisione tra natura e cultura che intrappola la offre l’opportunità di decostruire l’opposizione tra sesso e gender (Braidotti soggettività in una griglia binaria, esclusiva e riduttiva. Che tale superamento 1991; Armstrong), cioè di impegnarsi nel lento processo di decolonizzazione si imponga come necessario ad una cultura contemporanea impegnata nel da un punto di vista delle politiche sessuali; è un discorso che consente di rinnovamento degli schemi della modernità, si vede chiaramente, in negativo, superare una formulazione teorica che nonostante la sua utilità descrittiva di nel libretto-manifesto di Camille Paglia, che promuove un discorso contesti patriarcali rimane troppo spesso disgiunta da prassi sociali e fondamentalista e conservatore costruito sull’opposizione tra sesso, natura, poetiche. La richiesta avanzata da Teresa De Lauretis di situare il soggetto del femminile, e violenza, arte, maschile e sostiene che il primo non può essere femminismo sia dentro che fuori l’ideologia, nello spazio libero che è di compreso ed è destinato a rimanere potere oscuro, demonico, all’interno del gender in quanto storicamente determinato ma anche di superamento del femminismo. gender in quanto condizione teorica della possibilità, si può tradurre, nei A mio intendere, quando gender si traduce nella pluralità di differenze sessuali, c’è spazio perché l’identità diventi soggettività femminista che ha

176 smesso di chiedersi, “chi sono?” per interrogarsi sulla questione più vasta di, definizioni filosofiche di soggetto femminista ‒ per esempio nei termini di “chi sono io in questo mio temporaneo rapporto con gli altri e in questo nomadico, posizionale, strategico, relazionale, migrante, di mito della cyborg ‒ contesto socio-politico?” Per questo, ritengo che in campo critico gender si materializzano nel “soggetto prismatico” di Jamaica Kincaid e nelle debba perdere la sua funzione ermeneutica universale e venire confinato a “identità hollywoodiane” di Jessica Hagedorn proprio perché possono abitare parametro descrittivo dell’analisi storica là dove si producano forme un contesto determinato. Insieme ad altre traduzioni della soggettività tradizionali di rappresentazione, ma se la narrazione compie lo sforzo di femminista ‒ penso ai soggetti tatuati di Keri Hulme, al soggetto in quanto creare nuovi parametri, allora gender quale termine critico acquista una “sympathizing” di Kathy Acker, e all’Eden materialista ricostruito nei romanzi funzione censoria e normativa. di Rikki Ducornet ‒ queste identità trovano, nelle loro differenze interne così La decolonializzazione del linguaggio e del pensiero non può avvenire nel come nei loro punti di contatto, il modo di impedire al femminismo di nome di un’unica bandiera, ma prende forma nell’articolarsi delle diverse diventare metafisica normativa. Eccola allora la rivoluzione che non si basa realtà che propongono, traducendole, figurazioni per una teoria materialista sulla costruzione del mausoleo; ed ecco la teoria-poesia che contrasta la dell’identità. Così come Adrienne Rich ci mette in guardia dalla rivoluzione colonializzazione del pensiero accademico, che combatte la riduzione del che segna il passo per costruire il proprio mausoleo (1993, 57), Angela Carter potenziale politico del femminismo a concetto la cui circolazione viene ci invita a procedere senza miti. Con loro, preferisco insistere sull’idea di monopolizzata dal mercato accademico. Insieme, questi testi costituiscono il “processo di decolonizzazione” piuttosto che abbracciare un’immagine-guida discorso di una poesia-teoria che ricerca sempre nuove articolazioni perché il che rischia di diventare dogma: persino figurazioni che colgono in pieno il suo soggetto, come un animale migratore, non ha una sola fissa dimora; senso del mio progetto, quali sono quella di soggetto nomade formulata da questo continuo movimento fa sì che si possa sentire la voce subalterna di cui Rosi Braidotti o quella del mito della cyborg proposta da Donna Haraway, le poetesse-filosofe invocano la giusta causa. In termini gramsciani, questo rischiano di diventare icone della soggettività, miti del femminismo, modelli discorso rappresenta il momento catartico della filosofia della prassi che prescrittrivi, proprio perché la loro formulazione è di stampo puramente consente all’intellettuale di attraversare l’estetica per entrare nel territorio teorico e pertanto priva di una specificità storica e geopolitica. Molti invece proprio dell’azione politica e dell impegno epistemico. sono i testi delle poetesse-filosofe femministe che ci danno le parole per Insieme, nella molteplicità delle loro figurazioni, questi soggetti contrastare il rischio di paralizzare la vivacità della teoria femminista nel mantengono vivo nel femminismo un processo di creolizzazione interna che dogmatismo di uno slogan critico. Essi danno letteralmente corpo alla teoria ‒ consente di pensare al potere in termini di complessità e interarticolazione non instaurano semplicemente un rapporto tra corpo e teoria ‒ in quanto storica, e di sgretolare forme tradizionali di rappresentazione per lasciare situano il soggetto femminista in una realtà socio-culturale ben determinata e spazio a nuovi parametri di rappresentabilità e coerenza. In questo spazio, la mostrano in tal modo come la sua esistenza sia una possibilità nel presente. Le struttura dicotomica e complementare del gender viene corrosa e sostituita da

