Prof. GIANPIERO NEGRINI

LA VIA DELLA LANA E DELLO ZAFFERANO

Produzione e commercio dei due prodotti simbolo del territorio aquilano lungo l’antica via degli Abruzzi

Edizione a cura dell’Istituto di Istruzione Superiore “L. da Vinci – O.Colecchi” L’Aquila nell’ambito progetto didattico del P.O.F. 2013/2014 “Le vie della lana e dello zafferano” Cooordinatore prof. Gianpiero Negrini docente di Scienze Agrarie presso l’Istituto Colecchi

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Foto di copertina :

Il tratturo magno, in parte coincidente con il tracciato della via Claudia Nova e della via degli Abruzzi, nei pressi di Peltuinum

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INTRODUZIONE

La disponibilità di adeguate vie di comunicazione ha rappresentato in ogni epoca un elemento ineludibile per lo sviluppo delle economie delle comunità. I Romani avevano ben compreso l’importanza di un adeguato sistema viario per l’economia e la stabilità politica dell’impero e, pertanto, avevano costruito quella rete di comunicazioni ancora nota ai nostri giorni. Molte delle grandi strade di comunicazione ancora oggi seguono in gran parte il tracciato delle antiche strade consolari romane.

Lungo le strade si muovono i popoli e vengono intessuti rapporti commerciali, culturali ; una comunità esclusa o marginalmente toccata dalle grandi vie di comunicazione, rimarrà anche al margine dello sviluppo economico.

Vediamo pertanto come nell’Abruzzo aquilano l’evoluzione del sistema viario abbia accompagnato nella storia la vita delle comunità presenti nel territorio.

Nel 27 a.C, in territorio sabino e Forconia in quello vestino, che rappresentavano i principali centri di quello che era il comprensorio nel quale sarebbe sorta dopo oltre 12 secoli L’Aquila, furono annesse alla IV Regione (Sabina et Sannium), che corrispondeva agli attuali Abruzzo e Molise. Tre grandi strade congiungevano Roma alla IV regione : la più settentrionale era la , che collegava Roma con la costa adriatica. La seconda era la , che si distaccava dalla Salaria in prossimità di Interocrium (Antrodoco) e che attraverso Fisternae ( Valico di Sella di

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Corno e Vigliano) e Foruli (Civitatomassa), raggiungeva Amiternum , per poi inoltrarsi nell’attuale Valico delle Capannelle e raggiungere Interamnia (Teramo).

Fig.1 Viabilità nell’ Abruzzo aquilano in epoca romana (da A.Clementi)

La terza via, la più meridionale, che da Roma si inoltrava nel Sannio era la -Claudia; nel suo primo tratto essa prendeva il nome di . Dopo, la strada, assunto il nome di Valeria, toccava le colonie di Carsioli e , per terminare nella piccola località marsicana di Marruvium. Negli anni 48/49 d.C l’imperatore Claudio fece prolungare la

Valeria fino a Corfinio e poi, lungo la valle dell’Aterno la strada proseguiva

4 fino a Teate Marrucinorum (oggi Chieti) e, infine, alle foci del fiume Ostia Aterni, nei pressi dell'attuale . La nuova strada assunse dunque il nome di via Claudia-Valeria. L’imperatore Claudio, fece anche costruire la Via Claudia Nova, che, raccordandosi a Foruli (Civitatomassa frazione di Scoppito), con il tracciato della Caecilia proveniente da Antrodoco, raggiungeva la via Claudia Valeria alla confluenza del Tirino con l’Aterno, nei pressi di Bussi. Nella zona di Amiternum la Claudia Nova attraversava Pitinium (Pettino) e, seguendo l’Aterno, a valle della collina dove in seguito sarebbe sorta L’Aquila, si confondeva con il tratto iniziale del grande tratturo che arrivava al Tavoliere pugliese e, insieme, entravano nel territorio vestino. La strada proseguiva nella valle sino ad Aveia (Fossa), lasciandosi sulla destra Forcona (Civita di Bagno). Da Forcona iniziava la principale diramazione della Claudia Nuova, quella che, passando per Frustenia e l’altopiano delle Rocche, collegava l’alta valle dell’Aterno con la conca del Fucino.

