Filippo Silvestro

Filippo Silvestro

Domenico Pellizzi, la volta del Teatro Municipale e il ritratto di Andrea Maffei

Premessa

Questo saggio nasce innanzitutto per mettere in evidenza i dipinti di Domenico Pellizzi nella volta del Teatro Municipale a Reggio Emilia e il ritratto di Andrea Maffei effigiato nel riquadro la Tragedia. Durante l’esecuzione dell’opera, 1857, Andrea Maffei era vivente, e morirà nel 1885. Tutti gli altri personaggi raffigurati da Pellizzi erano già “storicizzati”,.E’ questa una curiosa particolarità che collega Reggio Emilia e il nostro Teatro Municipale con il Risorgimento Italiano, tramite Andrea Maffei e sua moglie Clara, l’organizzatrice del famoso salotto milanese. I personaggi descritti nella volta sono: nel riquadro del Melodramma, Metastasio, Pergolesi e Bellini; nel riquadro della Commedia: Goldoni, Nota e Cecchi; nel riquadro della Coreografia: Viganò e Gioia; infine nel riquadro della Tragedia: Alfieri, Monti ed Andrea Maffei. Con l’immagine del Maffei, la volta del Teatro Municipale, entra a tutti gli effetti, come un’opera del nostro Risorgimento. Per il Pellizzi ho stilato l’elenco delle sue opere e della vita mentre per il Maffei (Molino di Ledro 19 aprile 1798-Milano 27 novembre 1885), data la complessità del personaggio, ho inserito la voce relativa del Dizionario Biografico degli Italiani scritta da Marta Marri Tonelli. Ho rintracciato i ritratti del Maffei ad opera di Carlo Bellosio, Giuseppe Bertini e Michele Gordigiani. ed ho riprodotto anche il ritratto della moglie , opera di . Il salotto milanese della Maffei è stato al centro del Risorgimento Italiano con ospiti illustri: Honorè de Balzac, , Francesco Hayez, , tra i più importanti. 5 Domenico Pellizzi

In Biblioteca Panizzi di Reggio Emilia ho ritrovato una poesia di Maffei dedicata al matrimonio tra il segretario comunale Carlo Ferrari e Carolina Curti. Interessante poi una lettera, da Firenze, di Maffei in risposta a Naborre Campanini che gli aveva inviato sonetti per un responso critico.

La Vita Domenico Pellizzi nasce a Vezzano sul Crostolo in provincia di Reggio Emilia il 30 aprile 1818 da Ippolito e Rosa Fontana. Studia alla Scuola di Belle Arti di Reggio sotto gli insegnamenti di Prospero Minghetti, dimostrandosi, assieme ad Alfonso Chierici, tra i migliori allievi nel campo della figura. In questo periodo esegue copie di famosi quadri come La Vergine col Bambino dal Francia, una Madonna da Cima da Conegliano e La Madonna della Seggiola da Raffaello. Merita un “Premio di seconda classe” il 26 agosto 1834 con attestato a firma del conte Francesco Sormani Moretti. Nel 1837 è iscritto all’Accademia di Parma, come il registro testimonia,: “Al n.35 Pelizzi Domenico, di anni 20, provenienza Reggio e di Ippolito, negoziante, con domicilio in Borgo Torto n.40, iscritto dal 21 novembre 1837” in Ruolo degli alunni, 1837-1856 - Disegno. Sempre all’Accademia in Disegno e Pittura, in Scuola e alunni 1839-1860 si evince che alla Scuola di Disegno, Pelizzi Domenico, nel 1837 è definitito con “attitudine buonissima”. Nel 1838: “Diligente,moralità ottima,attitudine buonissima”. Nel 1839-1840 nel dipartimento Pitture, nella Relazione dell’andamento delle scuole è definito con ottimi“ costumi, studioso, buonissima attitudine”. Infine nel 1840-1841, sempre nella Scuola di Pittura, ha l’ennesima ottima valutazione “buona condotta,attivo,molta attitudine”. L’Accademia di Parma è stata una palestra per molti artisti di quel periodo:hanno frequentato corsi tutti gli scultori del Teatro Municipale, Giovanni Chierici, Antonio Ilarioli, Attilio Rabaglia, Paolo Aleotti e quel Matteo Rusca che ritroviamo vicino a Girolamo Magnani per le decorazioni, soprattutto esterne del Teatro. Gli insegnanti dell’Accademia sono, tra gli altri, Tommaso Bandini, grande scultore ed autore della statua dedicata al Petrarca nel Tempietto di Selvapiana, nel comune di Canossa in provincia di Reggio Emilia; Paolo Toschi grande incisore e direttore della stessa Accademia di Parma. Infine ricordiamo Giambattista Borghesi autore del sipario e della volta del Teatro Regio di Parma, così come a Reggio, il Pellizzi. Nel 1841 esegue un ritratto ad acquerello che ben figura all’Accademia Atestina di Modena. 6 Filippo Silvestro

