L’arte paleolitica

ATTENZIONE! Per un corretto studio e per la comprensione di questo testo è necessario prendere visione delle immagini contenute nelle seguenti opere presenti nelle biblioteca universitaria:

• Z.A. Abramova, L’art paléolithique de l’ occidentale et de Siberie 709.011 2 ABT ART • J.-M. Chauvet, Chauvet : the discovery…… A. 4. 0388 • J.-M. Chauvet, La grotte Chauvet à Vallon-Pont-d’Arc 709. 011 3 CHA GRO • L. Iakovleva, G. Pinçon, La frise sculptée du Roc-aux-Sorciers….. 709. 01130944 • Leroi Gourhan, Prehistorire de l’art occidental A. 4. 0334 • M. Lorblanchet, La grotte ornée de Pergouset:… 936.401 LOR GRO • M. Lorblanchet, La naissance de l’art:…… 709. 011 2 LOR NAI • M. Lorblanchet, Les grottes ornées de la préhistorire 936 LOR GRO

Introduzione La scoperta dell’arte paleolitica ha mostrato come l’esigenza di creare opere che noi oggi consideriamo “arte” è una caratteristica dell’uomo anatomicamente moderno e che ciò lo distingue sia dai suoi antenati che dagli altri primati. Certamente vi erano altre forme d’arte, ma solo quelle figurative e solo se impresse su una base in grado di conservarsi per millenni sono giunte sino a noi. Le altre sono perse per sempre e non sappiamo se ciò sia da considerarsi o no una sventura. Oggi noi giudichiamo l’arte dell’uomo primitivo in base a tutte le nostre sovrastrutture mentali, non sapremo mai come la vedevano e la giudicavano i suoi artefici e i contemporanei. Non sappiamo nemmeno se essi la considerassero “arte”. L’utilizzo dei nostri criteri estetici, frutto della nostra cultura è fuorviante e ignora il contesto culturale in cui tali opere vennero eseguite. Infatti i valori estetici che usiamo per giudicare le opere paleolitiche non erano certamente gli stessi in uso al tempo né erano queste le motivazioni che ispirarono la creazione di tali opere. Certamente i paleolitici dovevano avere delle profonde e gravi motivazioni per affrontare le enormi difficoltà che a volte dovevano superare per dipingere o incidere le parti più profonde e inaccessibili delle caverne, ma quali fossero le loro motivazioni e il valore che attribuivano a tali opere sono aspetti che ignoriamo. Se per molti di noi oggi l’arte è qualcosa privo di una funzione utilitaristica, non così doveva essere per gli antichi tuttavia anche essi la utilizzarono per veicolare dei simboli, sia che essa sia naturalistica o astratta. L’arte paleolitica non compare sino a circa 40- 35.000 anni fa, anche se alcuni sostengono che alcune manifestazioni artistiche si collocano in epoca precedente. Ad esempio alcuni autori sostengono che nel caso di alcune amigdale o bifacciali a forma di mandorla l’accuratezza del lavoro di scheggiatura e ritocco, la simmetria e la regolarità dell’oggetto esulano le necessità funzionali del manufatto. Dire che gli antichi abbiano cercato di accoppiare l’estetica alla funzionalità di un oggetto significa attribuire all’H. erectus i nostri criteri di valutazione estetica. Analogo è il problema inerente alcuni reperti considerati “opere d’arte” quali ad es. il piccolo ciottolo rinvenuto sulle alture del Golan a Bérékhat in un sito paleolitico, datato attorno a 250– 280.000 anni fa, e interpretato come una statuetta femminile da alcuni e giudicato interamente naturale da altri. Di certo possiamo dire i primi sicuri segni di comportamenti a carattere simbolico compaiono solo con l’uomo di Neandertal in Europa e con i primi uomini anatomicamente moderni nel Vicino Oriente e in Africa. Fu la comparsa di una concezione magico-religiosa il terreno fertile su cui nacquero i fenomeni artistici. Gli uomini vissuti verso la fine della glaciazione di Riss, nell’ultimo interglaciale e nella prima parte della glaciazione di W¨urm raccoglievano e utilizzavano coloranti minerali, come l’ocra rossa,

1 con cui forse si dipingevano il corpo. In alcuni casi blocchetti di ocra sono stati rinvenuti insieme a macinelli di granito. Tuttavia non va sottovalutato l’aspetto utilitaristico di tali comportamenti, l’ocra rossa infatti ha anche la funzione di proteggere la pelle dai morsi degli insetti, inoltre essendo anche un inibitore batterico ha anche la funzione per così dire di disinfettante. Già l’uomo di Neandertal raccoglieva “oggetti curioso” come conchiglie fossili; tracciavano fasci di segni lineari e ricurvi sulle ossa animali, talvolta seppelliva i morti ed aveva forse cominciato a elaborare rituali funerari. Ad esempio in una sepoltura a Qafzeh, in Palestina, un palco di corna di daino era stato posto vicino al cranio, mentre in un’altra il fondo della fossa era stato cosparso di ocra rossa, in una sepoltura neandertaliana di un bambino a Teshik Tash () la fossa era circondata da corna di stambecco in posizione verticale. La comparsa di queste sepolture e il fatto che recano tracce di rituali funerari è segno delle nascita di credenza relative al destino dell’uomo dopo la morte. Le più antiche manifestazioni artistiche sicuramente datate sono state rinvenute nella caverna Blombos nel Sud-Africa. Sono di due parallelepipedi di ocra rossa, che recano su una faccia un motivo geometrico inciso con la punta di uno strumento di selce e costituito da linee a zig-zag intersecatesi in modo da formare una sequenza di rombi. Lo strato archeologico dove sono state rinvenute è stato datato a circa 77.000 anni fa, si tratta quindi della più antica manifestazione di arte finora conosciuta. Sottolineiamo il fatto che si tratta di arte non figurativa, conseguentemente possiamo dire che le manifestazioni artistiche di carattere astratto hanno preceduto quelle figurative. Questa fase, definita “pre-figurativa”, culmina agli inizi del Paleolitico superiore con la comparsa dei primi ornamenti si tratta di denti animali (soprattutto volpe polare, orso e cervo) che venivano perforati per essere appesi e formare collane e pendagli. Ma è solo con la cultura aurignaciana, agli inizi del Paleolitico superiore, che compaiono veramente l’arte figurativa e quella astratta. Evidentemente fu il progressivo intensificarsi delle astrazioni simboliche e delle esigenze spirituali che portò alla manifestazione artistica, fu un processo durato qualche decina di migliaia di anni. L’arte si manifestò solo con l’uomo di tipo anatomicamente moderno, che aveva ormai dei complessi processi cerebrali che rendevano possibili la capacità di esprimersi, avere una coscienza, una memoria, una fantasia, dei sentimenti, una capacità deduttiva e tutte quante le altre manifestazioni psichiche che ci caratterizzano.

La scoperta dell’arte paleolitica Le prime scoperte di oggetti d’arte paleolitica avvennero attorno al secondo quarto del XIX secolo. Al tempo non si concepiva l’arte paleolitica, né esisteva il concetto di Paleolitico, e tali antichità venivano in genere ascritte all’unico popolo preistorico allora noto: i Celti. Fu solo nel 1860 che Eduard Lartet attribuì correttamente tali manifestazioni artistiche al Paleolitico superiore. Nel corso della seconda metà del XIX secolo i ritrovamenti di arte paleolitica andarono moltiplicandosi. Un nobile spagnolo, don Marcelino Sanz de Sautuola (1831– 1888), che coltivava svariati interessi di carattere storico e scientifico e già aveva visto alcune opere d’arte paleolitiche provenienti dalla Francia, intraprese delle ricerche in una grotta sita nelle sue terre ad Altamira presso Santander. Nel 1879 cominciò i suoi scavi ad Altamira. Un giorno portò agli scavi la figlia Maria di cinque anni. Allora il suolo della grotta era cosparso di grossi blocchi di crollo e nella sala del Grande Soffitto Dipinto l’altezza era di 2 m all’inizio e di un solo metro verso il fondo. Mentre de Sautuola era concentrato sullo scavo,la figlia, che aveva il compito di tenere la lampada e che essendo piccola poteva meglio osservare l’insieme della volta, giocava proiettando la luce della lampada sulle pareti e sulla volta della caverna. Ad un certo punto esclamò: “Papà, mira los toros pintados!”. Aveva scoperto il grande soffitto con i famosi bisonti dipinti, una delle opere più straordinarie dell’arte paleolitica. De Sautuola concluse che le pitture dovevano essere di epoca paleolitica. Pur avendo operato accurate ricerche assieme al prof. Vilanova docente di geologia presso l’Università di Madrid, che aveva informato dell’eccezionale scoperta, tuttavia quando la sua scoperta venne presentata al Congresso internazionale di Antropologia e Archeologia Preistorica, le pitture vennero giudicate dei falsi. Questo stupefacente giudizio va considerato alla luce del fatto che sino ad allora la sola arte paleolitica nota era costituita solo da piccole incisioni e sculture, la 2 cosiddetta “arte mobiliare”, e sopratutto dal fatto che al tempo non si pensava che l’uomo primitivo fosse stato in grado di produrre opere così sofisticate da un punto di vista tecnico e di livello estetico così elevato. A ciò si aggiungeva l’idea che si trattasse di un inganno ordito dai clericali spagnoli in funzione anti-darwiniana al fine di gettare discredito sull’archeologia. Il povero de Santuola morì amareggiato, prima che venisse riconosciuto l’eccezionale valore della sua grande scoperta. Pochi anni dopo, alla fine del secolo, ebbe inizio una serie di scoperte di pitture e incisioni nelle caverne della Dordogna, e finalmente nel 1902 venne riconosciuta l’autenticità delle pitture di Altamira.