177 immagini di una soggettività che è “sessualmente altrimenti” (Derrida 1982, piuttosto un racconto parallelo a quello della propria madre e di altre donne 76), come nei testi di Kincaid e Hagedorn che dimostrano come sia possibile che Sidonie Smith ha teorizzato essere caratteristico della “poetica per un soggetto privo di origine e slegato da qualsiasi mito imporsi come forza dell’autobiografia delle donne”. Tuttavia, Lucy non trova un modello di sociale e politica di cambiamento. “artista” migliore di quelli di “donna” e così anche la ricerca della sua voce è Lucy di Jamaica Kincaid tratta il tema classico della ricerca di identità da segnata da un totale isolamento. Dopo avere dichiarato di amare i libri delle parte di un’adolescente (Covi 1994, 1995): la voce narrante, Lucy, è una Brontë (149), e di procedere all’invenzione di se stessa più alla maniera di un giovane nera originaria di un’isoletta dei Caraibi, che si trova a vivere negli pittore che a quella di uno scienziato (134), Lucy si libera dell’etichetta di Stati Uniti come ragazza alla pari. Due sono i modelli che le vengono proposti: “artista” con le seguenti osservazioni: quello tradizionale di “donna” rappresentato dalla madre nelle Indie Occidentali, e quello emancipato di “femminista liberale” impersonato dalla Sembravano dare per scontato che tutto quello che dicevano era importante. madre della famiglia statunitense che la ospita. Lucy li rifiuta entrambi, in Erano artisti. Avevo sentito di gente in quella posizione. Non ne avevo mai vista nel posto da cui provengo. Notai che nella maggior parte erano uomini. questi termini: Sembrava una posizione che consentiva l’irresponsabilità.... morivano pazzi, morivano indigenti, a nessuno piacevano tanto tranne che a quelli come loro. E pensai a tutta la gente nel mondo che avevo conosciuto che era diventata Mariah voleva che noi tutti, i bambini e io, vedessimo le cose a modo suo.... pazza e era morta, e che aveva bevuto troppo rum e era morta, e che era Ma io già ce l’avevo una madre che mi amava, ed ero arrivata al punto di indigente e era morta, e mi chiesi se tra loro c’erano degli artisti. Chi mai considerare il suo amore come un peso.... Ero arrivata al punto in cui sentivo l’avrebbe saputo? E pensai, io non sono un’artista, ma mi piacerà sempre che l’amore di mia madre per me era diretto soltanto a fare di me una sua essere con la gente che sta a parte. (98; traduzione mia) eco.... Sentivo che avrei preferito essere morta piuttosto che diventare solamente l’eco di qualcuno. (35- 36; traduzione mia) A questo punto, che potremmo definire di raccordo tra essenzialismo e

nominalismo, Lucy scrive se stessa incominciando proprio da quel suo nome, Per esprimere se stessa, Lucy deve coniugare la propria identità femminile Lucy Josephine Potter, che da sempre lei odia perché porta il marchio dello con quella razziale e nazionale, trovare il modo di dire tre tipi di oppressione: schiavismo subito dai suoi familiari (Potter è il nome dell’inglese loro quello sessista familiare, quello del colonialismo britannico in patria, e quello proprietario), il segno della discriminazione sofferta all’interno della propria razzista nel paese di emigrazione, gli Stati Uniti. Dopo una lunga serie di famiglia (Josephine deriva dal nome dello zio che avrebbe dovuto lasciarle del autodefìnizioni in negativo, Lucy ammette: “capii che stavo inventando me denaro ma è invece morto dimenticandosi di lei), e la traccia del conflitto con stessa” (134), una frase che spazza via in un colpo solo quella pietra miliare la propria madre (dalla madre apprende di essere sempre stata un guaio di dell’autobiografia che è la nozione di referenzialità e autenticità del soggetto. figlia, fin dal momento in cui venne concepita, e per questo fu chiamata col L’autobiografia che Lucy alla fine scriverà non sarà né una storia tracciata nome di Satana in persona: Lucy, come Lucifero). Accanto al proprio nome, contro la propria madre né originata dalla unione con la propria madre, ma Lucy scrive: “Vorrei poter amare qualcuno tanto da morirne” (162) e poi