Sono da ascrivere a quegli anni le tempere alla Vasca Corbelli a Rivalta dal titolo La leggenda di Saffo. Al ritorno a Reggio esegue un quadro di sua invenzione, I buoni fanciulli, che invia alla Esposizione triennale dell’Accademia Atestina di Modena e che viene acquistato dalla Società d’incoraggiamento per gli Artisti dello Stato Estense. Il dipinto è riprodotto, con una stampa, nell’Albo dell’Esposizione triennale di Modena. Nel 1848 partecipa ai moti risorgimentali e all’arrivo degli Austriaci è costretto a rifugiarsi a La Spezia e a Firenze. Nel 1849 risiede a Firenze dove rimane per quasi un anno e conosce, avendo come maestro, Giuseppe Bezzuoli, famoso pittore e direttore dell’Accademia. Bezzuoli è stato anche insegnante del pittore brescellese Carlo Zatti e del grande Giovanni Fattori. Al maestro fiorentino, Domenico Pellizzi, mostra i dipinti della Natività di Maria e Consolare gli afflitti, ricevendone elogi, come lo stesso autore testimonia in uno scritto. Alla fine del 1849 giunge a Roma dove incontra gli amici reggiani, il paesaggista Alessandro Prampolini e Alfonso Chierici. Chierici a Roma dipinge I profanatori del tempio che influenza Pellizzi visto che su ordinazione di Giambattista Venturi di Reggio, lo stesso, dipinge La strage degli innocenti, importante quadro che oggi si trova ai Civici Musei di Reggio e che richiama il tema compositivo dell’opera di Alfonso Chierici. Con questa opera il pittore reggiano merita un premio speciale dal duca Francesco V giunto a Roma per visitare gli studi degli artisti del ducato. A favore di Pellizzi si esprimono il direttore dell’Atestina Adeodato Malatesta e l’amico reggiano Luigi Sani che scrive di lui sul giornale modenese La Ghirlandina. A Roma esegue un Noli me tangere che, assieme ad una S. Anna, viene esposto a Modena. La pala d’altare S. Anna è ora nella chiesa di Gazzata vicino a San Martino in Rio. A Roma esegue, tra il 1853 ed il 1854, una Consolatrice quadro acquistato dal reggiano conte Antonio Mezzani Pratonieri ed il ritratto dell’amico pittore Alessandro Prampolini. Ritorna a Reggio e dipinge per la chiesa di Santa Teresa la pala di S. Andrea d’Avellino e un S. Filippo condotto in cielo da un Angelo per la chiesa omonima. Per la parrocchiale di Massenzatico esegue S. Antonio e San Mauro e i ritratti di monsignor Emilio Cugini, del professore Giuseppe Parmeggiani, del poeta Agostino Cagnoli e di Agostino Paradisi.

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Esegue per la chiesa di S.Tommaso della Fossa di Novellara una pala d’altare dedicata a San Eurosia con la Beata Vergine. Scrive Enrico Manzini: “Nel 1854 morto il Prof. Minghetti, fu Pellizzi, da S.A.R. Francesco V°, con rescritto 14 Febbraio, nominato a succedergli nell’insegnamento della figura nelle Scuole di Belle Arti in Reggio, e nel 1859, con decreto del Governatore delle Provincie Modenesi del 21 Luglio fu nominato Aggiunto al Direttore delle stesse scuole di Belle Arti, Professore di pittura e Segretario”. LA GRANDE IMPRESA PITTORICA DEL TEATRO MUNICIPALE DI REGGIO EMILIA Nel 1854 viene istituita la fabbrica del nuovo teatro di Reggio ad opera dell’architetto Cesare Costa nato a Pievepelago in provincia di Modena che vince il concorso battendo il famoso architetto reggiano Pietro Marchelli. Vengono mobilitati: Girolamo Magnani di Fidenza per le decorazioni interne ed esterne; il pittore Giuseppe Ugolini e per altre decorazioni Pasquale Zambini. Per le statue interne ed esterne partecipano gli scultori Paolo Aleotti, Prudenzio Piccioli, Antonio Ilarioli, Attilio Rabaglia, Giovanni Chierici e Ilario Bedotti. Per la descrizione delle statue è convocato il letterato Bernardino Catellani. I sipari sono opera di Alfonso Chierici e Giovanni Fontanesi. La volta, infine, è opera di Domenico Pellizzi con quattro grandi medaglioni e quattro piccoli riparti. La prima medaglia, vicino all’entrata, è dedicata al Melodramma, alla Musica ed alla Poesia con la raffigurazione di Metastasio, Pergolesi e Bellini. La seconda medaglia, a sinistra dell’entrata, è dedicata alla Commedia con raffigurati Carlo Goldoni, Alberto Nota, seguace del veneziano e Giovanni Maria Cecchi. La terza medaglia, a destra dell’entrata, è incentrata sulla Tragedia con la rappresentazione di Vittorio Alfieri, ed Andrea Maffei. La quarta medaglia, vicina al palcoscenico è dedicata alla Coreografia con il grande Salvatore Viganò e Gaetano Gioia, altro ballerino e coreografo. Il compenso per questa opera sarà di lire seimilacinquecento mentre Alfonso Chierici, per il sipario, percepisce L.15000; Girolamo Magnani per le decorazioni L.13.000 e Giovanni Fontanesi, per il comodino, lire tremila. Nel 1856 Domenico Pellizzi dipinge per la chiesa di San Francesco a Reggio una pala d’altare dedicata al santo omonimo, S.Francesco che resuscita un annegato, quadro che rimane incompiuto e che sarà terminato dal brescellese Giuseppe Amadei. 8 Filippo Silvestro

