Castelasc di Castelnovate: un albero cresciuto San Bartolomeoall'interno al Bosco, in pievedella di Appiano. torre C. Foto M. Colaone IN CIMA AI COLLI Castelnovate e il suo castrum colpevolmente dimenticato

DI MATTEO COLAONE - PARTE PRIMA

Seconda fortificazione del Seprio, è stata oggetto solo di indagini uperficiali: le sue vestigia si sgretolano, di anno in anno, erose dalla vegetazione e dall’inadeguatezza delle istituzioni.

Nella rassegna ‘In cima ai colli’ abbiamo già presentato casi molto preoccupanti circa la con- dizione delle strutture fortificate antiche e medievali che il Seprio custodisce. Il caso di Castel- novate è fra le situazioni più inaccettabili per chiunque abbia interesse per il nostro patrimonio archeologico, storico e comunitario. Ciò è vero per diverse ragioni. Il poco che conosciamo su questo c.d. castrum ha permesso di ritenere che si sia trattato di un luogo di importanza pri- maria nella struttura territoriale, politica ed economica dell’Insubria centro-occidentale, perlo- meno dall’epoca tardoromana a quella medioevale: un’insediamento militare, dotato di porto sul e strategicamente in connessione con Castel Seprio e Pombia, e, più ad ampio rag- gio, con Novara, Como e Milano, e forse addirittura con Eporedia e Aquileia. In secondo luogo, escludendo gli eruditi sette-ottocenteschi, se ne sono occupati in modo sostanziale soltanto due studiosi: Mario Bertolone fra il 1930 e il 19341, che impostò una indagine superficiale sulle emergenze archeologiche della zona e propose una lettura di alcuni elementi storiografici; quindi, nel 1991, ben un sessantennio dopo, Marco Balbi2, cui va il merito di aver prodotto un aggiornamento completo, riordinando in modo sistematico quan- to disponibile e aggiungendo osservazioni sul campo e nuove ipotesi. La mancanza di veri e propri studi archeologici non crediamo possa permettere ulteriori avanzamenti; inoltre, ciò rende più evidente il totale e rischiosissimo abbandono in cui versa- no i ruderi di Castelnovate, segno di responsabilità diffuse, da imputarsi agli Enti locali, alle Soprintendenze, agli stessi proprietari dei terreni, che fino ad ora sono stati incapaci non solo di impostare un piano di recupero, ma nemmeno di tamponare il degrado di una zona archeo- logica che col passare degli anni subisce irrimediabili perdite: si assiste allo sgretolamento delle strutture, all’avanzamento della vegetazione e in particolare dei rampicanti, all’abbandono di rifiuti, dovuto a visitatori estemporanei non consapevoli di ciò che calpestano. Così stando le cose, senza il preventivo riordino dell’area, ha oggi poco senso tentare un nuovo rilievo, che sarebbe però utile per ‘fotografare’ lo status quo rispetto alla ricognizione di

(1) M. Bertolone, “Appunti storici e archeologici su Castelnovate”, in Rassegna Gallaratese di Storia e d’Arte, n. 5, 1934, pp. 25-37. (2) M. Balbi, “Pombia e Castelnovate nel sistema difensivo tardo antico medioevale pedemontano del Ticino”, in Contrade nostre, n.35, Turbigo, 1991, testo in realtà tratto dalla tesi di laurea conseguita dallo stesso autore nell’anno accademico 1984/85 presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università Cattolica di Milano.

