PAAPUS A POPULONIA

1. La diffusione

Tra i laterizi bollati che si rinvengono negli scavi dell’acropoli di Po- pulonia il tipo che reca in sequenza le cinque lettere IPAAP (Fig. 1) ha posto difficili problemi interpretativi, tanto che la sua lettura è rimasta sino ad ora incerta, anche se l’ipotesi più plausibile è quella che vi ha scorto l’abbreviazio- ne di un nome servile seguito da un gentilizio anch’esso abbreviato (BENELLI 2003, pp. 112-113, figg. 3-5: Ipa(---) Ap(---)). Conosciamo per il momento 14 esemplari del bollo, di cui uno solo sporadico. Gli altri vengono tutti da contesti stratigrafici e fanno pensare ad una presenza non casuale sul sito, anzi ad una loro pertinenza ad una fase edilizia significativa e concentrata nel tempo. Anche la distribuzione topografica dei bolli non è priva di interesse (Fig. 2). È evidente una loro concentrazione nella parte alta del pendio e in particolare lungo il fronte delle Logge (nove esemplari dai saggi III, IV e VI). I tre esemplari raccolti nei saggi V e IX sembrano materiali dilavati o spostati con terre di riporto; in un caso si tratta di materiali reimpiegati in strutture

Fig. 1 – Laterizio con bollo IPAAP dall’acropoli di Populonia.

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© 2005 Edizioni all’Insegna del Giglio s.a.s., vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale Fig. 2 – Distribuzione topografica dei bolli IPAAP sull’acropoli di Popu- lonia: Saggio V, US 2513, att. 64, periodo V; Saggio VI, US 3058, att. 50, periodo IIIc; Saggio IX, USM 4762, att. 54, periodo IIb, US 4731, att. 57, periodo V; Saggio III, US 1542 e 1555, att. 66, periodo IVb, US 1557 e 1575, att. 249, periodo IVa; Saggio IV, due esemplari dalla US 2122 (in corso di scavo), US 2015, att. 205, periodo IIIc, US 2005, att. 71, periodo IVb; Saggio II, US 1192, att. 109, periodo IIc.

murarie. L’esemplare proveniente dal saggio II – per ora isolato – ci aiuta a mettere in relazione la terrazza delle Logge con il suo basamento. Il bollo è noto solo a Populonia, ma un esemplare è segnalato a Ostia (LSO, p. 340, n. 1173, tav. CC), senza che sia possibile ricostruire il contesto della sua presenza; un altro esemplare (inedito) è segnalato a Lanuvio (ringra- zio per l’importante segnalazione M. Grazia Granino). Qualcosa di simile si riscontra nel caso dei bolli GAVI, diffusi nell’agro cosano (Settefinestre 1985, I, p. 103, n. 3; III, pp. 348-349, tav. 69, 4), ma presenti in quantità irrilevanti (materiali da zavorra per navigazioni di cabotaggio?) anche nella stessa Roma (CIL, XV, 1170: ma l’esemplare proviene da collezione). Il fenomeno sembra riprodursi anche per la serie dei bolli VOLVS/VOLVZ, diffusi lungo la costa toscana e in particolare a Populonia, ma noti anche a Roma grazie ad un unico esemplare (GLIOZZO, MANACORDA, SHEPHERD 2004).

2. La lettura

L’ipotesi di lettura che avanziamo in queste pagine si basa su un’analisi del rapporto, a volte complesso, che regola punzone e impronta, che può trovare soluzioni diverse, specie in ambiente illetterato. Da questo punto di vista, il corpus epigrafico dei bolli presenti sulle anfore tardo-repubblicane di Brindisi offre esempi illuminanti (MANACORDA 2003). Si pensi, ad esempio, ai bolli con i nomi di Apollonides o di Stabuas (Fig. 3 a-b), la cui lettura progressiva deve tuttavia fare i conti con un andamento retrogrado delle singole lettere: i due

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© 2005 Edizioni all’Insegna del Giglio s.a.s., vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale Fig. 3 – Anfore tardo-repubblicane di Brindisi con bollo, a) di Apollonides, b) di Stabuas.

