Studi Francesi Rivista quadrimestrale fondata da Franco Simone

149 | 2006 Numero speciale – Metamorfosi dei Lumi 3. Le avventure dell’autorità

Edizione digitale URL: http://journals.openedition.org/studifrancesi/28503 DOI: 10.4000/studifrancesi.28503 ISSN: 2421-5856

Editore Rosenberg & Sellier

Edizione cartacea Data di pubblicazione: 1 décembre 2006 ISSN: 0039-2944

Notizia bibliografica digitale Studi Francesi, 149 | 2006, « Numero speciale – Metamorfosi dei Lumi 3. Le avventure dell’autorità » [Online], online dal 01 novembre 2015, consultato il 08 novembre 2020. URL : http:// journals.openedition.org/studifrancesi/28503 ; DOI : https://doi.org/10.4000/studifrancesi.28503

Studi Francesi è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 4.0 Internazionale. SOMMARIO Numero speciale «Studi Francesi», 2006

METAMORFOSI DEI LUMI 3 Le avventure dell’autorità

Presentazione (L. S.), p. 223.

Autorità e famiglia

A. GUEDJ, La fi gure du père dans “Charles et Caroline” (1790) de Pigault-Lebrun: de l’imaginaire familial à l’imaginaire politique, p. 227. V. PONZETTO, Autorità del padre e autorità dei libertini nell’“Adolphe” di B. Constant, p. 240. C. FERRANDES, Le scrittrici della Controrivoluzione e il principio di autorità, p. 251. V. RAMACCIOTTI, Aspetti dell’autorità in “Atala” di F.-R. de Chateaubriand, p. 257. C. LERI, Il problema dell’autorità nei “Promessi Sposi”, p. 268. G. FERRECCIO, Autorità, autore e personaggio in “Mansfi eld Park”, p. 281.

Autorità e politica

D. FELICE, Vincenzo Cuoco et Gian Domenico Romagnosi, lecteurs de Montesquieu, p. 303. L. GUERCI, Barruel, Bossuet e la democrazia nel 1789, p. 319. W. PROGLIO, Il principio di autorità in tre tragedie di Antoine-Marin Lemierre, p. 333. C. CORTI, «The open theatre of the world»: la Rivoluzione francese sulle scene inglesi, p. 340. O. BARA, «La moralità de la révolution»: de l’autorité du mélodrame selon le “Théâtre choisi” de Pixérécourt, p. 351. L. SOZZI, L’autorità del letterato, p. 360.

RASSEGNA BIBLIOGRAFICA

Secoli medioevali, a cura di G.M. Roccati, p. 365; Quattrocento, a cura di M. Co- lombo Timelli e P. Cifarelli, p. 372; Cinquecento, a cura di D. Cecchetti e M. Mastroianni, p. 378; Seicento, a cura di D. Dalla Valle e B. Papasogli, p. 388; Settecento, a cura di F. Piva e P. Sosso, p. 392; Ottocento: a) dal 1800 al 1850, a cura di A. Poli e L. Sabourin, p. 405; Ottocento: b) dal 1850 al 1900, a cura di M. Richter e I. Merello, p. 417; Novecento: a) dal 1900 al 1950, a cura di E. Kanceff, p. 422; Novecento: b) dopo il 1950, a cura di E. Bricco e R. Galli Pellegrini, p. 426; Letterature francofone extraeuropee, a cura di C. Biondi e E. Pessini, p. 428; Linguistica storica, teorica e applicata, a cura di H. Giaufret Colombani e P. Paissa, p. 438; Opere generali e comparatistica, a cura di G. Bosco, p. 444.

Finito di stampare nel mese di dicembre 2006

ultime 221 4-12-2006, 21:34:26 ultime 222 4-12-2006, 21:34:27 Presentazione 223

Presentazione Il seminario interdisciplinare dedicato al tema “Metamorfosi dei Lumi” è nato una decina di anni or sono presso il Dipartimento di Scienze letterarie e fi lologiche dell’Università di Torino per iniziative di un gruppo di docenti e di giovani studiosi e con la fattiva collaborazione di Simone Messina, dell’Université Lumiére Lyon II. All’origine è stata l’idea di contribuire in qualche modo all’elaborazione e formula- zione di una sorta di nuovo schema storiografi co, destinato a coprire quell’epoca, tra Sette- e Ottocento, che già i Francesi chiamano tournant des Lumières, e a sostituire defi nizioni e categorie ormai inadatte a fi ssare i caratteri salienti di una specifi ca sta- gione culturale, letteraria e artistica, da quella di un “neoclassicismo” che ha una sua indubbia validità ma riguarda uno spazio esclusivamente letterario e artistico o, al limite, il mondo del costume, a quella “preromantica”, che relega gli autori di quel- l’epoca al ruolo riduttivo di semplici precursori di un nuovo periodo della cultura europea, alla defi nizione di un “tramonto dei Lumi” indubbiamente produttiva ma impropria («I Lumi, – diceva Franco Venturi, – non tramontano mai») in quanto sembra insistere sull’idea di un declino che è, invece, a un tempo, permanenza e trasmutazione, che non è affatto, cioè, obliterazione e cancellazione, ma, se mai, spo- stamento dell’asse della ricerca in direzioni non ancora suffi cientemente esplorate, ad esempio in direzione degli spazi dell’io: l’uomo, diceva Rousseau, deve pur sempre s’éclairer, ma s’éclairer en dedans… Il seminario torinese ha già dato i suoi frutti, infatti, proprio in quest’ultima direzione: i primi risultati dei nostri incontri e dibattiti mensili sono consegnati nel volume Metamorfosi dei Lumi. Esperienze dell’io e creazione letteraria tra Sette e Otto- cento, a cura di Simone Carpentari Messina. Già in quel volume del 2000 (preceduto due anni prima da un Supplemento al n. 124 di “Studi Francesi” intitolato D’un siècle à l’autre: Le tournant des Lumières) si colgono i caratteri peculiari del gruppo di stu- dio torinese e del suo progetto di ricerca: la sua natura interdisciplinare, frutto della convinzione che il pensiero fi losofi co, religioso, scientifi co e politico e i vari campi dell’umana creatività vadano esplorati congiuntamente, senza separazioni settoriali, in quanto manifestazioni dello stesso orientamento e, potremmo dire crocianamente, della salda unità e dialettica dello spirito; la necessità di uscire dalle frontiere nazionali e nazionalistiche e di affrontare ogni problema in chiave europea, pur nell’attenzione rivolta, ovviamente, anche alle differenze e alle diverse situazioni storiche; soprattutto l’intento di cogliere, di ogni orientamento e atteggiamento sia creativo sia di pensiero, insieme la novità e la fedeltà a determinate premesse, il permanere di determinate esi- genze e a un tempo la ricerca di originali soluzioni, insomma non le brusche rotture, che mai si producono, di fatto, nella storia della cultura, ma le interne contraddizioni, i chiaroscuri, le sfumature, i graduali trapassi. È quanto si può constatare, ci sembra, anche nel volume che qui presentiamo, accuratamente preparato per la stampa da Simone Carpentari Messina e Valeria Ra-

ultime 223 4-12-2006, 21:34:27 224 Presentazione

macciotti. Il concetto di autorità è appunto uno di quelli che si prestano a un’indagine che sia attenta, insieme, alle permanenze e ai mutamenti. Una visione semplicistica potrebbe far pensare che negli anni della Rivoluzione una rottura si operi e che a una visione autoritaria del mondo, legata al rispetto assoluto di chi, in ambito sia familiare sia politico, ha in mano le redini del comando, subentrino la ribellione, il rifi uto, un orientamento libertario, una generale dissacrazione. Di fatto non è così, e i contributi qui raccolti ci pare documentino non un capovolgimento ma, appunto, una metamor- fosi: il sovrano, è vero, è scalzato dal suo trono, ma il concetto di autorità permane, l’auctoritas si ammanta di nuove prerogative, coincide con nuovi profi li umani e culturali, risponde a nuove esigenze, obbedisce a nuovi compiti, si apre a irrisolte e forse produttive contraddizioni, e questo nei due settori in cui i saggi qui raccolti sono suddivisi, quello della famiglia e quello della vita politica. Noteremo, così, in un autore come Pigault-Lebrun, la tensione contraddittoria verso l’ordine conservatore e verso la più anarchica libertà; in Adolphe, la contestazione di quel modello libertino che pure esercita, in quel racconto, una sua latente ma indiscussa seduzione; in testi scritti da donne, la situazione femminile dimidiata fra tradizionale sottomissione e ruolo riconosciuto come autorevole, specie nel caso della donna-scrittrice; in Atala, lo scontro fra i più rigidi divieti e la passione, che trascina e uccide; nei Promessi Sposi, la fi tta rete di ambivalenze che accompagna, anche lessicalmente, il concet- to di autorità e l’idea di un comportamento autorevole; nel Mansfi eld Park di Jane Austen, il rapporto contradditttorio tra autorità e paternalismo. In ambito, poi, più strettamente politico, la dialettica si mantiene evidente e signifi cativa: essa riguarda le articolazioni e le antitesi che il pensiero di Cuoco e Romagnosi desume dal modello di Montesquieu, la posizione interessante di un reazionario come Barruel, le tensioni sociali che traspaiono nel teatro di Lemierre, il modo in cui la Rivoluzione francese trova sulla scena teatrale britannica una singolare e anche antitetica trasposizione, l’autorità del melodramma secondo Pixérecourt, la fi gura del letterato che intende sottrarsi a ogni forma di potere ed esercitare, a sua volta, una sua “autorità”. Si no- terà, da quanto detto, che la ricerca si è orientata in direzione di terreni fi nora poco esplorati e di autori che non sono di primo piano ma che forse, appunto per questo, sono più indicativi di quella temperie culturale cui i “grandi” non di rado sanno es- sere estranei. In ogni caso, potremmo dire in conclusione che le due esigenze sempre presenti nella storia dell’uomo, quella dell’ordine e quella della libertà, nonché la tensione verso la loro diffi cile e forse utopica conciliazione, trovano non di rado nelle pagine che seguono e nelle testimonianze prese in esame insieme una loro conferma e una loro originale confi gurazione e defi nizione.

L. S.

ultime 224 4-12-2006, 21:34:27 AUTORITÀ E FAMIGLIA

ultime 225 4-12-2006, 21:34:27 ultime 226 4-12-2006, 21:34:27 La fi gure du père dans “Charles et Caroline” de Pigault-Lebrun 227 La fi gure du père dans “Charles et Caroline” de Pigault-Lebrun: De l’imaginaire familial à l’imaginaire politique

Dans les Mémoires de deux jeunes mariés, Honoré de Balzac affi rme qu’«en coupant la tête du roi, la République a coupé la tête à tous les pères de famille». Formule-choc, souvent citée, qui correspond à une partie de la vérité, mais une partie seulement; la réalité est plus complexe. Certes à la fi n du XVIIIème siècle, la philosophie des Lumières a ébranlé les deux fondements de l’institution du Père en Occident: l’un de caractère juridique, l’autre de caractère religieux. On est père comme on est roi, de droit divin; l’autorité paternelle est sacrée. Le Père d’Ancien Régime est le garant de l’ordre public et le soutien de la société, la pierre angulaire de tout un édifi ce; voilà ce que la Révolution remet en cause effectivement. C’est ainsi que Cam- bacérès, dans son discours sur le premier projet de Code Civil de la Convention, déclare: «La voix impérieuse de la raison s’est fait entendre, elle a dit: il n’y a plus de puissance paternelle». Et en effet toute une série de mesures législatives – baisse de l’âge de la majorité légale de 30 à 21 ans, reconnaissance des «bâtards», suppression du droit d’exhérédation, etc… – ôtent aux pères l’essentiel de leurs pouvoirs. Mais c’est oublier la réaction thermidorienne et le Code Civil napoléonien qui s’efforcent de rendre aux pères leur lustre et leur autorité, même si cette autorité péniblement restaurée demeure désormais problématique. C’est dans ce contexte qu’il faut étudier Charles et Caroline1. Certes sur le thème de l’infraction à l’autorité en période révolutionnaire il y avait d’autres oeuvres ap- paremment plus signifi catives, comme le Charles IX de Marie-Joseph Chénier, joué par Talma dans l’enthousiame populaire, dont l’impact fut tel en 1789 que Danton prédit: «Si Figaro a tué la noblesse, Charles IX tuera la royauté»2. Ou, plus radical encore, Le Jugement dernier des rois, de Pierre-Sylvain Maréchal, dont le succès fut énorme en 1793-94. Face à ces événements historiques et littéraires de grande ampleur, Charles et Caroline fait pâle fi gure. Mais Marvin Carlson sous-estime ma- nifestement cette pièce – jouée en 1790 et reprise en 1793 – lorsqu’il déclare qu’elle «eut quelque succès en dépit de sa platitude»3. En vérité ce qui en fait l’originalité et l’intérêt c’est son caractère autobiographique et la distorsion politiquement signifi ca- tive que Pigault-Lebrun fait subir à l’amère réalité des faits qu’il a vécus. Comme Mirabeau, comme Voltaire, il eut à souffrir d’un père d’Ancien Régime décidé à user de tous les pouvoirs que lui conférait la loi pour imposer à son fi ls ses volontés, ou le sanctionner quand il s’insurgeait contre elles. Son histoire est typique du confl it des générations à la fi n du XVIIIème siècle. Disciple enthousiaste de Vol- taire et de Rousseau, Pigault-Lebrun se heurte à un père «brave et respectable gen- tilhomme bourgeois […] mais entiché de tous les préjugés de son temps; repoussant sans examen toutes les idées nouvelles, et damnant sans pitié tous les novateurs»4.

(1) Toutes les citations de Pigault-Lebrun ren- (2) Cité par M. CARLSON, Le Théâtre de la Révolu- voient à l’édition de ses Œuvres Complètes chez tion française, Paris, Gallimard (NRF), 1966, p. 43. Paris, J.-N. Barba, Libraire, 1823. J’indiquerai à (3) Ibid., p. 213. chaque citation le volume et la page. Charles et (4) Voir Vie et Aventures de Pigault-Lebrun, J.- Caroline fi gure dans le tome IX, pp. 367-476. N. B… Paris, Gustave Barba, Libraire, 1836.

ultime 227 4-12-2006, 21:34:28 228 Aimé Guedj

Expédié en Angleterre chez un riche négociant de la City, Pigault-Lebrun séduit sa fi lle, s’enfuit avec elle. Elle meurt dans un naufrage. Il revient en France, à Calais. Colère du père qui explique cette malheureuse aventure par l’«athéisme moral que vous décorez du nom de philosophie». Il fait mettre son fi ls en prison par lettre de cachet. Pigault-Lebrun reste enfermé deux ans. Son père lui fait grâce et le fait entrer dans la Gendarmerie d’élite qu’on appelait alors Petite Maison du Roi. Corps privi- légié où on ne recevait que des fi ls de riches bourgeois disposant d’au moins 600 000 livres de rentes. A 23 ans, il tombe amoureux d’Eugénie Salens. Un parti convenable auquel son père s’oppose car, fi lle d’un négociant ruiné, elle est sans dot. Pigault enlève Eugénie, s’enfuit, est arrêté et conduit en prison par une nouvelle lettre de cachet du père. Il tente de s’enfuir, est repris et reste enfermé plus de deux ans. Il fi nit par s’échapper grâce à Rosette, la fi lle du concierge de la prison. Il rejoint Eugénie après toute une série d’aventures picaresques dont on retrouve l’écho dans L’Enfant du Carnaval. Son père offre une réconciliation s’il renonce à Eugénie. Il feint d’accepter et court la rejoindre. Il écrit à son père pour obtenir son pardon et son consentement au mariage. C’est le maire de Calais, le Président Béhague, qui lui répond: le fi ls Pigault est mort depuis deux ans! Il se présente devant Béhague qui le traite d’imposteur, refuse de lui rendre justice. Pigault adresse alors une requête au Parlement de Paris. Son père fait appel à un ami bien en cour, le comte de Préval, qui cherche à séduire Eugénie. Altercation, nouvelle lettre de cachet. Mais on est en 1789 et cette lettre reste sans effet. Le comte de Préval s’enfuit en Angleterre, le père de Pigault-Lebrun retourne à Calais et… Pigault-Lebrun perd son procès; il doit même en payer les frais. Voici la matière autobiographique de Charles et Caroline, et voici la conclusion de la préface que Pigault lui donne pour la publication: «L’Ecuyer, procureur au Parlement, avait barbouillé du papier, pendant six mois, pour prouver à la cour que Charles était bien et dûment mort. Cependant, comme il connaissait le défunt et son domicile, il lui fi t signifi er l’arrêt de la chambre, avec invitation de l’aller payer sans délai, à peine d’y être contraint par corps. Charles, tout mort qu’il était, fut en per- sonne payer le procureur, afi n de ne plus entendre parler de tous les coquins à qui il avait eu affaire dans ce malheureux procès. Voilà comment on rendait la justice en 1789» (p. 372). Après une telle préface, on pourrait s’attendre à un texte vengeur, une dénon- ciation en règle de la Justice et de la tyrannie parentale. Il n’en est rien. La pièce surprend par son entreprise systématique d’édulcoration, pour ne pas dire d’affadis- sement du drame vécu par le fi ls, comme s’il voulait préserver envers et contre tout l’image du Père. Certes, comme il l’écrit dans sa préface, «les principaux incidents sont conformes à la vérité […] Charles, sa femme, son père, son frère, le juge inique qui l’assassina juridiquement en 1787, tous ces personnages sont existants, et plu- sieurs sont jeunes encore» (p. 369), mais la façon dont il distribue et combine person- nages et incidents modifi e singulièrement la vérité dont il se réclame. L’intrigue, fort simple, rappelle donc sa propre histoire. Charles a séduit, en- grossé et épousé Caroline dans un pays étranger. A bout de ressources, il revient avec elle et son enfant en France, à Paris, dans l’espoir d’obtenir l’aide de ses relations, de sa famille et peut-être le pardon de son père. Mais toutes les portes se ferment devant lui car son père, le Comte de Verneuil, sollicite la cassation de son mariage. Première entorse à la vérité, petite mais signifi cative, le père est un aristocrate, non un simple bourgeois. La bourgeoisie n’est donc pas en cause et la mésalliance est redoublée, la faute aggravée, puisque la femme de Charles est à la fois sans fortune et sans naissance.

ultime 228 4-12-2006, 21:34:28 La fi gure du père dans “Charles et Caroline” de Pigault-Lebrun 229

Caroline reconnaît que si la “nature” approuve son mariage, la “loi” le con- damne. Se marier en effet sans le consentement du père et sans l’approbation fami- liale est considéré comme une forme d’inconduite très grave, justifi ant l’exhédération et l’internement (Cfr. les ordonnances royales constamment réitérées entre 1639 et 1716). Le père occupe donc une position forte que personne, pas même son fi ls, ne songe à lui contester. Il a la loi pour lui et, comme le déclare Verneuil fi ls, le frère de Charles, on ne peut rien contre la loi que des «juges intègres» se chargeront – qu’ils l’approuvent ou non – d’exécuter. Et puis le Comte de Verneuil se sent investi d’une lourde responsabilité. Ce ne sont pas seulement ses intérêts qu’il défend, mais des valeurs respectables et légitimes: «je suis comptable de ma conduite à tous les pères de famille, à tous les amis de l’ordre, qui, dans ce moment, ont les yeux fi xés sur moi» (p. 422). Les mérites d’une femme peuvent expliquer l’amour qu’on lui porte, mais ne justifi ent pas une mésalliance: «si toutes les femmes, pourvues de quelques attraits, s’en faisaient des titres pour prétendre aux plus hauts partis, qu’en arriverait-il? La ruine des familles, le renversement de l’ordre, le mépris de l’autorité paternelle, et plus tard les regrets, la honte et la douleur. Oui, un mariage disproportionné est un attentat contre la société, et elle a dû armer les lois contre les séductions d’un sexe, et les folles passions de l’autre» (p. 424). Cela dit, le Comte de Verneuil est assez lucide et généreux pour comprendre les raisons de son fi ls et apprécier même qu’il lui résiste: «Cette résistance prouve son honnêteté. S’il était capable d’abandonner sans effort une femme intéressante, d’oublier un enfant qui doit lui être cher, oui, je le sens, je le mépriserais, et ce se- rait pour moi le dernier des malheurs» (p. 428). Caroline a péché par inexpérience, Charles, égaré par une passion plus forte que sa volonté. Mais il ne peut abandonner sa femme et son enfant: c’est une question d’honneur, de conscience, d’humanité (La situation rappelle celle de La Bédoyère, et le commentaire de Rousseau sur cette affaire qui fi t quelque bruit en son temps)5. Le Comte de Verneuil en a conscience, d’où son embarras: «Mais, si sa conduite est louable, la mienne m’est dictée par des devoirs dont je ne peux m’écarter. La distance des conditions n’est pas une chimère; la différence des fortunes n’est pas une illusion. Mon fi ls veut sacrifi er ces avantages; je dois m’y opposer, je le dois, et je le veux» (ibid). Les positions s’équilibrent, ainsi que les valeurs des parties en présence, aussi légitimes sinon aussi légales l’une que l’autre. La situation semble donc sans issue mais, en 1789, les principes dont se réclame le père n’ont pas la même valeur que par le passé, ni la même légitimité. D’où la fonction symbolique des personnages qui interviennent, moins pour fl échir celui qui paradoxalement redoute qu’on lui cède que pour le convertir aux valeurs nouvelles qui lui permettraient de se réconcilier avec son fi ls sans trahir son devoir, et de sortir de cette impasse en tout bien tout honneur. Au deuxième acte, l’offensive des person- nages «positifs» se prépare; au troisième acte, le comte de Verneuil subit les assauts successifs du fi ls modèle, le seul jugé digne de porter son nom, auquel il résiste assez bien (encore que le monologue qui suit montre à quel point il est ébranlé); de Bazile,

(5) La Bédoyère ayant épousé une jeune actrice, honnête homme; et le père qui répudioit son fi ls son père avait réussi à faire casser ce mariage le pour n’avoir pas indignement violé sa foi, étoit un 18 juillet 1745. Pour J.-J. Rousseau «la loi des indigne père» Œuvres complètes, Paris, Gallimard préjugés, l’honneur même, pouvoient déterminer («Bibliothèque de la Pléiade»), 1964, tome II, le père à s’opposer de toute sa force au mariage de p. 1451. Cet argumentaire inspire manifestement son fi ls mais le mariage une fois fait et consommé, l’échange entre le père et le fi ls dans Charles et le fi ls, en abandonnant sa femme, en dégradant Caroline. Pigault-Lebrun était un fi dèle lecteur les enfants de leur légitime état, devenoit un mal- de Rousseau.

ultime 229 4-12-2006, 21:34:28 230 Aimé Guedj

le brave commissionnaire, qu’il méprise tout d’abord parce qu’il est trop «peuple», mais dont il reconnaît ensuite la noblesse d’âme; de Charles à qui il avoue sa faiblesse et qu’il supplie de se rendre car il n’est plus en mesure de rien lui ordonner. La réac- tion maladroite de son fi ls suscite sa colère. On est au bord de la rupture; Verneuil menace Charles de cette «malédiction paternelle» dont Greuze, Diderot et Rétif ont répandu l’usage, quand Caroline se présente, non pour défendre sa cause, mais pour s’offrir en sacrifi ce sur l’autel de la réconciliation familiale. Sacrifi ce inacceptable qui produit l’effet attendu: Verneuil ému, séduit, est sur le point de céder. Le peut-il? L’expression de son désarroi («Cruelle incertitude», «Quelle pénible situation») a quelque chose d’involontairement comique. En l’occurrence, il fait moins preuve de sensibilité que de faiblesse. Ce qui permet à son mauvais génie, le Comte de Préval ( dont le nom n’a pas été modifi é dans la fi ction!), de retourner la situation. D’où le rebondissement du quatrième acte qui relance l’action, une action violente au cours de laquelle la noirceur de Préval se dévoile et les principes dont il se fait le champion apparaissent pour ce qu’ils sont, les alibis «d’une âme rétrécie et abjecte». La pièce se construit sur un double mouvement antagonique et complémentaire de promotion des valeurs démocratiques nouvelles et de démystifi cation des valeurs aristocratiques surannées; elle esquisse une autre fi gure du Père, l’investit d’un autre imaginaire fa- milial et politique, propose une issue heureuse au confl it des générations.

I - La promotion des valeurs nouvelles.

Verneuil fi ls se veut d’abord neutre dans le confl it qui oppose Charles à son père: «Je me garderai bien de prononcer entre mon père et vous». Il n’approuve ni ne condamne la conduite de son frère, mais lui conseille de temporiser, de feindre même de se soumettre, ce que Charles, sûr de son bon droit, refuse avec indignation. Il n’a pas de peine d’ailleurs à convaincre son frère qui, «subjugué» par ses arguments, vaincu ensuite par l’ascendant de la beauté et l’éloquence de Caroline, «un langage intéressant auquel on ne peut résister», s’engage à transmettre la bonne parole à un père qu’il sait infl exible, mais qui, peut-être, «ne sera pas sourd à la voix de la raison». Caroline se félicite de cette conversion de Verneuil fi ls, inattendue mais prévisible à la réfl exion: «Vous êtes, – lui dit-elle, – le frère de Charles, le même sang circule dans vos veines, les mêmes principes doivent vous animer». Deux manipulations idéologiques président à cette conversion. Tout d’abord l’inversion du couple “raison/préjugé”. Désormais suivre son inclination, se fi er à son cœur, c’est obéir à la voix de la raison, s’y opposer relève du préjugé. La position de principe du père s’en trouve immédiatement dévalorisée, ce qu’il reconnaît d’ailleurs, tardivement («Je ne consulterai plus que mon cœur, lui seul sera mon guide»). Ensuite et surtout, Caroline récupère au profi t des enfants des Lumières l’idéologie lignagère: c’est le sang qui transmet la vertu hier aristocratique, aujourd’hui démocratique, et aujourd’hui comme hier «bon sang ne saurait mentir»! Bazile a pour mission d’opposer la nature et le peuple aux préjugés aristocra- tiques. Deux notions conjuguées qui fondent l’universalité de toutes les valeurs individuelles et collectives. On s’écarte de la vérité quand on s’éloigne de la nature: «Laissez-là vos orgueilleuses fariboles, morgué! soyez père: nature va t’avant tout» (p. 429). On s’écarte de l’humaine condition quand on s’éloigne du peuple et qu’on accorde au rang et à la fortune plus d’importance qu’ils ne méritent: «Vous êtes nob’, vous êtes riche, c’est ben fait à vous; mais tout ça n’m’embarlifi cote pas, je vous en avertis. Au bout d’tout, vous n’êtes qu’un homme, j’en suis un autre, et entre hommes

ultime 230 4-12-2006, 21:34:28 La fi gure du père dans “Charles et Caroline” de Pigault-Lebrun 231

on peut s’parler» (p. 430). Bazile ne doute pas que les Verneuil soient d’une nature bonne et sensible; cela se lit sur leur visage qui, comme le sang, ne saurait mentir. Charles a «un certain air» qui inspire confi ance, quant à son frère, «j’étions sûr, rien qu’à le voir, que ce monsieur-là était honnête et loyal»; de même le comte de Verneuil a «un air de bonté» qui rassure Bazile sur ses intentions: «vot’cœur ne donnera pas un démenti à vot’physionomie». C’est en vain qu’il se montre infl exible, il faut que la na- ture l’emporte à la fi n sur toute autre considération: «Vous avez trop compté sur vos forces: en faudrait de surnaturelles pour résister à un enfant repentant et soumis». Face au fi ls qui fait acte d’allégeance (une allégeance plus formelle et verbale que réelle cependant: «Ordonnez, ordonnez. Je suis prêt à vous sacrifi er tout», tout, excepté «la nature et l’honneur», c.a.d. excepté son mariage (qui est le seul objet du confl it!), le père n’ordonne pas, mais supplie. Scène de chantage affectif à laquelle il est diffi cile de résister. Charles est accablé de remords: «Malheureux! qu’ai-je fait? J’ai porté la mort dans le sein de mon père. Mon père, pardonnez-moi» Mais si le fi ls se montre «soumis et repentant», le père qu’il est devenu tient ferme. On peut juger son argumentation spécieuse, elle fait néanmoins sa force: «Vous m’ordonnez d’être enfant soumis, et vous me défendez d’être père! Il faut admettre tous les devoirs du sang ou les rejeter tous également» (p. 435). Partagé par son double statut, Charles s’oublie et s’emporte, accusant implicitement son père de préjugés et de tyrannie. Celui-ci menace à son tour: «Ne crains-tu pas, fi ls ingrat et dénaturé, que la malédic- tion du ciel, cette malédiction que tu as pu invoquer, ne soit précédée de la mienne?» (p. 436). La malédiction paternelle, lieu commun culturel du siècle des Lumières (Cfr. Prévost, Diderot, Greuze, Rétif, etc.) témoigne, selon Jean-Claude Bonnet6, d’un «surinvestissement de l’image paternelle dans tous les domaines (social, philosophi- que, politique, symbolique, esthétique)». En fait, ici aucune malédiction ne sera pro- noncée, d’abord parce que le père est indigné moins par la désobéissance du fi ls que par les injustes accusations dont il fait l’objet, ensuite parce que cette malédiction fe- rait leur malheur à tous deux. C’est que, comme le remarque J.-C Bonnet, «l’ancienne relation de pouvoir» qui caractérisait les pères d’Ancien Régime «est remplacée par un contrat moral qui règle les liens de famille: à la tendresse des parents doit répondre la piété fi liale». L’un ne va pas sans l’autre. Cela vaut d’ailleurs pour toutes les rela- tions hiérarchiques, qu’elles soient familiales, sociales ou politiques. Ainsi Caroline, que La Fleur cherche à intimider en faisant valoir l’autorité de son maître, le comte de Préval, réplique tranquillement: «Un grand seigneur a droit à nos respects, s’il s’est rendu respectable, et rien au-delà» (p. 382). Il reste que, sous le coup de la colère, Verneuil est sur le point de rompre avec son fi ls quand intervient Caroline, l’objet involontaire du confl it. «Victime innocen- te», elle annonce qu’elle se sacrifi e à la paix des familles: «Loin d’armer le père contre le fi ls, je m’immolerai pour les réunir», et elle se dit décidée à accomplir jusqu’au bout son «horrible devoir» en renonçant à sa réputation, comme elle a renoncé à ses parents et à sa patrie, tout cela par amour pour Charles et par égard pour le père à qui elle déclare «Voilà le dernier de mes sacrifi ces, monsieur; la mesure de l’infortune est comblée» (p. 438). Verneuil ne rejette pas ce sacrifi ce supposé (encore faudrait- il que Charles l’accepte et sur ce point Caroline n’a pas lieu de s’inquiéter). Il offre en compensation, ou plutôt en «récompense» (goujaterie inconsciente de l’homme de bien!) de veiller à son bien-être et de se charger de son enfant, ce qu’elle refuse

(6) Histoire des Pères et de la Paternité, sous la Larousse, 1990. direction de Jean Delumeau et Daniel Roche, Paris,

ultime 231 4-12-2006, 21:34:28 232 Aimé Guedj

avec dignité. Elle accompagne son refus de l’évocation de la vie «méritante» qu’elle entend mener: «seule, ignorée et pauvre, mais courageuse et patiente, je ne devrai rien qu’à mon travail. J’élèverai mon enfant dans cette heureuse obscurité, où l’on cultive encore les vertus de la nature. Elle apprendra de moi à souffrir sans se plaindre, à pardonner à ses oppresseurs; et, si je suis condamnée à pleurer sa naissance, je vivrai pour réparer ma faute, et je mourrai sans remords» (pp. 439-440). Nous sommes en plein mélodrame. C’est la vertu qui se donne à voir avec une emphase et un pathos à la… Greuze7. Verneuil fi ls avait déjà été bouleversé et converti par ce spectacle, au point de renoncer à raisonner: «Les sentiments que vous m’inspirez, madame, ne permettent pas à l’âme qui les éprouve d’en calculer la légitimité». Et lui qui se voulait neutre, cédant au charme qui l’entraîne, entend se faire le plus ardent défenseur de la vertu opprimée: «Je vais trouver mon père, et faire passer dans son âme ce tendre intérêt, cette douce émotion dont vous m’avez pénétré, et qui vous feront toujours des amis de tous ceux qui pourront vous voir et vous entendre» (pp. 407- 408). Et en effet, il plaide, non sans maladresse et avec la chaleur d’un néophyte, «la cause de la vertu». Sans grand succès apparemment, peut-être parce qu’il faut que la vertu même se fasse entendre et se donne à voir. La prestation de Caroline est éblouissante. Ver- neuil père rend progressivement les armes: «Que sa douleur est touchante! Pourquoi faut-il…»; «Je commence à vous connaître et à vous apprécier. Votre délicatesse ne sera pas sans récompense […]»; «[…] cette femme est étonnante. Oui, je l’avoue, à la place de cet infortuné, je ne me conduirais pas autrement… Cependant puis-je céder?». Mais cet aveu il ne le fait qu’à lui-même; un reste de sagesse ou de prudence le retient. Face au comte de Préval railleur et sceptique, il se défend d’être crédule. Il admire «une façon de penser si délicate, une noble fi erté qui lui sied si bien», «une force, une explosion de sentiment, dont l’art ne saurait approcher». Mais tout reste de part et d’autre intentionnel: Verneuil était sur le point de maudire son fi ls, il est maintenant sur le point de tout lui accorder, car la femme qu’il a eu de bonnes rai- sons de choisir est sur le point de «s’immoler». Le drame sentimental reste dans le domaine du virtuel. Il n’y a pas de passage à l’acte, mais un jeu d’ombre et de lumière où la Vertu, révélée, subjugue les coeurs et convertit les âmes par contagion.

II - Le père entre deux mondes.

Alors que Verneuil s’interroge, Préval intervient pour le rappeler au principe de réalité. La confrontation entre les valeurs anciennes et nouvelles, entre la génération des enfants et celle des pères est spectaculaire. D’un côté le monde de l’innocence et de la vertu, de l’autre le monde de la corruption et du vice; d’un côté le monde de la transparence et de la vérité, de l’autre le monde de la duplicité et du mensonge. Dans l’un on se sert d’un langage simple, direct, univoque pour dire ce que l’on sait, ce que l’on pense, ce que l’on sent (d’où la naïveté de Bazile qui se laisse prendre aux paroles captieuses de La Fleur et de Préval). Dans l’autre, un langage qui édulcore ou masque la réalité, une discours à double entente qu’il faut savoir décoder, comme celui que tient Préval à Caroline ou, d’une façon plus subtile, à Verneuil, ce provincial

(7) Pigault-Lebrun adore ces scènes pathétiques. faiblesse, et du vide des plaisirs. C’est alors que, se Il en parsème ses romans comme ses pièces de théâ- reployant sur soi-même, on se compare aux êtres tre (Cfr. Une Macédoine, L’Egoïsme, Angélique et souffrans dont on est environné; qu’on sent que Jeanneton, La Famille Luceval, etc.). Il est persuadé pour mourir en paix, il faut faire un digne emploi que «Les gens fortunés ont besoin de ces scènes de sa vie» (La Famille Luceval, XII, p. 287). d’affl iction qui les ramènent au sentiment de leur

ultime 232 4-12-2006, 21:34:29 La fi gure du père dans “Charles et Caroline” de Pigault-Lebrun 233

qui n’est pas initié aux usages de la Cour. Un langage poli, raffi né qui peut se faire à l’occasion cynique et brutal. D’un côté, un monde sans confl it où chacun est solidaire par delà les distinctions de classes – Bazile, simple commissionnaire, secourt Charles sans ressources et lui permet de faire vivre sa famille; Verneuil fi ls, qui occupe auprès du père la place et le nom qui revenaient à Charles, vient en aide à son frère au mépris de ses intérêts; Charles enfi n abandonne allègrement son nom et son héritage par amour pour Caroline –. De l’autre, un monde égoïste et dur où les grands exploitent les petits, abusant de leur fortune et de leurs privilèges. D’où le mépris de Charles pour «un métal funeste qui tient lieu de tout à ceux qui le possèdent, et auquel ils pensent que rien ne peut résister» (p. 393). Et, en effet, Préval commet l’erreur de croire qu’il viendra facilement à bout de la résistance de Caroline qu’il sait pauvre et sans appui. De même, ce libertin ne peut croire à la force et à la sincérité de ses sentiments. Caroline le déplore: «Tant pis pour celles qui vous ont autorisé à douter des vertus les plus simples». Il se persuade malgré tout que la fi délité dont elle fait preuve n’est pas naturelle, c’est nécessairement une leçon apprise, une mise en garde du mari: «La belle Caroline a la mémoire. Tantôt elle ne parlait pas ainsi». Ces deux mondes ne peuvent donc se comprendre; ils risquent bientôt de s’affronter. Il faut coudoyer le peuple, comme Charles est conduit à le faire, pour en avoir conscience: «Caché dans la foule, je vois, j’observe, et j’entends. Les grands éblouissent le peuple; cependant le peuple juge les grands» (p. 393). Attaché à ses valeurs anciennes, séduit malgré lui par les valeurs nouvelles dont ses fi ls se sont faits les champions, Verneuil hésite entre ces deux mondes. Il suppliait Charles de ne pas abuser de son état pour le contraindre «à une démarche que je ré- tracterais dès que je serais rendu à moi-même» (p. 435). Il est encore plus troublé et perdu après la scène avec Caroline. C’est dans ce contexte que se produit un double rebondissement. Dans un premier temps, Verneuil se laisse convaincre par Préval de rester fi dèle à son devoir et ses valeurs. Comment ne serait-il pas impressionné par les prestiges d’un grand aristocrate, un homme de la ville, bien en Cour, et qui daigne lui accorder sa protection. Dans un second temps, et dans des circonstances particu- lièrement dramatiques, Verneuil découvre la fausseté des valeurs auxquelles il était attaché par tradition, et qui ne se soutiennent plus désormais que par le mensonge, la violence et le mépris des lois. Pigault fait ce qu’il peut pour préserver l’image du père, pour des raisons qui ne relèvent pas seulement de la piété fi liale mais, en 1789, de son sens des responsabilités politiques. Le père est bon naturellement; les fautes qu’il commet ne sauraient lui être imputées. Il faut qu’il soit mal conseillé. Préval s’efforce d’abord d’établir une certaine complicité de «frasques» entre lui et Verneuil. Il est connu que les nobles sont tous un peu libertins et qu’ils s’en fl attent comme d’une pécadille. Charles marié? «Plaisant mariage! Combien, vous et moi, en avons-nous contracté de semblables» La faute est vénielle, il n’y a pas lieu de dramatiser, ni de prendre au sérieux ce qui ne peut être qu’un caprice: «On aura joué la douleur, la probité; on aura hasardé quelques larmes, auxquelles vous aurez répondu par les vôtres, et au lieu d’user de votre autorité, vous aurez peut-être donné les mains…». Verneuil se défend d’être «aussi facile», mais Préval a frappé juste: c’est bien ainsi que les choses se sont passées, même si ce n’est pas ainsi qu’elles ont été vécues et Préval, en l’occurrence, fait moins preuve de perspicacité que de cynisme. Il n’empêche, le doute subsiste: Verneuil a-t-il été dupe de ses sentiments? D’autant que Verneuil partage le point de vue général sur les mariages d’inclination. Préval n’a pas besoin de le convaincre que «ces sortes de mariages ne sont jamais heureux», il a peine à croire que celui de son fi ls fasse exception à la règle, et qu’il ne sacrifi e pas

ultime 233 4-12-2006, 21:34:29 234 Aimé Guedj

en effet son rang et sa fortune à des chimères. «Vos principes sont les miens» recon- naît-il. Préval fl atte ensuite l’ambition paternelle de Verneuil. On a promis à Charles un régiment; il ne tient qu’à lui de tirer parti de la faveur du prince (A. Dumas déve- loppera ce thème dans Balsamo). Ce mariage va tout gâcher! En dérogeant, Charles compromet non seulement sa carrière, mais l’honneur et l’avenir de sa maison. On ne peut le laisser faire! Préval enfi n fl atte son amour-propre. On le blâme, on le plaint, plus souvent on se moque à la Cour du «ridicule dont il charge [sa] conduite». Autant de raisons qui confortent Verneuil dans l’action qu’il a engagée pour casser le mariage de son fi ls et que, par faiblesse, il hésitait à poursuivre. Mais le caractère légal de cette action ne convient pas à Préval, qui en montre les limites et les insuffi sances. Une action en justice, nécessairement lente, laissera à Charles tout loisir de se dérober aux poursuites et de se mettre à l’abri avec sa famille à l’étranger. Et puis, même si le mariage est annulé, rien n’empêche Charles, devenu majeur, de se remarier, légalement cette fois-ci, avec Caroline sans que son père puisse s’y opposer. Certes, privé de ressources, déshérité, il sera ravalé «dans la dernière classe du peuple», réduit à vendre «son temps et son travail à quiconque veut les payer, exposé aux outrages de l’opulence», etc. (p. 423). Mais cette situation que le père juge dégradante, n’effraie pas le fi ls. Les temps ont bien changé. Depuis l’Emile, on assiste à une revalorisation du travail, fût-il manuel. Comme Bazile l’affi r- me fi èrement, «tout métier qui nourrit son maître, et qui ne coûte rien à la conscience, est un métier qu’on peut faire et avouer sans honte» (p. 373). Pour Charles, qui s’est mis à l’école du peuple sous la tutelle de Bazile, le travail n’a donc rien d’infamant, au contraire: il lui procure une dignité nouvelle et même le bonheur. Un bonheur qu’ignore «l’homme indolent, mort aux vraies jouissances et aux tendres émotions de la nature» (p. 401). Aussi bien, si Verneuil veut malgré tout imposer sa volonté, il doit en passer par les moyens violents que lui suggère Préval, à savoir arracher son fi ls à sa famille et l’en- fermer sans autre forme de procès. Préval dispose pour cela de lettres de cachet en blanc. Leur utilisation est parfaitement illégale, car si l’ordonnance du 15 juillet 1763 l’autorise effectivement, pour mettre au pas «les jeunes gens de famille tombés dans les cas de dérangement de conduite capable d’exposer l’honneur et la tranquillité de leur famille», c’est à condition que l’enfant rebelle ait moins de 25 ans et que le lieute- nant de police, après enquête, donne son accord. Ce qui ne va pas de soi. Nombre de demandes d’internement sont rejetées par l’autorité royale consciente que le secret et la rapidité du procédé peut donner lieu à tous les abus. Cette première infraction à la loi en entraine une autre, beaucoup plus grave. Il faut, après avoir emprisonné Char- les, éloigner Caroline, la priver de son enfant, pour que, seule, sans ressources et sans appui, elle renonce à son mari. Opération cruelle mais que Préval, dans son arrogance et son mépris des petites gens, croit facile: «sa misère est un sûr garant de sa docilité». Il faut enfi n décourager les recherches que Charles, rendu à la liberté, pourrait entre- prendre, en lui faisant croire que sa femme et sa fi lle sont mortes. Ce qu’un juge com- plaisant pourrait certifi er offi ciellement. Stupeur de Verneuil père, qui réagit avec la naïveté d’un provincial (la noblesse de province est supposée moins corrompue que celle de la Cour de Versailles): «Un magistrat, prononcer contre la vérité, contre sa conscience!». A quoi Préval répond: «Celui-là le fera sans diffi culté». Au reste, qui veut la fi n doit s’en donner les moyens; la défense des valeurs aristocratiques dont Verneuil se réclame, (non sans quelques réticences désormais), justifi e le recours à l’arbitraire et à la violence. La position du fi ls se veut légitime quoiqu’illégale, celle du père s’affranchit de la loi – dont il est sur le plan familial l’incarnation et le sym- bole – au nom de ce qu’il croit être son bon droit. Agissant ainsi, il se discrédite, sape

ultime 234 4-12-2006, 21:34:29 La fi gure du père dans “Charles et Caroline” de Pigault-Lebrun 235

son autorité. La situation est inversée: le père, qui demandait compte au fi ls de son impardonnable conduite, doit maintenant réclamer son indulgence. Certes Pigault s’efforce d’atténuer sa culpabilité en attribuant à Préval la responsabilité du complot. D’autre part, l’acte de décès offi ciel concernant la mère et la fi lle, on évite au père de renier son fi ls en prononçant sa mort civile. Enfi n et surtout, le complot échoue. Même si, en ce qui concerne Préval, l’intention vaut l’acte, l’attentat consommé reste sans conséquence véritable. Charles échappe à la prison, Caroline à la déportation, le père se reprend et se repent, la crise se dénoue, les méchants sont confondus, et la famille célèbre son union retrouvée dans un monde réconcilié.

III - D’un monde à l’autre: Une transition pacifi que?

Il a été question d’un prédateur à «l’âme rétrécie et abjecte», dernier avatar du «grand seigneur méchant homme», représentant typique d’une classe en déclin; d’un juge corrompu, «mais il en faut», de lettres de cachet, symboles de l’arbitraire gouver- nemental, de forces de l’ordre conscientes de l’illégalité des ordres qu’on leur donne mais qui s’exécutent car il y va de leur liberté et de leur gagne-pain; mais on nous a montré aussi un peuple qui ne s’en laisse plus compter, une nouvelle génération de fi ls qui entend défendre sa dignité et ses valeurs face au conservatisme des pères. Un changement de régime se prépare. Sera-t-il pacifi que? On pourrait en douter, d’autant que la violence vient du pouvoir en place. Décrété de prise de corps, Charles hésite d’abord à se défendre malgré sa «haine du despotisme» et «l’horreur que doivent inspirer ses suppôts». Il se révolte ensuite contre ce réfl exe de soumission: «Pourquoi trahir, par une lâche obéissance, la société blessée dans un de ses membres, et ma famille dont je suis l’unique support» (p. 458). Il se soumet fi nalement car la violence est toujours condamnable, ineffi cace aussi: «la seule idée d’un meurtre me contient et me désarme […] N’imitons pas nos tyrans, et respectons l’humanité; ne vous souillez point d’un assassinat qui me serait inutile; l’ordre serait confi é à d’autres mains» (p. 460). Il faut privilégier d’autres moyens. C’est ainsi que Verneuil fi ls négocie avec l’exempt pour obtenir qu’il surseoie à l’exécution d’un ordre manifestement illégal, ou qu’à défaut il ferme les yeux sur la substitution de personnes (Bazile prenant la place de Charles en prison). Un bon compromis, que l’exempt accepte car il ne sait plus à qui se fi er. Si sa liberté et sa fortune dépendent aujourd’hui de Préval, qu’en sera-t-il demain ? D’une façon plus générale, les partisans des Lumières sont persuadés que le Vice rend malgré lui hommage à la Vertu, que la Vérité s’impose à tous quand elle se dévoile, et que le spectacle du Bien confond le Mal dont la défaite est assurée. Face à Charles, qui se dresse soudain devant lui comme un remords, Préval, indiquent les didascalies, est «anéanti». Il ne peut soutenir le spectacle de l’innocence bafouée: «Tu baisses la vue, tu n’oses me fi xer? L’opprimé fut toujours le spectacle le plus effrayant pour l’œil de l’oppresseur… tu te tais… tu frémis…» (p. 467)8. On aurait pu croire qu’un libertin aussi endurci ferait meilleure fi gure, mais malgré son cynisme il est

(8) La rhétorique de la vertu s’impose dans le sans force, quand il a perdu son masque, et qu’il drame bourgeois, et particulièrement dans le théâ- est combattu par la nature et la probité». Et quand tre de Pigault-Lebrun. La Vertu est un “actant” Verville lui demande de quel droit elle lui fait la essentiel dont le dramaturge ne saurait se passer. leçon, la Comtesse réplique: «Mes droits sont ceux C’est ainsi – un exemple parmi tant d’autres – que qu’aura toujours la vertu d’en imposer au vice» la Comtesse confond Verville dans L’Orpheline: (IX, p. 284). «Vous souriez, monsieur? Le rire amer du vice est

ultime 235 4-12-2006, 21:34:29 236 Aimé Guedj

convaincu de sa culpabilité. De même, Verneuil père ne peut soutenir le spectacle de la violence qu’il a involontairement provoquée. «Voyez mon père, – lui dit Charles, – et repentez-vous» (p. 469). Il suffi t, nous l’avons dit, de donner à voir et à entendre, de prendre le ciel et le monde à témoin de sa juste cause pour l’emporter. Verneuil fi ls court chez le ministre. Il ne sait s’il est complice ou non de Préval, mais qu’importe! il ne doute pas du succès de sa démarche: «je lui découvrirai des attentats que sans doute il ignore; il en frémira, s’il est vertueux: s’il ne l’est pas, je le forcerai de rendre à la vertu un hommage involontaire, en punissant des excès qu’il aurait dû prévoir ou réprimer» (p. 461). Et, en effet, Verneuil fi ls sermonne le ministre avec une telle éloquence que celui-ci, faisant amende honorable, se rend à ses raisons sans combat: «J’ai cédé aux marques feintes d’un repentir simulé; ses excuses, ses prières, ne me tromperont plus» (p. 472). Il a péché par indulgence, exerçant son pouvoir avec hu- manité. Mais il entend punir le coupable et rendre justice aux victimes. L’autorité sort donc intacte de l’épreuve; il n’est pas nécessaire d’en changer. On comprend que Charles ne se résigne pas à mettre en cause les représen- tants du pouvoir en place. Il ne supporte pas que Bazile se moque de la façon dont la France est gouvernée (Bazile pourtant ne se montre pas plus subversif dans ses propos que Pigault dans sa préface): «Silence, Bazile, s’il vous plait. Je respecte tous les dépositaires de l’autorité, et je les estime assez pour croire qu’ils ne seront pas les instruments d’une basse passion, et qu’ils ménageront l’honnête homme qui sait vous résister» (p. 418). L’attitude du ministre confi rme ce bel optimisme. Tout rentre dans l’ordre. La Justice et la Vengeance divines et royales poursuivront désormais le Crime de façon inexorable. Ces allégories parlent d’ailleurs le même langage: Préval, à la fi n de l’acte III, se félicite de son crime en méchant de mélodrame qu’il est: «c’est un excellent moyen que la persécution, et qui ne manque jamais son effet». Et La Fleur, à la fi n de l’acte IV, conseille à son maître de fuir un lieu où règne la Vertu: «Sortons du royaume, monsieur, on nous contraindrait à devenir honnêtes gens» (p. 472).

IV - Le Père en question.

Une diffi culté demeure. Pour rétablir la stabilité d’un ordre quelque peu ébranlé, il faut restaurer l’image du Père passablement écornée. Comment dissocier, en effet, Verneuil de Préval, condamner l’un sans réprouver l’autre. Car, d’une certaine façon, leurs sorts sont liés. Sans doute, Préval a-t-il manipulé Verneuil, comme il a (pour nous en tenir à la version offi cielle) abusé son ministre, mais Verneuil «a consenti à ce projet» malhonnête et violent «dont il ne prévoyait pas les suites», affi rme son second fi ls, comme s’il s’agissait d’une circonstance atténuante. Verneuil avait exigé, en effet, que tout se déroule en douceur et sans éclat. Conseil superfl u car il allait de soi qu’une opération aussi illégale devait, pour réussir, s’exécuter discrètement, mais on ne pouvait exclure que les victimes résistent à la force et que le scandale n’éclate. On peut considérer qu’il y a une certaine dose de mauvaise foi et même de lâcheté dans le désaveu que Verneuil infl ige à Préval. En fait, en dénonçant la perfi die de ces amis «qui, sous le voile d’un feint attachement, servent leurs propres intérêts, et sacrifi ent tout à l’égoïsme» (p. 470), Verneuil, consciemment ou non, masque ses propres responsabilités. Mais il a pour avocats ses propres fi ls, trop attachés à l’ordre familial pour le compromettre en condamnant leur père. Pour Verneuil fi ls, son père n’a pas agi de son propre chef: «bon, aimant, [il] s’est rendu aux malignes insinuations d’un homme qu’il connaissait mal» (p. 471). Charles, quant à lui, profondément blessé par la du-

ultime 236 4-12-2006, 21:34:30 La fi gure du père dans “Charles et Caroline” de Pigault-Lebrun 237

plicité «de ce père cruel qui n’embrassait son fi ls que pour mieux l’assassiner», avoue qu’il le «respecte encore au moment où il m’ôte la vie» (p. 457). Ce père faillible, vul- nérable, qu’il faut défendre et qui a besoin de l’indulgence de ses enfants, n’est plus le souverain redoutable auquel il faut obéir sans discuter. Le père intraitable qu’il rêvait d’être appartient à un modèle désormais dépassé. C’est en vain qu’il présente un visage sévère susceptible d’inspirer le respect et la crainte, il a du mal à cacher ses émotions. Ainsi, après l’entrevue avec Verneuil fi ls, il avoue: «Il m’en a coûté pour résister à ce jeune homme, pour lui montrer une infl exibilité qui n’est pas dans mon caractère» (p. 428). Lorsque Charles se présente devant lui après bien des années d’absence, portant «les livrées de la misère, manquant de tout peut-être», il s’écrie: «Mon cœur saigne en te revoyant. Je ne peux supporter cet aspect qui me tue» (p. 433). Quelque décision qu’il prenne, il voudrait convaincre son «cher Charles» que son père est son meilleur ami (p. 440). L’internement à quoi il se résout l’inquiète car il pourrait «achever d’aigrir un jeune homme déjà trop violent; me fermer à jamais son cœur» (p. 448). Incapable d’agir par lui-même, il se retire en soupirant: «Laissez- moi renfermer mes larmes, mes combats et mes regrets» (p. 452). Qu’il est diffi cile le métier de père! Verneuil qui s’est égaré une première fois par une fermeté excessive, pourrait s’égarer en sens inverse par excès de faiblesse. Mais cet excès lui paraît moins dommageable que l’autre; c’est pourquoi il est résolu à ne plus consulter que son cœur: «si son excessive bonté m’égare, au moins ne me rendra-t-il jamais injuste et tyrannique» (p. 470). Au reste, pour ce qui le concerne, il n’y a pas de contradiction entre ces deux attitudes extrêmes: «Mes enfants, je ne me suis montré trop sévère que par excès d’amour, et c’est ce même amour qui nous réunit tous aujourd’hui» (p. 476). Charles et Caroline semble illustrer parfaitement la thèse développée par J-C Bonnet: La nouvelle image du père plus familière, paisible, n’est pas seulement destinée à sup- planter une ancienne paternité tyrannique, ‘gothique’ disait-on alors, elle est utilisée dans un projet militant. Dans sa simplicité domestique, et dépouillé de tout autre attribut, le père privé acquiert un surcroît d’intérêt symbolique, car il en vient à représenter la nature: devant elle s’abolissent les distinctions et les privilèges d’une société d’ordres, ce qui ouvre la perspective d’un monde plus homogène et plus égalitaire. A travers la fi gure du père, on prétend impo- ser une éthique universaliste et convertir à un nouvel ordre de choses. Sous son apparence pacifi que et par cela même, cette paternité proche et conciliante se révèle, d’une façon moins paradoxale qu’il n’y paraît au premier abord, comme une formidable machine de guerre contre l’ancien régime.

En vérité, Pigault-Lebrun ne se croyait pas si subversif. Ses premières œuvres théâtrales sont au contraire une tentative pour sauver ce qui peut l’être de l’ancien ordre social. Il entretient l’espoir d’une réconciliation des classes sociales sous la tutelle bienveillante d’un roi proche de son peuple, père reconnu et respecté de la nation. Ainsi, en mai 1789, dans La Joueuse, il fait l’éloge de Louis XVI, ce «prince vertueux» que la France chérit et que l’Europe admire: «A ses yeux paternels ses sujets sont égaux; | Il respire pour eux, il efface leurs maux; | Il règne par l’amour et par la bienfaisance, | Et c’est sur ses vertus qu’il fonde sa puissance» (Acte II, sc. 8)9. Et s’il fustige tel noble corrompu qui trahit ses aïeux et fl étrit son «grand nom», c’est pour mieux le ramener à la raison. Aussi bien, sensible aux reproches qu’on lui fait,

(9) Pigault-Lebrun précise en note, dans l’édi- simplement l’écho de l’opinion publique. tion de ses œuvres complètes, qu’il se faisait alors

ultime 237 4-12-2006, 21:34:30 238 Aimé Guedj

ce noble fait amende honorable, redevient un homme estimable, et c’est une com- tesse, d’ailleurs, qui lui fait la leçon. Certes, il existe parfois des petits maîtres dont le vice est incurable, comme Verville dans L’Orpheline (juin 1789), mais ce sont des exceptions. En septembre 1789, dans Le Marchand Provençal, Pigault-Lebrun laisse entendre que ce qui oppose la bourgeoisie à la noblesse c’est ce qu’on appellerait aujourd’hui un manque de communication. A M. de Kersalec qui lui reproche de faire preuve de prévention et d’injustice à son égard, Fabrice, le marchand provençal, avoue: «je n’ai jamais fréquenté la noblesse, et je l’avais jugée sur l’échantillon» (II, 14). Or voilà beau temps que M. de Kersalec, un cadet de Bretagne, exhérédé dès sa naissance, s’est défait de ses «idées gothiques» sans rien renier de ses origines (ceci explique peut-être cela?). A son exemple, Fabrice se défait de ses préjugés, tout en restant fi er de sa condition. Sans renoncer à ce qu’ils sont, ils se rejoignent dans un même amour du bien public:

KERSALEC: […] Je suis gentilhomme, et je n’en suis pas fâché; mais le titre dont je m’ho- nore, dont je suis fi er, c’est celui de bon citoyen. FABRICE: J’estimais mon état, vous me le faites aimer davantage; je haïssais la noblesse, vous me la faites aimer, et je sens en effet que ce titre de citoyen est le lien général de la société, le gage de cette douce égalité qui élève chacun sans abaisser personne, la colonne inébranlable à qui tient la durée des empires (IX, pp. 364-365).

Un mariage entre Mlle de Kersalec et Fabrice scelle l’alliance de la bourgeoisie et de la noblesse, assurant le passage pacifi que de l’Ancien Régime au nouveau10. En 1790, Charles et Caroline associe le peuple à cette alliance. Après bien des orages, la famille réunifi ée autour du Père symbolise le rassemblement de la nation réconciliée autour de son Roi, célébrant ainsi la Fête de la Fédération. Une question demeure. Dans son œuvre romanesque, Pigault-Lebrun exalte contradictoirement l’ordre le plus conservateur11 et la liberté la plus anarchique: toute remise en cause de l’autorité, à quelque niveau que ce soit, lui paraît dangereuse et condamnable; mais, inversement, il procède à une critique systématique et radicale des pères et de toutes les institutions qui mettent les individus sous tutelle, aliénant leur liberté. Ces apories, ce sens de la complexité humaine, se perdent au théâtre. Le roman est pour lui le domaine de la fantaisie, de la gratuité artistique; le théâtre relève de la littérature engagée. On ne doute pas à l’époque que le drame joue un rôle important «dans l’émancipation de l’humanité» (La Harpe); certaines pièces se don- nent même pour mission d’«accélérer le progrès de la Révolution», ce dont Danton se félicite (cité par M. Carlson, p. 157). Pigault-Lebrun est persuadé que les scènes sentimentales, voire mélodramatiques, toujours édifi antes, ont un effet thérapeutique sur un public riche et blasé. Le théâtre se veut donc école de civisme. C’est pourquoi il faut que le message soit clair, qu’il s’impose avec force. Mais la logique propre du drame bourgeois donne à ce message, en période révolutionnaire, un sens qui échap- pe à son auteur, qui se retourne même contre la politique de tolérance, de modéra- tion, qu’il entend défendre. A la différence du théâtre classique, le drame bourgeois suppose que l’homme est perfectible, amendable. Chez Molière les pères ne changent

(10) Monsieur Botte, l’un des romans les plus voûte, c’est renverser l’édifi ce, et que, déranger populaires de Pigault-Lebrun, développe longue- quelques-unes des pièces intermédiaires, c’est me- ment ce thème. nacer la clé» (XVIII, p. 469). L’Enfant du Carnaval, (11) Selon le personnage central de L’Observa- déjà, dénonçait avec violence toutes les mesures teur, les hommes «sentent la nécessité d’obéir […] révolutionnaires, et notamment celles qui ôtaient un instinct secret leur dit qu’arracher la clé d’une aux pères l’essentiel de leurs pouvoirs.

ultime 238 4-12-2006, 21:34:30 La fi gure du père dans “Charles et Caroline” de Pigault-Lebrun 239

pas d’avis, ils s’obstinent dans leurs errements, leurs égoïsmes, leurs erreurs. Il faut l’emporter sur eux, malgré eux, en les trompant, en les ridiculisant. Dans Charles et Caroline, au contraire, le père n’est pas vaincu mais convaincu d’adhérer aux valeurs nouvelles. Loin de se renier, il s’accomplit. Mais, pour que l’action se maintienne et rebondisse quand le confl it intérieur se dissipe, il faut un «opposant» extérieur, aussi méchant que les autres sont bons. C’est Bégears, un scélérat, grand machinateur d’intrigues dans La Mère coupable, dont on se débarrasse au dénouement: «Homme cruel, sortez de ma maison! L’enfer n’est pas aussi profond que vous!» (V, 7). C’est le comte de Préval dans Charles et Caroline. Mais, d’une pièce à l’autre, et surtout d’une époque à l’autre, l’enjeu a changé. Lorsque Charles et Caroline est joué au Théâtre de la République en 1793, Pigault-Lebrun ajoute en sous-titre: Ou les abus de l’Ancien Régime. Ce qui est en cause, ce n’est plus un individu mais un système, ou plutôt un individu qui renvoie à un système. Le comte de Préval incarne donc, que Pigault- Lebrun le veuille ou non, l’ancien régime condamné. Si dans le drame sentimental il n’y a pas de confl it insoluble, si – guidés par la raison – les protagonistes trouvent toujours une solution à leurs problèmes, à défaut les voies d’un compromis, si la vertu s’impose à l’évidence («Mes yeux sont désillés et je vois la lumière» déclare par exemple le jaloux «corrigé»12), cet optimisme a son revers. Le traitre de mélodrame reste aveugle aux plus vives clartés. Insensible à la vertu, il est foncièrement mauvais, il faut donc le retrancher de la communauté, à moins qu’il ne s’en exclue lui-même. Il y a donc des êtres irrécupérables, qui risquent de contaminer le corps social tout entier. L’exaltation de la vertu du plus grand nombre a pour complément nécessaire la répression du vice. Involontairement Pigault-Lebrun légitime le règne conjugué de la Terreur et de la Vertu.

AIMÉ GUEDJ

(12) Le Jaloux corrigé ( IX, p. 76).

ultime 239 4-12-2006, 21:34:30 240 Valentina Ponzetto Autorità del padre e autorità dei libertini nell’“Adolphe” di Benjamin Constant

Fra le ragioni dei tormenti e delle sfortunate vicende di Adolphe va senza dub- bio annoverato il peso esercitato su di lui dall’autorità del padre, autorità a cui gli è impossibile sia conformarsi, sia ribellarsi. La schiacciante infl uenza paterna sulla vita del giovane traspare chiaramente fi n dalle prime righe del romanzo: Je venais de fi nir à vingt-deux ans mes études à l’Université de Gottingue. L’intention de mon père, ministre de l’électeur de***, était que je parcourusse les pays les plus remarquables de l’Europe. Il voulait ensuite m’appeler auprès de lui, me faire entrer dans le département dont la direction lui était confi ée, et me préparer à le remplacer un jour1.