ECONOMIA AGRICOLA IN EPOCA ROMANA NEL TERRITORIO AMITERNINO

Quello appena descritto era in epoca romana il sistema viario dell’attuale Abruzzo.

Quale era tuttavia la situazione economica della regione all’epoca dei Romani? Di sicuro l’attività economica prevalente era quella afferente al settore primario e segnatamente alla pastorizia.

L’ agricoltura poteva essere praticata in maniera redditizia solo negli orti dei pochi terreni pianeggianti di fondovalle circondanti le città di

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Amiternum e Forconia. A tal proposito valgono le testimonianze di due grandi agronomi e naturalisti romani come Columella e Plinio il Vecchio, che esaltano le proprietà di due rinomati prodotti orticoli amiternini quali il navone (un ibrido tra rapa e cavolo) e lo scalogno (un tipo di cipolla) . La tradizione degli orti amiternini sarà poi tramandata , in seguito alla costruzione della città dell’Aquila nel 13° secolo, ai contadini che avvieranno la pratica agricola nei terreni fuori le mura, a sud della città, vale a dire nell’attuale Rivera in prossimità della fontana delle Novantanove Cannelle . Così come i produttori di lana, gli orticoltori si raggrupperanno nel corso del 14° secolo in una corporazione l’Arte del Fogliame che parteciperà attivamente alla vita politica della città nel suo periodo di massimo splendore. Ancora ai nostri giorni sono rinomati, pur se prodotti in piccolissime quantità, i prodotti degli Orti della Rivera, irrigati con l’acqua proveniente della fontana delle Novantanove Cannelle.

Testimonianze di Plinio ci parlano inoltre della coltivazione ad Amiternum anche di un vitigno dal nome pumula, ovvero nano e basso, per via della forma di allevamento strisciante, adatta alle severe condizioni pedoclimatiche del posto . Da tale vitigno veniva prodotto un vino dal gusto brusco ed aspro.

L’EVOLUZIONE DELLA PASTORIZIA NEL TEMPO

Sicuramente l’attività agricola prevalente sin dall’epoca romana era tuttavia la pastorizia.

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La pastorizia è uno dei mestieri più antichi che l’uomo ha cominciato a praticare quando ha smesso la vita nomade per diventare agricoltore.

La disponibilità di erba Foto n.1 Ruderi della Grancìa di S.Maria del Monte a Campo Imperatore al pascolo tuttavia cambia nel corso della stagione e ciò ha sempre costretto l’uomo a spostarsi con il bestiame per cercare le risorse foraggiere di cui gli animali avevano bisogno per alimentarsi. Questi spostamenti nell’Italia centro meridionale, come in tutto il Mediterraneo, sono stati razionalizzati da tantissimo tempo dando origine a quel fenomeno noto con il nome di transumanza. L’Abruzzo aquilano è stato sicuramente , insieme alla Puglia, la regione che più di tutte è stata interressata da questo fenomeno, le cui origini si perdono nel tempo (rif. Bib.n.3). Sicuramente le popolazioni italiche come i Sabini, i Sanniti, i Vestini ed i Marrucini che vivevano in epoca preromana nella nostra regione, tradizionalmente ricca di pascoli, avevano l’abitudine di spostarsi con gli animali durante l’anno alla ricerca dell’erba migliore; tale pratica ricevette un notevole impulso durante l’età romana. Testimonianze ci vengono dai documenti storici lasciati da Columella, Cicerone, Varrone, Marziale, che parlano della ricchezza di erba dei pascoli amiternini. Lo spostamento delle greggi nel territorio richiede due condizioni essenziali: disponibilità di strade (calles) e stabilità politica. I

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Romani seppero garantire entrambe queste condizioni e questo spiega perché la pratica della transumanza fosse molto diffusa all’epoca del dominio di Roma.