Henri Breuil L’abate Henri Breuil (1877-1961) fu il maggiore studioso del Paleolitico della prima metà del XX secolo. Interessatosi alla preistoria e alle scienze naturali sin da giovane,già nel 1905 divenne libero docente di Preistoria e Antropologia presso l’università cattolica di Friburgo in Svizzera. Pubblicò importanti studi sull’arte parietale di Altamira e di diverse grotte della Dordogna e sulle industrie litiche del Paleolitico superiore. Nominato nel 1929 professore di Preistoria al Collège de , Breuil vi insegnò fino al 1947, nel frattempo era divenuto anche membro dell’Institut de France e dell’Academie des Belles Lettres. Negli anni ’20 e ’30 viaggiò instancabilmente visitando tutti i principali siti paleolitici che venivano scoperti in Esuropa, Asia ed Africa. Con lo scoppio della guerra smise di insegnare, pur continuando i sui studi in particolare sulla grotta di , che era stata appena scoperta. In seguito fu per lui preferibile lasciare la Francia, dove tornò a guerra finita. In circa cinquant’anni di attività Breuil studiò tutte le principali caverne con arte paleolitica della Francia e della Spagna, acquisendo una conoscenza così diretta e profonda dell’arte paleolitica come forse nessun altro studioso dopo di lui. L’abate Breuil ebbe rapporti di profonda amicizia con una serie di grandi studiosi di fede cattolica (p. es. il padre Teilhard du Chardin), che cercavano di conciliare fede e scienza. Secondo Breuil per quanto riguarda le scienze naturali e l’origine umana la Bibbia rifletteva semplicemente le conoscenze dell’epoca in cui fu scritta. Nel 1935, a seguito del tentativo da parte di alcuni prelati di far condannare dal papa (Pio XI) i religiosi che si occupavano di preistoria, fu tra i firmatari di uno scritto inviato al papa. In seguito quando venne in Italia in occasione della scoperta del secondo cranio neandertaliano di Saccopostare venne ricevuto in udienza privata da Pio XI. Quando il papa gli chiese i motivi del suo viaggio in Italia, Breuil rispose mostrandogli la fotografia del cranio di Saccopastore. Al che Pio XI, dopo averla guardata con attenzione, disse: “Questo è un fatto, non un’ipotesi”, in seguito parlarono delle Scienze Naturali in rapporto alla Bibbia. Nei suoi numerosi anni d’instancabile e pionieristica attività Henri Breuil grazie ad un suo naturale talento per il disegno e la pittura poté rilevare di persona una enorme quantità di figure incise e dipinte nelle caverne franco-cantabriche oltre che in altre zone d’Europa e in Africa. Ricorderemo che negli anni in cui Breuil praticava le sue ricerche non esistevano i mezzi tecnici di oggi. Non esistevano fotografie a colori(che si diffusero solo negli anni ’20), spesso l’illuminazione era fornita solo da candele, non esistevano fogli di plastica trasparente per ricalcare le opere d’arte e tutto doveva essere eseguito manualmente, spesso in situazioni estremamente confortevoli, ricopiando le incisioni e le pitture a mano libera. Certamente le riproduzioni eseguite in questo modo sono interpretazioni soggettive ed avevano un certo grado d’imprecisione, mancando l’oggettività della riproduzione fotografica, ma delinearono la metodologia nello studio dell’arte rupestre. Infatti ancor oggi, pur essendo mutati e molto affinati i mezzi tecnici, si procede sempre a rilievi manuali. Breuil intuì anche che l’arte paleolitica possedeva delle fasi e ne distinse due: il ciclo aurignaco- perigordiano e quello solutreo-maddaleniano.

3 André Leroi-Gourhan André Leroi-Gourhan (1911-1986) fu l’autore di un’ importante opera dal titolo: “Préhistoire de l’art occidental” pubblicata pochi anni dopo la morte di Breuil. Frutto della ricerca ventennale di una equipe a cui Leroi-Gourhan era a capo, in quest’opera sono raccolte le documentazioni fotografiche e grafiche complete delle opere presenti in 66 grotte paleolitiche, nonché la planimetria di queste ultime. Il metodo con cui questi siti vennero studiati è derivato dallo strutturalismo. Già l’etnologo Claude Levi-Strauss, ispirandosi al linguista F. de Saussure che aveva impiegato tale sistema in linguistica, aveva utilizzato lo strutturalismo per l’analisi dei fenomeni etnologici (miti,sistemi di parentela, totemismo ecc.). La cronologia formulata da Leroi-Gourhan per l’arte paleolitica si basa sul concetto di stile. Egli individuò la presenza di quattro stili e cercò di delineare l’evoluzione stilistica e cronologica dell’arte paleolitica utilizzando a questo scopo i pochissimi esempi di arte parietale datati con certezza e soprattutto l’arte mobiliare, che per la sua stessa natura, è più facilmente databile.

L’era post-stilistica “Era post stilistica”: definizione usata da Lorblanchet per sottolineare il fatto che i nuovi metodi di datazione hanno messo per così dire in crisi i precedenti metodi di datazione basati su elementi stilistici (a tal punto che alcuni studiosi le oggi le rifiutano totalmente). L’applicazione di nuovi metodi scientifici all’arte paleolitica, nel corso degli ultimi vent’anni e alcune nuove fondamentali scoperte hanno profondamente mutato le nostre conoscenze sull’arte paleolitica, on modo particolare ricorderemo la scoperta in Francia delle grotte Cosquer (1991), Chauvet (1994) e Cussac (2000) oltre al grande complesso costituito da migliaia di figure eseguite all’aperto nelle valle del Côa, un affluente del Duero, in Portogallo. Inoltre quando il colore nero delle figure è proveniente da carbone di legna o animale è possibile applicare la datazione radiocarbonica a prelievi di mezzo milligrammo grazie all’utilizzo della spettrometria di massa mediante acceleratore di particelle. Fino a pochi anni or sono considerata esclusivo appannaggio dell’Europa occidentale, l’arte paleolitica è stata invece scoperta anche in altri continenti. In Africa oltre al già citato ritrovamento effettuato nella caverna Blombos in Sud-Africa e datato verso 77.000 BP, vi è la grotta Apollo 11 in , dove sono state lastrine di pietra con figure animali dipinte e datate tra 28 e 26.000 anni fa. Per il resto l’Africa si è rivelata un continente ricco di arte rupestre (famose e un esempio tra i tanti sono le pitture e incisioni rupestri sahariane), ma quest’arte rupestre è di età olocenica o al massimo, in taluni casi, databile al limite tra Pleistocene e Olocene. Anche l’ è ricca di arte rupestre, alcune delle sue manifestazioni non solo sono contemporanee all’arte paleolitica europea, ma in alcuni casi sarebbero anche anteriori e quindi tra le più antiche del mondo. Nella grotta di Koonalda,con focolari datati tra 23 e 15.000 anni,fa vi sono tracciati digitali a cerchi concentrici, incrociati, paralleli, ondulati. Nel riparo “Early Man”, nel Queensland, incisioni picchiettate state datate a prima di 13.500 anni fa. Le incisioni di Wharton Hill, nell’Australia meridionale, hanno due date di 43.140 e 42.700 anni fa che le renderebbero le più antiche del mondo, ma tali datazioni sono contestate. A Sandy Creek 2 una pittura è stata datata a 24.600 anni fa, mentre al riparo di Carpenter’s Gap (Kimberley) un frammento di roccia con una pittura di colore rosso è stato scoperto un livello archeologico datato a 39.700 ± 1000 e 39.220 ± 870 anni fa. A Kalimantan, la parte indonesiana dell’isola di Borneo, sono state scoperte grotte con arte parietale raffigurante impronte di mani. Altre scoperte sono state effettuate in Afganistan, in Giappone e in Cina Tuttavia rimane il fatto curioso che l’Europa sia l’unica parte del mondo dove l’arte paleolitica sia giunta a noi con migliaia di reperti. Nel nostro stesso continente l’arte paleolitica non ha certo una distribuzione uniforme infatti è concentrata nell’area franco-cantabrica, con pochi casi nel resto della penisola iberica e nel nostro paese. In parte ciò è il risultato di fattori naturali che hanno determinato la sopravvivenza dell’arte parietale paleolitica, ad esempio è dimostrato che il freddo eccessivo in alcune zone dell’Europa centrale e della Siberia determinò l’esfoliazione delle pareti delle grotte con conseguente distruzione delle pitture. 4 La conservazione dell’arte parietale paleolitica è dovuta quindi a una serie di fattori locali di carattere climatico e geologico. Ad esempio il fatto che l’ingresso di alcune grotte venisse ostruito da accumuli di detriti fece sì che al loro interno si mantenesse un clima stabile, ideale per la conservazione delle pitture. L’arte del Paleolitico superiore può essere divisa in due categorie: 1. l’arte rupestre o parietale, ovvero l’ arte delle caverne: comprende incisioni, pitture e rilievi eseguiti sulle pareti o sui soffitti delle caverne, su pareti di ripari sotto roccia o su superfici rocciose all’aperto. E’ diffusa nella regione franco-cantabrica, ovvero nella Francia sud-occidentale (Aquitania e Pirenei) e Spagna settentrionale (Asturie, Cantabria e Paese basco) dove sono noti oltre 160 siti. La maggior parte situati nelle valli della Dordogna e dell’Ariège, sul versante francese dei Pirenei e lungo la costa settentrionale della Spagna. Solo 21 grotte sono note nella Francia meridionale, altre 14 nel resto della Francia e 23 nel resto della penisola iberica. Al di fuori di queste aree l’arte parietale è rarissima, ve ne sono una decina di esempi in Italia (ad es. la grotta del Caviglione ai Balzi Rossi, la grotta Fiumane in provincia di Verona, quella Paglicci nel Gargano, la grotta Romanelli nella penisola salentina, il riparo Romito di Papasidero in Calabria, Cala Genovese nell’isola di Levanzo, l’Addaura e la grotta di Niscemi presso Palermo), 1 in , 3 negli Urali meridionali.

2. l’arte mobiliare (dal francese “mobilier”) ovvero l’arte dei piccoli oggetti facilmente trasportabili, può essere suddivisa in: (a) ornamenti (pendagli, rondelle e figure ritagliate da osso o corno di renna); (b) lastrine di pietra o di osso con figure umane e/o di animali graffite; (c) armi e utensili (punte di arpioni, propulsori, zagaglie, bastoni forati, spatole) che possono essere decorati con incisioni, a rilievo o con figure scolpite a tutto tondo; (d) statuette umane e animali in pietra, osso, corno, avorio, argilla.