Un cammino già tracciato, dunque, che sembrerebbe destinare il protagonista a seguire non solo i dettami, ma anche le orme paterne, in un percorso di formazione che farebbe di lui la replica esatta del genitore, pronto a raccoglierne l’eredità tanto privata quanto pubblica. L’impegno civile in una carriera politica o diplomatica rap- presenta in effetti un grande valore e l’unica vera realizzazione personale possibile agli occhi di questi personaggi che appartengono alla nobiltà tedesca e probabilmente protestante di fi ne Settecento, votata al servizio dello Stato, attiva, fi era delle sue fun- zioni uffi ciali, erede della morale utilitarista del secolo dei Lumi e pronta a integrarsi nella società borghese dell’Ottocento. Più volte, nel corso della narrazione, viene fat- ta allusione alle brillanti potenzialità che gli studi hanno lasciato intuire in Adolphe e alle grandi speranze, forse addirittura esagerate, che la famiglia ha concepito sul suo conto. Lui stesso, esplicitando queste attese che in gran parte velleitariamente condivide, esprime a un certo punto il desiderio «d’entrer dans une carrière, de com- mencer une vie active, d’acquérir quelques titres à l’estime des hommes, de faire un noble usage de [ses] facultés»2. Secondo gli usi della buona società a cui appartiene per nascita e che lo attende, a questo impegno istituzionale si dovrebbe accompagna- re una realizzazione privata e famigliare attraverso il matrimonio con una fanciulla illibata che gli sia uguale per nascita e per fortuna. Ora, entrambe queste realizzazioni sono precluse ad Adolphe dalla sua liaison con Ellénore, una donna dal passato burrascoso e dalla reputazione tutt’altro che intatta. Al contempo, però, l’aspirazione che egli nutre malgrado tutto per esse av- velena il suo rapporto con l’amante, e contribuisce a farlo precipitare verso la dram- matica conclusione. I richiami all’ordine che gli giungono dal padre, dapprima più secchi e autoritari, poi via via più sfumati e ironici, ma non per questo meno incisivi, contribuiscono certamente in larga parte ad alimentare i suoi dubbi, ad accrescere la sua insoddisfazione e i suoi rimorsi. L’autorità paterna, più che in modo propria- mente impositivo, agisce qui in maniera subdola, insinuante, attraverso attenuazioni ironiche e appelli all’orgoglio, alla vanità, ai sensi di colpa dell’interlocutore. Con i discorsi o con le lettere, infatti, il padre continua a ricordare al fi glio quale sarebbe il suo dovere, a lasciargli intendere la propria disapprovazione per il protrarsi di una

(1) B. CONSTANT, Adolphe, préface, biblio- GF Flammarion, 1989, p. 47. graphie et chronologie par Daniel Leuwers, Paris, (2) Ivi, p. 112.

ultime 240 4-12-2006, 21:34:30 Autorità del padre e autorità dei libertini nell’“Adolphe” di Benjamin Constant 241

relazione sconveniente, e soprattutto a fargli balenare l’immagine della stima e della considerazione di cui sarebbe invece circondato se fi nalmente accettasse di intrapren- dere la carriera a cui era destinato. L’infl uenza e l’autorità paterne sono ancora appoggiate, raddoppiate e come amplifi cate dalla fi gura del barone de T***, infl uente ministro a Varsavia e sorta di alter ego del padre, con cui condivide simbolicamente le insegne del potere politico e a cui è legato da sincera amicizia. Lo stretto rapporto fra i due è ulteriormente sottoli- neato da un fi tto scambio epistolare che disegna nell’economia del romanzo una sorta di passaggio di consegne: le lettere del padre non solo informano M. de T*** della situazione di Adolphe e dei progetti concepiti sul suo conto, ma, esibite platealmente di fronte a quest’ultimo, conferiscono uffi cialmente al barone il ruolo di portavoce e rappresentante del padre, e di garante della sua autorità. Non a caso M. de T*** nei suoi discorsi riprende fedelmente le posizioni dell’amico, ma in modo ancor più duro ed esplicito. La premura amichevole, o, se vogliamo, paterna, con cui egli ac- coglie Adolphe si traduce infatti in un’offerta di protezione e di aiuto, ma anche in una messa in guardia di una schiettezza brutale. «Le bien qu’on m’a dit de vous, les talents que vous annoncez, la carrière que vous devriez suivre, tout me fait une loi de ne rien vous déguiser»3 gli dice, in guisa di captatio benevolentiae, prima di imporgli una sorta di ultimatum: «Toutes les routes vous sont ouvertes: les lettres, les armes, l’administration; vous pouvez aspirer aux plus illustres alliances; vous êtes fait pour aller à tout: mais souvenez-vous bien qu’il y a, entre vous et tous les genres de succès, un obstacle insurmontable, et que cet obstacle est Ellénore»4. Per spingere il giovane a compiere la sua scelta il barone, fi n dal primo incontro, non esita a dipingergli il de- plorevole stato in cui il perdurare della sua situazione lo ridurrebbe inevitabilmente, dimenticato da tutti, «perdu pour la gloire»5, e costretto dunque a vegetare invece di vivere. Di fronte all’eterna irresoluzione del protagonista sarà infi ne proprio il barone a ergersi come una sorta di braccio armato dell’autorità paterna, colpendo attraverso lo stesso strumento con cui è stato insignito di tale autorità : la lettera. Mostrando a Ellénore le lettere in cui Adolphe esprime l’intenzione di lasciarla egli spingerà infatti la donna al delirio febbrile, e quindi alla morte. Paradossalmente a questo raddoppio e a questo inasprimento dell’autorità paterna Adolphe non reagisce né con la sperata obbedienza né con una qualsiasi forma di ribellione. Si limita a sprofondare sempre di più nel tormento interiore delle proprie contraddizioni, e a cercare un’illusoria via di fuga nelle fantasticherie. Nel capitolo VII, dopo una discussione particolarmente lunga e aspra con il barone, egli si rifugia nella solitudine della campagna, e si lascia andare a sognare quanto sempli- ce e gradevole potrebbe essere la sua vita se soltanto al suo fi anco ci fosse, invece di Ellénore, una compagna ideale, «innocente», «jeune» e «que [son] père ne rougît pas d’accepter pour fi lle»6: Je réfl échis au repos, à la considération, à l’indépendance même que m’offrirait un sort pareil […] J’imaginais la joie de mon père; j’éprouvais un désir impatient de reprendre dans ma patrie et dans la société de mes égaux la place qui m’était due; je me représentais opposant une conduite austère et irréprochable à tous les jugements qu’une malignité froide et frivole avait prononcés contre moi, à tous les reproches dont m’accablait Ellénore7.

(3) Ivi, p. 122. (6) Ivi, p. 127. (4) Ivi, p. 124. (7) Ivi, pp. 126-127. (5) Ibid.

ultime 241 4-12-2006, 21:34:31 242 Valentina Ponzetto

La rêverie di Adolphe prosegue evocando in maniera idillica, e probabilmente di molto abbellita e deformata dal ricordo, la vita famigliare della sua infanzia, in un tripudio di pace campestre e serenità coniugale che si ripropone di emulare con l’im- maginaria giovane sposa. Due elementi mi paiono degni di nota in questo piccolo epi- sodio: da un lato il vivissimo desiderio del protagonista di rendere felice il padre, direi quasi di ripagarlo delle delusioni dategli in passato, emulandolo e realizzandone al meglio i consigli e le aspirazioni; dall’altro la sincerità e spontaneità della sua adesione ai valori della società e della morale borghese. Solo con sé stesso, libero di immagi- nare una realtà secondo i suoi sogni, Adolphe sembra profondamente convinto che il matrimonio e la famiglia, l’austerità, la rispettabilità e la tranquillità siano il miglior coronamento alla riuscita di un giovane. Se potesse per incanto vedersi avverare i suoi più segreti desideri è certamente questo che sceglierebbe per sé. Come è noto la debolezza di carattere e l’incapacità di lasciare una donna che pur non ama più impediscono ad Adolphe di compiere anche solo un passo verso la realizzazione concreta di questo sogno di vita da fi glio, marito e cittadino mo- dello. Quel che non si deve però sottovalutare è il peso determinante che l’esempio autorevole e le parole del padre hanno avuto anche sul formarsi della relazione con Ellénore, in particolar modo sulla maniera sconsiderata e spavalda con cui il giovane si è gettato in un primo tempo alla conquista della donna senza prevedere le serie conseguenze delle sue azioni. Accanto alle «règles directes»8 degli insegnamenti che gli erano destinati, infatti, Adolphe fi n dalla sua prima giovinezza ha potuto udir pronunciare dal padre dei di- scorsi di tutt’altra natura che, presentandosi sotto forma di «plaisanteries»9 applaudi- te da tutti, di norme di comportamento maliziosamente suggerite piuttosto che diret- tamente insegnate, parevano rivestire un prestigio forse ancora più grande. Il modello proposto dai discorsi paterni appare dunque sottilmente ambiguo e contraddittorio, improntato a una doppia moralità: una morale borghese uffi cialmente professata e per così dire pubblica, affi ancata però parallelamente da un’altra morale, uffi ciosa- mente tollerata e persino sottilmente incoraggiata, che, proprio per il suo carattere più affascinante e confi denziale, sembra «renfermer le véritable secret de la vie»10 agli occhi di un Adolphe poco più che adolescente. All’inizio del secondo capitolo, non a caso appena prima di narrare il suo primo incontro con Ellénore, l’Adolphe voce narrante del romanzo presenta, con la distanza critica datagli ormai dall’esperienza, questo doppio messaggio su cui la sua giovinezza e la sua sprovvedutezza di allora l’hanno portato a equivocare: J’avais, dans la maison de mon père, adopté sur les femmes un système assez immoral. Mon père, bien qu’il observât strictement les convenances extérieures, se permettait assez fréquemment des propos légers sur les liaisons d’amour: il les regardait comme des amuse- ments, sinon permis, du moins excusables, et considérait le mariage seul sous un rapport sérieux. Il avait pour principe qu’un jeune homme doit éviter avec soin de faire ce qu’on nomme une folie, c’est-à-dire de contracter un engagement durable avec une personne qui ne fût pas parfaitement son égale pour la fortune, la naissance et les avantages extérieurs; mais du reste, toutes les femmes, aussi longtemps qu’il ne s’agissait pas de les épouser, lui paraissaient pouvoir, sans inconvénient, être prises, puis être quittées; et je l’avais vu sourire avec une sorte d’approbation à cette parodie d’un mot connu: «Cela leur fait si peu de mal, et à nous tant de plaisir!»11.

(8) Ivi, p. 58. (10) Ibid. (9) Ibid. (11) Ivi, pp. 57-58.

ultime 242 4-12-2006, 21:34:31 Autorità del padre e autorità dei libertini nell’“Adolphe” di Benjamin Constant 243

La generale approvazione che circonda un tale discorso e abbaglia lo sprovve- duto eroe va ben oltre l’autorità o l’infl uenza di suo padre. Vi si può leggere, a mio avviso, un’eco di quella lunga e letterariamente assai ricca tradizione che va sotto il nome di libertinage. Su tutto il discorso del padre, del resto, per l’ingannevole, un po’ perfi da leggerezza, per l’eleganza affettata, per la scelta stessa dei termini, dai «propos légers sur les liaisons», all’immagine delle donne come «amusements excusables», al loro rapido e indifferenziato susseguirsi in una danza di amanti «prises, puis […] quittées», plana un’atmosfera da romanzo libertino, come un ricordo delle pagine di Crébillon o di Laclos. Quale più incisiva e sintetica defi nizione dei principi che governano l’universo li- bertino si può d’altronde immaginare di quel «système assez immoral sur les femmes» con cui Adolphe riassume i valori ricavati dalle parole del padre? La bella formula ha l’icasticità di una defi nizione lessicografi ca e, a dire il vero, appare in perfetto accordo con quelle che i dizionari francesi danno della parola li- bertinage. Per il Trésor de la Langue Française, in effetti, esso si identifi ca con la «con- duite de celui qui a des mœurs très libres, qui s’adonne sans re tenue aux plaisirs de la chair»12, e per il Littré con l’«état de celui qui est libertin, déréglé dans ses mœurs»13 «par rapport à la moralité entre les deux sexes»14. Già nel Settecento due autorità così idealmente lontane come i gesuiti del Dictionnaire de Trévoux e i redattori dell’En- cyclopédie si incontravano nel defi nire il libertinage rispettivamente come una forma di «débauche, désordre, dérèglement dans les mœurs, vie ou conduite libertine»15 e una «habitude de céder à l’instinct qui nous porte aux plaisirs des sens»16, spinti unicamente dalla voluttà e dall’incostanza. Non ci si lasci però trarre in inganno dalle idee di désordre e dérèglement, né dall’uso più moderno e corrente del termine, svilito e banalizzato fi no a diventare un sinonimo di libertà o, per meglio dire, di licenza sessuale. Il libertinage settecentesco, così come esso appare nei più famosi romanzi che hanno segnato il secolo dei Lumi e come dunque si trasmette in eredità agli scrittori del primo Ottocento, è prima di tutto, per riprendere la felice espressione di Benjamin Constant, ma anche la celebre analisi di Colette Cazenobe17, système. Un sistema estremamente e rigidamente codi- fi cato, che implica una ferrea padronanza delle proprie parole e delle proprie azioni e una serie di comportamenti prestabiliti nelle relazioni amorose, minuziosamente defi niti, nel corso del secolo, con il consolidarsi di un vero e proprio genere lettera- rio. Il libertinage come lo concepiscono Crébillon o Laclos è in effetti soprattutto un gioco di società dalle regole implicite ma ferree. Gioco eccitante, pericoloso, talvolta crudele, le cui partite si disputano sul «gran teatro del mondo», sotto lo sguardo e il giudizio di tutti, costituendo il centro della vita mondana e sociale, e, per così dire, una regola di vita e di pensiero. L’eroe libertino volitivo e calcolatore alla Valmont o alla Versac, il più celebre e il più ammirato dalle generazioni successive di scrittori, da Stendhal a Musset e a Baudelaire, pare così discendere in qualche modo dagli esprits forts, esponenti del

(12) Trésor de la Langue Française. Dictionnaire (16) DIDEROT-D’ALEMBERT, Encyclopédie, ou de la langue du XIXème et du XXème siècle (1789-1960), Dictionnaire raisonné des Sciences, des Arts et des t. X, Paris, Éditions du CNRS, 1983. Métiers, par une société de gens de lettres, Neucha- (13) E. LITTRÉ, Dictionnaire de la langue française, tel, Samuel Faulche et Compagnie, 1751-1780, art. Paris, Pauvert, 1957, t. IV, articolo «libertinage». «libertinage», tome IX, p. 476, col. a. (14) Ibid., articolo «libertin». (17) Cf. C. CAZENOBE, Le Système du libertinage (15) Dictionnaire universel français et latin vul- de Crébillon à Laclos, «Studies on Voltaire and the gairement appelé de Trévoux, Paris, Compagnie des Eighteenth Century», Oxford, The Voltaire Foun- libraires associés, 1752, t. IV. dation, 1991.

ultime 243 4-12-2006, 21:34:31 244 Valentina Ponzetto

libertinaggio fi losofi co dei secoli precedenti, mantenendone l’impronta intellettuale, razionalista, freddamente analitica18. Ragione, spirito critico, individualismo sono le sue parole d’ordine anche nel bel mezzo di avventure apparentemente frivole e vo- luttuose, nel regno della galanteria fi ne a sé stessa. Per lui come per i liberi pensatori secenteschi descritti da Antoine Adam «le libertinage n’admet qu’une faculté de con- naître, la raison, organe de la critique in dividuelle. Il l’oppose fortement à l’autorité et à la tradition»19. O piuttosto, a dir la verità, fi nisce per creare una nuova tradizio- ne, una nuova forma di auctoritas, quanto meno letteraria, imprescindibile anche se mai uffi cialmente consacrata. Essa impone un perfetto autocontrollo, un misurato distacco, un linguaggio pungente, ironico, sorvegliato, e il divieto assoluto di cedere ai sentimenti, pena il ridicolo. Basti pensare ai precetti che Versac, il più ammirato e imitato dei petits-maîtres che popolano Les Égarements du coeur et de l’esprit, im- partisce al suo discepolo Meilcourt, dando il via a una lunga tradizione20: «esprit», «pénétration», «justesse», «fi nesse»21 sono indispensabili per trionfare nel mondo attraverso la seduzione e l’inganno senza lasciarsi condizionare o dominare dagli altri né dalle situazioni. Valmont, dal canto suo, ostenta, forse con troppa spavalderia per essere veramente sincero, la sua freddezza calcolatrice e la sua completa indipen- denza sentimentale nei confronti di Mme de Tourvel, la sua capacità di mantenere le distanze e di non provare a sua volta i turbamenti e i trasporti che sa suscitare nella partenaire22. Sono queste le qualità di cui va fi ero e che teme di vedersi disputare. Non a caso sappiamo che ha costruito la sua strepitosa carriera di seduttore e di beniamino della bonne compagnie parigina attraverso una rigorosa strategia studiata a tavolino e sempre osservata con scrupolo. Mme de Volanges, nel tracciare di lui un ritratto forse malevolo, ma non certo infedele, sottolinea proprio questo aspetto:

(18) Ricordiamo che in origine “libertino” è d’esprit qui se souviendra des audaces des libertins colui che «ne s’assujettit ni aux croyances ni aux d’antan» (R. TROUSSON, Introduzione a Romans li- pratiques de la religion» (E. LITTRÉ, Dictionnaire bertins du XVIIIème siècle, Paris, Laffont, collection de la langue française, cit., tome IV, articolo «li- «Bouquins», 1993, p. V). bertin»), che «refuse le dogmatisme des croyances (19) A. ADAM, Théophile de Viau et la libre pen- établies ou offi cielles et en particulier celui de la sée en France en 1620, Paris, Droz, 1935, p. 432. religion et la contrainte de sa pratique». (Trésor de (20) Gli studiosi di romanzo libertino sono la Langue Française, cit., articolo «libertin», A. 3, in genere concordi nell’individuare in Crébillon vol. X, p. 1169). In questa accezione il termine è l’iniziatore e il capostipite di un genere e di una considerato «vieilli ou littéraire», ma un ricordo di tipologia di personaggi che tutto il Settecento non tale signifi cato resta in qualche modo sempre legato smetterà di imitare. Si veda in proposito il bel all’idea di libertino. Laurent Versini, memorialisti e volume Du genre libertin au XVIIIème siècle, textes romanzieri del XVIII secolo alla mano, ha sostenuto réunis par J.-F. PERRIN et Ph. STEWART, Paris, Des- che questa continuità è più evidente ai nostri occhi jonquères, 2004. [Actes du colloque international che a quelli dei testimoni dell’epoca, e che «c’est le La Littérature libertine au XVIIIème siècle: existe-t-il langage moderne qui voit dans le libertinage une un genre libertin? Défi nition, typologie, limites chro- subtile construction de l’intelligence renvoyant nologiques, corpus, Grenoble, Université Stendhal, à une éthique de liberté et d’individualisme» (L. Grenoble 3, 26-28 septembre 2002] e in particolare VERSINI, Laclos et la tradition. Essai sur les sources et gli interventi di J. GOLDZINK (Questions sur la nais- la technique des “Liaisons dangereuses”, Paris, Klin- sance du récit libertin des Lumières, pp. 74-85) e J. cksiek, 1968, p. 43). Tuttavia, come hanno mostrato SGARD (Le “Sopha” comme classique du libertinage, in particolar modo i lavori di Robert Darnton, un pp. 175-184). certo legame sussiste già nelle coscienze del tempo (21) CRÉBILLON fi ls, Les Égarements du cœur et se, per esempio, alla vigilia della Rivoluzione opere de l’esprit, éd. critique par Michel Gilot et Jacques fi losofi che e romanzi libertini condividono gli stessi Rustin, in Œuvres complètes, éd. dirigée par Jean canali di produzione e di distribuzione (Cf. R. Sgard, tome II, Paris, Classiques Garnier Multimé- DARNTON, Édition et sédition: L’univers de la littéra- dia, 2000, p. 215. ture clandestine au XVIIIème siècle, Paris, Seuil, «coll. (22) Si pensi in particolare alla lettera CXXV Hautes Études», 1983). Anche a detta di Raymond delle Liaisons dangereuses, la cronaca della resa Trousson certe opere romanzesche del Settecento defi nitiva di Mme de Tourvel, dove Valmont cerca che oggi consideriamo appartenenti al corpus di nascondere le proprie emozioni presentandosi libertino «se piqueront encore de faire penser, de come un generale vittorioso fi ero della sua strategia fonder un libertinage des mœurs sur un libertinage e della sua tattica.

ultime 244 4-12-2006, 21:34:31 Autorità del padre e autorità dei libertini nell’“Adolphe” di Benjamin Constant 245

Encore plus faux et dangereux qu’il n’est aimable et séduisant, jamais depuis sa plus grande jeunesse, il n’a fait un pas ou dit une parole sans avoir un projet, et jamais il n’eut un projet qui ne fût malhonnête ou criminel. […] sa conduite est le résultat de ses principes. Il sait calculer tout ce qu’un homme peut se permettre d’horreurs, sans se compromettre; et pour être cruel et méchant sans danger, il a choisi les femmes pour victimes. Je ne m’arrête pas à compter celles qu’il a séduites: mais combien n’en a-t-il pas perdues?23.

Valmont, e come lui ogni perfetto libertino, «n’ose rien donner au hasard»24. A guidarlo sono dei principi teorici, ed è stato giustamente notato come il rigore intellettuale con cui vi si attiene, il suo rispetto della méthode, abbiano un che di cartesiano, avvicinino ancora una volta il libertino galante del XVIII secolo al libertino fi losofo del XVII. Vi è evidentemente un modello, o, per dirla con Constant, un sistema libertino universalmente accettato, che si impone con autorità, e che questi personag- gi si sentono in dovere di seguire scrupolosamente o tutt’al più di perfezionare: a pro- posito del suo attacco decisivo a Mme de Tourvel il visconte vanta in effetti la propria «pureté de méthode»25, e Mme de Merteuil lo accomuna a Prévan sotto la defi nizione di «gens à principes», per lei così prevedibili in quanto tali26. Quanto alla marchesa stessa, è forse il miglior esempio di freddezza e di calcolo in ogni minimo dettaglio, di perfetto controllo razionale su sé stessa e di critica ironica, mordente e impietosa verso gli altri. La celeberrima lettera LXXXI, sorta di lucida e serrata autobiografi a, descrive il suo percorso di formazione attraverso l’esercizio continuo dell’autocon- trollo, la rifl essione, lo studio quasi scientifi co delle proprie reazioni e sensazioni, degli altri e della società, e la porta a concludere con fi erezza: «Quand m’avez-vous vue m’écarter des règles que je me suis prescrites, et manquer à mes principes? […] ils sont le fruit de mes profondes réfl exions; je les ai créés, et je puis dire que je suis mon ouvrage»27. Il libertino offerto come modello dalla letteratura settecentesca è dunque un personaggio che grazie a un notevole sforzo di volontà ha raggiunto un perfetto con- trollo delle sue parole e delle sue azioni, e sa modularle a suo piacimento per ottenere l’effetto desiderato. Come è stato più volte sottolineato dalla critica28, è un essere prettamente teatrale, non soltanto per il suo esibizionismo, ma soprattutto perché, come l’attore preconizzato da Diderot nel suo celebre Paradoxe sur le comédien, deve saper rivestire tutte le maschere per puro artifi cio, senza mai lasciarsi coinvolgere personalmente dal ruolo interpretato. Deve insomma, secondo i precetti di Versac, «être toujours, et sans contrainte, du caractère que l’instant où [il se] trouve exige de [lui] [...] Être passionné sans sentiment, pleurer sans être attendri, tourmenter sans être jaloux»29. La scelta di affi darsi unicamente alla ragione, di farne la propria unica guida al punto da rifi utare o reprimere i sentimenti come qualcosa di indegno e vergognoso, che è motivo di orgoglio e oggetto di continuo esercizio per gli eroi libertini, costi-

(23) LACLOS, Les Liaisons dangereuses, in Œuvres (27) Ivi, lettera LXXXI, p. 170. complètes, texte établi, présenté et annoté par Lau- (28) Cf. per esempio: B. DIDIER, Choderlos de rent Versini, Paris, Gallimard, «Bibliothèque de la Laclos, “Les Liaisons dangereuses”. Pastiche et iro- Pléiade», 1979, lettera IX, p. 26. nie, Paris, Editions du Temps, 1998; R. VAILLAND, (24) Ivi, lettera VI, p. 22. Laclos par lui-même, Paris, Éditions du Seuil, (25) Ivi, lettera CXXV, p. 293. 1953; L. VERSINI, Laclos et la tradition. Essai sur (26) «Qu’il est commode d’avoir affaire à vous les sources et la technique des Liaisons dangereuses, autres gens à principes! […] votre marche réglée se Paris, Klincksiek, 1968. devine si facilement! L’arrivée, le maintien, le ton, (29) CRÉBILLON fi ls, Les Égarements du cœur et de les discours, je savais tout dès la veille» (Ivi, lettera l’esprit, cit., p. 215. LXXXV, p. 188).

ultime 245 4-12-2006, 21:34:32 246 Valentina Ponzetto

tuisce anche una delle caratteristiche principali e al tempo stesso il segreto tormento del padre di Adolphe. Suo fi glio lo defi nisce «un observateur froid et caustique»30, espressione che potrebbe calzare perfettamente a Mme de Merteuil o a Versac, e ab- biamo detto che, come loro, egli sa prendere al bisogno un tono di sprezzante com- miserazione o di apparente indifferenza che risulta più effi cace di qualsiasi critica. Anche l’indefi nibile «je ne sais quoi d’ironique»31 e la «froideur apparente» che lo contraddistinguono contribuiscono a fare di lui un vero fi glio del secolo dei Lumi, sebbene ci venga detto che in questo atteggiamento si può notare « quelque chose de contraint »32, e la testimonianza di Adolphe narratore ci riveli a posteriori che si tratta di una maschera adottata per nascondere un carattere fondamentalmente timido e sensibile. Indoviniamo infatti che probabilmente, proprio come Versac, il quale lo confessa a Meilcourt in un raro momento di sincera confi denza, anche il padre di Adolphe deve essersi imposto una rigida disciplina per rendersi alla moda, per conformarsi agli usi e alle esigenze della buona società soffocando tutti i propri nobili slanci, e che anche lui potrebbe dire, come il petit-maître degli Égarements, «je suis né si différent de ce que je parais que ce ne fut pas sans une peine extrême que je parvins à me gâter l’esprit»33. Del resto è lo stesso Constant che ci offre una possibile chiave di lettura del suo personaggio e di tutti quelli che, come lui, si sono lasciati pesantemente condizionare dalle convenzioni sociali, quando, in un passo del suo saggio De la religion, parla del- l’«apparence de l’ironie» come di una reazione alla «honte secrète» di aver respinto con un freddo sorriso «l’attendrissement», «l’enthousiasme» e «l’exaltation» in nome delle «habitudes de l’égoïsme»34, questa sorta di divinità laica della buona società del Settecento. Ironia, freddo distacco, capacità di animare la conversazione grazie a «une plaisanterie perpétuelle»35, e naturalmente una messe di conquiste galanti, paiono ancora, nel mondo dell’Adolphe, doti essenziali per un esponente della buona società e per un eroe di romanzo. Mi pare in effetti interessante notare come i protagonisti di un romanzo francese del 1806, quali sono Adolphe e suo padre, sentano ancora vivissimo il peso e il prestigio della tradizione libertina, e non osino abbandonarsi alla libera effusione di quelle passioni che di lì a poco avrebbero trionfato nella letteratura romantica. Incerti, timidi, incapaci di sottrarsi all’autorità della letteratura settecen- tesca, i personaggi di Constant incarnano il travaglio dell’affermarsi di una sensibilità nuova, via via sempre più incapace di trovare piacere nei fasti perfi di e perversi del libertinage d’Ancien Régime. Se il divario e la diffi cile transizione fra le due epoche e le due sensibilità si percepiscono già nel padre, libertino imperfetto, o piuttosto, come abbiamo visto, rappresentante di una doppia moralità, libertina nei piaceri privati e rigorosamente borghese nei doveri della vita pubblica, diventano dolorosamente stridenti in Adol- phe, fi glio del tournant du siècle. Per lui il libertinage non è che un’ingombrante ere- dità del passato, un modello con il quale si confronta ancora e che si sforza di imitare, ma che non trova più una corrispondenza concreta nella sua anima e nella realtà che lo circonda. Ne consegue che nel suo carattere, nella sua condotta e nel suo modo di presentare l’uno e l’altra vi sono alcuni elementi libertini, ma, frammisti a infl uenze e

(30) Benjamin CONSTANT, Adolphe, cit., p. 48. (34) B. CONSTANT, De la Religion, postface et (31) Ibid. notes de Pierre Deguise, Payot, Lausanne, «Bi- (32) Ibid. bliothèque romande», 1971, p. 48. (33) CRÉBILLON fi ls, Les Égarements du cœur et de (35) ID., Adolphe, cit., p. 49. l’esprit, cit., p. 214.

ultime 246 4-12-2006, 21:34:32 Autorità del padre e autorità dei libertini nell’“Adolphe” di Benjamin Constant 247

pulsioni completamente diverse, essi danno luogo a risultati molto lontani da quelli messi in scena nei romanzi libertini del XVIII secolo, o persino completamente oppo- sti. Mi sembra inoltre che questi elementi si stemperino gradualmente fi no a svanire e che, con il progredire del romanzo, Adolphe si allontani sempre più da qualsiasi reminiscenza libertina. L’Adolphe ventiduenne che nel primo capitolo fa il suo ingresso nel mondo non solo si trova in una situazione tipica per i giovani eroi di romanzi libertini, come il Meilcour degli Égarements du coeur et de l’esprit, ma condivide con loro diverse ca- ratteristiche. Racconta infatti di condurre «une vie très dissipée»36, di aver acquisito una «grande réputation de légèreté, de persi fl age, de méchanceté»37 e di essere consi- derato come «un homme […] que le monde avait corrompu»38 a causa della «légèreté de principes» e dell’«insouciance pour la morale»39 di cui dà prova. Possiede altresì il talento di scoprire e osservare gli aspetti ridicoli delle persone che lo circondano, uno dei primi talenti raccomandati da Versac per farsi strada nel mondo40, e tuttavia non è poi in grado di farne l’uso raccomandato dal petit-maître di Crébillon. In effetti, inve- ce di servirsi delle conoscenze acquisite per rendersi irresistibilmente alla moda, non fa che mettere in ridicolo i difetti altrui dopo lunghi periodi di silenzio, attirandosi così una generale diffi denza. Inoltre, a differenza di Versac, non è in grado di simu- lare secondo le occasioni così come la vita di società esigerebbe, e l’aver imparato a controllarsi e a nascondere i propri sentimenti lo ha reso soltanto solitario e taciturno per nascondere un carattere inguaribilmente esaltato ed entusiasta. Nel presentarsi, Adolphe arriva persino a proclamare con orgoglio qualcosa di così furiosamente ro- mantico che un libertino, lungi dal confessarlo, ne avrebbe provato vergogna al solo pensiero: «Je puis […] me rendre ici ce solennel témoignage, que je n’ai jamais agi par calcul, et que j’ai toujours été dirigé par des sentiments vrais et naturels»41. «Cela se formera» avrebbero potuto dire delle consumate dame libertine co- me Mme de Merteuil o Mme de Senanges, esperte nell’introdurre nel mondo giovani sprovveduti. In effetti l’Adolphe ci mostra, nel rapporto dell’eroe con suo padre, un esempio di quella relazione maestro-discepolo fra un giovane ingenuo e senza espe- rienza e un uomo più maturo e smaliziato che costituisce un vero topos del romanzo libertino. Per di più il discorso del padre, come abbiamo visto, sembra riproporre una morale libertina della leggerezza e dell’incostanza, una gioiosa spensieratezza tutta crébilloniana che tratteggia i rapporti fra i sessi come un susseguirsi di piaceri «sans inconvénients», un prendersi e lasciarsi rapido, facile e indolore. Come non pensare al mondo senza peso di godimenti e sentimenti epidermici evocato da Clitandre in La nuit et le moment? Le sue celeberrime massime risuonano senza dubbio ancora, cariche di tutto il loro fascino, alle orecchie di Constant e dei suoi personaggi: «On se plaît, on se prend. S’ennuie-t-on l’un avec l’autre? on se quitte avec tout aussi peu de cérémonie que l’on s’est pris. Revient-on à se plaire? on se reprend avec autant de vivacité que si c’était la première fois qu’on s’engageât ensemble. On se quitte encore, et jamais on ne se brouille»42. Il padre di Adolphe può dunque concludere, sorriden-

(36) ID., Adolphe, cit., p. 47. étude exige plus de fi nesse et d’attention qu’on ne (37) Ivi, p. 54. peut l’imaginer» (CRÉBILLON fi ls, Les Égarements du (38) Ibid. cœur et de l’esprit, cit., p. 210). (39) Ivi, p. 142. (41) B. CONSTANT, Adolphe, cit., p. 142. (40) «Pour réussir il faut être ridicule, il faut étu- (42) CRÉBILLON fi ls, La Nuit et le moment, éd. dier avec soin le ton du monde où notre rang nous a critique par Jean Oudart, in Œuvres complètes, placés, les ridicules qui conviennent le plus à notre tome II, Paris, Classiques Garnier Multimédia, état, ceux, en un mot, qui sont en crédit ; et cette 2000, pp. 51-542.

ultime 247 4-12-2006, 21:34:32 248 Valentina Ponzetto

te, riguardo ai rapporti fugaci e disimpegnati con le donne: «Cela leur fait si peu de mal et à nous tant de plaisir»43! Il rapporto di Adolphe con Ellénore nasce proprio dal desiderio di mettere fi - nalmente in pratica tali insegnamenti. Per nulla innamorato, Adolphe, all’inizio del romanzo, è impaziente di trovare una donna alla quale legarsi soprattutto per spirito di emulazione. Se da un lato si sente tormentato da una romantica «émotion vague»44, dall’altro ammette che «il y avait dans ce besoin beaucoup de va nité»45, la molla tipica del libertino. Ben presto, però, il protagonista si rivela un apprendista assai maldestro, vittima, più che imitatore, dei suoi maestri, incapace di seguire una perfetta ortodossia liberti- na, ma anche di liberarsi completamente dei suoi dettami. Alla fi ne la sua esperienza sarà un fallimento totale. Come ha giustamente sottolineato Grahame C. Jones, il percorso illustrato dal romanzo potrebbe addirittura riassumersi nel rovesciamento completo della formula del padre appena citata, poiché in realtà «la liaison d’Adol- phe et Ellénore […] a valu à Ellénore une souffrance irrémédiable et à Adolphe le plaisir le plus ingrat»46. Paradossalmente, tuttavia, Constant conduce il suo eroe a questa catastrofe at- traverso le stesse tappe di quel percorso di seduzione libertina ben descritto da Roger Vailland che conduceva invece un Valmont di trionfo in trionfo. Semplicemente, a ogni tappa introduce delle varianti che sgretolano l’edifi cio libertino dal suo stesso interno. Ricordiamo che Roger Vailland ha individuato in una liaison libertina così come viene descritta nei romanzi settecenteschi, e in particolare nelle Liaisons dange- reuses, quattro momenti obbligati o fi gure: - la première fi gure est le choix qui doit être méritoire; - la deuxième fi gure est la séduction, qui, comme au gibier dans la chasse à courre, doit laisser toutes ses chances à la femme poursuivie; - la troisième fi gure est la chute, qui doit être exécutée bien nettement et sans au cune fi oriture; - la quatrième fi gure est la rupture, dont le principal mérite est d’être éclatante: c’est le défi au Commandeur. C’est également, et en tant que vérifi cation de la vertu du libertin, la mise à mort (réelle ou symbolique) de la victime désignée au cours de la première fi gure47.

Ora, Adolphe sembra dapprima avviarsi sulla strada di un perfetto rispetto di questa autorità. Quando conosce Ellénore egli proclama in effetti con un’orgogliosa sfrontatezza degna di Valmont: «Ellénore me parût une conquête digne de moi»48. Tuttavia si tratta di una scelta che un vero libertino non avrebbe probabilmente mai fatto. Ellénore è difatti una donna dalla posizione ambigua poiché ha una reputazio- ne dubbia, o, per dirla col barone de T***, «loin d’être intacte»49, dal momento che vive con M. de P*** senza essere sua moglie, tuttavia è fedele e devota all’amante, religiosa e di costumi peraltro irreprensibili. Non è dunque né una donna celebre per la sua virtù, che possa offrire la sfi da di una fortezza ritenuta inattaccabile, come Mme de Tourvel, né una libertina celebre di cui sarebbe stuzzicante e glorioso ottenere i favori, come Mme de Merteuil, o addirittura che potrebbe «introdurre nel mondo» e rendere alla moda un giovanotto, come Mme de Senanges.

(43) B. CONSTANT, Adolphe, cit., p. 58. la France», vol. 83, n. 4, juillet-août 1983, p. 593. (44) Ivi, p. 58. (47) R. VAILLAND, Laclos par lui-même, Paris, Du (45) Ivi, p. 57. Seuil, 1953, p. 54. (46) G. C. JONES, Le Sens de l’amour dans “Adol- (48) B. CONSTANT, Adolphe, cit., p. 62. phe” de Constant, in «Revue d’histoire littéraire de (49) Ivi, p. 123.

ultime 248 4-12-2006, 21:34:33 Autorità del padre e autorità dei libertini nell’“Adolphe” di Benjamin Constant 249

Le altre fi gure, allo stesso modo, subiscono varianti sempre più notevoli. Così quando deve intraprendere la seduzione della sua preda, Adolphe si compiace in un primo momento di saper «feindre»50 l’amore che non prova, e dice che pensa di fare, «en observateur froid et impartial, le tour de son [d’Ellénore] caractère et de son esprit»51, ma quasi immediatamente è colpito dalla «grâce inexplicable» e dallo «charme»52 della donna, che hanno su di lui «un effet presque magique»53. Diventa così di una timidezza estrema, comincia a dubitare del successo e non riesce più a fare «ni calculs ni projets»54, cosa che un libertino avrebbe negato anche di fronte all’evi- denza, non dorme neppure più e, in una parola, si mostra e si sente «véritablement amoureux»55. «L’amour, qu’une heure auparavant je m’applaudissais de feindre», confessa con uno stupore non privo di piacere, «je crus tout à coup l’éprouver avec fureur»56. Per lui, come ha notato Tzvetan Todorov, a differenza di quanto accadeva ai libertini, capaci di piegare qualsiasi discorso ai propri voleri e di mentire con la più grande effi cacia, «les paroles fausses deviennent vraies, on ne peut pas parler ou écrire impunément»57. Così, invece del resoconto di una chute condotto col tono trionfale di un generale vittorioso58 e immediatamente seguito dal pensiero inevitabile della rottura, abbiamo in Adolphe un momento di trasporto appassionato ed entusiastico, l’espressione di un amore pieno di dedizione, che porta il protagonista a considerare la donna amata co- me una «créature céleste»59, un oggetto di culto, e a proferire una sorta di maledizione contro «l’homme qui, dans les premiers moments d’une liaison d’amour, ne croit pas que cette liaison doit être éternelle»60. Laddove i personaggi di Crebillon scherzavano disillusi su ciò che si conveniva chiamare amore e che non era in realtà, il più delle volte, che semplice «goût» o materiale «besoin»61, e Valmont si sforzava di attribuire alla «douce impression du sentiment de la gloire»62 i moti dell’animo in cui temeva di scoprire la prova dell’«humiliation»63 e del «ridicule»64 di essere innamorato, Adolphe si lancia nella celebre, romanticissima tirade sullo «charme de l’amour!»65.

(50) Ivi, p. 66. était une sorte de commerce, où l’on s’engageait (51) Ivi, p. 63. souvent même sans goût» (ID., Les Égarements du (52) Ibid. cœur et de l’esprit, cit., p. 75). (53) Ibid. (62) LACLOS, Les Liaisons dangereuses, cit., lette- (54) Ivi, p. 72. ra CXXV, p. 288. (55) Ibid. (63) Ibid. (56) Ivi, pp. 65-66. (64) «Je n’ai plus qu’une idée; j’y pense le jour, et (57) T. TODOROV, La Parole selon Constant, in j’y rêve la nuit. J’ai bien besoin d’avoir cette femme «Critique», 1968, p. 762. pour me sauver du ridicule d’en être amoureux» (58) Si veda ancora il racconto della resa della (Ivi, lettera IV, p. 18). Presidentessa de Tourvel, laddove il paragone è (65) «Charmes de l’amour, qui pourrait vous esplicito: «Je ne me suis écarté en rien des vrais peindre! Cette persuasion que nous avons trouvé principes de cette guerre, que nous avons remarqué l’être que la nature avait destiné pour nous, ce jour souvent être si semblable à l’autre. Jugez-moi donc subit répandu sur la vie, et qui nous semble en comme Turenne ou Frédéric. J’ai forcé à combattre expliquer le mystère, cette valeur inconnue attachée l’ennemi qui ne voulait que temporiser; je me suis aux moindres circonstances, ces heures rapides, donné, par de savantes manœuvres, le choix du dont tous les détails échappent au souvenir par leur terrain et celui des dispositions…» (LACLOS, Les douceur même, et qui ne laissent dans notre âme Liaisons dangereuses, cit., lettera CXXV, p. 293). qu’une longue trace de bonheur, cette gaieté folâtre (59) B. CONSTANT, Adolphe, cit., p. 81. qui se mêle quelquefois sans cause à un attendris- (60) Ibid. sement habituel, tant de plaisir dans la présence, (61) «Mais l’amour, qu’était-il qu’un désir qu’on et dans l’absence tant d’espoir, ce détachement de se plaisait à exagérer? […] On sait aujourd’hui que tous les soins vulgaires, cette supériorité sur tout ce le goût seul existe, et si l’on se dit encore qu’on s’ai- qui nous entoure, cette certitude que désormais le me, c’est bien moins parce qu’on le croit, que parce monde ne peut nous atteindre où nous vivons, cette que c’est une façon plus polie de se demander intelligence mutuelle qui devine chaque pensée et réciproquement ce dont on sent qu’on a besoin» qui répond à chaque émotion, charme de l’amour, (CRÉBILLON fi ls, La nuit et le moment, cit., p. 542). qui vous éprouva ne saurait vous décrire!». (B. – «Ce qu’alors les deux sexes nommaient Amour, CONSTANT, Adolphe, cit., p. 83).

ultime 249 4-12-2006, 21:34:33 250 Valentina Ponzetto

Non è questo, tuttavia, il più grande tradimento del codice libertino. Questo si può invece individuare nell’incapacità di Adolphe di rompere la sua relazione con El- lénore. Abbiamo visto che i libertini descritti da Crébillon si lasciavano con volubile noncuranza nel momento stesso in cui smettevano di amarsi, o di trovarsi reciproca- mente di loro gusto, mentre lo «scélérat méthodique» descritto da Roger Vailland e Laurent Versini si imponeva come un dovere di abbandonare platealmente la sua vittima rovinandone la reputazione, traendone spesso un sadico piacere. Adolphe, invece, per debolezza, per inettitudine, per timore di far soffrire Ellénore, o di soffrire lui stesso per i rimproveri di lei, per senso di colpa o senso del dovere nei confronti di una donna che gli ha sacrifi cato tutto e di cui è a sua volta diventato la vittima, resta penosamente legato a Ellénore anche quando non l’ama più, fi no a che non si distrug- gono a vicenda. Ellénore giunge infatti alla morte, uccisa da una lettera come Mme de Tourvel, ma la sua fi ne, lungi dall’essere per Adolphe un trionfo o una liberazione, lo trascina nella disperazione e nell’annientamento più totale, in una conclusione che appare al tempo stesso inevitabile e di una durezza senza appello, proprio come nella miglior tradizione del romanzo libertino Constant costruisce dunque un romanzo che riprende con estrema maestria e rigore la struttura del romanzo libertino per contestarne dall’interno la validità e i presupposti, per cercare di contrastarne l’infl uenza e la seduzione. È interessante notare, infatti, che nella prefazione alla seconda edizione di Adolphe egli si premura di sottolineare come, una volta compiuto il primo passo sulla strada del libertinage sia poi impossibile sottrarsi alle rovinose conseguenze di una scelta compiuta con tanta leggerezza: Quelques personnes m’ont demandé ce qu’aurait dû faire Adolphe, pour éprouver et causer moins de peine? Sa position et celle d’Ellénore étaient sans ressource, et c’est précisé- ment ce que j’ai voulu […] C’est ne pas commencer de telles liaisons qu’il faut pour le bonheur de la vie: quand on est entré dans cette route, on n’a plus que le choix des maux66.

La precisa volontà da parte del romanziere di costruire la vicenda in un de- terminato modo per dimostrare la sua tesi è dunque esplicitamente confessata. E perché mettere così severamente in guardia i lettori se non per il fascino e l’autorità che il modello libertino ancora esercitava all’inizio del XIX secolo? Ancora una volta la prefazione parla chiaro: «Presque tous se croient bien plus mauvais, plus légers qu’ils ne sont. Ils pensent pouvoir rompre avec facilité le lien qu’ils contractent avec insouciance» e restano ingannati e sviati come Adolphe dai discorsi del padre. La responsabilità è da imputare a «une doctrine de fatuité, tradition funeste, que lègue à la vanité de la génération qui s’élève la corruption de la génération qui a vieilli, une ironie devenue triviale, mais qui séduit l’esprit par des rédactions piquantes, comme si les rédactions changeaient le fond des choses». Il carattere prettamente letterario di questa tradition funeste trasmessa e magnifi cata tramite rédactions piquantes mi pare trasparente e indiscutibile. Così, nel momento stesso in cui si forza di contestare e combattere l’autorità dei romanzieri libertini in nome di una sensibilità nuova, Con- stant rende loro un implicito omaggio, attestandone lo statuto di modelli infl uenti e duraturi. VALENTINA PONZETTO

(66) Ivi, pp. 38-39.

ultime 250 4-12-2006, 21:34:33 Le scrittrici della Controrivoluzione e il principio di autorità 251 Le scrittrici della Controrivoluzione e il principio di autorità

Nel 1811 Stéphanie-Félicité Ducrest de Saint-Aubin, comtesse de Genlis, più semplicemente nota come Mme de Genlis, pubblica un repertorio – in sostanza – dal titolo De l’Infl uence des femmes sur la littérature française, comme protectrices des lettres et comme auteurs; ou Précis de l’histoire des femmes françaises les plus célèbres1, testo che traeva origine dall’invito fatto all’autrice a collaborare alla stesura della Bio- graphie universelle di Joseph Michaud, per la quale avrebbe dovuto compilare le voci relative a famose donne di lettere francesi. Il progetto di collaborazione venne meno in seguito a una serie di incomprensio- ni e polemiche, di carattere anche legale, riportate dalle cronache letterarie del tempo e fondate essenzialmente sulla incompatibilità di vedute tra alcuni collaboratori della monumentale impresa di Michaud2 e Mme de Genlis, che tra i collaboratori doveva fronteggiare il rivale Ginguené3. Motivo per cui si arrogò il diritto di pubblicare se- paratamente i suoi medaglioni, poco più di settanta, che rispettavano la tradizione dei moralisti (vita, condotta morale, stile), a cui aggiunse una prefazione dal titolo Réfl exions préliminaires sur les femmes. Nell’Avertissement dichiara di essersi limitata a raccogliere notizie e a esporre le proprie rifl essioni personali su «des femmes qui n’existent plus», affermazione che fi ssa già un principio non tanto di metodo quanto di etica della giusta celebrità, perché nel caso della donna, la gloria sarebbe quella postuma, in quanto solo in tal caso non mette la donna nelle condizioni di essere distratta dai suoi doveri e non minaccia la sua naturale modestia. La galleria comprende, come recita il titolo, sia donne la cui fama è legata alla produzione letteraria, sia personaggi femminili che sono stati protagonisti della vita politica e hanno difeso e protetto le lettere. Va detto che i dubbi sulle ragioni della politica da parte della cattolica Mme de Genlis non infi ciano i meriti della promozione culturale: si riconosce, per esempio, la «politique artifi cieuse et sanguinaire» di Cate- rina dei Medici, ma se ne apprezza il ruolo di protettrice di letterati e artisti4. Che cosa costituisce l’autorità delle donne ritratte nel Précis nell’ambito che ci interessa, quello delle donne scrittrici, visto che il signifi cato corrente del termine le- gato all’imporre e ottenere obbedienza è inerente al ruolo rivestito nella società dalle donne ricordate perché protettrici delle lettere? Come mostra la fortuna del termine nella storia del diritto, in latino l’auctoritas, da augeo (accrescere), non era solo quella di colui che possiede beni, se ne fa garante e li amministra, fonda un’istituzione, suscita l’operosità, può consigliare ed essere l’artefi ce delle fortune (tutti signifi cati presenti in auctoritas nonché in auctor, che da auctoritas assume valori), ma anche colui, l’auctor, appunto, che è autore e respon- sabile di un’opera in quanto bene. Da cui il signifi cato di autorità quando il termine entra nelle lingue romanze, che è quello di invitare all’obbedienza tramite il prestigio di un autore o di un testo, caso esemplare i testi sacri. Vi si riallaccia il senso della

(1) MME DE GENLIS, De l’infl uence des femmes sur politica culturale degli idéologues, sconfessata uffi - la littérature française …, Paris, Maradan, 1811. cialmente da Napoleone. (2) Monumentale va qui inteso nel senso di crea- (3) Cf. A. NIKLIBORC, Histoire d’une animosité re un monumento a memoria, in un’ottica di costi- littéraire: Mme de Genlis contre Mme de Staël, «Roma- tuzione del patrimonio intellettuale della nazione, nica Wratislaviensia», 1968, 1, p. 85. che appartenne all’Impero negli effetti residui della (4) De l’Infl uence des femmes…, cit., pp. 25-26.

ultime 251 4-12-2006, 21:34:33 252 Carmela Ferrandes

locuzione «principio di autorità», che correntemente è il «principio per cui si ricono- sce validità assoluta a dottrine non per il loro fondamento razionale, ma unicamente in base all’autorevolezza e al prestigio di chi le ha avanzate»5, mentre gli altri usi del termine, quelli comuni ancora oggi, si affermano nel tardo Cinquecento. Autorità, quindi, come vuole l’origine della parola, è quella riferita al rango ed eventualmente associata alla superiorità morale, propriamente l’autorevolezza, e quella ‘autoriale’, che confl uisce nel principio di autorità. Che cosa costuituisce dunque l’autorità delle donne scrittrici ritratte nel Précis? La fedeltà al loro essere donne e cioè, in sostanza e per assurdo, qualcosa che nel sistema assiologico elaborato da Mme de Genlis, nega il concetto di autorità e sviluppa quello della subordinazione. La donna letterata deve e può conciliare l’impegno delle lettere con le virtù do- mestiche perché scrivere è attività sedentaria che non allontana dalla propria casa e si oppone alla dispersione della vita mondana; deve redigere opere pedagogiche a uso dei fi gli e delle giovani generazioni e a favore soprattutto di un’adeguata istruzione femminile. Nel nostro caso l’esempio principe è autoreferenziale, il romanzo episto- lare Adèle et Théodore ou Lettres sur l’éducation. Le alternanze della biografi a intellettuale della sua fautrice giustifi cano le am- biguità di questo modello, che unisce istanze libertarie a elementi di chiusura di stampo cattolico e deve contemporaneamente moltissimo alla lezione dei Lumi e di Rousseau. Ne consegue una forte preoccupazione pedagogica a difesa della liberaliz- zazione dell’educazione femminile al di fuori dei conventi e una parallela visione della donna come angelo del focolare, con conseguente separazione dei ruoli all’interno della società, che trova conferma nella separazione delle classi. La Rivoluzione, del resto, ha esaltato questo modello, che Napoleone, poi, ha ingabbiato nelle maglie della legge. Fra le scrittrici la cui produzione è legata al periodo della Rivoluzione, per fedel- tà al principio che la fama è un tributo per le donne da declinare al passato, il Précis annovera soltanto Mme Cottin, nota per il successo di Claire d’Albe (1799). Le osservazioni su Claire d’Albe permettono sia la focalizzazione del ruolo ‘au- toriale’, sia quello della tipologia, sul piano retorico-narrativo e su quello tematico, delle fi gure femminili presenti nei romanzi della Controrivoluzione e del concetto di autorità con cui si commisurano in seno alla società. Mme de Genlis, severissima nei confronti del romanzo, approfi tta del suo presunto contenuto peccaminoso (il tradimento di Claire è di una «immoralité révoltante», il suo amore è «effréné et criminel») per denunciare l’imbarbarimento dello stile e del linguaggio degli scrittori fedeli alla Rivoluzione, conseguente alla caduta dei valori morali: On créa un autre langage, une autre poétique, une autre morale. L’amour même ne fut pas épargné, on en fi t un dieu digne d’être adoré sous l’empire de la terreur, un dieu féroce qui n’inspiroit que des emportements frénétiques, et qui commandoit toujours le meurtre et le suicide; les écrivains dans un style barbare dénaturèrent tous les mouvemens de l’âme. Leurs plumes de fer trempées dans du sang ne tracèrent plus que de fausses, d’effrayantes peintures; la démence usurpa le nom de la sensibilité; la douce et vague mélancolie ne fut plus qu’une sombre fureur et qu’un désespoir impie6.

(5) Voce “Principio” in T. DE MAURO, Grande vita», cfr. G. NOCERA, voce Autorità in Enciclopedia dizionario italiano dell’uso, Torino, UTET, vol. V, del Diritto, Varese, Giuffré ed., 1958-1992, vol. IV, p. 144. Per quel che riguarda la caratterizzazione so- 1959, p. 465. Ringrazio il prof. Giorgio Maselli per ciale contenuta nella nozione di autorità, e non solo il suo ‘autorevole’ sostegno nel districare il labirinto per questa, siamo ancora debitori all’«idea centrale semantico del termine già nelle sue origini latine. che i romani tendenzialmente mirano a mantenere (6) De l’Infl uence des femmes…, cit., pp. 345-346. l’osmosi fra il linguaggio del diritto e quello della

ultime 252 4-12-2006, 21:34:34 Le scrittrici della Controrivoluzione e il principio di autorità 253

La contingenza storica può servire da attenuante a Mme Cottin, come mostra la sua produzione successiva e soprattutto a sua difesa intervengono le buone intenzioni dispiegate nella Préface del romanzo7. Scarna ed essenziale, la Préface poteva bene incontrare il favore di Mme de Genlis: già nell’attacco è evocata allusivamente l’atmosfera di insicurezza e di timore generata dalla Rivoluzione («Le dégoût, le danger ou l’effroi du monde ayant fait naître en moi le besoin de me retirer dans un monde idéal […]»8) cui segue l’evoca- zione di una pacifi catrice campagna rousseauviana e la solita costruzione di una cor- nice di credibilità e verosimiglianza nel ruolo di depositaria delle vicende raccontate che l’autrice si attribuisce a opera di un testimone-protagonista delle vicende stesse. Fondamentale l’ostentata dichiarazione di disinteresse per l’opera di affi namento che il romanzo velocemente scritto in quindici giorni richiederebbe («le public […] fera bien de dire du mal de mon ouvrage s’il s’ennuie; mais s’il m’ennuyait encore plus de le corriger, j’ai bien fait de le laisser tel qu’il est»9), con l’implicita ammissione che la giovane età e il suo sesso forniscono riparo alle critiche. La brevissima Préface punta sull’assunzione delle componenti emotive di chi scrive (ritiro dal mondo, pace ritrovata nel contatto con la natura, coinvolgimento affettivo in una storia di infelicità amorosa) da parte di chi legge e soprattutto sull’as- sunzione dell’unità di misura discriminante: la spontaneità nell’assecondare i senti- menti, tipica d’altronde delle eroine dei romanzi sentimentali, nega la progettualità e la fi nitezza della scrittura e quindi la fi gura compiuta dell’autore, in una sorta invece di osmosi fra movente e comportamenti delle eroine e movente e comportamenti delle autrici. Non a caso questi elementi trovano un fertile terreno di applicazione nell’adozione del genere epistolare, genere femminile per eccellenza (e non solo a detta di Mme de Genlis). All’interno della fi nzione letteraria il romanzo epistolare recupera formalmente la dimensione discorsiva ed è legato pragmaticamente al bisogno di comunicazione immediata, alla simulazione della spontaneità degli affetti e al movente della volontà di convincimento dell’altro, caratteri che nella vita di relazione sono associati alla per- sonalità femminile. Se vi aggiungiamo la condizione di esilio in cui si trovano la mag- gior parte delle scrittrici in questione, per estrazione sociale, rovesci di fortuna e per formazione appartenenti al mondo della Controrivoluzione, vediamo che il romanzo epistolare affonda in questo caso le radici nella storia personale di ognuna e che il suo oggetto è in sostanza la nostalgia della patria lasciata. Al di là del valore letterario di questi romanzi e della loro leggibilità, il percorso a ritroso del ricordo nel rico- noscimento del luogo di nascita degli affetti è esaltato anche nella sua componente metaforica di sentimento di privazione della propria identità nei romanzi imperniati intorno al topos della fanciulla malmaritata, per volontà della famiglia, con un uomo che potrebbe almeno esserle padre, come appunto avviene in Claire d’Albe. Stessa situazione in Adèle de Sénange (1794), di Mme de Flahault-Souza, dove la condizione metaforica dell’esilio non è solo nella cancellazione della felicità possibile ai danni della giovanissima Adèle, ma è anche adombrata dalla localizzazione geogra- fi ca della felicità possibile per i personaggi maschili, destinati a trovarla lontano dal

(7) Non di suo pugno, ma a fi rma della cugina (9) Ivi, p. 7. Nelle Observations critiques pour ser- Julie Verdier e da lei interamente sottoscritta, cfr. vir à l’histoire de la littérature du 19me siècle, (Paris, Romans de femmes du XVIIIe siècle, textes établis, Maradan, 1811), scritte essenzialmente a sua difesa présentés et annotés par R. Trousson, Paris, Éd. nella diatriba contro la Biographie universelle, Mme Robert Laffont, 1996, p. 691, note 1. de Genlis lo giudica un «ridicule avertissement» (8) Mme COTTIN, Préface de l’auteur in Claire (p. 81). d’Albe, Paris, Lebègue, 1820, p. 5.

ultime 253 4-12-2006, 21:34:34 254 Carmela Ferrandes

proprio paese: il giovane lord inglese in Francia e il marito di Adèle in Inghilterra; l’innamoramento, cioè, nasce nella lontananza dalla patria, luogo ormai negato alla felicità. Anche in questo caso le premesse programmatiche dell’autrice avrebbero fatto felice Mme de Genlis: Seule dans une terre étrangère, avec un enfant qui a atteint l’âge où il n’est plus permis de retarder l’éducation, j’ai éprouvé une sorte de douceur à penser que ses premières études seraient le fruit de mon travail10.

Come per Mme Cottin, emerge pochissimo orgoglio per la propria opera, se non in vista del riconoscimento del ruolo di madre e della funzione pedagogica che le compete, cui si affi anca una poetica del particolare signifi cativo: Cet ouvrage n’a point pour objet de peindre des caractères qui sortent des routes commu- nes: mon ambition ne s’est pas élevée jusqu’à prétendre étonner par des situations nouvelles. J’ai voulu seulement montrer, dans la vie, ce qu’on n’y regarde pas, et décrire ces mouvements ordinaires du cœur qui composent la vie de chaque jour11.

Non grandi ambizioni letterarie, quindi, ma una scrittura in sordina legata alla trascrizione del quotidiano in cui opera la donna, anche letterata, che lascia all’uomo la pittura dei grandi eventi e dei caratteri eccezionali. Questi elementi sono amplifi cati e trovano la loro perfetta realizzazione ne Les Petits émigrés (1803) di Mme de Genlis, dove più storie si intrecciano, tutte a dimo- strazione degli orrori della Rivoluzione e dove la condizione infelice dell’esilio si duplica nell’infelicità di un’infanzia espropriata, agli occhi dell’autrice tra i misfatti più gravi. Consideriamo anche in questo caso la Préface: in primo luogo l’appellarsi dichiaratamente alle «âmes sensibles et généreuses», suo pubblico d’elezione, a difesa della propria imparzialità sulle vicende narrate, poi l’identifi cazione del sentire dello scrittore con la capacità di commuovere della sua opera: […] il faut une sensibilité profonde et vraie pour arracher des larmes à ses lecteurs. Il est mille fois plus facile d’être hypocrite avec succès dans ses actions que dans ses écrits12.

In altri termini la poetica del «parler au cœur» e «inspirer le goût de la vertu», poe- tica del romanzo sentimentale e sostegno della pedagogia materna di Mme de Genlis. Per converso, nessuna evocazione dei sentimenti ne L’Émigré (1797) di Sénac de Meilhan, che trova posto in questa breve rassegna proprio per mostrare come la stessa materia narrativa (peripezie di un nobile emigrato più fanciulla malmaritata) e le stesse istanze assumono altre fi nalità se declinate al maschile. Non solo nella Préface la condanna della Rivoluzione è esplicita, ma Sénac vi pone il problema della verosimiglianza e credibilità di un romanzo che trae origine e motivazioni dagli eventi della storia: L’ouvrage qu’on présente au public est-il un roman, est-il une histoire? Cette question est facile à résoudre. On ne peut appeler roman, un ouvrage qui renferme des récits exacts de faits avérés. Mais, dira-t-on, le nom du marquis de St. Alban est inconnu, il n’est sur aucune

(10) Mme DE SOUZA, Avant-propos in Adèle de (12) Mme DE GENLIS, Préface in Les Petits émigrés Sénange ou Lettres de Lord Sydenham, Bruxelles, ou Correspondance de quelques enfans; ouvrage fait Frechet, 1827, p. 6. pour servir à l’éducation de la jeunesse, Paris, Mara- (11) Ivi, p. 5. dan, An. XI - 1803, p. VIII.

ultime 254 4-12-2006, 21:34:34 Le scrittrici della Controrivoluzione e il principio di autorità 255

des tables fatales de proscription; je n’en sais rien; mais les événements qu’il raconte sont vrais […]13.

Se «tout est vraisemblable, et tout est romanesque dans la révolution de la Fran- ce» e se quest’epoca si può defi nire «affreuse et unique dans l’histoire», come è detto nell’Avertissement, allora: Les rencontres les plus extraordinaires, les plus étonnantes circonstances, les plus dé- plorables situations deviennent des événements communs, et surpassent ce que les auteurs de roman peuvent imaginer14.

Con queste premesse Sénac teorizza l’irruzione del romanzesco nella storia, mentre le scrittrici della Controrivoluzione la privatizzano appiattendo gli eventi sui sentimenti o, come Mme de Genlis, ipostatizzando una realtà in cui il rispetto delle regole e le buone maniere ne rappresentano la salvezza. Ne consegue la subordina- zione delle eroine ai comportamenti femminili codifi cati dalla società, i cui spazi di intervento, per una volontà politica che appartenne proprio alla Rivoluzione e fu poi sanzionata dal codice napoleonico, sono sempre più ristretti all’ambito familiare. Che il mondo immaginario delle donne poggiasse sulle basi instabili della loro irrequietezza naturale, dovuta alla fragilità e alla mollezza delle loro fi bre cellulari e che favorisse quindi l’attecchire di una poetica della sensibilità, era una delle vecchie argomentazioni a sfavore degli studi di fi losofi a, teologia e quant’altro da parte delle donne, ma l’erigere a sistema sul piano medico-scientifi co la loro costituzione orga- nica per legittimare in tal modo la loro esclusione dalla vita pubblica – e pubblico è anche coltivare le lettere – e comunque dalla vita di pensiero e delle arti, appartiene propriamente, con i buoni auspici di Rousseau, alla medicina a cavallo tra Settecento e Ottocento, a opera di quei medici fi losofi , primo fra tutti Cabanis, che fondarono la medicina sociale15. Fino a questo momento, per assurdo, l’eccezionalità della fama di donne dedite alle lettere o delle lettere paladine era comunemente spiegata nei termini del condi- zionamento culturale che isolava le donne e in sostanza non contrastava, nei risultati possibili, l’idea dell’uguaglianza dei sessi. Per convincersene basta ripercorrere il lessico della fama relativo alle gesta delle donne nei secoli precedenti: si parla di «femmes fortes» o «illustres» o «renommées» e se ne tessono gli elogi per le stesse qualità che possono essere attribuite agli uomini, legate al rango, al coraggio, la vastità delle conoscenze e la profondità della creazione letteraria, come, pur sottolineando fortemente le differenze psicofi siologiche, mostra l’Essai sur le caractère, les mœurs et l’esprit des femmes dans les différens siècles di Antoine-Léonard Thomas. Al contrario, né forti, né illustri, né famose, per Cabanis: […} les femmes savantes ne savent rien au fond: elles brouillent et confondent tous les objets, toutes les idées. Leur conception vive a saisi quelques parties: elles s’imaginent tout

(13) G. SÉNAC DE MEILHAN, Préface in L’Émigré, 1995, pp. 241-251. in Romanciers du XVIIIe siècle, préface et introduc- (15) Cf. C. FERRANDES, Devoir et convenance des tion par Étiemble, Paris, Gallimard («Bibliothèque deux sexes dans les “Rapports du physique et du mo- de la Pléiade»), 1965, p. 1549. ral” de Cabanis, in L’educazione dell’uomo e della (14) Ibid. Per l’irrompere del ‘romanzesco’ nella donna nella cultura illuministica, Memoria a cura di storia cfr. A. MONTANDON, Le romanesque de la L. Sozzi, Accademia delle Scienze di Torino, Classe Révolution de 1793: l’Émigré de Sénac de Meilhan, di Scienze Morali, Storiche e Filologiche, Serie V, in 1793, naixement d’un nou món a l’ombra de la vol. 24, fasc. 3, 2000, pp. 55-64. República, Edicions de la Universitat de Lleida,

ultime 255 4-12-2006, 21:34:34 256 Carmela Ferrandes

entendre. Les diffi cultés les rebutent: leur impatience les franchit. Incapables de fi xer assez longtemps leur attention sur une seule chose, elles ne peuvent éprouver les vives et profondes jouissances d’une méditation forte; elles en sont même incapables. Elles passent rapidement d’un sujet à l’autre; et il ne leur en reste que quelques notions partielles, incomplètes, qui for- ment presque toujours dans leur tête les plus bizarres combinaisons16.

E si consideri anche, a fronte, il ridimensionamento all’interno delle mura dome- stiche della passione amorosa. Cabanis: Non, l’amour, tel que le développe la nature, n’est pas ce torrent effréné qui renverse tout: ce n’est point ce fantôme théatral qui se nourrit de ses propres éclats, se complaît dans une vaine représentation, et s’enivre lui même des effets qu’il produit sur les spectateurs. […] […] l’amour sera le consolateur, mais non l’arbitre de la vie, il l’embellira, mais il ne la remplira point17.

A cui fa eco Mme de Genlis: Ce qu’on appelle amour, cette passion impétueuse et violente, n’est jamais qu’un éga- rement produit par l’imagination; c’est d’une tête vive et déréglée, et non d’un cœur tendre, qu’elle tient sa plus grande force18.

Parallelamente, uno dei risultati di questa lenta ma invasiva regolamentazione è che nel momento in cui la Rivoluzione democratizza la fi gura dell’eroe, al culto dei grands hommes non è affi ancato un concomitante pantheon femminile. Come ha dimostrato Jean-Claude Bonnet, con la Rivoluzione la gloria non è più una emana- zione del sovrano o una sua graziosa elargizione, ma può essere accessibile a tutti, grazie a una nuova esemplarità e una nuova pedagogia eroica19. Il valore è dissociato dall’onore esclusivo di una sola classe sociale e diventa il merito personale, l’esaltazio- ne e orgoglio, in fondo, delle virtù richieste dal posto occupato dall’individuo nella società. Motivo per cui la donna ne ricava solo un restringimento dei propri orizzonti e nessuna autorevolezza, o autorità, al di fuori degli spazi domestici. Se poi il merito è quello letterario, proprio nel momento in cui la dignità letteraria diventa pari, se non superiore, a quella eroica acquisita con le armi, l’autorità letteraria femminile perde smalto e consistenza e nel caso rivendichi l’uguaglianza – penso in particolare a Olympe de Gouges – la Rivoluzione travolge fi sicamente colei che osa farlo. L’eroina della pari capacità creativa sarà Corinne, la cui gloria scivola già, però, verso la rinuncia, l’incomprensione del genio, la poetica della malinconia, perché un pantheon dell’integrazione della gloria con la felicità terrena per le donne è ancora lontano.