a

b

Fig. 4 – Bollo IPAAP e ricostruzione del punzone nel quale si leggeva il termine PAAPI scritto con le due P retrograde.

figuli avevano capito, infatti, che, nel fabbricare un punzone, per avere una impronta con lettura progressiva occorreva incidere il testo con direzione retrograda. Ma, pur ribaltando il verso della scrittura, non avevano compreso che era necessario ribaltare il verso anche delle singole lettere. Nel punzone di Populonia sono rappresentate solo tre lettere, la A, la I e la P. L’autore del punzone in questo caso ha invertito la direzione delle lettere, credendo forse di aggirare il problema, visto che – essendo le A e la I simmetriche – un problema di ribaltamento si poneva solo per le P; ma non ha invertito la direzione della scrittura. Ha fabbricato quindi un punzone con testo progressivo ma con lettere retrograde: l’impronta conseguente, cioè IPAAP, è quindi il prodotto di un punzone nel quale si leggeva il termine PAAPI scritto però con le due P retrograde (Fig. 4). Da questa constatazione occorre dunque partire per un’interpretazione del testo del bollo.

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© 2005 Edizioni all’Insegna del Giglio s.a.s., vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale 3. Il nome

Se il bollo va dunque letto PAAPI, ci troviamo di fronte al genitivo di un nome maschile. Potrebbe trattarsi di un nomen, essendo la gens Papia ampiamente attestata nell’onomastica dell’Italia tardo-repubblicana (PERIN 1940, p. 428) o piuttosto di un cognomen, Paapus, che trova un corrispettivo nell’omonimo prenome osco (REICHMUT 1956, p. 104) e nel greco Pappos (avus), e che viene abitualmente scritto in latino senza la geminazione della consonante (PERIN 1940, p. 428, s.v. Papus; ThLL, X.1, coll. 256-257, s.v. pappus; SOLIN 1982, p. 954). Nel testo del bollo compare invece la geminazione della vocale, feno- meno peraltro ben attestato nell’epigrafia latina repubblicana in presenza di vocali lunghe e ben noto ai manuali (CAGNAT 1914, tav. IV, 2: CIL, I², 1202 = VI, 13696). Lo incontriamo nella trascrizione tanto dei nomi comuni che di praenomina e cognomina (cfr. CIL, I², 2.1, p. 813; ILLRP, p. 490). La geminazione della A nel nomen Papius è attestata da un solo caso nell’epigrafia dell’instrumentum domesticum (CIL, I², 2304: C. Paapius Callo), mentre è presente nell’epigrafia lapidaria nel caso del cognomen Paapus, a Ca- pua (ILLRP, 787: Q. Tullius Paapus) e, nella versione femminile Paapia, ad Alba Fucens (ILLRP, 227; cfr. RITSCHL 1862, tav. LX, H). Col tempo la geminazione decade: ne resta semmai la traccia nell’uso dell’apex (LEUMANN, HOFMANN 1928, pp. 49-50; DI STEFANO MANZELLA 1987, pp. 153-154), come testimoniato, ad esempio, sia per il nomen che per il cognomen da un’iscrizione di Carinola (CIL, I², 1578: L. Pápius L.f. Ter. Pollio) o da una di Minturno (JOHNSON 1933, pp. 30-31, n. 13, fig. 18; ILLRP, 731: Q. Fourios Q.l. Pápus).