Per la stessa chiesa disegna un Ostensorio. Nel 1858 si sposa con Carolina Rossi Deodati nella chiesa di San Nicolò. Esegue un San Gaetano per i frati cappuccini di Pavullo (Modena). Nel 1864 restaura quadri per la chiesa di San Prospero. Nel 1866 dipinge due pale d’altare per la chiesa di Villa Gazzata nei pressi di San Martino in Rio commissionate dal parroco Don Fortunato Chiesi. Una è intitolata l’Adorazione della B.V. del Rosario compiuta da S. Antonio da Padova e l’altra S. Antonio Abate, S. Antonio da Padova e S. Vincenzo Ferreri. Nel 1868 restaura numerosi quadri nella Basilica della Ghiara: l’Annunciazione del Tiarini, il San Giorgio di Ludovico Carracci, i pennacchi del Bonone ed altre importanti opere del Santuario reggiano. Partecipa anche alla vita pubblica con l’incarico in consiglio provinciale per la zona di Correggio e viene eletto in consiglio comunale per il comune natio di Vezzano sul Crostolo nelle liste liberali. Ha ancora altri numerosi incarichi e prestigiose nomine come essere socio onorario dell’Accademia di Belle Arti a Bologna. Raffigura,in un ritratto di fantasia, Francesco IV, ora di proprietà dell’Arcispedale S. Maria Nuova di Reggio Emilia. Bellissimi sono il suo Autoritratto ed il ritratto dell’amico pittore Alessandro Prampolini ora ai Civici Musei di Reggio Emilia. Vi sono ancora numerose opere, inedite, disegni e bozzetti in collezioni private, all’Istituto d’Arte “Gaetano Chierici” e nei Musei Civici di Reggio Emilia che potrebbero mettere in risalto le capacità, ancora per certi versi non ancora evidenziate, di Domenico Pellizzi. Muore il 4 maggio 1875 all’età di 56 anni lasciando quattro figli ed una vedova di 44 anni. E’ sepolto nel cimitero monumentale di Reggio Emilia.

UNA SINGOLARE SCOPERTA: RITROVATI I PUTTI DELLA VOLTA DEL TEATRO MUNICIPALE Dopo il rinvenimento dei cartoni preparatori di Domenico Pellizzi avvenuto, per puro caso, nel sottotetto del Teatro Municipale, che qui evidenzio con il riquadro della Tragedia e con il particolare dei ritratti del Monti e di Andrea Maffe. Pochi mesi dopo ho ritrovato i disegni preparatori dei “Putti” della volta del Municipale. Come testimonia un articolo del Resto del Carlino Reggio (30-7-2006) : “Trovate al Chierici prove di affreschi”, ho rintracciato, dimenticati in un armadio dell’ Istituto Chierici di Reggio Emilia, i quattro cartoni preparatori rappresentanti i putti che si incastonano tra i riquadri principali della volta, opera di Domenico Pellizzi. 9 Domenico Pellizzi

Bibliografia:

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ANDREA MAFFEI

MAFFEI, Andrea. - Nacque il 19 apr. 1798 a Molina di Ledro, in Trentino, da Filippo, nobile del Sacro Romano Impero nativo di Cles, e da Maddalena Brocchetti, vedova Colò. Seguendo i trasferimenti del padre, magistrato, visse i suoi primi anni tra Riva del Garda, Trento e l’Alto Adige. Dal 1811 al 1814 fu a Bologna, dove ebbe come maestro di letteratura P. Costa. Determinante per le sue future scelte letterarie fu il trasferimento per due anni circa a Monaco di Baviera presso uno zio paterno, l’abate Giuseppe Maffei, professore di italiano presso il locale Liceo reale. Il soggiorno a Monaco, vitalissimo centro culturale, consentì al M. di acquisire padronanza della lingua e di maturare profondo interesse per il romanticismo tedesco. Anche negli anni seguenti, dopo il rientro in Italia, ebbe la possibilità, grazie ai frequenti soggiorni in Germania, di mantenere una conoscenza diretta degli eventi letterari e artistici d’Oltralpe e ciò gli permise di affrontare con sicurezza e senza prevenzioni il suo sempre più deciso ruolo di divulgatore dei capolavori delle “letterature settentrionali”. Nel 1818 il M. esordì come traduttore pubblicando a Milano gli Idilli di S. Gessner: la versione - dedicata a V. Monti - che volgeva in armoniosi endecasillabi la prosa di Gessner, fu lodata senza eccezioni dalla critica ed ebbe numerosissime ristampe. Conseguita nel 1820 la laurea in giurisprudenza a Pavia, il M., impiegato nei primi gradi della burocrazia governativa, fu per tre anni a dove, frequentando il salotto di A. da Schio Serego Alighieri, visitato con assiduità anche da Monti, ebbe occasione di fare la conoscenza di I. Pindemonte e B. Lorenzi, ma anche di entrare in contatto con i letterati bresciani G. Nicolini e C. Ugoni, rappresentanti di correnti liberali e di una critica aperta a sollecitazioni di respiro europeo. Passato a Venezia nel marzo 1823 stabilì durature amicizie con L. Carrer, A. Mustoxidi e A. Papadopoli. Non aveva tuttavia interrotto i rapporti con Monti, che lo convinse a intraprendere la versione di un autore tra i suoi prediletti, F.G. Klopstock, e in particolare del poema Messias, nonché ad associare i loro nomi nella traduzione della Tunisiade di L. Pyrker. Quando il M. ottenne, nel 1825, stabile trasferimento presso il tribunale d’appello di Milano, restò 11 Domenico Pellizzi affettuosamente vicino a Monti fino ai suoi ultimi giorni di vita: alla sua morte, nel 1828, fu incaricato dall’Accademia dei Filodrammatici, di cui era socio onorario, di scrivere il testo della “scena lirica” cantata da Giuditta Pasta in occasione dello scoprimento del busto del poeta. Intanto il M. aveva iniziato la versione dell’intera opera drammatica di F. Schiller, impegno cui si sarebbe dedicato sistematicamente per circa un ventennio, contribuendo a far conoscere all’Italia un autore la cui opera, proprio per la mancanza quasi completa di traduzioni, era praticamente sconosciuta, nonostante gli entusiasmi per lui manifestati da madame de Staël e dagli scrittori del Conciliatore. L’uscita alle stampe nel 1827 del dramma La sposa di Messina, introdotto da un ampio saggio critico di F. Ambrosoli, fu recepita perciò come un vero e proprio evento letterario, e la versione, anche per il fatto, allora assai raro, di rifarsi direttamente all’originale tedesco, ottenne un coro unanime di consensi critici e una notevole eco anche oltre i confini del Lombardo-Veneto. Il successo conseguito dalla prima versione schilleriana si ripeté con le successive: la Maria Stuarda, La vergine d’Orléans, il Guglielmo Tell, tutte stampate dall’editore Lampato di Milano. I successivi drammi, a partire, nel 1842, dal Don Carlos (elogiato da C. Cattaneo nel Politecnico), furono invece pubblicati dall’editore Pirola, che ottenne dal M., facendogli “ponti d’oro” (Berengo, p. 328), anche i diritti delle precedenti tragedie già edite. Il Teatro completo di Schiller nella versione del M. godette per decenni di enorme fortuna e fu riproposto editorialmente, in modo quasi esclusivo, praticamente fino alla metà del Novecento, come testimonia del resto L. Mazzucchetti quando afferma, nel suo Schiller in Italia, che “la storia delle traduzioni schilleriane si compendia presto nel nome acclamato di Andrea Maffei” (p. 159). La metodologia utilizzata dal traduttore nella trasposizione italiana dei drammi di Schiller influì in modo determinante sul loro successo. Conscio che lingue dalle strutture diverse ed espressione di una diversa civiltà non possono tradursi “alla lettera”, specie in poesia, il M. - che reputava il tradurre una vera e propria arte, volta a ottenere esiti autonomamente validi sul piano letterario - mirava soprattutto all’efficacia comunicativa delle sue versioni e alla loro attitudine a essere recepite a più livelli. Non a caso le opere drammatiche da lui tradotte - e quelle schilleriane in particolare, si imposero immediatamente nei repertori delle maggiori compagnie teatrali - servirono da soggetto per molti melodrammi e ispirarono tutta una serie di dipinti. Collateralmente all’impegno sui drammi schilleriani il M. aveva iniziato a occuparsi, come traduttore, di due autori la cui fama stava dilagando nell’Europa del romanticismo, T. Moore e G. Byron. Anche la scelta dei