CARMELA FERRANDES

(16) P.-J.-G. CABANIS, Rapports du physique et l’éducation» (Paris, Lecointe et Durey, 1822, t. II, du moral de l’homme, cinquième mémoire: De p. 338): «Ne sommes-nous pas convenues qu’une l’infl uence de sexes sur le caractère des idées et des femme passionnée ne peut jamais être heureuse? affections morales, in Œuvres philosophiques, éd. C. Des passions violentes l’égareront ou feront le tour- Lehec et J. Cazeneuve, Paris, P.U.F., 1956, 2 vol., ment de sa vie; il faut qu’elle en soit l’esclave ou la I, p. 298. victime. Apprenez donc à votre fi lle, non seulement (17) Ibid., pp. 313-314. à résister aux siennes, mais à les vaincre». (18) Mme DE GENLIS, La Bonne Mère, in Théâtre (19) J.-Cl. BONNET, Naissance du Panthéon. Essai d’éducation, Paris, Maradan, 1813, t. III, a. III, sc. sur le culte des grands hommes, Paris, Fayard, 1998, 1, p. 285. Cf. in Adèle et Théodore, ou «Lettres sur p. 32.

ultime 256 4-12-2006, 21:34:35 Aspetti dell’autorità in “Atala” di F.-R. de Chateaubriand 257 Aspetti dell’autorità in “Atala” di F.-R. de Chateaubriand

1 – Seguirò in questa lettura di Atala un fi lo conduttore, quello dell’autorità, che mi pare essere uno dei nuclei essenziali del racconto di Chateaubriand: l’autorità familiare in primo luogo, ma anche l’autorità politica e letteraria, che si incrociano e si sovrappongono nel testo, con un rilievo tanto più signifi cativo in quanto sono motivi, qui già evidenti, che preludono a dichiarazioni ben più defi nitive ed eclatanti delle opere successive dell’autore. Se la vicenda di Atala mantiene nei secoli la sua capacità di attrarre senza cedi- menti e di invecchiare con fascino, così come il fratello letterario René, è proprio gra- zie al tessuto solido e lieve a un tempo dello stile, le Génie d’un style, per parafrasare il titolo del saggio di Jean Mourot1: uno stile unico e riconoscibile nella sua originalità, che fa di Chateaubriand un auctor che si pone all’inizio del secolo con forza indiscus- sa. Infatti, per quanto riguarda l’autorità letteraria, quella che fa di alcuni maestri un punto di riferimento nella formazione di uno scrittore, è indubbio che Chateaubriand fu tale per la generazione romantica della prima metà dell’Ottocento All’inizio del secolo il giovane Victor Hugo afferma enfaticamente in un dia- rio, che porta la data del 10 luglio 1816, «Je veux être Chateaubriand ou rien», e si manterrà fedele a questo culto per l’autore di Atala e dei Martyrs anche in seguito: fu presentato al grand’uomo, e venne accolto con simpatia nell’ambito del gruppo del «Conservateur», gli dedicherà negli anni Venti alcune odi dai titoli eloquenti: Le Gé- nie, per esempio, e A M. de Chateaubriand 2. Anche in età più matura Hugo continua a prestare un orecchio attento alle teorie estetiche dell’Enchanteur: rapporti delicati e complessi legano la Préface de Cromwell al Génie du Christianisme, come ben dimo- stra Bernard Degout in un articolo dedicato appunto a tale argomento: «la mention de Chateaubriand dans cette Préface ne sort pas comme un lapin d’un chapeau; elle s’inscrit au contraire dans une continuité dont rien n’autorise à mésestimer la pro- fondeur»3. Quindi non solo un’infatuazione giovanile, ma una concezione dell’arte con cui il poeta si confronta dialetticamente, riconoscendone tutto il peso e la portata innovativa, dimostrando così una lungimiranza lucida ed esente da rancori meschini, nei confronti di un autore a cui tanto doveva il nuovo secolo. Infatti, presso i poeti della prima generazione romantica Chateaubriand gode di un successo un po’ ambiguo: non possono non riconoscerne la novità e l’originalità, ma aggiungono sempre qualche critica nei confronti dell’uomo, a cui rimproverano soprattutto la mancanza di sincerità. Lamartine dice di lui che non era «ni honnête, ni vrai, ni juste, ni moral dans l’usage de son génie», tuttavia è abbastanza onesto da farne l’elogio nell’ultimo volume del Cours familier de littérature edito tra il 1856 e

(1) J. MOUROT, Le Génie d’un style. Chateau- dans l’imagination même de l’écrivain» (p. 339). A briand, rythme et sonorité dans les “Mémoires questo proposito cfr. anche J.-M. GAUTIER, Le Style d’Outre-Tombe”, Paris, Colin, 1960. Dopo uno des “Mémoires d’Outre-Tombe” de Chateaubriand, studio condotto con grande serietà fi lologica, che Genève-Paris, Droz-Minard, 1959. poco concede al gusto delle teorie che fanno ricor- (2) Cfr. P. MOREAU - J. BOUDOUT, Victor Hugo, so ai più vari strumenti di analisi, l’autore conclude Paris, Hatier, 1950, t. I, pp. 44 -55. con una frase che, nella sua immediata semplicità, (3) B. DEGOUT, Du “Génie du Christianisme” à rende chiaro omaggio alla grandezza di Chateau- la Préface de “Cromwell”, in «Bulletin de la Société briand: «Le rythme et la sonorité de la prose de Chateaubriand», nouvelle série n. 46, 2003 [2004], Chateaubriand ont leur source et leur défi nition p. 19.

ultime 257 4-12-2006, 21:34:35 258 Valeria Ramacciotti

1869: «Il fut, en somme, le plus grand écrivain de la France dans un siècle où tout était muet, mais où tout allait renaître»4. Nelle Nouvelles Confessions, intorno al 1852, l’autore di Graziella riconosce in Chateaubriand uno di coloro «qui ont interrogé si- lencieusement leur âme et qui se sont répondu tout haut pour que leur dialogue avec eux-mêmes fût aussi un entretien avec leur siècle ou avec l’avenir»5, frase che sembra costruita sul modello stesso della prosa dell’Enchanteur. Se Lamartine si preoccupa di dissimulare un po’ l’antipatia nei confronti dell’illustre predecessore, Vigny non na- sconde i sentimenti di invidia che avvelenano le sue rifl essioni e gli impediscono una equilibrata visione critica6: si limita infatti a sottolineare i presunti plagi delle varie opere, senza capire, o forse senza voler capire, la reale novità dello scrittore, l’apertu- ra verso una prosa moderna. In questa direzione invece insiste Sainte-Beuve, al quale dobbiamo uno dei migliori testi critici di questo periodo sul nostro autore, Chateau- briand et son groupe littéraire sous l’Empire, apparso nel 1860, ma che ripropone le lezioni tenute a Liegi nel 1848-49. Pur con qualche riserva, peraltro ben argomentata in una prosa lucida che si legge con piacere, il critico non lesina certo gli elogi: «Quel- le harmonie de ton! quel nombre! C’est par cette harmonie, non moins que par l’éclat des couleurs, que M. de Chateaubriand est grand poëte et grand magicien: à l’aide des sons et de certains mots bien placés, il produit des effets d’enchantement. Quand on sait tirer de tels effets de la prose, on a presque le droit de dédaigner les vers»7. Il problema dello stile è al centro della rifl essione critica di Flaubert, che già nel 1844 scriveva a Louis de Cormenin, pensando forse a Chateaubriand: «J’aime par-dessus tout la phrase nerveuse, substantielle, claire, au muscle saillant, à la peau bistrée: j’aime les phrases mâles et non les phrases femelles comme celles de Lamarti- ne»8. Con identici toni, nel 1847, un anno prima della morte del vecchio Enchanteur, commosso da una visita al castello di Combourg, Flaubert trovava parole estrema- mente lusinghiere per l’autore quasi ottantenne: il parle, et on se tient suspendu à l’enchantement de ce style magnifi que, avec sa cambrure royale et sa phrase ondulante, empanachée, drapée, orageuse comme le vent des forêts vierges, colorée comme le cou des colibris, tendre comme les rayons de la lune à travers le trèfl e des chapelles9.

È evidente in questo giudizio, simile a quello più giovanile, ma anche a un altro successivo contenuto in una lettera del 1852 a Louise Colet, espresso quasi con gli stessi termini10, la coerenza della prospettiva critica fl aubertiana, che non muta con gli anni.

(4) M. STANLEY HINRICHS, Le “Cours familier de Lévy, s.d., t. I, p. 226. littérature” de Lamartine, Paris, Les Belles Lettres, (8) G. FLAUBERT, Correspondance, éd. J. Brunot, 1930, pp. 87-88. Paris, Gallimard («Bibliothèque de la Pléiade»), (5) A. DE LAMARTINE, Nouvelles Confessions, éd. 1973, t. I, p. 210. 1879, p. 7, cit in J.-M. GAUTIER, op. cit., p. 217. (9) ID. Par les champs et par les grèves, in O.C., (6) «Hypocrisie politique, littéraire et religieuse, Paris, Conard, 1927, p. 327. faux air de génie, c’est tout ce qu’il y a dans cet (10) «Jamais de ces vieilles phrases à muscles homme qui n’a jamais rien inventé. – René est imité saillants, cambrées, et dont le talon sonne. J’en con- de Werter, Atala de Paul et Virginie – Les Martyrs çois pourtant un, moi, un style: un style qui serait sont une mosaïque dont chaque partie est tirée d’un beau, que quelqu’un fera un jour, dans dix ans ou monument antique. Le Génie du Christianisme est dans dix siècles, et qui serait rythmé comme le vers, un livre de mauvaise critique littéraire fort arriérée. précis comme le langage des sciences, et avec des Les Etudes sur la littérature anglaise sont un pam- ondulations, des ronfl ements de violoncelles, des phlet contre la nouvelle école, oeuvre de fatuité aigrettes de feu, un style qui vous entrerait dans et d’ignorance» (A. DE VIGNY, Sur Chateaubriand, l’idée comme un coup de stylet, et où votre pen- Londres, 3 septembre [1836] in Le Journal d’un sée enfi n voguerait comme sur des surfaces lisses, poète, Paris, Conard, 1935, t. I, p. 385). comme lorsqu’on fi le dans un canot avec un bon (7) C.-A. SAINTE-BEUVE, Chateaubriand et son vent arrière. La prose est née d’hier, voilà ce qu’il groupe littéraire sous l’Empire, Paris, Calmann- faut se dire. Le vers est la forme par excellence des

ultime 258 4-12-2006, 21:34:35 Aspetti dell’autorità in “Atala” di F.-R. de Chateaubriand 259

Flaubert riconosce in Chateaubriand l’uomo nuovo che ha saputo aprire la via a quell’arte della prosa ritmata e sonora in cui risiedeva a sua avviso la vera moderna conquista della nuova epoca. Grazie “à ce style magnifi que”, sua cifra irripetibile, l’autore dei Mémoires ha saputo dare voce alle passioni del secolo che si apriva, pur consapevole della grandezza di quello che si stava chiudendo: «Né sur le déclin d’une société et à l’aurore d’une autre, il est venu pour en être la transition et comme pour en résumer en lui les espérances et les souvenirs»11. Rieccheggia in questa frase di Flaubert un famoso passo dei Mémoires d’Ou- tre-Tombe, in cui Chateaubriand si pone orgogliosamente quale pietra miliare al confi ne di due epoche: «Je me suis rencontré entre deux siècles, comme au confl uent de deux fl euves; j’ai plongé dans leurs eaux troublées, m’éloignant à regret du vieux rivage où je suis né, nageant avec espérance vers une rive inconnue»12. Con queste parole egli chiude un capitolo che porta il titolo illuminante di Récapitulation de ma vie, in cui campeggia a tutto tondo il Moi, viaggiatore, uomo politico, letterato: «Des auteurs français de ma date, je suis quasi seul qui ressemble à ses ouvrages […]»: la citazione sarebbe lunga, ma mi sta a cuore sottolinearne il fi nale, in cui evoca nostalgicamente le «fi lles de son imagi- nation»13, in testa alle quali pone Atala. In altri luoghi dei Mémoires l’autore parla più a lungo del testo cui dovette la prima celebrità e delle circostanze che ne accompagnarono la redazione e la stampa: C’est de la publication d’Atala que date le bruit que j’ai fait dans ce monde: je cessai de vivre de moi-même et ma carrière publique commença. Après tant de succès militaires, un succès littéraire paraissait un prodige: on en était affamé. L’étrangeté de l’ouvrage ajoutait à la surprise de la foule. Atala tombant au milieu de la littérature de l’Empire, de cette école classi- que, vieille rajeunie dont la seule vue inspirait l’ennui, était une sorte de production d’un genre inconnu. On ne savait si l’on devait la classer parmi les monstruosités ou parmi les beautés; était-elle Gorgone ou Vénus? Les académiciens assemblés dissertèrent doctement sur son sexe et sur sa nature, de même qu’ils fi rent des rapports sur le Génie du Christianisme. Le vieux siècle la repoussa, le nouveau l’accueillit14.

Atala è dunque un riferimento essenziale precisamente per questo suo carat- tere di testo-pivot tra un’epoca e un’altra, anzi, come dichiara il suo autore, testo di rottura, in un passaggio che non si compie senza incertezze. Prova ne sia la sua genesi travagliata, dapprima parte di una progettata epopea sul mondo dei selvaggi americani, poi previsto nel contesto dei Natchez, come racconto tiroir insieme a René, infi ne inserito, sempre insieme a René, nel Génie du Christianisme, ma pubblicato a parte un anno prima, quasi ad aprir la strada a opere di più ampio respiro. Dei vari cambiamenti e dei travagli ideologici che l’accompagnarono, l’opera conserva traccia nella sua orditura, così come le préfaces che ne precedono le edizioni15. L’ironia con cui a distanza di anni Chateaubriand tratta le polemiche che pure lo ferirono al momento della pubblicazione, denuncia chiaramente la tranquilla con- sapevolezza che l’autore ha di essere stato l’iniziatore di un nuovo corso, di aver dato voce a nuove istanze, e si pone a sua volta quale auctoritas di riferimento per le nuove generazioni. Ne è ulteriore prova la dichiarazione con cui a distanza di anni, nel 1826, chiude la préface all’edizione dei Natchez:

littératures anciennes. Toutes les combinaisons pro- (14) Ivi, t. II, p. 44. sodiques ont été faites, mais celles de la prose, tant (15) Non vogliamo qui ripercorrere tutta la bi- s’en faut» (ID., Corresp., cit., t. II, p. 79). bliografi a che concerne la vexata quaestio della ge- (11) ID., Par les champs…, cit. nesi di Atala: basti indicare il testo di G. CHINARD, (12) CHATEAUBRIAND, M.O.T., 42, 18, éd. Ber- L’exotisme américain dans l’oeuvre de Chateau- chet, Paris, Garnier, 1998, t. IV, p. 602. briand, Genève, Slatkine, 1970 (1918), passim. (13) Ibid.

ultime 259 4-12-2006, 21:34:36 260 Valeria Ramacciotti

Si on s’occupoit encore de style, les jeunes écrivains pourroient apprendre, en comparant le premier volume des Natchez au second, par quels artifi ces on peut changer une composition littéraire, la faire passer d’un genre à l’autre. Mais nous sommes dans le siècle des faits, et ces études de mots paraîtroient sans doute oiseuses. Reste à savoir si le style n’est pas cependant un peu nécessaire pour faire vivre les faits [...]16.

Al momento della pubblicazione, tuttavia, le cose non erano state così semplici, anche se la sua convinzione era altrettanto ferma e orgogliosa: ne è ampia testimonian- za la prefazione alla prima edizione di Atala (1801), in cui Chateaubriand rivendica appunto l’originalità della sua opera, «histoire qui sort de toutes les routes connues». Ne vanta la semplicità dell’intreccio, sull’esempio delle tragedie classiche, ma soprat- tutto la composizione e la forma, che si distaccano dalla prosa narrativa settecentesca: «c’est une sorte de poème, moitié descriptif, moitié narratif», e ha cura di precisare in nota il signifi cato che attribuisce al termine poème17. Insomma le auctoritates a cui si rivolge per giustifi care la novità di quanto presenta al pubblico, «dans un temps où tout est perverti en littérature», sono i classici, i grandi greci e latini, Omero e Virgi- lio, e la Bibbia: «depuis longtemps je ne lis plus qu’Homère et la Bible; heureux si l’on s’en aperçoit, si j’ai fondu dans les teintes du désert et dans les sentiments particuliers à mon coeur, les couleurs de ces deux grands et éternels modèles du beau et du vrai». Non trascura peraltro i classici francesi, e in primo luogo Racine, che viene citato in seguito. Tale dichiarato ritorno agli antichi, senza mezzi termini né concessioni, va interpretato come la ricerca di una autorevole garanzia del proprio fare letterario e al tempo stesso come una affermazione di indipendenza nei confronti dei maestri a lui più vicini, i “grandi” philosophes settecenteschi. Rispetto ai letterati del secolo che si sta chiudendo, ai quali deve la sua forma- zione letteraria e ideologica, i suoi sentimenti sono quanto meno ambigui, e le sue affermazioni un po’ soggette a cauzione. Sempre rimanendo strettamente aderenti alle dichiarazioni della préface, ma tenendo conto che si tratta di pagine scritte dopo il rimaneggiamento del testo che dà alle stampe, due sono gli autori importanti del Settecento che vengono citati polemicamente, Voltaire e Rousseau: e sono costoro tuttavia che soprattutto avevano pesato sulla sua formazione di giovane illuminista ed erano stati tenuti ben presenti nella prima ideazione dell’opera e nelle sue successive rielaborazioni. Non vogliamo qui certamente fare un elenco dei debiti nei confronti dei due pensatori, peraltro ampiamente analizzati dagli esegeti, ma sottolineiamo il fatto che Chateaubriand vuole mettere in chiaro con indubbia vena polemica il suo voluto distacco, l’allontanamento dalle loro posizioni. In primo luogo troviamo nella préface l’affermazione che riguarda Voltaire: Il me semble que c’est une dangereuse erreur, avancée, comme tant d’autres, par M. de Voltaire, que les bons ouvrages sont ceux qui font le plus pleurer. Il y a tel drame dont personne ne voudrait être l’auteur, et qui déchire le coeur bien autrement que l’Enéide. On n’est point un grand écrivain parce qu’on met l’âme à la torture. Les vraies larmes sont celles que fait cou- ler une belle poésie; il faut qu’il s’y mêle autant d’admiration que de douleur (p. 156).

Come esempi di alta poesia l’autore cita appunto un verso dell’Iliade e un passo della Bibbia. È dunque un’estetica classica quella che qui Chateaubriand vuole pro-

(16) CHATEAUBRIAND, Les Natchez, Préface, in et Notes par J.-M. Gautier, Genève, Droz, 1973, Oeuvres romanesques et voyages I, éd. M. Regard, p. 156. A questa edizione del romanzo faremo Paris, Gallimard («Bibliothèque de la Pléiade»), riferimento in seguito nell’indicare il numero delle 1969, p. 165. pagine nelle citazioni che lo riguardano. (17) ID., Atala, édition critique avec Introduction

ultime 260 4-12-2006, 21:34:36 Aspetti dell’autorità in “Atala” di F.-R. de Chateaubriand 261

porre, che si traduce in una forma di gusto neoclassico, contro una forma di gusto rococò, dalle linee capricciose e imprevedibili. A Rousseau, che pure ha letto con passione e adesione, riserva un trattamento ancora più duro, rendendolo quasi responsabile delle cadute di gusto dei letterati suoi contemporanei: Au reste, je ne suis point comme M. Rousseau, un enthousiaste des Sauvages; et quoique j’aie peut-être autant à me plaindre de la société que ce philosophe avoit à s’en louer, je ne crois point que la pure nature soit la plus belle chose du monde. Je l’ai toujours trouvée fort laide, partout où j’ai eu l’occasion de la voir. Bien loin d’être de l’opinion que l’homme qui pense soit un animal dépravé, je crois que c’est la pensée qui fait l’homme. Avec ce mot de nature, on a tout perdu. De là les détails fastidieux de mille romans où l’on décrit jusqu’au bonnet de nuit, et à la robe de chambre; de là ces drames infâmes, qui ont succédé aux chefs-d’oeuvre des Racines. Peignons la nature, mais la belle nature: l’art ne doit pas s’occuper de l’imitation des monstres (p. 157).

Considerazioni che convengono forse allo Chateaubriand reduce dalle lezioni classicheggianti di Fontanes, ma non all’autore di Atala, e al pittore della natura americana, che rivela tanta profondità nella ricerca della trasparenza degli animi e nell’amore per la solitudine degli ampi spazi deserti, e che, al momento del suo viaggio americano, si dichiarava discepolo del maestro ginevrino. Mi pare che ci sia pertanto un fraintendimento di questa parola «nature» nella frase che precede, un fraintendimento che rivela un po’ di malafede da parte del nostro, in quanto la prosa di Rousseau era ben lungi dalle descrizioni piatte e fastidiose di cui Chateaubriand lamenta la sovrabbondanza perniciosa. D’altronde, più tardi nei Mémoires, il giudizio sullo stile è rivisto, anche se in termini ancora un po’ restrittivi: Rousseau, écrivais-je dans une de ces Remarques, n’est décidement au-dessus des auteurs de son temps que dans une soixaintaine de Lettres de La Nouvelle Héloïse, dans quelques pages de ses Rêveries et de ses Confessions. Là, placé dans la véritable nature de son talent, il arrive à une éloquence de passion inconnue avant lui. Voltaire et Montesquieu ont trouvé des modèles de style dans les écrivains du siècle de Louis XIV; Rousseau, et même un peu Buffon, dans un autre genre, ont créé une langue qui fut ignorée du grand siècle18.

A distanza di anni Chateaubriand rende onore a Rousseau, ma non tanto al fi losofo dei Discours, dal cui pensiero pensa di essersi ormai allontanato, quanto al geniale inventore di uno stile di «éloquence de passion» di cui si sente l’erede. Riguardo a Voltaire, il giudizio del 1801 è più attenuato: vede in lui non un inno- vatore, ma piuttosto l’erede di un modello di stile che si rifà ai grandi classici. Lo stile dunque, e qui ritorniamo al problema già posto all’inizio, è un problema non da poco, ed è grazie al suo stile che Chateaubriand otterrà il successo, immediato e duraturo, al di là delle critiche, anch’esse d’altronde indice di un interesse che si riserva a quelle opere che segnano un cambiamento. Atala infatti non deve la sua originalità alla tra- ma, l’amore di due selvaggi nel deserto americano: di vicende sentimentali nel nuovo mondo altri autori si erano già occupati in precedenza, come ha dimostrato, tra gli altri, Gilbert Chinard19, e le imitazioni successive non si contano. Ma nel racconto di Chateaubriand, alla materia si fonde con perfetta sintonia la forma, adattando con

(18) ID., M.O.T., cit, t. III, pp. 190-191. présenté par G. Chinard, Paris, Roches, 1930, pp. (19) Oltre al testo già citato, cfr. anche Introduc- XXIII-XXIX. tion à CHATEAUBRIAND, Atala. René, Texte établi et

ultime 261 4-12-2006, 21:34:36 262 Valeria Ramacciotti

precisione ai momenti di varia tensione, descrittiva, tragica, patetica, l’andamento di una prosa sempre sostenuta, poetica, senza pesantezze: forse con grazie un po’ surannées per il gusto del lettore attuale, ma sono grazie non effi mere che resistono all’usura del tempo e delle mode, proprio per l’elegante architettura di uno stile che non ha tempo.

2 – Se per ciò che concerne l’autorità letteraria, con tutto quanto essa comporta in fatto di paternità e fi liazioni, è dunque scontato che Chateaubriand può vantare una posizione preminente che, come si è visto, gli è riconosciuta, pur con qualche re- ticenza, anche dai contemporanei, più complesso è il problema dell’autorità familiare, sulla quale pesano antichi interdetti, da cui l’autore fatica a liberarsi con decisione. È tuttavia tema centrale e di rilevante importanza quello del nucleo familiare, dei rap- porti al suo interno, della potestas paterna sui fi gli20, che certamente non era leggera in una famiglia di vecchia e provinciale aristocrazia come quella di Chateaubriand. Basta rileggere la pagine famose dei Mémoires de ma vie, e le prime dei Mémoires d’Outre-Tombe, per capire quale potere e autorità facesse pesare il padre nel tetro castello di Combourg. Ma, come ho detto, ci riferiamo soprattutto ad Atala, racconto in cui, pur nella scarna schematicità della vicenda, si incrociano e si sovrappongono, talvolta in maniera ambigua, diversi tipi di autorità familiare. In generale assistiamo a una progressiva cancellazione della fi gura paterna, e a una presenza materna, che si fa via via più impositiva e autoritaria. Come ben mostra Ivanna Rosi nella sua introduzione al testo italiano21, i rapporti di parentela sono materia complessa anche nei Natchez, al cui interno il racconto trova la sua collo- cazione più logica. All’inizio del racconto, nel Prologue, Chactas si presenta come fi gura paterna la cui autorevolezza si basa sulla saggezza e sulla veneranda vecchiaia: la fanciulla che accompagna i suoi passi di cieco è paragonata ad Antigone, che guida il brancolante Edipo, nonché a Malvina, la nuora che a sua volta sostiene il vecchio Ossian: si sovrappongono così i modelli dell’autorità letteraria e dell’autorità paterna. All’inizio del Récit, invece, troviamo Chactas adolescente, che accompagna il padre Outalissi in battaglia, e che non riesce a impedirne la morte. Sono poche righe, ma non sono sfuggite all’interpretazione psicanalitica di Pierre Glaudes, il quale sospetta nel giovane indiano il desiderio di veder sparire il padre: «projetée sur les Muscogul- ges, son agressivité se satisfait, en somme, à moindre frais: sa revendication pulsion- nelle contre le Père fait l’économie d’un confl it où la colère de son géniteur aurait pu éclater à ses dépens»22. L’ostilità contro la fi gura del padre si risolve dunque in prima istanza con modalità attenuate da questo sotterfugio, e l’autore inventa per il giova- ne dei genitori di sostituzione: Lopez e la sorella di costui, che accolgono l’orfano. Sono di un’altra razza, di un’altra religione, di un’altra cultura, e gli offrono tutti i vantaggi di un’educazione occidentale, senza tuttavia riuscire a opporsi al suo ritorno alla terra d’origine. Nei confronti di Chactas, Lopez ha assunto i contorni di una fi gura paterna, ma sbiadita, priva di autorità, in preda alle stesse pulsioni e agli stessi desideri che vorrebbe reprimere nel fi glio. Inoltre Lopez, padre adottivo di Chactas, si rivelerà, nel seguito del racconto, essere il padre naturale di Atala, dando luogo così a un intreccio di sapore incestuoso, che riveste grande importanza nell’insieme delle relazioni emozionali dei personaggi. Ma anche in tale ruolo di padre effettivo,

(20) Sull’argomento: J. DELUMEAU - D. ROCHE, cura di I. Rosi e F. Martellucci, Firenze, Le Lettere, Histoire des pères et de la paternité, Paris, Larousse, 2004. 1990. (22) P. GLAUDES, Atala, le désir cannibale, Paris, (21) Introduzione a CHATEAUBRIAND, I Natchez, a P.U.F., 1994, p. 48.

ultime 262 4-12-2006, 21:34:36 Aspetti dell’autorità in “Atala” di F.-R. de Chateaubriand 263

il suo nome ritorna prevalentemente nella locuzione «fi lle de Lopez» per indicare Atala e sottolinearne la sororalità nei confronti di Chactas, piuttosto che come fi gura attiva e partecipe delle vicende. L’amante indiana che lo spagnolo ha convertito al cristianesimo e che ha reso madre, non si allontana dalla sua tribù e deve sottostare alle dure leggi e alle punizioni che le sono riservate e alle quali sfugge solo grazie alla magnanimità di un’altra fi gura sostitutiva, il capo Simaghan, che la sposa divenendo così il padre adottivo di Atala: «Je me nomme Atala, fi lle de Simaghan aux bracelets d’or, et chef des guerriers de cette troupe» (p. 43), così si presenta Atala, solo però dopo aver sottolineato il fatto che «ma mère m’a fait chrétienne». Atala è orgogliosa del capo indiano che le funge da padre, mentre sulla fi gura di Lopez è vaga, non lo ha mai conosciuto: «Je n’ai jamais lavé les pieds de mon père, dit Atala; je sais seulement qu’il vivoit avec sa soeur à Saint-Augustin, et qu’il a été toujours fi dèle à ma mère: Philippe étoit son nom parmi les anges, et les hommes le nommoient Lopez» (pp. 84- 85). Tuttavia la sua identità culturale, malgrado il tenue legame affettivo, è fortemente segnata dalla sua origine meticcia: «Enfant des hommes, comment pleurerais-je ma patrie, puisque mon père n’étoit pas du pays des palmiers?» (p. 83). Il sovrapporsi dell’una all’altra fi gura paterna, la prima presente e forte, la seconda debole e lontana, fanno sì che la giovane sia in qualche modo sciolta dall’autorità del padre, in quanto la paternità reale, pur assente, infi cia e indebolisce quella putativa. Ben diversa è la situazione per quanto riguarda la fi gura materna, che acquista peso e presenza sempre più minacciose con l’avanzare del romanzo. L’attrazione di tale fi gura comincia per Chactas fi n dall’inizio: nel momento in cui il giovane indiano dichiara a Lopez la sua ferma intenzione di ritornare alla vita selvaggia («ô mon père, tu le vois toi-même: je meurs si je ne reprends la vie de l’Indien»), Lopez, dopo vani tentativi di dissuasione, risponde: «va [...] enfant de la nature! re- prends cette indépendance de l’homme que Lopez ne te veut point ravir. Si j’étois plus jeune moi-même, je t’accompagnerois au désert (où j’ai aussi de doux souvenirs) et je te remettrois dans les bras de ta mère» (p. 38). L’accostamento così evidente dei termini di mère e nature sembra alludere a una forte coesione tra le due entità, quasi un’identifi cazione di sapore rousseauviano. A questa introduzione benevola del tema materno si aggiungano le lodi della maternità che Chateaubriand mette in bocca a Chactas prigioniero quando risponde alle donne dei Muscogulges che lo interrogano su sua madre: Vous êtes les grâces du jour, et la nuit vous aime comme la rosée. L’homme sort de votre sein pour se suspendre à votre mamelle et à votre bouche. Vous savez des paroles magiques qui endorment toutes les douleurs. Voilà ce que m’a dit celle qui m’a mis au monde, et qui ne me reverra plus! (p. 41)

Sono immagini di tenerezza fi liale non esenti da quell’erotismo che colora in Ata- la i rapporti parentali. Peraltro, se Chactas si sente morire lontano dalla vita naturale, la prigionia e la morte lo afferrano comunque appena vi fa ritorno: la fi gura materna si prospetta fi n dall’inizio come fi gura possente e terribile. Per quanto riguarda Atala, ci troviamo di fronte al caso opposto: la madre è stata convertita e, come ben sappiamo, nel nome della nuova religione ha consacrato la fi glia alla Vergine, determinandone in seguito il destino fatale. Non è in questo caso come per Chactas la Natura/Madre portatrice di morte, bensì la civiltà e la religione materne, certo fraintese, e dunque ugualmente mortali. Il disvelamento di questa se- conda tragica situazione avviene gradualmente, attraverso le confessioni di Atala che sono successive e parziali, per culminare al momento del trapasso. Dall’iniziale «O ma mère! qu’as-tu fait?» e «Malheureux a été le ventre de ta mère, ô Atala!» (p. 48)

ultime 263 4-12-2006, 21:34:37 264 Valeria Ramacciotti

fi no alla fi ne, Atala vive una continua agonia, lacerata da opposti sentimenti, la pas- sione che la lega a Chactas e il divieto materno. Il fantasma della madre, ossessivo e minaccioso, perseguita la fuga della giovane indiana, impedendole di aderire piena- mente alla vita, facendone una creatura predestinata alla morte, una sepolta viva, tra le mura di un voto contro natura. Atala è vittima di un vero e proprio ricatto affettivo, basato sull’autorità materna, che le impone di accettare per tutta la vita una castità garante della salvezza eterna, restando così a tutti gli effetti parte della madre stessa, sotto il suo perpetuo controllo. Al momento della propria morte la madre pronuncia parole terribili: Jure sur cette image de la mère du Sauveur, entre les mains de ce saint prêtre et de ta mère expirante, que tu ne me trahiras point à la face du ciel. Songe que je me suis engagée pour toi, afi n de te sauver la vie, et que si tu ne tiens ma promesse, tu plongeras l’âme de ta mère dans des tourments éternels (p. 108).

Poi in un abbraccio fi nale sembra voler trascinare con sé la fi glia nella tomba: «Ma mère me menaça de sa malédiction, si jamais je rompois mes voeux, et après m’avoir recommandé un secret inviolabile envers les païens, persécuteurs de ma reli- gion, elle expira, en me tenant embrassée» (p. 109). Tutto il viaggio di Atala attraver- so la foresta è riletto a questo punto non come una erranza felice di due innamorati, ma come fuga angosciosa perseguitata da fantasmi ossessivi e infernali: Ah! S’il n’avoit fallu que quitter parents, amis, patrie; si même (chose affreuse) il n’y eût eu que la perte de mon âme!… Mais ton ombre, ô ma mère, ton ombre étoit toujours là, me reprochant ses tourments! J’entendois tes plaintes, je voyois les fl ammes de l’enfer te consu- mer. Mes nuits étoient arides et pleines de fantômes, mes jours étoient désolés; la rosée du soir séchoit en tombant sur ma peau brûlante; j’entr’ouvois mes lèvres aux brises, et les brises, loin de m’apporter la fraîcheur, s’embrasoient du feu de mon souffl e (p. 111).

La stretta unione tra la fi gura materna e la pulsione di morte è presente in tutto il racconto, dove si ripetono ossessivamente gli incontri con due personaggi simbolici: il neonato morto e la madre che non se ne vuole staccare, lo stringe al seno, cullandolo amorosamente, e spande il proprio latte sulla sua tomba o ne sospende il cadaverino agli alti rami dell’acero allontanandone gli insetti. Ma un’ultima osservazione va fatta sull’estrema potenza di questa fi gura: Atala diventa a sua volta per il giovane Chactas la proiezione della madre. L’erotismo che pervade il racconto non sfugge a questo sottile rovesciamento, gli atteggiamenti di Atala sono spesso improntati non solo al modello sororale molto evidente, ma a quel- lo materno: le cure che prodiga all’amato, le parole consolatrici, e infi ne, al momento della morte, la coazione a ripetere quanto la madre aveva fatto con lei, la richiesta, più attenuata ma pur sempre costrittiva, di convertirsi e di rimanerle fedele: «Si tu m’as aimée, fais-toi istruire dans la religion chrétienne qui préparera notre réunion» (p. 124). Il piccolo crocifi sso d’oro, il pegno di fede donato da Lopez alla giovane indiana e da costei alla fi glia, simbolo di tale percorso affettivo, alla fi ne è in mano del vecchio capo cieco, che lo conserva e lo tocca piangendo: le voilà, s’écria-t-il, ce gage de l’adversité! […] Comment Chactas n’est-il point encore chrétien? Quelles frivoles raisons de politique et de patrie l’ont jusqu’à présent retenu dans les erreurs de ses pères? Non, je ne veux pas tarder plus longtemps. La terre me crie: «Quand donc descendras-tu dans la tombe, et qu’attends-tu pour embrasser une religion divine?» (p. 127).

ultime 264 4-12-2006, 21:34:37 Aspetti dell’autorità in “Atala” di F.-R. de Chateaubriand 265

3 – Chactas dunque a sua volta si è votato a una perpetua vedovanza, alla solitu- dine del cuore, per sempre legato al ricordo dell’amata. Ma sono adombrate qui altre ragioni per le quali il mantenimento della promessa è procrastinato alla fi ne della vita: l’amor patrio e considerazioni di natura politica prevalgono nell’indirizzo che egli darà alla sua futura esistenza. La fi gura del P. Aubry riveste ai suoi occhi l’autorità di un padre e di un religioso, tuttavia le parole del missionario acquistano la loro piena autorevolezza perché si appoggiano sulla sua autorità di capo politico, che conduce saggiamente il suo gregge, certo con la forza della fede, ma anche col potere che gli deriva da un ben organizzato equilibrio sociale nel piccolo villaggio che egli chiama nouvelle Béthanie: Là régnoit le mélange le plus touchant de la vie sociale et de la vie de nature: au coin d’une cyprière de l’antique désert, on découvroit une culture naissante; les épis rouloient à fl ots d’or sur le tronc du chêne abattu, et la gerbe d’un été remplaçoit l’arbre de trois siècles. Partout on voyoit les forêts livrées aux fl ammes pousser de grosses fumées dans les airs, et la charrue se promener lentement entre les débris de leurs racines. Des arpenteurs avec de longues chaînes alloient mesurant le terrain; des arbitres établissoient les premières propriétés […]. J’admirois le triomphe du Christianisme sur la vie sauvage; je voyois l’Indien se civilisant à la voix de la religion; j’assistois aux noces primitives de l’Homme et de la Terre: l’homme, par ce grand con- trat, abandonnant à la terre l’héritage de ses sueurs ; et la terre s’engageant, en retour, à porter fi dèlement les moissons, les fi ls et les cendres de l’homme (pp. 101-102).

Non si può non notare in questo brano la polemica con Rousseau: il termine “contratto” utilizzato in modo certamente contrario allo spirito del fi losofo, così come le immagini delle lunghe catene che delimitano gli appezzamenti di terreno, degli arbitri che ne stabiliscono la proprietà. Il tutto però è garantito secondo Cha- teaubriand dalla presenza del Cristianesimo, la voce della religione che favorisce il passaggio dalla vita nomade a quella “civilizzata” per mezzo dell’agricoltura. L’uomo mette radici, coltiva e cura amorosamente la terra, che in cambio nutrirà i suoi fi gli e accoglierà i suoi morti. Analoga esaltazione dei benefi ci della civiltà Chactas la ascolterà alcuni anni dopo, durante il suo soggiorno a Parigi, dalla bocca di un altro religioso, Fenelon: alla auctoritas del cantore delle Aventures de Télémaque ricorre Chateaubriand per trovare conferma alla sua critica sulla bontà dello stato di natura: Il arrive un temps où le genre humain trop multiplié ne peut plus exister par la chasse: il faut alors avoir recours à la culture. La culture entraîne des lois, les lois des abus. Serait-il rai- sonnable de dire qu’il ne faut point de lois, parce qu’il y a des abus? Serait-il sensé de supposer que Dieu a rendu la condition sociale la pire de toutes, lorsque cette condition paraît être l’état universel des hommes? […] Chez vous les attachements de la famille ne sont fondés que sur des rapports intéressés de secours accordés et rendus: chez nous, la société change ces rapports en sentiments. On s’aime pour s’aimer; on commerce d’âmes; on arrive au bout de sa carrière à travers une vie pleine d’amour. Est-il un labeur pénible à celui qui travaille pour un père, une mère, un frère, une soeur? Non, Chactas, il n’en est point; et, tout considéré, il me semble que l’on peut tirer de la civilisation autant de bonheur que de l’état sauvage23.

In questo gioco di rimandi e di richiami, all’inizio dell’Epilogue di Atala il nar- ratore, quando riprende il suo ruolo, ci offre una breve rifl essione sul racconto delle vicende passate che ha appena ascoltato da un indiano seminole e insiste ancora una volta sull’opposizione tra peuple chasseur e peuple laboureur e soprattutto sul ruolo della religione, prima legislatrice degli uomini:

(23) CHATEAUBRIAND, Les Natchez, Première partie, Livre VII, cit., pp. 272-273.

ultime 265 4-12-2006, 21:34:37 266 Valeria Ramacciotti

Je vis dans ce récit le tableau du peuple chasseur et du peuple laboureur, la religion, première législatrice des hommes, les dangers de l’ignorance et de l’enthousiasme religieux, opposés aux lumières, à la charité et au véritable esprit de l’Evangile, les combats des passions et des vertus dans un coeur simple, enfi n le triomphe du christianisme sur le sentiment le plus fougueux et la crainte la plus terrible, l’amour et la mort (p. 137).

Tuttavia l’insistenza sul “triomphe du Christianisme”, ben comprensibile data la ricollocazione di Atala all’interno del Génie, contrasta con l’originaria intenzione dell’autore, quella esaltazione della vita dei selvaggi d’America illustrata nel primo ta- bleau, dove viene descritta appunto la vita del popolo nomade. Chateaubriand riserva un notevole spazio non solo alla descrizione dei luoghi dove gli Americani vivono, ma anche all’illustrazione dei momenti fondamentali della loro esistenza, basandosi su solide fonti: il gran raduno delle tribù in vista di trattati e di accordi, decisioni che si prendono in un gran consiglio guidato da un capo, e dove tutti i convenuti, anche le matrones, hanno diritto di parola; oppure le cerimonie funebri in tutta la loro austera solennità: gli Indiani pertanto conducono la loro esistenza basandosi su validi prin- cipi di saggezza e di armonia sociale. Nel secondo tableau la frase di Chactas davanti allo spettacolo della serenità in cui vive il piccolo villaggio del padre missionario ha un inevitabile sapore didascalico e apologetico, che, se obbedisce all’intento ultimo dell’autore, non si accorda pienamente con il taglio precedente del racconto: «les pa- roles du Solitaire me ravirent, et je sentis la supériorité de cette vie stable et occupée sur la vie errante et oisive du Sauvage» (p. 105). Malgrado il fascino esercitato su di lui dai rappresentanti della vecchia Europa, Lopez, il P. Aubry, il prelato francese, personaggi che incontra in diverse fasi della sua esistenza, Chactas non abbraccia la nuova fede: non si battezza, segue la strada della sua formazione sulla quale, più degli insegnamenti religiosi, pesa il suo senso del dovere di guerriero e di capo, funzioni che eserciterà al suo ritorno dalla Francia e che lo allontanano defi nitivamente dall’impegno preso in gioventù. I richiami a cui obbedisce sono quelli che fanno leva precisamente su questo senso di devozione al suo popolo: «à présent votre sort a changé: vous vous devez à votre patrie» gli ram- menta il P. Aubry, e il giovane obbedisce allontanandosi dalla tomba di Atala: «son autorité étoit trop grande, sa sagesse trop profonde pour ne pas lui obéir» (pp. 133- 134). Gli stessi accenti saranno usati da Fenelon nei Natchez, per incoraggiare il gio- vane a tornare in America: «Mon fi ls, me répondit mon hôte en me relevant, chaque homme se doit à sa patrie: mon devoir me retient sur ces bords pour y faire le peu de bien dont je suis capable, le vôtre est de retourner dans votre pays»24. L’autorità religiosa, che si identifi ca a questo punto con quella paterna, è fondamento e garanzia dell’autorità politica, e Chactas, “sauvage civilisé”, ricorderà sempre le parole delle sue guide spirituali cristiane, ma sarà grande capo della sua gente e resterà fedele alla sua tradizione. Non è un caso che in un periodo di cambiamenti profondi, quale conosceva la Francia negli anni in cui Chateaubriand componeva la sua epopea sui selvaggi d’Ame- rica, ricorrano sotto la sua penna in modo così palesemente frequente, per un testo tutto sommato esiguo come Atala, termini riferiti al concetto di “patria”: al termine patrie, usato esplicitamente dal P. Aubry, potrebbero essere aggiunti anche quelli di mère e nature, usati all’inizio da Lopez, con valenze più ampie, ma che includono anche quella in questione, e abbiamo incontrato le parole patrie e pays nel discorso di Fenelon, inserito nel contesto dei Natchez. Tali termini concorrono a indicare una

(24) Ivi, p. 122.

ultime 266 4-12-2006, 21:34:37 Aspetti dell’autorità in “Atala” di F.-R. de Chateaubriand 267

via ben precisa al giovane indiano: l’azione civile e politica, illuminata dalla ragione, che in un periodo di gravi confl itti in cui l’autorità sovrana è minata e sovvertita, ha il dovere di ristabilirne i principi. Prima della famosa apostrofe agli “indiens infor- tunés” che chiude il testo, l’autore presenta un quadro suggestivo e straziante della tribù dei Natchez in marcia verso un cupo destino di annientamento proprio perché si è ribellata alla salda guida della legittima autorità: Les jeunes guerriers ouvroient la marche et les épouses la fermoient; les premiers étoient chargé des saintes reliques; les secondes portoient leurs nouveaux-nés; les vieillards chemi- noient lentement au milieu, placés entre les aïeux et leur postérité, entre les souvenirs et l’espé- rance, entre la patrie perdue et la patrie à venir. Oh! que de larmes sont répandues, lorsqu’on abandonne ainsi la terre natale, lorsque du haut de la colline de l’exil, on découvre pour la dernière fois le toit où l’on fut nourri et le fl euve de la cabane, qui continue de couler tristement à travers les champs solitaires de la patrie! (pp. 150-151).

Confermata dall’inequivocabile accento autobiografi co, una delle chiavi di lettura che si possono proporre per Atala è racchiusa in questo forte legame con la patria, la terra che ospita la ceneri dei nostri avi e in cui dormiremo l’ultimo sonno, la terra delle tradizioni e dell’identità di un popolo: la foresta americana per Chactas, la Francia per Chateaubriand saranno le rispettive patrie cui ritorneranno entrambi dopo l’esilio per compiervi il loro destino. L’amore per il proprio paese e le sue tradi- zioni è la forza unifi cante e autentica, in cui il principio di autorità deve trovare la sua legittimazione, per non correre il rischio di deviare o corrompersi: in questo testo lo inseguiamo in molteplici direzioni, talvolta sbagliate o fraintese, sotto un’apparente linearità dalle molte contraddizioni irrisolte che ne rendono la lettura esercizio non banale, come ben aveva visto Sainte-Beuve nel suo lucido esame: «Atala c’est un livre trop facile à lire, et trop diffi cile à analyser»25.

VALERIA RAMACCIOTTI

(25) C.-A. SAINTE-BEUVE, op. cit., t. I, p. 235.

ultime 267 4-12-2006, 21:34:37 268 Clara Leri Il problema dell’autorità nei “Promessi sposi”. «Potestà e non proprietà»

Se è vero, come si legge nelle Osservazioni sulla morale cattolica, che un’idea predominante e «generalissima» è «un’idea che ricompare sempre, e che regge, per così dire, il complesso di idee alle quali si vuole applicare quel nome», il «nome» dell’«idea»1, ciò sembra valere a maggior ragione per un romanzo come i Promessi Sposi in cui la rifl essione manzoniana si coniuga in un paradigma di «applicazioni» e di «modifi cazioni» retoriche, lessicali, sintattiche. L’orchestrazione romanzesca dell’«autorità», concertata nell’intimo delle coscienze, delle dominanti ideologiche e linguistiche dei personaggi, non potrebbe essere intesa, d’altronde, se non la si ascoltasse «secondo la diversità o per dir meglio, latitudine di signifi cato» che «si trova più specialmente nei nomi consacrati a esprimere disposizioni morali»2. Senza contraddire «l’idea predominante e generalissima che tutti in questi nomi riconosco- no», Manzoni insiste nell’osservare le variazioni «indefi nite» che «la diversità delle menti» impone sino a favorire, come avrebbe detto un grande scrittore barocco, «in un vocabulo solo un pien teatro di meraviglie». Nelle Osservazioni sulla morale catto- lica emerge così una nuova ottica, se non una catottrica, una rifrazione prismatica di tipo settecentesco3, defi nita, metaforicamente, come «complesso d’idee». Non a caso, se si presta ascolto al Tommaseo, le Ricerche intorno alla natura dello stile di Cesare Beccaria costituirono sempre per Manzoni un saldissimo punto di riferimento, quasi un livre de chevet4, in cui il riformista lombardo assumeva il ruolo di straordinario re- tore newtoniano, mostrando di avere intuito meccanismi associativi, alla stregua delle leggi fi siche di attrazione reciproca, nei complessi planetari delle «idee», suddivise, appunto, in «accessorie» e «principali»5. Vero è che negli scritti senili di Manzoni sulla lingua oltre che sull’«invenzione», l’incontro con il Rosmini aveva già favorito il ripudio della estetica sensistica, condivi- sa nella giovinezza. Ma più che indicare uno stilema fi losofi co, tra estetica e ontologia, quale «verbo della mente»6, rimarcando l’adesione manzoniana all’innatismo aprio- ristico rosminiano, è importante qui percepire il tragitto mentale che Manzoni aveva

(1) A. MANZONI, Sulla morale cattolica. Osser- (4) Cfr. N. TOMMASEO, G. BORRI, R. BONGHI, vazioni, in Tutte le opere, vol. III, Opere morali e Colloqui col Manzoni, seguiti da C. FABRIS, Memo- fi losofi che a cura di Fausto Ghisalberti, Milano, rie manzoniane, con introduzione e commento di Mondadori, 1963. Tutte le citazioni, salvo diversa C. Giardini, Milano, Ultra, 1944, p. 44. indicazione, sono tratte dalla redazione anteceden- (5) Per il modello estetico fornito a Manzoni da te ai Promessi sposi, quella, cioè, del 1819: in questo C. BECCARIA, Ricerche intorno alla natura dello stile caso, XVII (Sulla modestia e sulla umiltà), p. 415. (in Opere a cura di S. Romagnoli, Firenze, Sansoni, (2) Ibid., Si veda R. AMERIO, Studio dottrinale, 1958) si veda A. ACCAME BOBBIO, Sul concetto man- premesso alle Osservazioni sulla morale cattolica, a zoniano d’invenzione, in «Lettere italiane», VIII sua cura, vol. III, Milano-Napoli, Ricciardi, 1966, (1956), pp. 191-198. ma anche ID., Alessandro Manzoni fi losofo e teolo- (6) A. ROSMINI, Nuovo saggio sull’origine delle go, Torino, Edizioni di ‘Filosofi a’, 1958. idee, Roma, Salviucci, 1828-1830, voll. 4: per la (3) Mi permetto di rinviare all’ultimo capitolo formula qui citata, vol. III, p. 182. Ma sull’idea del mio Oscura prosa rimata. Studi sugli “Inni Sacri” di verbum mentis è necessario il raffronto con manzoniani, Pisa, Pacini, 1989, pp. 143-162, Il fi ore Agostino (De trinitate XI, VII, 10; XV, X, 17; e De e la luce. Sulla semantica metaforica manzoniana doctrina christiana I, XIII, 13). Cfr. F. DE GIORGI, dell’immaginazione. Proposta critica, questa, nata L’agostinismo rosminiano, in La scienza del cuore. sulla scia del I capitolo, Verso il realismo, di E. RAI- Spiritualità e cultura religiosa in Antonio Rosmini, MONDI, Il romanzo senza idillio. Saggio sui “Promessi Bologna, il Mulino, 1995, pp. 110-124. Sposi”, Torino, Einaudi, 1974.

ultime 268 4-12-2006, 21:34:38 Il problema dell’autorità nei “Promessi sposi” 269

compiuto per giungere, infi ne, al «frutto dell’invenzione» e più ancora del «vero tro- vare» a partire dall’immagine primaria del «complesso d’idee». Ed è appunto questo nesso, questo sintagma metaforico, che mette conto di usare per avere accesso alla semantica relazionale dell’«autorità» nella scrittura letteraria di Manzoni. Va detto, intanto, che nel 1828, quando tra Manzoni e Rosmini sono intercorse solo alcune let- tere, all’origine di un rapporto di lunga fedeltà, racchiuso nell’arco di quasi venticin- que anni, dal 1826 al 18507, ha inizio l’itinerario tormentato che condurrà all’edizione del discorso Del romanzo storico nel 1845, alla stessa data, non a caso, in cui viene alla luce il dialogo Dell’invenzione. E solo che si confrontino i due discorsi appare chiaro l’assiduo ricorso a una stilistica associativa del pensiero, che sembrerebbe generare, fulmineo, il raccordo a distanza tra il «complesso d’idee» e il «rivelare aspetti novi di cose note», sino a mostrarne le «relazioni più recondite e meno osservate»8. Così, sullo sfondo di una corrispondenza perfettamente bilanciata, tra «intuito» e «parola», acquista risalto anche il mandato cristiano dell’autorità provvisoria dell’uomo sull’uo- mo come «potestà e non proprietà». La defi nizione, notissima, può leggerla chiunque voglia aprire il Discorso sopra alcuni punti della storia longobardica in Italia, stampato a Milano, in appendice al- l’Adelchi, nel 1822. Più che di un lemma politico si tratta in primo luogo di uno dei «nomi di idea morale»9 che consegue alla scelta diffi cile e profonda di un sistema di valori, a poco meno di quindici anni dalla conversione, maturata non nell’immagina- rio estetizzante e napoleonico di uno Chateaubriand, ma nella coscienza ardente di un agostiniano moderno, cresciuto alla scuola dei moralisti francesi del Seicento, con il debito già paolino della metànoia, di un nuovo modo di vivere e di pensare, che impone esperimenti sempre più consoni alla poetica ardua della fede10. Nell’offi cina esigente dello scrittore appena convertito appariva necessario partire da un degré zero de l’écriture, con un ostinato sospetto verso la parola scritta che avrebbe investito esplicitamente il romanzo, ma più segretamente e tormentosamente ogni carta su cui Manzoni si trovasse a lasciare traccia di sé come scrittore. Nell’ansia che ogni segno «si barocchizzi», giusta l’intuizione di uno dei suoi più animosi lettori di radice lombarda come Gadda, preoccupato di un’estetica in quanto capitolo dell’etica11, Manzoni comprendeva a maggior ragione l’insidia della menzo- gna romanzesca, dell’autorità infallibile concessa alla parola umana. E il pericolo si rivelava tanto più minaccioso quanto più intollerabile diveniva per un cristiano come il Manzoni, con le sue tensioni, le sue crisi, le sue domande, nella coscienza ormai sopraggiunta del disincanto, della secolarizzazione moderna. «Autorità infallibile»

(7) Cfr. Carteggio fra A. Manzoni e A. Rosmini, Il discorso sulla dominazione longobardica, in Dante raccolto e annotato da G. Bonola, Milano, Tip. Ed. e Manzoni. Studi e letture, Napoli, Laveglia, 1999, Cogliati, 1901. pp. 99-123; p. 115. (8) Per «il frutto dell’invenzione» come «com- (10) È tuttora d’obbligo la lettura attenta di F. plesso di idee», cfr. A. MANZONI, Dell’invenzione. RUFFINI, La vita religiosa di Alessandro Manzoni, Dialogo [1850], in Opere morali e fi losofi che cit., Bari, Laterza, 1931, voll.2. Tra i numerosi interven- p. 725, mentre, per la semantica relazionale delle ti suscitati da Ruffi ni, si veda F. MARGIOTTA BRO- «qualità delle cose», che ha il suo esito verbale negli GLIO, Sul «giansenismo» del Manzoni, in Chiesa e «accozzi inusitati di vocaboli usitati», cfr. ID., Del spiritualità nell’Ottocento italiano, a cura di C. Bel- romanzo storico e, in genere, de’ componimenti misti lo, Verona, Mazziana, 1971, pp. 359-377. Ma sotto di storia e d’invenzione, Milano, Centro nazionale il profi lo testuale, per i debiti contratti da Manzoni studi manzoniani, Edizione nazionale ed europea romanziere con i moralisti francesi secenteschi, cfr. delle Opere di Alessandro Manzoni, 2000, pp. N. BUSETTO, La genesi e la formazione dei “Promessi 39-40. Sposi”, Bologna, Zanichelli, 1920. (9) Sull’assillante problema manzoniano del (11) Cfr. C.E. GADDA, Meditazione breve circa il «principio del potere», sempre visto in un’ottica dire e il fare, in I viaggi la morte, in Saggi giornali più morale che civile e politica, «di una morale e favole, Milano, Garzanti, 1991 (Opere, vol. III, ontologicamente fondata», cfr. A. DI BENEDETTO, t. I).

ultime 269 4-12-2006, 21:34:38 270 Clara Leri

veniva semmai riconosciuta alla Chiesa, «depositaria e interprete delle Scritture e del- le Tradizioni» proprio perché «indipendente dalle fl uttuazioni della mente umana»12, dalla sua espressione più spesso «passionata» che giudiziosa. Ma rispetto alla Morale cattolica del 1819 non meno che agli Inni Sacri, quando si ferma lo sguardo sulla prosa dei Promessi Sposi, è subito evidente lo scacco del narratore onnisciente, nell’impla- cabile demistifi cazione di qualsiasi autorità narrativa coincidente con il punto di vista dell’autore narrante, che rappresenti se stesso come criterio valoriale delle relazioni tra i personaggi invece di dare voce all’interumano, per usare un termine coniato da Michail Bachtin, alla dialogicità delle fi gure di un romanzo moderno. A presentarsi sulla scena della parola narrata sono attori che avvalorano il confronto come auto- nomia di microcosmi non solo verbali, ma anche emotivi, di universi di pensiero, contro la sopraffazione dell’autorità monologica di un narratore che parla in nome e in luogo delle sue creature, ridotte alla funzione di marionette, di maschere senza diritto di giudizio e di intervento. Non a caso, Ermes Visconti, che seguì pagina dopo pagina, con annotazioni sempre precise e insieme geniali, il Fermo e Lucia, a mano a mano che l’amico lo costruiva, gli consigliava di scegliere come «testimonio» della sua «cantafavola» l’autorità sia pure fi ttizia del manoscritto secentesco – «l’Anonimo» – per mettere in risalto il dialogo tra il precursore, come lo avrebbe defi nito Borges, e l’autore, copista apparentemente sottomesso all’autorità di un originale simulato ma, nello stesso tempo, all’autorità implicita di un lettore, consapevole della «metamorfo- si» necessaria alla «dicitura» barocca13. Così, nel segno mobile del dialogo, il romanzo manzoniano accoglie un «an- dirivieni» di autorità, un percorso a più sensi, in direzioni sempre diverse, «di strade e stradette […] per prospetti sempre più estesi, ma ricchi sempre e sempre qualcosa nuovi»14, un percorso che è quello dei personaggi ma anche della voce che narra, lungo l’itinerario appunto pluralistico dell’autorità. Autorità, prima di tutto, come mise en abîme, come metanarrazione infedele, dall’esordio, alla norma di un romanzo storico, come riserva, come ipotesi dubbiosa sulla proprietà attribuita alla scrittura di addentrarsi nel silenzio oscuro della coscienza, autorizzato tutt’al più alla «potestà» di un discorso sdoppiato. Ma, soprattutto, autorità come strumento, come prospettiva ermeneutica entro la quale scandagliare il mondo interiore dei personaggi che ne appaiano investiti o passivamente o attivamente, senza tuttavia sottrarli alla macrostoria politica e sociale di un’epoca segnata dalla guerra, dalla carestia e dalla peste. Attraverso la consultazione delle concordanze manzoniane attinenti all’ambito lessicale dell’autorità, si manifesta una fi tta rete di vincoli non limitati ai grandi eventi storici, ma estesi ai rapporti tra i personaggi, per un verso autorevoli o autoritari, dotati della potestà legittima o illegittima di comandare, per l’altro, vessati, preva- ricati, oppressi dall’autorità neofeudale della società ispanico-lombarda secentesca. Sulle vittime delle classi meno abbienti, ma anche, talvolta, delle famiglie di spicco, all’interno dello stesso ceto dirigente, predomina il puntiglio, il terribile, atroce senso barocco dell’onore, trasmesso dalla morale politica cinquecentesca di marca spagnola alla psicologia individuale e collettiva dell’universo rappresentato da Manzoni in fi gu- re dai ruoli non sempre chiari in rapporto all’autorità, quasi ambigui viluppi di istinti di «proprietà»: tra personalità psicopatiche e caravaggesche, come le avrebbe defi nite

(12) Morale cattolica cit., V (Sulla corrispondenza dissimulazione romanzesca. Antropologia manzonia- della morale cattolica coi sentimenti naturali retti), na, Bologna, il Mulino, 2004 (nuova ed. aumentata p. 307. Cfr. anche I (Sulla unità di fede), p. 279. rispetto alla prima, 1990), pp. 131-145. (13) Cfr. E. RAIMONDI, Il lettore tra le righe, in La (14) A. MANZONI, I Promessi Sposi, pp. 33-38.

ultime 270 4-12-2006, 21:34:38 Il problema dell’autorità nei “Promessi sposi” 271

Gadda15, e temperamenti a ictus irrefrenabili, per dirla con Longhi16, si ravvisa una mentalità sociale disorganica che ha come codice la retorica della mistifi cazione, del- l’autoinganno, dell’ambivalenza. Non a caso, nella digressione sulle gride, l’aggettivo «autorevole» connota per la prima volta nei Promessi Sposi in maniera ironica, per antifrasi, le autorità di gover- no che le hanno emanate. All’enumerazione altisonante di nomi, titoli, bandi, date, all’elenco puramente formale dei delitti punibili da simili atti legali non corrisponde la garanzia di esecuzione e di effi cacia, bensì il rimbombo di parole vuote di senso, impotenti, destituite della forza reale di una legge che è la sua applicabilità, la sua, per dir meglio, sostanziale applicazione. Ma il paradosso è tanto più evidente quanto più ironico appare il contrasto tra il valore relativo della lingua delle gride («a saper ben maneggiare le gride nessuno è reo e nessuno è innocente») e il valore assoluto della parola dell’uomo, allorché, per esempio, Renzo è vittima dell’autoritarismo lingui- stico di Azzeccagarbugli. L’ironia di Manzoni deve moltissimo all’ironia di Voltaire, poiché riconosce nell’inadempienza delle gride non una trasgressione dell’autorità, ma una giustifi cazione dello stato di fatto in antitesi solo parvente con l’ordinamento giudiziario. La contraddizione beffardamente intrinseca alla macchina dell’autorità si presenta di nuovo nell’affresco infernale della peste, ma già della carestia, sotto forma di controllo, di eufemismo, di negazione. Questa retorica dell’ambiguità, contrap- posta alla limpidezza autorevole del linguaggio, incarnata più innanzi da Federigo Borromeo, è indispensabile per sostenere il sistema di un potere che si regge sulla fi nzione. A segnalare il corso reale degli eventi, contro la testimonianza falsamente au- torevole dei proclami è l’interprete, il testimone critico che si rivela nell’ironica voce narrante. Così il «ma», l’avversativa per antonomasia dei Promessi Sposi, attinta dalla scrittura antitetica pascaliana17, ma anche dalla rifl essività problematica ed epigram- matica, dalla «doppietta» di Voltaire18, inscena il teatro della sintassi confl ittuale che investe il problema dell’autorità nella sua dinamica relazionale. La rettifi ca aumenta la tensione dentro il gioco sottile degli opposti, simili a colpi di scena, è stato detto, a rivelazioni folgoranti e improvvise, a correzioni drammatiche, nel pieno senso della parola, affi date come sono non alla falsa innocenza storica, ma allo scrutinio meditato oltre che sentito di Manzoni se non già di Beccaria, per tornare alle gride, sui «delitti» e sulle «pene». Solo una nuova idea della legislazione, dei rapporti tra il cittadino e lo stato, avrebbe potuto capovolgere il sistema neofeudale della «impunità […] organiz- zata» tutt’al più minacciata e insultata, ma non distrutta dalle gride. Dalla Parigi postrivoluzionaria e antinapoleonica dei secondi “idéologues” Man- zoni si restituiva alla sua Milano, da cittadino “residente”, proprio nel vivo della crisi