Tutto ciò scompare con la decadenza dell’impero e le invasioni barbariche; bisogna aspettare il 12° secolo e la dominazione normanna per registrare un ritorno a tale pratica. L’impulso decisivo si ha tuttavia durante il dominio svevo ed angioino, quando si afferma e potenzia l’unità dell’Italia centro meridionale e l’Abruzzo diviene la regione più settentrionale del regno. Testimonianze archeologiche ci vengono dai resti delle cosiddette “grancìe”, ovvero masserie, come quella di Santa Maria del Monte a Campo Imperatore (foto n.1) fondate dai monaci cistercensi, o quelle dei Camaldolesi, considerati i primi vergari (pastori) dell’altopiano (rif.bib.n.2).

Il ricongiungimento al Tavoliere favorisce la riesumazione dei tratturi (calles) che nel medioevo erano stati ricoperti dalle selve. Tuttavia il 15° secolo e, più specificatamente il periodo del dominio aragonese, è quello nel quale si registra il forte sviluppo della pastorizia e della transumanza, che avrà poi il suo massimo splendore a cavallo tra la fine del 1500 e l’inizio del 1600.

Due sono i provvedimenti che più degli altri contribuiscono allo sviluppo della pastorizia transumante nell’Italia centro meridionale: l’istituzione della Dogana della Mena delle pecore in Puglia nel 1447 e l’importazione di arieti Merinos spagnoli per l’incrocio ed il miglioramento genetico delle razze ovine appenniniche esistenti nel regno.

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Entrambi questi provvedimenti furono presi per volere di Alfonso I° d’Aragona e furono ispirati da precisi motivi economici che spiegheremo di seguito.

L’istituzione della Foto n.2 Ovini di razza Gentile di Puglia dogana a Foggia serviva ad aumentare le entrate fiscali per le casse del regno, grazie ai proventi della fida pascoli imposta ai pastori transumanti nei terreni demaniali del Tavoliere. Nel periodo immediatamente successivo a quello della introduzione della dogana, gli ovini transumanti erano stimati a circa 1,7 milioni di capi, che saliranno a 5,5 milioni agli inizi del 1600; si può pertanto intuire quale incidenza avesse la pratica della transumanza per le casse del regno.

L’importazione degli arieti Merinos dalla Spagna, vale a dire della razza più pregiata al mondo per la produzione della lana, aveva come obiettivo quello di migliorare questa produzione che, all’epoca, così come fino a 50 anni fa, era la principale fonte di ricchezza per gli allevatori di pecore. Attraverso il meticciamento nacque la razza Gentile di Puglia (foto n.2), la

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più pregiata per la produzione della lana e la più allevata in Italia centro meridionale fino a qualche decennio fa.

Intorno al commercio della lana, così come a quello dello zafferano, L’Aquila fondò le sue fortune economiche; le entrate fiscali derivanti da tale commercio servirono a finanziare la costruzione di importanti opere pubbliche come l’Ospedale Maggiore e la Basilica di San Bernardino. Lo splendore

Figura n.2 Filatura e tessitura raggiunto dalla città fu tale che artigianale della lana (da F. Giustizia) Ferrante d’Aragona decretò l’istituzione a L’Aquila di una Università. Lo sviluppo che ebbero la produzione ed il commercio della lana generò i forti interessi economici che i mercanti fiorentini ebbero nel nostro territorio; le testimonianze architettoniche come la torre medicea di Santo Stefano di Sessanio, sono state la dimostrazione di quanto appena detto.

La potenza economica delle classi sociali dedite al commercio della lana, si tramutò ben presto anche in potenza politica, esercitata attraverso la cosiddetta Corporazione dell’Arte della Lana.

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Come nacque e come si consolidò il potere economico e politico del ceto mercantile dedito ai commerci del panno e della lana?