Differentemente dall’arte parietale, quella mobiliare è presente in tutta Europa e nella Siberia meridionale, in genere è stata rinvenuta nelle aree abitative sia in siti all’aperto, sia in caverne o in ripari sotto roccia.

L’arte parietale: tecniche esecutive Solo in alcuni casi le incisioni o le pitture vennero eseguite nella parte della grotta illuminata dalla luce del giorno, più spesso infatti l’arte parietale si rinviene nelle parti completamente oscure, spesso in quelle più profonde e di difficile accesso della grotta, molto lontano dall’ingresso dove era necessario avere con sé un’ illuminazione artificiale. Infatti in alcune grotte sono stati rinvenuti sul suolo i carboni di pino caduti dalle torce usate per far luce. Un altro mezzo di illuminazione erano le lucerne di pietra, alimentate da grasso animale e con uno stoppino. Questo tipo di luce è molto fioca, di molto inferiore a quella di una candela, ma doveva essere sufficiente per muoversi all’interno della grotta, come è stato anche appurato per via sperimentale. La morfologia generale della caverna determinava le scelte degli artisti paleolitici ed anche quella delle singole pareti, infatti per le figure si sono utilizzati conformazioni naturali della roccia che ricordavano forme animali. Le incisioni potevano essere eseguite con un bulino di selce o con semplici schegge e lame di selce. A volte poi le immagini erano delineate con una linea di contorno impressa nel sottile strato di argilla talvolta presente sulle pareti della caverna. Le incisioni potevano essere eseguite anche su lastrine di pietra, di osso o di avorio. Venivano tracciate anche su oggetti di adorno o d’uso. Le pitture si conoscono solo nell’arte parietale, forse anche per il fatto che soltanto nel profondo delle caverne, le opere pittoriche hanno avuto la possibilità di conservarsi fino ai nostri giorni. Le immagini dipinte venivano realizzate o con il solo contorno, oppure con l’uso di uno o due colori per riempire lo spazio interno. A volte il contorno era eseguito prima a incisione e poi veniva

5 colorata la figura, a volte invece l’incisione era successiva e serviva ad indicare alcuni particolari anatomici o a ravvivare la figura nel suo complesso. I colori utilizzati erano pigmenti naturali: minerali come le ocre per i colori dal giallo chiaro al rosso vivo, il bruno scuro era ottenuto con una mescolanza di ocra rossa e di biossido di manganese, il nero con biossido di manganese o carbone di legna. Il blu e il verde non sono mai attestati nell’arte paleolitica. I colori potevano avere anche un legante più o meno liquido, acqua oppure secondo alcuni tuorlo d’uovo, in alcuni casi miele o sangue, grasso animale o vegetale. Il colore delle pitture poteva essere dato con un pennello, oppure con le dita, come ad es. le punteggiature rosse o nere all’interno delle figure. Le figure a campitura piena sono state eseguite con la tecnica della “soffiatura”, l’ocra rossa o gialla veniva masticata e poi soffiata o sputata sulla parete, in modo da ottenere il riempimento della figura con una tinta piatta uniforme. Per ottenere figure con contorni precisi si faceva forse uso di una mascherina. La “soffiatura” del colore poteva essere realizzata anche con l’uso di un tubicino di osso riempito di colore ridotto in polvere, un po’ come con l’aerografo. Per applicare il colore poteva essere utilizzato anche un tampone di pelliccia, soprattutto quando si volevano ottenere sfumature. Il colore poteva anche essere sfregato sulla parete con la punta delle dita fino ad ottenere zone più o meno intense con un effetto di sfumato. La maggior parte delle pitture dell’arte parietale sono monocrome, a sola linea di contorno nera o rossa o a tinta piatta uniforme rossa o nera. Le figure bicrome, a colore rosso e nero, sono meno frequenti. Le vere pitture policrome, che impiegano tre colori, sono piuttosto rare. Nell’arte paleolitica è presente anche la plastica documentata da basso e alto rilievi su lastre o blocchi di calcare e lungo le pareti rocciose di ripari, realizzati utilizzando le linee e i volumi della roccia stessa. Vi sono anche rilievi modellati nell’argilla umida del fondo delle grotte, come i celebri bisonti del Tuc d’Audoubert. E’ interessante ricordare come queste ultime figure vennero eseguite, infatti, ad eccezione delle corna, esse furono ottenute scavando l’argilla attorno, esattamente come se si fosse trattato di una roccia dura e non riportando l’argilla su una superficie come faremmo noi oggi. Questo fatto ne favorì la conservazione.

Metodi di datazione dell’arte parietale paleolitica L’arte paleolitica mobiliare si data in base al contesto culturale e stratigrafico al quale le opere sono associate. Quando questi oggetti decorati provengono da scavi scientifici la datazione delle opere d’arte è sicura. Anche se specialmente nel passato moltissime opere di arte mobiliare sono state ritrovate nel corso di scavi eseguiti senza metodo o sono frutto di scoperte occasionali, la datazione degli oggetti provenienti da contesti scientificamente datati permette di datare per confronto anche le altre opere. Maggiori problemi di datazione presenta invece l’arte parietale. Nella maggior parte dei casi per datare le pitture paleolitiche sono stati utilizzati criteri stilistici, ne è stata determinata la successione relativa in base alle sovrapposizioni, sono stati utilizzati confronti con opere dell’arte mobiliare, ritrovate in contesti ben datati ecc. Tuttavia la datazione stilistica presenta margini di incertezza e pericoli. Ad es., da una regione all’altra potevano essere in uso convenzioni stilistiche differenti nella stessa epoca e differenti contenuti. Le datazioni eseguite con il metodo del radiocarbonio hanno semplicemente evidenziato l’imprecisione di alcune datazioni e sopratutto che la cronologia assoluta attribuita agli stili era in diversi casi sbagliata, ma non quella relativa. La datazione diretta delle pitture può essere effettuata solo qualora il colore utilizzato sia di origine vegetale o animale, o quando sostanze organiche (sangue, resti vegetali, grassi ecc.) siano state utilizzate come legante per i colori.

6 L’arte paleolitica durante l’Aurignaciano e il Gravettiano Antico La grotta Chauvet dimostra che tra 32.000 e 29.000 anni fa l’arte parietale si era pienamente affermata. Inoltre le datazioni delle grotte Cosquer e di Cougnac dimostrano che le grotte potevano essere decorate lungo un esteso arco di tempo. Le prime opere d’arte compaiono in Europa durante l’età aurignaciana. La cultura denominata aurignaciana (da Aurignac, Périgord) si è sviluppata all’incirca tra 33.000 e 29.000 anni fa. In questo periodo non vi sono ancora caratteri stilistici costanti e le opere sono attribuite a questo periodo su basi soprattutto stratigrafiche o grazie a datazioni dirette come nel caso della grotta Chauvet.

La grotta Chauvet Si tratta il documento più straordinario dell’arte aurignaciana. Scoperta nel 1994, si apre, nei pressi di Pont d’Arc, lungo le scarpate calcaree della gola dell’Ardèche, un affluente del Rodano. La grotta è lunga di 234 e ha una larghezza massima di 58 m. Presenta vaste sale, cunicoli e gallerie ricoperti da incrostazioni e ricchi di stalattiti e stalagmiti di grande effetto scenografico. La caverna è stata frequentata dagli animali e dagli uomini. Sono state ritrovate impronte sopratutto di orso, ma anche di stambecco e di un grande canide. La presenza umana è testimoniata, oltre che dall’arte parietale, da una ventina di impronte di piede di un individuo non adulto, da alcuni focolari e sgocciolature di torce, da pochi strumenti di selce e da una punta di avorio di mammuth. Nella così detta “Sala del Cranio” venne rinvenuto un cranio d’orso posto su un blocco di pietra crollato dal soffitto. L’arte parietale comprende segni e figure di animali dipinte o incise. Le figure animali sono oltre di 420. Metà delle quali sono dipinte e le altre incise o tracciate con le dita. La maggior parte delle pitture sono a contorno nero talvolta con parziali campiture nere. I colori sono stati dati con le dita, oppure a pennello, o utilizzando il carbone di legna come un gessetto, in altri casi anche mediante la tecnica della soffiatura del colore triturato. Le figure sono per la maggior parte soltanto parziali, limitate alla testa o a tutta la parte anteriore del corpo, ma ve ne sono anche numerose complete. I dettagli anatomici abbondano per quanto riguarda la testa, mentre gli arti sono delineati sommariamente e a volte persino incompleti. Le corna dei bisonti sono raffigurate frontalmente, mentre l’animale è visto di profilo, oppure di 3/4, con una prospettiva distorta o semidistorta. Vi sono anche alcune centinaia di impronte del palmo della mano raggruppate in quattro pannelli. Si tratta sempre di mani destre. Vi sono anche, nella “Sala dei pannelli rossi”, sei mani positive e cinque mani negative rosse. Lungo la parete destra della “Sala del Cranio” abbiamo uno dei più spettacolari raggruppamenti di pitture di tutta la grotta si tratta di 50 animali, di colore nero, disposti su una lunghezza di 15 m. Al centro di questo insieme vi è una nicchia larga 1,3 e profonda 2 m, denominata l’alcova dei leoni, con alla sinistra il pannello dei cavalli e a destra quello delle renne. Nella grotta Chauvet sono state effettuate una cinquantina di datazioni radiocarboniche che indicano come la grotta venisse frequentata per un lungo arco di tempo (circa 10.000 anni), infatti le date più antiche sono tra 32.900 ± 490 e 29.000 ± 400 anni fa e la più recente è 20.790 ± 340. Ma poiché questa data si discosta molto da tutte le altre non è ritenuta attendibile. Le specie di animali raffigurate nella grotta Chauvet sono completamente diverse da quelle raffigurate nell’arte parietale franco-cantabrica. Infatti a Chauvet gli animali più numerosi sono i felini, il mammut e il rinoceronte. All’opposto nell’arte franco-cantabrica vediamo che il rinoceronte, i felini, il mammut sono assai rari. Anche altri animali come l’orso e il megacero sono qui molto più frequenti. Al contrario, il cavallo, il bisonte, l’uro, lo stambecco che sono gli animali più comuni nell’arte paleolitica franco-cantabrica, pur non mancando sono qui assai meno frequenti. Nel caso del cervo poi possiamo osservare che mentre è praticamente assente a Chauvet, nell’arte franco-cantabrica è uno degli animali più frequenti, venendo subito dopo il cavallo e i bovidi. Pur essendovi queste profonde differenze un solo animale della grotta Chauvet ha una frequenza analoga a quella riscontrata nell’arte franco-cantabrica: la renna. 7