(15) Cfr. C.E. GADDA, Racconto italiano di ignoto A. Mondadori, 1993, p. 877. Per il Manzoni di Lon- del novecento, in Scritti vari e postumi, a cura di A. ghi, caravaggesco sì, ma in forme non gaddiane, o Silvestri, C. Vela, D. Isella, P. Italia, G. Pinotti, Mi- almeno non del tutto simili alla «gaddizzazione del lano, Garzanti, 1993, pp. 381-613. Il Racconto risa- Manzoni», secondo la formula continiana, sono le al 1924, ma è stato pubblicato nel 1983, grazie tutte da leggere le pagine di E. RAIMONDI, Nella alle cure di Isella. Dalle pagine fi nali del Racconto, luce di Caravaggio, fra Gadda e Longhi, in Barocco tre anni dopo l’abbozzo, nel 1927, è estratto il testo moderno. Roberto Longhi e Carlo Emilio Gadda, a che i primissimi lettori di Gadda incontreranno su cura di J. Sisco, Milano, Bruno Mondadori, 2003, «Solaria», sotto il titolo di Apologia manzoniana. pp. 133-180. Intorno alla duplice stesura mi permetto di rinviare (17) Cfr. E. RAIMONDI, L’antitesi romanzesca, in a C. LERI, Il Manzoni di Gadda, in Manzoni e la Il romanzo senza idillio. Saggio sui Promessi Sposi «littérature universelle», Milano, Centro nazionale cit., pp. 78-140. studi manzoniani, Quaderni dell’Edizione naziona- (18) Si vedano le pagine dedicate, con estrema le ed europea delle Opere di Alessandro Manzoni, fi nezza, alla scrittura dell’illuminista francese, in G. 2002, pp. 97-169. FOLENA, L’italiano in Europa. Esperienze linguisti- (16) R. LONGHI, Il Caravaggio e la sua cerchia a che del Settecento, Torino, Einaudi, 1983. Milano [1951], in Da Cimabue a Morandi, Milano,

ultime 271 4-12-2006, 21:34:39 272 Clara Leri

che registravano, tra politica e cultura, i primi mesi del 182119. L’eredità riformistica dei Beccaria e dei Verri aveva fatto uscire dall’isolamento gli intellettuali progressisti che dapprima si erano arresi all’eclissi totale dell’ottimismo illuministico senza rinun- ciare, però, ad assumersi il rischio di combattere e di resistere anche nell’interrogarsi sulla collusione di omertà e di puntiglio, di corporazione e di privilegio, all’indomani della Restaurazione, di un mutato assetto politico e civile rispetto alle riforme attuate dai progenitori settecenteschi in armonia di intenti con l’autorità pubblica. Non a torto, Gadda avrebbe scritto che «Don Alessandro» aveva «poste a fronte», in anti- tesi esplicitamente polemica all’attualità risorgimentale, «Spagna» e «Lombardia»20. Nei Promessi Sposi si legge infatti che la «forza legale» non corrispondeva più alla «forza reale», alla «esecrata autorità» dei potenti che in luogo di esecutori della legge, autorizzati dallo stato, facevano ricorso ormai costante alla violenza. Ecco allora il commento manzoniano, sin dal primo capitolo: «Ognuna di queste piccole oligarchie aveva una sua forza speciale e propria, in ognuna l’individuo trovava il vantaggio d’impiegar per sé, a proporzione della sua autorità e della sua destrezza, le forze riunite di molti»21. Qui l’ironia si traduce nella denuncia appassionata e consapevole di un romanziere formato anche dagli storici liberali francesi, che Manzoni aveva conosciuto tramite il Fauriel, non senza confrontarsi con i problemi su cui appunto Guizot, Cousin e, soprattutto, Thierry rifl ettevano dolorosamente colpiti dalla trage- dia dell’esperienza rivoluzionaria. Manzoni aveva ascoltato, è probabile, dalla voce stessa di Thierry sorprendenti dichiarazioni programmatiche quali «l’histoire est de la politique et les romans sont pour la plupart des romans politiques»22. Moravia e Calvino hanno detto a lettere sin troppo chiare che i Promessi Spo- si sono un romanzo politicamente mancato, anche se i due lettori non si trovano concordi sulle ragioni di questo fallimento che coinciderebbe, per l’uno, con il pur grande «realismo cattolico», compromesso dalla propaganda, per l’altro, con la dia- lettica non hegeliana dei «rapporti di forza» delle tre «autorità (potere sociale sempre cattivo, potere spirituale ora buono ora cattivo)»23. Contro la pianifi cazione di una totalità monologica dei «rapporti sistematizzati» per se stessi autoritari, Gadda si pronuncia in favore della «verità dei rapporti di fatto» tra i personaggi manzoniani, immersi negli «atroci silenzi» in cui la legge si fa irreale, in cui «non vi è comando […] se non delle viscere torturate». È necessario, continua Gadda, interrogarsi «sui mali palesi ed esterni» dell’autorità e sui «mali profondi e interiori, costituenti il germine oscuro dei primi»24. Manzoni rappresenta, narra, analizza il sistema dell’autorità da un punto di vista collettivo, nella sua fi tta scia di connivenze, ma anche in una dimensione interiore

(19) Sulla «restituzione» consapevole di Manzo- Santoli, Milano-Napoli, Ricciardi, pp. 223-372. Ma ni alla storia della propria patria, in antitesi all’esilio si vedano anche E. BONORA, Manzoni. Conclusioni volontario, alla “resa” del Foscolo inglese, è tuttora e proposte, Torino, Einaudi, 1976; e, in un’ottica notevole L. CARETTI, Manzoni. Ideologia e stile, To- nuova ma non antitetica, C. RICCARDI, Il «reale» rino, Einaudi, 1972. e il «possibile». Dal “Carmagnola” alla “Colonna (20) C.E. GADDA, Apologia manzoniana, in Saggi Infame”, Firenze, Le Monnier, 1990. giornali e favole cit., p. 685. (23) I. CALVINO, “I Promessi sposi”: il romanzo (21) A. MANZONI, I Promessi Sposi, I, 341-344. dei rapporti di forza, in Una pietra sopra, Torino, (22) A. THIERRY, Augustin Thierry d’après sa Einaudi, 1980. Per Manzoni, Gadda e Moravia correspondence et ses papiers de famille, Paris, Plon- cfr. A. MORAVIA, Introduzione a A. MANZONI, I Pro- Nourrit, 1922, p. 121 (Lettre du 7 janvier a Victor messi Sposi, Torino, Einaudi, 1960 e C.E. GADDA, Bohain, directeur de l’«Europe littéraire»). Sul- Manzoni diviso in tre dal bisturi di Moravia, in Saggi l’incontro tra Manzoni e la nuova scuola storica in giornali e favole cit., pp. 1176-1181. Francia, è decisivo C. DE LOLLIS, Alessandro Man- (24) C.E. Gadda, Apologia manzoniana cit., zoni e gli storici liberali francesi della restaurazione p. 685. [1926], in Scrittori d’Italia, a cura di G. Contini e V.

ultime 272 4-12-2006, 21:34:39 Il problema dell’autorità nei “Promessi sposi” 273

complessa che mette in luce il carcere in cui alcuni dei personaggi si torturano, do- minati da un confl itto tra il regime falsamente morale dell’autorità, persecutoria e ossessiva, e il libero arbitrio, l’autorevolezza indisgiungibile dalla vocazione all’umiltà di servire. Tra Gertrude, da un lato, e Federigo, dall’altro. Per venire alla prima, sulla radicale polemica illuministica, il pamphlet, contro la vocazione imposta, alla Diderot, prevale l’analisi rivolta alla fi glia sacrifi cata alla feudalizzazione dei rapporti familiari. «L’amare il suo fi glio e non la sua fi glia»25 è il tragico effetto della prevaricatoria autorità genitoriale disegnata con tratti cupi, livori di una monotona fl uttuazione di un’anima, nell’assiduo, snervante trasformarsi di una resistenza in una resa, in una violenza perpetrata in nome della proprietà e non della potestà paterna. È «un’ombrosa gelosia di comando»26 che sopraffà quella sorta di stizza nascosta in Gertrude, nella sua adolescenza deietta, abbandonata all’eserci- zio collusivo dell’autorità spirituale, «il vicario delle monache»27. Ciò che Manzoni descrive è il volontario e consapevole, premeditato delitto della «potestà» paterna mutata in «proprietà», su cui nondimeno si proietta l’ombra della dolorosa rinuncia alla libertà di scegliere la «vocazione», come se «la sventurata» predestinasse se stessa all’annichilimento della volontà che sembra non potersi fermare in un «proponimen- to», quello verrebbe da pensare, della scienza dei santi, praticata dalle grandi mistiche secentesche, nell’intento di annullare se stesse per perdersi in Dio28. Diversamente da Mirra, nella omonima tragedia alfi eriana, alla quale non si può fare a meno di accostarla, Gertrude mente contro se stessa nella famelica cupidigia dell’amore paterno che, negato, la induce «a struggersi in un lento martirio», sino alla «rabbia» da cui è convinta a mostrarsi «indeterminatamente pronta a tutto ciò che potesse piacere a chi doveva accordarlo», l’insostituibile padre fi nalmente «amo- roso»29. Mirra invece è soggiogata da una pulsione consapevole di morte, connessa a un istinto terribile di persecuzione suscitato dall’oggetto nemico, la madre, stando ai protocolli psicoanalitici almeno freudiani. Ed è oggetto tanto più nemico quanto più innominabile è la passione fi liale per il padre. Quando Mirra esclama che le proprie sono «fere, non narrabili angosce» poiché vanno «oltre i confi ni del natural dolore», affi ora un sistema di reticenze allusive che la confessione, differita alle ultime scene, distruggerà, trascinando nella morte questa straordinaria, coerente, profetica analista di se stessa30. Oltre che di se stessa, all’opposto, Gertrude è vittima dell’autorità paterna, della sua magistrale strategia retorica che il Manzoni della Morale cattolica avrebbe

(25) Ibid. (30) Per la citazione alfi eriana, cfr. Mirra, II, 2. (26) A. MANZONI, I Promessi Sposi, IX, 322, 323. Intorno ai silenzi e alle parole che improvvisamente (27) Cfr. I Promessi Sposi, X, 341-430: il «vi- li tradiscono, per essere, queste, nuovamente cen- cario» si presenta come «l’esaminatore» nella surate, è pregevole P. AZZOLINI, La negazione sim- psiche turbata di Gertrude («Gertrude si svegliò bolica nella Mirra alfi eriana, in «Lettere italiane», col pensiero dell’esaminatore che doveva venire»), XXXII (1980), pp. 289-313, in consonanza sia pure ma anche nella cronaca partecipe pur se lucida del remotissima con l’introduzione di A. Momigliano a narratore («l’esaminatore fu prima stanco d’inter- Mirra, che si legge in A. MOMIGLIANO, Introduzione rogare che la sventurata di mentire»), a suggello ai poeti, Roma, 1946. Sempre di P. AZZOLINI, cfr. geometrico di una sorta di cerchio. ora Il cielo vuoto dell’eroina, Roma, Bulzoni, 2001. (28) Per la formula che designa la «scienza misti- Ma il «potere come incubo», il potere che «in sé ca», ma anche per il tema della «perdita irrepara- è male», per citare Burckhardt (A. DI BENEDETTO, bile della soggettività in cui il mistico incorre sulla L’«orrendo a un tempo e innocente amore» di Mir- via dell’unione a Dio», si rimanda alle pagine ormai ra, in Il dandy e il sublime. Nuovi studi su Vittorio classiche di M. BERGAMO, La scienza dei santi. Studi Alfi eri, Firenze, Olschki, 2003, pp. 39-53; p. 52) è sul misticismo del Seicento, Firenze, Sansoni, 1984, un’ossessione che Mirra conosce e subisce nella sua (in particolare, cfr. La passione della perdita, cap. persecutoria volontà introspettiva, ma anche nella I, pp. 1-46). Cfr. I Promessi Sposi, X, 26-27: «La prigione oggettivamente analitica che è costruita misera ascoltatrice era annichilita». intorno ai suoi sintomi dalle autorità parentali e, in (29) I Promessi Sposi, X, 44. misura minore, dallo sposo promesso.

ultime 273 4-12-2006, 21:34:39 274 Clara Leri

esplicitamente condannato in quanto «strumento di un’astuta dominazione»31. Sotto inchiesta è la famiglia come centro di potere, come gerarchia non più privata ma pub- blica di ruoli, distribuiti e controllati dalla proprietà paterna, come Racine prima di Diderot aveva intuito, per non compromettere la logica dei punti d’onore che sacrifi - ca la compassione come fulcro di un sistema familiare, della sua antropologia relazio- nale. Manzoni denuncia e contesta la «ragione di famiglia», il meccanismo inesorabile della politica domestica dall’interno della coscienza, che scopre al di là dell’ipocrisia, l’opposizione irriducibile, l’antitesi tra il principe e il padre, tra il genitore tiranno e il «padre amoroso». Ed è alfi eriano, oltre che raciniano, il carcere chiuso dell’introspe- zione familiare, in cui liberamente, in apparenza, si segregano il carnefi ce e la vittima. Costoro appaiono complici nell’indagine rigorosa di Manzoni, mentre Alfi eri fa assu- mere alla vittima la responsabilità di morire, di tornare alla pienezza dell’identità, di sottrarsi alla distruzione interiore di funzioni in confl itto, di rapporti su cui dovrebbe reggersi l’Io. In fondo, si potrebbe sostenere che Gertrude è l’interpretazione manzo- niana di Mirra, della guerra tra il tacere e il parlare che Alfi eri inscena nell’alienazione femminile di un’incestuosità immaginaria, allucinata, sino alla catastrofe rivelatrice. Manzoni rappresenta una situazione confl ittuale, un «guazzabuglio» emotivo e so- prattutto morale dove, tuttavia, alla violenza positiva, alla crudeltà alfi eriana accolta e sofferta come tale si sostituisce l’ossessione dell’autorità come violenza complice32. «Prima stanco d’interrogare che la sventurata di mentire», il vicario delle mona- che è sopraffatto dalla famigerata «gran vocazione al chiostro» di Gertrude33. La voce fuori campo, interiorizzata dall’ironia morale dell’antifrasi, si ferma sull’ecclesiastico denominato ora «il buon prete», ora «l’uomo dabbene», con sintagmi ancora una vol- ta antifrastici per mettere in luce il meccanismo di sopraffazione delle «parole affer- mative e sicure di una persona autorevole» come il principe padre all’orecchio di un mediatore spirituale. Ancora una volta, dalla sua esperienza rifl essiva di manzonista, il Gadda di I viaggi la morte avrebbe appreso il paradigma fraudolento delle «parole, parole, parole», che «nella vita delle famiglie» hanno accesso fi nché non «piegano verso l’ombra il destino dei fi gli», avvertendo come il valore attribuito dalla «magia» alla parola ne accentui la menzogna intrinseca34. E lo stesso Gadda smaschera nella biblioteca di don Ferrante la cultura tradotta in «frode», in una retorica che falsifi ca la verità, in un’ossessione negromantica delle parole che non si traducono in azioni, quando la buona fede non è un’attenuante etica e intellettuale, ma un surrogato del- l’autorità di ogni «persona colta»35 che guidi il pensiero collettivo. Quello che Gadda, d’altronde, avrebbe defi nito come lo scrupolo «circa il dire e il fare» anima Manzoni proprio quando annoda una fi tta rete di parole castali, dotate di autorità mondana,

(31) Morale cattolica, XVIII (Sul segreto della torità parentale, sociale, religiosa dei «maschi, morale - Sui fedeli scrupolosi - E sui direttori di vanitosi e reboanti, o astuti o cinici», che «creano coscienza), p. 424. primamente queste sonorità, sopraffattrici delle (32) Per il rapporto tra Alfi eri e Manzoni cfr. sonorità concorrenti entro il cuore delle femmine» E. RAIMONDI, Il «susurro fantastico». Dalla scena al come «dèmoni divenuti parole, dopo che senti- romanzo, in Le pietre del sogno. Il moderno dopo il menti o impulsi» (Meditazione breve circa il dire e sublime, Bologna, il Mulino, 1985, pp. 91-121. il fare, cit., p. 453). Ma si veda «quel che di ignaro, (33) A. MANZONI, I Promessi Sposi, X, 430 e 376. di ritenuto, e tuttavia di fi dente, di sospeso verso il (34) C.E. GADDA, Meditazione breve circa il dire futuro» nella protagonista di Al parco in una sera di e il fare cit., pp. 450-453 (è citato Don Ferrante, maggio (C.E. GADDA, L’Adalgisa. Disegni milanesi, non, anche se implicitamente lo è, Gertrude). Per in Romanzi e racconti - Opere, vol. I), Milano, Gar- Gadda nasce da un impulso contrario alla retorica zanti, 1990 con la sua trasparente fi ligrana manzo- moralistica, ma nutrita da una sostanziale fi ducia niana, per amore di Gertrude (cfr. I Promessi Sposi, nella vitalità dell’essere umano, l’attrazione per X, 1-8). «l’imperio etico» della femminilità colta nell’attimo (35) C.E. GADDA, Apologia manzoniana cit., p. fugace della giovinezza, umiliata e offesa dall’au- 685.

ultime 274 4-12-2006, 21:34:39 Il problema dell’autorità nei “Promessi sposi” 275

che avviluppa colpevolmente l’«esaminatore» spirituale di Gertrude. È una congiura di risorse oratorie, un inganno politico travestito in linguaggio rispettabile, una mac- china retorica di falsifi cazioni che sarebbe diffi cile, commenta Manzoni, che «non tin- gano del loro colore la mente di chi le ascolta»36. Ma l’autorità spirituale, connivente dell’autorità familiare nella messinscena della formalità, non esonera dalla colpa «il mentire contro se stessa» di Gertrude, il teatro davvero suasivo della sua resa compli- ce e caparbia alla volontà paterna. È in fondo la logica del punto d’onore a distorcere il libero arbitrio dell’«infelice» che rassegnata subisce un male a cui ha «dato ragione o pretesto»37. La decisione, come aveva già osservato il Manzoni della Morale cattoli- ca, dipende infatti non dal «consiglio» che il direttore di coscienza, «per istituto o per un mistero», dovrebbe «sapere più di ogni altro» offrire, ma dal «convincimento» che il cristiano ha nell’intraprendere l’azione essendone «sempre giudice»: «tant’è vero che gli sarà chiesta ragione non solo di questo, ma della scelta del consigliere»38. Di nuovo nella Morale cattolica, subito dopo alcune righe dedicate allo «scrupo- lo» in accezione strettamente religiosa, che attraggono il moralista sempre più adden- tro allo «studio dell’animo umano» e alla «scoperta dei giri intricati delle passioni», il lettore si imbatte in una pagina acuta sulla «direzione spirituale»39. È un’autorità, questa, che è «data volontariamente dagli uomini» a un sacerdote per la «venerazio- ne» e la «fi ducia» da lui suscitate nella coscienza di chi gli si affi di. «Ricorrere nelle situazioni diffi cili alla sua guida spirituale per consiglio», precisa Manzoni, «non è farsi schiavo dell’uomo, è fare un nobile esercizio della propria libertà». «Dominazio- ne», da una parte, e «servilità» dall’altra, sono «due miserabili e opposte tendenze» che hanno entrambe radice «nel nostro cuore indebolito dalla colpa», desideroso di «rigettare sugli altri il peso dell’anima nostra» o di «estendere il dominio alla nostra picciola volontà». Ciò non esclude il ricorso «alle guide» che Dio ha dato ai cristiani, purché costoro sappiano sceglierle nei «pastori», stolti se volessero usurpare una autorità eccessiva che li esporrebbe a un giudizio spaventoso. Ancora una volta, la direzione spirituale si confi gura come un rapporto gerarchi- co tra un maestro e un discepolo, che dovrebbe essere orientato alla crescita cristiana di entrambi, anche se, all’indomani del dibattito conciliare tridentino, siffatto istituto cattolico si intreccia sempre più con la questione storicamente complessa del «disci- plinamento»40. Manzoni non concepisce la direzione spirituale come un regolamento giuridico, uno statuto esterno, attraverso il quale il foro della coscienza possa e debba essere controllato, in un continuo rapporto di imposizioni e di elaborazioni, da un

(36) I Promessi Sposi, X, 382. e il «discepolo» si proponga già nell’insegnamento (37) Ibidem, X, 429-430. postridentino della dottrina cristiana. (38) Morale cattolica, XVIII, p. 429. (40) A documentazione della categoria etico- (39) Sull’argomento, si segnalano Direzione politica di «disciplina», con il suo retroterra igna- spirituale tra ortodossia ed eresia. Dalle scuole fi lo- ziano-senecano, ma già anticamente monastico, cfr. sofi che antiche al Novecento, a cura di M. Catto, I. D. KNOX, Disciplina: le origini monastiche e clericali Gagliardi e R.M. Parrinello con prefazione di A. del buon comportamento nell’Europa cattolica del Benvenuti, Brescia, Morcelliana, 2002, nonché La Cinquecento e del primo Seicento, in Disciplina del- direzione spirituale tra medioevo ed età moderna. l’anima, disciplina del corpo e disciplina della società Percorsi di ricerca e contesti specifi ci, a cura di M. tra medioevo ed età moderna, a cura di P. Prodi e C. Catto, Bologna, il Mulino, 2004. Ma cfr. anche ‘La Penuti, Bologna, il Mulino, 1994. Ma, in un’ottica direzione spirituale’: percorsi di ricerca e sondaggi. non identica, cfr. A. PROSPERI, Tribunali della co- Contesti storici tra età antica, medioevo ed età mo- scienza. Inquisitori, confessori e missionari, Torino, derna, in «Annali dell’Istituto storico italo-germani- Einaudi, 1996. Per una geografi a e una storia più co di Trento», XXIV (1998), pp. 307-350. Diverso vicina a quella manzoniana, si veda anche Lombar- il punto di vista, catechetico, di A. TURCHINI, Sotto dia borromaica. Lombardia spagnola (1554-1659), a l’occhio del padre. Società confessionale e istruzione cura di P. Pissavino e G. Signorotto, 2 voll., Roma, primaria nello Stato di Milano, per quanto il rappor- Bulzoni, 1995. to, tipico di un «popolo fanciullo», tra il «maestro»

ultime 275 4-12-2006, 21:34:40 276 Clara Leri

dominatore che abusi della sua autorità, per giudicare anziché per dirigere, quale sarebbe il suo uffi cio, all’insegna della fi ducia reciproca tra il maestro e il discepolo. Si tratta, invece, di un ricorso libero a un «consigliere» che «dev’essere nutrito di pre- ghiera» e «avvezzo alla contemplazione delle cose del cielo» per meditare e decidere il suo consiglio «col peso del santuario», della sacralità interiore alle coscienze che gli si affi dano. L’obbedienza non è il frutto di una costrizione, ma di una scelta, di un itinerario autonomo di perfezione, fondata sull’assenso di entrambe le parti. Manzoni non a caso insiste sulla responsabilità di chi è orientato, di chi è diretto, di chi è con- vinto, poiché nell’agire secondo questo «consiglio» il discepolo si fa corresponsabile della decisione che il maestro gli ha raccomandato. Di qui l’antitesi complessa tra due personaggi come Gertrude e Federigo, che hanno in comune l’autorità spirituale, alla quale hanno assentito in maniera – è possibile istituire il confronto verbale oltre che morale per rendersene conto – speculare. La prima introietta un modello di comportamento che assume le forme della persuasione usurpatrice attraverso la «proprietà» esercitata per «educare e correg- gere» – la coppia di verbi risale all’indagine dettagliata dei sistemi punitivi condotta da uno storico delle idee come Michel Foucault41 – sorvegliando, blandendo, incar- cerando, nella clausura stretta e intera della desiderata casa parentale, non diversa, in un accumulo progressivo di «recinti»42, dalla «collocazione» in monastero. Mona- stero designato, con ragione, dal principe-padre che «vi godeva d’una grandissima autorità» e intendeva che «lì, meglio che altrove» la fi glia avrebbe potuto fare, nella logica perpetua dell’orgoglio castale, «alto e basso». Gertrude diviene così «il pegno di una protezione autorevole», un oggetto di transazione neofeudale43, un oggetto, appunto, di scambio, tra il feudatario, vertice dell’autorità politica e privata, e la badessa, tutrice di una sua «ragion di famiglia», religiosa sì, ma non meno cupida di dominio temporale. I primi passi della piccola Gertrude appartengono alla clausura domestica affi nché sia viva nella sua memoria volontaria la «vocazione impostale». La memoria involontaria, esplorata invece da Alfi eri, protagonista e insieme narratore di un’autobiografi a anche indiziaria, qual è appunto la Vita scritta da esso, sembra avere le medesime scansioni temporali, dalla «pubertà-puerizia» alla «adolescenza», di una sorta di romanzo di formazione44. Ma Gertrude, una volta che il padre ne ha scoperto la «tresca» con il paggio, è defi nitivamente esclusa dall’avventurosa consapevolezza di vedere esteso il proprio spazio vitale, come, all’opposto, succede all’Alfi eri fi nal- mente solo in carrozza verso Torino, in un viaggio fi nalmente rapido, con un ebbro senso di libertà45. Predestinata alla clausura, l’adolescente manzoniana è costretta alla umiliazione di uno spazio ingrato e angusto, di una camera simile alla futura cella claustrale ma priva dei suoi privilegi, che funziona «in maniera indiretta, ma chia- ra», per forzarla, complice la servitù, alla scelta di vivere da potente in monastero. L’orizzonte conventuale, violabile dalla pressione esterna, racchiude il compimento, l’istanza destinale di una femminilità alterata da «un padrone austero»46 che divorerà

(41) M. FOUCAULT, Sorvegliare e punire. Nascita contigua alla storia di un genere come il romanzo della prigione, trad. it., Torino, Einaudi, 1976. di formazione (che è anche l’oggetto di indagini (42) Cfr. G. ZARRI, Recinti. Donne, clausura, e notissime come quella, tra le altre, di Franco Mo- matrimonio nella prima età moderna, Bologna, il retti) rinvio alle sagaci pagine di G. DEBENEDETTI, Mulino, 2000. Vocazione di Vittorio Alfi eri, Roma, Editori Riuniti, (43) Per la sua attentissima rifl essione su medioe- 1977 (in particolare, pp. 51-109). vo e rifeudalizzazione seicentesca, nella cornice di (45) Cfr. G. GETTO, Il tempo e lo spazio nella una storia sociale delle élites e della connessa que- “Vita” di Alfi eri, in Tempo e spazio nella letteratura stione dell’onore, cfr. J.A. MARAVALL La cultura del italiana, Firenze, Sansoni, 1983, pp. 121-153. Barocco, trad. it., Bologna, il Mulino, 1985. (46) I Promessi Sposi, X, 320. Ma si veda, sulla (44) Sulla nozione di «romanzo familiare», bocca del principe padre, «il padre severo» (I Pro-

ultime 276 4-12-2006, 21:34:40 Il problema dell’autorità nei “Promessi sposi” 277

simbolicamente il suo giovane oggetto erotico, cui è impossibile sfuggire per una coazione a ripetere persecutoria. Non stupisce, a questo punto, l’implacabile violenza con cui il principe padre rivendica il primo ruolo di «direttore spirituale» nei confronti della fi glia. Un diretto- re spirituale tragicamente determinato a farsi tutore di una «dominazione» accusata, nella Morale cattolica, di pervertire l’autorità attribuita sulla base di un contratto, un patto familiare non scritto, libero e intimo, in apparenza, ma in realtà prono alla politica di controllo domestico, alla strategia di un’«ombrosa gelosia di comando», non meno immorale in un principe che in un padre. A fi ssarlo più da vicino, per ci- nica ironia, questo duplice ruolo, non è lontano, mentre dovrebbe esserlo, da quello che esercita il sovrano assoluto di un regno, sulla terra, in antitesi all’altro, il regno di Dio, da cui il legittimo re terreno avrebbe il compito di attingere il carisma esemplare dell’autentica «superiorità» sugli esseri umani. Ciò che dirige il principe padre, senza che ne possa fuggire a sua volta, è una «passione» sulla quale rifl ette il Manzoni della Morale cattolica, in una delle sue pa- gine più consapevoli, assorte, indignate, che sembrerebbe rivelare l’inquietudine già agostiniana per il potere delle «passioni» sull’azione umana. Ai confi ni dell’universo moderno, la memoria della Saint-Barthélemy, di quella «atrocissima notte», non lontana dalle tenebre orribili della Colonna infame, nell’inferno macabro e urlante di innocenti uccisi affi nché sia assicurata l’autorità esclusiva delle fede cattolica, do- vrebbe servire «a far proscrivere […] l’abuso del potere […] l’avidità della potenza che fa tutto tramare e tutto osare»47. Questo esercizio abusivo dell’autorità politica ed ecclesiastica, della sovranità legittima come sopraffazione «orribile», «stolta», «infame» – sono aggettivi manzoniani appartenenti alla stessa pagina – questa libido dominandi non si addice alla morale cristiana poiché la «passione» trasforma la liber- tà di scegliere in «servitù». A dirigere, invece, Federigo nell’umiltà e nella coerenza di un progetto di vita, in cui questa non sia «un peso per molti, e una festa per alcuni, ma per tutti un im- piego»48, è la convinzione secondo cui «non ci ha da esser giusta superiorità d’uomo sopra gli uomini, se non in loro servizio», principio che «nessuno il quale professi cri- stianesimo può negar con la bocca». Chi aveva «manifestato la risoluzione di dedicar- si al ministero ecclesiastico, a sedici anni, sicuro della religione cristiana fi n dalla pue- rizia, cominciò da fanciullo a pensare come potesse render la sua [vita] utile e santa», in antitesi all’esistenza monacale di Gertrude, ostile ad «abbracciar con propensione ciò che era stato imposto dalla prepotenza» per liberarsi dell’autorità tirannica di un «giogo», altrimenti privo del suo «peso» e delle sue «scosse», evangelicamente soave e leggero. Il ritratto del cardinale è fondato sull’autorità spesa «per insegnare la dot- trina cristiana ai più rozzi e derelitti del popolo e per visitare, servire, consolare e soc- correre gli infermi». Ma carità e primato si uniscono nell’oratoria larga, infi ammata

messi Sposi, X, 43). Il modello, a cui si richiamano della pur enfatica oratoria del cardinale che acco- le parole del principe, una volta che Gertrude gli glie l’innominato ritornato all’ovile («san Carlo non ha scritto per lettera il consenso alla clausura, è si sarebbe trovato nel caso di dibattere se dovesse lo stesso che risuonerà sulla bocca del Borromeo, ricevere un tal uomo: sarebbe andato a cercarlo», allorché questi addita il vescovo ideale nel buon Pr. Sp., XXIII, 27-28; «voi, dico, che avrei dovuto pastore della parabola evangelica (Mt., 18, 12-13) cercare», ivi, XXIII, 85-86; «lasciamo le novanta- sulla scia di Paolo (Rom., 12,8: «praeesse in solli- nove pecorelle […] sono in sicuro sul monte: io citudine»), ma con infl essione patristica (Gregorio voglio ora stare con quella ch’era smarrita», ivi, Magno parla, per il pastore d’anime, di «commisso XXIII, 161-162). gregi prodesse, non praeesse»). Invero, il principe (47) Morale cattolica, VII (Degli odii religiosi), padre capovolge l’appello alla «pecora smarrita» in p. 321. una mozione degli affetti sacrilega, in una parodia (48) I Promessi Sposi, XXII, 104-107.

ultime 277 4-12-2006, 21:34:40 278 Clara Leri

del vescovo49 rivolto al suo parroco, che avrebbe dovuto rammentare, nella minaccia subita, come alla fi ne sarebbe stato sempre pronto ad aiutarlo il suo superiore. Non toglie nulla alla problematica rigorosa di un’autorità pubblica, iniqua, oppressiva, il riconoscimento etico assoluto dell’autorità cardinalizia non solo di «giudicare» e di «correggere»50, ma anche di «riprendere» amorosamente l’inferiore, il parroco che ha mancato al proprio uffi cio, purché si metta in chiaro, come il Manzoni lascia fare al Borromeo, che l’autorità gli viene dall’obbligo vescovile di aiutare don Abbondio nell’adempimento del suo ministero. Ciò che prova don Abbondio all’ascoltare un simile monito si riduce a «un certo dispiacere di sé» che non gli permette di andare oltre una sorta di «compassione» nell’amore per il prossimo che l’autorità borromaica non solo insegna, ma testimonia. Don Abbondio, insomma, non conosce pentimento, sino a mostrarsi quasi sorpreso dall’autorevolezza benevolmente indagatrice del suo superiore, come da una «indi- screzione» che mette in crisi il sistema della reticenza sospettosa, il suo «sistema»51. Ma, nonostante la sua autorità sacerdotale si chiuda alla conversione, un silenzio non più «forzato e impaziente», bensì aperto a «un misto di tenerezza e di confusione» coglie il parroco all’epilogo della «predica» del cardinale. «Avrebbe pianto», come farà, convertendosi, l’innominato, avrebbe pianto «se non fosse stato il pensiero di don Rodrigo», anche il vecchio prete, che si mostra, intanto, «abbastanza commosso» da convincere il cardinale che «le sue parole non sono state senza effetto». Sembra quasi che i due ecclesiastici, «il povero prete» e «il santo», giungano se non alla com- prensione assoluta, almeno a un contatto, simile allo «stoppino che presentato alla fi amma d’una gran torcia, da principio fuma […] ma alla fi ne si accende, e bene, o male brucia». A differenza dell’innominato, don Abbondio non stabilisce una relazione dialo- gica con il cardinale poiché avanza silenziose riserve, obiezioni sostanziali, mimando un atteggiamento di insofferenza nei confronti di chi riconosce come un superiore troppo fi ducioso negli incontri che si possono fare percorrendo viottoli di campa- gna. Non c’è per il parroco neppure un momento in cui intuisca, come è accaduto, invece, all’innominato, nella senilità cardinalizia un segno di fraternità, di coscienza della «misera e terribile nostra condizione». Ma questo «povero prete» fronteggia infi ne l’eloquenza borromaica con un appello quasi accorato alla ragione terrena dell’«essersi trovato al punto», alla paura, si direbbe, da morire, che mette la sordi- na parodica all’aforisma di un moralista sottile come il Bartoli52. Ciò che trasforma una situazione senza sbocchi in una possibilità di incontro è lo sguardo dubbioso e candido che don Abbondio, attendendo la «grandine» dei rimproveri, alza verso il volto, «l’aspetto di quell’uomo», non più un «superiore», né tanto meno un «santo». Al prete «non riesce mai d’indovinare, né di capire» quando scruta la fi sionomia cardinalizia, nella sua mobilità, il suo «passare dalla gravità autorevole e correttrice»,

(49) Per la tonalità omiletica del Borromeo si Quanto all’accezione ora positiva, ora negativa di veda il precoce rinvio alla Morale cattolica, nella sua «sistema», dalla Morale cattolica ai Promessi Sposi, potente retorica sacra, di G. DE ROBERTIS, Primi cfr. E. DE ANGELIS, Qualcosa su Manzoni, Torino, studi manzoniani, Firenze, Le Monnier, 1949. Einaudi, 1975. (50) I Promessi Sposi, XXVI, 102. (52) Mi riferisco, ovviamente, all’Uomo al punto. (51) Così defi nisce Manzoni (I Promessi Sposi, Il più idiomatico personaggio dei Promessi Sposi, I, 367) la logica brianzola, avrebbe detto Gadda, Don Abbondio, ha una capacità discorsiva di tipo dell’«interesse pragmatico immediato», della sua carnevalesco, per dirla con Bachtin, nei confronti ragione non assolta ma storicamente chiarita da dell’altissima, eroica eloquenza di Federigo, sul cui Manzoni (per la citazione, cfr. C.E. GADDA, La modello già carolino, cfr. C. DELCORNO, Dal «sermo battaglia dei topi e delle rane, in Scritti dispersi, in modernus» alla retorica «borromea», in «Lettere Saggi giornali e favole cit., pp. 1162-1175: p. 1175. italiane», XXXIX (1987), pp. 465-483.

ultime 278 4-12-2006, 21:34:41 Il problema dell’autorità nei “Promessi sposi” 279

quella di un maestro, di un direttore spirituale pur non richiesto, persino sgradito, «a una gravità compunta e pensierosa»53. È un volto che ha in sé qualcosa di misterioso e di terribile per chi come don Abbondio non abbia fatto ricorso a un «consigliere», rifi utando «i pareri di Perpetua», perché non vuole saperne di «una miseria comune a tutti e di una misericordia di cui tutti abbiamo bisogno». Ma, a questo punto, occorre ascoltare ciò che suggerisce intorno alla direzione spirituale il controcanto rifl essivo della Morale cattolica: abbandonare le guide che Dio ci ha date, […] gettare in un canto il sale della terra, […] privarsi di un ajuto necessario perché vi ponno essere dei pericoli, […] non vedere che domi- natori e che intriganti fra tanti pastori zelanti disinteressati che tramano nel dare il consiglio, e che si riputerebbero stolti se volessero usurpare una autorità eccessiva che gli esporrebbe a un giudizio spaventoso; lungi da noi questi pensieri che ci condurrebbero a rendere in parte inutile il ministero istituito per noi54.

Federigo possiede questa autorità pacifi ca perché si fa prossimo all’interlocutore. È la sua umiltà ad abbattere nell’innominato l’ultima, silenziosa e ostinata, resistenza alla conversione. Ma diversamente da don Abbondio l’innominato non solo cerca un’autorità presagita, benché sconosciuta, nell’incontro con il cardinale. Vinto il dubbio, l’orgoglio castale, lo spavento, l’innominato può abbandonarsi all’abbraccio misericordioso di Dio che subito lo rincuora e lo rinfranca, lo inizia a una vita che era morta e ora è risorta alla fi ducia e alla speranza. Il cardinale e il prepotente convertito e redento possono così offrirsi alla tradizione orale della comunità cristiana come «due potestà, due canizie, due esperienze consumate» che non tradiscono, mentre lo interpretano, il ruolo di «servi buoni e fedeli», benché «inutili»55. Sul versante oppo- sto, il padre provinciale dei cappuccini con il conte zio recita il cerimoniale ambiguo di una sottomissione compiaciuta alla politica fraudolenta e mistifi catrice del «sopire, troncare»56. All’appello mancherebbero ancora «autorità» di primo piano, tra cui, in par- ticolare padre Cristoforo e Lucia. Il cappuccino è presente sulla scena dell’autorità almeno otto volte, quattro delle quali appartengono alla sua ardente oratoria cristia- na, alla ritualità, per esempio, di un matrimonio idealmente celebrato, nel lazzaretto, da Renzo e Lucia, sopravvissuti all’inferno della peste. E don Ferrante? È proprio «il testo più autorevole, più irrefragabile»57 della biblioteca secentesca di don Ferrante a macchiarsi di «legali, orribili, non interrotte carnifi cine» per più di un secolo. Delrio, «le cui veglie costaron la vita a più uomini che l’imprese di qualche conquistatore», convalida il pregiudizio secondo cui non vi sarebbe stata peste se non a causa «di veleni, di malíe, d’unti, di polveri»58. Don Ferrante difende gelosamente il proprio diritto di vivere tra i libri di una cultura così autorevole da garantirgli di resistere al di fuori della sovrintendenza domestica di donna Prassede, che ha sottomesso, in tutto e per tutto, chiunque abiti nella sua casa. Fuorché, appunto, don Ferrante, emblema

(53) I Promessi Sposi, XXVI, 97-99. Sulla rivela- pascolo di lupo e agnello, lo snodo consiste nella zione dell’altro attraverso «l’aria del volto», come citazione evangelica del «servo inutile», che ricor- direbbe il barocco Mascardi, l’empatia impossibile da, sulla bocca del cardinale, lo stile dei Sacri ragio- per Don Abbondio, si veda E. RAIMONDI, Il volto namenti di Federigo Borromeo (cfr. F. MOLINARI, I nelle parole [1988], Bologna, il Mulino, 2003 (in “Sacri ragionamenti” e i discorsi manzoniani di Fe- particolare la Premessa, pp.15-22). derigo Borromeo, in «Rivista di letteratura e storia (54) Morale cattolica, XVII, p.430. ecclesiastica», XII (1980), pp.29-54). (55) Dalla triade ironica, che evoca il colloquio (56) I Promessi Sposi, XIX, 147. tra il conte zio e il padre provinciale (I Promessi (57) Ivi, XXXII, 432-433 (ma cfr. anche XXVII, Sposi, XIX, 67) alla «mirabile coppia» del neofi ta 315-465). e del presule, biblicamente paragonabile all’unico (58) Ivi, 430.

ultime 279 4-12-2006, 21:34:41 280 Clara Leri

di un pericoloso «non comandare, non ubbidire», nella torre d’avorio della sua fi lo- sofi a peripatetica. Sottratto alla direzione materiale e spirituale della consorte, l’uomo dotto, «fi sso nelle sue idee», non sfugge però alla peste che negherà sino all’ultimo, quando la morte già alberga nella sua carne. È l’autorità della peste taciuta, della sua pretesa assenza che dice l’ultima parola perché, suggerisce malizioso il narratore, «non si può spiegare quanto sia grande», malgrado la realtà di un contagio sempre più diffuso, «l’autorità d’un dotto di professione, allorché vuol dimostrare agli altri le cose di cui tutti sono già persuasi»59.

CLARA LERI

(59) Ivi, XXXVII, 328-384.

ultime 280 4-12-2006, 21:34:41 Autorità, autore e personaggio in “Mansfi eld Park” 281 Autorità, autore e personaggio in “Mansfi eld Park”

1 - “Property” e “propriety”

«Non c’è segno esteriore di cortesia, che non abbia una profonda ragione morale. Educa- zione vera sarebbe quella che insieme fornisse l’uno e l’altra […] Esiste una cortesia del cuore, ed è imparentata all’amore. Nasce da essa la più spontanea cortesia del contegno esteriore»1.

Ai tempi in cui Jane Austen scriveva, i termini property e propriety avevano due signifi cati diversi: l’uno designava il possesso di ricchezze; l’altro l’appropriatezza di un contegno, il decoro, la dignità morale o la decenza. Ma non molto tempo prima i due termini indicavano la stessa cosa. Soltanto verso la fi ne del XVIII secolo il signifi - cato del termine propriety si era andato gradualmente allontanando dal designare la proprietà, spostandosi verso nozioni di correttezza di comportamento e illustrando la nuova importanza che veniva attribuita alle maniere esemplari dopo la rivoluzione francese. I due termini si erano separati ma erano diventati interdipendenti2. Per tutto il Settecento la stabilità sociale e i diritti di proprietà – il Treatise on Government di Locke è del 1690 – che avevano posto fi ne ai tempi burrascosi della guerra civile, non solo diventano inestricabilmente legati l’uno all’altro, ma fi niscono per venir considerati la stessa cosa. L’armonia sociale, dopo il grande compromesso del 1688, si era retta in larga parte sulle nuove strutture istituzionali, fra le quali ha un ruolo essenziale la nuova fi sionomia che la Chiesa d’Inghilterra era venuta assu- mendo, con le sfumature che differenziavano la High Church, di ispirazione Tory, e la Latitudinarian Church appoggiata, o composta in prevalenza, da Whigs. I rapporti fra religione e politica condizionano i legami fra religione e classe sociale, per cui l’appartenenza alla Chiesa Anglicana della media aristocrazia terriera (landed gentry) e delle classi medio alte delle professioni, di cui faceva parte la famiglia Austen, co- stituiscono un equilibrio essenziale per il mantenimento del consenso sociale in tutto il Settecento. Secondo un’opinione condivisibile, benché vagamente idealtipica, c’erano vari modi per persuadere le masse popolari a condividere i valori basati sulla legge della proprietà, e la forza non era certamente il più effi cace per mantenere quella compa- gine di autorità che si appoggiava principalmente sulla proprietà e ne proteggeva gli interessi3. Ciò che non si poteva più ottenere con lo scontro di poteri poteva invece essere indotto da un comportamento “paternalistico” delle classi terriere, dalla affa- bilità, dal decoro: la moralità e le buone maniere erano ugualmente necessarie per conferire all’ordine sociale le caratteristiche di spontaneità e naturalezza inerenti a

(1) J. W. GOETHE, Die Wahlverwandtschaften, senza affogare nel contesto. Il suo studio è, fra i trad. it. Giorgio Cusatelli, Milano, Garzanti, 1985, contributi abbastanza recenti, il più aperto a diver- pp. 180-181. se impostazioni critiche e al contempo sensibile e (2) T. TANNER, Jane Austen, Cambridge Mass., rispettoso del testo letterario. Ne ho tratto diversi Cambridge U.P., 1986. T. Tanner attribuisce la spunti. scoperta della falsa omonimia alle osservazioni di (3) Vedi G. KELLY, Religion and Politics, in The un suo studente. Si deve a Tony Tanner una bril- Cambridge Companion to Jane Austen, a cura di E. lante e profonda ricognizione dell’opera austeniana Copeland e J. McMaster, Cambridge, Cambridge che ne sottolinea gli aspetti storici e sociologici U.P., 1997.

ultime 281 4-12-2006, 21:34:41 282 Giuliana Ferreccio

quel migliore dei mondi possibili che il secolo prerivoluzionario aveva promosso in Inghilterra, basti pensare all’importanza delle diverse accezioni dello “stato di na- tura” e ai suoi complicati sviluppi settecenteschi e romantici. È indubbio che Jane Austen condividesse i valori della comunità così come Burke li aveva delineati nel suo confronto fra la gloriosa bloodless rivoluzione liberale inglese e quella francese violenta e sanguinosa. La “società” nel senso ottocentesco e moderno non esiste nei suoi romanzi se non nel signifi cato di socievolezza o compagnia. L’ordine sociale e la stabilità erano sì reali ma si stavano rivelando sempre più precari e insicuri a mano a mano che ci si avvicinava alla rivoluzione francese e alle sue conseguenze. L’ideale di un ordine sociale naturale e incrollabile, basato sul- l’autorità delle classi proprietarie benevole e la deferenza di una popolazione leale e fedele, diventò verso la fi ne del secolo sempre più illusorio, in particolare negli ultimi romanzi austeniani. Sappiamo poco sulle tendenze religiose di Jane Austen, ma è evi- dente sia dallo spazio che i suoi romanzi offrono alle varie forme di culto della “Sen- sibilità”, sia alla presenza nei romanzi più maturi di ecclesiastici ormai motivati da una reale vocazione spirituale, che i movimenti dissidenti interni all’Anglicanesimo, come l’Evangelismo, vengono da lei ormai considerati con minor disapprovazione. Senza mettere in dubbio la sua consonanza con un ordine sociale e religioso condi- viso e gerarchico, è evidente che Jane Austen sentisse l’importanza di una maggiore spiritualità e di una maggiore considerazione per il merito individuale, se si volevano evitare quelle rigidità che molti ritenevano i fattori scatenanti di sollevamenti politici e della stessa rivoluzione4. Stabilire la giusta relazione fra property e propriety nei suoi romanzi è dunque una questione sociale di vitale importanza. Non solo l’autrice credeva in quei valori ma si rendeva conto che quei valori dovevano essere messi in pratica se quel tipo di società voleva sopravvivere. I pericoli che vedeva erano tutti interni alla confi gura- zione sociale: si trattava di manchevolezze e negligenze da parte delle fi gure stesse che avrebbero dovuto essere responsabili di sostenere e rigenerare i principi su cui si basava l’ordine sociale. Le cattive maniere potevano essere sintomo di una malattia pericolosa che avrebbe potuto rovinare la società dall’interno, a causa di trascuratez- ze e trasgressioni che sarebbero risultate peggio della ghigliottina5. Tutti i suoi eroi autenticamente giusti e proper, hanno proprietà terriere, che ov- viamente rendono molto; mentre le eroine sono alla ricerca di un proprietario di ter- re, poiché di solito posseggono tutti i requisiti della propriety, ma sono, con un’unica eccezione, senza proprietà. Come ribadisce uno dei più famosi incipit della letteratura inglese: «It is a truth universally acknowledged, that a single man in possession of a good fortune, must be in want of a wife»6.

2 - L’autorità delle buone maniere e l’autorità paterna

L’autorità delle buone maniere non spetta comunque mai ai personaggi paterni. Nel migliore dei casi il padre è un arguto e piacevole interlocutore e estimatore del-

(4) La discussione sulle simpatie politiche di Ja- viene maggiormente presa di mira e considerata ne Austen ha una lunga tradizione e probabilmente distruttiva per la comunità. un’altrettanto promettente futuro. Vedi G. KELLY, (6) «È cosa nota e universalmente riconosciuta op.cit., p. 156 e T. TANNER, op. cit. che uno scapolo in possesso di un solido patrimo- (5) Le cattive maniere sono naturalmente appan- nio debba essere in cerca di moglie», Pride and naggio dell’avere senza l’essere; è l’autorità del de- Prejudice, trad. it. di I. Maranesi, Orgoglio e pregiu- naro, la ricchezza separata dalla responsabilità che dizio, Milano, Garzanti, 2002 (1975).

ultime 282 4-12-2006, 21:34:42 Autorità, autore e personaggio in “Mansfi eld Park” 283

l’eroina, ma del tutto ineffi cace dal punto di vista pratico, per esempio Mr. Bennet in Pride and Prejudice; nel peggiore, un ubriacone sfaccendato e sproloquiante, come il padre di Fanny Price in Mansfi eld Park, l’unico personaggio nell’opera austeniana al quale venga attribuita una lieve quanto censurata bestemmia: «by G…». Il principio di autorità legittima, la perfetta interazione di proprietà e decoro, raramente viene concentrato in un singolo personaggio, se si esclude Mr. Darcy, così come si rivela essere alla fi ne del romanzo, quando avrà superato il proprio orgoglio e i propri pregiudizi. Ma Pride and Prejudice (1813) è il romanzo più felice, nel quale la commedia prevale ad armonizzare i contrasti, nel quale l’amore di Elizabeth e Dar- cy si fonde perfettamente con il contratto al tempo stesso storico e sociale oltreché politico che unisce l’alta aristocrazia terriera, ricca e potente, alla borghesia critica e indipendente, in un reciproco, armonioso adattamento. All’inizio, l’autorità di Darcy si basa soltanto sul suo potere esteriore, la bellezza e la ricchezza, ma viene incrinata da suoi modi altezzosi e sprezzanti: Mr. Darcy soon drew the attention of the room by his fi ne, tall person, handsome features, noble mien; and the report which was in general circulation within fi ve minutes of his entrance, of his having ten thousand a year. The gentlemen pronounced him to be a fi ne fi gure of a man, the ladies declared him much handsomer than Mr. Bingley, and he was looked at with great admiration for about half of the evening, till his manners gave a disgust which turned the tide of his popularity; for he was discovered to be proud, to be above his company, and above being pleased; and not all of his large estate in Derbyshire could then save him from having a most forbidding, disagreeable countenance […] (i corsivi sono miei)7.

Il gioco di parole che unisce l’idea di bellezza e eleganza alla rendita – fi gure signifi ca sia fi gura che cifra e handsome in passato si riferiva sovente a somme di denaro – indica anche che qualcos’altro è necessario. Sarà la visita di Elizabeth alla sua grandiosa tenuta, a convincerla del suo valore interiore, di quella propriety che si percepisce nei rapporti che intercorrono fra il padrone e i sottomessi, giusto, amabile e cortese l’uno, fedeli, rispettosi e riconoscenti gli altri. Ma Pride and Prejudice, no- nostante il suo grande successo, sembra non soddisfare appieno la sua autrice che lo trova un po’ troppo «light and bright and sparkling»8 e decide nell’opera successiva di avventurarsi su un terreno sconosciuto e più accidentato. Il decoro raggiunto nella grande tenuta di Pemberley, quasi un regno arcadico, non aveva, neppure nel perfetto equilibrio morale ed estetico di Pride and Prejudice, eliminato le piccole crepe, le sfasature che rimangono aperte: per esempio, la fuga della sorella più giovane con il bell’uffi ciale sfaccendato e opportunista, cui nemmeno il matrimonio riparatore garantisce quella stabilità che la “pace recente” ha riportato in Inghilterra. E la storia parallela di Lydia e della sua propensione scriteriata per le divise, non solo lancia una nota di inquietudine sul gran fi nale in cui tutti si sposano, ma fornisce anche lo spunto d’apertura del romanzo seguente, Mansfi eld Park appun- to, ben più cupo e spinoso di Pride and Prejudice. Il fascino dell’uniforme nel roman- zo successivo sta infatti all’origine della vicenda o dei guai dell’eroina, Fanny Price.

(7) «[…] ma fu il suo amico, Mr. Darcy, ad attirare metà della serata, fi nché il suo comportamento non di colpo l’attenzione della sala col suo fi sico alto e si prestò a gravi critiche […] ci si accorse infatti che slanciato, i tratti perfetti, il nobile portamento; senza era un uomo altezzoso, che non si degnava di unirsi contare quello che si diceva di lui, e che era sulla bocca alla compagnia e al divertimento generale; e tutte le di tutti cinque minuti dopo il suo ingresso: aveva una sue vaste tenute nel Derbyshire non bastarono più a rendita di diecimila sterline l’anno. I signori in sala lo far dimenticare il suo carattere quanto mai odioso e defi nirono un bel tipo di uomo, le signore giunsero insopportabile […]», Orgoglio e pregiudizio, III, p. 6. a dichiarare che era molto più bello di Mr. Bingley; (8) «Leggero e luminoso e spumeggiante». insomma fu al centro dell’attenzione per la prima

ultime 283 4-12-2006, 21:34:42 284 Giuliana Ferreccio

Con Mansfi eld Park assistiamo a una svolta nella produzione austeniana, una svolta nel personaggio dell’eroina che comporta una svolta nella tecnica e nella strut- tura narrativa. Ci lasciamo alle spalle l’eroina che cambia, che corregge i propri errori, secondo il fi nale di Sense and Sensibility, «un’eroina che era nata per scoprire quanto fossero sbagliate le sue conclusioni». Pur essendo il punto di svolta della vicenda sempre centrato su un evento interiore, l’autrice abbandona lo schema del romanzo di formazione, da alcuni defi nito «a romance journey through error and suffering»9 per passare a una struttura più diffi cile da rendere in una forma narrativa vivace e gradevole: quella per cui le eroine sono nel giusto fi n dall’inizio. Tale svolta comporta anche un cambiamento nel rapporto fra property e pro- priety, due principi che iniziano a divaricarsi e si concentrano qui su due personaggi diversi e complementari, l’eroina virtuosa, cui manca non solo la proprietà, ma anche la vivacità intellettuale, e la fi gura paterna autorevole, il cui paternalismo svela inade- guatezze e rigidità. Questo porta come conseguenza all’isolamento della protagonista rispetto alla comunità, nella quale l’equilibrio di property e propriety, proprietà e de- coro, buone maniere e moralità si fa sempre più precario.

3 - Mansfi eld Park

È un romanzo considerato fi no a poco tempo fa inferiore agli altri soprattutto per la piattezza del personaggio principale. Anche i lettori più favorevoli l’hanno spesso trovato un po’ troppo moralista, e critiche più severe non sono mancate. È sempre nel giusto e sempre virtuosa e quel che è peggio, alla moda di Pamela, la sua virtù viene ricompensata. Kingsley Amis l’aveva defi nita, nei roaring sixties, un mostro di «autocompiacimento e di orgoglio». Alcuni l’hanno defi nita una eroina cristiana nel solco della tradizione10. Mansfi eld Park è infatti il romanzo più anomalo e meno amato fra quelli austeniani. Il più profondo, secondo Tony Tanner, il più noioso secondo Virginia Woolf. Di recente, lo si è considerato il più sperimentale. Lo sperimentalismo comincia con la protagonista, Fanny Price. Precorritrice e antenata di tante altre eroine ed eroi ottocenteschi, orfani, trovatelli, o, per qualche ragione, privati del contatto con l’origine, parente stretta del tipo della governante, così centrale da Jane Eyre a The Turn of the Screw, Fanny ha dietro di sé un pedigree altrettanto nobile, quanto Pamela e Clarissa per fare un esempio, e si sa quanto Jane Austen ricavi dal dialogo epistolare che Richardson aveva inventato. Fanny è la parente povera che viene adottata dagli zii aristocratici, i Bertram di Mansfi eld Park, per un atto di carità nei confronti della madre, sorella di Lady Ber- tram. Come tante altre sorelle minori, la madre di Fanny aveva perso la testa per un militare squattrinato e senza arte né parte che le dona soltanto una numerosa famiglia destinata a sopravvivere al limite della decenza e della povertà. Accolta con condi- scendenza e indifferenza, mite e sottomessa, Fanny fi nisce, grazie alle sue doti morali,

(9) «Un viaggio spirituale “romantico” attraver- L. TRILLING, The Opposing Self, New York, Viking, so errori e sofferenze », G. KELLY, op. cit., p. 166 1955, trad. it. La letteratura e le idee, Torino, Ei- (trad. mia). naudi, 1962. Fra i fi losofi che hanno apprezzato il (10) L’interpretazione di L. Trilling nei lontani romanzo, oltre a G. Ryle, A. MACINTYRE in After anni cinquanta segna una prima svolta nella valu- Virtue. A Study in Moral Theory (1981), trad. it. tazione dell’opera fornendo lo spunto a T. Tanner Dopo la virtù, Milano, Feltrinelli, 1988, sottolinea per indagarne il carattere particolarmente cupo, ef- l’importanza della “virtù” nei romanzi austeniani. fetto probabilmente di un’inedita, pungente ironia.

ultime 284 4-12-2006, 21:34:42 Autorità, autore e personaggio in “Mansfi eld Park” 285

per conquistarsi stima e affetto e si rivela infi ne, sposando l’amato cugino Edmund, la vera anima e custode dei valori di Mansfi eld Park. Nella sua fabula, il romanzo segue il modello richardsoniano della virtù ricom- pensata, ma le virtù dell’eroina sono decisamente poco attraenti, tanto più se le con- frontiamo con quelle di Elizabeth Bennet, tutta vivacità, impulsività, prontezza di spirito, anticonformismo. Fanny invece è timida, silenziosa, riservata; la sua indole si rispecchia in una costituzione debole e malaticcia: le passeggiate la stancano, il ballo la sfi bra, deve essere aiutata per salire a cavallo, cogliere rose è un’impresa proibitiva; non suona alcuno strumento, non conversa, né gioca a carte. È totalmente passiva e anche la resistenza che oppone a iniziative che non condivide è sempre una resisten- za inattiva, le cui ragioni rimangono tacite o ignorate dagli altri personaggi. Eppure persevera nelle sue convinzioni, che non possiamo non condividere, né è mai colta da un dubbio circa la scelta di ciò che è giusto, anche se può succedere che sia quasi costretta, dalle circostanze, a comportarsi in modo diverso da come desidererebbe. Quasi, perché l’intreccio non permette mai che ciò accada. La sua perseveranza, la sua costanza e dirittura morale la portano a trionfare di tutti, tutti gli altri personaggi, che in un modo o nell’altro, l’avevano a turno ignorata o tiranneggiata. L’effervescen- za scintillante di Elizabeth viene qui trasferita sui personaggi negativi, Mary e Henry Crawford, gli intrusi cittadini e di mondo, coloro che, senza parere, costituiscono una seria minaccia per Mansfi eld Park e ciò che rappresenta. Non è facile tuttavia né per l’autrice né per il lettore prendere le distanze da tanto fascino e tanta arguzia, tanto più che si intuisce una profonda somiglianza fra l’autrice e la fi gura di Mary. La famiglia di Mansfi eld Park è composta da Sir Thomas Bertram, il capofamiglia, da Lady Bertram e dalla zia Norris, l’una perennemente indolente e seduta sul sofà, dedita all’unica attività di chiamare il cagnolino Pug o di farsi servire da Fanny, l’altra taccagna e intrigante, sempre pronta ad apparire attiva e sollecita approfi ttando degli sforzi degli altri. La vicenda prende avvio quando a Mansfi eld Park arrivano i ricchi e frivoli Mary e Henry Crawford. La prima, intenzionata a conquistare esclusivamente il primogenito, fi nirà per innamorarsi di Edmund, il cadetto votato alla carriera di ecclesiastico, cercando di dissuaderlo dal dedicarsi a una vita così noiosa. L’altro, farà la corte alle due sorelle, Maria e Julia e infi ne anche a Fanny, per poi far precipitare le sorti di tutti organizzando per ripicca una fuga amorosa con Maria, ormai sposata per convenienza a un ricco possidente. Gli eventi che snaturano l’esistenza monotona, ma decorosa di Mansfi eld Park, si sviluppano in assenza di Sir Thomas Bertram, l’au- torità paterna, che si allontana per buona parte del romanzo per accudire ai propri affari nelle Indie Occidentali11. Al suo ritorno, si ristabilisce un ordine solo apparente, che favorisce la corte del libertino apparentemente ravveduto nei confronti di Fanny. Fanny, da sempre segretamente innamorata del cugino Edmund e sostenitrice della sua vocazione, rifi uta inspiegabilmente la vantaggiosa proposta di matrimonio e viene rimandata nella sua vera famiglia perché si renda conto di quanto essenziali siano l’agio e le buone maniere di Mansfi eld Park per coltivare le abitudini morali a lei così care, la sua cortesia del cuore. Nessuno degli abitanti di Mansfi eld si rivela tuttavia all’altezza dei valori che la proprietà rappresenta. Il primogenito sperpera tutto e si ammala, Maria si disonora e perde le sue fortune fuggendo con Henry, Julia fugge con un altro insipido corteggiatore, Edmund si lascia irretire da Mary. Alla fi ne però il ritorno di Fanny e i ripensamenti di Edmund riportano le cose a posto.

(11) Le attività di Sir Thomas nelle Americhe, stura a prevedibili interpretazioni in chiave post- di cui il romanzo non dice nulla, hanno dato la coloniale.

ultime 285 4-12-2006, 21:34:42 286 Giuliana Ferreccio

Per capire le novità di questo romanzo rispetto agli altri di Jane Austen, occorre soffermarsi sui cosiddetti difetti del personaggio di Fanny, ciò che ci permette anche di individuare le debolezze di un’autorità paterna peraltro autorevole, ma priva del linguaggio del «vero sentimento e della sollecitudine».

4 - «Non del tutto a suo agio nel mondo»12

La monotona coerenza di Fanny ci fa capire che questa vicenda va letta tenendo conto di un fi lone romanzesco dal quale la tecnica narrativa austeniana sembra pren- dere largamente le distanze: gli antichi romances. Unica nella sua produzione, la storia di Fanny è chiaramente legata al tema fi abesco di Cenerentola (così ridicolizzato, per esempio in Emma). I suoi difetti, o quelli che possono parer tali dal punto di vista di un personaggio moderno, possono essere attribuiti alle qualità teleologiche che infor- mano i suoi tratti, e escludono con ciò qualsiasi apertura a una vivace ambiguità. D’al- tra parte, tale alacre passività permette al personaggio di comprendere, apprezzare e scoprire il valore morale dei principi che Mansfi eld Park rappresenta e che corrono il rischio di andar perduti per le manchevolezze di tutti coloro che ne detengono la pro- prietà. Lo schema teleologico o idealistico, di solito così lontano da romanzi costruiti su un impianto fortemente drammatico, non era stato estraneo ai primi tentativi giovanili della Austen, nei quali troviamo un parallelo, benché capovolto, della virtù di Fanny. La perfi da Lady Susan, protagonista dell’omonimo romanzo epistolare gio- vanile (Lady Susan, 1805), che l’autrice scarterà senza riutilizzarlo in seguito, è tanto coerentemente malvagia quanto Fanny è virtuosa. Lady Susan mostra sorprendenti affi nità con Mme De Merteuil delle Liaisons Dangereuses, benché non ci sia modo di sapere con certezza se Jane Austen avesse letto l’opera di Laclos, né mi risulta che esistano prove, al di là di fondate congetture, che rilevino le notevoli somiglianze13. Pur essendo ormai abituati a misurare la riuscita di un personaggio romanze- sco classico – sette-ottocentesco – sul realismo della motivazione, o sull’“effetto” di realtà, non c’è ragione di considerare la sopravvivenza di forme più antiche come un difetto di caratterizzazione anziché come un tentativo di correggere le aspettative del lettore, o meglio ancora, e da un altro punto di vista, come un’incidenza di generi letterari desueti all’interno dell’opera. Si sa che Jane Austen aveva sperimentato tale contaminazione di generi in Northanger Abbey (pubblicato postumo nel 1817), una geniale parodia del romanzo gotico nella quale l’autrice rivaluta, in realtà, la forza conoscitiva dell’immaginazione “romanzesca”. Di fronte alla polemica contrapposi- zione fra novel (il romanzo che tratta della realtà) e romance (la fi nzione inverosimile di avventure fantastiche), Jane Austen lascia interagire, in questa sua prima opera compiuta, l’un genere contro l’altro, in una contaminazione di verità e fi nzione che sfocerà nelle opere seguenti in una forma del tutto nuova di romanzo14. Nelle forme romanzesche antiche la credibilità del personaggio non dipendeva dalla familiarità del lettore con il mondo rappresentato bensì esattamente dal contra-

(12) Vedi T. TANNER, op. cit. un inquadramento teorico generale S. ZATTI, Epos, (13) Vedi Jane Austen’s Beginnings. The Juvenilia romance, novel: confl itto di codici e trasformazioni di and Lady Susan, a cura di J. D. Grey, Ann Arbor, “genere”, in Le immagini della critica, a cura di V. UMI Resaerch Press, 1989. Olivieri, Torino, Bollati Boringhieri, 2003, sulla cui (14) Molti hanno commentato l’originalità e l’im- lettura del romance non mi trovo del tutto d’accor- portanza di Northanger Abbey nell’opera comples- do. Vedi al proprosito W. STEPHENS, Tasso’s Helio- siva. Su questo punto, mi permetto di rimandare al dorus and the World of Romance in The Search for mio La passione dell’ironia. Saggio su Jane Austen, the Ancient Novel, a cura di J. Tatum, Baltimore, Torino, Tirrenia Stampatori, 1990. Vedi anche per Johns Hopkins U.P., 1994.

ultime 286 4-12-2006, 21:34:42 Autorità, autore e personaggio in “Mansfi eld Park” 287

rio, dal suo imparare a familiarizzarsi e a render concreta l’idea unifi cante dell’opera di fi nzione. Tendendo all’idea, i personaggi e gli ambienti erano ovviamente idealizza- ti, tutti costruiti attorno a un tratto essenziale o una virtù dominante, anziché su quali- tà contingenti15. Insistendo su tratti fondamentali, il romance fi nisce per produrre per- sonaggi con poche qualità ma eccezionalmente ingrandite, basti pensare alle novelle esemplari inserite nelle Canterbury Tales. Similmente a questi, Mansfi el Park, al di là della chiara dimensione storica e sociale, rappresenta un mondo a se stante, costituito da un universo di valori la cui forza essenziale sussiste ma, contrariamente al mondo dei romances, non può essere sostenuta da interventi esterni né, narrativamente, dalle interferenze della voce moraleggiante o pedagogica dell’autore. La fi ssità di Fanny è quindi il risultato di un problema morale che solo attraverso l’arte del romanzo può porsi: una misura correttiva estrema nei confronti dei personaggi brillanti che usur- pano, o rischiano di farlo, il controllo dell’autore sul personaggio16. Se Fanny stessa può essere considerata un personaggio piatto nell’insieme, la sua coscienza, vivace e variegata, non lo è. Se la paragoniamo a Elizabeth ancora una volta, ci accorgiamo che i monologhi narrati, a quest’ultima attribuiti, sono in fondo limitati e tutti concentrati nel momento dell’agnizione. Nel caso di Fanny invece essi rappresentano una di emozioni, prese di coscienza e scoperte, dall’ansietà alla gelosia all’invidia: tutti attori sul minuscolo palcoscenico della sua vita interiore, custodito dai suoi silenzi e sul quale le trame sotterranee della coscienza hanno spazio e agio per mettersi in scena. C’è un evidente contrasto fra la frenetica attività che circonda la recita di Lovers’ Vows, la famosa commedia lacrimevole e licenziosa messa in scena dall’allegra comitiva di Man- sfi eld in assenza di Sir Thomas, una godibile copertura e semiconsapevole spostamento dei desideri illeciti di ognuno, e la coscienza di Fanny, menzionata in quell’occorrenza nel centro medesimo dell’azione e del romanzo, vero palcoscenico sul quale il teatro nel teatro viene capovolto esibendo le reali motivazioni di ognuno. Quando la voce del nar- ratore ci avverte che le carenze di Mary Crawford sono dovute al suo essere all’altezza di forti sentimenti, ma non all’altezza di vagliarli di fronte alla propria coscienza17, l’autrice ci sta anche indicando la nuova direzione che intende seguire per innovare rispetto alla sua creatura più «leggera, brillante, spumeggiante». Ma c’è di più. Mettendo in evidenza i suoi umori fl uttuanti e esitanti, la coscienza di Fanny ci rivela per contrasto tutta la tirannia, la coercizione e la violenza che tra- spare sia nei comportamenti dei suoi parenti più attenti e protettivi, di chi essendole più vicino dovrebbe meglio comprenderne la sensibilità, sia nel fascino brillante e arguto della società cittadina mondana e frizzante rappresentata dai fratelli Crawford, senza che ci si debba aspettare gli interventi dell’autore per denunciarne le pecche.