Di sicuro il ceto mercantile trae origine da quello artigiano dedito alla lavorazione della lana (fig.n.2). . Successivamente, sul finire del 14° secolo e, soprattutto nel corso del 15°, tale ceto sociale assume direttamente o indirettamente tutto il controllo di quella che oggigiorno viene chiamata filiera produttiva, vale a dire allevamento, trasformazione e commercio. Famiglie come quella dei Gaglioffi prendevano in affitto da titolari dei “beni popolari” le vaste aree a pascolo delle nostre montagne e le subaffittavano ai pastori transumanti che in estate tornavano dalle Puglie. Questi erano costretti a pagare il fitto con i proventi delle loro attività, vale a dire la lana, tosata ad inizio estate ed inizio autunno,cioè al ritorno e prima della partenza per la Puglia. Il prezzo della lana veniva stabilito in regime di monopsonio (monopolio di acquisto) dagli stessi mercanti a condizioni a loro vantaggiose. I mercanti dell’Arte della Lana esercitavano il controllo economico della città e quindi quello politico; ciò avvenne per circa due secoli, cioè fino a metà del 1500, quando in virtù della rigida politica fiscale spagnola, che sottopose la popolazione aquilana a forti gabelle, inizierà il declino economico e conseguentemente politico del ceto mercantile legato al commercio della lana. Il commercio della lana, così come quello dell’altra produzione agricola prevalente in quell’epoca, vale a dire lo zafferano, richiedevano un efficiente sistema viario. L’Aquila veniva a trovarsi in posizione di cerniera tra Napoli, Firenze, Venezia e, a nord la Germania, interessata all’acquisto dello zafferano.

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Il percorso Napoli- Firenze attraverso L’Aquila richiedeva mediamente 10 giorni di viaggio, mentre la transumanza Figura n.3 Le vie del commercio della lana e dello attraverso il zafferano nel 14° e 15° secolo (da A.Clementi) Tratturo Magno L’Aquila – Foggia, per via della complessità organizzativa legata al trasferimento degli animali ne richiedeva ventuno (fig.n.3).

Quali erano le vie attraverso le quali si muovevano le greggi, ovvero quali erano i percorsi dei cosiddetti tratturi? (fig n.4).Il più importante era sicuramente il Tratturo Magno L’Aquila-Foggia; c’erano poi il Centurelle- Montesecco, il Celano-Foggia, quello che da Castel di Sangro conduceva a Lucera e il Pescasseroli-Candela.

Il percorso del Tratturo Magno nel suo primo tratto, da L’Aquila a Bussi sul Tirino coincideva con il tracciato della Claudia Nova, che in questo modo, dopo i periodi bui dell’Alto Medioevo, veniva ad assumere di nuovo

12 un ruolo cruciale nell’economia del territorio aquilano (via della lana e dello zafferano).

Il tratturo principale aveva una larghezza di 111 metri, ma accanto ad esso esisteva tutta una rete viaria secondaria rappresentata dai “bracci” (larghezza media 35 metri) e “tratturelli” (18 metri) che consentiva il collegamento ai vari centri dediti alla pastorizia. Le infrastrutture erano completate dai “riposi” , vere e proprie aree di sosta dell’ampiezza di 56 ettari, ricche di ombra e di acqua per abbeverare gli animali. Lungo i tratturi venivano costruite chiese, (foto 3 A e 3 B). luoghi di culto, ma anche riparo in caso di intemperie. Nel percorso di queste “autostrade verdi” si muoveva due volte l’anno, a fine maggio ed a fine settembre, un vero e proprio esercito costituito da animali (le aziende potevano essere costituite da 5000 o 10000 capi) e uomini.

L’organizzazione di un’azienda pastorale transumante prevedeva In ordine gerarchico: il pastore massaro (proprietario armentizio), i pastori dipendenti addetti alla sorveglianza del bestiame, i butteri con relativi dipendenti , adibiti al trasporto delle masserie tramite gli animali da soma . Completavano l’ “organico” dell’azienda i casari addetti alla produzione di formaggi, il cui principale mercato, come per la lana era la fiera di Foggia che si teneva in maggio. Il viaggio attraverso i tratturi lunghi fino a 250 chilometri, durava mediamente tre settimane; nulla era dovuto per il passaggio delle greggi sulle terre dei feudatari. La Dogana di Foggia era anche la sede dell’unico foro presso il quale i “locati”, ovvero i pastori affidatari dei pascoli del Tavoliere potevano essere giudicati.