4. La prosopografia

In età repubblicana il nome Papus/Paapus è portato da peregrini, schiavi e liberti, come appare, ad esempio, da un’iscrizione dell’agro cosano che cita in L. Domitius Ahenob(arbi) l. Papus e la sua liberta Domitia Papei l. Arche (ILLRP, 915). Ma il nome, che è tipico anche dei personaggi della commedia nuova e delle atellane, dove impersona ‘il vecchio’ (ThLL, X.1, col. 257, s.v. pappus; ROBERT 1911; BEARE 1955, pp. 129-132), non è diffuso solo in ambienti servili e libertini; esso compare infatti anche nell’ambito di famiglie aristocra- tiche, e in primo luogo in quella degli Aemilii. Lo incontriamo per la prima volta, infatti, nel nome di M. Aemilius Papus (RE, I.1, col. 576, s.v. Aemilius 110; MRR, I, p. 151), dittatore comitiorum habendorum causa nell’anno della forche caudine (321 a.C.: Liv. IX. 7. 14) e, una generazione dopo, in quello del console del 282, Q. Aemilius Papus, cos. iterum nel 278 e censore nel 275 insieme con C. Fabricius Luscinus (RE, I.1, col. 576, s.v. Aemilius 112; MRR, I, pp. 189, 194, 196; per il suo celebre moralismo cfr. Val.Max., IV. 4. 3. 11 e

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© 2005 Edizioni all’Insegna del Giglio s.a.s., vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale Gell., XVII. 21. 39). Sono gli anni in cui Roma sta avanzando in Etruria dopo la presa di Roselle (294 a.C.) e di Vulci (280 a.C.) e la conseguente fondazione della colonia latina di Cosa (273 a.C.), cui farà seguito un decennio più tardi la caduta di Volsinii (264 a.C.: HARRIS 1971, in part. pp. 78-84; TORELLI 1981, p. 251 ss.; da ultimo CAMBI 2004, pp. 77-80). Nel 225 a.C. un altro Papus, L. Aemilius Q. f. Cn. n. Papus (RE, I.1, coll. 575-576, s.v. Aemilius 108; MRR, I, pp. 230, 235, 252), console in quell’anno, sbaraglierà a Talamone i Galli che puntavano su Roma, lasciandone sul campo 40.000 (Polib., II. 23-31) e trionfando in seguito de Galleis (PAIS 1920, pp. 112-113). Raggiungerà la censura nel 220, alla vigilia della seconda guerra punica, con C. Flaminius, e sarà nel 216, l’anno di Canne, uno dei triumviri mensarii (Liv., XXIII. 21. 6). Suo contemporaneo, se non coetaneo, è M. Aemilius Papus (RE, I.1, col. 576, s.v. Aemilius 111), morto nel 210 dopo aver rivestito la carica di curio maximus (Liv., XXVII. 6. 16). Pochi anni dopo, nel 205, un L. Aemilius Papus (RE, I.1, col. 576, s.v. Aemilius 109; MRR, I, pp. 302, 414), ottiene in sorte la Sicilia in qualità di pretore: ai suoi ordini sarà, come tribunus militum, il nonno di Augusto (Suet., Aug., 2). Non conosciamo le altre tappe della sua carriera, ma sappiamo che avrà ancora un ruolo fra i grandi sacerdozi di Roma come decemvir sacrorum fino al 172, anno della sua morte (Liv., XLII. 28. 10). I legami familiari tra i personaggi sin qui ricordati sono molto incerti; sono più chiari, invece, i rapporti tenuti da alcuni almeno degli Aemilii Paapi sia con l’Etruria nel corso del III secolo (in particolare nel 282 e nel 225), sia con la Sicilia (e in particolare con Lilibeo, sede del pretore romano) alla fine del secolo stesso. Sono gli anni che vedono anche (il collegamento con quanto stiamo argomentando naturalmente non è diretto) l’istituzionalizzazione in Roma del culto antichissimo della Venere di Erice, con la dedica nel 215 del tempio alla Venus Erucina in Capitolio e nel 181 (negli anni del sacerdozio di L. Aemilius Papus) di quello extra portam Collinam (COARELLI 1999, pp. 114-115).