5 - Lo sguardo interiore e l’interiorizzazione della norma

In tutta la sua rigida fermezza, la vitalità interiore di Fanny fa sì che il personag- gio si costruisca in prevalenza attraverso i moti della coscienza, una coscienza che

(15) T. PAVEL, Il romanzo alla ricerca di se stesso. personaggio ma, poiché non vuole intervenire con Un saggio di morfologia storica in Il romanzo, a cura la propria voce per attenuarlo, sceglie di affi darsi al di F. Moretti, Torino, Einaudi, 2002, vol. II, p. 43. discorso indiretto libero», T. PAVEL, op. cit., p. 56. (16) Nel romanzo successivo, Jane Austen sem- Una tendenza critica recente vede Jane Austen co- bra porre il potere autoriale al centro della vicenda me antesignana della scrittura post-modernista: ve- – in modo autorifl essivo – nella compulsione di di T. GOSHAL WALLACE, Jane Austen and Narrative Emma a combinar matrimoni. «Come Fielding, Authority, New York, St Martin’s Press, 1995. Jane Austen diffi da del punto di vista soggettivo del (17) MP, p. 59.

ultime 287 4-12-2006, 21:34:43 288 Giuliana Ferreccio

fi nisce per costituire non solo il punto di riferimento fi nale per la comunità in rovina, ma anche e soprattutto il punto focale e l’osservatorio costante e lucido dei compor- tamenti degli altri. La sua incapacità di agire, sia letterale che metaforica, diventa il segno esterno della sua mobilità interiore e della sua costante consapevolezza delle proprie motivazioni. Da questo punto di vista, Mansfi eld Park e la sua eroina sono, fra i romanzi e i personaggi austeniani, i più adatti a rappresentare quella svolta verso l’interiorità, l’inward turn, che prelude al romanzo psicologico moderno e alle varie forme moder- ne di rappresentazione della coscienza, e ne è considerato il tratto distintivo quando lo si intenda come un genere a se stante. Lungi dal risultare un difetto, la rigidità di Fanny può allora rivelarsi un mezzo effi cace per offrire alla sua autrice una libertà inedita per sperimentare nuovi modi di usare il “monologo narrato” o discorso indiretto libero, comunque lo si voglia defi nire, benché i due termini non siano proprio sinonimi. È ormai assodato che l’uso crescente e diffuso del monologo narrato rappresenta sia un mezzo che un sintomo dell’evoluzione del romanzo verso l’interiorità, ovvero verso la rappresentazione di stati di coscienza piuttosto che di azioni esteriori. È tuttavia sorprendente che alle sue prime apparizioni, in Goethe e Jane Austen, il discorso indiretto libero venga già usato con estrema maestria e correttezza. Ci si è sovente domandato come fosse pos- sibile che un uso così ricco e vario di tale tecnica appaia nei romanzi di Jane Austen, quando non esisteva prima di lei una tradizione su cui costruire se si eccettua la sua profonda conoscenza del genere epistolare di Richardson18. Coniando il termine “monologo narrato”, anziché il tradizionale “discorso indi- retto libero” Dorrit Cohn ha messo in evidenza le varie sfumature dei livelli non ver- bali della coscienza, che la narrazione tradizionale in terza persona può rappresentare attraverso oscillazioni che muovono fra i diversi punti di vista e le diverse angolazioni sia della mente autoriale che di quella fi gurale, ovvero del personaggio19. La padronanza austeniana nell’uso del discorso indiretto libero era già evidente nell’ironia del famoso brano d’apertura di Sense and Sensibility, nel quale la coppia dei Dashwood, che ereditano (secondo il dettato di una legge non molto condivisa dall’au- trice) la proprietà delle due eroine cadute in miseria, discutendo su quanto sia giusto con- cedere alle sorellastre diseredate, decidono infi ne di non lasciare loro nulla. In Mansfi eld Park tuttavia il monologo narrato assume valenze ulteriori rispet- to ai romanzi precedenti. Mentre prima tale tecnica di distanziamento aveva effetti prevalentemente ironici, qui acquista una grande varietà di sfumature, facendo sì che

(18) R. PASCAL, The Dual Voice, Manchester, (19) «Il monologo narrato traduce la maggior Manchester U.P., 1977, p. 34. R. Pascal ritiene che parte del pensiero fi gurale […] occupa una posizio- gli autori si ispirassero a un uso linguistico pratica- ne che sta a cavallo fra narrazione e dialogo riporta- to comunemente al tempo. Studi essenziali sull’uso to collegando le due situazioni. Come la narrazione del discorso indiretto libero in Jane Austen sono: psicologica, conserva la terza persona e il tempo G. HOUGH, Narration and Dialogue in Jane Austen, della narrazione; come il monologo riportato, «Critical Quarterly» XII, 1970, e N. PAGE, The riproduce il linguaggio mentale del personaggio» Language of Jane Austen, Oxford, Blackwell, 1972. D. COHN, Transparent Minds, Princeton, Princeton Il termine tedesco erlebte Rede aggiunge all’origi- U.P., 1978, p. 13 (trad. mia). D. Cohn utilizza la nale francese di stile indiretto libero la potenzialità defi nizione di F. Stanzel, “autoriale” e “fi gurale”, non discorsiva del linguaggio narrativo quando per indicare le due situazioni narrative tipiche del comunichi l’esperienza e non soltanto un’informa- racconto in terza persona. Vedi F. STANZEL, Narra- zione oggettiva. Mentre il termine francese descrive tivve Situations in the Novel, Bloomington, 1971. la caratteristica grammaticale del fenomeno, quello Preferisco qui far uso di “monologo narrato” an- tedesco insiste sulla portata psicologica. Molti critici ziché discorso indiretto libero, poiché il primo evi- sono d’accordo nel ritenere che tale tecnica pro- denzia il fl usso involontario di pensieri e sensazioni duca una fusione complessa di modi narratoriali e che distingue Fanny, nel suo linguaggio silente, da modi soggettivi. tutti gli altri personaggi.

ultime 288 4-12-2006, 21:34:43 Autorità, autore e personaggio in “Mansfi eld Park” 289

l’ironia venga sovente controbilanciata dalla “simpatia”. Mansfi eld Park dimostra così che, contrariamente a quanto comunemente si ritiene, l’ironia non è l’unico effetto del discorso indiretto libero, che può invece assumere un tono lirico o di sintonia verso il personaggio da cui la voce narrante prende le distanze. Il doppio effetto che si ottiene dalla divergenza o coincidenza delle prospettive di narratore e personaggio, o come alcuni l’hanno defi nita, la dual voice, può andare oltre l’effetto ironico, o meglio l’ironia può funzionare su piani diversi rispetto a quello usuale di mettere in evidenza i difetti o le idiosincrasie dei personaggi. In un romanzo come è questo, modellato su una struttura drammatica di im- pianto teatrale, di cui la recita centrale è rifl esso e mise en abîme, il distanziamento lirico di alcune situazioni interagisce in modo particolare con l’ironia drammatica, potenziandone la portata e ampliandone gli effetti. Il gioco di potere e di autorità che si instaura fra i personaggi assume una valenza che oltrepassa la pura individualità, aprendo a risonanze mitiche, seppur appena accennate, che contribuiscono a stabilire le implicazioni simboliche su cui si fonda la dimora dei Bertram, con i valori di coe- renza e stabilità che cerca di preservare.

6 - Il tema del cavallo20

Nella sua famosa lezione su Mansfi eld Park, Vladimir Nabokov defi nì il metodo di Jane Austen nel descrivere le reazioni di Fanny, «la mossa del cavallo». L’autore russo probabilmente pensava a una mossa degli scacchi in cui il cavallo può improv- visamente scartare in questa o quella direzione imprevista. Il punto sui cui Nabokov vuol attirare l’attenzione è l’inedita varietà di modi in cui la tecnica che in seguito fu defi nita monologo interiore, viene qui usata dall’autrice per avvicinarsi o prendere le distanze dalla rappresentazione dei propri sentimenti da parte di Fanny. Il cavallo tuttavia costituisce anche il primo tema del romanzo attorno al quale prende forma l’insediarsi incerto e doloroso della piccola protagonista nella sua nuova famiglia21. In un primo tempo, le gite a cavallo vengono collegate alle attenzioni affettuose e garbate che Edmund, unico in famiglia, rivolge alla giovane cugina. Fin dall’inizio, è infatti Edmund l’unico a capire le sue timidezze e ritrosie aiutandola a superarle e rendendola meno paurosa e angosciata nei rapporti con gli altri membri della fa- miglia. Questo frangente serve a differenziare la disposizione e l’indole morale di Edmund da quella degli altri. L’arrivo di Fanny a Mansfi el Park è affogato nelle lacrime della bambina di dieci anni che si vede strappata alla famiglia e non riesce a “comprendere appieno”, a dare il giusto valore al sensibile miglioramento che il cambiamento di situazione rappre- senta per lei: It required a longer time, however, than Mrs. Norris was inclined to allow, to reconcile Fanny to the novelty of Mansfi eld Park […] Her feelings were very acute, and too little under- stood to be properly attended to22.

(20) Ho sviluppato questo punto in Character I, ii, p. 11. D’ora in poi MP. «Occorse tuttavia un and Characters. The Problems of Fanny Price in Re- periodo di tempo più lungo di quello che Mrs. Nor- Drawing Austen: Picturesque Travels in Austenland, ris sembrava incline a concederle, per riconciliare a cura di B. Battaglia e D. Saglia, Napoli, Liguori, Fanny con la novità della vita a Mansfi eld Park […] 2004. La sua sensibilità era troppo acuta e troppo poco (21) V. NABOKOV, Jane Austen in Lezioni di lette- capita per esser presa in considerazione». Trad. it. ratura, Milano, Garzanti, 1982. S. Buffa di Castelferro, Milano, Garzanti, 1983. (22 )Mansfi eld Park, Oxford, Oxford U. P., 1998,

ultime 289 4-12-2006, 21:34:43 290 Giuliana Ferreccio

Al di là dello sradicamento e della novità, ciò che separa Fanny dagli altri è l’intensità del sentimento, una sensibilità troppo acuta, ferita inconsapevolmente dal comportamento bene intenzionato ma controproducente di tutti. La parte più ingrata tocca, come sempre a Mrs. Norris: Mrs. Norris had been talking to her the whole way from Northampton of her wonderful good fortune, and the extraordinary degree of gratitude and good behaviour which it ought to produce, and her consciousness of misery was therefore increased by the idea of its being a wicked thing for her not to be happy23.

Il personaggio di Mrs. Norris è reso in una tipica sovrapposizione di discor- so autoriale e fi gurale («her wonderful good fortune, and extraordinary degree of gratitude») che si tinge di sfumature sadiche quando viene messo in evidenza per contrasto da una voce decisamente autoriale che sottolinea la crudeltà inconsapevole del suo buon senso. Con il solito talento epigrammatico l’episodio vien così riassunto: «Nobody meant to be unkind, but nobody put themselves out of their way to secure her comfort»24. Non altrimenti possiamo defi nire gli atti di coercizione, persuasione, ricatto mo- rale, dolce violenza cui Fanny viene sottoposta, non tanto dai personaggi più rigoro- samente presi di mira dall’ironia, quanto da quelli, come Edmund, che fi n dall’inizio l’accolgono con maggior affetto e la «gentleness of an excellent nature». La gentilezza di Edmund si dimostra quando, privata del suo vecchio pony grigio, a Fanny viene a mancare il necessario esercizio fi sico, e nessuno si dà da fare per por rimedio: […] she was in danger of feeling the loss in her health as well as in her affections, for in spite of the acknowledged importance of her riding on horseback, no measures were taken for mounting her again25.

Al contrario di tutti gli altri, Edmund si fa avanti con forza ad affermare le ne- cessità della cugina con un imperativo lapidario: «Fanny must have a horse», «Fanny deve avere un cavallo», dimostrando così il suo affetto risoluto, inalterato, costante. Benché in un primo tempo si esprima in un discorso riportato, la sua asserzione viene poi ripetuta nella voce del narratore, un tono che gli attribuisce la forza di una verità universale. Qualche tempo dopo, tuttavia, arriva a Mansfi eld Park Mary Crawford. Il suo fascino spazza via la gentilezza e la cortesia del cuore di Edmund. Il fascino e la co- stanza danno il via a un confl itto sottile e persistente nel cuore di Edmund, facendo del difensore più fedele di Fanny il peggior persecutore, per quanto esteriormente cortese e ben intenzionato. Le seduzioni di Mary sono troppo potenti per l’ingenuità del futuro ecclesiastico, ma il lettore non può che seguirlo nella sua infatuazione, no- nostante la voce del narratore insinui alcuni lievi avvertimenti ironici:

(23) MP, I, ii, p. 10: «Durante il tragitto da Nor- di mancare di bontà verso di lei, ma nessuno si thampton a Mansfi eld, Mrs. Norris le aveva parlato sforzava di metterla a suo agio». incessantemente, della buona sorte toccatale e della (25) MP, I, ivi, p. 31: «Fanny rischiò di sentirne profonda gratitudine, della buona condotta di cui la mancanza, non solo affettivamente ma anche dal doveva dar prova: così alla coscienza della propria punto di vista della salute, poiché, nonostante in inadeguatezza si era aggiunta nella bambina la famiglia fosse accettato come un dato di fatto che convinzione di essere cattiva poiché non si sentiva l’esercizio dell’equitazione era necessario al suo felice». equilibrio fi sico, non vennero presi provvedimenti (24) MP, I, ii, p. 11: «Nessuno aveva l’intenzione per darle una nuova cavalcatura; […]».

ultime 290 4-12-2006, 21:34:43 Autorità, autore e personaggio in “Mansfi eld Park” 291

a young woman, pretty, lively, with a harp as elegant as herself; and both placed near a window, cut down to the ground, and opening on a little lawn, […] was enough to catch any man’s heart […]26.

Fanny dovrebbe avere un cavallo, ma Edmund sembra essersi dimenticato della sua energica dichiarazione di principio. Di conseguenza offre a Mary il cavallo di Fanny così che essa possa imparare a cavalcare, un’impresa che Mary porta subito a termine con maestria. Nel tema del cavallo si affi ancano le doppiezze sentimentali e mentali di Ed- mund e le prime espressioni del dibattito interiore di Fanny, le sue ansietà e i primi leggeri cenni di gelosia. Il dialogo è accantonato e il monologo narrato si fa molto più complesso, sia all’interno della coscienza dei due personaggi che nei riconoscimenti silenti delle reciproche inclinazioni. Fanny sa che il cugino non solo sta innamoran- dosi della persona sbagliata, ma fi nisce anche per tradire così la propria vocazione, che rappresenta all’interno del romanzo la perfetta coincidenza delle maniere este- riori e della dignità morale. I commenti autoriali sulle emozioni di Fanny diventano superfl ui, mentre il monologo narrato sposta gradualmente l’accento dalla narrazione autoriale alla narrazione fi gurale Fanny could not wonder that Edmund was at the parsonage every morning; […] neither could she wonder, that […] he should think it right to attend Mary Crawford home. […] she was a little surprised that he could spend so many hours with Miss Crawford […] and not see more of the sort of fault which he had already observed, and of which she was almost always reminded. […] whenever she was in her company27.

A sua volta, Edmund è intrappolato dalla forza paralizzante del suo desiderio misconosciuto. Il suo monologo narrato segue un crescendo non dissimile, per por- tare a una grandiosa denegazione freudiana nel suo rispondere a una domanda che nessuno tranne lui stesso si è sognato di porre: [Edmund was] led to encouraging the wish, and the offer of his own quiet mare for the purpose of her [Mary’s] fi rst attempts […] No pain, no injury, however, was designed by him to his cousin in this offer: she was not to lose a day’s excercise by it. The mare was only to be taken down to the parsonage half an hour before her ride were to begin […]28.

Ma subito le cavalcate di Fanny vengono dimenticate e Edmund stesso fi nisce per sbandare, come un cavallo imbizzarrito, in direzioni imprevedibili. Mentre tutti gli altri tengono Fanny in scarsa considerazione, Edmund che ne conosce il valore, sprofonda ora sempre più in una duplicità i cui effetti devastanti sono percepibili solo se colti dalla prospettiva della sua fedele e indifesa pupilla. Più

(26) MP, I, vii, p. 58: «Il quadro formato da una altri difetti simili a quelli che aveva già osservato, e giovane donna graziosa, vivace, seduta accanto ad che a lei venivano rammentati […] ogniqualvolta la un’arpa elegante quanto lei, sullo sfondo di una frequentava». Non sempre la traduzione riproduce porta fi nestra aperta su un piccolo prato dall’erbet- i corsivi, così essenziali nel testo. ta rasa, […] poteva ben irretire un cuore maschile (28) MP, I, vii, p. 59: [Edmund fu] «indotto a […]». incoraggiare [Mary] e a offrirle di fare i primi espe- (27) MP, I, vii, p. 59: «A Fanny non faceva me- rimenti con la mansueta giumenta di [Fanny…] raviglia che Edmund si recasse ogni mattina alla con questa proposta non intendeva fare alla cugina canonica; […] né le faceva meraviglia il fatto che nessuno sgarbo, nessuna offesa; Fanny non doveva […] il cugino trovasse opportuno riaccompagnare perdere un solo giorno di esercizio: bastava che la [Mary Crawford – e la sorella –] a casa loro […] cavalla fosse condotta alla Canonica mezz’ora pri- era alquanto sorpresa che egli riuscisse a trascorrere ma che lei iniziasse la sua solita passeggiata […]». tante ore con Miss Crawford senza scoprire in lei

ultime 291 4-12-2006, 21:34:44 292 Giuliana Ferreccio

intense si fanno le ambiguità più velocemente gli scarti improvvisi si affastellano nelle sue espressioni. Ormai il dialogo è stato soppiantato quasi del tutto da un monologo narrato che raggiunge picchi di intensa ironia. Per rincarare la dose, la debolezza e la lentezza dei movimenti di Fanny vengono crudelmente messi in risalto non solo da un resoconto oggettivo delle doti di prontezza fi sica di Mary – «Mary Crawford’s enjoyment of riding was such that she did not know how to leave off [….] Active and fearless, she seemed formed for a horse woman […]»29 – ma anche da un generale assenso sul suo essere dotata dalla natura stessa di vigore, energia e coraggio. Persino il vecchio cocchiere che non compare in prima persona in altri luoghi del romanzo, si unisce al coro di celebrazione delle abilità cavallerizze di Mary, ricordando a Fanny i suoi maldestri, timorosi inizi («how you did tremble […]» «come tremavi»). Il centro di attenzione si sposta da Edmund a Fanny, la quale ora osserva in disparte e da lontano i “divertimenti” equestri di Mary. È stata esclusa, come spesso accade, dalle atti- vità di svago comuni, e la sua esclusione affi na sia i suoi sentimenti sia la sua acuta percezione di ciò che sta accadendo. Descrivendo la scena, l’autrice ci introduce anche impercettibil- mente nella prospettiva di Fanny. Mentre lei inizia a osservare, dalla sua posizione protetta al riparo della grande residenza, la lieta comitiva che se la spassa nel parco, diventa sempre più diffi cile per noi distinguere fra la narrazione autoriale e lo sguardo geloso di Fanny. La differenza fra i due cugini sta esattamente, e ironicamente, nella passività naturale di lei, nella sua quieta e passiva accettazione e nel riconoscimento delle deformazioni della gelosia. Dall’incerto «she could not wonder», «non si meravigliava certo», passiamo al risoluto «she must not wonder», «non si doveva meravigliare», dove il monologo narrato è completamen- te assorbito dalla voce dell’autore. Allo stesso tempo, invece Edmund segue la via opposta: quando Mary si scusa educatamente con Fanny per averle sottratto il cavallo e il divertimento, Edmund interviene, quasi a denegare il suo stesso disagio e, così facendo, rincara la dose sof- fermandosi senza necessità sulle carenze di Fanny: Edmund added his conviction that Mary “could be in no hurry”, then, adressing her, “For there is more than time enough for my cousin to ride, twice as far as she ever goes [….]” I wish you may be not fatigued by so much exercise30.

Se questo è il suo difensore, viene da domandarsi cosa possano fare i suoi de- trattori. Se, da un punto di vista grammaticale, sia i monologhi narrati di Fanny che quelli di Edmund possono essere descritti negli stessi termini come discorso indiretto libe- ro, da un punto di vista semantico essi sono contrassegnati da una differenza marcata. Mentre nel caso di Edmund, i monologhi riportano, con il suo modo di esprimersi, l’inconsapevolezza incerta e infastidita sui suoi propri motivi, nel caso di Fanny sono le forze che abitano e lacerano la sua coscienza a parlare direttamente; nell’un caso è il desiderio represso a cercare incongrue vie d’uscita, nell’altro, al confl itto viene data espressione, per quanto essa possa apparire rudimentale a un lettore abituato alle moderne sottili acrobazie del fl usso di coscienza. Gli effetti vanno in due direzioni opposte. Nel caso di Edmund, è chiaro l’effet- to ironico, che lo avvicina alle ripetizioni ossessive e martellanti di Mrs. Norris sulla

(29) MP, I, vii, p. 60: «Tanto era il piacere prova- parte sua, era convinto che Fanny non aveva alcuna to da Miss Crawford nel cavalcare che non avrebbe urgenza di riavere la cavalla. “Vi è tempo più che mai smesso. Attiva, senza paura, sembrava nata per suffi ciente perché mia cugina faccia una passeggiata l’equitazione [...]». anche doppia del solito [...] Spero che lei non si (30) MP, I, vii, p. 61: «Edmund aggiunse che, per senta stanca per il troppo esercizio”».

ultime 292 4-12-2006, 21:34:44 Autorità, autore e personaggio in “Mansfi eld Park” 293

«cara Mrs. Rushworth»; nel caso di Fanny, il linguaggio interiore, combinato alla grammatica della narrazione oggettiva, amplifi ca la nota emotiva e l’effetto è quello di un distanziamento simpatetico. La comprensione che ormai il lettore riserva a Fanny non ha evidentemente a che fare con il piacere empatico che producono la spigliatezza e le arguzie di Mary Crawford. Si tratta piuttosto di quella “simpatia” nel senso di “sentire con”, prodot- ta dai momenti di consapevolezza appena percettibili, da quei momenti di fl usso di coscienza che segnalano la tensione fra la voce dell’autore onnisciente e il pensiero silente di un personaggio troppo limitato per condurre la narrazione, ma troppo sot- tile come pietra di paragone per non fare da schermo rifl ettente, nella sua assoluta accettazione di tutto e di tutti, delle piccole ironie della vita. In tale prospettiva, si può ancora dare uno spazio nel quale si armonizzino property e propriety, le buone maniere e la cortesia del cuore.

7- La quiete

La fi ssità d’altronde comporta uno sforzo costante da parte del lettore. Ciò che Fanny suscita, pur concedendo alla sua vivace consapevolezza tutto il suo valore in- novativo, è raramente una immediata adesione al personaggio. È diffi cile immedesi- marsi in lei, non tanto perché un’eroina cristiana non sia convincente in un romanzo moderno, ma perché è estremamente diffi cile entrare in un personaggio totalmente virtuoso e senza difetti. E tuttavia, anche qui il personaggio ci rivela forti sorprese. Alienando le nostre simpatie più immediate, Fanny anticipa quell’effetto di strania- mento, così caratteristico del romanzo moderno: nel suo caso l’effetto straniante risulta dal contrasto fra il contesto realistico e contemporaneo e un personaggio vagamente fuori del tempo, tipico di un contesto marcatamente idealistico. Nel suo caso il prototipo fi abesco e mitico, lungi dall’arricchire la dinamicità del personaggio non può che portare a una prevalenza del carattere sull’azione; mentre nel caso della sua antagonista sono le azioni, e l’intraprendenza instancabile, a determinare il per- sonaggio. Si fi nisce per rammaricarsi che l’autrice abbia deciso di farne una specie di villain, soltanto perché la sua vivacità e il suo movimento risultano incompatibili con la essenziale immobilità di Mansfi eld Park. D’altronde è caratteristica dei suoi roman- zi maturi quella di collegare l’anticonformismo, la prontezza di spirito e l’impulsività al disgregarsi dell’equilibrio sociale. È una delle meraviglie del romanzo, sperimentale in questo senso, che il lettore sia costantemente attratto dall’esuberanza di Mary e del suo licenzioso fratello per essere poi costantemente ingannato e spiazzato da un testo che obbliga ad ammettere controvoglia il minor valore morale, e estetico insieme, dei personaggi più attraenti. Se alla fi ne, chi aveva ceduto al suo fascino riconosce in lei «a touch of evil», è con un’ulteriore contaminazione di romance gotico e romanzo realistico che l’autrice moltiplica le sfaccettature, aprendo a una visione antiromantica dell’eroe satanico, il ribelle tentatore che trascina in una malriposta “simpatia per il diavolo”. Vero è che Jane Austen vive nel pieno del periodo romantico, ostentando un convinto antiro- manticismo, probabilmente apparente, ribadito dalla divertita ironia nei confronti delle sottili bassezze dei suoi libertini. Se l’atmofera quietistica che si respira a Mansfi eld, vero e proprio archetipo morale della Country House inglese31, trova alla fi ne in Fanny la concretizzazione del

(31) Su questo punto è essenziale V. SACKVILLE WEST, English Country Houses, London, William Collins, 1941.

ultime 293 4-12-2006, 21:34:44 294 Giuliana Ferreccio

decoro narrativo, della perfetta interazione della parte con il tutto, anche le forze distruttive che vi si oppongono ne vengono intaccate. Come i poli opposti che si attraggono, Fanny suscita l’interesse del libertino che fi nisce per preferirla alle altre e corteggiarla, arrivando a esser lui stesso contagiato dal fascino del decoro, della passione sommessa e segreta della giovane esclusa. Henry Crawford, infatti, rappre- senta una versione più complessa dei fascinosi ma piatti Willoughby e Wickham, il cattivo (wicked) per eccellenza. La complessità narrativa del personaggio si rifl ette sul suo opposto, arricchendone le potenzialità e portando la fi gura tradizionalmente irrifl essiva del libertino (il Don Giovanni romantico non ha fortuna fi no a Byron) ad avvicinarsi a una sorta di autocoscienza. Il passaggio beninteso non avviene, ma lo spostamento di prospettive segnala i territori inesplorati verso cui l’autrice stava dirigendosi. Se i fratelli Crawford ribadi- scono quanta disonestà e egoismo si celino dietro un accattivante anticonformismo, la loro stessa attrazione inconsapevole per il decoro e la conservazione, per quanto ingannevole e momentanea, indica un’inedita equazione nell’universo austeniano. È vero che la ragionevolezza del sense ha fi n dall’inizio trovato la propria forma espres- siva nel nitore del suo classicismo, ma è anche vero che quando l’interiorità diventa punto di volta dell’intreccio, mal sopporta i limiti e gli equilibri dello stile neoclassico. La precisione del linguaggio in Sense and Sensibility è la differenza principale che distanzia la sensata Elinor dalla romantica Marianne. Le manchevolezze morali che circondano Fanny si manifestano sovente, come abbiamo visto, attraverso un uso improprio del linguaggio che viene messo in eviden- za sia dall’ironia drammatica, sia da alcuni episodi, in particolare quello centrale del teatro nel teatro, nel quale il recitare permette a ognuno di sconvolgere le regole della propriety in una sovversione carnevalesca che, cancellando i confi ni, rischia di com- promettere il ritorno alla normalità, fi nendo così per chiudere gli spazi sia dell’ironia che dell’interiorità. Che si tratti del linguaggio o di ciò che nell’accezione morale del tempo sarebbe stato defi nito come “dovere”, nella vicenda aleggia la presenza di una legge impersonale, alla quale Fanny soltanto resta fedele; si potrebbe defi nirla la sua vocazione, per osmosi con la vocazione incerta del cugino che Fanny sempre difende. Una vocazione che non ha nulla a che fare con una dimensione trascendente, ma molto a che fare con i suoi «acute feelings», il suo isolamento appartato, i suoi rapporti partecipi, seppur sporadici, con la natura, in breve con il suo romanticismo “antiromantico”32. Benché i suoi trasporti per la shrubbery siano un tratto distintivo che la differen- ziano dalle abitudini cittadine di Mary (Mary non riesce a capire perché i contadini non vogliano prestarle il loro carro per far venire da Londra la sua indispensabile arpa, motivando il rifi uto con la frivola scusa di doverlo usare per il raccolto), non c’è nulla in lei dello slancio romantico. Di un romanticismo particolare si tratta, che lascia prevalere nel personaggio l’io interiore a scapito dell’io sociale, conferendo al roman- zo un tono quietistico che punta a una forma di religiosità senza che vi sia alcunché di confessionale né nel romanzo, né nel personaggio. Il processo di secolarizzazione che sta alla base dell’invenzione dell’io romantico si presenta qui come precario equilibrio nel quale l’io si forma e si mantiene grazie alla difesa dei suoi spazi contro gli intrusi,

(32) Vedi D. BARRETT Romanticismo e antiro- è particolarmente calzante per indicare la comples- manticismo nella narrativa femminile, in Storia sità dei rapporti di Jane Austen con il suo tempo. della civiltà letteraria inglese, a cura di F. Marenco, Vedi anche C. TUITE, Romantic Austen: Sexual Poli- Torino, Utet, 1996. Benché il termine coniato dalla tics and the Literary Canon, Cambridge, Cambridge Barrett si riferisca nel suo saggio ad altre questioni, U. P., 2002.

ultime 294 4-12-2006, 21:34:44 Autorità, autore e personaggio in “Mansfi eld Park” 295

e grazie alla salvaguardia di un ordine impersonale sulle cui regole il vivere comune si basa, sia che quest’ordine venga defi nito come religione, linguaggio, o natura. L’in- vasione e la violazione sono infatti temi portanti del romanzo, tanto più minacciosi perché meno evidenti, tanto più subdoli perché non espliciti e mai intenzionali, messi in opera nella convivialità di una gita, nell’organizzazione festosa di una recita, nella piacevolezza di un corteggiamento, nella forma di una sottile violenza verbale33. Le potenzialità tragiche della commedia austeniana stanno sempre in agguato dietro i gesti e gli oggetti più insignifi canti. Nel caso di Fanny Price, il “prezzo” che l’eroina deve pagare per mantenersi fedele alla propria essenza, può esser quello di una atarassia o di una totale rinuncia alla vita. La sua particolare sensibilità è stata paragonata a quella di Ottilie – entrambe le eroine sono dedite a silenzi e segretezza – nelle Affi nità Elettive che, come Mansfi eld Park, offre uno dei primi esempi di un uso raffi nato e esteso del monologo narrato. Confrontando i due romanzi, a pre- scindere dalle ovvie differenze, ci accorgiamo che esiste un rapporto stretto fra il monologo narrato e l’ironia drammatica prodotta nelle due vicende dall’azione di una forza ignorata da tutti i personaggi e nota invece all’autore e a chi legge. Dal punto di vista della struttura dell’intreccio, sia la forza dirompente delle “affi nità elettive” sia l’attaccamento, potenzialmente distruttivo, di Fanny per il cugino, la sua devozione costante e incrollabile, costituiscono il mito di partenza e lo sfondo essenziale che il lettore condivide con l’autore ma di cui tutti gli altri sono all’oscuro. Come Fanny, Ottilie è il personaggio immobile e silente attorno al quale tutto ruota. Nel romanzo goethiano gli effetti più espliciti dell’ironia drammatica, più che nei diversi perso- naggi, sono all’opera nel protagonista Edouard, le cui illusioni e i cui autoinganni, vengono presentati attraverso il monologo narrato, anziché negli interventi della voce autoriale. In Mansfi eld Park, la vocazione cui Fanny aderisce come se fosse natura- le, agisce come un destino facendo sì che i personaggi si comportino in modi che prima o dopo si rivelano palesemente inappropriati alle circostanze, o dicano cose che anticipano ciò che effettivamente avverrà, ma in modo ben diverso da ciò che si aspettavano34.

8 - Teatro, autorità e linguaggio

Il pensiero silente, d’altronde, è l’unica dimensione in cui possa muoversi un personaggio immobile e costituisce l’unica sua difesa contro gli attacchi verbali a cui è continuamente esposto. È il correlativo verbale della gelida e raminga stanza a est, la stanza tutta per sé, dove Fanny si ritira «after anything unpleasant below» e nella quale «the pains of tyranny, ridicule, and neglect» vengono fi ltrati e alleviati dal suo poter seguire un qualche fl usso di pensieri. Non c’è da sorprendersi se fra le stinte

(33) Il senso che Fanny attribuisce alla sacralità sosta sulle sfumature delle proprie motivazioni e dell’esperienza interiore, trova il necessario presup- intenzioni. Jane Austen sapeva come chiunque che posto nell’idea di una società naturale, benché non i sentimenti non sono mai puri, né le motivazioni necessariamente legata a una forma storica partico- cristalline. Ma, per quanto è possibile, ci si dovreb- lare. Il valore esemplare della dimora di Mansfi eld be render conto di quale sentimento o motivo sia ribadisce il fatto che Fanny non sia una adepta di preponderante», op. cit., p. 20 (trad. mia). Burke, più di quanto il perfi do Wickham di Pride (34) La nozione di ironia drammatica, nasce dal- and Prejudice non sia un adepto di Godwin, evi- la critica teatrale ma viene solitamente estesa alla tando allo stesso tempo il problema delle simpatie narrativa. Vedi per una defi nizione precisa M.H. politiche di Jane Austen, argomento di infi nito ABRAMS, A Glossary of Literary Terms, Fort Worth, contendere. Come sostiene T. Tanner: «Si è portati Harcourt Brace, 1999. a riconoscere quanto sia importante vigilare senza

ultime 295 4-12-2006, 21:34:45 296 Giuliana Ferreccio

cianfrusaglie dimenticate in quella che era stata la stanza dei giochi delle cugine, sia- no sopravvissute chincaglierie romantiche come «[…] three transparencies, made in a rage for transparencies, for the three lower panes of one window, where Tintern Abbey held its station between a cave in Italy, and a moonlight lake in Cumberland; […]»35. Lo spazio riservato a Fanny è infatti una stanzetta all’ultimo piano abbandonata da tutti, senza legna nel camino, esposta ai venti dell’est. La stanza a est viene men- zionata nel momento in cui la pace solitaria, o la noia, a seconda dei punti di vista, di Mansfi eld Park vengono più gravemente minacciate. In assenza di Sir Thomas tutti fi niscono, con maggiore o minore entusiasmo, per partecipare all’iniziativa di mettere in scena un dramma alla moda, Lovers’ Vows, che si presta a rappresentare, nella fi nzione del teatro, i desideri nascosti e distorti di ognuno. Maria, fi danzata allo scialbo e ricco Mr. Rushworth, conta di trovare nella parte che impersonerà occasio- ni favorevoli per godersi i corteggiamenti ubiqui di Henry Crawford; la sorella Julia condivide la stessa segreta speranza; Mary Crawford, superiore a tutti gli altri per l’acume mondano che le permette di cogliere gli intrighi e i maneggi, può permettersi di dire la verità, sotto le mentite spoglie della fi nzione teatrale36. Nel periodo della recita, dimensione fi ttizia che sospende il ritmo naturale degli eventi, il linguaggio perde il suo potere di nominazione, nulla può più essere confermato o contraddetto; il teatro trasforma i protagonisti dilettanti in attori reali, sospendendo qualsiasi relazione stabile fra segni e signifi cati. Ciò è vero per tutto quel mondo, in ogni angolo della casa, diventata essa stessa letteralmente un palcoscenico (persino lo studio di Sir Thomas è stato utilizzato per una scena), eccetto che per la stanza a est, il luogo in cui i travestimenti perdono la loro capacità di nascondere. Quando torna al riparo della sua stanza Fanny può ritrovarsi, ricomporsi, e ricordare, mentre tutti gli altri nelle parti pubbliche della casa, hanno dimenticato se stessi nel- l’eccitamento e nello scompiglio, nella confusione portata dall’impersonare ruoli. La stanza a est è l’unica a venir descritta minutamente, e a lungo; il suo impiego in anni passati viene sottolineato, l’austera mancanza di qualsiasi comodità o agio rifl ette la severa, schiva semplicità di Fanny e chi vi entra deve venire a patti con la sua forza rifl ettente. La descrizione dello spazio raramente aveva avuto una funzione così autonoma nel romanzo austeniano, al di là di quella di essere utile, di scarsa rilevanza per l’azio- ne e generalmente di scarso impatto emotivo. C’è una forte ironia nei confronti dei cittadini Mary e Henry Crawford che vorrebbero, non solo migliorare, ristrutturan- doli, gli spazi, ma anche nell’idea che si possa abitare due luoghi così inconciliabili come Londra e Mansfi eld, così come, durante la recita pretenderebbero di poter stare sia dabbasso, ai piani nobili, sia in alto, nella stanza a est. La costruzione del sé

(35) MP, I, xvi, p. 137: «[…] tre trasparenti, che il motivo dell’impersonare è diventato ormai fatti quando i trasparenti erano stati di gran moda, una questione che l’affascina profondamente. Ro- dove Tintern Abbey faceva bella mostra di sé, fra mantica in questo senso sarebbe la sua avversione una grotta in Italia e un lago al chiaro di luna nel per il teatro e la teatralità della vita sociale. Tuttavia Cumberland; […]» (trad. mia). proprio in Mansfi eld Park si raggiungono livelli (36) L’evidente ostilità dell’autrice verso i thea- sublimi di contaminazione fra sincerità e teatralità. tricals in Mansfi eld Park ha sempre rappresentato Ne è un esempio il brillante fi nale dell’episodio un enigma. Jane Austen era affascinata dal teatro, della recita in cui il padre, tornando all’improvviso fi n da bambina recitava e organizzava lei stessa entra in “scena”, fra lo sgomento generale, pensan- recite private a Steventon, i suoi romanzi sono do di entrare nel suo studio. Vedi per un attento costruiti su veri e propri dialoghi teatrali. È vero esame dell’argomento, P. GAY, Jane Austen and the che in quest’opera l’autrice provoca il suo pubblico Theatre, Cambridge, Cambridge U.P., 2002. contraddicendone le aspettative, ma è anche vero

ultime 296 4-12-2006, 21:34:45 Autorità, autore e personaggio in “Mansfi eld Park” 297

interiore nella sua inviolabilità è tutto centrato sul fatto che Fanny è radicata sia nella natura che nel suo segreto spazio privato. La quiete di Fanny ha l’ulteriore funzione di mettere in risalto il movimento degli altri personaggi. È un motivo ricorrente nei romanzi austeniani quello che vede i suoi affascinanti reprobi spostarsi inaspettatamente da un luogo all’altro in faccende misteriose. Spostarsi implica sovente allontanarsi dalla propria consapevolezza nella futile illusione di poter controllare emozioni e motivazioni proprie o altrui. Il con- trasto fra quiete e movimento, permette all’autrice un uso particolarmente raffi nato dell’ironia drammatica nei confronti di personaggi che, muovendosi in maniera fre- netica e disinvolta, commettono una serie interminabile di errori, senza rendersene conto agiscono in modi evidentemente inadeguati alle circostanze effettive. Non c’è intenzione nella violenza verbale, solo trascuratezza nei loro rapporti reciproci, e nel- l’uso negligente del linguaggio, che nemmeno il decoro e le maniere più convenzio- nalmente giuste riescono a evitare, se non viene loro in aiuto la “cortesia del cuore”. I personaggi più vicini all’autrice, l’eroina brillante e il padre autorevole, sono le mag- giori vittime dell’ironia drammatica: pensando di manipolare con lo spirito sottile e l’arguzia mondana, Mary è a sua volta soggiogata dalle sue stesse arguzie; Sir Thomas è spossessato dall’esercizio del possesso e esautorato da un’autorità esercitata senza garbo del cuore, diventando a un certo punto l’intruso nella sua stessa casa.

9 - Il legislatore come violatore della legge

Gli abbagli di Sir Thomas sono accennati così lievemente da rappresentare l’esempio più sorprendente di ironia drammatica. Il suo comportamento, severo, equanime e infl essibile, ne fa sì l’autorità indiscussa di Mansfi eld, ma certamente non un padre amorevole. Non sono tuttavia le fi glie a metterne in evidenza le manchevo- lezze, bensì la nipote adottiva. Nel caso di Sir Thomas, le sfumature che il discorso indiretto libero offre al personaggio e che non vengono negate nemmeno ai tipi più ironizzati come la zia Norris, non compaiono. All’inizio del romanzo, la partenza di Sir Thomas per le Indie Occidentali getta le fi glie in uno stato pietoso, ci avverte l’autrice: «non per il loro dolore, ma per l’as- senza di ogni dolore». Sir Thomas è rispettato sempre, ma raramente amato: persino Fanny è piuttosto intimorita e impaurita che affezionata quando ha a che fare con lui e, in quest’occasione, si duole di non riuscire a sentire maggior affetto per una perso- na verso la quale nutre profonda reverenza e sincera gratitudine. A questo punto, si verifi ca una doppia “mossa del cavallo” che anticipa le future aperture nella coscienza di Fanny e che ci dà un primo esempio dell’uso duttile del monologo narrato di cui godremo più avanti. I suoi sentimenti vengono qui esplorati e messi in contrasto con la superfi cialità di quelle che spontaneamente avrebbero dovuto provarli. La sua su- periorità di sentimenti non deve tuttavia diventare assillante e l’autrice ce la presenta con una sottile oscillazione fra il distanziamento ironico e la resa “lirica” di un sen- timento troppo complesso perché la ragazzina lo possa formulare. Contrariamente alle cugine, il non sentirsi addolorata per la partenza dello zio provoca in Fanny un complicato e doloroso processo introspettivo, quello di «affl iggersi perché non riu- sciva ad affl iggersi». La mescolanza di simpatia e ironia che il monologo narrato comporta, viene bruscamente accantonata dall’intervento diretto di Sir Thomas che sottopone la sua sensibilità a una prova ben maggiore. Annunciandole di aver invitato a Mansfi eld il suo fratello più caro, separato da lei fi n da quando aveva lasciato la casa paterna,

ultime 297 4-12-2006, 21:34:45 298 Giuliana Ferreccio

aggiunge un commento distratto, forse inteso a stimolare l’adolescente a vincere le proprie ritrosie e timidezze. Non rendendosi conto dello stato d’animo della nipote, Sir Thomas le anticipa la probabile delusione che il fratello proverà nel constatare quanto miseri siano stati i suoi progressi durante tutto il tempo intercorso dalla loro separazione: «This was so thoughtful and kind!» – and would he only have smiled upon her and called her “my dear Fanny”, while he said it, every former frown or cold address might have been forgotten […], [ ma lo zio aveva aggiunto] «If William does come to Mansfi eld, I hope you may be able to convince him that the many years which have passed since you parted, have not been spent on your side entirely without improvement – though I fear he must fi nd his sister at sixteen in some respects too much like his sister at ten»37.

Non solo Fanny è addolorata di non provar dolore, ma i commenti bruschi dello zio la feriscono così intimamente da sprofondarla nel più nero sconforto. Umiliata, affl itta e piangente alla partenza del patrigno, viene per di più accusata di essere un’ipocrita dalle cugine gongolanti: «She cried bitterly over this refl ection when her uncle was gone; and her cousins, on seeing her with red eyes, set her down as a hypocrite»38. Appena a Fanny viene concessa una qualche attenzione, subito sopraggiunge la peggiore offesa morale, in particolare da parte di coloro che si mostrano meno indifferenti nei suoi confronti. C’è un tocco di persecuzione inconsapevole da parte delle fi gure che dovrebbero rappresentare per l’eroina la giusta protezione contro i soprusi, inevitabili, per chi è indifesa di fronte alle più invisibili forme di violenza, senza tuttavia che l’autrice si permetta un giudizio risentito o satirico nei confronti del persecutore, il più delle volte, bene intenzionato. Il padre adottivo costituirà in seguito una minaccia ancor maggiore per la pa- ce interiore della sua protetta. Sir Thomas, il legislatore e il difensore di Mansfi eld contro gli intrusi, può trasformarsi ironicamente in un intruso, il difensore della proprietà in un trasgressore della propriety. Quando Crawford gli chiede la mano di Fanny, lui la sottomette a uno straziante interrogatorio, forzandola a dire ciò che non può esser detto (il suo affetto segreto per il cugino) e irrompendo, metaforicamente e letteralmente, nell’intimità del suo spazio isolato e appartato, la stanza a est. Sir Thomas è furioso e sdegnato quando Fanny rifi uta una proposta così vantaggiosa senza una ragione plausibile, non sospettando altro che testardaggine e respingendo mentalmente come insensata la fuggevole sensazione che Fanny possa essersi innamo- rata di uno dei suoi fi gli. La sua indignazione la obbliga a mentire e a rendersi ingrata verso il suo benefattore, avvolgendo un affetto del tutto legittimo nell’aura oscura di un tabù violato. L’angoscia di Fanny è giustifi cata dalla sua incapacità di trovare una brillante via di uscita, ma viene amplifi cata nel testo dal richiamo a un momento precedente quando Sir Thomas, all’inizio della vicenda, valutando l’opportunità di accogliere in casa la nipote “superfl ua” di sua moglie, aveva temuto che i suoi ragazzi

(37) MP, I, iii, p. 29: «Com’era pieno di consi- parecchi aspetti, troverà la sorella sedicenne di oggi derazione e di bontà questo gesto dello zio! E se non molto diversa dalla sorellina di dieci anni che solo, mentre parlava, le avesse sorriso e le avesse ha lasciato tanto tempo fa». La traduzione omette detto “Cara Fanny”, tutti gli sguardi freddi, tutte le virgolette del monologo narrato iniziale. le severe osservazioni rivoltele in passato sarebbero (38) MP, ibid.: «Questa osservazione fece pian- stati dimenticati. […] Se William verrà a Mansfi eld, gere amaramente Fanny, dopo che lo zio fu partito; spero che riuscirai a dimostrargli che i molti anni e le cugine, vedendo che aveva gli occhi rossi, pen- della vostra separazione non sono passati inutil- sarono che era un’ipocrita». mente, senza renderti migliore; ma temo che, sotto

ultime 298 4-12-2006, 21:34:45 Autorità, autore e personaggio in “Mansfi eld Park” 299

potessero venirne attratti. Un’aura di trasgressione mitica sottostà allo scontro ver- bale squilibrato fra la nipote rispettosa e affezionata e il patrigno, a lei favorevole ma ottuso, che trattiene a stento il risentimento in una forma decorosa: l’interrogatorio è più che civile e il patrigno si dimostra comprensivo, ma la violenza verbale sta tutta nei presupposti inespressi che muovono le parole. Come in altre situazioni, l’arma di Fanny è il silenzio, ma i sottintesi lasciano trasparire la precarietà di tale difesa. Come Cordelia, Fanny «was always more inclined to silence when feeling most strongly»39. A questo punto della storia il suo segreto ha acquistato l’alone del tradimento la cui scoperta potrebbe dimostrarsi disastrosa, non solo per la vita di Fanny, ma per lo stesso equilibrio dell’intera famiglia. Il dialogo porta all’estremo la tensione di tutto il romanzo fra lo spazio della coscienza che garantisce la sacralità dell’esperienza interiore del singolo, e la sfera pubblica, rappresentata da Mansfi eld, da Londra, dal luogo d’origine di Fanny. Il tragico e l’ironia si alternano in questa scena memorabile, nella quale Sir Thomas, che era intervenuto in tempo per frenare l’impropriety della recita di principianti, diventa ora il miglior attore di un dramma reale, nel quale la posta in gioco è l’agone drammatico contro il silenzio che Fanny oppone all’artifi cialità del recitare ruoli. Il terrifi cante buon senso dell’incalzare di Sir Thomas è tanto più opprimente in quanto né la povera Fanny, né la voce narrante mettono mai in dubbio la sua legittimità. Avendo notato il fuoco spento nel camino della stanza gelida, Sir Thomas lo prende come un segno della giusta diversità di educazione riservata a Fanny rispetto a quella dei cugini; forse un po’ eccessiva, non in sé, ma alla luce della recente proposta vantaggiosa che potrebbe elevare Fanny a maggiori speranze: Though the principle was good in itself, […] I believe it has been carried too far […] and you will feel that they were not the least your friends who were educating and preparing you for that mediocrity of condition which seemed to be your lot40.

L’ironia è cupa e spietata perché non tocca l’individuo ma un ordine sociale nel suo insieme. Il padre assennato che aveva permesso alla fi glia di sposare l’insulso Mr. Rushworth può essere una delle cause meno evidenti ma più decisive per il crollo di Mansfi eld, per la sua impossibilità culturale di imparare «the language of true feeling and alarm». La passività di Fanny, in tutti i suoi molteplici aspetti, contribuisce a farne un personaggio anomalo nel canone austeniano, che si libra al di sopra delle faccende umane. Ma quella stessa passività è la pietra di paragone che fa risaltare le ricche sfumature degli altri personaggi, e apre alle nuove possibilità che il metodo narrativo dell’autrice va esplorando nei romanzi della maturità artistica. Gli abbagli emotivi e le motivazioni confuse portano spesso a sfi orare la tragedia; ma su questo l’autrice non transige e entra nel testo con la sua consueta vena epigrammatica per riaffermare la propria autorità:

Let other pens dwell on guilt and misery. GIULIANA FERRECCIO

(39) «[…] era sempre incline al silenzio quando ti renderai conto che non ti sono stati meno amici il sentimento era più potente» (trad. mia). quelli che, educandoti, ti hanno preparata per (40) MP, III, i, p. 283: «Il principio era buono quella condizione modesta che sembrava doverti in sé; ma poteva essere, e penso che lo sia stato, toccare in sorte». seguito troppo letteralmente nel tuo caso […] e

ultime 299 4-12-2006, 21:34:45 ultime 300 4-12-2006, 21:34:46 AUTORITÀ E POLITICA

ultime 301 4-12-2006, 21:34:46 ultime 302 4-12-2006, 21:34:46 Vincenzo Cuoco et Gian Domenico Romagnosi,lecteurs de Montesquieu 303 Vincenzo Cuoco et Gian Domenico Romagnosi, lecteurs de Montesquieu*

Dans l’une de ses contributions à l’étude de Cuoco et des origines de la tradition libérale modérée italienne, Fulvio Tessitore a observé, avec raison, que Rousseau – accepté ou contexté – est une des sources «méconnues» de la pensée politique de l’historien de Civitacampomarano (Molise)1. Une observation analogue peut être faite aussi, à notre avis, en ce qui concerne Montesquieu, dont l’infl uence a été jusqu’à nos jours l’objet de bien maigres recherches de la part des critiques, portés princi- palement – si ce n’est exclusivement – à rechercher chez Machiavel et, plus encore, chez Vico, les sources de la pensée de Cuoco2. Et cependant il suffi t de parcourir, ne serait-ce que très rapidement, les écrits de ce dernier pour y apercevoir des référen- ces, nombreuses, continuelles, explicites et implicites, à Montesquieu; des références qui, bien qu’imprécises parfois étant donné l’habitude de Cuoco de citer souvent de mémoire, témoignent non seulement de sa profonde connaissance des œuvres du Président (plus particulièrement de L’Esprit des Lois) et de la «fervente admiration» qu’il nourrit à son égard – comme l’a écrit Croce3 – mais justifi ent aussi, à notre avis, l’inclusion du philosophe de La Brède, à côté du Genevois, parmi les “sources” de Cuoco, même si, à n’en pas douter, il vient en seconde position après les sources italiennes, Machiavel, Vico, Galanti, Genovesi et Filangieri. Il ne faut cependant pas oublier le rôle d’intermédiaires (qu’il est toutefois diffi cile d’évaluer) que certains de ces auteurs peuvent avoir joué dans la détermination de l’infl uence de Montesquieu sur quelques aspects de la pensée de Cuoco: nous nous référons, évidemment, à Ge- novesi et à Filangieri qui, on le sait, connaissaient à fond les doctrines juridiques et politiques de Montesquieu et en avaient, en outre, réélaboré quelques-unes de ma- nière à certains égards originale4.

(*) Une première version de cet article a été pu- travaux et d’autres encore de Tessitore sur Cuoco, bliée dans D. FELICE, Modération et justice. Lectures cfr. G. OLDRINI, L’Ottocento fi losofi co napoletano de Montesquieu en Italie, Bologna, FuoriThema, nella letteratura dell’ultimo decennio, Napoli, Bi- 1995, pp. 55-83. – N.B.: les textes de Cuoco e Ro- bliopolis, 1986, pp. 44, 72-74 et 77-80. magnosi sont traduits par nous. (3) B. CROCE, Bibliografi a vichiana, augmentée (1) F. TESSITORE, Vincenzo Cuoco e le origini del et revue par F. Nicolini, Napoli, Ricciardi, 1947 liberalismo “moderato”, dans Storia della società (rééd.: Napoli, Morano, 1987), vol. I, p. 285. italiana, vol. XIII: L’Italia giacobina e napoleonica, (4) Sur les rapports entre Montesquieu et Ge- Milano, Teti, 1985, p. 363. novesi, cfr. en particulier E. DE MAS, Montesquieu, (2) Les nombreux travaux sur Cuoco de F. Tes- Genovesi e le edizioni italiane dello “Spirito delle sitore sont particulièrement signifi catifs à cet égard; leggi”, Firenze, Le Monnier, 1971; E. PII, Antonio nous nous limitons à rappeler, outre l’essai déjà Genovesi dalla politica economica alla «politica civi- cité: Lo storicismo di Vincenzo Cuoco, Napoli, Mo- le», Firenze, Olschki, 1984, pp. 76-84, 261-270; et rano, 19652; Vincenzo Cuoco tra illuminismo e sto- G. IMBRUGLIA, Due opposte letture napoletane dell’ ricismo (1970), dans Storicismo e pensiero politico, “Esprit des lois”, dans D. Felice (éd.), Montesquieu e Milano-Napoli, Ricciardi, 1974, pp. 3-40; Lo stori- i suoi interpreti, 2 tt., Pisa, Edizioni ETS, 2005, t. I., cismo, dans Storia delle idee politiche, economiche e pp. 191-210. Sur les rapports entre Montesquieu sociali, sous la direction de L. Firpo, vol. V: L’età et Filangieri, cfr. S. COTTA. Gaetano Filangieri e il della rivoluzione industriale, Torino, Utet, 1972, problema della legge, Torino, Giappichelli, 1954, pp. 47-54; Vincenzo Cuoco e il “catonismo politico” pp. 61-65, 104-124, passim; du même, Montesquieu degli italiani, «Nuova Antologia», n. 2089, 1975, et Filangieri. Notes sur la fortune de Montesquieu pp. 81-92; Momenti del vichismo giuridico-politico au XVIIIème siècle, dans «Revue internationale de nella cultura meridionale, Bollettino del Centro di philosophie», 1955, pp. 387-400; F. GENTILE, Il des- studi vichiani, VI, 1976, pp. 92-96 (réimpr. dans tino dell’uomo europeo: Montesquieu e Filangieri a Comprensione storica e cultura. Revisioni storicisti- confronto, dans Gaetano Filangieri e l’Illuminismo che, Napoli, Guida, 1979, pp. 33-38). Sur tous ces europeo (Atti del Convegno svoltosi a Vico Equen-

ultime 303 4-12-2006, 21:34:46 304 Domenico Felice

Il serait évidemment trop long de signaler et de commenter toutes les références à Montesquieu, explicites et implicites, ou les simples réminiscences de ses affi rma- tions et de ses doctrines que l’on peut repérer chez Cuoco; nous nous limiterons donc à en rappeler et à en examiner brièvement quelques-unes parmi les plus signi- fi catives, prenant en considération l’ensemble de la période la plus intense et la plus importante de l’activité intellectuelle de Cuoco, celle qui va des Frammenti di lettere a Vincenzio Russo (1799) aux écrits et à la correspondance du Decennio Francese de Naples (1806-1815). Dans les Frammenti – écrits, comme Cuoco l’affi rme en les présentant en ap- pendice à son Saggio storico della Rivoluzione Napoletana del 1799, «à l’occasion du projet de constitution napolitaine élaboré par Mario Pagano»5, c’est-à-dire entre mars et mai 1799 - Montesquieu est mentionné explicitement une seule fois à propos des raisons qu’il allègue dans L’Esprit des Lois (et que Cuoco juge «abstruses et frivoles»6) pour justifi er le fait que, dans la constitution crétoise, l’insurrection était prévue en cas d’abus de pouvoir de la part des autorités7. Les citations implicites et les réminiscences d’affi rmations et de thèmes typiques de Montesquieu n’en sont pas moins nombreuses dans l’ensemble des œuvres de Cuoco. Certaines d’entre elles ont déjà été signalées par Nino Cortese dans l’ex- cellente édition critique qu’il a donnée du Saggio storico (Firenze, Vallecchi, 1926). Ainsi, par exemple, le passage dans lequel Cuoco, dissertant sur le problème de la représentation politique, cite Algernon Sidney, à peu près dans les mêmes termes que Montesquieu: «Les députés de Hollande doivent, dit Sidney, rendre compte à leurs populations, parce qu’ils sont députés par des provinces, mais non les députés d’An- gleterre parce qu’ils sont députés par des bourgs»8; ou bien cet autre passage, capital pour la doctrine politique de Cuoco, dans lequel il affi rme: «Ces restes de coutumes et de gouvernement d’autres temps, qui se trouvent dans toute nation, sont précieux pour un sage législateur et doivent constituer la base de ses nouvelles institutions»9; remarque qui rappelle Montesquieu, dans L’Esprit des Lois: Il faut surtout que le sénat s’attache aux institutions anciennes, et fasse en sorte que le peuple et les magistrats ne s’en départent jamais. Il y a beaucoup à gagner, en fait de mœurs, à garder les coutumes anciennes […]. Les institutions anciennes sont donc ordinairement des corrections, et les nouvelles, des abus10.

On pourrait ajouter d’autres citations, tout aussi signifi catives, aux références implicites et aux réminiscences signalées par Cortese. Nous pensons, par exemple, à l’affi rmation, dérivant manifestement de Montesquieu, selon laquelle, dans un État de vaste extension et de population dense il faut avoir recours à des représentants, qui

se, 14-16 ottobre 1982), Napoli, Guida, 1991, pp. sant l’orthographe: Œuvres complètes, éd. établie 403-420; et L. VERRI, Legge, potere, diritto. Rifl essi et annotée par R. Caillois, 2 vols., Paris, Gallimard montesquieuiani nel pensiero di Gaetano Filangieri, («Bibliothèque de la Pléiade»), 1949-1951. dans D. Felice (éd.), Montesquieu e i suoi interpreti, (8) V. CUOCO, Frammenti di lettere, cit., p. 365; cit., pp. 357-375. MONTESQUIEU, Lois, XI, 6, al. 26: «Quand les dépu- (5) V. CUOCO, Frammenti di lettere dirette a Vin- tés, dit très bien M. Sidney [Discourses concerning cenzio Russo, dans Saggio storico sulla Rivoluzione Government (1698), t. III, p. 272-273 (dans l’édi- Napoletana del 1799, avec une introduction, des tion française de 1794)], représentent un corps notes et appendices par N. Cortese, Firenze, Val- de peuple comme en Hollande, ils doivent rendre lecchi, 1926, p. 357. compte à ceux qui les ont commis: c’est autre chose (6) Ivi, p. 394. lorsqu’ils sont députés par des bourgs, comme en (7) MONTESQUIEU, De l’Esprit des Lois (doré- Angleterre». navant: Lois), VIII, 7, al. 2. Nous citons toujours, (9) V. CUOCO, Frammenti di lettere, cit., p. 363. pour les autres ouvrages également et en moderni- (10) Lois, V, 7, al. 3, 4 et 5.

ultime 304 4-12-2006, 21:34:46 Vincenzo Cuoco et Gian Domenico Romagnosi,lecteurs de Montesquieu 305

ont la capacité de discuter des affaires, alors que le peuple ne l’a pas11; ou bien à cette autre, provenant elle aussi de Montesquieu, selon laquelle «les coutumes anciennes, le respect de la religion, les préjugés mêmes des peuples ont parfois le pouvoir d’ar- rêter les caprices des plus terribles despotes»12; ou, encore : «[…] la défense des lois c’est le peuple qui devrait la faire, mais le peuple ne comprend pas les lois et défend seulement ses opinions et ses mœurs»13, où l’on retrouve un écho de la conviction du Président: «[…] un peuple connaît, aime et défend toujours plus ses mœurs que ses lois»14; citons encore: «la vertu du citoyen n’est autre que la conformité de ses cou- tumes aux coutumes de la nation»15, qui signale − comme l’a également souligné F. Tessitore16 – l’infl uence de la défi nition que Montesquieu donne de la vertu chez les anciens Romains17. De même, on perçoit, à notre avis, une réminiscence de Montesquieu dans l’une des thèses des Frammenti, parmi les plus célèbres et les plus souvent citées: les constitutions doivent être «semblables aux vêtements: il est nécessaire que chaque individu, que chaque âge de chaque individu ait le sien propre: si vous voulez le donner à d’autres il ira mal» et, si une constitution n’a pas de succès, la faute en est au législateur qui n’a pas réussi à l’adapter au peuple auquel elle était destinée, de même que si une chaussure ne chausse pas bien le pied du client la faute en est au cordonnier18; réminiscence de Montesquieu ou, du moins, ce qui revient au même, du commentaire d’Antonio Genovesi («pas plus qu’on ne peut chausser à un homme la chaussure d’un autre») à ce célèbre passage de L’Esprit des Lois (I, 3, al. 8): […] les lois politiques et civiles […] doivent être tellement propres au peuple pour lequel elles sont faites, que c’est un très grand hasard si celles d’une nation peuvent convenir à une autre19.