178 piange fino a riempire la pagina di lacrime e trasformare tutte la parole in una economica delle Filippine dagli Stati Uniti (San Juan), Hollywood non è grande macchia ‒ quella “one great big blur” (163) che segna la nascita della evasione ma segno tangibile degli effetti culturali del colonialismo che riduce scrittrice Lucy e chiude il testo Lucy. Questo simbolo del soggetto prismatico Manila a “un paesaggio abitato da fantasmi e amanti del cinema” (Hagedorn di Kincaid mostra come il rifiuto dell’essenzialismo ‒ sia della madre che di 1993, 186). A sottolineare il realismo di personaggi che si identificano con Rita Mariah, per le quali vale la legge del gender che si pone come generatore (in Hayword o Rock Hudson è innanzitutto il fatto che il testo è inondato virtù dell’etimologia?) di donne o femministe tutte pre-identificate ‒ non dall’odore di cibo e che tutti, dappertutto, sono sempre occupati a mangiare. significhi necessariamente abbracciare un nominalismo di evasione. Piuttosto Per esprimere la soggettività in Dogeaters, immagine migliore della celluloide significa “inventare” se stessa attraverso un processo di “re-memory”, come è allora il simbolo della mela morsicata della Macintosh: come ricorda Judith direbbe Toni Morrison, che è lavoro di ricerca e di rielaborazione teorica Halbestram, il marchio Apple collega il peccato e la conoscenza del mito della dell’esperienza personale e collettiva. Questo processo permette a Lucy di genesi a memoria e informazione, decostruendo il legame donna-natura che è liberarsi dalla sua oppressione di donna subalterna, mantenendo a alla base della struttura patriarcale. La sostituzione di Eva con un individuo fondamento della propria identità quegli avvenimenti della storia, che pur cibernetico che possiede sapere proprio perché ha morso la mela, offre la temporanei e mutevoli rimangono incancellabili. Proprio come Paul D e Sethe possibilità di decolonizzare la soggettività rispetto allo schema “cultura alla fine del romanzo Beloved di Toni Morrison possono vivere da persone contrapposta a natura” su cui poggia anche il concetto di gender contrapposto libere perché hanno saputo accettare la drammatica realtà di Beloved (Covi a sesso. 1995a), Lucy riesce infine a trasformarsi da “fallimento in trionfo” perché Dogeaters inizia con molte voci, incluse quelle di Rio, una ragazzina di viene a patti con tutto ciò che il suo nome rappresenta, un confronto famiglia medio-borghese che si trasferirà da Manila negli Stati Uniti e si necessario anche alla cancellazione ‒ decolonializzazione ‒ delle limitazioni rivelerà autrice del romanzo, e Joey, un giovane nero sotto-proletario, che vive che tale storia comporta in quella grande macchia finale. prostituendosi e lavorando in porno-show di locali omosessuali, e infine si La grande macchia su cui poggia l’identità prismatica del nuovo soggetto arruolerà tra i guerriglieri per la lotta di liberazione contro il regime dei Lucy è paragonabile alla soggettività cibernetica proposta da Jessica Hagedorn Marcos. Nonostante entrambi siano soggetti subalterni ‒ Rio si definisce nel suo romanzo Dogeaters (1994). Attraverso l’articolazione di identità “impotente”, “in auto-esilio”, e si “vergogna di doversi inventare la [propria] fondate sui modelli proposti dalle pellicole hollywoodiane e ciò nonostante storia” (Hagedorn 1990, 5, 15, 239), e Joey non è che un ragazzo di strada, chiaramente radicate nel tessuto socio-politico di Manila, Hagedorn racconta preda del peggiore sfruttamento ‒ e malgrado alla loro identità siano offerti il degrado spirituale di un paese “sedotto e abbandonato in una confusione di soltanto i modelli di un cinema che a Manila è il segno del colonialismo, alla identità” in termini assolutamente realistici, e niente affatto ridotti a pastiche fine entrambi si impongono come forti agenti storici di cambiamento. ludico postmoderno. Infatti, nella condizione di dipendenza politico- Rivelandosi infine autrice, anche della voce di Joey, Rio rappresenta a pieno

179 titolo il ruolo dell’arte alternativa in un contesto neo-coloniale proprio perché una madre prostituta e se stesso in quanto omosessuale. Così anche Joey a ci restituisce una realtà popolata di nuovi significati: il suo discorso è una questo punto partecipa al processo di re-memory invocato da Toni Morrison e traduzione/ trasgressione/ trasformazione, proprio come le jeepneys che canta questo ritornello: percorrono le strade di Manila, mezzi militari allegramente decorati e utilizzati come taxi. Rio fa propria la voce di Joey nel momento in cui il GI baby, black boy, I am the son of rock’n’roll, I am the son of R and B, I can ragazzo si unisce alla guerriglia: in quest’apparente contraddizione ‒ perché dance well, you can all go to hell! Putang Ina Ko! [bimbo di un GI, ragazzo nero, sono figlio del rock’n’roll, sono figlio del privarlo di una sua voce quando acquista piena coscienza di sé? ‒ risiede la rhythm and blues, ballo bene, andate tutti all’inferno! Putang Ina Ko!] (205) forza del discorso di Hagedorn. Infatti, la finzione di un discorso a più voci, con Rio e Joey sullo stesso piano perché in effetti entrambi vittime di una La capacità di discriminare tra i peccati conferisce a queste cyborg, a Rio discriminazione soprattutto sessuale, non può mantenersi nel rispetto della come a Joey, con maggior forza che nel mito proposto da Haraway, il potere di voce subalterna quando le strade di Rio e Joey si separano a causa della loro imporsi come soggettività che vengono ad assumere forme diverse in un differenza di classe: se Rio può emigrare negli Stati Uniti, Joey non ha altra processo dinamico di rapporto tra la produzione di significati sociali e la loro scelta che quella di nascondersi nella foresta e lottare rischiando la propria condizione materiale, e di interazione tra figurazioni immaginarie ed vita. Questa differenza prevale su quella sessuale tra i due principali esperienza storico-culturale. personaggi, che invece proprio in virtù di una discriminazione sessista li aveva accomunati nella prima parte del romanzo, ma non per questo cancella un finale che è rivendicazione assolutamente femminista.