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Un’altra produzione agricola che determinò lo splendore economico dell’Aquila nel 14° e 15° secolo fu lo zafferano proveniente dalla Spagna intorno al 1300.

Figura n. 4 I tratturi dall'Abruzzo alla

Puglia

Figura 3 A ( a sinistra) Chiesa di S. Maria Figura 3 B Chiesa di Santa Maria di

delle Grazie (foto V.Battista) Centurelle

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ZAFFERANO

Nell’antica Roma la spezia, che veniva importata dalla Cilicia (Asia Minore), vale a dire dalla sua culla di origine, era utilizzata per produrre profumi ed unguenti, ma anche come pianta afrodisiaca e soporifera. La regina egiziana Cleopatra, particolarmente attenta alla cura del corpo, la usava per dare un tocco dorato alla sua pelle. Plinio nella sua Historiae Naturalis parla di un unguento (Crocomagna) utilizzato contro la cataratta e le esulcerazioni dello stomaco, del petto, reni, fegato e polmoni. L’utilizzo della pianta sia in purezza, sia mescolata ad altre essenze, per produrre profumi è testimoniata dallo stesso Plinio, che parla del Crocinum, fatto esclusivamente con lo zafferano. L’importazione di zafferano raggiunse uno sviluppo notevole durante il periodo imperiale, quando era largamente utilizzato dalle classi più abbienti durante i loro banchetti, sia per mescolarlo al vino, sia per profumare le sale sia, addirittura, per creare cuscini con i petali sui quali far riposare le nobili teste dei commensali. Il Medioevo rappresenta inizialmente anche per lo zafferano un periodo buio; il suo uso in Europa andò a scomparire con il dissolversi dell’impero romano; già prima del mille e precisamente nel 961 le cose cominciano tuttavia a cambiare, allorchè con l’invasione araba della Spagna la spezia fa il suo ritorno in Europa e questa volta non solo con l’importazione, ma anche con la coltivazione. Sarà proprio dalla Spagna, che la pianta verrà poi portata in Abruzzo tre secoli più tardi.

Artefice di questa operazione epocale per lo zafferano fu un frate domenicano, padre Santucci, inquisitore al servizio del sovrano Filippo II,

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che di ritorno a Navelli sua patria di origine, pensò di portare con se i bulbi ed a dare l’avvio alla coltivazione nell’altopiano aquilano. Il sistema di coltivazione venne tuttavia realizzato con una variante di non poco conto rispetto a quanto si faceva nella penisola iberica: quella di trasformare la coltura da poliennale ad annuale, differenza tuttora esistente tra la produzione spagnola e quella italiana. Da questo momento in poi, siamo intorno al 1300, la storia dello zafferano si intreccia con quella della città aquilana. Ben presto il commercio della spezia attiva una redditizia attività economica che non poteva di certo sfuggire alle attenzioni dei gabellieri, che dall’esazione delle imposte ricavavano ingenti introiti. L’esosità di tali gabellieri non era certo gradita ai mercanti che rivolsero una supplica al re Roberto d’Angiò il quale non rimase insensibile a tale richiesta, imponendo nel 1317 agli esattori di non sottoporre il commercio dello zafferano ad ulteriori tasse. Tale privilegio fu confermato dalla regina Giovanna I nel 1376. L’Aquila grazie allo zafferano e grazie alla lana proveniente dal florido allevamento ovino divenne il crocevia di un commercio che seguiva l’asse Napoli-Abruzzo-Firenze-Venezia e Milano per arrivare fino alla Germania. Lo stesso Marco Polo pare che portò con se in Oriente lo Zafferano di L’Aquila come merce di scambio, per barattarlo con le preziose sete. Nel 1400 i mercanti tedeschi preferirono insediarsi nella città per curare direttamente tale commercio aggirando l’intermediazione dei mercanti veneziani e destinare il prodotto a Norimberga, Augusta, Francoforte. Fu questo il periodo più florido per la coltura e per la città: il 1445 vede la nascita dell’Ospedale Grande, uno dei primi ospedali pubblici italiani, il 1454 la posa della prima pietra della