(11) V. CUOCO, Frammenti di lettere, cit., p. 380: ou un père de tuer son fi ls: mais obliger ses sujets «Tant qu’on peut rassembler les populations la re- de boire du vin, il ne le peut pas»; Lois, II, 4, al. 7: présentation est superfl ue. Mais dès que les intérêts «Comme la mer, qui semble vouloir couvrir toute deviennent trop étendus et qu’il devient impossible de la terre, est arrêtée par les herbes et les moindres rassembler les populations, la représentation devient graviers qui se trouvent sur le rivage; ainsi les mo- nécessaire. Les affaires sont justement celles auxquelles narques, dont le pouvoir paraît sans bornes, s’arrê- le peuple n’est pas apte, et il vaut mieux les confi er à tent par les plus petits obstacles, et soumettent leur un congrès de sages»; MONTESQUIEU, Lois, XI, 6, al. 22: fi erté naturelle à la plainte et à la prière»; cfr. aussi «Comme, dans un État libre, tout homme qui est censé ibid., III, 10, al. 6; V, 14, al. 15; VIII, 10; XII, 29; avoir une âme libre doit être gouverné par lui-même, il XIX, 12; XXIV, 2, al. 1; XXVI, 2, al. 5. faudrait que le peuple en corps eût la puissance légis- (13) V. CUOCO, Frammenti di lettere, cit., p. 393. lative. Mais comme cela est impossible dans les grands (14) Lois, X, 11, al. 1. Cfr. aussi ibid., XIX, 14, al. 8. États, et est sujet à beaucoup d’inconvénients dans les (15) V. CUOCO, Frammenti di lettere, cit., p. 413. petits, il faut que le peuple fasse par ses représentants (16) F. TESSITORE, Lo storicismo di Vincenzo tout ce qu’il ne peut faire par lui-même»; al. 24: «Le Cuoco, cit., p. 84 et note n. 102. grand avantage des représentants, c’est qu’ils sont ca- (17) Considérations, I, al. 30: «Toujours exposés pables de discuter les affaires. Le peuple n’y est point aux plus affreuses vengeances, la constance et la du tout propre». Sur la notion de représentation chez valeur leur [aux Romains] devinrent nécessaires; Cuoco, cfr. P. VILLANI, L’ideologia e il pensiero politico et ces vertus ne purent être distinguées chez eux di Vincenzo Cuoco, dans Italia napoleonica, Napoli, de l’amour de soi-même, de sa famille, de sa patrie, Guida, 1978, pp. 20-26, et F. TESSITORE, Vincenzo Cuoco et de tout ce qu’il y a de plus cher parmi les hommes» e le origini, cit., pp. 344-345 et 354. (c’est nous qui soulignons). Mais cfr. aussi la défi ni- (12) V. CUOCO, Frammenti di lettere, cit., p. 392; tion que Montesquieu donne de la vertu politique MONTESQUIEU, Considérations sur les causes de la (Lois, IV, 5, al. 2): «On peut défi nir cette vertu [po- grandeur des Romains et de leur décadence [do- litique], l’amour des lois et de la patrie. Cet amour, rénavant: Considérations], XXII, al. 43: «C’est demandant une préférence continuelle de l’intérêt une erreur de croire qu’il y ait dans le monde une public au sien propre, donne toutes les vertus parti- autorité humaine à tous les égards despotique; il n’y culières; elles ne sont que cette préférence». en a jamais eu, et il n’y en aura jamais: le pouvoir le (18) V. CUOCO, Frammenti di lettere, cit., pp. plus immense est toujours borné par quelque coin. 358-359. Que le Grand Seigneur mette un nouvel impôt à (19) Lois, I, 3, al. 8; Spirito delle leggi del signore di Constantinople, un cri général lui fait d’abord trou- Montesquieu, avec les notes de l’abbé Antonio Geno- ver des limites qu’il n’avait pas connues. Un roi de vesi, Napoli, Terres, [1777], t. I, p. 98, note 5. Perse peut bien contraindre un fi ls de tuer son père,

ultime 305 4-12-2006, 21:34:47 306 Domenico Felice

On n’entend nullement ici sous-estimer l’infl uence de la philosophie de l’his- toire de Vico sur cette question, qui est l’un des points fondamentaux de la pensée politique de Cuoco – d’où découle, on le sait, la sévère condamnation du Progetto di costituzione de Pagano, considéré comme «trop français» et «trop peu napolitain»20, c’est-à-dire trop fi dèle à la constitution française de l’an III et trop peu conforme aux conditions particulières du royaume de Naples. On veut simplement avancer l’hypothèse que, derrière la similitude constitutions/vêtements chez Cuoco, il y a non seulement – comme on le pense d’ordinaire – la leçon historique de Vico, mais aussi, très probablement la leçon de relativisme de Montesquieu, une leçon dont Pagano lui-même et d’autres démocrates du Triennio Giacobino avaient déjà tenu compte – certes dans une moindre mesure et pour autant que le leur permettaient les conditions historiques particulières dans lesquelles ils agissaient21. A l’appui de cette hypothèse on peut, par ailleurs, alléguer aussi d’autres affi rmations des Frammenti ; par exemple, que la base d’une constitution «doit se fonder sur le caractère de la nation»22, où l’on perçoit l’écho du principe de Montesquieu: «Il y a dans chaque nation un esprit général, sur lequel la puissance même est fondée»23; ou bien cette autre assertion, en relation étroite avec la précédente qu’il y a «beaucoup de choses plus sacrées que la constitution même», c’est-à-dire les «mœurs», les «opinions», les «manières» d’un peuple, que le souverain, quel qu’il soit, doit respecter24, qui refl ète manifestement la thèse de Montesquieu de la supériorité des mœurs sur les lois25 et sa pressante exhortation aux législateurs de ne pas «changer», de «suivre» l’esprit général de la nation26. Venons-en au célèbre Saggio storico, dont la première édition parut en 1801 et fut assez vite traduit en allemand (1805) et en français (1807)27. Dans cet ouvrage, les citations explicites de Montesquieu sont au nombre de quatre, dont deux au moins méritent d’être rappelées ici, étant donné qu’elles témoignent de la haute considéra- tion que Cuoco nourrissait pour leur auteur. Cuoco soutient, en effet, que l’Europe

(20) V. CUOCO, Frammenti di lettere, cit., p. 361. Convegno internazionale di Napoli, 4-6 ottobre (21) Cfr. D.FELICE, Modération et justice, cit., 1984), éd. par A. Postigliola, Napoli, Liguori, 1987, pp. 37- 40. pp. 270-271. (22) V. CUOCO, Frammenti di lettere, cit., p. 393. (26) Lois, XIX, 5 (Combien il faut être attentif à (23) Considérations, XXII, al. 43. ne point changer l’esprit général d’une nation), al. (24) V. CUOCO, Frammenti di lettere, cit., p. 393. 4: «C’est au législateur à suivre l’esprit général de (25) Considérations, VIII, al. 7: «Il y a de mau- la nation, lorsqu’il n’est pas contraire aux princi- vais exemples qui sont pires que les crimes; et plus pes du gouvernement; car nous ne faisons rien d’États ont péri parce qu’on a violé les mœurs que de mieux que ce que nous faisons librement, en parce qu’on a violé les lois»; ibid., XXI, al. 17: suivant notre génie naturel». Cfr. aussi ibid., XIX, «[…] les mœurs […] règnent aussi impérieusement 6-16, et infra, notes nn. 41 et 51. que les lois»; Lois, XIX, 12, al. 2: «Les lois sont éta- (27) Historischer Versuch über die Revolution blies, les mœurs sont inspirées: celles-ci tiennent in Neapel, aus dem Italienischen übersetz von B. plus à l’esprit général, celles-la tiennent plus à une M.[ylius], 2 vols., Berlin, bei C. Quien, 1805; His- institution particulière: or il est aussi dangereux, et toire de la révolution de Naples, traduite de l’italien plus, de renverser l’esprit général, que de changer [par B. Barère] sur la seconde édition [1806], Paris, une institution particulière». Sur la thèse de Mon- chez Léopold Collin, 1807. Sur la première édition tesquieu quant à la supériorité des mœurs sur les du Saggio de Cuoco, cfr. F. TESSITORE, Il “Saggio lois, cfr. en particulier S. COTTA, Montesquieu e storico” dalla prima alla seconda edizione, dans Da la scienza della società, Torino, Ramella, 1953, p. Cuoco a De Sanctis. Studi sulla fi losofi a napoletana 323; L. ALTHUSSER, Montesquieu, la politique et del primo Ottocento, Napoli, Edizioni Scientifi che l’histoire, Paris, P.U.F., 19927, pp. 60-61; C. ROSSO, Italiane, 1988, pp. 179-199; sur l’infl uence du Sag- Montesquieu moraliste. Des lois au bonheur, Bor- gio en Allemagne, cfr. C. GHISALBERTI, Istituzioni deaux, Ducros, 1971, pp. 148-150; C. BORGHERO, e idee in Italia e in Germania tra due rivoluzioni Dal ‘génie’ all’‘esprit’. Fisico e morale nelle “Con- (1789-1848). Alle origini di due modelli statali, dans sidérations sur les Romains” di Montesquieu, dans Istituzioni e ideologie in Italia e in Germania tra due Storia e ragione. Le “Considérations sur les causes rivoluzioni, éd. par U. Corsini et R. Lill, Bologna, il de la grandeur des Romains et de leur décadence” di Mulino, 1987, p. 37. Montesquieu nel 250° della pubblicazione (Atti del

ultime 306 4-12-2006, 21:34:47 Vincenzo Cuoco et Gian Domenico Romagnosi,lecteurs de Montesquieu 307

n’aurait jamais pu «attendre son bonheur» d’hommes comme les révolutionnaires français (en l’occurrence les jacobins) qui avaient refusé les honneurs du Panthéon aux cendres de Montesquieu alors qu’ils les avaient accordés à celles de Marat28. Dans un autre passage, indiquant que «quiconque avait l’esprit plein des idées de Machia- vel, de Gravina, de Vico, ne pouvait ni croire aux promesses, ni applaudir aux actions des révolutionnaires de France, du moment qu’ils abandonnèrent l’idée de la monar- chie constitutionnelle», et il ajoute: «pareillement la vieille école de France, celle par exemple de Montesquieu, n’aurait jamais applaudi à la Révolution», dans la mesure où cette école «ressemblait à l’italienne, parce que toutes deux ressemblaient à la grecque et à la latine»29. Il faut noter surtout, outre la remarque pertinente que Mon- tesquieu n’aurait jamais approuvé un événement comme la Révolution, l’assimilation de la tradition de la pensée politique française – qu’il représentait – à la tradition italienne personnifi ée par Machiavel, Gravina et Vico, c’est-à-dire, précisément, la tradition dont Cuoco se réclame plus directement et qu’il réinterprète et présente à la lumière des événements exceptionnels et des problèmes de son époque30. D’autre part, on peut aussi relever dans le Saggio storico comme dans les Fram- menti, des réminiscences d’affi rmations et d’opinions de Montesquieu. On se repor- tera, par exemple, au jugement que Cuoco porte sur le ministre John Acton: «quand [cet homme] n’aurait pas eu le despotisme dans le cœur, il l’aurait eu dans la tête»31, qui reprend ad litteram celui du Président sur le cardinal de Richelieu32; ou encore à cette phrase de l’Avvertimento mis en tête du second volume de la première édition du Saggio et par la suite inséré dans la Prefazione à la deuxième édition (1806): «[…] il faut avoir la patience de lire l’ouvrage en entier et de ne pas le juger à partir de pas- sages isolés»33, écho fi dèle de ce qu’écrit le philosophe de La Brède dans la Préface de L’Esprit des Lois: «Je demande une grâce que je crains qu’on ne m’accorde pas: c’est […] d’approuver ou de condamner le livre entier, et non pas quelques phrases»34; ou bien encore cette affi rmation: «Je pourrais raconter bien des événements pour prouver ce que je dis; mais pourrait-on dire tout sans un mortel ennui?»35, qui calque Montesquieu disant, toujours dans la Préface: «Ces détails même, je ne les ai pas tous donnés; car, qui pourrait dire tout sans un mortel ennui?»36. Au cours des années qui suivirent la publication des Frammenti et du Saggio – qui produisit en Italie, comme l’a observé Croce37, les mêmes effets qu’avaient produits en Angleterre les Refl ections on the Revolution in France (1790) d’Edmund Burke – les citations explicites ou implicites et les réminiscences deviennent encore plus nombreuses; on les trouve surtout dans quelques articles et fragments d’articles de la période milanaise de Cuoco (1801-1806). Citons, par exemple, Il sistema poli- tico europeo al principio dell’Ottocento, où Montesquieu est mentionné jusqu’à trois fois38, ou bien Il diritto penale e le rivoluzioni, où il est mentionné deux fois39, ou

(28) V. CUOCO, Saggio storico, cit., p. 12. Cfr. (32) Lois, V, 10, al. 2. aussi, du même auteur, Scritti vari, 2 vols., éd. par (33) V. CUOCO, Saggio storico, cit., p. 6. N. Cortese et F. Nicolini, Bari, Laterza, 1924, vol. (34) Lois, «Préface», al. 2. I, pp. 105 et 151. (35) V. CUOCO, Saggio storico, cit., p. 135. (29) Ibid., pp. 52-53. Sur l’interprétation de la (36) Lois, «Préface», al. 7. Révolution française proposée par Cuoco, cfr., entre (37) Cité par N. Cortese, Introduzione à CUOCO, autres, F. DIAZ, L’incomprensione italiana della Rivo- Saggio storico, cit., p. X. luzione francese. Dagli inizi ai primi del Novecento, (38) V. CUOCO, [Il sistema politico europeo al Torino, Bollati Boringhieri, 1989, pp. 15-23, passim; principio dell’Ottocento] («Giornale italiano», 14 et D. LOSURDO, Vincenzo Cuoco, la révolution napo- janvier - 11 août 1804), dans Scritti vari, cit., vol. I, litaine de 1799 et l’étude comparée des révolutions, in pp. 14, 17 et 41. «Revue historique», 1989, pp. 133 et suiv. (39) V. CUOCO, [Il diritto penale e le rivoluzioni] (30) Cfr. P. VILLANI, L’ideologia, cit., p. 6. («Giornale italiano» 20-22 février 1804), dans (31) V. CUOCO, Saggio storico, cit., p. 61. Scritti vari, cit., vol. I, pp. 73 et 75.

ultime 307 4-12-2006, 21:34:47 308 Domenico Felice

encore les fragments d’un essai sur la Critique de la raison pure de Kant dans lesquels Cuoco rappelle la conclusion de la Préface au Temple de Gnide40. Citons encore, La costituzione della Repubblica settinsulare, qui tient manifestement compte du cha- pitre 21 du livre XIX de L’Esprit des Lois concernant les rapports très étroits qui doivent exister entre les lois (la constitution) et les mœurs d’un peuple41; ou, enfi n, La provvidenzialità della storia, dans lequel Cuoco, se rappelant très probablement un célèbre passage du chapitre XVIII des Considérations sur les Romains («Ce n’est pas la fortune qui domine le monde: on peut le demander aux Romains, qui eurent une suite continuelle de prospérités quand ils se gouvernèrent sur un certain plan, et une suite non interrompue de revers lorsqu’ils se conduisirent sur un autre»42), écrit dans les premières lignes: [qu’] un des plus beaux livres de Plutarque est celui qu’il nous a laissé sur la fortune des Romains et celle d’Alexandre. Injuste est le jugement qu’il porte sur ces premiers en attribuant toute leur grandeur à la fortune. Le hasard [Il caso], dit Montesquieu, ne dure pas huit siè- cles43.

Les citations explicites et les réminiscences des écrits de Montesquieu ne man- quent pas non plus dans les travaux postérieurs au séjour milanais de Cuoco. Ainsi, par exemple, le Rapporto al Murat pour la réforme de l’instruction dans le royaume de Naples (1809), qui donne une défi nition des lois («Que sont donc les lois? Ce sont les principes de la raison universelle appliqués aux circonstances particulières d’un peuple»44), dans laquelle on perçoit l’écho de la défi nition du chapitre 3 du livre I de L’Esprit des Lois («La loi, en général, est la raison humaine, en tant qu’elle gouverne tous les peuples de la terre; et les lois politiques et civiles de chaque nation ne doivent

(40) V. CUOCO, [Nuovi principi di ideologia. vingt millions d’hommes et de dix générations»; Frammento (A proposito della “Critica della ragion Montesquieu, Lois, XIX, 21 (Comment les lois pura” di Emanuele Kant)] (1803), dans Scritti doivent être relatives aux mœurs et aux manières): vari, cit., vol. I, p. 299: «Si nous avions le livre que «Il n’y a que des institutions singulières qui con- souhaitait Montesquieu, et qu’en douze pages fondent ainsi des choses naturellement séparées: les il contienne tout ce que les hommes savent en lois, les mœurs et les manières; mais quoiqu’elles matière de législation, de morale, de politique, les soient séparées, elles ne laissent pas d’avoir entre théories pourraient devenir plus populaires […]»; elles de grands rapports. On demanda à Solon si MONTESQUIEU, Préface du traducteur au Temple de les lois qu’il avait données aux Athéniens étaient Gnide, al. 9: «Il y a trente ans que je travaille à un les meilleures: “Je leur ai donné, répondit-il, les livre de douze pages, qui doit contenir tout ce que meilleures de celles qu’ils pouvaient souffrir”. nous savons sur la métaphysique, la politique et la Belle parole, qui devrait être entendue de tous les morale […]». législateurs». Nous avons ici une nouvelle preuve (41) V. CUOCO, La costituzione della Repubblica confi rmant l’hypothèse avancée plus haut. Sur la settinsulare («Giornale italiano», 15 février 1804), nécessité d’une conformité entre lois et mœurs, dans Scritti vari, cit., vol. I, p. 236: «La meilleure Cuoco insiste également dans son roman historico- [constitution] n’est pas toujours celle qui s’avère philosophique, Platone in Italia (1804-1806), éd. la meilleure grâce à des arguments abstraits, mais par F. Nicolini, Bari, Laterza, 19282, vol. I, p. 139 plutôt celle qui est la plus conforme aux mœurs des et vol. II, p. 164. peuples: à ces mœurs qui existent toujours avant la (42) Considérations, XVIII, al. 13. constitution; et, si elles lui sont conformes, elles la (43) V. CUOCO, [«La provvidenzialità della rendent stable et durable; si elles en diffèrent, elles storia»] («Giornale italiano», 26 janvier 1806), l’affaiblissent et la détruisent. Quand Solon disait: dans Scritti vari, cit., vol. I, p. 217. Montesquieu “J’ai voulu donner aux Athéniens non pas les est cité aussi dans Platone in Italia, cit., vol. II, p. meilleures parmi toutes les lois, mais les meilleures 148, et dans les Osservazioni sulla legislazione civile, de celles qu’ils pouvaient souffrir”, il ne voulait pas publiées pour la première fois par F. Tessitore en faire sa propre défense, mais fournir un précepte à appendice à Lo storicismo di Vincenzo Cuoco, cit., ceux qui, trois siècles plus tard en Grèce, et dans le p. 179. reste de l’Europe vingt siècles plus tard, devaient (44) V. CUOCO, [Rapporto al re Gioaccbino Mu- estimer une tentative facile tout changement poli- rat e Progetto di decreto per l’organizzazione della tique et une entreprise de tout repos celle d’établir pubblica istruzione] (1809), dans Scritti vari, cit., des lois, desquelles devait dépendre le bonheur de vol. II, p. 85.

ultime 308 4-12-2006, 21:34:48 Vincenzo Cuoco et Gian Domenico Romagnosi,lecteurs de Montesquieu 309

être que les cas particuliers où s’applique cette raison humaine»45); ou bien l’essai sur L’utilità delle scienze e specialmente della storia (1812), dans lequel le philosophe de La Brède est cité pour avoir fait «l’histoire des nations et des lois» et proposé comme modèle, avec Descartes, Galilée, Newton et Locke, «à ceux qui sont ivres de l’amour des systèmes»46. Les références les plus amples et les plus signifi catives se trouvent cependant dans deux écrits de la période milanaise, à savoir: l’article Gli scrittori politici italiani, paru le 24 décembre 1804, dans le «Giornale Italiano», dirigé par Cuoco lui-même, et surtout les fragments d’un Corso di legislazione comparata, un cours que Cuoco voulait peut-être tenir à Milan en 180547. Dans l’article de 1804, réimprimé cent ans plus tard par Croce dans La Critica48 et considéré par quelques spécialistes49 comme le point de départ de l’histoire des doctrines politiques dans notre pays, Cuoco rappelle, à un moment donné et avec une complaisance évidente, l’estime que Montesquieu avait pour Machiavel et pour Gravina, et l’infl uence que tous deux exercèrent sur sa pensée (exagération manifeste en ce qui concerne Gravina): Le premier qui, en Italie, défi nit exactement la nature de l’État et en examina les diverses parties, les droits et les obligations − écrit-il en effet − fut Gian Vincenzo Gravina […]: ce Gravina – ajoute-t-il – dont trois défi nitions [sic!] sont le fondement de l’Essai sur le Gouver- nement civil de Locke et de L’Esprit des Lois de Montesquieu, et dont trois paragraphes [sic!] contiennent presque entièrement le Contrat social. Montesquieu n’a témoigné à aucun autre Italien autant de reconnaissance qu’à Gravina et à Machiavel. Gravina a été peut-être le seul qu’il ait cité, Machiavel le seul qu’il ait loué50.

Dans les fragments d’un Corso di legislazione comparata, après avoir fait l’éloge des jurisconsultes romains pour leur capacité d’adapter le droit aux «coutumes tou- jours changeantes du peuple»51, et avoir souligné que connaître les «causes» et les

(45) Lois, I, 3, al. 11. où sa ‘présence’ est sans aucun doute plus large (46) V. CUOCO, [L’utilità delle scienze e special- – y est défi ni (VI, 5, al. 1) un «grand homme». Cfr. mente della storia] (1812), dans Scritti vari, cit., vol. aussi la lettre de Cuoco à G.B. Giovio du 7 mars II, p. 247. 1804, dans Scritti vari, cit., vol. II, p. 314. En ce qui (47) Cfr. F. NICOLINI, Nota à V. CUOCO, Scritti concerne l’infl uence de Gravina sur Montesquieu, vari, cit., vol. II, p. 406. cfr. en particulier R. SHACKLETON, Montesquieu. (48) B. CROCE, Un articolo dimenticato di A Critical Biography, Oxford, Oxford University Vincenzo Cuoco sugli scrittori politici italiani, La Press, 1961, pp. 255-256, 258, et la note n. 25 de Critica, 1904, pp. 337-341. Dans la Préface (p. 337) R. Derathé sur le livre I de L’Esprit des Lois, dans Croce défi nit l’article «une vigoureuse synthèse l’édition publiée par ses soins: Paris, Garnier, 1973 de l’histoire des doctrines politiques en Italie du (1990), t. I, pp. 412-423; en ce qui concerne l’in- Moyen-Age à la fi n du XIXème siècle». fl uence de Machiavel sur Montesquieu, cfr. infra, (49) R. DE MATTEI, Gli studi italiani di storia note n. 68. del pensiero politico. Saggio storico-bibliografi co, (51) V. CUOCO, [Programma di un “Corso di Bologna, Zuffi , 1951, pp. 8-9; C. CURCIO, Sulle legislazione comparata”. Frammento] (1805?), dans origini della storiografi a delle dottrine politiche, «Ri- Scritti vari, cit., vol. I, p. 326. Ici non plus, il ne faut vista internazionale di fi losofi a del diritto», 1959, pas exclure (à part celles de Vico) une réminiscence p. 515; W. MATURI, Appunti sul pensiero politico di de certains passages des Considérations (III, al. 6 Cavour, éd. par F. Talucchi, Torino, 1961, p. 28; S. et 7; XIII, al. 16 et 17; XV, al. 4), dans lesquels TESTONI BINETTI, «La storia delle dottrine politiche Montesquieu souligne l’infl uence de l’évolution in un dibattito ancora attuale». Il pensiero politico, des mœurs sur les changements de la constitution 1971, p. 306. politique de Rome; il ne faut pas exclure non plus (50) V. CUOCO, [Gli scrittori politici italiani] une réminiscence du livre XXVII de L’Esprit des («Giornale italiano», 24 décembre 1804), dans Lois, dans lequel Montesquieu met en évidence les Scritti vari, cit., vol. I, p. 128. Comme on sait, Gra- rapports entre l’évolution des lois romaines sur les vina est favorablement mentionné deux fois dans successions et l’évolution de la société romaine. L’Esprit des Lois (I, 3, al. 7 et 10), alors que Machia- Sur ces aspects de la pensée de Montesquieu, cfr. vel – qui n’est jamais cité dans les Considérations, R. SHACKLETON, Montesquieu, cit., pp. 320-324;

ultime 309 4-12-2006, 21:34:48 310 Domenico Felice

«effets» de la variété des lois est «ce qui s’appelle connaître l’esprit des lois»52, Cuoco écrit: Montesquieu a peut-être été le premier à considérer les lois sous cet aspect (l’esprit des lois, précisément) et son œuvre fera date dans la science de la législation. Elle serait toutefois parfaite si, à mon avis – continue-t-il –, ne lui faisaient défaut deux parties principales, dont la première est de ne pas avoir fi xé l’idéal des lois positives, la seconde que pendant qu’il recher- che les différentes causes et les différents effets des changements et des différences des lois, il recherche cela particulièrement, sans remonter à la nature même de l’esprit humain et de la so- ciété civile. Il s’ensuit que son livre manque, aux yeux de beaucoup de gens, d’un fondement de vérité absolue et n’est autre qu’un ensemble d’observations ingénieuses et sensées, un ensemble d’expériences sur les lois; et voilà qu’on serait presque tenté de répéter le jugement perspicace de Voltaire, qui disait non pas Esprit ‘des’ lois mais Esprit ‘sur’ les lois53. Il s’ensuit aussi qu’il manque, aux yeux d’un très grand nombre de gens, d’unité et d’ensemble, ce pour quoi on en vint à l’accuser de manquer de méthode, une accusation dont ne put même pas l’affranchir l’es- prit extrêmement méthodique de d’Alembert. Car, en effet, comment démontrer l’existence de la méthode dans un livre où manquent les idées générales, qui seules peuvent faire naître la méthode? Et enfi n Montesquieu, en considérant séparément chaque cause et chaque effet des lois, n’a pu éviter l’inconvénient d’attribuer une infl uence excessive à chacune des causes. Aucune d’elles n’est bien défi nie car si l’on sait comment chacune agit pour son compte, on ignore toujours de quelle manière le concours de toutes ces causes limite et modifi e la force de chacune. D’où les nombreuses disputes qui surgirent sur les principes de Montesquieu. Et en effet comment éviter les disputes si, en lisant l’Esprit des Lois vous ne pouvez éviter l’effet de sa lecture, qui fait que dans chaque livre il vous semble voir que telle cause, dont on traite dans tel livre, est la plus puissante? Lisez “climat” et tout vous semble climat. Lisez “population” et tout vous semble effet de la population, etc., etc.54.

Comme on le voit, bien que faisant l’éloge de L’Esprit des Lois (qui «fera date dans la science de la législation»), Cuoco le considère comme un ouvrage imparfait, et ceci pour deux raisons fondamentales (qui permettent aussi de comprendre, à son avis, les diverses accusations dont l’ouvrage fut l’objet au cours du XVIIIème siècle: manque de fondement de vérité absolue, manque de méthode, désordre et incohérence entre les parties, etc.). Ces deux raisons sont les suivantes: premièrement, Montesquieu a ignoré «l’idéal» des lois positives, c’est-à-dire le «droit naturel» ou «jurisprudence universelle»55; deuxième- ment, dans sa recherche des «diverses causes et des divers effets des changements et des différences des lois», il s’est borné à «les rechercher particulièrement», sans remonter «à la nature même de l’esprit humain et de la société civile». C’est, au contraire, ce qu’a fait Vico, auquel revient par conséquent le mérite, écrit Cuoco, d’avoir été – avec le De universi juris principio et fi ne uno (1720) et la Scienza nuova (1725) – «le premier, le vrai fondateur de la science de la législation»56.

S. COTTA, Montesquieu e la scienza della società, art. Esprit des Lois, et sa lettre au duc d’Uzès du cit., pp. 395-397; G. BENREKASSA, Le concentrique 14 septembre 1751 (édition Th. Besterman de la et l’excentrique: marges des Lumières, Paris, Payot, Correspondance, D 4569). 1980 (chapitre sur Philosophie du droit et histoire (54) V. CUOCO, Scritti vari, cit., vol. I, pp. 333- dans les livres XXVII et XXVIII de “L’Esprit des 334. Lois”, pp. 155-182); du même, Montesquieu. La (55) Ivi, pp. 332 et 336. Cfr. aussi Rapporto al re liberté et l’histoire, Paris, Librairie Générale Fran- Gioacchino Murat, dans Scritti vari, cit., vol. II, p. çaise, 1987, pp. 178 et suiv.; C. BORGHERO, Dal 86: «À la jurisprudence universelle, attendu qu’elle ‘génie’ all’‘esprit’, cit., p. 271. s’occupe de ce qui est juste, on a conféré il y a long- (52) Ivi, p. 333. temps le nom de “droit de la nature et des gens”». (53) Comme on sait, ce jugement n’est pas de (56) Ivi, pp. 334-335. Une thèse analogue semble Voltaire, mais de Mme Du Deffand; Voltaire le déjà ébauchée par Cuoco dans l’article Gli scrittori répète cependant quelquefois en l’approuvant: politici italiani, dans Scritti vari, cit., pp. 128-129. cfr., par exemple, ses Questions sur l’Encyclopédie,

ultime 310 4-12-2006, 21:34:49 Vincenzo Cuoco et Gian Domenico Romagnosi,lecteurs de Montesquieu 311

Primauté, donc, aussi bien chronologique que théorétique du philosophe na- politain sur Montesquieu, comme cela avait déjà été dit au cours du XVIIIème siècle et comme continueront à le répéter tout au long du XIXème siècle et dans la première moitié du XXème siècle de nombreux auteurs qui ne sont pas uniquement Italiens57. Il faut toutefois souligner, mise à part l’absence de fondement, désormais re- connue, d’une telle hypothèse interprétative58, qu’en la formulant Cuoco «n’accorde cependant aucun poids» – comme Croce l’a justement observé59 – à l’accusation de plagiat qui avait été relancée avec force, quelques années auparavant, par Francesco Lomonaco60. Au contraire, il reconnaît – comme on a déjà pu le voir – les mérites de Montesquieu (il a peut-être été le premier à traiter de l’esprit des lois et son ouvrage «fera date»), Montesquieu envers lequel, par ailleurs, Cuoco se déclare même ex- plicitement débiteur de l’une de ses maximes préférées («l’idée d’optimum est la mortelle ennemie du bien»61); et plus largement – comme le démontre, croyons-nous, la présente recherche – d’une large part de ce réalisme prudent et de cet esprit de modération qui le distinguent62.

Passons maintenant à Romagnosi, l’un des plus grands, si ce n’est le plus grand, des juristes italiens de la période qui va de la fi n du Triennio Giacobino (1796-1799) au Cours de droit constitutionnel (1835-1837) de Pellegrino Rossi; ce Romagnosi qui est aussi le père spirituel d’une portion non négligeable de la classe dirigeante du Risorgimento, de Ferrari à Cantù, de Cattaneo aux frères Sacchi63. Par rapport à Cuoco, les références explicites et implicites à Montesquieu ou les simples réminiscences de ses affi rmations et de ses doctrines, sont beaucoup plus nombreuses, et on les trouve un peu partout dans la production très vaste et décousue de cet auteur, particulièrement, comme il est naturel, dans ses écrits de caractère politique et juridique. Références et réminiscences qui, dans ce cas également, et même plus largement que chez Cuoco, attestent non seulement la profonde connaissance que le juriste de Salsomaggiore (Plaisance) a des œuvres du philosophe de La Brède, mais justifi ent l’inclusion de ce dernier (qu’il soit ac- cepté ou contexté) parmi les «sources» de sa pensée, même si, comme dans le cas de Cuoco, il est en seconde position par rapport à d’autres sources, comme (pour

(57) Cfr. à ce sujet la reconstruction contenue probablement Cuoco pense au passage suivant de dans la Bibliografi a vichiana (pp. 283-293), déjà la Préface de L’Esprit des Lois (al. 10): «On laisse citée, de CROCE et NICOLINI, eux aussi partisans, le mal, si l’on craint le pire; on laisse le bien, si on comme on le sait, de la primauté de Vico sur Mon- est en doute du mieux». La coïncidence presque tesquieu: cfr. D. FELICE, Modération et justice, cit., littérale de cette maxime (que Cuoco, on le sait, pp. 107 et suiv. répète à l’infi ni dans ses écrits) avec une pensée de (58) Cfr. à ce propos les mises au point défi nitives Montesquieu (publiée toutefois, pour la première faites par W. FOLKIERSKI, Montesquieu et Vico, dans fois, dans Pensées et fragments inédits, Bordeaux, Actes du Congrès Montesquieu, Bordeaux, Delmas, Gounouilhou, 1889-1901, n. 630): «Le mieux est 1956, pp. 127-140, et surtout par R. SHACKLETON, le mortel ennemi du bien», est de toute façon Montesquieu, cit., pp. 114-116, et par C. ROSSO, signifi cative. Montesquieu et Vico, dans Montesquieu moraliste, (62) Sur le réalisme prudent et sur l’esprit de cit., pp. 327-344. modération de Cuoco insistent, entre autres, M. (59) B. CROCE, Bibliografi a vichiana, cit., p. 285. PARIGI, Per una rilettura del “Saggio storico sulla Ri- (60) F. LOMONACO, Vite degli eccellenti italiani, voluzione Napoletana del 1799” di Vincenzo Cuoco, Italia [Milano], 1803, t. III, pp. 127-128. Sur cette Archivio storico italiano, 1977, pp. 223, 233 et 244; accusation de Lomonaco contre Montesquieu, cfr. P. VILLANI, L’ideologia, cit., passim; et F. TESSITORE, B. CROCE, Bibliografi a vichiana, cit., pp. 285-286 et Vincenzo Cuoco e le origini, cit., passim. 292. (63) Cfr. L. MANNORI, Uno Stato per Romagnosi, (61) V. CUOCO, [Viaggio in Molise] (1812), dans vol. I: Il progetto costituzionale, Milano, Giuffrè, Scritti vari, cit., vol. II, p. 201: «Voilà où conduit 1984, pp. 5 et 9, et E.A. ALBERTONI, Storia delle dot- une fausse idée d’optimum toujours, comme disait trine politiche in Italia. Saggio, Milano, Mondadori, Montesquieu, mortelle ennemie du bien». Très 1985, pp. 250, 252 et 254.

ultime 311 4-12-2006, 21:34:49 312 Domenico Felice

ce qui concerne le domaine juridique et politique exclusivement) Vico, Filangieri, Wolff et Leibniz. Il est évident qu’ici aussi nous nous limiterons à signaler et commenter les citations et les références les plus signifi catives, tenant compte avant tout des con- tributions les plus connues et les plus marquantes de Romagnosi, en particulier de l’Introduzione allo studio del diritto pubblico universale (1805), de Della costituzione di una monarchia nazionale rappresentativa (1815) et des Istituzioni di civile fi losofi a ossia di giurisprudenza teorica (composées en 1825 environ mais publiées seulement en 1839). À la différence de Cuoco, qui semble les ignorer complètement, Romagnosi mentionne parfois explicitement les Lettres Persanes: par exemple, dans l’opuscule Che cos’è la libertà? (1793), où il reproduit ad litteram la première partie (lettre XI) de la célèbre fable ou «parabole» des Troglodytes pour montrer «quelles sont les conséquences d’un état de liberté et d’égalité absolues et illimitées»64. Les Considérations sur les Romains, d’autre part, sont citées plus d’une fois et dans divers écrits, comme par exemple dans le Diritto naturale politico (1805 envi- ron), où Romagnosi mentionne favorablement cette affi rmation : «la tyrannie d’un prince ne met pas un État plus près de sa ruine que l’indifférence pour le bien com- mun n’y met une république»65, ou bien dans l’essai Della legislazione civile in rela- zione al perfezionamento umano (qu’on peut situer entre 1805 et 180866), dans lequel il refuse nettement le jugement de Montesquieu sur Tarquin67 et observe que «tout ce que [Montesquieu a dit] de bon et de remarquable [sur les causes de la grandeur des Romains] est tiré de Machiavel, qu’il a pillé de fond en comble, sans jamais le citer une seule fois»68. L’ouvrage de loin le plus cité et commenté est toutefois, comme dans le cas de Cuoco, L’Esprit des Lois, dont Romagnosi eut à sa disposition, au cours des huit an- nées décisives pour sa formation (1775-1782) passées au célèbre Collegio Alberoni de San Lazzaro de Plaisance, non seulement une édition en langue originale (et plus exactement celle portant l’ «imprint» Amsterdam, Chatelain, 1749), mais aussi la tra- duction italienne de 1773, éditée à Venise par Antonio Graziosi69. Sur le chef-d’œuvre de Montesquieu, Romagnosi formule un jugement d’ensem-

(64) G.D. ROMAGNOSI, Che cos’è la libertà, dans note 1. Comme nous l’avons déjà remarqué (cfr. Opere di Gian Domenico Romagnosi riordinate ed supra, note 50), Montesquieu ne mentionne jamais illustrate da Alessandro De Giorgi, 16 t. en 8 voll., Machiavel dans les Considérations bien que, sans Milano, Perelli e Mariani, 1841-1852, vol. IlI, t. l, aucun doute, il lui emprunte diverses conceptions, pp. 800-803. (Nous emploierons le sigle: EDG, surtout aux Discours sur la première décade de Tite- suivi du numéro du volume en chiffre romain et de Live; cfr. à cet égard, outre le célèbre livre de E. celui du tome en chiffre arabe). Sur cet opuscule de LEVI-MALVANO, Montesquieu e Machiavelli, Paris, Romagnosi, cfr. L. MANNORI, Uno Stato per Roma- Champion, 1912, pp. 59-96, A. BERTIÈRE, Montes- gnosi, cit., pp. 88-90. quieu, lecteur de Machiavel, dans Actes du Congrès (65) G.D. ROMAGNOSI, Diritto naturale politico, Montesquieu, cit., pp. 141-158; R. SHACKLETON, EDG, III, 2, pp. 862-863 et note n. 1; Montesquieu, Montesquieu and Machiavel: a Reappraisal, dans Considérations, IV, al. 6. Essays on Montesquieu and on the Enlightenment, (66) Cfr. R. GHIRINGHELLI, Idee, società ed istitu- ed. by D. Gilson and M. Smith, Oxford, The Vol- zioni nel ducato di Parma e Piacenza durante l’età il- taire Foudation at the Taylor Institution, 1988, pp. luministica (Studi Romagnosi, III), Milano, Giuffrè, 117-132; F. GENTILE, De Machiavel à Montesquieu, 1988, pp. 150 et 176, en note. «Notiziario culturale italiano», n. 1, 1970, pp. 1-13; (67) G.D. ROMAGNOSI, Della legislazione civile C. ROSSO, Montesquieu et Machiavel, en appendice in relazione al perfezionamento umano. Discorso à Montesquieu moraliste, cit., pp. 317-326; et H. inedito, EDG, II, 1, pp. 397-398, note n. 2; Montes- DREI, La vertu politique: Machiavel et Montesquieu, quieu, Considérations, I, al. 17 et 18. Paris, L’Harmattan, 1998. (68) Ivi, p. 402, note n. 1. Cfr. aussi Vedute fon- (69) Cfr. R. GHIRINGHELLI, Idee, società ed istitu- damentali sull’arte logica (1832), EDG, I, 1, p. 444, zioni, cit., p. 167.

ultime 312 4-12-2006, 21:34:49 Vincenzo Cuoco et Gian Domenico Romagnosi,lecteurs de Montesquieu 313

ble plutôt sévère: de Montesquieu – affi rme-t-il en effet dans un écrit qui remonte à son age mûr – il n’est resté auprès des générations suivantes que le mérite qui lui a été laissé par le Com- mentaire de Destutt de Tracy, et qui va s’atténuer de plus en plus. Il n’aurait pas été réduit en de telles bornes – continue-t-il – s’il avait écrit son livre avec des raisons et des faits déduits de l’étude de la vie des États; s’il avait bien compris les conditions essentielles de la vraie Politi- que; s’il avait reconnu la force progressive des temps de la civilisation (incivilimento) humaine; bref, s’il avait été bien instruit de la civile fi losofi a. Mais elle lui fi t défaut; en conséquence, si L’Esprit des Lois peut d’une part être considéré comme une tentative appréciable où brillent de nombreux traits particuliers pleins de perspicacité et surtout un style magique, en réalité il n’a d’autre part servi qu’à stimuler les recherches postérieures70.

En revanche, Romagnosi formule des jugements différenciés en ce qui concerne les doctrines et les affi rmations diverses contenues dans L’Esprit des Lois. Il en ac- cepte quelques-unes et les fait siennes, comme par exemple celles qui ont trait aux rapports entre grandeur des tributs et liberté71, aux effets néfastes de l’esclavage sur le maître et sur l’esclave72 et à la dureté à laquelle seraient également portés aussi bien les hommes extrêmement heureux que les hommes extrêmement malheureux73. Il en critique et en refuse tout à fait d’autres, plus nombreuses, comme par exemple celles qui ont trait au fondement de la liberté du citoyen74, au droit naturel75, au renonce-

(70) G.D. ROMAGNOSI, Ragguaglio dell’opera 1636: «L’esclavage ne corrompt pas seulement celui dell’abate F. Maria Franceschini intitolata: “Intro- qui sert, mais aussi celui qui commande. Abomina- duzione allo studio della legislazione dedotta dai bles sont les sentiments et funestes les passions et principii dell’ordine” (1829), EDG, III, 1, p. 818. les manières de vivre qu’il produit chez les maîtres Un jugement analogue est encore formulé par eux-mêmes. Ceci aussi est un fait constant, déjà Romagnosi dans son Articolo relativo alla quarta observé par le célèbre Montesquieu: “L’esclavage, edizione dell’opera di Alberto De Simoni intitolata: dit-il [Lois, XV, 1, al. 1], n’est utile ni au maître ni “Dei delitti considerati nel solo effetto e attentati” à l’esclave: à celui-ci, parce qu’il ne peut rien faire (1831), EDG, IV, 1, pp. 454-455. Comme on le sait, par vertu; à celui-là, parce qu’il contracte avec ses la fi losofi a civile, entendue comme «science systé- esclaves toutes sortes de mauvaises habitudes, qu’il matique de la chose publique, ayant pour but sa s’accoutume insensiblement à manquer à toutes les réalisation pratique» (E.A. ALBERTONI, La vita degli vertus morales, qu’il devient fi er, prompt, dur, co- Stati e l’incivilimento dei popoli nel pensiero politico lère, voluptueux, cruel”». Cfr. aussi ivi, p. 1641. di Gian Domenico Romagnosi, Milano, Giuffrè, (73) Ibid., p. 1781-1782: «“Les hommes extrê- 1979, p. 48), est l’axe autour duquel tournent toutes mement heureux (dit Montesquieu [Lois, VI, 9, al. les réfl exions de Romagnosi, comme il tient à le 7]), et les hommes extrêmement malheureux, sont souligner lui-même dans ses Lettere al signor Gian également portés à la dureté; témoin les moines et les Piero Vieusseux (1833), EDG, III, 1, pp. 499, 511- conquérants. Il n’y a que la médiocrité et le mélange 512 et passim. de la bonne et de la mauvaise fortune, qui donnent de (71) G.D. ROMAGNOSI, Della costituzione di una la douceur et de la pitié”. Il y a une grande vérité dans monarchia nazionale rappresentativa (La scienza ce passage». Cfr. aussi ivi, p. 1783. delle costituzioni), édition critique par G. Astuti, (74) G.D. ROMAGNOSI, Genesi del diritto penale introduction de F. Patetta, 2 voll., Roma, Reale Ac- (1791), Firenze, Piatti, 18443, p. 213: «Ce n’est pas cademia d’Italia, vol. II, p. 496: «Nous demandons tout à fait vrai que la liberté n’est fondée que sur la en premier lieu sous quel gouvernement un peuple pratique des connaissances des règles des jugements peut contribuer le plus aux dépenses de l’État. A cette criminels, comme l’affi rme Montesquieu [Lois, XII, question nous répondons avec le passage suivant de 2, al. 5 et 6]. Il y a quelque chose d’antérieur [les Montesquieu [Lois, XIII, 12, al. 1]: “Règle générale: lois naturelles], et de plus grande importance et on peut lever des tributs plus forts; à proportion de infl uence, sur quoi cette liberté même se fonde et la liberté des sujets; et l’on est forcé de les modérer à se mesure […]». Sur la doctrine pénale de Roma- mesure que la servitude augmente. Cela a toujours été, gnosi, cfr. surtout P. NUVOLONE, Delitto e pena nel et cela sera toujours. C’est une règle tirée de la nature, pensiero di Gian Domenico Romagnosi, dans Atti qui ne varie point; on la trouve par tous les pays, en del convegno di studi in onore di Gian Domenico Angleterre, en Hollande et dans tous les États où la Romagnosi nel bicentenario della nascita («Studi liberté va se dégradant, jusqu’en Turquie”». Cfr. aussi parmensi», 1961), pp. 173 et suiv. ivi, pp. 494 et 497. (75) G.D. ROMAGNOSI, Introduzione allo studio (72) G.D. ROMAGNOSI, Istituzioni di civile fi lo- del diritto pubblico universale, EDG, III, 1, pp. sofi a, ossia di giurisprudenza teorica, EDG, III, 2, p. 389-390: «Si Montesquieu [Lois, I, 2 et 3] et tant

ultime 313 4-12-2006, 21:34:50 314 Domenico Felice

ment des hommes à leur indépendance naturelle et à la communauté naturelle des biens pour vivre, respectivement, sous des lois politiques et sous des lois civiles76. Ro- magnosi ne manque pas, par ailleurs, d’établir une comparaison entre Vico et Mon- tesquieu et de conclure, comme Cuoco, bien que pour un domaine plus restreint, en faveur de Vico: Montesquieu a parfois tenté de deviner [sic!] la raison de quelque loi particulière ou de quelque institution romaine; mais personne, avant le napolitain Giambattista Vico, ne s’est jamais proposé de démontrer pourquoi chez les Romains, plutôt que chez d’autres peuples, la plus saine jurisprudence civile a dû naître et se développer à un si haut degré77.

Et encore: Montesquieu a dit que les testaments étaient chez les anciens Romains, spécialement dans les premiers temps de la république, des actes de droit public [L’Esprit des Lois, XXVII, al. 18]. Vico avait dit et publié la même chose avant lui et, ce qui est mieux, il en avait trouvé la raison, que Montesquieu n’a pas su deviner [sic!]. Voir les ouvrages De universi juris principio et fi ne uno, LXIII, et De constantia jurisprudentiae, Pars altera, De constantia philologiae, chap. XX, art. De testamentis78.

Parmi les autres doctrines de Montesquieu, que Romagnosi critique ou refuse, il y en a trois, par ailleurs toutes fondamentales, sur lesquelles il revient avec plus d’insistance tout au long de son œuvre, ce sont: a) la conception de la loi en tant que

d’autres écrivains, au lieu de confondre le jus pri- «En matière de droit public et des fondements de mitif (nativo) et originaire (originario) avec le jus la raison sociale [sic!], moi, lorsque je vois Montes- naturale proprement dit; si au lieu d’en fausser et quieu professer la fable du renoncement aux droits mutiler le concept, le limitant à un homme en état de l’indépendance naturelle, je suis forcé de l’asso- de solitude insociable, ils l’avaient représenté sous cier à la foule (vulgum) de ses contemporains, tout son véritable aspect, tel qu’est celui d’un ensemble en admirant en lui l’art de tout si bien dire». En de normes […] déterminées par les rapports réels ce qui concerne le renoncement à la communauté et nécessaires de la nature; si, sous cette idée éviden- naturelle des biens pour vivre sous des lois civiles te et universelle qui considère l’homme dans tous (Lois, XXVI, 15, al. 1), cfr. les paragraphes 338-342 les siècles et dans toutes les époques de la vie civile de l’Introduzione allo studio del diritto pubblico […], ils avaient perçu que le principe de la nécessité universale (EDG, III, 1, p. 322-329), dans lesquels de l’ordre naturel s’avère l’unique source et l’unique Romagnosi réfute non seulement Montesquieu, norme des lois de la raison de quelque ordre que ce mais aussi Mirabeau. soit, ils ne seraient peut être pas tombés dans ces (77) G.D. ROMAGNOSI, Della legislazione civile, erreurs et dans tant d’autres aussi. Mais, comme on EDG, II, 1, pp. 393-394. Cfr. aussi Dell’origine le voit, cette notion faisait défaut à Montesquieu; e dei progressi della civile giurisprudenza dedotta et il lui manquait donc le guide le plus important dal concorso delle cagioni che produssero lo svilup- pour découvrir le vrai, le juste et l’utile moral pamento morale e politico della repubblica romana et politique». Sur cette critique de Romagnosi à (1808), EDG, II, 1, p. 371. En ce qui concerne Montesquieu, cfr. les observations très pertinentes Montesquieu, Romagnosi se réfère de façon gé- de L. MANNORI, Uno Stato per Romagnosi, cit., pp. nérale au livre XXVII de L’Esprit des Lois, tandis 175-177, passim. qu’en ce qui concerne Vico il renvoie, en note, à: (76) Ivi, p. 387: «Affi rmer, comme le font De universi juris principio et fi ne uno, editio Nea- Montesquieu [Lois, XXVI, 15, al. 1] et beaucoup politana Felicis Musca, anno 1722, CLXXXIV, p. d’autres écrivains, que les hommes ont renoncé 152. Sur les rapports entre Romagnosi et Vico, cfr. à leur indépendance naturelle pour vivre sous surtout S. MORAVIA, Vichismo e “ideologie” nella des lois politiques, ourdir la fable de ce prétendu cultura italiana del primo Ottocento, dans Omag- renoncement […], est la même chose qu’affi rmer gio a Vico, Napoli, Morano, 1968, pp. 456-467; qu’un enfant renonce à son indépendance natu- du même, Introduzione à G.D. Romagnosi, Scritti relle pour vivre sous la tutelle d’une mère ou d’une fi losofi ci, 2 voll., Milano, Ceschina, 1974, vol. I, pp. nourrice qui le nourrit et l’aide à marcher […]. 43 et suiv.; L. MANNORI, Uno Stato per Romagnosi, Les philosophes qui se vantent de dicter des lois op. cit., vol. I, pp. 394 et suiv. pour gouverner les nations tombent-ils dans ces (78) G.D. ROMAGNOSI, Della legislazione civile, extravagances?» Cfr. aussi Della vita degli Stati. cit., p. 400, note n. 2. Prodromo (1820), EDG, III, 2, p. 1087, note n. 1:

ultime 314 4-12-2006, 21:34:50 Vincenzo Cuoco et Gian Domenico Romagnosi,lecteurs de Montesquieu 315

rapport, b) la théorie des formes de gouvernement, c) le principe de la séparation des pouvoirs. a) En ce qui concerne la notion de loi-rapport, Romagnosi emprunte ses criti- ques à celles de son maître spirituel Charles Bonnet, dont il se déclare bien des fois disciple et admirateur79: «En admettant que c’est une propriété commune à toutes les lois d’inclure la nécessité dont nous parlons, il est manifeste» – écrit-il par exemple dans Degli enti morali (1805 environ) – «que chaque loi est le résultat de rapports réels et actifs qui existent entre les choses. Je mets un aimant près d’un fer et ils s’at- tirent. L’attraction n’est pas un rapport, mais un résultat de rapports. Il s’ensuit que la défi nition de Montesquieu [L’Esprit des Lois, I, 1, al. 1], selon laquelle la loi est un rapport, ne peut être admise»80. A la même époque, dans l’Introduzione allo studio del diritto pubblico universale, son premier vaste ouvrage de philosophie du droit, suivant encore de plus près les critiques du philosophe et naturaliste genevois, il écrit: La structure de l’aimant et celle du fer dépendent de la nature, de la quantité et de l’or- dre selon lequel leurs éléments sont arrangés dans l’un et dans l’autre. Cette structure établit entre l’aimant et le fer un rapport, en vertu duquel, c’est-à-dire en conséquence duquel, naît le phénomène ou l’effet de l’attraction. L’attraction est une loi de la nature. Mais cette loi est un effet. Cet effet n’est pas le rapport, mais ce qui résulte de ce rapport. Il semble donc que Montesquieu aurait été plus exact, s’il avait défi ni les lois en général : les résultats ou les con- séquences des rapports qui sont entre les êtres. J’ai cru devoir défi nir de cette façon la loi dans sa signifi cation la plus étendue […]. Le célèbre Charles Bonnet – poursuit Romagnosi – ajoute que dans un livre, comme L’Esprit des Lois, qui de fond en comble n’est qu’une théorie des rapports, il était nécessaire de défi nir ce que c’est qu’un rapport81.

Enfi n c’est ad litteram que les critiques du naturaliste genevois sont reprodui- tes dans les Lezioni sul diritto civile (1808)82, alors que dans les Istituzioni di civile fi losofi a, dernier ouvrage dans lequel Romagnosi aborde la problématique relative à la notion de loi, il se limite à observer que la défi nition de Montesquieu avait été «censurée» non seulement par Bonnet, mais également par Destutt de Tracy dans son Commentaire83.

(79) «Je saisis cette occasion, – écrit-il par et reproduit ici ad litteram, est le suivant: «Les loix exemple à la fi n d’une note de l’Introduzione allo sont-elles des rapports? Les rapports dérivent de studio del diritto pubblico universale, – pour rendre ces déterminations, de ces qualités en vertu des- un hommage de sincère estime et de gratitude à la quelles les êtres sont ce qu’ils sont. C’est par ces mémoire de Bonnet, dont le livre que je viens de déterminations que les êtres agissent les uns sur les citer [l’Essai analytique sur les facultés de l’âme] autres, et concourent ainsi à produire certains ef- fut, dans mon adolescence, celui qui plus que tout fets. Nous nommons ces effets les loix de la nature, autre contribua à former ma raison et qui fi t faire et nous disons que ces loix sont invariables, parce une véritable gymnastique à mon entendement» qu’elles ont leur fondement dans l’essence des êtres (EDG, III, 1, p. 390, note n. 2). et que cette essence est immuable. La structure de (80) G.D. ROMAGNOSI, Degli enti morali, EDG, l’aimant et celle du fer, dépendent de la nature et III, 1, p. 695 et note n. 1 (c’est Romagnosi qui de l’arrangement de leurs eléments. Cette structure souligne); CH. BONNET, Essai analytique sur les fa- établit entre l’aimant et le fer un rapport en vertu cultés de l’âme, 2 voll., Copenhague-Genève, 17753 duquel l’aimant attire le fer. Ce n’est pas ce rapport (17601), vol. II, chap. XXVII, § 856, p. 218. qui est une loi, c’est l’effet qui en résulte, l’attrac- (81) G.D. ROMAGNOSI, Introduzione allo studio tion. L’auteur [Montesquieu] eût donc été plus del diritto, EDG, III, 1, p. 390, note n. 2 (c’est exact s’il eût défi ni les loix, les résultats, ou les con- Romagnosi qui souligne); CH. BONNET, Essai ana- séquences des rapports qui sont entre les êtres […]. lytique, cit., p. 218. Dans un livre [L’Esprit des Lois] qui n’est d’un bout (82) G.D. ROMAGNOSI, Lezioni inedite sul diritto à l’autre qu’une théorie des rapports, et une très civile dette nell’Università di Pavia l’anno MDCC- belle théorie, ne falloit-il pas défi nir les rapports?». CVIII, EDG, VII, 1, pp. 79-80; CH. BONNET, Essai (83) G.D. ROMAGNOSI, Istituzioni di civile analytique, cit., p. 218. Le passage du naturaliste fi losofi a, EDG, III, 2, p. 1134; A.-L.-C. DESTUTT genevois, paraphrasé dans les citations précédentes DE TRACY, Commentaire sur “L’Esprit des lois”

ultime 315 4-12-2006, 21:34:51 316 Domenico Felice

Nous n’avons pas à examiner ici les critiques adressées à Montesquien par le na- turaliste genevois, ni les buts que ce dernier se proposait84; il nous suffi t d’avoir relevé que Romagnosi les reprend mais que, tout en les partageant absolument, il n’en subit pas moins la fascination de la défi nition de Montesquieu de ‘loi-rapport’, comme l’atteste l’emploi très fréquent, dans son œuvre, des notions-clés contenues dans cette défi nition, c’est-à-dire «rapports nécessaires» et «nature des choses» (il leur confère toutefois une signifi cation très particulière)85. b) En ce qui concerne la théorie des gouvernements, Romagnosi, comme tant d’autres de ses contemporains86, accuse surtout Montesquieu de se mouvoir à l’inté- rieur d’une perspective purement descriptive et empirique, c’est-à-dire de toujours considérer le problème des formes de gouvernement comme une question de fait et non de droit, les construisant absurdement comme des variables dépendant des pas- sions – des «principes» – des différents peuples et non comme des facteurs ayant leur perfectionnement pour objet: Établir les caractéristiques ou les conditions des gouvernements sur la base des intérêts et des passions prédominantes des gouvernants [sic!], comme l’a fait Montesquieu – écrit-il par exemple dans les Istituzioni di civile fi losofi a − équivaut à nous dire un FAIT et un FAIT PUR ET SIMPLE […]. Mais ce fait favorise-t-il ou s’oppose-t-il à la puissance des États? Quand et com- ment la favorise-t-il ou s’y oppose-t-il? Voilà ce qu’il était et est important de savoir87.

Et encore: L’étude des gouvernements et des lois […] ne peut être ni vraie ni utile si elle ne considère pas aussi bien les hommes tels qu’ils peuvent être en des temps divers, en des lieux divers et en des circonstances diverses, que les gouvernements tels qu’on doit les désirer […]. Gouverner ne veut pas dire favoriser l’ignorance et les passions, mais au contraire éclairer les esprits, diriger les passions […], bref gouverner est synonyme d’éduquer et de protéger. Et comme ceci doit se faire avec des êtres et sur une terre qui se rendent graduellement capables à telle fi n, alors l’action du gouvernement est nécessairement soumise à la loi de l’opportunité 88.

de Montesquieu; suivi d’observations inédites de moitié du XVIIIème siècle (1963), Paris, Albin Michel, Condorcet sur le XXIXème livre du même ouvrage, 1994, pp. 718-736, et A. POSTIGLIOLA, Critique et Paris, Desoer, 1817, pp. 1-2: «Les lois ne sont pas, Lumières chez Montesquieu: ‘nature du gouverne- comme le dit Montesquieu, les rapports nécessaires ment’ et ‘nature des choses’ dans “L’Esprit des lois”, qui dérivent de la nature des choses. Une loi n’est Tijdschrift voor de Studie van de Verlichting, 1973, pas un rapport et un rapport n’est pas une loi. Cette pp. 205 et suiv. explication ne présente pas un sens clair». Sur cette (86) In primis le ‘pseudo-Helvétius’, les idéo- critique du grand idéologue à Montesquieu, cfr. M. logues et Constant, sur lesquels cfr. M. BARBERIS, BARBERIS, Destutt de Tracy critico di Montesquieu, Benjamin Constant. Rivoluzione, costituzione, ovvero la ‘science sociale’ settecentesca al bivio, dans progresso, trad. it.: Bologna, il Mulino, 1988, pp. Materiali per una storia della cultura giuridica, 1980, 102-103, et D. FELICE, Modération et justice, cit., pp. 380-383; quant aux rapports entre Romagnosi pp. 21-22. et Destutt de Tracy, dont le Commentaire avait été (87) G.D. ROMAGNOSI, Istituzioni di civile fi lo- traduit en italien en 1820, voir L. MANNORI, Uno sofi a, EDG, III, 2, p. 1490 (c’est Romagnosi qui Stato per Romagnosi, cit., pp. 218-221. souligne). (84) Cfr. à cet égard l’essai de A. POSTIGLIOLA, (88) Ivi, pp. 1490-1491 (c’est Romagnosi qui Montesquieu e Bonnet: la controversia sul concetto souligne). Cfr. aussi Dell’indole e dei fattori dell’in- di legge, dans La politica della ragione. Studi sull’il- civilimento con esempio del suo risorgimento in luminismo francese, éd. par P. Casini, Bologna, il Italia (1832), et Vedute eminenti per amministrare Mulino, 1978, pp. 43-69. l’economia dell’incivilimento (1834) (mémoire pré- (85) Sur la signifi cation de ces deux notions chez senté à l’Académie de France), EDG, II, 1, pp. Romagnosi, cfr. A. TARANTINO, Natura delle cose e 88-89 et 250-251, dans lesquels Romagnosi impute società civile. Romagnosi e Rosmini, Roma, Edi- un peu à tous les écrivains politiques modernes, de zioni Studium, 1983, pp. 144-148, et L. MANNORI, Machiavel à Montesquieu même, d’avoir parlé des Uno Stato per Romagnosi, cit., pp. 210 et suiv.; sur formes de gouvernement comme de «vêtements» leur signifi cation chez Montesquieu, cfr. surtout J. qu’on peut «faire porter à un peuple quand et où EHRARD, L’idée de nature en France dans la première l’on veut», ignorant complètement le critère de

ultime 316 4-12-2006, 21:34:51 Vincenzo Cuoco et Gian Domenico Romagnosi,lecteurs de Montesquieu 317

c) En ce qui concerne enfi n la séparation des pouvoirs, la polémique dont elle est l’objet de la part de Romagnosi est des plus âpres, surtout pendant les vingt der- nières années de sa vie, et particulièrement dans Della costituzione di una monarchia nazionale rappresentativa (son principal ouvrage de droit constitutionnel) et dans les Istituzioni di civile fi losofi a. Quand il s’agit de créer une garantie effective dans n’importe quel gouvernement d’un seul ou de plusieurs, il ne s’agit pas d’enlever ou de diviser les pouvoirs de la souveraineté mais plutôt, en les laissant dans la main où ils sont, de garantir seulement qu’ils soient exercés dans les bornes de la nécessité la plus rigoureuse,

écrit-il par exemple dans Della costituzione, ajoutant en note: L’erreur la plus grande et fatale des constitutions modernes consiste en cette division en vertu de laquelle ou l’on enlève ce qu’il ne faut pas enlever ou bien l’on laisse ce qu’il ne faut pas laisser aux princes89.

Et dans les Istituzioni: La prétendue balance des pouvoirs qui s’opposent, non soumis à un pouvoir central qui prédomine sur eux, est un contresens qui bouleverse toute idée de gouvernement politique. Cette prétendue balance se résout dans un schisme perpétué […]90;

et encore: […] la distinction faite par Montesquieu entre les pouvoirs législatif, exécutif et judiciaire peut bien être mentale – inexacte en tous cas –, mais non pas effective de la souveraineté. Dis- tinguer est une chose, disjoindre en est une autre. Distinguer ne comporte que dessiner menta- lement les caractères propres d’un objet donné, disjoindre consiste au contraire à donner une existence propre et réelle, et presque indépendante, à ces caractères distingués mentalement et à les faire agir par eux-mêmes comme s’ils étaient autant de pouvoirs existant par eux-mêmes. Cette disjonction, quand on la fait […], rend l’effet nul, et produit ces dichotomies vicieuses qui sont la peste de la bonne théorie et de la bonne pratique. Telle serait justement la tenta- tive de donner une existence séparée et indépendante aux attributions ci-dessus indiquées de l’autorité souveraine. On a beau s’efforcer d’effectuer la division susdite, on n’arrive jamais à la mettre en œuvre sans anéantir le vrai pouvoir politique91.

La constitution anglaise est la grande ennemie de Romagnosi, il y voit − suivant en cela les traces de Filangieri en Italie et de Sieyès en France, parmi d’autres92 – le

l’opportunité, en tant qu’adaptation des moyens minatrice de tout bon gouvernement». aux fi ns que, dans chaque phase historique, la civi- (90) G.D. ROMAGNOSI, Istituzioni di civile fi lo- lisation (l’incivilimento) prescrit de poursuivre. Sur sofi a, EDG, III, 2, p. 1495 (c’est Romagnosi qui cette critique de Romagnosi (à mon avis à peu près souligne). dépourvue de fondement, pour le moins en ce qui (91) Ivi, pp. 1555-1556 (c’est Romagnosi qui concerne l’auteur de L’Esprit des Lois), cfr. L. MAN- souligne). NORI, Uno Stato per Romagnosi, cit., pp. 399 et suiv.; (92) Cfr. L. MANNORI, Uno Stato per Romagnosi, sur la théorie des formes de gouvernement chez cit., p. 429 et notes nn. 40 et 41. Nous nous réfé- Montesquieu, cfr. surtout N. BOBBIO, La teoria delle rons, en ce qui concerne Filangieri, évidemment à forme di governo nella storia del pensiero politico, la sévère condamnation de la constitution anglaise Torino, Giappichelli, 1976, pp. 133-150. contenue dans sa Scienza della legislazione (I, 10); (89) G.D. ROMAGNOSI, Della costituzione di en ce qui concerne Sieyès, à la condamnation tout una monarchia, cit., vol. I, p. 25 et note 1 (c’est aussi sévère qu’il formule surtout dans son Discours Romagnosi qui souligne). Cfr. aussi ivi, p. 297, où du 2 Thermidor (1795), dans Réimpression de l’an- la division des pouvoirs est qualifi é de «peste exter- cien Moniteur, Paris, Plon, 1847, t. XXV, p. 292.

ultime 317 4-12-2006, 21:34:51 318 Domenico Felice

maintien caché des castes et des privilèges: «cette constitution», écrit-il par exemple dans son principal ouvrage de droit constitutionnel: n’a pas du tout l’aspect d’un gouvernement dans lequel on aurait une bonne législation, une administration honnête et une garantie pour la nation contre les prévarications de ses représentants: elle ressemble au contraire à ces sombres châteaux médiévaux, d’où on a tiré çà et là quelques pièces modernes au milieu de ces murailles lugubres et de ces prisons munies de tours. Elle est un avorton issu de l’effort de pouvoirs désordonnés, qui se tiennent unis et marchent grâce à leur corruption intérieure et à l’effort extérieur d’une avarice qui coûte pé- riodiquement des millions de morts à l’humanité93.

Dans un autre passage du même ouvrage il n’hésite pas à la défi nir une «mons- trueuse mécanique de pouvoirs» et même une «anti-constitution»94. Il faut toutefois remarquer, pour conclure, qu’en dépit de cette condamnation très sévère du gouvernement mixte anglais et de la séparation des pouvoirs en géné- ral95, Romagnosi subit profondément l’infl uence de la théorie de Montesquieu sur le pouvoir «arrêtant» le pouvoir ainsi que sa réaction préalablement méfi ante vis-à-vis du ou des détenteurs des pouvoirs publics96. De même, à sa façon toute particulière, il sait mettre largement ces idées à profi t – comme l’a bien mis en évidence Luca Mannori97 − notamment dans le projet vaste et complexe de «monarchie nationale re- présentative» qu’il élabore et propose à l’aube de la Restauration et qui exercera une infl uence non négligeable sur la formation intellectuelle et politique de la génération italienne du Quarantotto98.