12 Filippo Silvestro due poeti inglesi e la sollecita traduzione dei loro testi più emblematici dimostra l’ampia convergenza tra gli interessi del letterato e le richieste degli utenti e conferma il suo ruolo di mediatore culturale, capace di favorire l’assimilazione dei nuovi temi e delle nuove idee in tutti gli ambiti della produzione culturale. Ebbe la precedenza Moore: dopo Gli amori degli angeli (1835) vennero i Canti orientali (1836), Il paradiso e la Peri (1837), La luce dell’harem (1839), pubblicati in prima edizione a Milano. Seguì la versione de Gli adoratori del fuoco (Verona 1859). Di Byron uscirono alle stampe, sempre a Milano, il Caino (salutato da una entusiastica recensione di E. Visconti Venosta nel Crepuscolo), le novelle in versi Parisina e Il prigioniero di Chillon, il mistero Cielo e Terra. Successiva invece la pubblicazione, a Firenze, degli altri drammi teatrali e delle restanti opere. Il ruolo di animatore e coordinatore della cultura assunto dal M. nel fervido clima della Milano prequarantottesca ebbe come principale centro d’irradiazione il salotto aperto in casa propria nel 1834, allo scopo di attenuare la solitudine della moglie (Clara dei conti Carrara Spinelli, sposata nel 1832) affranta per la morte, a soli nove mesi, dell’unica figlia. Il salotto Maffei, passato alla storia come il più noto e cosmopolita tra i salotti di cultura dell’Ottocento italiano, fu infatti, per la qualità e varietà delle sue frequentazioni, un crogiolo di esperienze di respiro internazionale, anche perché il suo potere attrattivo era tale che ogni illustre ospite straniero, soggiornando in città, non poteva mancare di visitarlo (basti fare i nomi di H. de Balzac, E. Scribe, A. Dumas padre e, tra i musicisti, di F. Liszt e S. Thalberg). Nel marzo 1842, subito dopo lo strepitoso successo alla Scala del Nabucco, il M. introdusse nel suo salotto e presentò alla moglie G. Verdi, che presto divenne uno degli ospiti più assidui e affezionati di casa Maffei. Per parte sua il M. concorse, da quel momento, a orientarne le scelte e a plasmarne le inclinazioni. Non a caso Schiller, Byron, W. Shakespeare, Z. Werner, F. Grillparzer entrarono via via nel vaglio delle scelte del musicista, e certo non è fortuito che la presenza, in particolare, di Schiller sia “un filo sotteso a tutto l’arco creativo verdiano” (Cisotti, p. 158). Il M., oltre a scrivere il testo di alcune romanze da camera verdiane (Il tramonto, Ad una stella, Brindisi, Milano 1845), divenne una presenza costante, seppur discreta, a fianco del musicista, cui spesso fornì gli abbozzi o le trame sceneggiate dei drammi, coadiuvandolo anche nei problemi relativi alla messa in scena delle opere. La grande familiarità esistente tra i due uomini è testimoniata dal fatto che Verdi fu, nel giugno 1846, fra i testimoni dell’atto di separazione legale tra il M. e la moglie Clara, ormai legata sentimentalmente a uno dei frequentatori del salotto, il giovane critico C. Tenca. Vicini ai coniugi,

13 Domenico Pellizzi nella circostanza, altri due cari amici del M., che erano stati tra i letterati fondatori del salotto: G. Carcano, come secondo testimone, e T. Grossi che redasse l’atto di separazione in veste di notaio. Nel luglio seguente il M. e Verdi trascorsero insieme un periodo di cura a Recoaro, dove maturarono i progetti per il e , melodramma quest’ultimo per cui il letterato, che aveva appena dato alle stampe la versione dell’omonimo dramma di Schiller, si lasciò convincere a scrivere il libretto. Nel 1847 il M. fu ancora con Verdi a Firenze dove, oltre a occuparsi della revisione completa del libretto del Macbeth (che infatti, pur essendo stato affidato al librettista F.M. Piave, fu pubblicato anonimo), era impegnato a curare, presso l’editore Le Monnier, i 5 volumi delle Prose e poesie di Vincenzo Monti. A Firenze il M., fin dal 1840, quando aveva visitato per la prima volta la Toscana con l’amico I. Cabianca, aveva intrecciato cordiali rapporti, specie epistolari, con G.B. Niccolini, G. Capponi, G. Montanelli, G. Giusti e altri letterati, facendo spesso da tramite tra il mondo culturale toscano e quello lombardo. Altra città frequentata con assiduità era Genova, dove teneva come punto di riferimento la villetta del marchese G.C. Di Negro, noto ritrovo di letterati e artisti di tendenze liberali. Ivi era entrato in confidenza con gli scrittori A. Crocco, L. Costa e in particolare con M.S. Prasca, del quale curò tra l’altro la pubblicazione del romanzo Roberto che, apparso anonimo nel 1842 a Milano, gli fu in seguito erroneamente attribuito. Durante le Cinque giornate del ‘48 il M. aderì e dette il suo concreto apporto al generale entusiasmo rivoluzionario (nel 1885 gli furono infatti conferiti quale combattente un diploma e una medaglia commemorativa). Fu anche incaricato dal governo provvisorio di scrivere un Inno popolare per la solenne benedizione delle bandiere. Il clima di delusione e di inquietudine che caratterizzò, dopo l’armistizio, l’ambiente milanese traspare nella chiara allegoria politica sottesa al dipinto La meditazione (L’Italia nel 1848) commissionato all’amico F. Hayez dal M., che dedicò alcune composizioni in versi, manifestamente politiche, ad altre opere di artisti a lui vicini, come per esempio alla statua La desolazione di V. Vela. Le relazioni con rappresentanti delle arti figurative rivestono grande rilievo nella multiforme presenza del M. all’interno delle dinamiche culturali del suo tempo. Sempre incline al reciproco scambio di tematiche tra le varie arti, secondo la funzione sociale loro demandata dal romanticismo, egli seppe intrecciare uno stimolante dialogo con numerosi artisti, i quali, non solo mediarono per suo tramite ispirazioni tematiche, ma gli furono debitori di precise consulenze iconografiche e non raramente di consacrazione critica e promozione sul mercato. Allo stesso modo in cui, come traduttore, aveva avuto un ruolo basilare nel divulgare tempestivamente le opere più

