21/08/2015 Pag. 61 N.73 - settembre 2015 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

Matteo Marchesini La megalomania degli scrittori italiani

Tutti cercano invano il Grande Romanzo della Nazione (che peraltro c’è già, ma ce ne siamo dimenticati) 21/08/2015 Pag. 61 N.73 - settembre 2015 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

All’uscita 29 c’è…

Milano L’ingorgo letterario Firenze

del nostro GRA A1 7 8 9 5 6 10

4 A90 11

Grande 12 Raccordo Anulare 13 3 A24 L’Aquila 14 Fiume Teramo CITTÀ DEL Aniene 15 2 VATICANO

16 17

1 ROMA

18 33 19

32 Fiume 20 A1 Tevere 21 22 Napoli

31 30 23 Fiumicino A91 29 Civitavecchia 28 27 26 Ciampino 25 24

Fig. 1 — Recenti tentativi, più o meno riusciti, di Grande Romanzo Italiano

1. Giancarlo De Cataldo, 8. Antonio Pascale, Passa 15. Giorgio Falco, L’ubicazione 22. Paolo Di Paolo, Mondadori, 2010-2012, Romanzo criminale, la bellezza, Einaudi, 2005 del bene, Einaudi, 2009 Dove eravate tutti, 2 voll. Einaudi, 2002 9. , Caos 16. , Stirpe, Feltrinelli, 2011 28. Walter Siti, Resistere non 2. Wu Ming, 54, Einaudi, Calmo, Bompiani, 2005 Einaudi, 2009 23. Fabio Genovesi, Esche serve a niente, Rizzoli, 2012 2002 10. , Gomorra, 17. , Il bambino vive, Mondadori, 2011 29. Giuseppe Genna, 3. Melania G. Mazzucco, Mondadori, 2006 che sognava la fine del mondo, 24. Vincenzo Latronico, Fine Impero, minimum Vita, Einaudi, 2003 11. Mario Desiati, Il paese Bompiani, 2009 La cospirazione delle fax, 2013 4. Giuseppe Montesano, delle spose infelici, 18. Walter Veltroni, colombe, Bompiani, 2011 30. Elena Ferrante, L’amica Di questa vita menzognera, Mondadori, 2008 Noi, Rizzoli, 2009 25. Alessandro Mari, geniale, e/o, Feltrinelli, 2003 12. Carlo Lucarelli, L’ottava 19. Maurizio Maggiani, Troppo umana speranza, 2011-2014, 4 voll. 5. Edoardo Nesi, L’età vibrazione, Einaudi, 2008 Meccanica celeste, Feltrinelli, Feltrinelli, 2011 31. , La ferocia, dell’oro, Bompiani, 2004 13. , Stabat 2010 26. Enrico Brizzi, Einaudi, 2014 6. Leonardo Colombati, Mater, Einaudi, 2008 20. , Canale Epopea Fantastorica 32. Francesco Di Salvia, La Perceber, Sironi, 2005 Mussolini, Mondadori, 2010 Italiana, Italica Edizioni, circostanza, Marsilio, 2015 14. Giorgio Vasta, Il tempo 2008-2012, 3 voll. 7. Girolamo De Michele, materiale, minimum fax, 21. Giuseppe Catozzella, 33. Antonio Moresco, Scirocco, Einaudi, 2005 2008 Alveare, Rizzoli, 2011 27. , L’increato, Mondadori, Il fuoco amico dei ricordi, 1998-2015, 3 voll.

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La megalomania degli scrittori italiani