L’arte dell’età aurignaciana nella Francia sud-occidentale L’arte dell’età aurignaciana nella Francia sud-occidentale, comprende figure spesso maldestre o incomplete eseguite con incisioni piuttosto vigorose e profonde su blocchi o su lastrine di pietra: si tratta di profili di animali, incompleti e sintetici (per lo più la testa o la parte anteriore del corpo), di rappresentazioni degli organi sessuali femminili o più raramente maschili, di punti, coppelle, linee e trattini. Lo stile di queste antiche figure è schematico, ma basta per identificare il soggetto rappresentato. Un buon numero di opere attribuite all’Aurignaciano proviene dal grande riparo di . Si tratta di blocchi di pietra che recano figure di vulve ovale e coppelle, un blocco mostra la figura di uno stambecco, un altro la figura di uno stambecco e una figura ovale, e il sesto una testa di cavallo e una o forse due vulve. Si tratta dell’esempio più chiaro e più antico dell’associazione tra animali e simboli. La associazione o la sovrapposizione tra figure animali e simboliche permise a Leroi- Gourhan di affermare che nell’arte franco-cantabrica: “Il realismo delle figure animali non deve mascherare il carattere simbolico già molto elaborato delle rappresentazioni; allorquando i documenti mostrano più rappresentazioni insieme, esse appaiono sottomesse alle stesse regole di associazione dell’arte successiva: simboli sessuali accoppiati e associati a figure animali”.

L’arte del Gravettiano antico Durante il Gravettiano sono note molte opere di arte mobiliare, dalle placchette incise alle statuette femminili note come “Veneri” paleolitiche (vd. oltre). Un questo stile gli animali presentano il dorso a forma di S coricata,e pochi dettagli spesso schematici, ma sufficienti per l’identificazione della specie. In genere la testa dell’animale è volta verso l’alto e delineata con pochi tratti. L’occhio è il solo dettaglio raffigurato. Le corna sono viste frontalmente o in prospettiva semidistorta. Le zampe appaiono senza zoccoli e in genere si vede una sola zampa di profilo anziché la coppia. Si tratta dunque di uno stile figurativo a carattere sintetico, in cui l’insieme delle linee e dei volumi esprime l’essenziale del soggetto.

La grotta Cosquer La grotta Cosquer si trova una decina di km a sud-est di Marsiglia. La sua entrata originaria è situata a 37 m di profondità sotto il livello del mare. La sua scoperta si deve a un subacqueo professionista, Henri Cosquer, che dopo un lungo percorso in una grotta sottomarina sbucò in una vasta sala, lunga 55 m e larga 70 m; proseguendo verso nord per una ventina di metri lungo il suolo che sale, Cosquer poté osservare la parte non sommersa della sala. Nel 1991, nel corso delle sue esplorazioni di questa grotta Cosquer scoprì sulla parete emersa della grande sala una mano negativa di colore rosso e in seguito altre figure dipinte. Iniziò allora l’esplorazione scientifica del sito che durò sino alla fine del 1994. Ovviamente l’arte parietale si è conservata soltanto sulle pareti non raggiunte dall’acqua marina, altrove è andata distrutta. L’arte della grotta Cosquer comprende tracciati digitali, impronte di mano, figure animali incise e dipinte, una figura umana incisa, segni incisi e dipinti. I tracciati digitali sono numerosi, le impronte di mani sono in tutto 56. Le impronte di mani di colore rosso si trovano soltanto sulla parete est della sala, insieme ad altre nere, ma quelle nere sono concentrate in fondo alla sala, prima del grande pozzo profondo 24 m. Su 55 mani negative, 37 sono nere e 18 rosse. Il 90% delle mani sono mani sinistre. Il 35% delle mani ha le dita complete e il 65% alcune delle dita ripiegate. Nella maggior parte dei casi sono piegati il mignolo e l’anulare. Le figure animali sono per la maggior parte incise. Le figure dipinte sono tutte a linea di contorno nera o campite di nero a tinta piatta. L’animale più frequente nella grotta Chauvet è il cavallo, seguito da stambecco e camoscio e dal gruppo degli animali marini. Anche in questo caso la composizione del bestiario è molto differente da quella dell’area franco- cantabrica, in particolare per l’alta percentuale di animali marini che si riscontra soltanto a Cosquer (il fatto non deve stupirci, dal momento che si tratta di una grotta che durante la glaciazione si

8 trovava poco lontano dal mare). E’ anche differente dalla grotta Chauvet, dove felini, rinoceronte e mammut rappresentano oltre metà delle figure. Dal punto di vista stilistico gli animali sono di tipo naturalistico, spesso sono raffigurati entrambi gli arti anteriori e posteriori con un segno a forma di Y e gli zoccoli sono sempre assenti. I dettagli anatomici riguardano sopratutto la testa, ad es. nei cavalli la criniera, l’occhio ecc. In base alle datazioni al radiocarbonio dobbiamo concludere che la grotta Cosquer ha avuto una lunga storia, che abbraccia tutto l’arco del Gravettiano e del Solutreano, ma sembra che la grotta abbia continuato a essere frequentata ed istoriata nel corso del Maddaleniano antico e medio, cioè all’epoca di Lascaux e di Altamira. Lo stile degli animali della grotta Cosquer non ha precisi riscontri nell’arte parietale franco- cantabrica ed appare singolarmente omogeneo per un lungo periodo di tempo. Vi sono analogie con la Grotta Chauvet (ad es. le figure di bisonte sono simili), tuttavia la composizione del bestiario è assai differente. Non mancano, invece, punti di contatto con lo stile definito della “Provincia mediterranea”, ovvero delle figure di tipo fondamentalmente naturalistico, ma con una ricerca delle linee essenziali che ne colgono gli aspetti caratterizzanti, cioè gli atteggiamenti e le peculiarità tipiche di ogni specie animale.

Le mani negative e positive nell’arte paleolitica Il tema delle mani, così importante nella grotta Cosquer, lo è ancora di più a Gargas nei Pirenei. Presso l’ingresso delle grotta vi erano livelli di abitazione con una sequenza stratigrafica comprendente musteriano tipico, chatelperroniano, aurignaciano e gravettiano . Dai livelli gravettiani provengono lastrine di pietra con incise figure di animali dello stesso stile di quelli raffigurati sulle pareti della grotta, ciò ha fatto attribuire l’arte parietale di Gargas al Gravettiano. Le mani negative rosse e nere si concentrano nelle prime due sale. Le figure animali nelle parti più profonde, esse sono 148 e le più frequenti sono il cavallo e dal bisonte, seguono lo stambecco, il mammut e il cervo Gargas è la grotta con il maggior numero di raffigurazioni di mani negative, ben 254 più del 60% sono di colore nero e 38% di colore rosso. Solo per metà di queste si può stabilire se si tratti di destre o sinistre. Circa il 90% sono mani sinistre e circa il 90% di queste hanno le dita “mutilate”, cioè prive di una o due falangi. Una statistica effettuata sulla base di 159 mani, di cui solo 92 leggibili, aveva stabilito che il 47% presentava tutte le dita mutilate tranne il pollice, il 14% soltanto il medio mutilato, il 7,5% il mignolo e l’anulare, il 5,4% il medio, l’anulare e il mignolo, il 4,3% l’indice, il medio e l’anulare, il 3,2% soltanto l’indice, il 2,1% il medio e l’anulare, mentre il 13% aveva tutte le dita complete. Le mani negative o positive hanno un’enorme diffusione geografica e cronologica. Si trovano non solo nell’arte paleolitica e post-paleolitica europea, ma anche nell’arte rupestre africana, asiatica, australiana e nelle Americhe. Nell’area franco-cantabrica sono almeno 20 le grotte con impronte di mani, ma sono pochissime quelle in cui le mani presentano dita incomplete. In tutta Europa incontriamo altre otto grotte con mani negative o positive. Le ipotesi sul significato delle figure di mani con dita incomplete vanno dalla mutilazione rituale a cause di carattere patologico. Secondo un’altra ipotesi, ripresa e sviluppata da Leroi-Gourhan, non si tratterebbe di dita amputate, ma di dita ripiegate e che le mani con una o più dita costituirebbero una sorta di linguaggio gestuale, simile a quello che alcune popolazioni di cacciatori utilizzavano per indicare le diverse specie di animali durante le battute di caccia. In questo caso la mano con le dita piegate o e distese sostituisce una determinata figura animale.

Lo stile arcaico Lo stile arcaico mantiene ancora molte caratteristiche dell’arte precedente, come la linea del dorso sinuosa, però ora si aggiunge un maggior numero di dettagli, che tendono a rendere la figura più completa e precisa,pur essendo ancora distante dal naturalismo. Inoltre l’andamento del dorso e la posizione delle zampe tendono a dare alle figure il senso del movimento. Tuttavia le proporzioni

9 delle diverse parti del corpo degli animali non sono rispettate. Quindi se da un lato c’è una maggiore fedeltà al reale, dall’altro domina una particolare stilizzazione della figura animale. La prospettiva usata è stata definita da Breuil come “semi-ritorta”, ad esempio i bovidi sono raffigurati con il corno in primo piano dotato di una sola curva e quello in secondo piano ad andamento sinuoso. A questo periodo appartengono le grandi pitture ad es. di Cougnac, Pech-Merle, Cabrerets, e soprattutto Lascaux. Le pitture sono eseguite: con linea di contorno rossa con campitura parziale del corpo a tinta rossa piatta, riservata alle parti più importanti della figura animale come il collo e l’avantreno; linea di contorno nera senza alcuna campitura interna; con campitura nera. Compare la policromia ad es. figure eseguite a linea di contorno nera e campitura interna in parte nera e in parte rossa o bruna. I segni che accompagnano le figure animali sono figure geometriche ormai completamente astratte, che sostituiscono i simboli sessuali di aspetto vagamente realistico dei periodi precedenti.