L’ultimo capitolo di Dogeaters è una preghiera, “Kundiman ”, tributo alla

Vergine così come alla madre della vendetta. Questa madre, dei tifoni così come dei melodrammi, è invocata perché perdoni “i nostri” ‒ ma non “i loro” ‒“peccati” (251), mantenendo così chiara la differenza tra vinti e vincitori. A questo punto si capisce allora perché l’autrice Rio abbia situato l’episodio della presa di coscienza politica da parte di Joey a bordo di una jeepney che si chiama “GUILTY MOTHER” e sulla quale il ragazzo riesce per la prima volta a 1 Per una discussione più ampia dei parametri teorici qui accennati e per un’analisi di Thomas Pynchon, John Hawkes, Robert Creeley, Kathy Acker, Rikki Ducornet e Keri Hulme, oltre all’opera delle autrici qui pronunciare il nome della propria madre. Confrontarsi con la propria madre presentate, rinvio al mio studio del 1995. 2 Per “soggetto femminista” intendo quel soggetto che esprime la politica della complessità invocata sia significa quindi imparare a discriminare tra i “nostri” e i “loro peccati” e di dalla scrittrice-performer Kathy Acker che dalla critica Laurie Finke e chiaramente definito nei termini di luogo della differenza, per esempio da Braidotti (1994) e da De Lauretis (1986a). conseguenza sapere da che parte schierarsi, così come imparare a rispettare 3 Esempi tra i più popolari della diffusione di un concetto di postcolonialismo caratterizzato da un’identità trascendentale e dal sostenimento dell’opposizione tra Occidente e Resto del Mondo si trovano

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in During e in Ashcroft, Griffiths e Tiffen; tuttavia non vanno dimenticati i contributi al dibattito sul postcolonialismo che marcano la ricerca di una specificità storica e dell’impegno socio-politico, come ad esempio in Parker, Suleri e McClintock. 4 Per esempio, l’artista-performer di origine messicana Guillermo Gòmez-Pena, che mette in scena un’identità multipla, un io anarchicamente trasgressivo, si definisce “an intercultural interpreter” (Gòmez- Pena in Perèz-Torres 165) e il filosofo Stephen David Ross definisce la traduzione come “trasgressione della rappresentazione” (38). 5 La definizione di “postmodernismo della resistenza” è di Giuseppe Patella. Questo concetto, che Patella illustra intrecciando il discorso filosofico a quello della critica in maniera molto articolata, mi è stato utile per focalizzare la mia analisi della narrativa contemporanea su testi che costruiscono un discorso culturale sulle differenze sessuali che si articola variamente nei termini di una derisione del concetto tradizionale di gender, come nel caso di scrittori canonici del postmodernismo americano, quali Hawkes, Pynchon, Coover; di una corrosione del gender, come nel caso delle scrittrici americane postmoderniste e femministe Acker e Ducornet; di un impegno a creare nuove figurazioni delle differenze sessuali nelle opere in scrittrici postmoderniste e femministe il cui referente culturale è periferico rispetto all’assetto dell’economia mondiale e perciò nel loro discorso si impongono con forza tematiche di etnia, razza, nazionalità, quali la neozelandese, in parte maori, Hulme, la caraibica Kincaid, e la filippina Hagedorn.

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Apuleio Indice dei nomi citati Aragona, Tullia di Arendt, Hannah Argo Arianna Arnold, Matthew Arteaga, Alfred Artemide assassini L’indice dei nomi di persona, di personaggi e divinità anche mitologiche, di assimilazione luoghi e di concetti significativi dell’edizione 1996 è qui riportato in quanto Auerbach, Erich rappresentativo dell’architettura complessiva dell’opera e per agevolare la Auschwitz funzione “cerca” dell’edizione elettronica. Ausländer, Rose autobiografico Abiezione autoritratto Accademia Prussiana di Belle Arti Ackerman, Chantal Bachelard, Gaston Adamo Bachmann, Ingeborg Ade Bachofen, Johann Jacob AIDS Bakhtin, Mikhael Alcoff, Linda Balzano, Wanda Aldington, Richard Bandello, Matteo Aldiss, Brian Banti, Anna Allerkamp, Andrea Barreca, Regina amazzone Bassein, Beth Anne Amazzoni Bassnett, Susan Amore Bauhaus Amore e Psiche Baumann, Janina Andreini, Alba Beaujour, Elizabeth Klosty angelo Beauvoir, Simone de Angoulème, Marguerite de, regina di Navarra Beethoven, Ludwig van Antonicelli, Franco Bella Addormentata Antonini, Patrizia Bembo, Pietro Antonioni, Michelangelo Benjamin, Walter Anzaldúa, Gloria Benstock, Shari apartheid Benveniste, Emile Apollinare, Guillaume Bergstrom, Janet Apollo Berlino aporie Bernikow, Louise appartenenza Beuys, Joseph Apple Bhabha, Homi

195 bilinguismo Cixous, Hélène Billi, Mirella Claudius, Matthias Binswanger, Ludwig Cohen, Rose Blake, William Coleridge, Samuel Taylor Blixen, Karen Colonna, Vittoria blocco di scrittura comunismo Boccaccio, Giovanni condizione diasporica Boch, Otto contaminazione Boemia continuum Bono, Paola Cornell, Sarah Borghi, Liana creolizzazione Bosco, Monique cyborg Bradamante Braidotti, Rosi Dafne Bronfen, Elisabeth Danae Brontë, sorelle Dante Brontë, Charlotte De Chirico, Giorgio Brontë, Emily De Lauretis, Teresa Bruck, Edith De Zordo, Ornella Brueghel, Pieter decolonizzazione Burke, Edmund decostruzione Butler, Judith Defoe, Daniel Byron, George Gordon Deledda, Grazia Deleuze, Jacques Cabibbo, Paola Demetra Calzabigi, Raniero da Derrida, Jacques Camboni, Marina deserto Campo, Cristina dialogicità Camporesi, Piero Diana caos diario Caravajal, Mariana de Dìaz-Diocaretz, Myriam Carpi, Aldo Dickinson, Emily Carter, Angela Dindo, Richard Carvalhal, Tania Franco discesa agli Inferi Cassandra don Giovanni Castiglione, Baldassarre Doolitde, Hilda (H.D.) Cavarero, Adriana Doppelgänger Céline, Louis-Ferdinand doppio dialogico Chagall, Marc Douglas, Mary Chow, Rey drago cinema Drancy