85 Vista satellitare dell'ansa di Castelnovate.

Bertolone e anche a quella di Balbi, da cui, comunque, sono già passati vent’anni. Sulla base di questo pensiero, a fine 2010 alcuni volontari dell’associazione Domà Nunch hanno sottoposto al Comune di Vizzola Ticino un progetto di pulizia e messa in sicurezza, poi approvato con delibera; purtroppo motivi ignoti non hanno ancora permesso all’Amministrazione di ma- terializzare la proposta. E tutto ciò accade a soli tre chilometri dal Ter minal 1 dell’Aeroporto della Malpensa, in una delle zone più ricche della Provincia. Doverosamente premesso ciò, ripercorriamo ora le conoscenze acquisite, le quali, sebbene rintraccibili leggendo i citati autori, ci sono sembrate ugualmente meritevoli di una nuova sin- tesi, considerata la distanza nel tempo e la difficolta di reperimento delle loro pubblicazioni. Inquadramento. Castelnovate è parte del Comu- Vizzola: Bonifica Caproni. ne di Vizzola Ticino, il cui territorio conta poco più di 500 abitanti, solo una minor parte dei quali risie- dono nel villaggio di Vizzola, praticamente rifonda- to dai Caproni, mentre i più vivono nella frazione, che è di fatto il vero paese. I due centri sono collega- ti da una sola carrozzabile. Questo asse segue il dorso di una collina dal profilo allungato, a ca. 200 m. s.l.m, che costituisce la quota maggiore di una più ampia ansa che segue un andamento NO- SE, circondata dal Ticino che scorre 30-40 m. più in basso. È facilmente intuibile come questo promontorio, che si stacca dalla pianura che penetra a oriente, abbia presentato dei caratteri unici rispetto alla morfologia circostante. Al termine del colle si trova prima il nucleo antico di Castelnovate, e, proprio sul margine ultimo del declivio, all’interno di quello che ora è un bosco, sono visibili i resti del castrum, detto Castelasc dai locali: un microtoponimo che conferma la sua presenza diffusa3 a descrivere un castello da tempo in disuso e rovinato. Nell’intera regione a cavallo del fiume, le testimonianze archeologiche sono piuttosto abbon- danti, e a riprova di ciò molte sono state frutto di ritrovamenti casuali. È impossibile non pensa-

(3) ‘Castelasc’, a volte italianizzato in Castellazzo, si ritrova, a titolo non esaustivo, ad , , , Bollate, , Capronno, , , Fagnano, Laino, , , Montonate, Somma, Velate, Villadosia, Viggiù e in diverse località diCanton Ticino, Lario e Valtellina; analogamente il topomino ‘turascia’ segnala ruderi di antiche torri.

86 IN CIMA AI COLLI re alle culture di Protogolasecca (XII-IX secolo a.C) e (IX-V secolo a.C.) per inquadra- re la vetustà della frequentazione umana in loco, di cui abbiamo conoscenza soprattutto tramite le espressioni funerarie. Alcune di queste emergenze, risalenti alla tarda età del Bronzo, hanno toccato anche il territorio di Vizzola e della Malpensa, e sono state segnalate negli anni Settanta4. L’età romana, di per sé, deve avere coinvolto questa zona soprattutto come tramite viario e com- merciale, con la creazione delle ipotetiche e stra-citate strade Como-Novara e Milano-Verbano5; la prima delle quali, nonostante dovesse assumere la forma di un fascio di varianti, doveva avere nell’ansa di Castelnovate un collo di bottiglia obbligatorio per il passaggio del Ticino, via guado. Dall’altra parte della valle, a meno di tre chilometri, c’è Pombia, in qualche modo gemella e speculare a Castelnovate. Non a caso, le due località castrensi sono state lette in parallelo da Bal- bi, che ha avuto il merito di rivedere alcuni problemi in sospeso. Uno di questi, cui riferiremo nella seconda parte, è la presenza di zecche di epoca longobarda in entrambi i centri. Per quanto riguarda invece più strettamente le strutture fortificate, a priori si potrebbero in- quadrare nelle opere del limes alpino e/o pedemontano edificate tra IV e V secolo d.C. e quindi cadute in mano barbarica con lo sgretolarsi dell’Impero6. Ad ogni modo, nonostante la ricca bi- bliografia su tali vicende, la loro interpretazione continua a tenersi più all’interno della specula- zione storiografica che tra i frutti della ricerca archeologica: molto sarebbe ancora da chiarire sul- l’organizzazione politica, difensiva e militare dell’intero territorio. Si pensi ad esempio che a Ca- stelseprio, le conoscenze e l’attribuzione di alcune strutture della tarda romanità si devono anco- ra principalmente agli scavi di archeologi polacchi d’inizio anni Sessanta7 e che quindi nulla di certo si può dire su Castelnovate nè sugli altri castra e torri minori sepriesi, mai indagati finora. Documenti. Il toponimo, nella sua declinazione di Flavia Novate, compare sui tremissi di Desiderio risalenti all’VIII secolo8 di cui si dirà. Il Liber Notitiae riporta il nostro villaggio come Castro Nouate9, così come la Matricula Nobilium di Ottone Visconti10. Una famiglia dei da Ca- stelnovate è anche nei Commentari del gerenzanese Raffaele Fagnani (XVI sec.)11, che registra