La grotta di Lascaux Lascaux è in Dordogna, presso Montignac, sulla sinistra della Vézère. La sua scoperta fu effettuata casualmente e in modo romanzesco nel 1940 da parte di un gruppo di quattro ragazzi e del loro cane. Informarono della loro scoperta un loro vecchio insegnante, il quale sapendo che l’abate Breuil, temendo di essere arrestato dai tedeschi, si era trasferito in Dordogna e non lontano da Montignac, lo contattò. Mentre Breuil studiava la grotta la notizia si diffuse rapidamente e l’afflusso di visitatori in breve tempo divenne tale che per frenarlo si dovette istallare una porta. Nel 1945 Breuil tornò in Dordogna. A seguito di anni di scavi archeologici nel 1948 vi fu l’apertura ufficiale della grotta al pubblico. Le infrastrutture costruite a tale scopo e gli ulteriori più imponenti ed invasivi lavori effettuati nel 1957 e 1959 (gradinate, camminamenti, porte, illuminazione elettrica ecc.) portarono alla distruzione di gran parte del suolo della caverna e sopratutto del suo ambiente naturale. Nel frattempo vennero eseguiti rilievi e fotografie a colori e in bianco e nero di tutte le figure presenti. Nel 1955 tuttavia si era cominciato a notare che l’afflusso dei visitatori a causa dell’emissione di anidride carbonica provocava una condensa di vapor acqueo sulle pitture che ne scioglieva i colori. Si provvide quindi a installare anche un impianto di climatizzazione nella grotta. Tuttavia nel 1960 si cominciarono ad osservare alcune macchie verdi sulle pitture. Una commissione scientifica stabilì che erano dovute alla presenza di numerose specie di alghe, funghi, muffe e muschi. Nel 1963 fu ordinata la chiusura della grotta. Oggi i micro-organismi sono stati eliminati e la grotta è chiusa al pubblico. E’ tenuta sotto costante monitoraggio e possono accedervi soltanto dietro autorizzazione studiosi e personalità della cultura. L’ingresso attuale è il medesimo dell’età preistorica, che era rimasto ostruito dal crollo del soffitto e dall’accumularsi dei detriti. Anche se a Lascausx sono state distinte diverse fasi di figurazioni vi è una grande unità stilistica e per cui tra le diverse fasi non può essere intercorso molto tempo. I materiali archeologici recuperati a Lascaux comprendono industria litica e su osso, torce e lucerne, ornamenti, resti di fauna e resti dei colori utilizzati. I manufatti in selce ed osso sono stati attribuiti al Maddaleniano antico. Si sono ottenute inoltre le seguenti datazioni al radiocarbonio, alcune di loro hanno fornito dati contrastanti, si tratta infatti di esami effettuati quando il metodo era ancora in via sperimentale. In ogni caso ci si orienta verso una di queste due datazioni: Solutreano superiore, attorno a 19.000 anni fa o Maddaleniano antico attorno a 17.000 anni fa. La grande ricchezza per qualità e quantità delle opere d’arte parietale rendono la grotta di Lascaux unica. Vi sarebbero 915 figure animali (di cui solo 605 determinabili come specie), 1 figura umana e circa 450 segni. A ciò va aggiunta la omogeneità stilistica del complesso, la chiara presenza di una sintassi nell’organizzazione della decorazione, l’anomalia del bestiario con una enorme sovra- rappresentazione del cavallo, l’importanza del contesto archeologico. Nel 1988 Norbert Aujoulat ha ripreso lo studio di Lascaux. Nel suo studio riafferma la grande somiglianza di Lascaux con le sculture solutreane di Roc de Sers e del Fourneau du Diable. Al 10 tempo stesso sottolinea la grande unità stilistica del complesso. Evidenzia che nella Sala dei Tori e nel Diverticolo Assiale la sequenza delle figure segue sempre il medesimo schema, prima i cavalli, poi i tori e le vacche, per ultimi i cervi. Osserva che i cavalli sono rappresentati sempre con una folta pelliccia, il che corrisponde alla fine dell’inverno e all’inizio della primavera; i tori e le vacche invece sono raffigurati con le caratteristiche che hanno in estate (assenza di pelame per le vacche e intensità del pelame tra parte anteriore e posteriore del corpo per i tori); i cervi hanno corna molto estese e ramificate e sono rappresentati quasi sempre in gruppo e ciò avviene poco prima della parata nuziale all’inizio dell’autunno. La sequenza delle figure corrisponde dunque esattamente il ciclo primavera – estate – autunno e appare una precisa relazione tra le specie riprodotte e la stagione degli amori di ciascuna specie. Alla luce di queste considerazioni, il tema centrale dell’arte di Lascaux sarebbe, quindi, quello della rigenerazione annuale della vita.

Le figure umane nell’arte paleolitica Nell’ arte parietale paleolitica le rappresentazioni di figure umane sono nettamente minoritarie rispetto a quelle animali. Si stima che il numero delle figure femminili e maschili nell’arte paleolitica, sia parietale che mobiliare, superi largamente il migliaio di unità, mentre è difficile calcolare quello delle figure animali distribuite in circa 300 siti con arte parietale e su una quantità di oggetti di arte mobiliare oscillante tra 20.000 e 25.000. Quindi la percentuale delle immagini umane rimane molto bassa rispetto a quella delle figure animali, tra il 3 e il 4%. Al Gravettiano tardo, quindi alla fase più antica dello stile III, appartengono i bassorilievi del riparo Laussel (Marquay, Dordogna). Laussel è un grande riparo, lungo 115 m, poco profondo, con un’altezza di circa 8-9 m. In un’area di circa 50 m2 fu rinvenuta oltre una dozzina di blocchi che recavano figurazioni incise o a bassorilievo. La precisa posizione topografica è nota solo di alcuni blocchi come anche la collocazione stratigrafica, ma è chiaro che tutti insieme formavano un’area di culto. Il più noto e importante, quello della “Venere con il corno”, si tratta di un blocco di grandi dimensioni, 1,6 x 1,2 m e alto 2 m, collocato a 5 m dalla parete del riparo. L’epoca di esecuzione delle figure e di utilizzo dell’area di culto risale alla fine del Gravettiano. Tutti gli altri blocchi hanno dimensioni nettamente inferiori e rientrano più nel campo dell’arte mobiliare che in quello dell’arte parietale. Dai livelli gravettiani provengono altri quattro blocchi che recano figure incise di vulve. La “Venere di Laussel” è una delle opere più celebri dell’arte paleolitica, rappresenta una figura femminile alta 42 cm, eseguita a bassorilievo, che assume maggiore plasticità per il fatto di essere stata eseguita in un punto in cui la superficie è convessa, per cui il profilo della figura è ricurvo e il suo punto più sporgente coincide con il ventre. Il corpo è rappresentato di fronte, mentre la testa è di profilo, ma nessun tratto del volto è delineato. La donna impugna con la destra un corno, forse di bisonte, che reca una serie di tratti incisi, mentre la sinistra poggia sul ventre. Al momento della scoperta tracce di colore rosso erano visibili sulla testa, sui seni e sul ventre. Si tratta probabilmente di un simbolo di fertilità, come tutto porta a credere: l’ocra rossa, il corno e i caratteri stilistici l’esagerazione dei seni e del ventre. Poco lontano da questo venne alla luce un altro blocco, con la “Venere con testa quadrettata”, una stilizzazione della capigliatura. Anche in questo caso mancano i tratti del volto, i seni sono voluminosi e pendenti, il ventre è rigonfio, il foro ombelicale è marcato e profondo e recava tracce di ocra rossa. Con la sinistra la donna impugna un oggetto non identificabile. Il blocco con la “Venere di Berlino”, trafugato durante gli scavi fu venduto ai musei di Berlino, dove andò distrutto durante la II Guerra Mondiale. Ne rimangono però i calchi. Questa figura femminile ha il braccio destro disteso orizzontalmente, mentre con la sinistra impugna un oggetto ricurvo, forse un corno. Un altro piccolo blocco raffigura due personaggi contrapposti incisi ed è stato interpretato o come scena di accoppiamento, o come scena di parto oppure come riutilizzo di un primo abbozzo. Su alcuni blocchi sono incise figure di vulve e in un caso quella di un fallo. Due piccoli blocchi recano la figura di una testa di cavallo, un altro la figura di una cerva. La Venere di Laussel mostra 11 strettissime analogie formali con le coeve statuette femminili a tutto tondo che rappresentano l’aspetto più significativo della produzione artistica mobiliare gravettiana