14 Filippo Silvestro significative della produzione letteraria d’Oltralpe, così, in altro ambito, “lo sguardo lungimirante di Maffei portò la cultura figurativa italiana [(] a misurarsi in un raggio più vasto, al di là dei confini nazionali” (Mazzocca, 2004, p. 33). Nel 1851 il M. decise di tornare nel natio Trentino; affittata un’abitazione a Riva del Garda, vi fece trasferire i mobili della casa milanese e la sua cospicua collezione d’arte. A Riva era entrato in cordiali rapporti con la famiglia de Lutti, che da allora in poi divenne il suo più stabile riferimento affettivo. Per molti anni, quasi fosse il nume tutelare del salotto de Lutti, si dedicò con passione a orientare e sostenere le doti musicali del giovane Vincenzo e quelle letterarie della sorella Francesca, figli dei suoi ospiti. In Trentino il M. poté applicarsi con più assiduità a una produzione poetica personale prima relegata, dato l’impegno prevalente di traduttore, in ambito secondario. Fermo sostenitore della lezione di equilibrio dei classici, egli fu particolarmente polemico, specie in età matura, nei confronti dei nuovi indirizzi di gusto, soprattutto del realismo più esasperato. In effetti i suoi versi, sempre “ben periodati e cadenzati e sonanti” (Croce, p. 154), sono caratterizzati da uno stile controllato e da una costante eleganza formale. Si tratta comunque di una produzione piuttosto eterogenea, sviluppatasi in epoche e con intendimenti diversi. Frequenti le composizioni nate con propositi celebrativi o d’occasione, oppure, ancor più spesso, indirizzate a servire da parafrasi poetica a opere d’arte, ovvero a farsi ispiratrici delle stesse (con un affiorare, qui più che altrove, di suggestioni prettamente romantiche). Queste le principali raccolte di versi: Dal Benaco (Milano 1854); Versi editi ed inediti (Firenze 1858); Arti, affetti, fantasie (ibid. 1864); Poesie scelte edite e inedite (ibid. 1869); Liriche (con una sezione di Poesie patrie, ibid. 1878); Liriche varie (Milano 1883); Affetti (ibid. 1885). Dopo il distacco da Milano il M. riprese anche l’attività di traduttore. Portata a termine la versione del Paradiso perduto di J. Milton (Torino 1857), accolta con molto favore dalla critica (fu lodata, tra gli altri, da C. Tenca, F. Romani e T. Massarani), decise di affrontare le romanze di Schiller e quelle di J.W. Goethe (Gemme straniere, Firenze 1860). Seguì la traduzione del poemetto goethiano Arminio e Dorotea (Milano 1864), le cui numerose riedizioni contribuirono alla fortuna del testo, fino ad allora scarsamente noto. Il M. si concentrò poi sull’impegnativa traduzione del Faust la cui prima edizione (1866) comprendeva, in appendice, anche alcune scene del Secondo Faust, sul quale egli lavorò intensamente nei due anni seguenti, nel tentativo di “vestire italianamente e in verso ciò che i tedeschi medesimi non credono si possa fare”, come scriveva al suo editore. La versione del Secondo Faust (1869) fu però investita dalla velenosa stroncatura di V.