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Basilica di San Bernardino da Siena. Successivamente nel 1458 si ha la nascita dell’Università per volere di Ferrante I d’Aragona e, nel Foto n. 4 Pianta di zafferano 1481, l’apertura di una fiorente tipografia da parte di Adamo de Rotweill allievo di Guttembertg. L’Aquila con 40000 abitanti diviene quindi la seconda città per importanza del Regno dopo Napoli. Dopo tanto splendore durante il Rinascimento, nella seconda metà del 1500 inizia però un periodo di decadenza del commercio dei due prodotti e della città, dovuta alla perdita dei precedenti privilegi fiscali, ma anche ad una serie di carestie e terremoti.

CARATTERISTICHE BOTANICHE E COLTIVAZIONE DELLO ZAFFERANO

Lo zafferano è una pianta la cui diffusione è legata ai territori ricadenti nel bacino del Mediterraneo. Il comprensorio dell’altopiano di Navelli, compreso tra i 600 ed i 1000 metri di altezza, in un contesto submontano, potrebbe sembrare all’apparenza, non idoneo alla coltivazione della pianta. Le temperature medie annuali (12° C) sono infatti sensibilmente

17 più basse rispetto a quelle dei territori siciliani, sardi, spagnoli e greci dove trova diffusione la pianta.

Anche la piovosità è sensibilmente diversa: 700 mm di media contro i 400- 550 delle zone suddette. In questo ambiente fresco, quasi al limite delle possibilità ecologiche della pianta, lo zafferano ha saputo trovare tuttavia il suo areale di elezione, attraverso la coltura annuale, in terreni originatisi da matrice carbonatica e pertanto ben dotati di calcare attivo (a volte con valori quasi al 20%), con reazione sub alcalina o alcalina (pH 7,5-8,5), mediamente dotati di sostanza organica ed azoto, con bassa dotazione di fosforo assimilabile e con tessitura sabbio-limosa. Un aspetto molto importante delle caratteristiche pedologiche è quello che il terreno deve risultare ben drenato, pena l’insorgenza di marciumi nei bulbi facilitati dai ristagni di acqua.

La siccità estiva che caratterizza molto spesso le zone in cui è diffusa la pianta non creano molto stress, perché in tale periodo la pianta è in una fase di stasi vegetativa; i bulbi ormai raggiunta la maturazione vengono pertanto scavati per le operazioni di cernita e successivo trapianto. Molto importanti risultano le prime piogge di fine estate per garantire la germinazione dei bulbi-tuberi, mentre la fioritura è facilitata dalle giornate autunnali caldo umide, al contrario del freddo e della neve che provocano un prolungamento della durata dell’antesi ben al di sopra del periodo medio che normalmente è valutabile intorno ai 20 giorni.

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TECNICHE DI COLTIVAZIONE DELLO ZAFFERANO

Nell’ambito delle rotazioni colturali sarebbe opportuno alternare lo zafferano alle altre colture facendolo seguire ad una sarchiata oppure al grano in modo che la pianta non ritorni nello stesso appezzamento se non dopo 10 anni. Oggi questo intervallo si è accorciato, comunque è buona norma aspettare almeno 6-7 anni prima di reimpiantare lo zafferano nel medesimo appezzamento.

Il terreno da destinare alla coltivazione dello zafferano viene arato alla profondità di 30 centimetri con lauto anticipo (a volte a fine inverno inizio primavera) rispetto all’epoca di trapianto dei bulbi che nel comprensorio di Navelli è collocata nella seconda decade di agosto. Prima della messa a dimora dei bulbi si procede all’affinamento del terreno attraverso la fresatura, quindi gli appezzamenti vengono divisi in aiuole larghe 80 centimetri, lunghe 40-50 metri, dove vengono impiantati i bulbi in 4 file distanti tra di loro circa 15 centimetri. Ogni aiuola è separata da quella adiacente da un vialetto di servizio posto ad un dislivello di circa 10 centimetri da quello di coltivazione dell’aiuola.