Le statuette femminili Sono note circa 650 raffigurazioni femminili, di cui quasi 190 sono statuette a tutto tondo o figurine schematiche piatte. Le figurine femminili non rappresentano un fenomeno limitato all’area francocantabrica, al contrario sono ampiamente diffuse in Europa, dalla Francia sud-occidentale fino all’Italia, dall’Europa centrale all’Ucraina e alla meridionale, e il fenomeno si estende fino alla Siberia. Il maggior numero di statuette è stato rinvenuto nella Russia meridionale e in Ucraina (almeno 62) in Italia ne vennero trovate 16, undici delle quali dalle grotte dei Balzi Rossi (Ventimiglia). Le statuette femminili potevano essere fabbricate con diversi materiali: calcite, steatite, calcare tenero, giaietto, corno di renna, ma la maggior parte sono in avorio di mammut ed alcune da Dolni Vestonice (Moravia) con un impasto di polvere d’osso e di argilla. Le dimensioni variano da pochi cm a un massimo di 22-23 cm. Queste statuette sono note in letteratura con diversi nomi: Veneri paleolitiche, Veneri obese, Veneri steatopigie, Veneri aurignaciane. Quasi la metà appartiene al tipo obeso, confrontabile stilisticamente con i bassorilievi di Laussel, e sulla base di alcuni ritrovamenti in contesti ben datati possiamo attribuirle al Gravettiano. A sé stante il gruppo siberiano, che dal punto di vista cronologico è coevo alle statuette gravettiane. Una minoranza di figurine femminili proviene da contesti di età maddaleniana. Le statuette femminile gravettiane e maddaleniane presentano marcate differenze dal punto di vista stilistico. Le statuette di età gravettiana rappresentano la figura femminile nuda in posizione stante, a parte qualche eccezione, ma avendo le gambe desinenti in una punta dovevano essere inserite in un supporto. La parte centrale del corpo è sproporzionatamente grande rispetto alle due estremità superiore e inferiore, con una accentuata esagerazione di seni, ventre, anche e natiche, mentre testa e gambe sono quasi del tutto trascurate e trattate sommariamente. Quindi, l’immagine femminile delle statuette gravettiane si allontana in maniera sensibile dalla realtà, essendovi una ipertrofia della regione del bacino, una atrofia con riduzione della larghezza e del volume della testa, del torace, delle gambe e dei piedi. L’asse orizzontale che divide in due parti eguali passa all’altezza dell’ombelico o sopra l’ombelico, mentre nel corpo umano la metà altezza si colloca a livello del pube. Gli organi connessi alla riproduzione e al nutrimento dei piccoli sono resi con relativa precisione anche se ipertrofici. Al contrario i lineamenti non sono raffigurati. La testa ha una forma o sferoidale oppure appuntita e solo in qualche caso sono indicati i capelli. Anche i piedi non sono mai evidenziati e le gambe terminano a punta o arrotondate, tranne pochissime eccezioni. Le braccia mancano del tutto, o sono atrofizzate, esili e sottili, appoggiate su enormi seni o conserte in grembo, anche in questo caso vi sono delle eccezioni. Le statuette che meglio si conformano allo stereotipo gravettiano di cui è esempio tipico il bassorilievo di Laussel sono alcuni esemplari della grotta di Brassempouy, quella di Lespugue, gran parte di quelle dei Balzi Rossi, quelle di Savignano, di Willendorf, di Dolni Vestonice, di Kostienki I, Avdeevo e Khotylevo. In queste statuette coesistono elementi naturalistici, che si riferiscono alla fecondità della donna, sia pure senza rispettare le proporzioni reali, ed elementi schematici e quasi astratti (le altre parti del corpo). A differenza delle figure femminili le figure animali sono sempre realistiche o comunque naturalistiche. Tuttavia vi sono alcune teste, maschili e femminili, e un corpo femminile che non si conformano allo stile delle “Veneri” gravettiane. Per quanto quasi tutte le statuette gravettiane abbiano caratteri comuni, esistono tuttavia differenze regionali, quelle dell’Europa occidentale, infatti sono diverse da quelle della Siberia. La notissima statuetta di Willendorf () presenta testa sferoidale e la capigliatura, resa da piccole protuberanze disposte in file orizzontali e parallele, arriva a coprire quasi tutto il volto, ma le braccia sono appoggiate sui seni voluminosi. Questa figurina è a sé stante dato che presenta tratti comuni ai due gruppi. 12 Le statuette siberiane non presentano l’ipertrofia dei seni e del ventre, ma i seni sono semplicemente indicati con linee incise sul petto, il ventre è piatto e la larghezza del bacino non è maggiore di quella del petto. E’evidenziato il triangolo pubico. Il volto in qualche caso privo di lineamenti, ma in oltre metà delle statuette sono delineati il naso, gli occhi e la capigliatura o un cappuccio. A volte è indicato l’abito. Caratteristica la parte inferiore delle gambe, che terminano a punta e sono poco delineate. Le statuette del tipo obeso si collocano cronologicamente nel corso del Gravettiano recente. Una statuetta femminile di tipo naturalistico è stata scoperta in un contesto Pavloviano (il gravettiano locale) a Ostrava-Petrkovice, nel nord della Moravia. Alta appena 4,6 cm, priva della testa, delle braccia e delle gambe, completa poteva raggiungere le dimensioni di 7-8 cm. E’ scolpita in ematite, il corpo è quello di una giovane donna, la vita sottile, le varie parti sono ben proporzionate e non si riscontra nessuna delle deformazioni e ipertrofie tipiche delle statuette gravettiane. Sono pochi gli esempi di immagini femminili di età tardo gravettiana nell’arte parietale. Dopo gli inizi del Solutreano le statuette femminili sembrano scomparire per un tempo considerevole. Soltanto nel tardiglaciale troviamo nuovamente figurine femminili in contesti di abitato, ma di uno stile nuovo caratterizzato da un’estrema schematizzazione, in cui la testa scompare del tutto e il corpo tende a divenire un profilo ritagliato visto di profilo. Nel Maddaleniano medio e superiore in molti siti dell’Europa centrale compaiono figurine femminili schematiche di piccole dimensioni in cui la testa è assente e le natiche sono rappresentate da una sporgenza di forma grosso modo triangolare. Numerose ipotesi sono state formulate sul significato di queste figurine. Secondo alcuni rappresenterebbero razze steatopigie. La steatopigia è causata da un eccesso di grasso sulle natiche, per cui le natiche e il ventre risultano molto sporgenti, ed è caratteristica degli Ottentotti e dei Boscimani. Mentre alcune statuette paleolitiche mostrano questa caratteristica (ad es. Balzi Rossi, Savignano), altre mostrano un altro tipo di obesità, la così detta platipigia, l’accumulo di grasso sulle anche, per cui frontalmente la zona del bacino appare molto sporgente di lato (ad es. Lespugue, Willendorf, Dolni Vestonice, e lo stesso bassorilievo di Laussel). Quindi non si può ricondurre le statuette femminili alla rappresentazione realistica di una caratteristica razziale delle popolazioni del tempo. Come ha scritto Leroi-Gourhan, ricercare l’immagine della donna paleolitica a partire dalle statuette, sarebbe come voler fare l’antropologia delle donne francesi del giorno d’oggi partendo dalle opere di Picasso o di Bernard Buffet. Non avrebbero neppure potuto rappresentare un ideale primitivo di bellezza, poiché ciò significherebbe che esse siano espressione di un’arte fine a se stessa, il che non è dimostrabile. La presenza di tracce di colore rosso a Laussel e a Willendorf riporta queste statuette alla sfera del rituale magico o a un’attività magico-religiosa. L’ipotesi che siano da mettere in relazione a un culto della fertilità (idoli? amuleti?) non solo è la più probabile, ma anche quella maggiormente condivisa dagli studiosi. Sfortunatamente poche statuette sono state rinvenute nel corso di scavi condotti scientificamente. Nei pochi casi che è stato possibile chiarire si è visto che le statuine provenivano da contesti rituali in abitati.

Le immagini maschili Le immagini maschili nell’arte paleolitica sono in minor numero di quelle femminili. Inoltre sono molto eterogenee da un punto di vista stilistico. La più famosa è certamente quella di una tomba del Gravettiano antico, scoperta nel 1891 nel corso di lavori per infrastrutture urbane a Brno in Moravia, aveva un ricco ed eccezionale corredo tra cui una statuetta d’avorio composta da elementi separati uniti mediante perni, come se si trattasse di quella che oggi chiameremmo una bambola o una marionetta. Trattandosi di una scoperta fortuita effettuata tra l’altro molto tempo addietro da persone che non avevano alcuna esperienza archeologica, la statuetta è incompleta, rimangono solo tre elementi: la testa, il braccio sinistro e il tronco, frammentario. Si tratta certamente di un personaggio maschile, poiché è raffigurato chiaramente il pene. I capezzoli e l’ombelico sono a rilievo. Del volto sono delineati gli occhi, il naso, il mento. La tomba era di un individuo adulto di sesso maschile, affetto da una forma grave di 13 periostite alle braccia e alle gambe. Vicino al cranio vi erano 600 conchiglie di dentalium spalmate con ocra rossa, che probabilmente erano cucite su un copricapo. Altri oggetti di corredo erano due anelli di arenaria, 14 dischi di osso, avorio e calcare, alcuni con tacche lungo il bordo, una zanna e una scapola di mammut e numerose costole di rinoceronte lunghe un metro. Forse si tratta della tomba di uno sciamano. L’arte parietale di età maddaleniana presenta alcune figure di esseri che sono per metà animali e per metà uomini. Si suppone che siano “stregoni” che indossano pelli animali. Il maggior numero di figure maschili è presente nell’arte mobiliare del Maddaleniano medio e superiore. La grotta de ha restituito molte lastrine di pietra su cui sono tracciate a incisione figure interpretabili come maschili per la presenza di barba e a volte di baffi.

Lo stile IV o classico Lo stile IV o Classico segna l’apogeo dell’arte paleolitica sia nell’arte parietale sia in quella mobiliare. A questo stile, sviluppatosi per circa 4000 anni tra 15.000 e 11.000 anni fa, appartiene la maggioranza dell’arte paleolitica giunta sino a noi. Questo stile fiorì durante il Maddaleniano medio e superiore, un periodo caratterizzato da un progressivo arretramento del ghiacciaio scandinavo e dalla riduzione dei ghiacciai alpini. Le mutate condizioni climatiche favorirono l’espansione dell’occupazione umana verso le pianure francesi e tedesche e verso le aree montane, per cui si conoscono numerose opere d’arte mobiliare anche in regioni settentrionali e in quelle prossime all’area alpina. Caratteristico dello stile classico è il naturalismo delle figure animali, le cui proporzioni e dettagli sono anatomicamente esatti e riprodotti con precisione e fedeltà, con una prospettiva otticamente corretta e un senso del movimento del tutto realistico. Le pitture possono avere una linea di contorno nera con spazio interno vuoto oppure presentare una campitura policroma con colori non solo diversi ma anche di diversa intensità di tono. Sono queste le nuove tecniche che caratterizzano lo stile IV, infatti l’uso dello sfumato dà volume alle figure. L’arte mobiliare conosce un periodo di grande sviluppo e fulgore con questo stile, infatti si conoscono numerosi esemplari di:bastoni perforati, propulsori, zagaglie, rondelle, statuette umane e animali.