5. La cronologia

Se questo è il quadro di riferimento, dovremmo innanzitutto interrogar- ci sulla data eventuale di arrivo dei Paapi a Populonia, a partire dalla vexata quaestio della ‘battaglia di Populonia’ (o ‘di Vetulonia’) che una fonte un po’ maltrattata dalla tradizione pone nel 282, un anno dopo la sconfitta inferta a Galli ed Etruschi da Cornelio Dolabella al lago Vadimone (HARRIS 1971, pp. 78-83; fonti in TORELLI 1978, pp. 90-103). La guerra (su cui cfr. Polyb., II. 20 e Dion.Hal., XIX. 13. 1) fu infatti proseguita sotto il comando di Q. Emilio Papo in forme che conosciamo quasi solo attraverso un passo tormentato degli Strategemata di Frontino (I. 2. 7), nel quale l’indicazione stessa del nome del

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© 2005 Edizioni all’Insegna del Giglio s.a.s., vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale protagonista, il console Aemilius Paulus, richiede un’evidente correzione in Aemilius Paapus: «Aemilius Paulus consul, bello Etrusco apud oppidum colo- niam demissurus exercitum in planitiem, contemplatus procul avium multitu- dinem citatiore volatu ex silva consurrexisse, intellexit aliquid illic insidiarum latere, quod et turbatae aves et plures simul evolaverant. Praemissis igitur exploratoribus comperit, decem milia Boiorum excipiendo ibi Romanorum agmini imminere, eaque alio quam exspectabatur latere omissis legionibus circumfudit». («Il console Emilio Paolo, durante la ‘guerra etrusca’, stava per portare l’esercito nella pianura presso Vetulonia, quando vide da lontano una grande quantità di uccelli volare improvvisamente fuori da un bosco e capì che lì doveva nascondersi qualche insidia, perché gli uccelli erano tanti e spaventati. Mandò allora in esplorazione una pattuglia e venne a sapere che 10.000 Galli Boi minacciavano le schiere romane e allora li sbaragliò circondandoli con le legioni mandate ad attaccarli da un lato dove non se le aspettavano»). Nonostante i diversi tentativi effettuati per interpretare il testo (cfr. TO- RELLI 1978, p. 92) leggendo ora Populoniam, ora Vetuloniam ora addirittura Cortonam nel tradito apud oppidum coloniam, la testimonianza del codice H, il più antico ed isolato (cfr. IRELAND 1990, in part. pp. VII-XII e apparato critico a p. 7), che conserva un apud oppidum vel coloniam spingerebbe nel senso di una restituzione del testo in favore di apud oppidum vetuloniam (in questo senso interpreta il passo, da ultimo, CAMBI 2004, p. 77). Anche in tal caso lo scontro militare dovrebbe essersi verificato comunque nei pressi della costa e l’accenno alla multitudo avium, ricordato nel brano, può richiamarci al testo di Plinio (n.h., X. 78), che colloca Populonia (e quindi anche la costa della limitrofa Vetulonia) in relazione con il passo degli uccelli migratori e con l’entroterra volterrano. C’è quindi da domandarsi se si debba a Q. Emilio Papo la conquista di Populonia durante il bellum Etruscum del 282 e se possa far data a quel mo- mento storico l’instaurazione di un patronato che gli Emili Papi potrebbero aver esercitato sulla civitas foederata, che dobbiamo presumere ormai sotto il controllo di Roma nel corso del III secolo. Un patronato che potrebbe esser proseguito (o potrebbe al contrario essersi instaurato) con L. Emilio Papo, trionfatore dei Galli a Telamone nel 225, e aver trovato una generazione dopo in L. Emilio Papo, pretore di Sicilia nel 205, un momento significativo, qualora dovessimo a lui l’idea (se non la realizzazione stessa) del santuario dell’acropoli populoniese. Se il personaggio attestato dai nostri bolli fosse il pretore divenuto in seguito decemvir sacrorum, avremmo nella data della sua morte un importante terminus ante quem al 172 a.C.: una cronologia relativamente alta, ma non improponibile, rispetto alle attuali nostre conoscenze circa la fase edilizia in corso di scavo (cfr. MASCIONE 2003 e 2004). Ma è evidente che i dati della prosopografia sono casuali e certamente frammentari: nulla esclude infatti l’esistenza di altri Aemilii Paapi anche nel corso del II secolo avanzato.