DOMENICO FELICE

(93) G.D. ROMAGNOSI, Della costituzione di una la nation, mais en tant que bien nécessaire et droit monarchia, cit., vol. I, p. 259. de la nation à l’égard du prince même» (ivi, vol. I, (94) Ivi, vol. II, p. 868 (c’est Romagnosi qui p. 28; c’est Romagnosi qui souligne). Romagnosi souligne). Tout aussi négatif le jugement de Ro- refuse même, comme on sait, la distinction rous- magnosi sur le gouvernement mixte pur et simple: seauienne entre législation et exécution, cfr. ivi, vol. «Si un gouvernement mixte peut exister dans la I, pp. 58 et 365, vol. II, p. 941. nature, il peut exister seulement comme une chose (96) Romagnosi cite souvent et toujours dans imparfaite […]. Un est l’intérêt national, une est la un sens favorable le célèbre passage du chap. 4 du souveraineté, une la représentation, une la volonté livre XI de L’Esprit des Lois («[…] c’est une expé- sociale, un le droit, inné, de vivre mieux et d’être rience éternelle que tout homme qui a du pouvoir heureux en proportion des services rendus à la est porté à en abuser; il va jusqu’à ce qu’il trouve société. Une doit être donc la main qui détient le des limites. Qui le dirait! la vertu même a besoin sceptre pour prédominer sur les volontés des par- de limites. Pour qu’on ne puisse abuser du pouvoir, ticuliers et les canaliser vers l’unité nationale […]. il faut que, par la disposition des choses, le pou- Il est donc répugnant que des groupes et classes voir arrête le pouvoir»): cfr., par exemple, Diritto particulières aient leur propre domination, et que naturale politico, EDG, III, 2, pp. 911-912, et Della par conséquent la forme de gouvernement repré- costituzione di una monarchia, cit., vol. II, p. 887. sente une coalition de pouvoirs ou de prérogatives (97) L. MANNORI, Uno Stato per Romagnosi, op. politiques au lieu d’une entité individuelle et uni- cit., pp. 457 et suiv. ; cfr. aussi F. SOFIA, In margine verselle» (ivi, vol. I, pp. 235-236; c’est Romagnosi al diritto pubblico di Romagnosi, «Clio», 1987, pp. qui souligne). 480-482. (95) «L’unité du pouvoir est par moi recomman- (98) Cfr. E.A. ALBERTONI, La vita degli Stati, cit., dée, non en tant que droit du prince à l’égard de p. 70.

ultime 318 4-12-2006, 21:34:52 Barruel, Bossuet e la democrazia nel 1789 319 Barruel, Bossuet e la democrazia nel 1789

1. In queste pagine esaminerò un articolo dell’ex gesuita Augustin Barruel1 ap- parso sul «Journal ecclésiastique» dell’aprile 1789 (pp. 389-433). Non mi occuperò quindi del Barruel più noto, quello dei Mémoires pour servir à l’histoire du jacobi- nisme (Londres 1797-1798), l’opera a cui Barruel deve la sua fama, ma sulla quale mancano studi soddisfacenti2. Studi soddisfacenti mancano su tutte le opere e sulla vita del personaggio3. Eppure Barruel merita di essere ricordato non soltanto per i Mémoires, ma anche per altri numerosi scritti usciti dalla sua penna, in primo luogo Les Helviennes, che, pubblicate in cinque volumi tra il 1781 e il 1788, ebbero vasta risonanza4. Di grande interesse è il «Journal ecclésiastique, ou Bibliothèque raison- née des sciences ecclésiastiques», mensile, poi quindicinale, che Barruel redasse dal gennaio del 1788 all’agosto del 1792. Nemmeno studiosi seri e attenti quali Claude Labrosse e Pierre Rétat5 hanno ritenuto opportuno soffermarsi su questo periodico, assente – o presente soltanto grazie a qualche accenno distratto – anche in lavori dedicati ai giornali della Rivoluzione francese o specifi camente ai giornali di destra durante la Rivoluzione6. Nel 1790 Pierre-Nicolas Chantreau, polemista brillante e penetrante, diede una lapidaria e irridente defi nizione del «Journal ecclésiastique»: «travaillé comme s’il devoit être lu», scrisse nel suo Dictionnaire national et anecdotique7. Chantreau in questo caso aveva torto: il «Journal» di Barruel è degno della massima attenzione8,

(1) Ho detto ex gesuita perché la Compagnia di fi che tradotte dal francese, Napoli, Presso Vincenzo Gesù, cui Barruel apparteneva, fu abolita in Fran- Orsini, 1786, 3 voll. cia nel 1764; la soppressione della Compagnia in (5) In C. LABROSSE et P. RÉTAT, Naissance du quanto tale si ebbe con il breve di Clemente XIV journal révolutionnaire, 1789, Lyon, Presses Uni- Dominus ac Redemptor noster del 21 luglio 1773. versitaires de Lyon, 1989, p. 246, si legge che il (2) Acute osservazioni che si distaccano da un «Journal ecclésiastique» è «trop marginal»; un cliché consolidato ha dedicato ai Mémoires G. altro accenno ivi, p. 238. Lacunosa la scheda sul GIARRIZZO, Massoneria e illuminismo nell’Europa «Journal ecclésiastique» in P. RÉTAT, Les journaux del Settecento, Venezia, Marsilio, 1994, Indice dei de 1789. Bibliographie critique, Paris, CNRS, 1988, nomi, ad vocem. p. 230. Quali «dates extrêmes» si indicano il 1760 (3) Di taluni aspetti dell’attività di Barruel si è oc- e il 1792, ma non si dice che il «Journal» era stato cupato J.M. ROBERTS, The Mythology of the Secret So- fondato nel 1760 dall’abate Dinouart che lo redasse cieties, London, Secker & Warburg, 1972, Indice dei fi no alla morte avvenuta nel 1786. nomi, ad vocem. Uno studio complessivo su Barruel è (6) W.J. MURRAY, The Right-Wing Press in the Fren- quello di M. RIQUET, Augustin de Barruel. Un jésuite ch Revolution: 1789-92, Woodbridge, The Boydell face aux Jacobins francs-maçons, 1741-1820, Paris, Press, 1986, p. 47, nota 54, dice candidamente del Beauchesne, 1979, che però presenta molte lacune. «Journal ecclésiastique»: «This was a decidedly an- L’immagine del personaggio è in via di profondo ti-revolutionary paper, but because it appeared only rinnovamento grazie alle ricerche che sta conducendo twelve times a year, and since I have founded little Paolo Bianchini sulla base di una ricca documentazio- evidence that it raised much comment at the time, I ne inedita. Cfr. per ora P. BIANCHINI, Religione e poli- have overlooked it in this work». tica in Augustin Barruel (1741-1820), tesi di laurea in (7) Dictionnaire national et anecdotique, […] Storia discussa presso la Facoltà di Lettere e Filosofi a par M.de L’ÉPITHÉTE […], A Politicopolis [Paris], dell’Università di Torino, a.a. 1995-96, 2 voll.; ID., Au- Chez les Marchands de Nouveautés, 1790, p. 79. gustin Barruel ‘anti-philosophe’. Gli anni prima della Il Dictionnaire ha un titolo lunghissimo che qui ho Rivoluzione, tesi di dottorato in Storia. Storia della so- drasticamente abbreviato. L’autore è certamente cietà europea in età moderna, Torino, a.a. 2000-2001; Chantreau. ID., Le annotazioni manoscritte di Augustin Barruel ai (8) Utili informazioni sul «Journal ecclésiasti- “Mémoires pour servir à l’histoire du Jacobinisme”, in que» in RIQUET, Augustin de Barruel cit., pp. 47-72. «Annali della Fondazione Luigi Einaudi», XXXIII, Accurata la voce «Journal ecclésiastique» di S. 1999, pp. 367-443. ALBERTAN-COPPOLA, in Dictionnaire des journaux, (4) Ne fu fatta anche una traduzione parziale in 1600-1789, sous la direction de J. Sgard, Paris, Uni- italiano: L’Elviennesi, o sia Lettere provinciali fi loso- versitas, 2 voll., 1991, vol. II, pp.664-669.

ultime 319 4-12-2006, 21:34:52 320 Luciano Guerci

e la massima attenzione (e ammirazione) gli dedicarono i controrivoluzionari. Se ne accorse uno storico diversissimo dall’immagine caricaturale che ne hanno disegnato Furet e la scolastica furetiana in libri e saggi animati da una volontà di rinnovamento non sempre felicemente esercitata. Alludo ad Albert Mathiez, raffi gurato come un ottuso e maniacale cantore delle bellezze della Rivoluzione. In realtà Mathiez, no- nostante il suo fi lorobespierrismo, fu autore di studi pionieristici e seppe illuminare aspetti apparentemente minori del fenomeno rivoluzionario. Vale ancora oggi ciò che nel 1910 disse del «Journal ecclésiastique», da lui defi nito «une des sources les plus importantes de l’histoire religieuse de la Révolution»9. Destinato al clero, e in particolare ai parroci, il «Journal» di Barruel affrontava di solito temi relativi alle cose religiose ed ecclesiastiche. Raramente si spingeva al di là di quest’ambito, ed è perciò tanto più notevole l’articolo di cui parleremo, intitolato De l’esprit des ouvrages du jour, sur la monarchie du mois d’avril 1789, e interamen- te dedicato a problemi politici. Esso fu ripubblicato, insieme con altri due articoli appartenenti al «Journal», nella raccolta Le patriote véridique10, raccolta promossa dal libraio Crapart (editore del «Journal ecclésiastique») senza che Barruel ne fosse informato (ed egli ebbe a lagnarsi di un’iniziativa che non approvava). Nell’Avertis- sement (pp. 5-6) l’editore dichiarava di aver voluto dare «plus de publicité», come gli avevano chiesto «bien des personnes», ad articoli apparsi «dans un journal qui n’est guère connu que des ecclésiastiques». Ecco come egli presentava i tre scritti: Dans le premier de ces discours, on prouve que les causes de la révolution actuelle sont toutes dans la dépravation des mœurs publiques, et dans les progrès du philosophisme. Dans le second, on prouve que les causes de la dépravation des mœurs publiques et des progrès du philosophisme sont sur-tout dans les abus du clergé; on montre la vraie cause de ces abus, et on propose les moyens de les faire cesser. Le troisième discours roule sur l’esprit anti-monar- chique que l’on voit régner dans certains ouvrages.

2. È signifi cativo che l’articolo di Barruel si aprisse con un richiamo a Bossuet al fi ne di deplorare che la lezione del grande oratore e scrittore, già «oracle de la na- tion françoise», fosse ormai del tutto trascurata. Preoccupato e amareggiato, Barruel segnalava un radicale cambiamento di opinione avvenuto da meno di due anni (il che ci porta all’inizio del confl itto tra re e parlamenti nel 1787), e subito citava alcu- ni passi di Bossuet tratti dalla Politique tirée des propres paroles de l’Écriture sainte. «L’autorité royale est absolue», si leggeva tra l’altro in quei passi, e il principe «est l’image de Dieu»11. In tal modo Barruel, che curiosamente (e forse maliziosamente)

(9) A. MATHIEZ, La Révolution et l ’Église. Études tique tirée des propres paroles de l’Écriture sainte. critiques et documentaries, Paris, Colin, 1910, p. 35, Édition critique avec introduction et notes par nota 1; cfr. anche pp. 35 sgg. J. Lebrun, Genève, Droz, 1967, p. 92. La Politique (10) Le patriote véridique, ou Discours sur le uscì postuma nel 1709. Il breve passo «la volonté vraies causes de la révolution actuelle; par l’abbé de de tout le peuple est renfermée dans le prince […] BARRUEL, Aumônier de S.A.S. la Princesse de Conti, Tout l’état est dans lui» (Esprit, p. 89) riproduce A Paris, Chez Crapart libraire, 1789. La raccolta con qualche inesattezza BOSSUET, Politique cit., consta complessivamente, compreso l’Avertisse- livre cinquième, article IV, Ière proposition, p. 177. ment dell’editore (pp. 5-6), di 132 pagine. Nel mio Il passo «au prince seul […] autorité» (Esprit, pp. saggio mi servirò dell’articolo ripubblicato in Le pa- 89-90) deriva, con omissioni, da BOSSUET, Politique triote véridique cit., pp. 89-132. Designerò l’articolo cit., livre quatrième, article premier, IIIème proposi- con l’abbreviazione Esprit, e inserirò direttamente tion, p. 96. Il passo «considérez le prince […] toute nel testo l’indicazione della pagina o delle pagine la nature», riportato in Esprit, p. 90, proviene da che a esso si riferiscono. Ho scelto di abbassare BOSSUET, Politique cit., livre cinquième, article IV, molte maiuscole non più conformi all’uso odierno, Ière proposition, p. 178. In questo passo c’è la frase e di intervenire qua e là sulla punteggiatura. «c’est l’image de Dieu» (con riferimento al «prin- (11) La frase «l’autorité royale est absolue», che ce»). In Esprit, p. 90, Barruel rimandava erronea- Barruel citava in Esprit, p. 89, è il titolo dell’article mente al libro quarto delle Politique. premier del livre quatrième, in J.-B. BOSSUET, Poli-

ultime 320 4-12-2006, 21:34:52 Barruel, Bossuet e la democrazia nel 1789 321

accostava alle affermazioni di Bossuet un breve passo di Necker12, caratterizzava ine- quivocabilmente la sua posizione e indicava la prospettiva in cui si sarebbe collocato per opporsi ai nuovi «docteurs», che «dans une seule année» avevano operato «une révolution» nel campo delle idee politiche grazie a un «déluge de productions anti- monarchiques»13. Alla «révolution» consistente nella volontà di privare il re, in tutto o in parte, del potere legislativo per attribuirlo agli Stati generali, o, come vedremo, al solo Terzo stato14, Barruel reagiva riproponendo l’attualità del pensiero di Bossuet circa la monarchia assoluta di diritto divino. Sarà bene notare fi n da ora che l’intero discorso di Barruel era incentrato sull’irriducibile antitesi tra i nefasti «principes mo- dernes» (Esprit, pp. 107, 124) e l’assolutismo, che egli appassionatamente difendeva ed esaltava conferendo a esso, sulle orme della Politique, una legittimazione forte, ma che rischiava, nella sua stessa intransigenza, di essere poco persuasiva, e inadatta a offrire un’alternativa effi cace ai «sophismes» correnti (Esprit, p. 99). Pur citando Bossuet soltanto tre volte, Barruel si riferiva implicitamente alla Po- litique in molte delle sue argomentazioni, argomentazioni che talvolta si discostavano dal maestro e seguivano vie autonome, dimostrando acutezza e abilità polemica. Se accennava al «déluge de productions anti-monarchiques», il nostro autore ne citava soltanto quattro15, evitando di analizzarle e preferendo indicare gli aspetti fondamen- tali delle tesi che egli si proponeva di confutare. Colpisce l’assenza di qualsiasi accen- no a Qu’est-ce-que le Tiers état di Sieyes, che, apparso nel gennaio del 1789, aveva immediatamente ottenuto un clamoroso successo; ma a me sembra che certi passi di De l’esprit des ouvrages du jour (per esempio quelli sulla forza del «nombre») rechino tracce della lettura del pamphlet, che non poteva essere ignoto a Barruel e di cui egli non poteva non tener conto. È opportuno aggiungere che se Barruel non risparmia- va la nobiltà, accusata di credersi anch’essa «législatrice» e di voler «partager» «le pouvoir législatif […] avec le peuple, plutôt que de le voir tout entier sur le trône» (Esprit, p. 107), la sua polemica investiva in primo luogo il Terzo stato («peuple», «multitude») e i «tribuns» che lo lusingavano e lo guidavano. Nel loro «délire contre la monarchie» – denunciava Barruel – «nos tribuns […] laissent aux monarques le nom qui les distingue, mais arrachent au sceptre le plus beau de ses droits [il potere legislativo]; ils attaquent l’empire et sa constitution; ils

(12) «La seule volonté du prince fait la loi; et R. HALÉVI, La monarchie républicaine. La Cons- […] l’augmentation des impôts est soumise à sa titution de 1791, Paris, Fayard, 1996; importanti puissance». Secondo Barruel, Necker era, «en ces osservazioni ivi, pp. 56-57. leçons», il «fi dèle écho de Bossuet» (Esprit, p. 90). (14) Subito dopo aver denunciato la «révolu- Barruel rimandava, senza ulteriori indicazioni, al tion» nelle idee, Barruel menzionava nuovamente Mémoire au roi sur l’établissement des administra- Bossuet nella frase «au lieu de nos Bossuets, d’au- tions provinciales, 1781, e al Compte rendu au roi tres docteurs s’élèvent»; Esprit, p. 91. dello stesso anno. (15) Segnalo i quattro scritti citati approssima- (13) Esprit, pp. 91, 92. Al fi ne di collocare la tivamente in Esprit, pp. 91-93: J.-A.-J. CERUTTI, presa di posizione di Barruel nel contesto che le è Mémoire pour le peuple françois, s.l., s.e., 1788; Dia- proprio occorre ricordare alcune date. L’8 agosto logue entre un françois et un anglois, s.l., s.e., s.d.; 1788 un arrêt del Conseil du roi aveva convocato gli Instruction donnée par S.A.S. monsegneur le duc Stati generali per il 1° maggio 1789. Il 27 dicembre d’ORLÉANS, à ses représentants au bailliages. Suivi de 1788, dopo lunghe discussioni, un altro arrêt aveva Déliberations à prendre dans les assemblées, s.l., s.e., concesso al Terzo stato – grazie soprattutto alle 1789 (cito qui il titolo della 2ª ed.; l’Instruction fu insistenze di Necker – il raddoppio del numero dei redatta da Choderlos de Laclos, le Délibérations so- deputati, rendendolo eguale a quello dei deputati no opera di Sieyes); E.-L.-H.-A. DE LAUNAY, comte del clero e della nobiltà; nulla era stato deciso circa d’ANTRAIGUES, Mémoire sur les États-généraux, leurs il voto per ordine o il voto per testa. Il 24 gennaio droits, et la manière de les convoquer, s.l., s.e., 1788. 1789 erano state spedite le lettere di convocazione Il Mémoire pour le peuple françois e il Mémoire sur per gli Stati generali. L’annuncio della convoca- les États- généraux uscirono anonimi, ma sono sicu- zione degli Stati generali provocò la fi oritura di ramente l’uno di Cérutti (un ex gesuita di origine scritti politici diversamente orientati, fi oritura che piemontese), l’altro del conte d’Antraigues. È igno- divenne sempre più rigogliosa. Riferimenti a questi to l’autore dell’anonimo Dialogue entre un françois scritti – senza alcun accenno a Barruel – in F. FURET et un anglois.

ultime 321 4-12-2006, 21:34:53 322 Luciano Guerci

vont jusqu’à dire que nous n’en avons point» (Esprit, p. 93). Mentre Barruel redigeva De l’esprit des ouvrages du jour si discuteva animatamente del problema se la Francia avesse o no una constitution. Non ci si riferiva a un testo costituzionale scritto, che i fautori del mutamento invocavano a gran voce, bensì a un insieme di «lois fondamen- tales», di «coutumes», di tradizioni che davano allo Stato la sua confi gurazione spe- cifi ca: potremmo parlare di una costituzione materiale16. Secondo Barruel, non c’era alcun dubbio che l’«ancienne constitution» fosse viva e vitale, e che le sue caratteri- stiche fossero tali da defi nire una monarchia assoluta. In seguito i controrivoluzionari – e tra essi Barruel – avrebbero insistentemente rimproverato ai rivoluzionari di aver distrutto l’«ancienne constitution» per sostituirla con una nuova «constitution» fon- data su principi astratti che avevano prodotto un caos mostruoso. Già nel suo articolo Barruel, avendo sotto gli occhi le rivendicazioni di quelli che chiamava «faux sages» (Esprit, p. 101), prevedeva il peggio (e dal suo punto di vista ne aveva motivo). Di qui il compito che assegnava a se stesso: «Il faut la révéler, cette conspiration couverte sous le voile du zèle, de l’amour pour le peuple; il faut montrer au peuple les suppo- sitions fausses, les principes absurdes sur lesquels on prétend établir son bonheur, et les vraies conséquences qui tôt ou tard ne peuvent qu’entraîner sa ruine et celle de l’état» (Esprit, pp. 93-94).

3. Possiamo individuare cinque punti intorno ai quali, nel nostro autore, si strut turavano la difesa e la legittimazione della monarchia assoluta. 1) Il re, il cui «trône héréditaire» era «le centre de toute justice, de toute au- torité» (Esprit, p. 94), garantiva la sicurezza dello Stato nei confronti delle potenze straniere, sì che «la paix règne au-dedans». E Barruel evocava «le laboureur tran- quille dans les champs, le citoyen paisible en son foyer» (Esprit, p. 94). Quanto ai magistrati, essi «maintiennent le droit des propriétés, de l’honneur et de la liberté» (Esprit, pp. 97-98). I termini «liberté» e «libre» ricorrevano più volte nell’artico- lo, dove Barruel associava la «liberté» sia alla «tranquillité» sia alla «propriété» (Esprit, pp. 107-108). Uniformandosi a un’opinione condivisa da tutti i sostenitori dell’assolutismo, l’autore pensava che la libertà non fosse affatto incompatibile con la monarchia assoluta. Opinione, questa, che i nemici della Rivoluzione tennero più volte a confermare sottolineando che essi non erano nemici della vera libertà, bensì della libertà proclamata e messa in pratica dai rivoluzionari. La vera libertà rispettava le gerarchie della società d’Ancien Régime, era strettamente congiunta all’obbedienza, non oltrepassava i limiti che le erano fi ssati da un ordine voluto da Dio stesso. Insomma, una «modesta libertà» – come diceva nel 1794 un anonimo scrittore controrivoluzionario17 – che molto somigliava alla subordinazione: niente a che vedere con la libertà-licenza, con quella libertà che nel 1793 lo stesso Barruel avrebbe chiamato «la liberté de l’anarchie, la liberté révolutionnaire, la source, le principe de toutes les horreurs du jour»18. Negli scritti che confutava, Barruel

(16) Cfr. M. VALENSISE, La constitution française, nostante il suo aggradevole suolo, e le sue frut- in The French Revolution and the Creation of Mo- tuose produzioni ripiglierà esso [il regno di Francia] dern Political Culture, vol. I, The Political Culture l’antico suo splendore e la sua modesta libertà?». of the Old Regime, edited by K.M. Baker, Oxford Prima della Rivoluzione la Francia «godeva una pie- - New York, Pergamon Press, 1987, pp. 441-467. na libertà», mentre la «sedicente libertà francese» che Cfr. anche FURET et HALÉVI, La monarchie républi- a essa era subentrata consisteva soltanto in una «gran caine cit., cap. I, La Constitution et la monarchie, parola stampata nelle gazzette e ne’ giornali» (p. 4). pp. 15-40, in particolare pp. 39-40. L’opuscolo è anonimo. Il titolo sembrerebbe indicare (17) Dei danni delle rivoluzioni, ossia Indirizzo una traduzione, ma potrebbe trattarsi di una fi nzione di un francese a tutti i popoli dell’Europa, Torino, per dare più autorevolezza a ciò che si diceva. Presso Francesco Prato, 1794 (alla fi ne dell’opu- (18) Histoire du clergé pendant la révolution scolo, che è di 85 pagine: Ivrea, Dalla stamperia françoise. Ouvrage dédié à la Nation angloise. Par di Ludovico Franco), pp. 68-69: «Aimè! no- l’abbé de BARRUEL, Aumônier de Son Altesse Sérénis-

ultime 322 4-12-2006, 21:34:53 Barruel, Bossuet e la democrazia nel 1789 323

scorgeva una libertà pericolosa, tanto vaga nei suoi contenuti quanto suscettibile di interpretazioni estremiste. Perciò egli, verso la fi ne dell’articolo, esortava a non lasciarsi sedurre dalla parola “liberté” allora di moda e usata disinvoltamente per promettere un radioso avvenire: «un grand peuple» capace di riconoscere il suo «bonheur» nella «réunion du pouvoir législatif et du pouvoir exécutif» non poteva che stringersi intorno al monarca e sostenere i «droits» di quest’ultimo. Continuava Barruel: «Le mot de liberté ne lui impose pas; il a vu l’esclavage sous la loi de plu- sieurs plus que sous la loi d’un; sous celle du monarque, il sait être citoyen et sujet, sans jamais être esclave» (Esprit, p. 126). 2) Il re era un «père commun» (Esprit, pp. 96, 100), era il «père du peuple» (Esprit, p. 117), e i sudditi erano «ses enfans» (Esprit, p. 103), verso i quali egli eserci- tava la sua bontà e la sua sollecitudine19. La metafora, che non aveva nulla di originale, era stata riproposta insistentemente da Bossuet (qui non citato da Barruel). L’artico- lo III del libro III della Politique recava il titolo L’autorité royale est paternelle et son propre caractère c’est la bonté, e in esso si diceva che «l’on a fait les rois sur le modèle des pères»20 ; nel libro IV leggiamo che «le prince est par sa charge le père du peu- ple»21. Nel primo articolo riprodotto in Le patriote véridique Barruel, rimpiangendo un recente passato, aveva constatato che «nous ne sommes plus cette grande famille qui contemploit avec transport son père dans le premier des rois»22. All’assimilazione del potere monarchico al potere paterno s’apparentava il passo in cui l’autore, con- testando la tesi degli avversari secondo la quale esaltare la monarchia assoluta signifi - cava voler mettere tutti alla mercé di uno solo, osservava che non siamo noi a vivere per il sovrano, ma è il sovrano a vivere per noi (Esprit, p. 100). Anche in questo caso c’era un riferimento implicito a Bossuet, il quale aveva scritto che «le prince n’est pas né pour lui-même, mais pour le public»23; e poco oltre: «Puissent les princes entendre que leur vraie gloire est de n’être pas pour eux-mêmes»24. Durante la Rivoluzione i controrivoluzionari avrebbero spesso evocato il re-padre di famiglia, un’immagine che troviamo spesso anche in Italia. Nessuna originalità in Barruel, abbiamo detto prima; nessuna originalità nei controrivoluzionari, diciamo ora. Ma non si tratta di misurare il grado di originalità dell’uno o degli altri: si tratta piuttosto di segnalare la riattualizzazione di un tema tradizionale nel momento in cui l’autorità regia era in pe- ricolo (Barruel) o gravemente compromessa (i controrivoluzionari). Si andava in cer- ca di un motivo di legittimazione che rinvigorisse, o resuscitasse, un’autorità che non

sime la Princesse de Conti, Londres, Coghlan […], Alvisini di Farfa, rettore del Pontifi cio Collegio Gre- 1793, p. 473. All’altezza di queste parole Giulio co di Roma e dottore di s. teologia, 3 tomi, Roma ed Alvisini, traduttore dell’Histoire, inseriva una nota in Torino, Presso la Società de’ librai, 1795, t. III, che accentuava la condanna di Barruel: «Ella è que- pp. 138-139 (alla fi ne di ogni tomo: Nella stamperia sta la libertà che esenta l’uomo a proprio piacimen- Soffi etti). Questa edizione riproduceva l’edizione to da tutti i legami indispensabili della legge natu- romana del 1794-1795; cfr. il mio saggio L’“Histoire rale, sociale e cristiana, che tende a favorire tutte le du clergé” di Augustin Barruel (1793) e la traduzione passioni di una natura corrotta, a fargli scuotere il di Giulio Alvisini (1794-95), in Chiesa, laicità e vita giogo dell’autorità paterna, di una morale pura, di civile. Studi in onore di Guido Verucci, a cura di L. una religione santa, per quindi immergerlo in tutti Ceci e L. Demofonti, Roma, Carocci, 2005, pp. 23- i disordini dell’anarchia, in tutte le impudicizie, e 46. Nel saggio si indicano anche le altre traduzioni in tutti gli orrori del paganesimo e dell’ateismo. italiane dell’Histoire uscite negli anni novanta del È quella che sotto il mentito nome di libertà altro Settecento. non è in realtà, se non la licenza e un libertinaggio (19) Cfr. anche Esprit, pp.115,119 di spirito, di cuore e di condotta; poiché [i rivolu- (20) BOSSUET, Politique cit., p. 71. zio-nari] non lo adescano che con una libertà falsa, (21) BOSSUET, Politique cit., livre quatrième, arti- essendo eglino stessi gli schiavi della corruzione cle premier, IIIeme proposition, p. 96. che li domina»; Storia del clero di Francia in tempo (22) BARRUEL, Le patriote véridique cit., p. 27. della rivoluzione. Opera dedicata alla Nazione in- (23) BOSSUET, Politique cit., livre troisième, arti- glese dall’abate BARRUEL, elemosiniere di Sua Al- cle III, IIe proposition, p. 73. La frase che abbiamo tezza Serenissima la Principessa di Conty. Tradotta citato nel testo è il titolo della IIe proposition. dal francese con note e appendice dell’abate Giulio (24) Ivi, p. 74.

ultime 323 4-12-2006, 21:34:53 324 Luciano Guerci

soltanto era compromessa, ma addirittura annullata di fatto, come si levò a lamentare un coro di autori già nel 1790. E nel 1791, in un libro intitolato Question nationale sur l’autorité et sur les droits du peuple dans le gouvernement, Barruel avrebbe ripreso, guardando agli eventi che avevano confermato i suoi timori, le argomentazioni del 1789, e avrebbe sostenuto che si era ormai operato «un transfert de souveraineté de Dieu à la Nation»25. 3) La Francia era, nella sua essenza, una monarchia assoluta ereditaria, e tale doveva restare: De nos lois, il en est que rien ne peut changer, sans altérer la base du gouvernement mê- me. La France est un empire monarchique; c’est-à-dire, suivant l’expression même qui désigne nos rois, la France est un empire où un seul fait la loi, où un seul est le centre de toute autorité. La France est un empire héréditaire; et son sceptre, de génération en génération, appartient à l’aîné des enfans des nos rois (Esprit, pp. 96-97).

Era una convinta professione di fede monarchica; e Barruel si affrettava a pre- cisare che occorreva distinguere – cosa che non facevano gli scrittori ostili alla mo- narchia – tra monarca e despota: «Depuis quand – chiedeva agli avversari – les lois, l’autorité d’un seul n’ont-elles signifi é que ses fantaisies et ses caprices?» (Esprit, p. 100). Qualche riga dopo citava per la terza e ultima volta Bossuet allo scopo di dare maggior effi cacia alla sua confutazione: «Vous [gli avversari] vous croyez plus forts, plus près de la raison, lorsque vous ajoutez que la loi sous le sceptre d’un seul est la loi d’un pouvoir arbitraire. Vous vous trompez encore, et avant nous Bossuet se plaignoit que les factieux sans cesse affectent de confondre le pouvoir absolu avec cet arbitraire» (Esprit, pp. 100, 101). V’è da notare che Barruel accentuava la sua polemi- ca sostituendo con «les factieux» l’innocuo «plusieurs» di Bossuet26. A p.10 c’era un uso martellante dell’aggettivo «absolu» («pouvoir absolu», «rois absolus»), che com- pariva cinque volte accompagnato dalla ripetuta presa di distanze dall’«arbitraire» (assente il termine «despotisme»). A Barruel premeva soprattutto evidenziare che i re assoluti – a differenza dei despoti – obbedivano essi stessi alla legge: «L’arbitraire odieux soumet l’esclave, et ses biens et sa vie, à la volonté momentanée du despote; le pouvoir absolu soumet la volonté momentanée du prince à sa volonté réfl échie, c’est- à-dire, à la loi» (Esprit, p. 101). 4) Il re era tale per diritto divino. È appena il caso di notare che, se abbiamo distinto in cinque punti le argomentazioni di Barruel per rendere più chiaro il nostro discorso, tali punti sono in stretta connessione tra loro. Particolarmente stretta è la connessione fra i punti tre, quattro, cinque, che vanno considerati in una prospettiva unitaria e a loro volta non vanno isolati dai punti uno e due. Il richiamo alla Sacra scrittura si ricollegava alle parole di Bossuet citate all’inizio di De l’esprit des ouvra- ges, e, mentre facevano nuovamente ricorso a quella che agli occhi del nostro autore era la più alta legittimazione dell’autorità regia, intendevano dare solide fondamenta all’affermazione secondo la quale il monarca assoluto aveva per giudice soltanto Dio (Esprit, p. 101). Non stupisce che Barruel, dato il pubblico cui si rivolgeva, evitasse di

(25) La frase citata è di M. PERONNET, L’abbé l’accettare il giogo imperiale, troviamo il termine Barruel, “Inventeur du Jacobinisme”, in Idee e «majesté» in unione con «peuple»: «Où étoient-ils parole nel giacobinismo italiano, a cura di E. Pii, alors ces fi ers républicains? et qu’était-ce que cette Firenze, Centro Editoriale Toscano, 1990, p. 159. majesté d’un peuple né pour dicter la loi, non pour Si noti che nell’articolo di cui ci occupiamo Bar- la recevoir?». ruel non impiegava né il termine «souveraineté» (26) Il passo di Bossuet è in Politique cit., li- né l’espressione «souveraineté du peuple». A p. vre quatrième, article premier, p. 92. Barruel ha 126, in un passo fortemente polemico contro i anche aggiunto un «sans cesse» che non fi gura in «fi ers républicains» che a Roma avevano fi nito con Bossuet.

ultime 324 4-12-2006, 21:34:54 Barruel, Bossuet e la democrazia nel 1789 325

impegnarsi in approfondite ed erudite discussioni sul contratto sociale, sulla sovrani- tà del popolo, sul diritto di resistenza, sulle diverse interpretazioni relative al diritto divino dei re. Egli si limitava a sentenze apodittiche nelle quali riecheggiava il san Paolo della Lettera ai Romani: «Nos prophètes et nos apôtres vous disoient comme nous qu’il falloit craindre Dieu et honorer le roi; qu’il n’est point de puissance qui ne vienne de Dieu; que le prince est ministre de Dieu; qu’il faut lui obéir non seulement par crainte, mais aussi par devoir de conscience» (Esprit, pp. 101-102). Più avanti ri- cordava che il principe è «l’image de Dieu» (Esprit, p. 103), e che «le ciel met [le sceptre] dans la main des rois» (Esprit, p. 129). Né tutto ciò signifi cava in alcun modo «déifi er le pouvoir tyrannique» (Esprit, p. 102), ché anzi Dio minacciava i re malvagi dei più terribili castighi, secondo le parole del capitolo VI della Sapienza riprodotte dal nostro autore (Esprit, p. 102) senza segnalare che esse erano già state citate da Bossuet27. 5) La Francia aveva una costituzione. Barruel usava formule lapidarie: «nous avons une constitution»; «notre constitution est monarchique» (Esprit, p. 99). Pur sapendo benissimo che le cose stavano così, i «politiques modernes», ostili a una simile «constitution», non esitavano a mentire a sé e agli altri per condurre più facilmente la loro offensiva: «Ils n’osent pas dire qu’une constitution monarchique n’est pas dans leur esprit une constitution; ils disent qu’il n’est point de constitu- tion dans cette monarchie» (Esprit, p. 99). Se indubbiamente c’erano stati e c’era- no abusi, così come in tutti i governi, essi non dipendevano da una «constitution» che era «la plus propre à les réparer tous» (Esprit, p. 119). Dunque, si rimediasse agli abusi, imputabili ai vizi degli uomini, e si lasciasse intatta la costituzione. Barruel proponeva – e qui la sua proposta assumeva banali toni moralistici – che ognuno pensasse a migliorare sé stesso tornando alla religione: «Commençons par nous changer nous-mêmes, et cessons d’accuser notre constitution: elle est ce qu’elle fut pendant quatorze siècles»28. I «quatorze siècles» rimandavano all’anti- chità della costituzione e agivano quindi da fattore legittimante. Ma c’era di più: l’antichità provava che la costituzione era stata voluta da Dio. Si potrebbe dire che il tempo creava diritto: era una posizione antitetica a quella degli scrittori «anti- monarchiques» e a quella che avrebbero assunto in seguito i rivoluzionari, i quali non alla storia si richiamavano, bensì a una natura che non riconosceva validità ai condizionamenti del passato.

4. Dopo aver esaltato la monarchia assoluta, Barruel passava ad attaccare gli avversari: «Vous ne les voulez plus, ces lois que nos ancêtres recevoient des rois. Vous avez inventé des distinctions qui divisent le sceptre. Vous parlez aujourd’hui du pouvoir de législation e du pouvoir d’exécution. Il vous faut non des rois, vrais monarques, des rois législateurs, mais […] des rois populaires, c’est-à-dire des rois soumis aux décrets du peuple, de la seule multitude» (Esprit, p. 103). Poco oltre si parlava di una monarchia che sarebbe stata ridotta a un puro nome, con «vingt-cent millions de démocrates jaloux de leur monarque» (Esprit, p. 103). Barruel impiegava qui per la prima volta un termine appartenente alla famiglia etimologica di «dé- mocratie», e i termini «démocratie», «démocrate/es», «démocratique» sarebbero tornati dieci volte da p. 103 alla fi ne dell’articolo (p. 132). Se nel passo testé citato il nostro autore sembrava delineare una democrazia diretta29 («vingt-cinq millions de

(27) BOSSUET, Politique cit., livre troisième, arti- (29) È d’obbligo avvertire che «democrazia di- cle II, IVeme, proposition, p. 70. retta» è un’espressione anacronistica. Negli ul timi (28) L’esortazione a tornare alla religione è in decenni del Settecento essa non era usata; per Esprit, p. 120. Il breve passo che abbiamo citato designare ciò che oggi chiamiamo democrazia è ivi, p. 121. diretta si impiegavano le espressioni «democrazia

ultime 325 4-12-2006, 21:34:54 326 Luciano Guerci

démocrates»), bisogna tener conto del fatto che egli schematizzava, per presentarlo nella sua assurdità, l’orientamento dei «politiques modernes». Nelle righe successive il suo discorso si faceva più preciso, ed entrava in scena il raddoppio del numero dei deputati concesso al Terzo stato. Nel raddoppio consisteva il nucleo della «démocra- tie»: «Pour décider de la loi vous ne reconnoissez que le nombre des suffrages, ou la pluralité; vous contestez ensuite sur ce nombre; vous le doublez dans la classe du tiers, afi n qu’elle domine. Qui fera donc la loi dans votre empire, si ce n’est le tiers même? et si le tiers fait loi, que vous manque-t-il donc pour la démocratie?» (Esprit, p. 104). Le considerazioni sulla democrazia si completavano con il riferimento al voto «par tête» e non «par ordre» (Esprit, p. 105) reclamato dal Terzo stato, una questione che suscitava aspri contrasti e che sarebbe poi stata risolta a favore del Terzo. Bar- ruel legava dunque la democrazia alla doppia rappresentanza del Terzo e al voto per testa, due elementi che avrebbero conferito il predominio ai deputati non nobili. La democrazia si confi gurava come esercizio del potere legislativo da parte dei deputati del Terzo stato che, grazie al raddoppio e al voto per testa, avrebbero formato la maggioranza agli Stati generali pretendendo di rappresentare l’intera «nation». Se si volesse usare un’espressione ancora molto rara nel 1789, si potrebbe dire che una si- mile democrazia era una democrazia rappresentativa30. Del resto l’idea di democrazia rappresentativa, anche senza la denominazione corrispondente, andava guadagnando terreno. Aveva scritto l’ambasciatore veneto Antonio Capello fi n dal 19 gennaio 1789: «La grande questione, che ora si agita, è se debbasi votare per ordine o per testa. Il Delfi nato ha risolto di non inviare deputati agli Stati Generali, se non vi si deve opinar per testa. Se i principj, che il terzo Stato vuole adottati, hanno luogo, non può negarsi che la Francia si accosti a una repubblica democratica»31. In uno dei passi di Barruel che abbiamo citato sopra si parlava del «nombre des suffrages»; e sulla forza determinante del «nombre» egli insisteva nel corso del suo articolo, riferendosi ora ai deputati del Terzo ora al «peuple», alla «multitude». L’autore sembrava identifi care il potere dei deputati con quello del «peuple» in virtù del «nombre». Talvolta era la «multitude» ad avanzare in primo piano, ma occorre non perdere mai di vista quanto Barruel aveva osservato circa il raddoppio e il voto per testa. Cercando di interpretare il suo pensiero, non credo sia arbitrario affermare che egli avesse in mente la maggioranza dei deputati del Terzo che avrebbe governato con l’appoggio della «multitude» di cui aveva carpito il consenso. Per fugare il sospetto di voler «humilier le peuple» che le critiche all’arroganza del Terzo stato avrebbero potuto alimentare, Barruel si affrettava a rendere omaggio a «cette partie si précieuse à la nation» (Esprit, p. 104), ma non rinunciava a circo- scriverne le funzioni e le aspirazioni, come risulta dal discorso che, secondo il nostro autore, la nobiltà avrebbe dovuto pronunciare «quand le tiers demanda à lui seul la moitié des suffrages de toute la nation»32. Sarebbe stato opportuno che la nobiltà da

pura», «pura democrazia», «democrazia assoluta», (30) Sulla locuzione «democrazia rappresen- o semplicemente «democrazia». In proposito mi tativa» cfr. i miei due contributi citati nella nota permetto di rinviare al mio libro Istruire nelle verità precedente. repubblicane. La letteratura politica per il popolo (31) Dispaccio del 19 gennaio 1789, in I dispacci nell’Italia in rivoluzione (1796-1799), Bologna, il degli ambasciatori veneti alla corte di Francia duran- Mulino, 1999, cap. III, pp. 177-222; cfr. anche il te la Rivoluzione, editi da M. Kovalevsky, Torino, mio saggio Per una rifl essione sul dibattito politico Bocca, 1895, p. 11. Cfr. anche Venise et la Révolu- nell’Italia del triennio repubblicano, in «Storica», V, tion française. Les 470 dépêches des ambassadeurs de 14, 1999, pp. 133-134 (129-145), poi ripubblicato, Venise au doge, 1786-1795, a cura di A. Fontana, F. con alcune correzioni, in Universalismo e nazio- Furlan e G. Saro, Paris, Laffont, 1997, p. 261. nalità nell’esperienza del giacobinismo italiano, a (32) L’immaginario discorso fabbricato da Bar- cura di L. Lotti e R. Villari, Roma-Bari, Laterza, ruel è in Esprit, pp. 105-106. 2003, pp. 308-309 (305-321).

ultime 326 4-12-2006, 21:34:54 Barruel, Bossuet e la democrazia nel 1789 327

un lato avesse accettato il raddoppio quale giusto riconoscimento dell’importanza del ruolo del Terzo, dall’altro avesse fermamente rifi utato ogni velleità di imporre la democrazia. Nel passo che riportiamo qui appresso ricomparivano il «nombre», la «démocratie» (nel senso di democrazia rappresentativa), la «multitude»: «Si vous prétendez voir la loi dans le nombre, ce n’est plus pour nous soustraire, nous, à la démocratie, aux décrets de la multitude, c’est pour notre roi même que nous protes- terons, c’est pour l’honneur du trône que nous résisterons». Ma la nobiltà, essa pure imbevuta di idee antiassolutiste, aveva fatto venir meno il sostegno al re (Esprit, p. 102). Ecco allora Barruel volgersi al Terzo stato e giocare la carta della legittimazione della monarchia mostrando come quest’ultima si fosse sempre mostrata favorevole al «peuple». In un’infi ammata e accorata apostrofe ai «françois», egli rimproverava al «peuple» un «crime» che atteneva specifi camente a «votre classe», e che non poteva non apparire «étrange» (Esprit, p. 107). Si guardasse all’Est dell’Europa, al «tiers qui cultive les bords de la Vistule, du Danube, du Boristhène. Là le peuple n’est rien; il sème pour les grands, et recueille pour eux; là le peuple est soumis à leur verge de fer; il ignore pour lui les noms de liberté et de propriété; là le peuple est esclave; il est ce que vous fûtes, et que vous seriez encore sans vos rois» (Esprit, p. 107-108). Barruel riprendeva la thèse royale presentando i re di Francia come coloro che, combattendo la prepotenza della nobiltà, avevano via via risvegliato il Terzo stato dal nulla in cui vegetava. Da Luigi il Grosso a Luigi il Giovane, da Filippo il Bello a Luigi XVI la storia della Francia era la storia dell’ascesa del Terzo stato per iniziativa dei sovrani. Erano i sovrani che avevano garantito al popolo le «propriétés» e la «liberté»; ed erano i sovrani che avevano «anéanti ces milliers de despotes, cet empire de féodalité, ennemi perpétuel de vos acquisitions» (Esprit, p. 108). Quanto al presente, Luigi XVI avrebbe portato «le dernier coup aux ennemis de votre liberté» (Esprit, p. 109). Di- nanzi a tanti meriti che i re si erano guadagnati nel corso dei secoli, l’autore denuncia- va l’«ingratitude» del Terzo, che colpiva proprio quella monarchia cui tutto doveva (Esprit, pp. 109-110). Se ci si poteva magari aspettare che i nobili avessero «quelque ressentissement», e che contestassero «au sceptre un pouvoir qui les a rapprochés du niveau des bourgeois» (Esprit, p. 110), il comportamento del Terzo stato era scanda- loso. Barruel batteva e ribatteva sul tasto dell’ingratitudine: «C’est l’ingrat affranchi, qui de sa liberté se fait un premier titre contre son bienfaiteur; c’est l’esclave arraché par le sceptre à la verge de fer, et qui brise le sceptre, et qui lie la main qui délia ses chaînes»; di nuovo «notre ingratitude envers nos rois» veniva deplorata due righe dopo (Esprit, p. 110). A Barruel non restava che sperare nella parte del «peuple» che ancora amava il sovrano: «cette partie […] constitue vraiment le tiers», in essa si trovavano i «vrais françois» che nel loro cuore rifi utavano «l’innovation» (Esprit, p. 110). E tuttavia questo vero Terzo stato che l’autore si compiaceva d’immaginare per darsi coraggio era abbagliato da «écrivains», «orateurs», «tribuns». Nell’ambito dello schema ma- nipolati-manipolatori, che aveva una lunga tradizione e sarebbe stato rinverdito dai controrivoluzionari, tornava alla ribalta il ruolo negativo del «nombre»: si condanna- va la lusinga consistente nel proclamare «que le nombre fait loi, qu’il n’est point de vraie loi sans la sanction du nombre aux états généraux» (Esprit, p. 110-111). Parole, queste ultime, il cui bersaglio polemico era chiaramente la maggioranza formata dai deputati non nobili. L’autore non riusciva proprio ad accettare il principio di maggio- ranza connesso con il suffragio dei singoli (il voto per testa); segno che tale principio non era allora così ovvio come oggi pare a noi33.

(33) Indispensabili i due studi di E. RUFFINI, ragione dei più. Ricerche sulla storia del principio Il principio maggioritario. Profi lo storico, Milano, maggioritario, Bologna, il Mulino, 1977. Adelphi, 1976 (1ª ed. Torino, Bocca, 1927), e La

ultime 327 4-12-2006, 21:34:54 328 Luciano Guerci

Bisognava disingannare non soltanto il vero Terzo stato, ma anche coloro che lo ingannavano. Barruel si assegnava dunque un nuovo compito da assolvere. Per assolverlo attaccava con veemenza il «siècle de lumières». La frase «vous nous parlez d’un siècle de lumières» compariva quattro volte alle pp. 111-113, sempre con signi- fi cato peggiorativo34. Se non veniva menzionata la «philosophie», non c’è dubbio che le «lumières» fossero quelle della «philosopie», o meglio del «philosophisme», come dicevano spregiativamente i nemici dei «philosophes» per distinguere la vera dalla falsa «philosophie». Del resto già nelle Helviennes (1781-1788) Barruel aveva dichia- rato guerra ai «philosophes» suoi contemporanei; e i due articoli che in Le patriote véridique precedevano quello di cui ci stiamo occupando recavano titoli che vale la pena di citare: il primo s’intitolava Infl uence des mœurs et du philosophisme sur les événemens actuels (pp. 7-38); il secondo, Discours sur l’infl uence du sacerdoce sur les progrès de la corruption des mœurs et du philosophisme; su la nécessité de réformer en France les abus du clergé (pp. 37-89). Nel primo articolo era già stato enunciato il tema che sarebbe stato ampiamente sviluppato nel terzo, e agli «hommes qui se croient philosophes» era stato attribuito il tentativo di «diviser un sceptre dont ils [nos pères] avoient su faire le centre de leur force et de leur gloire»35. «Cette philosophie ennemie de nos rois» era stata anatemiz- zata nelle righe successive36. Ora Barruel stabiliva uno stretto rapporto tra il «siècle de lumières» e la rivendicazione del potere legislativo da parte del Terzo stato, né mancava di sottolineare che nel «siècle de lumières» si era scatenata l’offensiva sia contro l’altare sia contro il trono:

Vous nous parlez d’un siècle de lumières! mais ce siècle est celui qui n’enfanta d’abord contre l’autel que des contradictions, des absurdités, des blasphèmes, des systêmes tous des- tructeurs les uns des autres; qui suggéra sans fi n des moyens de détruire, pas un seul pour remplacer; qui aujourd’hui s’en prend au sceptre […]; mais ce siècle applaudit à tout, pourvu que le sceptre ne soit plus ce qu’il fut pour nos ancêtres (Esprit, p. 113).

«Cette philosophie ennemie du trône autant que de l’autel» era stata altamente biasimata nel primo articolo, che si chiudeva votando all’obbrobrio «une philosophie désastreuse»37. Nel terzo articolo Barruel diceva esplicitamente che le «lumières» erano in realtà «fausses lumières», prospettando il trinomio «nombre-confusion- fausses lumières»: «L’ouvrage du nombre sera toujours celui de la confusion et des fausses lumières, dans des têtes et des individus qui n’ont vu de l’état que de parcel- les» (Esprit, p. 112). Poiché l’autore aveva sostenuto nelle righe precedenti che gli scrittori antimonarchici miravano a trasferire «le sceptre de la loi à la multitude», sembrerebbe che nella frase citata egli avesse in mente la democrazia diretta. In realtà il suo discorso oscillava continuamente tra deputati e popolo, rivelando una tensione irrisolta di cui ci sono tracce anche più avanti. A proposito dei «philosophes», non sarà inutile ricordare che nell’Histoire du clergé del 1793 essi sarebbero stati consi- derati responsabili della Rivoluzione, dato che i rivoluzionari si erano formati alla loro scuola e ne avevano attuato gli insegnamenti. I crimini dei rivoluzionari erano

(34) Le quattro occorrenze di «siècle de lu- Spitz GmbH, 2002, p. 71, nota 148 (pp. 59-83). Il mières» nell’articolo di Barruel sono state già contesto in cui si situano tali occorrenze non è stato segnalate da D. VENTURINO, L’historiographie révo- preso in considerazione da Venturino poiché esa- lutionnaire française et les Lumières, de Paul Buchez minarlo non rientrava nell’ambito del saggio. à Albert Sorel. Suivi d’une appendice sur la genèse (35) BARRUEL, Le patriote véridique cit., p. 27. de l’expression «siècle des lumières» (XVIIIe-XXe (36) Ivi, p. 28. siècles), in Historiographie et usages des Lumières, (37) Ivi, pp. 34, 36. édité par G. Ricuperati, Berlin, Berlin Verlag Arno

ultime 328 4-12-2006, 21:34:55 Barruel, Bossuet e la democrazia nel 1789 329

anche crimini dei «philosophes»; di qui le espressioni «philosophiques assassinats», «bourreaux philosophes», «atroce sang froid du philosophisme», «philosophisme révolutionnaire», che l’autore impiegava nel quadro di attacchi furibondi a Voltaire, Diderot, Rousseau, nonché ai loro sodali e discepoli38. Nella stessa Histoire du clergé ricorreva continuamente l’espressione «double conspiration» con la quale si desi- gnavano le trame tessute da «philosophes» e rivoluzionari per distruggere l’altare e il trono39.

5. Parlare delle «lumières» offriva a Barruel l’occasione di parlare dell’Inghil- terra (Esprit, pp. 113-115), della quale gli scrittori che egli confutava vantavano ap- punto le «lumières». Bisogna avvertire che il modello inglese sarebbe presto tramon- tato, e che la scelta del monocameralismo, nel settembre del 1789, avrebbe segnato la sua scomparsa e l’uscita di scena dei «monarchiens» raccolti intorno a Mounier. Ma nell’aprile del 1789 la «constitution angloise» era in gran voga. Ciò non piaceva per nulla al nostro autore, il quale, mettendo a confronto Inghilterra e Francia, in- neggiava alla superiorità della seconda, mentre la prima gli appariva guastata da vizi profondi: un debito pubblico enorme, delle «taxes inconcevables», una costituzione che aveva fatto scorrere fi umi di sangue. Quanto ai poteri del re, Barruel s’invischiava in contraddizioni. Da un lato asseriva che il re d’Inghilterra, dotato della prerogativa di «empêcher la loi d’exister», aveva un ruolo essenziale che dimostrava l’insensa- tezza degli anglofi li francesi smaniosi di privare il loro sovrano del potere legislativo; dall’altro presentava un «roi doge» in balia del Parlamento: i monarchi inglesi erano «des rois humiliés», diversissimi dai re assoluti che in Francia si occupavano senza sosta del bene del popolo (il popolo francese «voit son père sur le trône»). I casi della vita – si sa – sono vari e imprevedibili, soprattutto in tempi di rivoluzione. Scampato fortunosamente all’arresto, Barruel si sarebbe rifugiato, nel settembre del 1792, pro- prio in Inghilterra, dove avrebbe composto e pubblicato l’Histoire du clergé. L’opera era dedicata «à la Nation angloise» e si apriva con un caloroso indirizzo Aux Anglois; verso la fi ne si portava alle stelle la generosità con cui gli inglesi di tutti gli strati sociali avevano accolto gli ecclesiastici francesi perseguitati40. Barruel metteva in guardia dai «rois humiliés» (Esprit, p. 115 sgg.). Spogliati del potere legislativo, ma investiti del potere esecutivo che conferiva loro il comando delle forze armate, essi non pensavano che a ricuperare il potere perduto. Se ci fossero riu- sciti, sarebbero divenuti tiranni per vendicarsi: davvero un bel guadagno per i nemici della monarchia. «Nos pères – osservava l’autore che trovava modo di lodare ancora una volta la monarchia assoluta – savoient que le frein d’un grand roi est l’amour des sujets, la confi ance mutuelle entre le peuple et le monarque; ils savoient que d’un roi toujours humilié, toujours contrarié et toujours resserré, à un tyran des peuples, il n’y jamais loin» (Esprit, pp. 116-117). Seguiva la condanna della democrazia formulata in termini scontati: «Si les tribuns triomphent, ils se divisent; […] nulle part l’histoire ne montre tant de troubles, et tant de tyrannie que chez les démocrates» (Esprit, p. 118). Il tono diventava solenne, e Barruel si elevava alla profezia: «Malheur à nos enfans, si du sang de nos rois il en sorte jamais un qui se trouve privé, contre son gré, des droits d’un vrai monarque! Et il viendra ce roi: nous connoissons peu l’homme, si nous ne croyons pas le voir naître bientôt» (Esprit, p. 117). Si tenesse conto di ciò che insegna- va il passato: «Je n’ai pas oublié les Césars, les Cromwels, et tous ces grands vengeurs des trônes humiliés par la démocratie» (Esprit, p. 118). Barruel visse abbastanza a lungo (morì nel 1820) per assistere al trionfo e alla caduta di Napoleone, che ben

(38) BARRUEL, Histoire du clergé cit., pp. 501-503. L’“Histoire du clergé” di Augustin Barruel cit., pp. 27-33. (39) Sulla «double conspiration» cfr. L. GUERCI, (40) BARRUEL, Histoire du clergé cit., pp. 566-586.

ultime 329 4-12-2006, 21:34:55 330 Luciano Guerci

poteva collocarsi accanto a Cesare e Cromwell; anche Napoleone era un «vengeur des trônes», e Barruel, dopo la sconvolgente esperienza rivoluzionaria, scelse di adottare nei suoi confronti un atteggiamento conciliante.

6. Di quella che si può considerare la seconda parte dell’articolo (Esprit, pp. 118-132) indicheremo soltanto alcuni aspetti salienti. I contrasti che il nostro autore aveva sotto gli occhi gli sembravano forieri di contrasti ancora più aspri e perico- losi: «Je vois dans l’avenir un levain de discorde entre le prince et les sujets, entre les riches et les pauvres, entre les comices des provinces et les comices de la nation, entre le centre et les extrémités» (Esprit, p. 118). Ciò sarebbe accaduto se fosse stato indebolito un «roi [qui] unissait tout, protégeait tout, décidait tout» (Esprit, pp. 118- 119). Di qui un ennesimo elogio della «constitution» della Francia, accompagnato dall’allarmata denuncia delle rovinose conseguenze della violazione di essa: «Cette constitution violée dans son essence même, la division des cœurs prête à suivre celle des pouvoirs, n’est-ce pas là le plus grand et le plus funeste des abus!» (Esprit, p. 119). Difendendosi vigorosamente dall’accusa di essere «l’esclave des rois et l’ami des ministres» (Esprit, p. 121), Barruel accusava a sua volta i «fanatiques du jour» di agire contro gli interessi del popolo. La sua collera investiva tutti i gruppi che volevano limitare i poteri del re: «C’est vous, aristocrate, républicain ou démocrate, qui êtes l’ennemi et du peuple et du roi. Voyez les factions que vous avez fait naître» (Esprit, p. 122). Discordie e rivalità laceravano il paese, non lasciando presagire nulla di buono per i futuri Stati generali (Esprit, pp. 122-123). Né il clero era rimasto immune dal contagio: «L’esprit démocratique s’est montré jusque dans les ministres des autels. Les pasteurs secondaires ont semblé conspirer41 contre les pasteurs du premier or- dre» (Esprit, p. 123). Per comprendere ciò che Barruel diceva dei «pasteurs secon- daires», cioè del basso clero(Esprit, pp. 123-124), è indispensabile tener presente che, specialmente su impulso di Necker, il basso clero era stato ammesso a partecipare agli Stati generali in deroga alle norme tradizionali relative alla composizione degli Stati stessi. Nel 1791 il conte d’Antraigues, che dal risoluto antiassolutismo testimo- niato dal Mémoire sur les États-généraux (un’opera che Barruel citava tra gli scritti da confutare) era passato a un’apologia oltranzista dell’assolutismo, avrebbe aspramente rimproverato a Necker di aver di fatto triplicato la rappresentanza del Terzo stato, poiché i membri del basso clero erano di estrazione non nobile: N’étoit-il pas clair – osserva indignato Antraigues – que la démocratie étoit établie par les seules lettres de convocation? La représentation du tiers-état étoit doublée, et M. Necker l’avoit triplée par la manière dont il composoit les assemblées électives du clergé. […] M. Nec- ker […] appella aux assemblées primaires tous les prêtres du royaume, et dès lors le clergé ne fut plus qu’une division du tiers-état42.

«Comme l’état, l’église a eu son tiers», scriveva due anni prima Barruel, che te- meva «l’insubordination incostitutionnelle43 dans l’église, la rivalité doublement scan-

(41) L’autore aveva usato «conspiration» a p. 33. ve à Paris, Chez l’auteur, […] et chez tous les mar- Nell’articolo non c’erano altre occorrenze del chands de nouveautés, 1791, pp. 79-80. «Audainel» termine «conspiration». Nelle Helviennes Barruel era l’anagramma di de Launay (Emmanuel-Louis- aveva denunciato la «conspiration» dei «philo- Henri-Alexandre de Launay, conte d’Antraigues). sophes» contro l’altare e il trono. (43) «Inconstitutionnelle» signifi ca qui «contraria (42) Dénonciation aux françois catholiques, des alla “constitution” della Chiesa», che prevedeva moyens employés par l’Assemblée Nationale pour gerarchie nettamente defi nite. Generalmente si détruire en France la religion catholique. Par H.-A. parlava, riguardo alla Chiesa, non di «constitu- AUDAINEL, A Londres, Chez Edward […], et se trou- tion», bensì di «discipline».

ultime 330 4-12-2006, 21:34:55 Barruel, Bossuet e la democrazia nel 1789 331

daleuse entre l’apostolat et le simple sacerdoce» (Esprit, pp. 123-124). Nel secondo articolo pubblicato in Le patriote véridique Barruel, che pure non era tenero con gli «abus du clergé» e ne proponeva un’incisiva «réforme», disapprovava «l’esprit domi- nant aujourd’hui, contre le haut clergé». «Cet esprit – precisava – tient furieusement à une hérésie que je déteste, et qui, contre la foi, contre nos canons et nos dogmes, regarde les curés comme les égaux des évêques»44. Punti di riferimento non potevano che essere i decreti del Concilio di Trento. E l’autore continuava: «Je dirai en son lieu ce que je pense de la démocratie qu’on cherche à introduire dans l’église, démocratie qui suppose une ignorance coupable dans ceux qui s’y prêtent, et qui doit troubler la conscience des prêtres sur-tout, qui la seconderoient parmi nos catholiques; elle est le caractère dominant des hérésiarques»45. Bersaglio della veemente polemica di Barruel erano le posizioni richeriste46 (o parrochiste) diffuse nel basso clero, posizioni che erano condivise da una parte dai giansenisti. La questione del richerismo è molto complessa, e non è questa la sede per esaminarla. Basti rammentare che solo molto parzial- mente le istanze richeriste furono accolte dalla costituzione civile del clero approvata dall’Assemblea nazionale il 12 luglio 179147.

7. Barruel insisteva sui confl itti tra i gruppi e guardava con apprensione all’avvenire, paventando che «sur les ruines de la monarchie» s’innalzasse «le simulacre de la démocratie» (Esprit, p. 125). Ripetutamente evocava il pericolo proveniente dalla «multitude» e dalla preponderanza del «nombre», ma al tempo stesso scorgeva acutamente la «funeste infl uence» dei «tribuns», cioè dei capi, «ces hommes verbeux, jaloux de jouer un rôle, toujours prêts à monter sur la tribune de sédition, dont ils ont fait leur trône» (Esprit, p. 128). I capi avrebbero domina- to: «Et où passeroit-il, ce sceptre de la loi, en échappant au prince? Le seul mot d’états-généraux fl atte notre orgueil; lorsqu’ils parlent, nous croyons parler par nos représentans»48, ma in pratica «dix à douze dominent, cent autres les jalousent, et la multitude se laisse entraîner, tantôt par les uns et tantôt par les autres» (Esprit, p. 127). Del dominio dei capi, che era un topos dei critici della democrazia, avreb- bero trattato, con accentuazioni diverse, gli scrittori controrivoluzionari (nel 1790 Burke avrebbe dedicato ai leaders osservazioni perspicaci). Che cosa avrebbero fatto i «tribuns» in futuro? Lo spirito polemico aguzzava la vista di Barruel, le cui previsioni erano tutt’altro che fantasiose: i capi che si volgevano allora «contre le souverain» si sarebbero volti domani «contre les sénateurs» (probabilmente i mem- bri di una Camera alta che il nostro autore ipotizzava), poi «contre le sacerdoce ou la noblesse»; «ils renverseront tout, n’établiront pas mieux […]. Ne souffrant point de joug, aimant à l’imposer, ils seroient nos despotes sur le trône, comme ils le sont dans nos sociétés» (Esprit, p. 129). Parole come queste racchiudevano alcuni dei temi fondamentali di quella che sarebbe stata la critica controrivoluzionaria della Rivoluzione francese; e se consideriamo la prospettiva in cui si situava Barruel, appassionato difensore dell’assolutismo e dell’Ancien Régime, non possiamo che rendere omaggio alla sua lucidità. Aggiungiamo che gli scrittori controrivoluzionari compresero tempestivamente il signifi cato di ciò che stava accadendo: ciò che stava accadendo – e che essi denunciarono senza tregua – era la demolizione dell’Ancien

(44) BARRUEL, Le patriote véridique cit., p. 87. civile du Clergé. Le développement du richérisme. (45) Ivi, p. 88. Sa propagation dans le Bas Clergé, 1718-1791, Paris, (46) Da Edmond Richer, autore del Libellus de Gamber, 1929. ecclesiastica et politica potestate, 1611. (48) Barruel usava due volte il termine «repré- (47) Tuttora prezioso è il libro di E. PRÉCLIN, sentans» in Esprit, p. 127. Sono le sole due occor- Les Jansénistes du XVIIIe siècle et la Constitution renze del termine.

ultime 331 4-12-2006, 21:34:55 332 Luciano Guerci

Régime. Crollava un mondo plurisecolare, cosa di cui si accorsero con sgomento, fi n dal 1790, anche i controrivoluzionari italiani. Dinanzi a un avvenire tanto fosco Barruel non trovava di meglio che rifugiarsi in un atto di fede. Pertanto si diceva certo che il popolo si sarebbe riscosso dall’illu- sione in cui si cullava e non avrebbe permesso la distruzione della monarchia: «Non, vous n’attendrez pas qu’une triste et plus longue expérience dissipe le prestige. Vous n’arracherez pas à vos monarques le sceptre de la loi; vous ne forcerez pas vos rois à jalouser le peuple et ses tribuns» (Esprit, pp. 129-130). Sembrano certezze enunciate per esorcizzare certezze opposte. Poco oltre, dopo aver nuovamente esibito i pregi della monarchia assoluta al fi ne di disingannare un «peuple» che improvvisamente, sotto la penna dell’autore, diventava «généreux»49, Barruel inseriva un dubbio me- diante un «peut-être» rivelatore: «Ce peuple trop léger réfl échira peut-être, il verra qu’il lui faut un prince devant qui tous ses tyrans fl échissent» (Esprit, p. 130). Veniva qui riproposta l’alleanza tra sovrano e popolo, alleanza che Barruel si sforzava di credere fosse impossibile infrangere. Nelle righe successive l’opera di convincimento – o di autoconvincimento – continuava allontanando ogni perplessità. E con la pro- clamazione di una certezza perseguita caparbiamente si concludeva l’articolo. È una conclusione che riportiamo per intero perché essa riassume molte delle idee dell’au- tore affi dandole a un lessico che siamo venuti via via esaminando: Nous concevrons enfi n que, si un peu de philosophie nous révolte d’abord contre la loi d’un seul, beaucoup de vraie philosophie nous révolte bien plus contre la loi du nombre; sans doute un sentiment propice à notre orgueil nous fait toujours pencher vers la démocratie; mais la réfl exion qui fonde le bonheur des empires sur la paix, et la paix elle-même sur la réunion de la force et de l’autorité; la réfl exion, dis-je, ne laisse au démocrate que ses déclamations, et rend à nos monarques le sceptre de la loi (Esprit, pp. 130-131).