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Droste-Hülshoff, Annette von Gauguin, Paul Dublin, Thomas Gerusalemme Dufy, Raoul Giasone Duras, Marguerite Gilligan, Carol Gilman, Perkins Charlotte ebrei Gilman, Sander écriture féminine Gilmore, Leigh Edvardson, Cordelia Gluck, Kristoph W. Einstein, Albert Godard, Barbara Elena di Troia Godwin, William Eliade, Mircea Godwin, Sarah Webster Eliot, T. S. Goethe, Johann Wolfgang Eliot, George Gonzaga, Elisabetta duchessa d’Urbino Ensor, James Gordimer, Nadine Ermes gouache esilio Gozzadini, Bettisia espressionismo Grande Dea Euridice Grande Madre Grandma Moses Fabbri, Paolo Greenblatt, Stephen Fachinelli, Elvio Grimm fascismo Grosz, Elizabeth fate Guattari, Felix Feinstein, Elaine guerra civile spagnola Felman, Shoshana Guevara, Vélez de Felstiner, Mary L. Guillet, Pernette du fiabe Günderrode, Karoline von finestra Gunn, Giles Fink, Ida Gurs Fisch, Audrey Fitz, Earl E. Haas, Erika Fortunati, Vita Hagedorn, Jessica Foucault, Michel Halbestram, Judith Fragoso, Matos Handke, Peter Frank, Anna Haraway, Donna Franz, Marie-Louise von Haushofer, Marlen Freedman, Diane Heimat Freud, Sigmund Hermione Friedman, Susan Stanford Hicks, Emily Higonnet, Margaret R. Gabaccia, Donna Hillesum, Etty

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Hillman, James Lamberti, Raffaella Hoffmann, Ernst Theodor Amadeus Lander, Jeannette Holberg, barone di Langgässer, Elisabeth Humm, Maggie Lasker Schüler, Else Hunter, Dianne Lawrence, D.H. Le Fanu, Sarah idioletto Le Guin, Ursula Imagismo Leander, Zarah inferno Lefèvre, Françoise iniziazione leggi razziali Insana, Jolanda Lejeune, Philippe ipersegno Leonard, Linda Schierse Irigaray, Luce Lessing, Doris Iser, Wolfgang Levi Della Torre, Stefano Iside Levi, Carlo Israele Levi, Primo Levin, Tobe Jelinek, Elfriede Lévinas, Emmanuel Johnson, Barbara Liddle, Ann Joods Historisch Museum Amsterdam Liebestod Joyce, James lieder Jung, Carl Gustav Limentani, Giacoma junghiano liminale Lionnet, Françoise Ka Lispector, Clarice Kaddisch logos Keller, Catherine Lorde, Audre Kerényi, Karoly Lot, moglie di Kincaid, Jamaica Lotman, Jurij M. Klepfisz, Irena lotta di classe Koch, Gertrud Lowder Newton, Judith Koelb, Clayton Lowe, Lisa Kokoschka, Oskar Lukàcs, György Kollvitz, Kate (Kate Schmidt) Luna, Lola Kristeva, Julia Kubler Ross, Elisabeth Madonna madre e figlia la Barca, Calderón de matriarcato Labé, Louise matrilineare lager Magris, Claudio Laing, R.D. malattia

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Mallén, Ana Caro de Montalbàn, Juan Pérez de Malthus Monti, Silvia Mandel, Marie Moore, Marianne Mandela, Nelson Morante, Elsa Mann, Heinrich Morris, William Mann, Thomas Morrison, Toni Mansfield, Katherine mostro mappa Motte Fouqué, Friedrich de la marchio multiculturalismo mare multilinguismo Marfisa Munch, Edvard Maria Maddalena Muraro, Luisa Mariani Sacerdoti, Gigliola Muro/muri/wall Marino, Adriano Muse Martin, Biddy mascheramento Nagler, Alexander Mason, Bertha nascita materialismo Nausicaa Matisse, Henri nave matrigna nazismo Medusa Negri, Ada Meese, Elisabeth Nietzsche, Friedrich Melon, Edda Nigel Melusina Noakes, Susan memoria Nolde, Emil Menadi nomadismo Meneghello, Luigi Norimberga, leggi di Mengele, dottor Merini, Alda Oates, Joyce Carol Merleau-Ponty, Maurice Ocampo, Silvina Messico Odissea métissage ombra Millu, Liana Omero Miner, Earl ondina/sirena Mizzau, Marina Orfea Mnouchkine, Ariane Orfeo modernismo orologio Modleski, Tania Ortese, Anna Maria Moers, Ellen Mohanty, Chandra Talpade pacifismo Moira pagina bianca