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© 2005 Edizioni all’Insegna del Giglio s.a.s., vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale D’altra parte, il dato epigrafico della geminazione della vocale lunga non richiede necessariamente una cronologia alta: l’epigrafe di Polla, nel quale è attestato e che presenta forme grafiche (si pensi alla P con occhiello quadrato aperto) non lontane da quelle del bollo di Populonia, si data infatti comune- mente attorno al 132 a.C. (ILLRP, 454; Imagines, 192; WISEMAN 1964, pp. 30 ss.). Se l’introduzione della geminazione delle vocali lunghe nella pratica scrittoria latina si deve ad un intervento di Accio (cfr. Lucil., 348 ss. Marx; GrRomFr, p. 30, n. 24), la cronologia del fenomeno in linea di massima do- vrebbe essere posteriore agli anni 150/140 a.C. (la fama di Accio, nato nel 170, è posta al 139 a.C. da Hieron., Chron., p. 144 Helm). Questa circostanza indurrebbe dunque a postulare l’esistenza di un Papus (e verisimilmente di un Aemilius) che sarebbe stato attivo a Populonia nella seconda metà del II secolo. Si tenga presente tuttavia che l’intervento di Accio potrebbe anche solo aver regolamentato un fenomeno già precedentemente diffuso (LEUMANN, HOFMANN 1928, pp. 48-49), sì che la cronologia del nostro bollo deve restare impregiudicata, anche se una datazione in un momento relativamente avanzato della seconda metà del II secolo sembra attualmente preferibile. Dal punto di vista della provenienza stratigrafica, due delle tegole bollate indicano una cronologia compresa nell’ambito della seconda metà del II secolo a.C. (US IX 4731) o della fine dello stesso secolo (US II 1192). Questa possibile datazione dei bolli di Paapus, in relazione con un per- sonaggio non attestato dalle fonti, apre a sua volta il problema della fine degli Aemilii Paapi, dei quali non conosciamo in effetti né gli esiti né la discendenza, e pone il problema del loro rapporto con l’altro grande ramo della gens Aemilia emergente nel corso di quello stesso secolo, quello degli Aemilii Scauri.

6. Gli Aemilii Scauri e Populonia

Nessuna fonte ci parla degli Scauri a Populonia, ma un loro intervento in zona è comunque connesso al rifacimento della Via Aurelia ( Scauri), comunemente datato tra gli anni del consolato (115 a.C.) e della censura (109 a.C.) del princeps Senatus M. Emilio Scauro (cfr. FENTRESS 1984 e 1985 e, da ultimi, MARCACCINI-PETRINI 2000). Qualche traccia della loro presenza nell’area è stata intravista nella toponomastica locale: al nome della strada – e quindi indirettamente a quello degli Aemilii – vengono infatti connessi quello del torrente Milia, affluente della Cornia (PIERI 1969, p. 57), e quello del fosso e padule di Rimigliano, interpretato come Ri(o) (E)miliano (PIERI 1969, p. 90). Si tratta di suggestioni che creano una piccola rete di indizi, che può essere sviluppata estendendo l’analisi ad un altro toponimo, sin qui mai in- terpretato: mi riferisco all’approdo di Scabris, che ci è testimoniato dall’Iti- nerarium maritimun (B 500-501) come un portus collocato in una posizione