La grotta di Altamira La grotta di Altamira, di cui abbiamo ricordato l’importanza per l’origine degli studi sull’arte parietale paleolitica, si trova presso Santillana del Mar, in provincia di Santander. La caverna, lunga 270 m, si apre in una collina calcarea, attualmente dista circa 5 km dalla costa, ma durante l’ultima glaciazione, essendo il mare più basso, era molto più lontano. Gli scavi archeologici hanno indicato che la grotta è stata frequentata durante il Solutreano evoluto e il Maddaleniano antico e medio. Il contorno delle figure policrome è stato delineato in nero, con un tratto sottile, in molti casi accompagnato da un’incisione con un bulino. Eseguito lo schizzo, la figura veniva colorata e modellata principalmente con il colore rosso e secondariamente con colore bruno o nero. Poi con successive incisioni venivano eseguiti i dettagli (l’occhio, le corna, le narici, gli zoccoli, il pelame). Secondo Breuil le figure policrome non formano una composizione, ma ciascuna figura era a sé stante. Secondo Max Raphael, A. Laming-Emperaire e A. Leroi-Gourhan invece costituiscono un insieme strutturato. Secondo Raphael bisonte e cerva sarebbero stati gli animali totemici di due clan in guerra, secondo Laming-Emperaire e Leroi-Gourhan cavallo e bisonte rappresenterebbero una coppia opposta e complementare, simbolo del principio maschile e femminile. Altri studiosi invece vedono nella composizione con gli animali policromi la raffigurazione di una mandria di bisonti che all’epoca della stagione degli amori si sta preparando all’accoppiamento. Nessun animale è colpito da segni che potrebbero rappresentare frecce o zagaglie. Inoltre gli antropomorfi graffiti con le mani alzate in segno di adorazione potrebbero essere contemporanei della composizione policroma. Altamira è ancora oggi una delle caverne fondamentali per lo studio e la comprensione del significato dell’arte paleolitica, molti problemi di lettura e interpretazione delle figure qui presenti rimangono aperti. 14

Una delle scoperte più incredibili dell’arte paleolitica è rappresentata dai due bisonti modellati nell’argilla e scoperti nel 1912 al Tuc d’Audoubert in Ariège. La grotta è raggiungibile solo quando il fiume che scorre alla sua entrata è in magra e quindi percorribile con un natante. In un dati punto si apre uno stretto passaggio in salita libero dall’acqua e che conduce ad una prima sala da cui si diparte un cunicolo, sempre in salita, così angusto da consentire il passaggio solo strisciando. Di qui si passa nella galleria superiore, lunga centinaia di metri che termina con un diverticolo laterale. Qui sono state scoperte le impronte di una cinquantina di calcagni umani nell’argilla, probabilmente appartenenti ad adolescenti, date le dimensioni. Il diverticolo poi si allarga, formando una piccola sala, nella quale furono rinvenuti appoggiati obliquamente a uno sperone stalagmitico, due bisonti di argilla, lunghi 61 e 63 cm e rappresentanti un maschio e una femmina. Si tratta di uno dei rarissimi esempi di modellazione plastica di tutta l’arte paleolitica che siano pervenuti sino a noi. Lo stile delle due sculture è quello naturalistico del maddaleniano medio-recente. L’argilla con cui i due bisonti sono modellati non è stata riportata ma è stata scavata attorno alle figure nello stesso modo in cui uno scultore avrebbe fatto se si fosse trattato di roccia. Vi sono anche le tracce di un terzo bisonte. Lungo le pareti della galleria superiore vi sono incisioni di stile IV, con figure di cavalli e una bella testa di renna.

L’arte mobiliare maddaleniana La grande maggioranza delle opere d’arte mobiliare appartiene al periodo dello stile classico, il Maddaleniano Medio e Superiore, tra 15.000 e 11.000 anni fa. Oggetti di uso corrente (zagaglie, arpioni, propulsori, i bastoni forati, spatole, pendagli, rondelle) venivano decorati con figure animali naturalistiche o motivi astratti. Le zagaglie erano ornate con incisioni di motivi lineari, segni a forma di freccia e fregi di animali (cavalli, pesci, cervi). I bastoni forati, detti anche “bastoni di comando” o “raddrizzatori di frecce” erano fabbricati in corno di renna, si pensa che servissero per raddrizzare a caldo la curvatura delle zagaglie. Le figure più frequenti sono cavallo, pesci, cervo e renna. Il propulsore, fabbricato in corno di renna, è un’asta terminante a un’estremità con un uncino e all’altra con uno o più fori ovali. Si pensa che fosse usato per scagliare con maggior forza le zagaglie, dato che aumentando la lunghezza del braccio della leva se ne aumenta la forza, così come facevano diverse popolazioni (ad es. Aborigeni Australiani, Eschimesi, Indiani del nord America). I propulsori del Paleolitico superiore si trovano solo in un’area che va dalla Dordogna ai Pirenei, fatto che appare piuttosto strano dato che uno strumento come questo avrebbe dovuto avere un’ampia diffusione. Non si può però scartare la possibilità che altrove i propulsori fossero fabbricati in legno e che di conseguenza non si siano conservati. I propulsori hanno l’estremità con l’uncino decorata con figure animali scolpite (cavallo, stambecco, renna, mammut, un uccello, a volte anche una testa umana) e questo fatto indica che forse non si trattava di oggetti di uso quotidiano, ma di oggetti a destinazione cerimoniale e rituale. Ciò potrebbe di per sé essere una spiegazione della loro diffusione geografica. Alcuni propulsori sono caratterizzati da una figura animale con le zampe riunite e la testa rivolta all’indietro (la figura più frequente è lo stambecco). L’espediente artistico si rendeva necessario poiché il propulsore era fabbricato partendo dal palco di corna di renna e la parte con l’uncino e la scultura doveva essere ricavata dalla zona della membrana palmare alla fine dell’asta del palco e all’inizio della biforcazione dei rami, ragione per cui per raffigurare la testa dell’animale, a causa della ridotta larghezza del ramo, era necessario imprimerle tale torsione. Un’altra categoria di oggetti decorati ma che potevano avere un uso pratico sono le spatole di forma ovale allungata presenti nel Maddaleniano Medio e Superiore. Su di esse è frequente il tema del pesce. Le rondelle, dischetti del diametro di pochi cm ricavati da una scapola di animale e forati al centro, erano decorati con una figura animale incisa su entrambe le facce. I profili ritagliati sono placchette di osso di cavallo o di altro erbivoro, lunghe da 3 a 5 cm e rappresentano una testa animale, in genere di cavallo i cui particolari interni sono accuratamente incisi.