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Imbriani il quale, dopo averne notomizzato verso per verso una sola scena, concludeva infine affermando che “la bella fama del Maffei l’è usurpata” (Imbriani, p. 340). L’Ifigenia in Tauride (1874) e le Elegie romane (1875) chiusero il ciclo delle versioni goethiane del Maffei. Tutte le versioni dei testi goethiani apparvero pubblicate, nella prima edizione e in gran parte delle successive ristampe, dall’editore F. Le Monnier di Firenze con cui il M. aveva instaurato fin dagli anni Quaranta una fruttuosa collaborazione. Divenuto il suo principale consulente letterario, egli ne indirizzò per molti anni la linea editoriale e si valse della sua estesa rete di relazioni per intrecciare rapporti e scambi con altre regioni, per favorire la diffusione su larga scala dei volumi stampati, e anche per procurare favorevoli contratti di pubblicazione a numerosi scrittori (tra gli altri a Cabianca, A. Gazzoletti, P. Maspero, G. Visconti Venosta, G. Zanella, C. Varese, come rivelano i carteggi) e far emergere giovani talenti. A Firenze, divenuta sua città d’elezione, il M. (nominato, nel 1880, cittadino onorario) soggiornò sempre più a lungo. Aperto, malgrado l’età avanzata, alle varie iniziative in campo culturale ed editoriale, contribuì tra l’altro attivamente al nuovo giornalismo letterario con collaborazioni alla Nuova Antologia e al Fanfulla della domenica. Mentre si moltiplicavano le cariche e gli attestati di benemerenza pubblici e privati, spesso veniva pure delegato da varie città a presenziare a cerimonie ufficiali. Dovunque elogiato quale incontrastato principe dei poeti-traduttori, egli non aveva smesso tuttavia di impegnarsi su altri testi stranieri. Tra gli autori tedeschi di rilievo affrontati in età ormai tarda sono da ricordare anche H. Heine e Grillparzer, traducendo del primo, ed è significativo, le uniche due opere teatrali, ovvero le tragedie Ratcliff (Milano 1875) e Almansor (Milano 1876), mentre del secondo, quasi ignoto nella penisola, dette alle stampe l’Avola (Milano 1877) e la Medea (Firenze 1879). Piuttosto episodico, e legato prevalentemente all’interesse per Schiller e alla collaborazione con Verdi, l’impegno del M. su Shakespeare, dal momento che alla versione di tutto il teatro shakespeariano si era accinto, proprio su suo incoraggiamento, il fraterno amico G. Carcano. Si noti peraltro che il Macbeth e probabilmente anche l’Otello, furono tradotti in italiano dal M. non dall’originale inglese ma dalla libera traduzione fattane da Schiller per il teatro di Weimar. Anche altre versioni risultano legate a circostanze contingenti: richiesta espressamente dal celebre compositore J. Meyerbeer fu per esempio quella del dramma Struensee, di cui era autore il fratello M. Beer, morto prematuramente, e che uscì nel 1863 presso Ricordi corredata della musica dello stesso Meyerbeer. Sempre Ricordi patrocinò la traduzione delle Odi di Anacreonte (s.d., ma 1873) che attrasse singolarmente il M. in quanto doveva essere corredata da

16 Filippo Silvestro preziose incisioni e brani musicali, attuando un’ideale osmosi fra “le tre arti sorelle”. La scelta di tradurre l’Excelsior di H.W. Longfellow (Firenze 1870) aveva risposto invece solo al desiderio di compiacere la moglie Clara, con la quale aveva riallacciato affettuosi rapporti dopo che era accorsa a Firenze nella primavera del 1869 per assisterlo durante una grave malattia. Furono legate generalmente a occasioni o a richieste specifiche anche le versioni da Poeti inglesi e francesi, poi riuniti in compendio (Firenze 1870, fra cui L. Davidson, V. Hugo, A. de Lamartine, F. Ponsard), nonché J.B. Legouvé (Un ricordo di Daniele Manin, Firenze 1877). L’eclettismo che sembra caratterizzare, vista nel suo complesso, la produzione del poeta-traduttore (ma si tenga conto che essa copre, temporalmente, un arco di quasi settant’anni) ha suscitato, dopo la sua morte, l’amplificarsi graduale di perplessità critiche che sono andate focalizzandosi, spesso in modo indiscriminato, sui limiti delle sue versioni: la scarsa fedeltà agli originali, l’eccesso di armonia, la tendenza a uniformare sotto uno stesso stile tutti gli autori tradotti. L’associarsi di giudizi condizionati da presupposti di tipo ideologico, basati sul presunto conservatorismo politico del M. (quando non, addirittura, sul suo “austriacantismo”) ha finito per incollare saldamente al personaggio il profilo di poeta disimpegnato, di letterato rigidamente classicista, di divulgatore poco fedele, confinandolo nell’indeterminato limbo dei mediocri rimatori dell’Ottocento e cancellando del tutto la specificità del suo ruolo. Una reale verifica critica sul M. è stata avviata solo in anni abbastanza recenti. Una serie di approfondimenti, confluiti nella importante mostra del 1987 (Riva del Garda e Milano), hanno permesso di identificare le diverse facce della sua presenza culturale e soprattutto di mettere a fuoco, secondo quanto suggerito per primo da L. Baldacci, la portata e i riflessi del suo operare nel quadro della cultura italiana dell’Ottocento. D’altra parte l’intensificarsi, in ambito specialistico, di studi orientati all’analisi del processo traduttivo in una dimensione storico-culturale, ha evidenziato la limitatezza di criteri valutativi che, operando un processo di totale decontestualizzazione, mirino soltanto a verificare la conformità della traduzione all’originale. Tale pratica infatti risulta del tutto sterile se applicata alle traduzioni del M. che avevano come finalità primaria la capacità di mediazione con le esigenze e i gusti di un’epoca ed erano destinate a interagire a livello pluridisciplinare. Il 16 marzo 1879, auspice B. Cairoli, il M. venne nominato da Umberto I senatore del Regno. Ma la soddisfazione per i “meriti invero eminenti” attribuiti alla sua operosità letteraria non poteva fargli dimenticare che la sua terra natale rimaneva sotto dominio austriaco. Già nel 1866 era stata appunto l’amarezza per la mancata annessione del Trentino al nuovo Regno d’Italia a indurlo a chiedere, facendo valere le antiche origini veronesi della