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© 2005 Edizioni all’Insegna del Giglio s.a.s., vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale intermedia tra la foce dell’Alma (Alma flumen) e il porto di Falesia (MILLER 1916, p. LXVII, col. 245; CUNTZ 1929, p. 79). Mi sembra infatti tutt’altro che improbabile una derivazione del toponimo, che ci è noto in una versione tarda (l’Itinerarium maritimum ci è tramandato da codici del VII e del IX se- colo: CUNTZ 1929, pp. IV-V), da un originario *Scauris attraverso un normale passaggio da u/v a b. Saremmo cioè in presenza di un ablativo con valore di locativo, che ci darebbe conto dell’esistenza di un ‘porto degli Scauri’ in una località – che si ritiene identificabile in un tratto della costa a sud di Follonica, e in particolare nello specchio d’acqua compreso tra Portiglione e Puntone vecchio – dove la presenza di insediamenti tardo-repubblicani è particolar- mente fitta (CUCINI 1985, pp. 171-181; MARCACCINI-PETRINI 2000, pp. 47-49; CAMBI 2004, pp. 80-88). Merita di essere segnalata in proposito la circostanza che le tappe registrate dall’Itinerarium maritimum, che è di età tardo-antica (UGGERI 1998, pp. 1460-1461), sembrano «riflettere una situazione più antica e consolidata, forse di età repubblicana» (CAMBI 2004, p. 81). Non approfondiamo in questa sede il tema del rapporto tra l’antico toponimo Scabris e il più recente Scarlino, la cui derivazione dal primo (Scabris>*Scabrile>*Scabrilinum: CARDARELLI 1932, pp. 216-217) sembra difficilmente sostenibile. Osserviamo però che il toponimo, nella versione restituita come Scauris, non è isolato: basti pensare alla odierna località di Scauri, situata tra Formia e Minturno, dove, sul luogo dell’antica Pirae, sorse in età tardo-repubblicana una villa imponente, generalmente attribuita, su base toponomastica, proprio al console del 115, M. Emilio Scauro (da ultimo si veda ROSI 1989, pp. 97-110). Si tratta di un edificio imponente e purtrop- po mal noto e di difficile accesso, che presenta (ma questo non è dirimente) aspetti di affinità sul piano architettonico e costruttivo proprio con l’edificio della Logge di Populonia, tanto da meritare un approfondimento che non può essere condotto in questa sede. Un approfondimento meriterebbe anche la presenza dello stesso topo- nimo, Scauri, anche nell’isola di Pantelleria (cenno in CICCONE 1993, p. 210, n. 15), dove con questo nome si indica il principale approdo sulla costa sud- occidentale rivolta verso l’Africa (cfr. DE FIORE 1930, p. 260; VERGER 1965, fig. 2). Un’eventuale relazione del toponimo con il nome di Scauro potrebbe essere posta in collegamento con la creazione di una postazione da parte di M. Emilio Scauro connessa con la sua frequentazione della costa africana (e quindi della rotta marcata da Pantelleria) nel periodo compreso fra il consolato e l’assunzione della censura, in particolare tra il 112 e il 111 a.C. (Sall., Iug., XXV. 4; XXVIII-XXIX; XL. 4). M.Emilio Scauro è, almeno dal punto di vista politico, il capostipite del ramo degli Scauri. Né il padre – che, benché di famiglia patrizia, aveva fatto il carbonaro (de vir. ill., LXXXII, 1) – né il nonno avevano ricoperto magistrature (RE, I, 1, s.v. Aemilius 138 e 140, coll. 583-584). Nobile e pove- ro, Scauro, nato nel 162 a.C., dovette dunque faticare come un homo novus

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© 2005 Edizioni all’Insegna del Giglio s.a.s., vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale per raggiungere i vertici dello stato (Ascon., in Scaur., XX. 4). Non abbiamo documenti che ci permettano di ipotizzare un’adozione (o almeno una tutela) esercitata dagli Emili Papi su questo ramo emergente della gens, che tuttavia non possiamo escludere: sarebbe comunque una relazione intercorsa dopo il 160, che dovremmo attribuire ad un successore del decemvir sacrorum, un personaggio altrimenti sconosciuto che potrebbe essere testimoniato solamente dai nostri bolli. Per ora la proposta di lettura e interpretazione dei bolli di Populonia contribuisce dunque a creare un castello di congetture ed a fornire ben poche certezze, ma siamo confortati da due premesse metodologiche con le quali in conclusione ci congediamo. «La conoscenza di tutti i fatti umani del passato – scriveva Marc Bloch (1969, p. 63) – ha come sua prima caratteristica quel- la di essere una conoscenza per via di tracce»; e queste tracce, ora materiali ora testuali, si prestano ad interpretazioni anche eccessive. Il rischio è che una ‘congettura’ diventi un ‘dato’. Effettivamente – come scriveva Arnaldo Momigliano (1974, p. 1190) – «due delle più serie tentazioni per uno storico sono di interpretare frettolosamente i testi e di dedurne conseguenze che i testi non ammettono. Ma è egualmente pericoloso illudersi che quanto non è documentato non è mai esistito».

DANIELE MANACORDA

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