15 Il significato dell’arte paleolitica I primi studiosi dell’arte paleolitica mobiliare, pensavano che i cacciatori e raccoglitori del Paleolitico superiore conducessero una vita libera da eccessive preoccupazioni legate alla sopravvivenza: la selvaggina era abbondante e non difficile da catturare, rimaneva quindi molto tempo a loro disposizione, durante il quale si dedicavano a decorare armi e strumenti. La teoria dell’ “arte per l’arte”, figlia della mentalità europea della fine ‘800, spiegava in tal modo ingenuo l’arte paleolitica. La scoperta dell’arte parietale mostrò che l’arte paleolitica era un fenomeno ben più complesso. Fin dai primi tempi si era compreso che l’ubicazione stessa delle opere d’arte parietale,molto spesso in parti profonde, a volte quasi inaccessibili, delle caverne, ne escludeva automaticamente qualunque fine estetico o semplicemente decorativo. Doveva trattarsi, quindi, di un’arte connessa alle credenze “magico-religiose” dei cacciatori paleolitici. In un articolo del 1903 Salomon Reinach propose la magia come interpretazione dell’arte paleolitica. Essa avrebbe avuto uno scopo utilitaristico, nelle profondità delle grotte si sarebbero svolte cerimonie allo scopo di assicurare il successo nella caccia e la fecondità degli animali. Questa tesi, basata su confronti etnografici con gli Aborigeni Australiani, fu accolta ed ulteriormente approfondita e sviluppata dall’abate Breuil e da altri. Secondo loro lo scopo dell’arte parietale era la magia propiziatoria della caccia e della riproduzione degli animali. Il cavallo e il bisonte erano gli animali più frequenti poiché i più consumati, insieme alla renna. La scarsa frequenza della renna nelle figurazioni paleolitiche veniva giustificata con la facilità della sua caccia. Quindi l’arte era connessa intimamente alla magia della caccia per favorire la cattura delle prede, alla magia della fecondità per favorirne la moltiplicazione, e a quella della distruzione nel caso di quegli animali pericolosi per l’uomo come l’orso e i felini, che infatti non venivano raffigurati. Essendo ogni immagine frutto di una cerimonia individuale non vi era quindi alcuna composizione. Le figure sono senza rapporto tra di loro e in questa prospettiva è possibile comprendere il fenomeno delle sovrapposizioni, infatti era importante l’atto della rappresentazione e non il risultato estetico. Inoltre, secondo questa interpretazione, erano evidenti nell’arte parietale i segni di una magia venatoria simpatetica, rivolta alla cattura o all’uccisione degli animali. I segni frequenti sugli animali come i segni a freccia graffiti o dipinti erano interpretati come frecce. In quest’ottica i bisonti accovacciati di Altamira erano interpretati come animali morenti. I segni non associati alle figure di animali sarebbero stati punti di riferimento per orientare i cacciatori durante le loro visite al santuario. Le figure in parte umane e in parte animali sarebbero state cacciatori travestiti per avvicinarsi alla preda o sciamani nell’atto di per compiere riti propiziatori. L’abate Breuil era conscio del fatto che la fauna rappresentata nell’arte delle caverne non era un riflesso fedele di quella che popolava l’ambiente in cui vissero gli uomini del Paleolitico Superiore. Ad es., la renna non ha grande rilievo nell’arte parietale, come i pesci, gli uccelli e molti piccoli animali. Breuil riteneva che la renna fosse una facile preda per i cacciatori paleolitici, soprattutto all’epoca in cui le grandi mandrie migravano, e quindi per la sua cattura non fosse necessaria alcuna magia. Lo stesso discorso valeva per gli altri animali non raffigurati. Al contrario grosse prede come il mammut, il bisonte, il cavallo, il cervo erano oggetto di pratiche magiche allo scopo di agevolarne la cattura. La tesi della magia propiziatoria della caccia ha ancor oggi i suoi seguaci, ed è stata anche estesa ad alcune figure di animali presenti nell’arte mobiliare. Il filosofo marxista tedesco Max Raphael (1889-1977), studioso di arte ed estetica, fu il primo a dare una nuova interpretazione per l’arte paleolitica. Nel 1935 visitando alcune caverne con arte parietale pensò che le figure animali non erano isolate, ma costituivano un insieme. “The first condition for the understanding of palaeolithic art is to recognize the existing material for what it is — and very often we have to deal not with single animals, but with groups; the second condition is to interpret the part in relation to the whole, and not to isolate them on the basis of unproved hypothetical constructions; ... . As soon as one recognizes the facts and discards the prejudice that the palaeolithic artist could draw and paint only individual animals, the meanings of these groups are discernible.” 16 Oltre a considerare le figure animali in relazione l’una con l’altra e in gruppi il cui significato è dato proprio dalla loro associazione, egli adottò il totemismo come criterio di interpretazione: ad es., il soffitto di Altamira rappresenterebbe simbolicamente il conflitto tra il clan del bisonte e quello della cerva. Raphael inoltre interpretò i segni astratti in chiave maschile e femminile: segni a freccia- fallo- uomo da una parte, segni a vulva- donna dall’altra. Annette Laming-Emperaire studiò le associazioni tra animali e rilevò come il cavallo e i bovidi formino la coppia più frequente nell’arte parietale e propose l’ipotesi che l’associazione donna- bisonte o donna-bisonte- cavallo avesse un carattere sessuale. Alcuni dei suoi spunti vennero ripresi e sviluppati da André Leroi-Gourhan. Per prima cosa evidenziò il fatto che l’interpretazione dell’arte paleolitica come magia propiziatoria della caccia e della fecondità era inaccettabile (infatti la fauna consumata ben raramente corrisponde al bestiario dell’arte parietale). Secondo Leroi-Gourhan gli uomini del paleolitico manifestarono tramite queste immagini sentimenti e idee che corrispondono a ciò che noi chiamiamo religione. Leroi-Gourhan non credeva che tale messaggio potesse essere compreso utilizzando semplicisticamente i confronti etnografici e le credenze dei popoli primitivi. Senza negare l’esistenza di riti magici (fecondità, caccia) nel Paleolitico, dei quali sono rimaste tracce nell’arte, si domandò se in quest’arte non vi fossero tracce di una concezione del mondo. Ricercò quindi l’esistenza di una specie di sintassi che avrebbe regolato il numero e la disposizione delle figure nell’arte parietale. Nel corso della sua analisi del contenuto dell’arte parietale presente inoltre 70 grotte Leroi-Gourhan ha classificato le figure animali in quattro gruppi distinti con le lettere A-D. Il gruppo A è costituito dal cavallo, l’animale più raffigurato e presente in quasi tutti i complessi di arte parietale: rappresenta il 27,87% di tutte le figure. La sua assenza costituisce un’eccezione. Il gruppo B comprende i bovidi, in particolare il bisonte (23,30%), e l’uro (Bos primigenius) (6,26%). Il gruppo B rappresenta il 29,57% delle figure. Cavallo e bovidi insieme sono il 57,44% di tutte le figure dell’arte parietale, ne sono quindi il tema centrale. Il terzo gruppo è costituito da quelli che Leroi-Gourhan definisce “animali complementari”. Il primo è il cervo (11,28%) seguito dal mammut (9,36%) (presente nell’area franco-cantabrica, assente in Italia e nel sud della penisola iberica). Ci sono poi lo stambecco (8%) e la renna (3,8%). Gli animali complementari assommano al 32,54% di tutte le figure animali. Il gruppo D comprende animali poco raffigurati, spesso posti nelle parti più profonde delle grotte, sono animali pericolosi come l’orso (1,64%), i felini (1,32%) e il rinoceronte (0,73%). Questo gruppo rappresenta il 3,7% del bestiario. Ancora meno numeroso è il gruppo E, costituito da figure “mostruose” o fantastiche e da pesci ed uccelli con solo l’1,05%. Altri animali come il megacero, l’antilope saiga, il cinghiale, il lupo e la volpe sono rappresentati molto raramente. Ormai le statistiche di Leroi-Gourhan sono vecchie. Infatti alcune delle grotte incluse sono state studiate con maggior attenzione e di conseguenza il numero delle figure presenti è aumentato. Inoltre sono state scoperte nuove grotte (ad es. Chauvet) che presentano un bestiario molto diverso da quello precedentemente noto. La coppia cavallo - bovidi è il tema dominante nel Périgord e nei Pirenei, mentre nei Monti Cantabri lo è quella del cavallo - cervo/a. Leroi-Gourhan dimostrò che le figure animali raffigurate sulle pareti e le volte delle caverne non sono un insieme casuale, bensì contrario rifletterebbero il pensiero mitologico o cosmogonico dei cacciatori del Paleolitico Superiore. Egli ipotizzò che la distribuzione delle figure nelle singole grotte avesse un significato intenzionale come anche l’associazione tra certe specie di animali in particolari zone delle grotte. Tale schema sarebbe poi stato soggetto a variazioni per adattarlo al particolare sviluppo topografico di ogni singola grotta. Secondo Leroi-Gourhan la coppia cavallo/bisonte rappresenta il tema fondamentale dell’arte parietale ed ha un significato di opposizione e di complementarietà nel quadro di un codificato linguaggio simbolico. 17 Tuttavia esistono delle eccezioni, ad es. in alcune caverne la coppia cavallo/bisonte non è presente. I segni astratti, un tempo interpretati come lance, boomerang arpioni, capanne, ecc., sembrano confermare la natura simbolica dell’arte parietale paleolitica. Essi sarebbero schematizzazioni di figure umane o di organi sessuali (quelli larghi di forma ovale la vulva, i claviformi la figura femminile vista di profilo, i segni sottili e allungati il fallo, quelli a forma di piuma una figura umana schematica con il fallo). Con il passare del tempo, mentre le figure animali tendono al naturalismo queste figure tendono invece ad una sempre maggior schematizzazione. Anche i segni astratti presenterebbero una coerente distribuzione all’interno delle grotte. Conseguentemente deve essere respinta l’interpretazione dell’arte parietale come espressione di riti connessi alla magia della caccia e della riproduzione degli animali. Ciò è confermato dalle differenze tra gli animali cacciati e quelli i cui resto sono stati effettivamente trovati negli abitati umani del Paleolitico. Inoltre, gli animali feriti presenti nell’arte parietale sono un’esigua minoranza (il 4% ) e in tal caso potrebbe trattarsi di simbolismo cinegetico. Secondo Leroi-Gourgan l’arte parietale esprimerebbe una cosmologia incentrata sulla divisione della natura in elementi femminili e maschili. Si tratterebbe dunque di un sistema dualista in cui il cavallo è il simbolo del principio maschile, il bisonte di quello femminile, opposti e contrari, ma al tempo stesso complementari. Per questo motivo gli animali sono giustapposti oppure accompagnati da un segno astratto che simbolizza il sesso opposto. Queste figure rappresenterebbero quindi un mitogramma. Ovvero un insieme di figure simboliche che non esprimono una determinata azione o la descrivono e che mancano di una struttura narrativa o temporale, ma si tratterebbe di un insieme strutturato di simboli comprensibili solo per chi ne conosceva la chiave interpretativa che oggi noi non possediamo più.

La teoria dello sciamanesimo L’archeologo ed etnografo sudafricano J.D. Lewis-Williams nel corso dei suoi studi sull’arte rupestre dei Boscimani ne ha dimostrato la sua funzione essenzialmente sciamanistica. In questo contesto non possiamo addentrarci in una spiegazione dello scamanesimo, brevemente diremo che nel corso di cerimonie collettive, lo sciamano entra in uno stato di coscienza alterata, la così detta “trance”, durante la quale il suo spirito viaggia in un mondo parallelo al nostro, popolato da spiriti e dove si ripercuotono le nostre azioni terrene. Qui lo spirito dello sciamano, aiutato dai suoi animali guida entra in contato con le divinità per ottenere aiuto sia per l’intera comunità sia per i singoli individui. L’arte rupestre dei Boscimani ha lo scopo di ricordare, commemorare e illustrare queste particolari esperienze spirituali. L’ipotesi sciamanica è stata quindi applicata all’arte paleolitica anche se il ricorso all’etnografia in tale contesto è stato più volte criticato, tuttavia in tale caso viene considerato un’ipotesi da sottoporre a verifica. Anche se è improponibile paragonare gli odierni sciamani con gli esecutori dell’arte paleolitica, poiché significherebbe che vi sono alcune popolazioni che non hanno avuto alcuno sviluppo (non necessariamente tecnologico, ma anche ideologico, spirituale ecc.) dal Paleolitico ad oggi, tuttavia è stato osservato che gli stati alterati di coscienza, come si manifestano negli sciamani, non sono un fenomeno limitato alle così dette società sciamaniche, ma sono osservabili dalle scienze neuro- psicologiche e presentano delle costanti a prescindere dai tempi e dai luoghi. Secondo alcuni studiosi l’arte parietale paleolitica è compatibile con le percezioni allucinatorie di tipo sciamanico. Infatti essa presenta segni geometrici e astratti, mancano vere e proprie scene, manca la delimitazione del campo rappresentativo, lo sfondo e la linea del suolo, le immagini degli animali sembrano “galleggiare” sulla superficie rocciosa, vi sono esseri fantastici e compositi; il naturalismo e la precisione delle figure animali mostra che si tratta di animali visti e non di simboli stereotipati. Inoltre il buio e il silenzio che si trovano nelle parti più profonde delle grotte, grazie alla deprivazione sensoriale, favoriscono la comparsa di stati allucinatori. La grotta serviva quale via per

18 raggiungere il mondo degli spiriti e le raffigurazioni sulle pareti e sulle volte potevano fungere da “starter” per le esperienze allucinatorie. Per alcuni anni, e soprattutto a livello popolare, questa interpretazione ha goduto di una certa notorietà sull’onda della New Age, diventando una teoria di moda. Tuttavia è stata decisamente negata poiché questo collegamento tra arte paleolitica e sciamanesimo è superficiale e fondamentalmente errato.

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