Il vialetto di servizio serve per agevolare il compito del raccoglitore che provvede alla raccolta di due file alla sua sinistra ed altrettante alla sua destra. I solchi si scavano ad una profondità di 10 centimetri, sul loro fondo vengono sistemati i bulbi con la punta rivolta verso l’alto e successivamente rincalzati dal terreno ottenuto dall’apertura del solco successivo.

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I bulbi che vengono messi a dimora sono quelli provenienti dalla cernita del prodotto scavato in luglio; vengono scelti preferibilmente quelli di diametro superiore ai 2,5 centimetri (quelli piccoli non producono fiore nel primo anno della messa a dimora). Un’operazione che viene fatta all’atto dell’impianto è l’eliminazione delle tuniche più esterne dei bulbi, così come quella del cercine radicale appiattito, residuo del bulbo dell’annata precedente; tutto ciò ha lo scopo di evitare l’insorgenza di marciumi provocati da funghi il cui sviluppo è agevolato dai residui organici . Il quantitativo di bulbi occorrente è di 13-15 quintali ogni 1000 metri quadrati (circa 60-70000 bulbi di 20 grammi, visto che mediamente per formare 1 chilogrammo di bulbi ne occorrono 50 unità).

Se c’è un’adeguata piovosità, i bulbi nel giro di un paio di settimane dall’impianto germogliano e dopo circa sei settimane avviene la fioritura, che si protrae per altre tre settimane a cavallo tra la fine di ottobre e la prima decade di novembre. L’epoca di fioritura è condizionata tanto dal momento dell’impianto quanto dal decorso climatico della stagione.

La raccolta dello

Foto n. 5 Raccolta dei fiorii di zafferano da parte degli zafferano è noto che alunni dell’Istituto Agrario di L’Aquila

20 va fatta, in maniera delicata nelle prime ore del mattino, quando il fiore è ancora chiuso, evitando il danneggiamento dello stimma. Il fiore va reciso alla sua base con l’unghia del pollice, premuta contro l’indice. I fiori vanno riposti su cesti di vimini senza premerli per facilitare le successive operazioni di sfioritura. Nei giorni di piena antesi non sempre si riesce a completare la raccolta prima che il sole riscaldi il terreno, mentre quando il cielo è nuvoloso, si può protrarre la raccolta anche nel resto della mattinata. Nel caso di brinate è invece opportuno aspettare che la temperature dell’aria si riscaldi in modo da raccogliere il fiore dopo che questo ha perso la fragilità provocata dal freddo.

Ogni bulbo di buona pezzatura può produrre nella stagione da 2 a 5 fiori.

Da un ettaro di zafferaneto si ottengono mediamente 1400000 fiori pari 750 chilogrammi freschi, dai quali si ricavano 50 kg di stimmi da essiccare; considerando una perdita di peso con la tostatura di 4/5 , la resa media in prodotto finito è di 10 kg di zafferano essiccato per ettaro. Tutto ciò fa intuire quanto sia onerosa la raccolta e la successiva operazione di sfioritura e come ciò debba Foto n. 6 Fiori di zafferano dopo la raccolta

21 necessariamente riflettersi sul prezzo di vendita del prodotto.

Foto 7 Operazioni di sfioritura degli stimmi da parte degli alunni dell’Istituto agrario di L’Aquila presso la Cooperativa di Civitaretenga

Conclusioni

Quelli appena descritti sono alcuni degli aspetti delle due produzioni, zafferano e lana che, a cavallo tra il 14° e 15° secolo, hanno dato splendore alla città dell’Aquila. Grazie al sistema viario dell’epoca, nell’ambito del quale era inserito strategicamente il tracciato della via Claudia Nova, antica tratta di quella che sarebbe diventata la via degli Abruzzi, si sviluppavano i commerci di questi due prodotti.