(4) A. Mira Bonomi, “Urna di Protogolasecca II a Vizzola Ticino”, in La veneranda anticaglia, 1970, pp.51-56; “Nuovi insediamen- ti del Bronzo Finale alla Malpensa nella Lombardia Occidentale”, in Rassegna Gallaratese di Storia e d’Arte, n.35, 1976-77-78, pp. 5-23; più di recente, R. C. de Marinis, La civiltà di Golasecca: i più antichi Celti d’Italia, pp. 19-22 [www.archeoserver.it]. (5) G. Soldi Rondinini, “Le strade del Seprio nel medioevo”, in e il Seprio nel medioevo, , 1994, pp. 81-82. (6) A. Settia, “Le fortificazioni dei Goti in Italia”, in Teodorico il Grande e i Goti in Italia, Spoleto, 1993, pp.101-31. (7) Cfr. M. De Marchi, “Castelseprio: il castrum, lo stato delle conoscenze tra tardo antico e alto medioevo. Note”, ne Il Seprio nel Medioevo, Il Cerchio, Città di Castello, 2011, p. 50. (8) E. Arslan, “Le monete”, in Magistra barbaritas. I barbari in Italia, Scheiwiller, Milano, 1984, p. 430; E. Arslan, “Le mone- te”, ne I Longobardi, Electa, Milano, 1990, p. 165 e ss.; R. Pardi, Monete Flavie Longobarde. Emissioni monetali e città lon- gobarde nel secolo VIII, I.P.Z.S., Roma, 2003, p. 63. (9) Dove, chiaramente, non è fatta distizione fra le lettere ‘u’ e ‘v’: M. Magistretti, U. Monneret De Villard, Liber notitiae Sanctorum Mediolani. Manoscritto della Biblioteca capitolare di Milano, Milano, 1917 e 1974, 11D e 13 A. (10) Sono riportati i “Tabusiis de Castro Novate”: Matricula nobilium familiarum Mediolani rogata de anno 1277 sub die 20 aprilis per do- minum Marchum de Ciochis Mediolani notarium, et Curiae Archiepiscopalis Mediolani cancellarium, Archivio di Stato, Milano. Cfr. pure L. Besozzi, “La Matricula delle famiglie nobili di Milano e Carlo Borromeo”, in Arch. Storico Lombardo, 1984, pp. 273 ss. (11) R. Fagnani, Commentarii sulle Famiglie Milanesi, ms. originale alla Biblioteca Ambrosiana di Milano; ma si veda anche: S. Bonelli, “Raffaele Fagnani ed i suoi Commentari intorno alle famiglie milanesi”, in Arch. Storico Lombardo, 1906, pp. 195 ss.