17 Domenico Pellizzi famiglia, la cittadinanza italiana (era infatti stato incluso per decreto regio nei registri della cittadinanza di Venezia). Proprio per questo aveva reagito con addolorata indignazione ad alcune strumentali polemiche volte, nel 1873, a mettere in dubbio i suoi sentimenti italiani. Gli ultimi anni del M. furono anche rattristati dalla morte di tanti vecchi amici e in particolare, nel 1878, dalla perdita della sua allieva prediletta, Francesca de Lutti. Ciò non gli impedì tuttavia di mantenere viva l’esigenza di una eredità culturale da trasmettere. Fitti carteggi, in buona parte inediti, testimoniano il sostegno affettuoso e nello stesso tempo concreto dato a tanti giovani: il commediografo A. Torelli, la poetessa Maria Alinda Bonacci Brunamonti, il giornalista G. Piccini, e ancora E. Checchi che per almeno un ventennio gli fu particolarmente vicino. Strettamente collegate al M. sono peraltro anche le primissime composizioni di P. Mascagni, che per il libretto del Ratcliff, portato però sulle scene solo nel 1894, si affiderà alla versione del M. assunta nella sua integrità. Sempre in movimento da una città all’altra, sebbene più che ottantenne, il M. continuò anche a dedicarsi a nuove traduzioni: del Demetrius, dramma incompiuto di Schiller, e delle novelle in versi di Byron Lara (1882), Mazeppa (1883), Giaurro (1884), pubblicate a Milano dal giovane e intraprendente editore E. Hoepli. Il M. morì a Milano il 27 nov. 1885. Fu assistito da A. Verga, suo medico e amico, in una stanza dell’albergo Bella Venezia dove da quasi un trentennio era solito alloggiare durante i soggiorni nella città. Dopo le esequie solenni la salma venne traslata a Riva del Garda per essere tumulata nella cappella della villa de Lutti.

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 67 (2007) di Marta Marri Tonelli

BIBLIOGRAFIA

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Il presente saggio è stato oggetto di due conferenze, una in Deputazione di Storia Patria, l’altra ai Musei Civici.

18 Filippo Silvestro

D. Pellizzi, La volta della sala grande del Teatro Municipale

19 Domenico Pellizzi

D. Pellizzi, Il Melodramma

D. Pellizzi, La Commedia 20 Filippo Silvestro

D. Pellizzi, La Tragedia

D. Pellizzi, La Tragedia, bozzetto, olio su tela, collezione privata 21 Domenico Pellizzi

D. Pellizzi, La Tragedia, disegno, cartone preparatorio

D. Pellizzi, La Tragedia, particolare con A. Maffei e V. Monti

D. Pellizzi, La Coreografia, particolare 22 Filippo Silvestro

Carlo Bellosio, Ritratto di Andrea Maffei, in divisa da consigliere provinciale, olio su tela cm. 99x79, ca.1830, Museo di Arte Moderna e Contemporanea di Trento e Rovereto

23 Domenico Pellizzi

Giuseppe Bertini, Ritratto del cavalier Andrea Maffei, olio su tela cm.90x69, 1850, Milano, Museo Poldi Pezzoli

24 Filippo Silvestro

Francesco Hayez, Ritratto di Clara Maffei, olio su tela cm.68x58, 1845, Riva del Garda, Museo Civico

25 Domenico Pellizzi

Michele Gordigiani, Ritratto di Andrea Maffei, olio su tela cm. 135x108 -1868, Riva del Garda, Museo Civico

26 Filippo Silvestro

Sonetto di A. Maffei dedicato a Carolina Curti e al Dott. Carlo Ferrari, dicembre 1858, in occasione del loro matrimonio, Reggio Emilia Biblioteca A. Panizzi

27 Domenico Pellizzi

Lettera di A. Maffei, a N. Campanini, Firenze 1877, Reggio Emilia Biblioteca A. Panizzi

Oltre a Domenico Pellizzi hanno ritratto Andrea Maffei:

Carlo Bellosio (Milano 1801-Bellagio 1849), studia all’Accademia di Brera sotto gli insegnamenti di Palagio Palagi. A Milano decora parecchie chiese per poi trasferirsi a Torino ed insieme al suo maestro Palagi affrescare palazzi sabaudi tra cui Racconigi.

Giuseppe Bertini (Milano 1825-1898), docente e direttore dell’Accademia di Belle Arti di Brera, dirige anche il Museo Poldi Pezzoli, sempre a Milano.

Michele Gordigiani (Firenze 1935-1909), è allievo di Luigi Mussini e frequenta, a Firenze, il Caffè Michelangelo, assieme ai Macchiaioli. E’ ritrattista ufficiale della Casa Savoia.

Francesco Hayez (Venezia 1791-Milano 1882) grande esponente della stagione romantica, autore di quadri significativi per l’Unità d’Italia, come il Bacio e la Malinconia. Ritrae la moglie Clara Maffei. 28