Tali produzioni hanno consentito l’affermazione dell’economia locale ed hanno fatto in modo che L’Aquila , situata in posizione di cerniera nei

22 traffici commerciali lungo l’asse Napoli-Firenze, diventasse la seconda città del Regno di Napoli.

L’evoluzione successiva del sistema delle comunicazioni, in particolare quelle ferroviarie, che privilegeranno le zone costiere a discapito di quelle interne, escluderanno in parte la città dallo sviluppo industriale del 19° e 20° secolo.

La stessa Via degli Abruzzi (l’attuale strada statale 17) rimarrà rilegata più alla funzione di arteria di importanza regionale.

La domanda che a questo punto ci si può chiedere è la seguente: si può superare questa situazione di stallo? Se guardiamo ad alcune esperienze che giovani imprenditori stanno attivando, la risposta non può che essere positiva. Si stanno infatti sviluppando interessanti iniziative nel settore dei prodotti agroalimentari, attivando delle vere e proprie microfiliere produttive; tutto ciò accade in un contesto territoriale di incomparabile bellezza e di alto pregio ambientale. Stanno sorgendo altresì interessanti iniziative di accoglienza turistica come gli alberghi diffusi, nei borghi del versante meridionale del Gran Sasso. Tali iniziative stanno dando nuova vita a questi centri che, quanto a bellezze non hanno nulla da invidiare ai più blasonati borghi di altre regioni di Italia.

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BIBLIOGRAFIA

1) Battista Vincenzo “La terra dello zafferano- Tradizione popolare e coltivazione dello zafferano nell’Altopiano di Navelli” Amministrazione Provinciale dell’Aquila - 1991

2) Bonanni Teodoro “Il passato e l’avvenire dell’agricoltura, della pastorizia,delle produzioni e del rapporto di queste con la proprietà fondiaria nella provincia di Aquila” da “L’Abruzzo ed il Molise nell’inchiesta agraria Jacini 1877-1885” - Roma 1995 3) Clementi Alessandro “L’Abruzzo ed i suoi parchi : dimensione fisica” da “Compatibilità delle attività agro forestali nelle aree protette” Accademia dei Georgofili 1994. 4) Clementi Alessandro - Piroddi Elio “Le città nella storia d’Italia : L’Aquila - Editori Laterza – Quarta edizione 2009 5) Giustizia Fulvio “Prolegomeni e frammenti di storia di un territorio” Comunità Montana Campo Imperatore- Piana di Navelli -2005 6) Manzi Aurelio “Un patrimonio agronomico straordinario” Da “Agrobiodiversità” Parco Nazionale Gran Sasso-Laga 2008 7) Marra Luigi “Il purissimo zafferano dell’Aquila. Storia e ricette. Edizioni Libreria Colacchi. 1991 8) Negrini Gianpiero “Pecorini abruzzesi. Qualità e tradizione” Informatore zootecnico n.18/96 Edagricole 9) Negrini Gianpiero “La pastorizia nell’Abruzzo Aquilano. Tradizioni e situazione attuale” Quaderni della Pro Loco Coppito 2007

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10) Negrini Gianpiero “Lo zafferano dell’Aquila – Origini ed attualità di una pianta dalle molteplici virtù (in corso di pubblicazione). 11) Slim “Pastori d’Abruzzo” Gruppo Editoriale Editoriale L’Aquila -1995 12) www.marruci.it “Vie di comunicazione nell’epoca romana in Abruzzo”

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INDICE Intoduzione……………………………………………………………………………………………………pag.3

Economia agricola in epoca romana nel territorio amiternino…………………….….pag5

L’evoluzione della pastorizia nel tempo……………………………………………….…………pag.6

Zafferano………………………………………………………………………………………………………pag.15

Caratteristiche botaniche e coltivazione dello zafferano…………………………..….pag.17

Tecniche di coltivazione dello zafferano……………………………………………………….pag.19

Conclusioni……………………………………………………………………………………………..……pag.22

Bibliografia……………………………………………………………………………………………..……pag.24

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