Più o meno dal solito 1848, un altro spettro si aggira e formali o cedendo a un engagement pubblicitario, in- anche per l’Italia: lo spettro del Grande Romanzo. Ma numerevoli autori inventano trame nelle quali la vita dei a differenza del comunismo non è svanito: e anzi ha in- personaggi è appiccicata volontaristicamente all’11 set- ghiottito il cadavere marxista trasformandolo in storytel- tembre o al G8 di Genova, a operai o camorre, al vintage ling. L’associazione non va considerata frivola. Se non è del sequestro Moro o a quello postcomunista. Anziché un correlativo estetico del marxismo, il romanzo lo è cer- riconoscere che tra individui e grandi eventi si estende to della filosofia della storia dal marxismo presupposta, ormai una palude informe d’insensatezza o d’impotenza, quella che si è andata coagulando tra Sette e Ottocento, e si finge di dominare il contesto sociopolitico planetario, che indicando un’omologia tra le vicende degli individui cioè lo si mistifica. Capita perfino ai colossi statunitensi e le vicende della società, confida che la sorte degli uni del genere: si pensi allo scotch con cui Don DeLillo at- specchi e spieghi la sorte dell’altra. Appena questa fede tacca certe sfilacciate biografie alla Guerra Fredda o ad s’incrina, il genere vacilla. Dal primo Novecento, private al-Qaida. Ma nell’aiuola italiana che ci fa tanto feroci, i di un ragionevole nesso tra storia individuale e collettiva, difetti americani s’ingigantiscono e immeschiniscono a tutte le trame in apparenza si equivalgono, e sembra che un tempo. Anche da noi molti aspirano all’Affresco Eco- si continuino a scrivere romanzi come si scrivono opere Socio-Meta-Psico-Teo-Politico. Ma salvo eccezioni di lu- liriche: con una malafede che diminuisce solo nei tempi cida ingegneria (Walter Siti), il respiro è corto, la lingua e nei luoghi (l’Europa del 1945, Israele) in cui un trauma falsa, e impera il consueto cibreo di famigghia e finanza, profondo torna a stringere il legame tra i destini generali parmigiana della zia e squali mafiosi, sadismo fumettistico e quello di ognuno. e mélo. Il romanziere più inquinante è però quello che Ma da noi la malafede è endemica. Per il suo sviluppo si presenta come il logorroico incrocio di uno scienziato abnorme, l’Italia è infatti passata da un assetto premoder- della comunicazione con uno studente di gnostica e un no alla società di massa senza quasi attraversare la moder- esteta della cronaca nera. Penso ad Antonio Scurati, Giu- nità, cioè la vera epoca del romanzo. Perciò ha importato seppe Genna, Wu Ming, Tiziano Scarpa; ma soprattutto il genere come s’importa una pianta esotica, condannata a a Nicola Lagioia. Già in Occidente per principianti (2004), non acclimatarsi mai del tutto. Oltre che nelle novelle, la gli ingredienti del suo pasticcio c’erano tutti: pretestuo- migliore prosa italiana si trova piuttosto in testi ibridi nei sa evocazione della Storia, fervorini sui Simulacri, frene- quali il diario si mescola al saggio o alla satira. Ma se fino sia citazionista e coazione a trasformare ogni frase in un agli anni Settanta, per ragioni europee e locali, si diffidava aforisma damsiano. Ma La ferocia è peggio. A una gatto- di una forma già implosa a inizio secolo, negli anni Ottan- pardesca dynasty pugliese è giustapposta qui una scrittu- ta le esigenze mediatico-editoriali hanno ribaltato il qua- ra che si vorrebbe sofisticata e allucinata, ma che è solo dro. Il romanzo è rinato midcult, rimuovendo la crisi anzi- rigida e decorativa. Si veda l’incipit, che “fa atmosfera”: ché risolverla, ed è stato imposto sul mercato con una tale «Una pallida luna di tre quarti illuminava la statale alle violenza che ormai lo si identifica con la letteraturatout due del mattino». Seguono notazioni inamidate e forbite, court. Di qui il riproporsi in termini parossistici di quello da cronista di provincia che gioca a fare il Truman Capo- che è, direbbe Alberto Savinio, il «sogno pompiere» per te. Poi, ecco il lirismo scadente: «Il piazzista gonfiabile eccellenza dello scrittore italiano: il Grande Romanzo De- ondeggiava nel vuoto (…). Più che altro, dava l’idea di un finitivo. Un sogno divenuto allucinazione generale negli fantasma senza pace». anni Zero, quando i Traumi Collettivi hanno ridato fiato Lagioia vuol essere nitido, tagliente, ma accumula mo- alla retorica su un realismo non più legato al dialettico notone successioni di dettagli come se raccontasse un film storicismo moderno, ma al brutale storicismo dei media. a un cieco, e le appesantisce con passati remoti quanto mai Così oggi, adottando pretenziosi straniamenti distopici legnosi (gli inflazionati «s’arrestò», i «si palesò» da Bruno