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una virginem Beatrice Bontraversi Castronovati filiam (1258), il politico Florius de castronovate (1447), suo fratello Johannes de castronovato (1460) e infine il loro padre Giuseppe (1470)12. Se Novatum si riferisca a una ricostruzione dell’insediamento, non è dato saperlo; ciò fosse, dovrebbe riferirsi a eventi antecedenti la comparsa del nome sui conî longobardi, che rappre- sentano quindi l’attuale termine ante quem. Ancora, solo più approfondite prospezioni archeo- logiche potrebbero fornire una più precisa scansione cronologica di ciò che avvenne veramente. Qualcosa però già ci può dire una pergamena dell’archivio della Fabbrica del Duomo, che an- nota una vendita di beni “positas et iacentes in castro, loco, villa et territorio Castri Novate” del 138913. Dunque, in quel tempo, l’insediamento sarebbe stato costituito da tre località; distinzione che, con un po’ di rischio, ammetterebbe di identificare il castrum con le rovine attuali, senza però e- scludere che esso fosse da intendere come l’intero dorso della collina, possibilmente cinta da mu- ra, sul quale, dice sempre il documento, sorgeva anche un palacio ancora prospero. Era questo l’unico seddimina non citato fra i dirupti, e doveva trattarsi di un complesso importante per nu- mero e qualità dei vani che accoglieva, forse sede d’un signore. Balbi tenta così un inquadramen- to di questo spaccato: “ci troveremmo cioè di fronte ad un esempio di quel processo di trasfor- mazione del castrum da villaggio fortificato a residenza signorile, con conseguente riduzione di superficie di aree fortificate”, tipico dei secoli successivi al XII14. Bertolone aveva affermato, più in generale, “che il periodo di massimo splendore […] non dovette superare il secolo XV. Nel se- colo XVI tutto è già finito. […] Distrutto e abbandonato? E per quali cause? La storia e muta.”15 Storia degli studi precedenti. Come abbiamo detto, il panorama delle ricerche su Castelno- vate è limitato. Il primo autore a occuparsene fu Francesco Campana, nel 1784, con queste poche righe: “Castel Novate è Villaggio in riva al Ticino. Non è gran tempo cadde una Torre, nella quale stava un marmo, che presentava scolpito il nome di Rutilio Romano [sotto]. Nei contorni di Castel Novate furono rinvenuti degli speroni di anti- co gusto.”16 Apprendiamo in tal modo come si desse totalmente per scontato, visto il toponimo, che in Castelnovate vi fosse una fortificazione, ma anche che essa fosse in stato di avanzata rovina. Nel 1824, Giovan Battista Giani dedicò alcuni passaggi17 del- la sua Battaglia del Ticino fra Annibale e Scipione alla descri- zione dei ruderi della zona, a suo avviso romani. Oltre a dare u-

(12) R. Fagnani, op. cit., f. 248, pp. 249 e 250. (13) Archivio della Fabbrica del Duomo di Milano, c. 316, f. Castelnovate. (14) M. Balbi, op. cit, p. 128; A. Settia, “La struttura materiale del castello nei secoli X e XI. Elementi di morfologia castellana nelle fonti scritte dell’Italia Settentrionale”, in Bollettino Storico-bibliografico Subalpino, n.77, 1979, pp. 410-11. (15) M. Bertolone, op. cit., p. 29. (16) F. Campana, Monumenta Somae locorumque circumjacentium, Cesare Orena, Milano, 1784, cap. XIX. La traduzione del passaggio riportato è dell’edizione volgarizzata di G. B. D., Francesco Pulini al Bocchetto, Milano, 1812. (17) G. B. Giani, Battaglia del Ticino tra Annibale e Scipione ossia Scoperta del campo di P. C. Scipione, delle vestigia del ponte sul Ticino, del sito della battaglia e delle tombe de’ Romani e de’ Galli in essa periti, Imperiale Regia Stamperia, Milano, 1824, pp. 84-87, e p. 23-25 della Risposta.