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Paglia, Camille Roches, Catherine des Palestina Rose, Gillian Roth, Joseph, 299 palinsesto Roth, Henry Paracelso Rukeyser, Muriel paradiso terrestre Russ, Joanna parodia Parsifal Sachsenhausen passaggio Sagan, Leontine Patria, Vaterland Said, Edward pattern Salomon, Charlotte pazzia Salomon-Linbergh, Paula Pellegrini, Ernestina Sand, George Pentesilea Sanders, Judith Persefone Sbisà, Marina Petrarca, Francesco Sbrana, Silvia Pintor, Giaime scarto Pisan, Christine de Schiele, Egon Plath, Silvia Schierse Leonard, Linda posizionamento Schlientz, Gisela postcolonialismo Schor, Naomi Pound, Ezra Schrade, Andreas Pozzi, Giovanni Schubert, Franz prato Schulz, Genia Pratt, Marie Louise sconfinamento Profeti, Maria Grazia sdoppiamento proletariato Sedgwick, Eve Proserpina Seghers, Anna Purkiss, Diane Segre, Cesare Sereni, Vittorio Queer Studies Setti, Nadia Shelley, Mary Ra Shelley, Percy, B. Radcliff, Anne Shloss, Carol Rank, Otto Shoah Rembrandt, Harmenszoon van Rijn Showalter, Elaine Rhys, Jean Sibilla Rice, Anne Sniader Lansen, Susan Rich, Adrienne sorelle Richardson, Dorothy sosia Richardson, Samuel Spier, Julius Rivoluzione Francese Spivak, Gayatri Chakravorty

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Staël, Germaine de velo Stampa, Cassandra Venezia Stampa, Gaspara Venini, Lucia Stein, Gertrude Vietinghoff, Jeanne de Steiner, George Violi, Patrizia Steiner, Wendy Virgillito, Sara Stendhal, Henri Vovelle, Michelle Stephan, Alexander Sterne, Laurence Wanderung Stimpson, Catharine Warhol, Andy Straus, Emil Weidel, Peter streghe Weiß, Ernst suicidio Weiss, Peter Suleiman, Susan Rubin Wellek, René Svandrlik, Rita Weltliteratur Wharton, Edith tabù Winterson, Jeannette Tedeschi, Giuliana Wirth-Nesher, Hana terra di nessuno Wittig, Monique testimonianza Wolf, Christa Theresienstadt Wolfson, Louis Thürmer-Rohr, Christina Wollestonecraft, Mary Tillich, Paul Woolf, Virginia tomba Wright, Elizabeth Torah transdisciplinarietà Yezierska, Anzia Treder, Uta Yiddish treno Young-Bruehl, Elisabeth Trinh T. Minh-ha Yourcenar, Marguerite Trotula Turner, Victor Zaccaria, Paola zarzuela Ulisse Zayas, Maria de utopia Zeus Zimmerman, Bonnie Valduga, Patrizia Zoccoli, Franca Vampiri Zola, Emile Van Eersel, Patrice Zweig, Arnold Vega, Lope de

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Le autrici poesia americana, di scrittura delle donne nere, tra cui Toni Morrison, e i suoi studi più recenti vertono soprattutto sull’intreccio tra letterature postcoloniali e soggetti postmoderni. Oltre al volume The Slow Process of Decolonializing Language: The Politics of Sexual Differences in Postmodernist Fiction (1995), ricordiamo la sua coedizione di Femminile e maschile tra pensiero e discorso (1995).