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Pizzul). In più, il suo preteso stile chirurgico si ribalta nel- ra due pieghe che non sa assecondare: o scivola in una le perifrasi di un goffo marinismo catodico. Mentre corre visionarietà dozzinale, o tenta di dinamizzarsi costruen- verso la morte nella notte pugliese, la Clara attorno a cui do un’impalcatura allegorica di irredimibile corrività. ruota il romanzo è vista nel «conclusivo trascinarsi verso Moresco aspira a essere insieme picaresco e astratto, ma il punto che fa crollare le differenze di specie»: dove il non possiede né una fantasia capace d’inventare peripe- pensiero-topolino sull’essere umano destinato a dissol- zie significative, né una testa abbastanza solida da darci versi nell’incoscienza animale partorisce una montagna di qualcosa di più che mediocri suggestioni metafisiche. Il rifiuti linguistici che fa concorrenza a quelli tossici del go- suo sguardo su Teologia, Storia, Letteratura, Biologia, Ri- morreggiante plot. Ed ecco come ci si presenta il ras della voluzione e Finanza è volgare come quello di Lagioia; e i Salvemini Edilizia: «Stringeva tra le labbra una smorfia suoi arredi intellettuali e metaforici – Spaltung, Doppio, soddisfatta che nessun sarto avrebbe ricondotto a una tra- concioni parmenidee da Severino lisergico – vengono dal- dizione più vecchia di dieci anni». Ma questo è niente di lo stesso discount del decadentismo di massa. Per questo fronte all’estetismo subdannunziano con cui si enfatizza il suo orrore è di cartapesta, e suonano involontariamente la perfezione disumana e vulnerabile di Clara. A sedici comiche le evocazioni di un continuo Trionfo della Morte anni, la divina aliena barese appare «un idolo maya il cui che è poi anche un vertiginoso ritorno all’Origine, di un tocco scatena visioni dal futuro: le caravelle di Cristofo- Anus Mundi che è anche una Genesi, o di una Strage in- ro Colombo, gli stupri di massa dei conquistatori». E per finita che è insieme una creaturale Comunione di morti e mostrarci che oltre allo showbiz conosce la geografia e la viventi. Per mille pagine, Moresco scatta compulsivi selfie storia sacra, il narratore così confronta il suo stato con le con gli spiriti famosi, e mette in bocca a tutti gli stessi co- paturnie di un modesto giornalista: «Il malessere di Giu- mizi su morte, tempo, spazio e guerriglia. Molesta Lenin, seppe Greco era una fredda vetta d’Appennino, quello di Mao, Napoleone, e inventa un Guevara che per compagna lei un Everest, forse un Ararat mancato». di letto e di lotta ha addirittura Ilaria del Carretto, pronta L’estetica della Ferocia viene dai di magazzino ad abbandonare il marmo medievale per il mitra. Come del primitivismo decadente, illuminati con le strobo di un in ogni Grande Romanzo Italiano c’è poi un cammeo di paninaro. Lagioia si sdilinquisce davanti a tutto ciò che Aldo Moro, e c’è pure un incontro con Pier Paolo Pasoli- sembra insieme abbacinante e oscuro, vellutato fino all’a- ni, dove il narratore spiega al Poeta chi è davvero, mentre strazione e ferocemente fisico: il suo immaginario coin- il Poeta, con la «faccia maciullata» d’ordinanza, descrive cide con una qualunque pubblicità di cocktail dove una lo scempio del suo corpo come un giornalista dell’Espres- femmina eburnea e flessuosa svanisce mentre le si scucio- so, finché sordellescamente l’un l’altro abbracciava. no regalmente le mutande. Autodistruzione con Martini Assumendo tutte le parti, facendosi Dio e idiota, e at- e tinte polarizzate: questa è la sua idea di mozzafiato, di traversando in un lampo tempi e universi distanti anni assoluto. Un’immagine di Paolo Sorrentino? luce, Moresco annulla la necessità della narrazione, per- Col regista, Lagioia è duro. La grande bellezza è per lui ché annulla gli ostacoli che soli ne legittimano lo svolgi- uno «spot Jägermeister». Ma cos’altro sono la Ferocia e la mento. L’illimitato agio dei suoi spostamenti, e l’ubiquità Roma di Occidente, dove la grande bellezza dilaga ovun- irreale del suo sguardo, non consentono scoperte teori- que, e l’eterna, estetizzante deriva italica strizza l’occhio che né oltranze romanzesche, dato che dove tutto sembra ai benpensanti felici di sentirsi empatici con un pensiero possibile mancano i confini da oltrepassare, e resta solo il “critico”? Però Sorrentino è più abile di Lagioia, la cui ruminio delle nere vacche hegeliane. prosa è legata a due atavici formalismi meridionali: da un Eppure, davanti a queste guerre stellari del bovarismo, lato lo stile burocratico, dall’altro il barocco dei lettera- molti recensori prendono per buona la mitomania more- ti paesani e del giornalista Greco, che mitizza gli artisti schiana. E dire che l’Italia, così disposta a esaltare i finti come fossero calciatori e sogna «un Werner Herzog che Romanzi Cosmici, non è affatto generosa coi suoi pochi un giorno, venuto via dal cono d’ombra della provincia romanzieri autentici: , ad esempio, è or- avrebbe conquistato Roma, perfino Parigi o New York mai rifiutato come si rifiuta uno specchio che ci rimanda per vendicarli tutti». con troppa esattezza la squallida monotonia della nostra I sogni di rivalsa e le atmosfere da corrusca apocalis- vita. Ma per stare ai vasti affreschi famigliari, sociali e na- se, riflessi fin nel titolo della Ferocia, si ritrovano in for- zionali, ricordo che ne abbiamo uno straordinario, e lo ma diversa negli Increati di Antonio Moresco. Anche lui ignoriamo da più di un secolo per motivi che dimostrano pensa al suo libro come a uno sconvolgimento tellurico. quanto sia paradossale il nostro gusto. La sua arida con- Solo che il terremoto presuppone movimento: e Moresco, sequenzialità e il suo pessimismo leopardiano spaventano come Lagioia, più si agita più trasmette un’impressione infatti una cultura che pretende sì i romanzi spietati, ma di staticità. Il suo respiro è quello delle descrizioni brevi poi vi cerca i fiori lirici e le droghe ideologiche. Così, men- e sfumate, ma lui si vuole rumoroso e lunghissimo. Non tre ole sempre più ridicole salutano i narratori pompieri, è neppure un visionario: è un visivo che si autoipnotizza, uno spazio altrettanto ridicolo occupano nelle storie let- e appena si stanca della sua ascesi imprime alla scrittu- terarie I Viceré di Federico De Roberto.

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