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na trascrizione completa di tre epigrafi rinvenute nei muri della fortificazione, il sacerdote avan- zò una comparazione con altre strutture da lui osservate: “Quello che ho osservato d’essenziale negli avanzi delle torri di Castelnovate, si è che le medesime hanno delle vedette e delle fine- strelle somigliantissime a quelle del torrazzo di Sesona, eguale è pure la materia, eguale è la gros- sezza e forma dei muri, eguale la capacità delle torri, di modo che tutte queste somiglianze ci son d’argomento che questi monumenti furono costrutti dai popoli medesimi in epoche tra loro vicine. Ora io ragiono così.”18 Le tre lapidi romane descritte dal Giani rappresentarono i primi ritrovamenti archeologici effettivamente registrati. Oltre a quella di Rutilio, ve n’è una dedica- ta a Giove da un soldato, Lucio Valerio Messore. Esse dovevano essere murate fino ai tempi del Campana, e successivamente furono trasportate in paese. Infatti le due citate sono ancora con- servate su un lato della Parrocchiale, mentre la terza è andata sfortunatamente dispersa19. Più povere osservazioni furono inserite non dal Bombognini, come afferma Balbi, ma da Carlo Radaelli, che pubblicò, nel 1828, l’edizione corretta dall’originale Antiquario, quindi in epoca già edotta del lavoro del Giani; e vi dice che Castelnovate “con lo stesso nome fa vedere che fosse anticamente una forte rocca contro gli invasori della bella Insubria”20. Influenzato dagli scritti dell’abate di Golasecca fu anche don Carlo Moramini, parroco di Ca- stelnovate tra il 1855 e il 1868. La sua opera è ancora nell’alveo dell’erudizione, ma dal Giani probabilmente apprese quanto interessante fosse monitorare il lavoro dei contadini che, scavan- do i loro terreni, inumavano involontariamente oggetti del passato. Tutto ciò che vide lo anno- tò nell’Indice delle cose più memorabili di questa parrocchia di Castelnovate (1885) e in Me- morie dell’Antichità di Castelnovate (1859)21. Se Moramini cercò di dare una collocazione cro- nologica dei reperti facendoli risalire alla conquista romana, al contempo sottilineò il potenzia- le archeologico del luogo, peraltro, s’è detto, mai espressosi appieno. Difatti, a detta dello stes- so, la località doveva presentarsi come una miniera di reperti, perché ovunque si scavasse si pote- vano trovare resti murari, tombe, vasi di terracotta e sepolture. Fra queste, da segnalare il proba- bile guerriero longobardo con corredo di scudo, spada con impugnatura d’oro e speroni, il cui scheletro era protetto da un coperchio raffigurante un non meglio identificato simbolo solare22. In seguito, se escludiamo i poco utili scritti di don Francesco Luoni23, Castelnovate dovette aspettare l’interesse di Mario Bertolone, al tempo regio ispettore alle Antichità per la Provincia di , che si occupò di censire i reperti provenienti dal paese all’interno di un più vasto dise- gno di catalogazione degli oggetti archeologici del territorio24, conservati in modo eterogeneo

(18) Si veda inoltre il nostro “Sui ruderi delle Corneliane. La turascia di Sesona”, in Terra Insubre, n. 53, 2010, in particolare p. 92. (19) Sono comunque tutte trascritte in: T. Mommsen, Corpus Inscriptionum Latinarum, V.5569, 5570, 5571. (20) F. Bombognini, Antiquario della diocesi di Milano (…) con correzioni e aggiunte del dottore Carlo Radaelli, Pirotta, Mi- lano, 1828, pp. 7-8. La versione originale è del 1788. (21) Inediti e conservati nell’Archivio Parrocchiale. (22) Forse una rosa delle Alpi come quella della stele di Rutilio? (23) F. L uoni, Vizzola Ticino: notizie brevi raccolte dal Sac. Luoni Francesco, Pisoni, , 1906. (24) M. Bertolone, “Scoperte archeologiche nella provincia di Varese”, in Rassegna Gallaratese di Storia e d’Arte, f. 105- 107, 1932-33, pp. 141-57.

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Sepoltura rinvenuta dai Caproni. fra enti statali e collezioni private. Alla pubblicazione di questo studio sulla Rassegna Gallaratese, seguì nel 1934 un secondo articolo proprio su Castelnovate, più circostanziato e frutto di ricognizioni avvenute negli anni precedenti25. Fra le persone del- la cui esperienza Bertolone si avvalse per le sue ricognizioni, vi era Federico Caproni, fratello del più noto Giovanni e fondatore delle omonime officine aeronautiche. I due condividevano infatti la passione per la Storia. I Caproni, all’inizio degli anni Trenta, avevano scavato una necropoli, probabilmente alto me- dioevale, presso il cimitero di Vizzola, di cui esiste una docu- mentazione fotografica. Fra l’altro, Federico raccolse le sue ricer- che in un dattiloscritto, composto da quattro volumi, purtroppo ancora inedito26. Anche grazie a questa collaborazione, il noto archeologo ebbe la possibilità di portare al suo settore il proble- ma di Castelnovate, iniziando da una lettura dei suoi ruderi, proponendoli per la prima volta in una pianta [fig. 1], e analizzando il tema delle sette chiese che la tradizione documentale vuole siano esistite nel villaggio. Nondimeno, quanto messo insieme appare piuttosto conci- so, forse perché pensato come propedeutico a futuri approfondimenti. Ma, per decenni, nes- suno se ne occupò più: solo nel 1981 una descrizione di Castelnovate comparve (senza novi- tà) nel volume sui castelli varesini del Tamborini27 e nel 1991 lo studio di Balbi. Descrizione delle fortificazioni.Balbi ha fatto notare come la strutture del c.d. castrum non solo abbiano potuto subire mutilazioni a causa dello sviluppo dei rampicanti e delle radici degli alberi che coprono completamente l’area, ma anche per i danni causati dalle vicende belliche che tra il 1943 e il 1944 portarono l’esercito tedesco a installarsi proprio fra quei ruderi, attratti dal- l’ampia visuale sul Ticino. I militari scavarono un diffuso sistema di trincee e di camminamen- ti, che, oltre a minare la stabilità dei muri, ha di certo intaccato la stratigrafia del terreno stesso. La pianta di Bertolone ne- cessiterebbe di aggiornamenti, Fig. 1 come già proposto28.In quella rappresentazione, il comples- so appariva della forma di una trapezio rettangolo, costituito da due “spazi” intuibili e adia- centi (D e E), cui si aggiunge-