Paola Bono, anglista, insegna all’Università di Roma Tre; ha pubblicato Ornella De Zordo, docente di letteratura inglese all’Università di Firenze, si saggi su Christopher Marlow e Angela Carter, e insieme a Maria Vittoria è occupata prevalentemente di narrativa dell’Otto- e Novecento. Ha pubblicato Tessitore ha da poco completato un libro sulle trasformazioni della figura di saggi su vari autori tra cui Malcolm Lowry, Flann O’Brien, Virginia Woolf, Didone nella cultura europea. Con Sandra Kemp ha curato due raccolte in D.H. Lawrence, Rudyard Kipling, Edgar Allan Poe; tra i suoi studi più recenti inglese di scritti femministi italiani per le case editrici Blackwell e Routledge, e c’è I grandi accordi: strategie narrative nei romanzi di E.M. Forster (1992). ha curato per La Tartaruga Questioni di teoria femminista. Un dibattito Ha curato D. H. Lawrence, Critical Assessments (1993), L’Abbazia di internazionale (1993). Fa parte della redazione della rivista DWF. Northanger di Jane Austen (1993), e la traduzione dei saggi critici di Katherine Mansfield, La passione della scrittura (1995). Liana Borghi, anglo-americanista, insegna all’Università di Firenze. Ha scritto sul Settecento (Mary Wollstonecraft e gli scrittori giacobini); Rita Guerricchio insegna nel Dipartimento di Italianistica dell’Università di sull’Ottocento (Pater, l’etica sociale, le donne viaggiatrici e artiste, la woman’s Firenze. Si è occupata di letteratura italiana al femminile (Sibilla Aleramo, fiction); sulla letteratura contemporanea ‒ la poesia di Adrienne Rich, che ha Anna Banti, Paola Masino) e si sta occupando attualmente della novellistica tradotto, la scrittura lesbica, quella delle donne ebree-americane, la novecentesca (Pirandello, Palazzeschi, Loria, Cassola). fantascienza utopica. Recentemente ha curato la traduzione di Manifesto Cyborg. Donne, tecnologie e biopolitiche del corpo, di Donna Haraway (1995). Vita Fortunati insegna lingua e letteratura inglese all’Università di Bologna. Si è occupata del romanzo d’avanguardia del primo Novecento, di teoria della Rita Calabrese, docente di letteratura tedesca moderna e contemporanea critica, e dell’utopia come genere letterario, pubblicando numerosi saggi e il all’Università di Palermo, si occupa di scritture femminili e rappresentazioni volume La letteratura utopica inglese (1979). Ha pubblicato molti saggi su delle donne (Sophie von La Roche, Franziska zu Reventlow, l’Ondina, ecc.). È letteratura femminile, romanzo rosa e critica femminista, e curato diversi libri, uscito di recente un volume sulle sorelle dei genî Della stessa madre, dello tra cui quelli editi da Quattro Venti: Ritratto dell’artista come donna. Saggi stesso padre (con Eleonora Chiavetta, 1996), ed è in fase di pubblicazione un sull’avanguardia del novecento (1988) con Lilla M. Crisafulli; Il teatro e le saggio sulle rappresentazioni letterarie di ebrei e ebree nella letteratura donne. Forme drammatiche e tradizione al femminile nel teatro inglese tedesca dal Settecento al Novecento. (1991) con Raffaella Baccolini e Romana Zacchi; Voci e silenzi (1993) con Gabriella Morisco. Marina Camboni insegna letteratura anglo-americana all’Università di Macerata. Si interessa degli aspetti stilistici dei testi letterari, delle innovazioni Tobe Levin ha conseguito il dottorato in letteratura comparata alla Cornell culturali delle donne e di didattica della letteratura; ha lavorato estesamente University e una laurea in lettere moderne all’Università di Parigi III. Insegna sul Modernismo, in particolare su Gertrude Stein e Virginia Woolf, e si occupa letteratura americana all’Università del Maryland in Europa e all’Università di di poesia. Oltre a un volume su Walt Whitman, ha curato Come la tela di Francoforte. Si è occupata dell’incrocio tra ideologia ed estetica nelle scrittrici ragno. Poesie e saggi di Adrienne Rich (1985), e ha tradotto e curato per tedesche, in particolare Verena Stefan, Elfriede Jelinek, Margot Schroeder; ha l’editore Sciascia La doppia immagine e altre poesie di Anne Sexton (1989), e lavorato sull’estetica della rabbia nella scrittura femminista di varie parti del la Trilogia di H.D. (1993). mondo, e sulla letteratura di donne emigrate che non scrivono nella lingua- madre. La sua ricerca presente verte su autrici americane ebree e nere. È una Giovanna Covi insegna anglistica all’Università di Trento. Si è occupata di delle socie fondatrici di W.I.S.E. e co-redattrice della sua Newsletter.

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Ernestina Pellegrini insegna italianistica dell’Università di Firenze. Ha Carla Locatelli, docente di lingua e letteratura inglese presso l’Università di pubblicato studi sulla letteratura triestina e sul Futurismo; sull’autobiografìa, Trento e adjunct professor alla University of Pennsylvania, si occupa di teoria sulla letteratura ebraica in Italia negli anni Trenta; sulle Memorie di Casanova critica e di ermeneutica letteraria, con particolare riguardo ai modelli e la letteratura erotica del Settecento; su scrittrici italiane contemporanee epistemici della modernità. Ha pubblicato saggi sulle scrittrici moderniste e (Bacchiega, Bettarini, Busacca, Contini, Guidacci, Madieri, Maleti, Merini, volumi sulle poetiche romantiche inglesi; e su Samuel Beckett Unwording the Virgillito); uno studio sulle rappresentazioni della morte nell’opera di Verga, World (1990). Testimoniano il suo interesse per il rapporto tra etica e La morte dei vinti (1989) e una serie di lavori sul tema: Novelle vestite di nero cognizione i volumi da lei curati: Retorica e interpretazione (1994); I silenzi (1993) su Pirandello, e Necropoli immaginarie (1996) su Balzac, Flaubert, dei testi e i silenzi della critica (1995); In(de)scrizioni (1996). Zola, Dickens, Dostoevskij, Tolstoj.