(25) M. Bertolone, “Appunti…”, op. cit. (26) F. Caproni, Cronache di Vizzola, 1935, nell’archivio privato di famiglia. (27) M. Tamborini, Castelli e fortificazio- ni del territorio varesino, Varese, 1981, pp. 171-73. Le piante di Castelnovate e del castrum del Bertolone (1934). (28) Si veda il box.

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va in testa un terzo ambiente (A) di dimensioni più pic- cole, posto proprio sul ciglio del promontorio, e anco- Foto M. Colaone ra caratterizzato da uno spezzone di parete [fig. 2]. Dal lato opposto, a est, esitono ancora i due tronco- ni di torri a base quadrata (C e B), con tratti di muro [fig. 3]. Quello che si diparte dalla B non segue a tutti gli effetti un percorso rettilineo, ma piuttosto si adegua all’andamento del ciglio. La torre, delle due la più mal- concia, è difficilmente interpretabile, poiché solo la parte interna non è ancora completamente interrata. I suoi muri si alzano per ca. 1,5 metri dal piano attuale e misurano dm 27x28x28x2829. La torre C è invece più Fig. 2 visibile e massiccia, con un altezza di ca. 3 metri. Le facciate esterne sono molto degradate a causa di crolli e forse anche interventi di demolizione volonta- Foto M. Colaone ria30; l’avvenuta rimozione del paramento ordinato in corsi orizzontali alternati a spina di pesce, ha esposto la tecnica ‘a sacco’ tipica di altre fortificazioni della zona31, ottenuta riempiendo l’intercapedine fra due muri portanti con una mistura di ciotoli, frammenti di pietra e malta. Le facciate interne sono in uno stato di poco migliore, nonostante mostrino a tratti gravi lacune. Qui il decoro è realizzato unicamente a lisca di pesce. Le misure esterne di questa torre, ipotizzando al meglio la posizione originale degli angoli, sono di dm Fig. 3 31x31x30x32. Sono inoltre presenti i classici alloggia- menti per le travi dell’impiantito del piano d’uso e le impalcature di costruzione.

Molto bello architettonicamente è anche il muro di Foto M. Colaone ca. 14 metri e alto fino a 2, che parte a ovest della torre C [fig. 4], da cui è distanziato da un vuoto di ca. 1 me- tro. Esso inizia con uno spigolo ad angolo retto, in gros- si blocchi squadrati e ben posizionati, su cui oggi però cresce un albero; prosegue quindi con ciottoli di fiume a corsi regolari e a lisca di pesca, fino a interrarsi o scom-

(29) Approssiamo i numeri ottenuti dalla ricognizione di Balbi, che ci sem- brano abbiano una precisione troppo alta. Come lui ha fatto, li presentia- mo in senso orario a partire dal lato nord. (30) Forse per cavarne pietra e/o penetrare più facilmente l’ambiente interno. Fig. 4 (31) Si veda ad esempio la turascia di Sesona.