Gigliola Sacerdoti Mariani insegna lingua inglese all’Università di Firenze. Maria Grazia Profeti insegna lingua e letteratura spagnola all’Università di Ha pubblicato scritti di linguistica diacronica e sincronica nonché saggi critici Firenze. Si è occupata di teatro barocco con monografie, testi critici, su autori inglesi e americani, moderni e contemporanei, quali G. Eliot, Woolf, bibliografie (Lope de Vega, Pedro Calderón de la Barca, Tirso de Molina, Luis Disraeli, Orwell, Abse, Singer, Malamud, Rukeyser, H. Miller, Bellow. Il suo Vélez de Guevara, Juan Pérez de Montalban, ed altri); e dell’opera poetica di volume, Guida alla Costituzione degli Stati Uniti d’America. Duecento anni di Francisco de Quevedo, della generazione del ’27 (García Lorca, Louis Buñuel), storia, lingua, diritto ‒ scritto con Antonio Reposo e Mario Patrono ‒ è giunto, di rapporti interculturali (la commedia barocca spagnola nell’Italia del nel 1995, alla terza edizione. Ha curato (con Arturo Colombo e Antonio Seicento), di scrittura sulla moda. Pasinato) la pubblicazione del volume La guerra civile spagnola tra politica e letteratura (1955). Collabora alle riviste Nuova Antologia e Il politico. Marina Sbisà insegna semiologia all’Università di Trieste. Si occupa di filosofia del linguaggio ordinario, di pragmatica linguistica e di analisi del Barbara Marx docente di storia della cultura italiana all’Università di discorso, prestando attenzione a temi e problemi rilevanti per la teoria Dresda, specialista di lirica petrarchista. Ha pubblicato vari saggi e un volume femminista. Tra le sue pubblicazioni: La mamma di carta. Per una critica su Pietro Bembo. Si è occupata di letteratura comparata nell’ambito del dello stereotipo materno (1984); Linguaggio, ragione, interazione. Per una Rinascimento; di elaborazione dei codici simbolici; e di scritture delle donne teoria pragmatica degli atti linguistici (1989). Ha curato Gli atti linguistici nel Novecento, in particolare di Elsa Morante e Marguerite Duras. (1978) e Come sapere il parto. Storie, scenari, linguaggio (1992).

Edda Melon vive e lavora a Torino dove insegna letteratura francese Rita Svandrlik, germanista all’Università di Firenze, ha pubblicato Il moderna e contemporanea all’Università. Tra il 1978 e il 1984 ha dato vita, linguaggio come punizione: Ingeborg Bachmann dalla lirica al romanzo con Elide Cismondi e Angelo Morino, alle edizioni La Rosa, che hanno (1983), saggi che analizzano la funzione del femminile in Grillparzer, Musil, e pubblicato le prime traduzioni italiane di Clarice Lispector. Con il titolo Hoffmann, contributi su scrittrici austriache e su Elsa Morante. Si è occupata L’Eretica dell’amore (1979) ha curato e tradotto l’edizione di alcuni articoli di della riscrittura al femminile dei miti, in particolare quello di Medea. È uscito Julia Kristeva. Ha scritto su Violette Leduc, Antonin Artaud, e su Marguerite con Quattro Venti il volume di saggi da lei curato: Il riso di Ondina. Immagini Duras, curando, con Ermanno Pea, il volume Duras mon amour (1992). mitiche del femminile nella letteratura tedesca (1992).

Anna Nozzoli è docente di lingua e letteratura italiana all’Università di Uta Treder insegna lingua e letteratura tedesca all’Università di Trieste. Ha Firenze. Si è occupata di scritture di donne nel Novecento italiano. Ha pubblicato un volume su Kafka, un altro sul femminile da G. Keller a Lou pubblicato Tabù e coscienza. La condizione femminile nella letteratura Andreas-Salomé, Von der Hexe zur Hysterikerin. Zur italiana del Novecento (1978); La parete di carta. Scritture al femminile nel Verfestigungsgeschichte des “Ewig Weiblichen” (1984), e saggi su Sophie Novecento italiano (1989); e saggi su Margherita Sarfatti, Carola Prosperi, Ida Mereau, Karoline von Günderrode, Annette von Droste-Hülshoff, Marlen Sangiorgi, Natalia Ginzburg. Haushofer, le viaggiatrici tedesche in Italia. Il suo libro più recente è Il re nero: Saggi di letteratura femminile tedesca (1993). Tra le sue opere di

203 narrativa ricordiamo Luna Aelion (1989) e Die Alchemistin (1993).

Susan Winnett, dopo aver studiato letteratura comparata a Yale e Berlino, e aver insegnato a Harvard e alla Columbia University, insegna letteratura americana e women’s studies all’Università di Amburgo. Tra le sue pubblicazioni, Terrible Sociability: The Text of Manners in Laclos, Goethe, and James (1993), articoli sulla teoria della letteratura e la letteratura femminista. Sta lavorando a un libro sugli scrittori americani espatriati e i loro rincontri con l’America.

Paola Zaccaria vive e lavora a Bari dove è docente di letteratura nord- americana e collabora con donne impegnate nella costruzione di un pensiero, una pratica e una politica sessuata del mondo. Tra le sue pubblicazioni, molti saggi di teoria della letteratura e critica femminista, e i volumi: Virginia Woolf: trama e ordito di una scrittura (1980); Forme della ripetizione: le ipertrofie di E.A. Poe, i deficit di S. Beckett ( 1992); Segni eretici. Scritture di donne tra autobiografia, etica e mito, con Paola Calefato (1993); A Lettere scarlatte. Poesia come stregoneria (1995). Al momento si occupa degli esiti letterari della condizione di esilio e viaggio.

Franca Zoccoli, storica dell’arte formatasi alla scuola di Lionello Venturi e di Meyer Schapiro, si è interessata soprattutto di arte americana, argomento al quale ha dedicato articoli, numerosi saggi e un libro per Quattro Venti, Dall’ago al pennello. Storia delle artiste americane (1987). Su questa tematica svolge brevi corsi, seminari e cicli di conferenze presso varie università italiane. Quale critico d’arte collabora a riviste specializzate e ai quotidiani Il Resto del Carlino e la Nazione. È in corso di stampa negli U.S.A. un suo libro sulle futuriste nelle arti visive, The Women Artists of Italian Futurism.

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