91 CASTELNOVATE: GIÀ PRONTO IL PROGETTO. MA PARTIRÀ?

La proposta è arrivata a novembre 2010 dall’associazione Domà Nunch, che ha inviato al Comune di Vizzola Ticino una lette- ra preoccupata. Così infatti si esprimevano gli econazionalisti: “Da tempo […] abbiamo constatato la condizione di estremo ri- schio e degrado dell’area archeologica di Castelnovate, collocata nel Vostro Comune. Riteniamo sia un dato inoppugnabile come tale situazione stia esponendo questa importante testimonianza […] a una irrimediabile scomparsa. Già oggigiorno, l’incuria ha relegato il castrum all’oblio, provocando sempre meno interesse da parte della popolazione e anche dell’ambiente culturale della nostra regione. Se ciò seguitasse, questo comporterebbe una gra- vissima perdita di cui la nostra generazione sarà imputabile”. Contemporaneamente, un progetto dettagliato è stato sottoposto all’Amministrazione comunale, con lo scopo di sopperire tramite il lavoro di volontari, all’assoluto disinteresse mostrato fino a quel momento dagli Enti prepo- sti alla tutela del luogo. La realizzazione della proposta porterebbe ad almeno due risultati importanti: la puli- zia e messa in sicurezza dell’area e la conseguente esecuzione di un rilievo preciso delle strutture esistenti. Il programma di lavoro, da svolgersi forzatamente nei mesi invernali per sfruttare il rallentamento del ciclo della vegetazione, prevede l’assegnazione della Direzione scientifica alla Soprintendenza archeologica della Regione Lombardia, che opererebbe tramite l’archeologo Cristiano Brandolini, coaudiuvato dalle braccia dei volontari di Matteo Colaone, Segretario dell’associazione proponente e autore dell’articolo in queste pagine. Suddiviso in quattro fasi, il progetto impiegherà circa 600 ore di lavoro e una copertura spese non superiore a 6000 euro, un esborso risibile se confrontato con i costi di una qualsiasi altra azione ‘istituzionale’ in Italia. Un’occasione da prendere al volo, verrebbe da dire, tanto che grazie a una mozione presentata il 18 dicembre 2010 dal consi- gliere di minoranza Roberto Stefanazzi, il Consiglio comunale ha deliberato l’approvazione del progetto e l’im- pegno di spesa in variazione di bilancio. Purtroppo però, a distanza di un anno, l’Amministrazione di Vizzola non ha ancora provveduto a far partire l’operazione, e l’inverno è iniziato. Il sogno si avvererà nel 2012? parire; la sua esistenza oltre quel punto potrebbe essere confermata da uno scavo. Sempre in quella direzione, dopo ca. 10 metri, si incontra la parete A, uno spezzone di muro alto ca. 7 metri, lungo ca. 6 e spesso 120 cm. La tessitura è sempre in pietre fluviali arrotondate e con i caratteristici corsi. Almeno tre feritoie, in sequenza verticale, si aprono in quella che sembra l’avanzo di una casa-torre quadrangolare di cui resta visibile un solo lato. Per finire, Balbi, segnala e descrive altre presunte fortificazioni all’esterno dell’area del c.d. castrum. La prima, già notata da Tamborini, è una torre adibita ad abitazione posta dalla parte opposta della collina, a inizio paese. L’edificio, privato e non visitabile, presen- ta una facciata in ciottoli e pietra, molto curata, ma senza corsi a spina di pesce, che potreb- be trovare riscontri con la torre NO (o II) di Castel Seprio. Una seconda traccia si ha dal lato opposto della strada, dove esistono due muri uniti ad angolo che costituiscono il ter- rapieno di una cappella edificata nell’Ottocento. Sebbene la tessitura sia molto più irrego- lare rispetto a quella della torre di fronte, Balbi ha provato a ipotizzare l’esistenza di una struttura gemella, speculare rispetto all’asse della strada. Un’ultima testimonianza è registrata sul ciglione a sud del promontorio, dietro il campetto da calcio, quindi non lontano dal castrum. Si tratta di un tratto della supposta prosecuzione della cin- ta del castello; in parte fu demolita per la creazione della recinzione di una villetta. Il muro pre- senta ciottoli in corsi orizzontali, ed è anche segnato da una risega alla base. Tutto ciò deve quin- di far pensare a un’area archeologica molto più ampia delle semplici rovine custodite dal bosco.

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