Queste parole erano seguite da un breve N.B. (Esprit, pp. 131-132) in cui si ac- cennava a «quelques opinions» circa il matrimonio dei preti e il divorzio «que l’on n’a pas manqué de ressusciter à l’occasion des états-genéraux». L’autore se la sbrigava in fretta, rimandando chi avesse voluto saperne di più al tomo quinto delle Helvien- nes e condannando duramente, come c’era da aspettarsi, sia il matrimonio dei preti sia il divorzio50. Accettare l’uno e l’altro equivaleva a «renoncer à Jésus-Christ» e a provocare «le bouleversement total de notre discipline». E poi, che cosa c’entravano tali questioni con gli Stati generali? Potevano forse questi ultimi rendere legittimo il «bouleversement» evocato dall’autore? Barruel indicava una sfera di competenza della Chiesa che egli riteneva intangibile. Eppure ciò che Barruel non s’immaginava – o non voleva immaginarsi – fu attuato dall’Assemblea nazionale con i provvedimen- ti in materia ecclesiastica, e dall’Assemblea legislativa, nella sua ultima seduta, con la legge sul divorzio del 20 settembre 1792. Il breve N.B. terminava con una rapida ma intransigente difesa dell’immunità dei beni ecclesiastici, che era «l’immunité du pauvre, et la charge du prêtre». Anche in questo caso la bufera rivoluzionaria travolse ogni ostacolo. Tale bufera Barruel l’aveva per certi versi annunciata. Del suo chiaro- veggente pessimismo occorre dargli atto.

LUCIANO GUERCI

(49) «Ce peuple généreux ne contestera pas la (50) Nel 1789 Barruel pubblicò un libro apposi- législation à ceux qui tant de fois l’exercèrent pour to contro il divorzio, le Lettres sur le divorce. lui»; Esprit, p.130.

ultime 332 4-12-2006, 21:34:56 Il principio di autorità in tre tragedie di Antoine-Marin Le Mierre 333 Il principio di autorità in tre tragedie di Antoine-Marin Le Mierre

Antoine-Marin Le Mierre nacque a Parigi nel 17331. Di umili origini, ricevette una buona istruzione grazie ai sacrifi ci della sua famiglia. Dopo aver studiato presso il Collège Louis Le Grand, dove fu allievo del celebre Padre Poré, ottenne la prote- zione dell’appaltatore d’imposte Dupin, del quale divenne il segretario. Nel salotto di Dupin Le Mierre conobbe Rousseau, che nelle Confessions ricorda di aver incontrato l’allora giovane scrittore, defi nendolo semplicemente scribe di Dupin. Le Mierre fu un poeta apprezzato, insignito per quattro volte del premio dell’Académie Française per i poemi La tendresse de Louis XIV pour sa famille, L’Empire de la mode, Les hom- mes unis par les talents e Le Commerce. Le Mierre scrisse anche due poemi didascalici, La Peinture (1769) e Les Fastes (1779), ma è come tragediografo che ottenne i mag- giori consensi. Nel 1781, alla morte dell’abate Batteux, venne accolto all’Académie Française. Le Mierre morì nel 1793, in seguito a un progressivo declino psico-fi sico, dovuto alla sofferenza causatagli dagli eccessi di violenza e orrore della Rivoluzione2. A chi lamentava la sua improduttività artistica, il poeta rispondeva che ormai non era più necessario scrivere tragedie poiché, diceva, «la tragédie court les rues»3. Il dolore mortale provato dal poeta a causa della Rivoluzione è di per sé decisamente indica- tivo di quanto gli stessero a cuore le vicende storiche e politiche e, più in generale, i rapporti con il potere. Nelle sue tragedie egli prese di mira differenti tipologie di autorità, in particolare quella paterna, quella politica e quella religiosa. Ogni forma di auctoritas da lui attaccata coinvolge anche le altre, trascinando con sé una crisi generale degli equilibri di potere. La forza, esercitata nelle sue molteplici sfumature, investe infatti tutte le sfere di vita e di attività dell’uomo. La prepotenza della patria potestas è al centro dell’Hypermnestre, tragedia in cin- que atti del 1758. In Francia quest’opera fu accolta con entusiasmo e in Italia venne tradotta e pubblicata a Bergamo e poi messa in scena nella stessa città, dalla contessa Paolina Grismondi4, ottenendo elogi e apprezzamenti. Re Danao, per vendicarsi del fratello Egitto, colpevole di aver usurpato un trono che gli apparteneva, concede in matrimonio le sue cinquanta fi glie ai nipoti, fi gli di Egitto stesso, ordinando alle fan- ciulle di uccidere i loro mariti la prima notte di nozze. Al fi ne di convincere le spose della necessità di consumare tali atroci delitti, Danao inventa un oracolo, secondo il

(1) Per una biografi a completa di Le Mierre si pseudonimo arcade di Lesbia Cidonia, Le Mierre consulti A.-M. LE MIERRE, Œuvres complètes pré- intrattenne una cordiale corrispondenza epistolare cédées d’une notice sur la vie et les ouvrages de cet tra il 1776 (anno della rappresentazione dell’Iper- auteur par R. Perin, Paris, Maugeret, 1810, tome I. mestra) e il 1788. Essi, inoltre, ebbero modo di in- (2) Ecco quanto scrive a tal proposito il suo contrarsi durante il viaggio della contessa a Parigi, biografo René Perin: «les horreurs de la Révolution nel 1778. In occasione della felice rappresentazione Française le frappèrent d’épouvante et il mourut della propria tragedia sulle scene bergamasche, Le avec le regret d’avoir eu besoin de cette fatale Mierre dedicò a Paolina i seguenti versi: «Illustre et expérience, pour connaître combien les principes divine inconnuë | mes vers sont embellis par vous de la philosophie moderne sont dangereux, lorsque | je porte mon front dans la nuë | vous m’aurès fait le peuple, devenu souverain, se charge d’en tirer mille jaloux. | Recevès mon hymne, elle est duë | A toutes les conséquences» A.-M. LE MIERRE, op. des talens si precieux | Loin de moi le Ciel Vous cit., p. CLIX. fi t naitre | Soyès pour moi semblable aux Dieux | (3) P.-A.VEILLARD, Notices biographiques sur Le- Qu’on adore sans les connoitre». Foglio conservato mercier et Lemierre, Paris, Duverger, 1842, p. 7. alla Biblioteca Angelo Mai di Bergamo, nel fondo (4) Con questa nobildonna, meglio nota con lo manoscritti della contessa Grismondi.

ultime 333 4-12-2006, 21:34:56 334 Wilma Proglio

quale egli dovrà perire per mano di un genero. Solo Ipermestra rifi uta di obbedire all’ordine del padre. A determinare le sorti della vicenda interviene il popolo, che con una sommossa libera i due giovani e induce il sovrano a darsi la morte. L’intera storia è contenuta nelle Heroïdes di Ovidio, in una lettera di Ipermestra al marito Linceo. Anche Metastasio scrisse un’Ipermestra, nel 1744, ma la sua opera presenta tratti molto diversi da quella di Le Mierre. Nel dramma dell’autore italiano, infatti, la minaccia dell’oracolo che incombe su Danao è autentica e lo scontro tra Ipermestra e il padre è poco marcato. Si leggano, ad esempio, le seguenti parole che l’Ipermestra metastasiana rivolge al genitore:

Signor, se giova che tutto il sangue mio per te si versi; se i popoli soggetti, se la patria è in periglio, e può salvarla il mio morir, vadasi all’ara: io stessa il colpo affretterò; non mi vedrai impallidir sino al momento estremo. Ma, se chiedi un delitto, è vero, io tremo5.

Essa non abbandona mai il suo contegno e il suo ossequio nei confronti di Da- nao e, combattuta tra un’aborrita obbedienza al padre e l’amore per lo sposo, non prende posizioni nette. Nell’incertezza evita il dialogo con Linceo, fi no ad arrivare a farlo dubitare dei suoi sentimenti e a suscitare in lui un’immotivata gelosia, fomentata da Danao stesso nell’intento di depistare il genero. L’Ipermestra di Le Mierre, invece, osa opporsi manifestamente al padre e alla brutalità di quanto egli esige:

Qui? moi, croire servir mon pere En levant sur Lyncée une main meurtriere? La nature m’armer contre l’hymen? ah! dieux! Je serois à la fois l’opprobre de tous deux. […] Quoi! prendre sans pitié vos gendres pour victimes! Quoi! demander, pour mieux assurer leur trépas… Non, vous-même, seigneur, ne vous connoissez pas: Sans reculer d’horreur me verriez-vous sanglante Du fl anc de mon époux retirer dégouttante La main, la même main qu’aux yeux des immortels Je lui viens d’engager par des nœuds solennels?

Quel calme attendez-vous de cet affreux carnage?6.

La conclusione del dramma di Metastasio è molto meno amara di quella della tragedia francese. Mentre il Danao di Le Mierre, infatti, si uccide per orgoglio, il Danao metastasiano si lascia commuovere dai buoni sentimenti della fi glia e del suo sposo e cede loro la corona. Nel dramma italiano, inoltre, manca l’azione omicida del- le sorelle di Ipermestra e non c’è traccia di insurrezione del popolo contro re Danao. L’Ipermestra di Le Mierre, a differenza di quella di Metastasio, è una donna volitiva e determinata. Essa è la prima a non credere all’oracolo e afferma che il futuro non

(5) P. METASTASIO, Opere, a cura di F. Nicolini, Carlo di Lorena. Bari, Laterza, 1914, vol. 4, p. 257. Metastasio scris- (6) A.-M. LE MIERRE, Œuvres choisies, Paris, se l’Ipermestra a Vienna, in occasione delle nozze di Didot, 1811, tome I, p. 20. Marianna, arciduchessa d’Austria, con il principe

ultime 334 4-12-2006, 21:34:56 Il principio di autorità in tre tragedie di Antoine-Marin Le Mierre 335

si deve scrutare nel volo degli uccelli o nelle interiora degli animali sacrifi cati, bensì negli occhi e nel cuore degli uomini:

Dans le fl anc des taureaux l’œil est trop abusé, C’est au front des mortels ouvert ou déguisé Que toute vérité se cache ou se présente, Et qu’on doit de son sort déterminer l’attente7.

Lo stesso Danao non crede nel valore delle profezie, poiché la stessa che lo ri- guarda è in realtà una sua invenzione, necessaria per legittimare agli occhi delle fi glie e poi del popolo l’omicidio dei cinquanta generi. L’oracolo è dunque uno strumento del quale il re si serve per governare, anche se ciò apparentemente lo fa sembrare ingenuo come un qualsiasi uomo del popolo:

J’ai le peuple à tromper encor plus que mes fi lles: Pour subjuguer le peuple et pour mieux l’aveugler, Souvent en apparence il faut lui ressembler8.

Questo tipo di potere politico, fondato sull’inganno e sulla prevaricazione, pre- senta forti analogie con quello esercitato da Gessler nella tragedia Guillaume Tell. Di essa esistono più versioni (1766, 1776, 1786, 1793), ma qui si prenderà in consi- derazione solo la prima. Questa tragedia ha per oggetto l’insurrezione che il popolo svizzero condusse, nel XIV secolo, contro la dominazione austriaca. L’imperatore Al- berto pose come governatore della Svizzera lo spietato Gessler, che incuteva terrore alla popolazione con il suo infl essibile dispotismo e le sue leggi arbitrarie. L’infallibile arciere Guglielmo Tell si mise dunque alla guida di un gruppo di congiurati, decisi a liberarsi a ogni costo dal giogo della tirannia. Sospettando una potenziale ribellione della popolazione, Gessler strinse ancor di più il pugno e pose il suo cappello al cen- tro della piazza di Altdorf, imponendo alla cittadinanza di prostrarsi di fronte a esso. Avendo rifi utato di sottostare a questo comando capriccioso, Tell venne arrestato e sfi dato dal governatore, il quale gli promise di rilasciarlo qualora egli, in virtù della sua fama di arciere, fosse riuscito a trafi ggere con una freccia una mela posta sul capo di suo fi glio. Superata la prova, Tell minacciò di voler uccidere il tiranno, il quale si vendicò, facendo condurre l’arciere in una prigione al di là del lago. Durante la tra- versata, tuttavia, si scatenò una terribile tempesta e Gessler si trovò costretto a cedere il comando della barca a Tell, abile timoniere, per impedire alla barca di affondare. Una volta in salvo sulla riva, Tell scoccò una freccia che raggiunse mortalmente il governatore. La prima versione di questa tragedia venne accolta freddamente, mentre riscos- se un grande successo quando venne riproposta sulle scene nel 1786. La ragione di questo mutamento di opinione da parte degli spettatori è da ricercarsi nell’istinto drammatico di Le Mierre, il quale in quell’occasione fece trepidare di emozione il suo pubblico, dal momento che «[il] eut l’idée de représenter sur le théâtre Guillaume Tell abattant la pomme sur la tête de son fi ls»9. Sappiamo che Le Mierre si pentì di aver scritto questa tragedia, poiché a suo dire essa contribuì ad alimentare lo spirito rivoluzionario francese. Il biografo Fayolle scrisse a tal proposito: «au commencement de 1793 il [Le Mierre] disoit “je me re-

(7) Ivi, p. 16. la Renaissance au Romantisme, Paris, Boivin et C.ie, (8) Ivi, p. 13. 1935, tome IX, p. 173. (9) E. FAGUET, Histoire de la poésie française de

ultime 335 4-12-2006, 21:34:56 336 Wilma Proglio

pentirai toute ma vie d’avoir fait Guillaume Tell; cette pièce est une des principales causes de la Révolution; j’en mourrai de chagrin”»10. Lungi dall’attribuire una tale responsabilità a questa pièce, occorre comunque riconoscere che in certi passaggi Le Mierre sembra essere stato quasi profetico. Si leggano ad esempio i seguenti versi, nei quali non è diffi cile ravvisare una prefi gurazione del periodo rivoluzionario, in particolare del Terrore:

Loin des troubles civils qui perdent les états, Nous ne livrerons point de ces tristes combats Où les concitoyens, les amis, et les frères, Sont jetés au hasard dans des partis contraires, Où, pour voir triompher un généreux dessein, Dans un sang que l’on aime il faut plonger sa main; Ici, la même cause et nous arme et nous lie, D’un côté, nos tyrans, de l’autre, la patrie; Et, loin que nos combats doivent la déchirer, C’est au bruit de nos coups qu’elle va respirer11.

Il Tell di Le Mierre evidenzia in effetti una grande ansia di libertà da parte del popolo svizzero e una totale insofferenza nei confronti del potere arbitrario e capric- cioso del governatore Gessler. A partire dalla seconda metà del Settecento, Gugliel- mo Tell fu oggetto di numerosi studi storici. Anche Voltaire se ne occupò nell’Essai sur les mœurs, affermando di non ritenere vere le leggende che riguardavano questo eroe. Nel 1804 venne messo in scena il Wilhelm Tell di Schiller, caratterizzato da trat- ti completamente diversi da quello di Le Mierre. Proprio per evitare di far assumere al personaggio le caratteristiche di un paladino rivoluzionario, Schiller lo rese un eroe suo malgrado, calandolo in una serie di eventi che lo indussero ad agire esclusiva- mente per difendere se stesso e i suoi cari. La sua lotta contro il tiranno non ha come scopo la salvezza pubblica, essendo mossa, al contrario, da ragioni del tutto private. Volitivo ed eroico è invece il Guglielmo Tell dell’omonima opera di Rossini (1829), su libretto dei francesi Jouy e Bis. Mentre il Guglielmo di Schiller non è un congiurato, quello di Le Mierre e di Rossini ha un ruolo guida nel coordinare l’azione degli alleati nella causa comune contro la dominazione austriaca. La dimensione corale, che inse- risce l’individuo all’interno di un contesto sociale e lo rende partecipe delle vicende storiche, è un altro tratto caratteristico delle tragedie di Le Mierre, il quale nutre una grande fi ducia, e anche un certo timore, nei confronti delle insospettabili risorse delle masse. Nell’Hypermnestre è proprio la sollevazione popolare contro Danao a salvare Linceo e la sua sposa; nel Guillaume Tell è una rappresentanza della collettività di tre cantoni della Svizzera a congiurare contro Gessler e infi ne nella Veuve du Malabar la dimensione corale si amplia fi no a diventare incontro-scontro di due civiltà. La Veuve du Malabar, ou l’empire des coutumes, di cui esiste una versione del 1770 e un’altra del 1780, è la tragedia che Le Mierre amava di più. In essa è contenuta l’invettiva del poeta contro il fanatismo e la superstizione, in linea con il pensiero illuministico al quale egli aderì12. La protagonista della vicenda è la giovane indiana Lanassa, andata in sposa a un suo concittadino, pur non avendo mai dimenticato il suo grande amore, il generale francese Montalban. Alla morte del marito, la giovane

(10) A.-M. LE MIERRE, Œuvres choisies, cit., p. li, pubblicata a Venezia nel 1798. Per uno studio XVIII. approfondito di questo interessante personaggio si (11) Ivi, p. 72. rimanda a E. MATTIODA, Il dilettante “per mestiere”. (12) Di questa tragedia esiste una traduzione F. Albergati Capacelli commediografo, Bologna, il italiana, eseguita da Francesco Albergati Capacel- Mulino, 1993.

ultime 336 4-12-2006, 21:34:57 Il principio di autorità in tre tragedie di Antoine-Marin Le Mierre 337

vedova è chiamata a sottomettersi all’usanza locale, secondo la quale la donna deve essere arsa sul rogo per seguire il consorte defunto. Un anziano bramano la esorta a sottomettersi di buon grado alla tradizione, mentre un giovane sacerdote, che si sco- prirà essere fratello di Lanassa, tenta di far rifl ettere il maestro sulla crudeltà di tale costume e di convincerlo ad avere pietà della donna. Per non gettare la sua famiglia nello scandalo, la vedova decide di piegarsi all’usanza. Mentre si sta allestendo il rogo, giunge sulle coste del Malabar una guarnigione francese, guidata da Montalban. Egli, apprendendo la sorte che attende la sua amata Lanassa, cerca di persuadere il brama- no anziano ad avere clemenza, ma non ottenendola interviene direttamente, rapendo a sorpresa la vedova dal rogo. La prima versione della pièce non riscosse molto suc- cesso di pubblico mentre, come per il Guillaume Tell, la seconda fu un vero trionfo, poiché Le Mierre espose in scena l’intervento di Montalban e dunque il sorprendente rapimento di Lanassa13. Il bramano anziano, che difende strenuamente i costumi del suo popolo (am- mettendo però che essi sono semplicemente uno strumento per mantenere salda e intatta la società), è in realtà la raffi gurazione degli esponenti del clero, come eviden- ziano le recensioni del tempo di questa tragedia. Infatti, in un articolo pubblicato su «Ephémérides» nel 1770, Jean Bernard, dopo aver esposto la trama della pièce, scrive: «tout cela n’est qu’un prétexte à des déclamations contre la barbarie et le fana- tisme. Lemierre, qui était du parti des philosophes, vitupère les prêtres; il se sert des brames pour montrer leur intolérance; en réalité ce sont les prêtres du XVIIIème siècle qu’il vise»14. Sono due i personaggi che salvano la vedova da una morte terribile e assurda: il giovane bramano e il generale Montalban. L’opposizione all’autorità della superstizione e delle credenze religiose porta dunque con sé due tipi di scontro, uno di carattere generazionale (tra il vecchio e il giovane sacerdote) e un altro di natura sociologica, dal momento che sono messe a confronto due diverse civiltà. Emergono quindi due poli: quello positivo e illuminato del conquistatore europeo, portatore di giustizia e umanità e quello oscurantista del fanatismo e della superstizione, incarnato dal costume indiano. Quest’ultimo però non è altro che la metafora di ogni forma di intolleranza e di persecuzione. Si può dunque affermare che con questa tragedia Le Mierre ha pagato il suo tributo all’Illuminismo. Altra caratteristica che contraddistin- gue tale pièce è il frequente ricorso alla parola loi, usata con diverse accezioni. Questo termine, infatti, è spesso sulla bocca del bramano anziano, che lo utilizza come sinoni- mo di costume, tradizione, imposizione. Ecco, ad esempio, un discorso pronunciato dal sacerdote sulla necessità di mantenere intatta l’usanza dei roghi:

Et la loi des bûchers une fois rejetée, Où s’arrêteroit-on? une coutume ôtée, L’autre tombe; nos droits les plus saints, les plus chers, Nos honneurs sont détruits, nos temples sont déserts: Plus la coutume est dure, et plus elle est puissante. Toujours devant ces lois de mort et d’épouvante Les peuples étonnés se sont courbés plus bas15.

(13) «En 1770, le bûcher de la veuve était fi guré ou cours de littérature ancienne et moderne, Paris, par un peu de fumée s’échappant d’un coin caché Agasse, 1799, tome XI, 1ère partie, p. 254). de la scène; en 1780, les spectateurs purent voir la (14) J. BERNARD, La veuve du Malabar, veuve monter sur un bûcher massif et monstrueux» «Éphémérides», 30 juillet 1770. (J. FAGUET, op. cit., p. 174); «tout Paris voulut voir (15) A.-M. LE MIERRE, Œuvres choisies, cit., p. cet enlèvement; c’était un genre de beauté à la 132. porté de tout le monde» (J.-F. DE LA HARPE, Lycée

ultime 337 4-12-2006, 21:34:57 338 Wilma Proglio

La parola loi è molto spesso anche sulla bocca del giovane bramano e della vedova, con l’accezione però di legge di natura, che impone l’amore e il rispetto e do- vrebbe dunque impedire all’uomo di procurare, a se stesso e agli altri, più sofferenze di quante la natura stessa già infl igge agli esseri viventi:

D’inexplicables lois, par de secrets liens, Sur la terre ont uni les maux avec les biens; Mais de l’insecte à l’homme on peut assez connoître Que le soin de soi- même est l’instinct de chaque être16.

Nelle tragedie di Le Mierre la donna riveste sempre ruoli chiave. L’abate Delille, durante il discorso tenuto in occasione dell’accoglienza del poeta all’Académie, affer- mò che buona parte del successo delle sue pièces venne decretato proprio dal pubbli- co femminile e che Le Mierre sembra aver messo l’Hypermnestre e la Veuve proprio sotto gli auspici delle sue ammiratrici17. In queste tragedie, infatti, la donna è spesso colei che, grazie alla sua capacità di contemperare le ragioni del cuore con quelle del quieto vivere sociale, è allo stesso tempo ago della bilancia e forza dirompente di cambiamento. Contesa tra sentimenti contrapposti, tra antico e nuovo, tra la difesa della famiglia e dei sentimenti e un ordine sociale che vorrebbe contribuire a riforma- re, la donna di Le Mierre sa essere fi glia, moglie, madre e cittadina che alza la testa e non rinuncia a manifestare ciò in cui crede. Si prenda come esempio Cleofe, moglie di Guglielmo Tell. Essa è una fi gura lungimirante e coraggiosa, la quale comprende che il marito sta tramando ai danni del governatore della Svizzera, nonostante Tell e i suoi compagni vogliano tenere le donne all’oscuro dei loro piani. Cleofe induce Tell a rifl ettere sui rischi che la ribellione porta con sé, ma allo stesso tempo si dichiara con- corde con il marito nel desiderare libertà e rispetto dei diritti inviolabili dell’uomo:

Ah! Cher Tell! Avec moi bannis les défi ances. J’ai vu depuis un temps ton secret embarras; Tu m’évitois en vain, j’observois tous tes pas; Soigneux de te cacher d’une épouse qui t’aime, Tu t’es enfi n trahi par ta prudence même: Eh! pouvois-tu tromper mes regards pénétrants? Je déteste avec toi l’orgueil des tyrans; A leur lâche fureur mon pays est en butte, Nul ne fait dans Altdorf plus de vœux pour leur chûte; Mais quel est ton espoir? où vas-tu t’engager? […] Je sais qu’un citoyen, sous le joug d’un pervers, Ose tout hasarder pour sortir de ses fers; Mais tu vois de Gessler le pouvoir et la haine; Ah! crains de resserrer encor plus notre chaîne […] Je sais que, pour compter sur un heureux succès, Trop peu de citoyens secondent tes projets. […]

(16) Ivi, p. 128. plus facile à émouvoir, est pourtant si fl atteuse. (17) «Des Tragédies pleines de la connoissance C’est sous sa protection que vous semblez avoir mis des effets du Théâtre, vous ont donné parmi vos Hypermnestre et la Veuve du Malabar», Discours rivaux un rang distingué. Dans le choix de quel- prononcés dans l’Académie Française à la réception ques-uns de vos sujets, vous avez intéressé aux de M. Le Mierre (jeudi XXV janvier, 1781), Paris, succès de vos Tragédies ce Sexe dont la sensibilité, Demonville, p. 21.

ultime 338 4-12-2006, 21:34:57 Il principio di autorità in tre tragedie di Antoine-Marin Le Mierre 339

Et s’il est un remede, il doit venir de tous18.

Lanassa, protagonista della Veuve, accetta di sottomettersi al costume indù che impone alle vedove di morire sul rogo, ma ammette di farlo solo per impedire che la sua famiglia cada nel disonore e chiede al sacerdote di essere l’ultima vittima di quest’usanza. Ipermestra, infi ne, è colei che, contesa tra affetti e sentimenti di diversa natura, non rinuncia ad affermare la propria volontà, osando mettere in discussione la parola e la buona fede del padre. Alle pièces di Le Mierre viene spesso assegnata la defi nizione che di esse diede La Harpe nel Lycée, di «tragédies faites à peindre»19, in virtù del loro grande impatto scenico, fattore determinante del successo di alcune di esse. Forse proprio la memo- ria dei grandi décors e delle trovate sceniche di notevole intensità emotiva (Tell che abbatte la mela sulla testa del fi glio, la vedova che sale sul rogo e viene liberata dal generale francese), ha fatto passare in secondo piano i contenuti di queste tragedie, le quali meritano invece di essere sottoposte a nuove riletture. Da quest’analisi, per esempio, emerge come il tema dell’autorità in senso lato, ma specialmente politico, stesse molto a cuore a Le Mierre. L’insistenza letteraria del poeta su questo argomen- to rifl ette evidentemente la sua preoccupazione di fondo per il potenziale esito delle tensioni sociali che egli avvertiva. La responsabilità di cui si sentì investito in quanto uomo di lettere indusse il poeta a non voler dare alle stampe la sua tragedia Virginie «dans la crainte de donner une nouvelle excitation aux passions révolutionnaires»20. L’insofferenza all’autorità, della quale egli presentiva i fermenti nella società, si sa- rebbe in effetti manifestata di lì a poco con gli eventi rivoluzionari, che non solo sconvolsero la realtà politica, ma destrutturarono anche i rapporti familiari e abbatte- rono inveterati sistemi di credenze e convinzioni, determinando un’onda d’urto che avrebbe cambiato il corso della storia e dei costumi occidentali.

WILMA PROGLIO

(18) A.-M. LE MIERRE, Œuvres choisies, cit., pp. (19) J.-F. DE LA HARPE, op. cit., p. 255. 69-72. (20) P.-A. VEILLARD, op. cit., p. 7.

ultime 339 4-12-2006, 21:34:57 340 Claudia Corti «The Open Theatre of the World»: la rivoluzione francese sulle scene inglesi

Il 1 gennaio del 1792, il primo numero del settimanale «The French Senator» rivolge il tradizionale address al pubblico dichiarando lo scopo della pubblicazione: tenere continui contatti con gli eventi che accadono oltre Manica, e riferirne in tempo reale, insieme con la traduzione delle delibere dell’Assemblea Nazionale e dei generici affari di stato. Il titolo del periodico, e la scelta tematica, danno misura adeguata della fortissima incidenza che la rivoluzione francese ha nella società in- glese di fi ne secolo, e che per l’appunto il «French Senator» sintetizza nei seguenti effi caci termini: Under whatever point of view the late Revolution in France be considered – whether with the Advocates for Monarchy we regard it as the hasty and inconsiderate abolition of a settled system which, with all its vices and defects, has stood the test of ages, and enabled the nation, at different periods, to attain the highest pinnacle of glory; or, with the Friends to a more Democratic Form of Government, as the erection of Liberty’s glorious standard on the prostrate banners of Despotism; it equally exhibits a most prominent feature in the annals of the age, and stands marked as an event unparalleled in history, and pregnant with the most important consequences. Hence it has excited the attention of all the kingdoms of Europe; but more particularly of this country, where it has experienced the most brilliant and ample discussion, that genius and labour could afford1.

Dunque, in qualunque modo si consideri la rivoluzione – vuoi dal punto di vista conservatore, vuoi dal punto di vista giacobino – essa è comunque l’evento cardine della modernità, che in Inghilterra, forse più che altrove in Europa, ha provocato un epocale sconvolgimento: di idee, emozioni, gusti, prospettive e valori. Niente di più plausibile, allora, che «la più brillante e ampia discussione» tra gente geniale (di cui si vanta il settimanale inglese) trovi una concretizzazione, oltre che sulle riviste politiche specializzate, nel luogo ove il dibattito di idee può per istitu- zione ed eccellenza costituirsi, ovvero il palcoscenico sede di incontro/confronto/ scontro di passioni e pensieri. Tanto più in Inghilterra, dove da sempre il teatro ha funzionato egregiamente in una cultura dove lo spettacolo (nella doppia valenza di ostensione e ricezione, attori e pubblico) è componente di base del meccanismo sociale. E non sarà certo per caso che i due versanti opposti della polemica politica contro o a favore della rivoluzione francese evocati dal «French Senator», e aventi prestigiosi referenti, rispettivamente, in Edmund Burke (versante monarchico- conservatore) e Thomas Paine (versante repubblicano-liberale) ricorrano entrambi a un signifi cativo linguaggio teatrale e metateatrale. La rivoluzione francese, per entrambi, si è confi gurata come un “dramma”, e come “attori” i suoi protagonisti. Secondo Burke, i membri dell’Assemblea Nazionale francese sono commedianti gaglioffi che cercano di catturare l’interesse di una platea tanto pezzente quanto tumultuosa e pericolosa: They act like the comedians of a fair before a riotous audience; they act amidst the tumultuous cries of a mixed mob of ferocious men, and of women lost to shame, who, ac-

(1) «The French Senator», I (1792), p. ii.

ultime 340 4-12-2006, 21:34:57 «The Open Theatre of the World»: la rivoluzione francese sulle scene inglesi 341

cording to their insolent fancies, direct, control, applaud, explode them. […] As they have inverted order in all things, the gallery is in the place of the house2.

Anche Paine rappresenta gli avvenimenti rivoluzionari francesi in termini teatra- li, ma ovviamente con signifi cato opposto a quello del suo antagonista. Paine pensa al valore intrinseco della rivoluzione come a un “teatro aperto del mondo”, un teatro cioè in cui il pubblico non è più subordinato alla recita, ma diviene bensì parte inte- grante della rappresentazione. Dove vengono aboliti gli oggetti scenici simbolici della religione e del rango, della “frode e del mistero”. Dove tutto, sia nel bene sia nel male, è comprensibile, dunque compreso da tutti. E il governo repubblicano partorito dalla rivoluzione non è meno teatrale della rivoluzione stessa: Like the nation itself, it possesses a perpetual stamina, as well of body as of mind, and presents itself on the open theatre of the world in a fair and manly manner. Whatever are its ex- cellencies or defects, they are visible to all. It exists not by fraud or mystery; it deals not in cant and sophistry; but inspires language that, passing from heart to heart, is felt and understood3.

Se tali sono i termini stilistici in cui viene recepita in Inghilterra la rivoluzione francese, non c’è di che stupirsi quando constatiamo come gli attenti impresari bri- tannici seppero individuarne subito la forza umanamente dinamica e spettacolarmen- te profi cua. Come ci ricorda l’attore, drammaturgo e impresario egli stesso, Frederick Reynolds, nelle sue memorie: The French Revolution had for some time excited the public attention in a considerable degree. The loyalist saw the revolution in one light, the democrat in another; and even the theatrical manager had also his view of the subject. The Bastile must bring money; that’s the settled point; and a piece of that name must be written4.

Ma anche prima della presa della Bastiglia, con gli intellettuali inglesi che facevano la spola tra Londra e Parigi, gli ideali informatori della nuova temperie antiaristocratica e repubblicana avevano trovato vari modi di trapassare la Manica. Tant’è che il testo drammatico che di fatto dà il via in Francia almeno alla messa in discussione dei privilegi dell’ancien régime, ovvero Le Mariage de Figaro, ovvero La Folle journée di Beaumarchais, viene portato sulle scene inglesi nel 1785, a pochi mesi dalla sua produzione parigina, iniziando anch’esso di fatto il fenomeno teatrale ingle- se infl uenzato dalla rivoluzione. Thomas Holcroft (in seguito condannato per attacco alla costituzione inglese e tradimento per assistenza al nemico, durante la guerra con- tro la Francia repubblicana) riesce a fare rappresentare al Covent Garden la propria traduzione e adattamento della pièce di Beaumarchais (bandita per un bel po’ dalle scene francesi), con il titolo di The Follies of a Day. Nell’Advertisment lamenta gli in- fi niti ostacoli incontrati nel reperimento del testo, l’impossibilità di procurarsene una copia, ragion per cui dichiara che la sua scrittura è una trascrizione fatta a memoria5. Un escamotage furbetto che gli consente poi di sostenere come il dramma inglese sia

(2) E. BURKE, The French Revolution, in The Wri- Written by Himself, London, Henry Coburn, 1826, tings and Speeches of Edmund Burke, a cura di L.G. vol. I, p. 126. Mitchell, Oxford, Oxford University Press, 1989, (5) The Follies of a Day; or, the Marriage of vol. VIII, p. 119. Figaro. A Comedy as it is now performing at the (3) T. PAINE, Writings and Speeches, a cura di THEATRE-ROYAL, COVENTGARDEN. From the French M.D. Conway, London, Putman, 1894-6, vol. II, of M. de Beaumarchais. By Thomas Holcroft, Lon- p. 426. don, G.G.J. and J. Robinson, 1785, p. V. (4) The Life and Times of Frederick Reynolds.

ultime 341 4-12-2006, 21:34:58 342 Claudia Corti

fondamentalmente (quasi) tutta farina del suo sacco: «I furnished the Plot, Incidents, Entrances, and Exits, and gave some other occasional Hints»6. Per essere accettato dal direttore del Covent Garden, Holcroft è costretto a tagliare molte battute troppo scopertamente antiaristocratiche, indicate espressamente nel testo a stampa («The Passages put between inverted Commas are omitted in the Representation»), sicché l’adattamento perde alquanto della sua portata libertaria. Ma segnò comunque un ca- so, con cui dovette fare i conti, da allora in poi, il teatro reale, ovvero teatro patentato, fornito di licenza regale. È un fatto ampiamente documentato che i drammi inglesi, sia infl uenzati, sia tanto più se direttamente ispirati dagli eventi della rivoluzione francese, trovarono diffi cile spazio nei teatri fi nanziati e controllati dalla corte, i teatri “legittimi” o ap- punto “patentati”. Per poter rappresentare drammi rivoluzionari, i drammaturghi inglesi avevano una doppia alternativa. Se insistevano – per ovvi motivi commerciali – a tentare la produzione nei grandi teatri reali, Covent Garden e Drury Lane, con la possibilità di Haymarket nella stagione estiva, dovevano per forza mascherare la tra- ma e distanziare in altri tempi e altri luoghi la nascosta tematica; ma anche in questo caso il vigilante Licenser of Plays imponeva in genere ulteriori tagli, spostamenti e camuffamenti. Altrimenti, drammi sulla rivoluzione si potevano rappresentare nei co- siddetti “teatri minori”, quelli che sfuggivano al controllo regale (espresso attraverso il Lord Chamberlain) perché destinati istituzionalmente alla messa in scena dei generi teatrali cosiddetti “illegittimi”, ossia né tragedie né commedie, ma pantomime, bur- lette, arlecchinate, melodrammi, ippodrammi, monodrammi, e quant’altro ancora, purché rigorosamente recitato in poesia, essendo la prosa riservata agli spoken dramas in cinque atti dei teatri maggiori. Per l’appunto in un teatro “minore”, il Royal Circus, viene messo in scena, il 5 agosto 1789, il primo dramma inglese dichiaratamente motivato dalla rivoluzione; anzi, dal suo evento più simbolicamente marcato. The Bastille, or, The Triumph of Liberty di John Dent, era stato rifi utato dal Covent Garden, molto cauto ormai nella programmazione dopo tutte le complicazioni politiche promosse dal Follies of a Day. Questa produzione rappresenta una piccola rivincita da parte dell’impresario John Palmer, che due anni prima aveva sfi dato le due Patent Houses del West End, apren- do un teatro nell’East End per il quale era riuscito a ottenere la licenza; ne era seguita una serie di azioni legali, alla fi ne delle quali il Palmer Theatre aveva dovuto comun- que chiudere i battenti. Palmer si fa allora dare da Dent il manoscritto del Bastille, gli chiede di adattarlo al genere burletta, decide di assumere lui stesso il ruolo del protagonista, e riesce a farlo rappresentare in un teatro minore, dovendo tuttavia pa- gare una multa per aver recitato in prosa l’ultimo monologo7. Ne valeva ben la pena, visto lo straordinario successo che riscosse immediatamente la burletta, registrando (e incassando di conseguenza) ottanta repliche. L’imprevista e inusitata fortuna della piccola pièce fu tanto dirompente da creare immediatamente un nuovo, originale sot- togenere, nell’ambito dei generi minori, un sottogenere intelligentemente bilanciato tra il melodramma e il dramma gotico. Vi troviamo un’eroina, promessa a un ribelle anarcoide che ha deciso di indirizzare la generale protesta del popolo parigino espres- samente contro i carnefi ci della Bastiglia, torturatori del futuro suocero. C’è l’attacco alla fortezza, la rappresentazione dei lugubri sotterranei della medesima, l’ostensione

(6) Ibid. BRAYLEY, Historical and Descriptive Accounts of the (7) Cfr. The Memoirs of Jacob De Castro, Co- Theatres in London, London, J. Taylor, 1826, pp. median, etc., a cura di R. Humphreys, London, 71-72. Sherwood & Jones & Co., 1824, pp. 122-5; E.W.

ultime 342 4-12-2006, 21:34:58 «The Open Theatre of the World»: la rivoluzione francese sulle scene inglesi 343

spettacolare degli orrendi strumenti di tortura, ivi compresa la micidiale maschera di ferro; ma c’è soprattutto l’evidenziazione, per contrasto, non solo ideologico ma anche fi sico-ottico tramite la tecnica scenografi ca dei trasparenti8, della vittoria delle Libertà individuali sul Dispotismo autocratico: France quits her chains, emerges from her darkness, and is warmed to animation by the bright beams of the Sun of Liberty. With minds enlightened, and with hearts sincere, we have long groaned in bondage, and been treated with ignominity. Brave in character, generous in disposition, magnanimous in exertion, we have yet been SLAVES; but even then were PATRIOTS. The patriotism of France is no longer prejudice, it is now founded on reason, it is now fi xed on truth9.

Questo pezzo determina le coordinate tematiche e stilistiche di un genere teatrale tipicamente British, anche nella correlazione ideologica che instaura tra la faticosa conquista della libertà in Francia (per la quale c’è voluto un cruento e dun- que ansiogeno assalto popolare alla Bastiglia!) e, per contro, l’innata, consolidata e dunque tranquilla tenacia nel rispetto delle libertà civili in terra d’Albione. E non sarà solo per raggirare la censura del Licenser che praticamente tutti i drammi sulla rivoluzione francese fi niranno sempre, in qualche modo, per glorifi care l’assestata cultura liberale britannica, che non ha mai dovuto versare una goccia di sangue per procurarsi, o garantirsi, i tanto conclamati “diritti dell’uomo”. In Inghilterra da sempre attivi, in Francia sì dolorosamente e insieme euforicamente acquisiti, ma indicati, e pragmaticamente resi disponibili, da una luminosa Britannia che entra direttamente in scena, incaricandosi di ammaliare i già suggestionati spettatori londinesi: From Britannia you caught the Patriot fl ame, On Britain’s plan then build your future fame! The Statue of Liberty trampling on the Figure of Despotism is seen to ascend.

Segue un coro generale, che conclude il dramma in questi signifi cativi termini; Hail! Britannia, ’tis to thee, We owe our liberty; Ev’ry clime, and ev’ry zone Ever must thy impulse own. May you ever hold controul, And bless us from pole to pole10.

L’audacia di Palmer, corroborata dalla frequenza del pubblico allo spettacolo da lui prodotto, deve evidentemente avere funzionato. Perché a distanza di pochi giorni, il 17 agosto del medesimo fatidico 1789, lo Astley Theatre (quello famosissimo per i suoi controversi, ma applauditissimi ippodrammi) mette in scena un’altra burletta,

(8) I “trasparenti”, grande novità scenografi ca dettagli. Cfr., per questa tecnica pittorica e sce- settecentesca, sono particolari scenici dipinti su nografi ca, S. BORDINI, Parole e pennellate: Libri di entrambe le facce di un supporto di vetro, carta modelli per il paesaggio, in Poesia come pittura nel o garza, permeabile alla luce tramite apposite Romanticismo inglese, a cura di C. Corti e M.G. vernici. Lo spostamento della fonte di luminosi- Messina, Napoli, Liguori, 2004, pp. 149-156. tà tra il davanti e il retro del quadro produceva (9) J. DENT, The Bastille, or, The Triumph of Li- sovrapposizione di immagini, alternando effetti berty, London, John More, 1789, p. 22. di visibile/invisibile, facendo apparire o sparire (10) Ivi, pp. 23-24.

ultime 343 4-12-2006, 21:34:58 344 Claudia Corti

intitolata Paris in an Uproar; or, the Destruction of the Bastille11. L’advertisment to the public riprodotto nel playbill lo reclamizza come «one of the grandest and most ex- traordinary Entertainments that ever appeared, Grounded on authentic Facts». Più che per i suoi intrinseci pregi drammaturgici, di questo pezzo si può ancora parlare perché ispirò un lampoon satirico variamente riprodotto (fi g. 1), che è comunque l’unica testimonianza iconografi co-teatrale che ci rimane di questa performance. La scena riprodotta nel libello satirico pare una diretta riproposizione del tema clou della commedia, ovvero l’assalto alla Bastiglia da parte di un gruppo di inferociti popolani impugnanti lo standard of liberty, contrastati da sbeffeggianti e blasfeme guardie di sua maestà. L’illustrazione ci fa capire che lo spettacolo era sostanzialmente una pan- tomima not spoken; infatti i personaggi mostrano degli speech banners, cioè cartelloni con sopra scritte le battute. L’effetto è di una riduzione della carica di violenza delle battute stesse, che non essendo pronunciate hanno di certo un impatto emotivo mi- nore, baipassando così gli ostacoli della censura. La quale lasciò passare anche un’az- zecata trovata scenografi ca dell’impresario Philip Astley (indicata nella locandina), la collocazione sul palcoscenico di teste di cera, prodotte dalla famosa Mme Tussaud, di vittime notabili della rivoluzione. A distanza di pochi giorni, il 31 di agosto, anche il Sadler’s Wells (un altro at- tivissimo teatro minore) propone il suo dramma rivoluzionario, denominato Bastille entertainment, e fornito di un titolo trasparentemente giacobino: Gallic Freedom; or, Vive la Liberté. Di questo dramma non ci è rimasto nemmeno il playbill, ma solo una sinossi delle azioni. L’annuncio dello spettacolo sul «Times» lo descrive come un double bill insieme con la pantomima Britannia’s Relief, la processione del popolo londinese alla cattedrale di St. Paul, in ringraziamento per una (momentanea) guari- gione di re Giorgio III dai suoi deliri mentali. È importante notare che tutti e tre questi drammi illegittimi fanno dell’attacco alla Bastiglia il centro semantico e spettacolare. In The Bastille, la fortezza «is seen attacked, when Bombs are thrown into it for a considerable Time; a Breach then is made, and entered; after this the Scene changes to an inside View of the Bastille»12. L’annuncio sulla stampa di Paris in Uproar informava il pubblico che avrebbe visto «an External Perspective View of the Bastille, the Draw-Bridge, the Fosse, etc., shewing the Manner of storming and taking the Bastile, by the Military and Citi- zens»13. La sinossi di Gallic Freedom elenca: «The Cannonade and general Attack… The Skirmish with the Garde Criminelle… The actual Descent of the Soldiers and Citizens by Torch Light, into the subterranean dungeons… And the plundering and fi nal Demolition of the Bastille by an exasperated Populace»14. Le implicazioni politi- che della caduta della fortezza più simbolicamente marcata dell’Occidente moderno, erano indubbiamente enfatizzate dal fatto che le rappresentazioni si svolgessero negli spazi dei teatri minori, strutturati come circhi o arene, ampli spazi dinamici in cui le grandi masse dei “popolani” potevano muoversi sfruttando a pieno la tridimensiona- lità15. E così doveva risultare facile trarre analogie tra le azioni della folla nell’arena e le dinamiche del popolino nelle strade.

(11) Di cui non abbiamo né testo scritto né, (13) «The Public Advertiser» (17 agosto 1789). purtroppo, testimonianze della ricezione nei reso- (14) Questa sinossi è riportata in D. ARUNDELL, conti giornalistici. Per fortuna possiamo consultare The Story of Sadler’s Wells 1683-1964, London, il playbill (locandina e programma di scena) nella Hamilton, 1965, pp. 44-45. Collection of Playbills 1768-1835 della British Li- (15) Cfr. M. MEISEL, Realizations: Narrative, brary e nella Stone Collection del London Theatre Pictorial and Theatrical Arts in Nineteenth-Century Museum. England, Princeton, Princeton U. P., 1983, p. 214. (12) The Bastille, p. 12.

ultime 344 4-12-2006, 21:34:59 ultime 345 4-12-2006, 21:34:59 346 Claudia Corti

È stato giustamente osservato che questi entertainments sulla Bastiglia avevano il potenziale di sovvertire la politica dei teatri patentati, riformulando la teatralità in termini di contesa tra il popolo e la monarchia, e stravolgendo il decorum dello spet- tacolo nella mobilitazione della folla16. Che di questo potenziale rischio fossero con- sapevoli gli impresari dei teatri minori, lo dimostra la constatazione di una tendenza a riaffermare i valori della spettacolarità patriottica nella cornice formale dei drammi rivoluzionari. Abbiamo visto che al Royal Circus lo spettacolo si concludeva con l’en- trata in scena di un’attrice come Britannia, accompagnata dai ritratti in trasparenza di re Giorgio e della regina Carlotta. Parallelamente, l’impresario del Sadler’s Wells intende contenere il potenziale sovversivo di Gallic Freedom collegandolo alla panto- mima di Britannia’s Relief. Secondo l’Advertisment, la processione londinese doveva indicare «a striking picture of national happiness, when contrasted with the present situation of our neighbours in the continent»17. La processione era l’evidente rappre- sentazione della cerimonia della regalità, della centralità dei valori monarchici inglesi nell’ordine sociale della nazione, mentre il dramma sulla rivoluzione francese era imitazione di un sommovimento politico, che alla fi n fi ne avrebbe potuto minacciare l’autorità di tutti i sovrani del mondo civile. Ma nel frattempo, che cosa succede nei Theatres Royal, controllati direttamente dal Lord Chamberlain, emanazione della corte, e sottoposti all’autorizzazione forma- le di produzione da parte del Licenser of Plays? La censura limita fortemente la possi- bilità di mettere in scena la rivoluzione, perché il re preferisce evitare di offendere la monarchia francese18 e inoltre gli impresari temono che non tutta l’opinione pubblica sia a favore della rivolta parigina19, ragioni per cui – come ho già anticipato – gli autori sono invitati dagli impresari a nascondere i riferimenti alla situazione francese spo- stando nello spazio e allontanando nel tempo le storie rappresentate. Al Drury Lane, per esempio, viene messa in scena una ballad opera di John St. John, intitolata The Island of St Marguerite, che debutta il 13 novembre 1789. La rivolta parigina viene dislocata nell’insurrezione che divampa in una isoletta vicino a Cannes, dove una folla inferocita attacca la cittadella del governatore, per liberare un prigioniero incatenato e costretto nella maschera di ferro. Il tema è molto simile a quello della burletta di John Dent, ma la tecnica di camuffamento e di distanziamento spaziotemporale lo rende accettabile al Licenser, il temutissimo John Larpent, che impugna le cesoie solo per tagliare un riferimento troppo diretto ai “Diritti dell’Uo- mo”: i versi del coro «Generous Hearts Assert your Freedom | Vindicate the Rights of Men», che festeggiano la liberazione dell’eroe prigioniero, vengono tagliati, e l’impre- sario, Richard Sheridan, li sostituisce con questi, giudicati più inoffensivi: «Then Join the Chorus, Lads rejoyce | The Day is all our own | Hark to the Call. ’Tis Freedom’s Voice | And Liberty we’ll Crown»20. Al teatro reale rivale, il Covent Garden diretto da Thomas Harris, un altro dram- ma rivoluzionario subisce, oltre al distanziamento cronologico e logistico, un vero e proprio rifacimento. Il drammaturgo Frederick Reynolds, entusiasta della rivoluzione francese e convinto della sua spendibilità a teatro, propone alla direzione un suo

(16) Cfr. G. RUSSELL, The Theatres of War: Per- the English Theater, in History and Myth: Essays formance, Politics, and Society,1793-1815, Oxford, on English Romantic Literature, a cura di S.C. Clarendon Press, 1995, p. 69. Behrendt, Detroit, University Press of Michigan, (17) Citato in D. ARUNDELL, op. cit., p. 46. 1990, pp. 33-50. (18) Cfr. L.W. CONOLLY, The Censorship of (20) J. ST. JOHN, The Island of St. Marguerite, English Drama, 1737-1824, San Marino (Ca.), The Larpent MSS 845, in Catalogue of the Larpent Plays Huntington Library, 1976, pp. 87-91. in the Huntington Library, a cura di D. Macmillan, (19) Cfr. J.N. COX, The French Revolution in San Marino (Ca.), The Huntington Library, 1939.

ultime 346 4-12-2006, 21:35:00 «The Open Theatre of the World»: la rivoluzione francese sulle scene inglesi 347

testo, The Bastille, per la stagione teatrale 1789-90, ma Larpent rifi uta la licenza di rappresentazione. Un perplesso ma audace Harris propone allora all’autore di in- capsulare il testo entro la ballad opera sulle Crociate che stava preparando parallela- mente al Bastille; Reynolds, pur disgustato dalla “orribile incongruità” dell’ambienta- zione anacronistica, decide comunque di accettare, pur di rappresentare qualcosa di simile alla Bastiglia, e così The Bastille diviene The Crusade21. Che piacque moltissimo al pubblico. Dove si evince come l’analogia simbolica tra i santi crociati che assaltano le mura di Gerusalemme e i citoyens che attaccano le mura della Bastiglia, corrispon- da a una temperie psicologica in favore della rivoluzione assai diffusa tra i londinesi; ma anche, come la dislocazione fi ttizia fornisca un mezzo appropriato per interpre- tare e al contempo controllare accadimenti avvertiti già allora in grado di cambiare il corso della storia. Che sia comunque l’atto fortemente simbolico della presa della Bastiglia l’ele- mento che rende guardinghi i produttori teatrali inglesi, lo dimostra il fatto che pièces motivate dalla rivoluzione francese, ma che non tematizzano quel preciso episodio, possono venire ospitate anche nei teatri con licenza regale. Purché, al solito, l’impatto politico-emotivo venga appropriatamente diluito, e magari spostato verso dimensioni burlesche. Sarà per questo che Harris nulla obiettò alla rappresentazione di A Picture of Paris, Taken in the Year 1790, al Covent Garden il 20 dicembre 1790. La prima parte dello spettacolo, confortata da belle musiche di scena di Shield, era incentrata su di una appariscente scenografi a della Parigi post-rivoluzione, come rivela la sinossi dell’azione scenica: View of the Champs de Mars, with the grand Pavilion preparatory to the Festival… A Grand Assembly… View of the Triumphal Arch, prepared for the Procession to the Champs de Mars… Perspective view of the Champs de Mars, with the Bridge of Boats… With an exact Representation of the Grand Illuminated Platform, as prepared by the City of Paris, on the Ruins of the Bastille22.

Tuttavia, per rendere lo spettacolo assolutamente insospettabile di tendenze ideologiche, gli autori Charles Bonner e Robert Merry ebbero la geniale idea di fare tutto vedere e commentare da un “travelling artist”, un disincantato fl aneur britan- nico con funzione di coro, che solo per caso si imbatte nella rappresentazione per strada, non presumendo alcun coinvolgimento né emotivo né intellettuale con i po- stumi storici della rivoluzione francese, proponendolo quale neutro osservatore: «He comes not to consider, but to see, | A Painter, not a Satirist is he». Lo stesso procedimento di disincanto e distacco ironico presiede alla messa in scena della pantomima The Paris Federation, ospitata nella stagione estiva (e dunque non istituzionalizzata!) del 1790 negli spazi del Royalty Theatre lasciati liberi dal fal- limento del teatro di John Palmer nello East End (zona anch’essa meno storicamente e simbolicamente marcata rispetto allo West End). La cornice spettacolare dell’ar- lecchinata rende di per sé innocua la pantomima, basata sulla canonica rincorsa di Arlecchino e Colombina da parte di Pantalone e del Buffone. Tuttavia, a giudicare dalla versione a stampa23, che riproduce i testi delle canzoni di scena, il tono era tut- t’altro che anodino, per quanto riguarda temi rivoluzionari. Anche a prescindere dal

(21) Cfr. The Life and Times of Frederick Rey- (23) The Paris Federation; a Sketch of the enter- nolds, cit., vol. II, p. 54. tainment now performing at the Royalty Theatre, (22) A Picture of Paris, Larpent MSS 886, in Cata- etc., London, 1790. logue of the Larpent Plays, cit.

ultime 347 4-12-2006, 21:35:00 348 Claudia Corti

ça ira (introdotto insieme ad altre melodie francesi del periodo) i testi inglesi cantati rivelano un’inequivocabile matrice giacobina: «The cruel Aristocracy | Ne’er shed a tear at misery; | Twas that which caused our strife. | But now’s arriv’d the happy day | When all our sorrows fl y away | ’Tis that which gives us life». Oppure, più avanti: «We now possess the rights of men, | Our king no longer heads their plan. | The throne of Liberty we raise | And loudly sing in Fayette’s praise». Per non parlare del canto con cui i popolani ingiungono al Buffone di sbarazzarsi, per istanza egalitaria, del berretto a sonagli, segno per loro di servitù: «But doff it all, | For, great or small | Are equal in this nation». Che la licenza regale di produzione di queste pantomime sulle feste rivoluziona- rie sia stata concessa a un teatro patentato (per quanto estivo), dimostra come le fêtes parigine stesse fossero avvertite quali epifenomeni della rivoluzione, e dunque enor- memente meno pericolose dei Bastille entertainments confi nati nei teatri minori. Un ulteriore aspetto da considerare è la possibilità dei drammaturghi di divul- gare ideali giacobini approfi ttando del convenzionale Address to the Public preposto alle versioni a stampa dei loro drammi. Spesso, testi teatrali tematicamente abbastan- za innocui, divengono veicolo di propaganda una volta pubblicati, proprio tramite gli appelli diretti dell’autore al suo pubblico. Caso esemplare di questo fenomeno è la commedia (dunque un dramma “legittimo”) intitolata The Whim, scritta da una signora eccentrica e curiosa, Lady Eglantine Wallace, nel 1794, e proposta a un teatro reale periferico, il Ramsgate Theatre Royal, l’anno seguente. L’argomento pareva all’autrice politicamente inoffensivo: un Lord antiquario e appassionato di storia romana, si concede “il capriccio” di far rivivere per un giorno nella sua tenuta la festa dei saturnali, scambiando ruoli e mansioni tra i membri della sua famiglia e quelli della servitù, con risultati comici. Ma a Larpent non suonavano bene certi commenti che padrone e servitori si scambiano alla fi ne della giornata, commenti che chiamano in causa sentimenti antiaristocratici, sulla linea insomma delle Follies of a Day. Se, da un lato, il Lord ha scoperto la saggezza di questa antica pratica, che gli ha insegnato quanto sia penoso piegarsi a gioghi che non siano quelli della ragione, dall’altro lato, il servo ha scoperto quanto sia facile, una volta investiti di potere, “abusare dell’autorità”. Il rifi uto di Larpent di concedere la licenza scatena la rabbia dell’autrice, che fa pubblicare il dramma a Margate, e si concede di dispiegare una valanga di idee radicali nell’appello al pubblico. Bersaglio centrale dei suoi furori è la pretesa che i nobili siano immuni da difetti, e comunque sempre incensurabili, e comunque mai censurabili da persone di rango sociale inferiore. Questa concezione distorta – sostiene Lady Wallace – ha radici profonde in Francia, che giustamente si è beccata la rivoluzione: The nobles in France usurped a right, almost divine, like the wax images in their Chur- ches, of being kept behind the curtain from Plebeian eyes; those were deemed guilty of sacri- lege if they used their reason or senses, in descrying their imperfections. But did this soothe the disaffection of the people, or engage the Nobles to act with more moderation or virtue? No! and this age is too enlightened for opinion to be restrained, or a barrier to be placed by Priest- craft on thought! To deem it criminal for the inferior orders of mankind to judge of virtue and vice, revolts the human mind24.

L’augurio, più volte espresso, è che l’Inghilterra possa rimanere incontaminata da queste idee perniciose sull’assoluta impunità degli aristocratici, nobili solo per na-

(24) The Whim, a Comedy in Three Acts by LADY te, W. Epps, 1795, pp. 12-13. WALLACE. E. With an Address to the Public, Marga-

ultime 348 4-12-2006, 21:35:00 «The Open Theatre of the World»: la rivoluzione francese sulle scene inglesi 349

scita: «God forbid ever such Ideas should become common to Britons, that Nobility should have a right to act immorally with impunity»; è giusto a causa di queste idee che l’aristocrazia francese è stata duramente punita, privata addirittura dei diritti più elementari: It was then too late to blind the eyes of the People, it only remained to open theirs; to refl ect that they were men, to be judged by men; and that although ennobled, they could be excelled by even the humblest of men, if more virtuous. This refl ection might have rescued them in time from vices, immoralities, and cruelties, which have fi nally hurled then from their fancied greatness, and deprived them of even the Rights of Men25.

La battagliera autrice conclude l’appello con un attacco frontale al Licencer, che, ottuso nel suo conservatorismo di sponda, vede pericoli giacobini laddove il dialogo drammatico trasmette solo senso morale e ragionevolezza: «If one but hints at the possibility of a great man’s not being endued with truth, justice and moral rectitude, you are forsooth, called Democrat, Daemon, or what you please!»26. Va da sé che non tutto il teatro inglese sulla rivoluzione francese si dimostra unanimemente – pur nelle varie sfumature che abbiamo visto – favorevole alla rivo- luzione stessa. Il teatro, fondamentalmente nei teatri patentati, svolge anche un ruolo di opposizione agli ideali giacobini. Del resto, come c’è un Tom Paine a indirizzare l’opinione pubblica verso certi nuovi valori, c’è anche un Edmund Burke che li con- trasta in nome di antichi, assestati valori sociali e politici. In questo senso, la ripropo- sta di ben connotate tragedie shakespeariane di argomento storico, diviene il segnale esplicito della controrivoluzione. Proprio la stagione autunnale del fatidico 1789, al Drury Lane, apre con un Henry V assente da anni dalle scene. E con un sottotitolo alquanto patriottico: The Conquest of France. Il grande attore e produttore John Philip Kemble, conservatore e monarchico, nel ripresentare il re inglese che di fatto, sconfi ggendo e assogget- tando la Francia, aveva posto le basi della monarchica egemonica britannica, lancia dal palcoscenico un messaggio inequivocabile per, per un verso, stimolare il fervore patriottico, e per un altro verso, ammorbidire l’entusiasmo radicale con cui larghe fasce della popolazione inglese avevano accolto la presa della Bastiglia. Ancor più signifi cativa l’enfasi antipopolare che Kemble immise nella ripresa del 1796 del Corio- lanus, dove l’insistenza recitativa sul registro stilistico-retorico della “nobiltà” (tanto morale quanto genetica!) del console romano fu captata, non solo in sala ma anche sulla stampa, quale esplicita confutazione delle idee giacobine di esaltazione della folla tumultuosa. Leggiamo, a mo’ di esempio, la recensione apparsa sul «Times» (quotidiano certo non progressista) il 12 aprile 1796. Pare che all’apparire in scena del popolino selvaggio, ogni volta la platea si sganasci in risate fragorose. Ma, ancor più importante, la platea ha perfettamente captato il parallelo tra l’ambizione impe- rialistica dei romani di ieri e dei francesi di oggi: «Tullus Aufi dius’ description of the Romans, bore so strong a likeness to the savage barbarity of modern France, that it rushed through the House like lightning». E che dire del Macbeth, ripreso da Kemble nel febbraio del 1792, dopo un silenzio datato a partire dall’esordio della rivoluzione francese? Se c’era un tema irrappresentabile, in un teatro sostenuto dalla corona, non poteva essere che il regicidio. E di fatto i prudenti impresari avevano progressi- vamente allontanato dalle scene quella che era comunque la tragedia più amata dai frequentatori dei teatri inglesi. Si sa che la recitazione di Kemble, nell’occasione della

(25) Ivi, p. 10, p. 14. (26) Ivi, p. 16.

ultime 349 4-12-2006, 21:35:01 350 Claudia Corti

ripresa del 1792, tendeva a sottolineare il dramma esistenziale, anziché propriamente politico, del personaggio protagonista. Ma si sa anche che, nell’intervallo tra il primo e il secondo atto, gli spettatori, sia in platea che in galleria, suggestionati per l’appunto dal “tema imperiale”, intonarono all’unisono il Ça ira, provocando un grave imbaraz- zo nell’attore-impresario, che si sentì obbligato a interrompere lo spettacolo27. Di drammi dichiaratamente, per temi e argomenti, ostili alla rivoluzione francese non se ne vedono molti in Inghilterra, data la normativa regale di evitare sistema- ticamente di introdurre soggetti politici nella produzione drammaturgica, e vista l’esclusiva proiezione verso i teatri minori dei drammaturghi giacobini. Come nel caso dei drammi a favore della rivoluzione, i drammi a essa contrari devono sottostare alla regola del camuffamento e dello spostamento. E perciò un abile e famoso dram- maturgo come James Boaden, per svolgere propaganda antirivoluzionaria al Covent Garden, deve adattare un suo dramma a esigenze di “correttezza politica”. The Secret Tribunal, che debutta il 3 giugno 1795, è un patente attacco ai soprusi dei tribunali rivoluzionari francesi, ma il contesto viene allontanato nel tempo, nel Quattrocen- to, e dilatato nello spazio, una remota, inimmaginabile Svezia. È compito del Coro stabilire la correlazione metaforica tra la fi nzione teatrale e la storia contemporanea effettiva, nel segno incontrovertibile di una denuncia delle prevaricazioni del potere esecutivo, e nei termini truffaldini della cosiddetta “salute pubblica”:

When SUPERSTITON held her sanguine state And dealt at will the rapid fl ow of fate; The world beheld all pledge of safety gone, And even MONARCHS TREMBLED ON THEIR THRONE: JUDGES, with functions unconfin’d and free, At midnight issued many a dark decree28.

Ma al solito, chi risulta vincente, come nel caso dei drammi inneggianti alla rivo- luzione francese, sono sempre e comunque le inossidabili idee di libertà e liberalismo, vanto indiscusso – e al tempo ancora indiscutibile – della cultura e civiltà inglesi. Conclude euforicamente il Coro, ponendo in contrasto i tribunali britannici con quelli della Francia rivoluzionaria: «Britain rejoyce! Open as day our Courts judicial move, / And RICH and POOR their equal infl uence prove!». Visto l’impatto della rivoluzione francese nel teatro britannico, in qualità di stimolo alla rifl essione e all’assestamento di valori, magari anche in prospettive ideo- logiche contrapponibili, pare a me che l’energica, entusiasta e forse un po’ matta Lady Wallace, avesse colto perfettamente nel segno, individuando nel teatro e nella teatralità lo strumento più idoneo a svolgere una quanto si vuole camuffata, dislocata o straniata, ma infi ne sempre e comunque riconoscibile, istanza di educazione civile e persuasione morale. Da qualunque punto di vista, giacobino o conservatore, lo si voglia contemplare, the Stage is the only school which over-grown boys and girls can go to, and did the Li- cencer permit more satire, more sentiment, and less ribaldry, outré pantomime, and folly, to appear under his auspices, it would be doing the State more service, than thus taking the alarm at the Whim of renewing the Saturnalia Feast29.

CLAUDIA CORTI

(27) Cfr. AA. VV., The London Stage, 1660-1800, (28) James Boaden, The Secret Tribunal; a Play in a cura di G.W. Stone, Carbondale (Ill.), Southern Five Acts, T.N. Longman, 1795, p. 21. Press, 1960-8, vol. II, p. 1427. (29) The Whim, cit., p. 14.

ultime 350 4-12-2006, 21:35:01 «La moralité de la révolution» 351 «La moralité de la révolution»: de l’autorité du mélodrame selon le “Théâtre choisi” de Pixerécourt

L’Introduction rédigée en 1840 par Charles Nodier pour l’édition du Théâtre choisi de René-Charles Guilbert de Pixerécourt1 analyse rétrospectivement le phé- nomène mélodramatique en termes moins esthétiques que moraux et politiques. La thèse de Nodier se trouve résumée par une expression restée fameuse: le mélodrame fut «la moralité de la révolution», non pas la moralité tirée de l’expérience révolution- naire mais la moralisation des hommes issus de 1789 et surtout de 1793, de ces masses «qui sentaient la poudre et le sang». En lieu et place d’une chaire devenue muette et d’un confessionnal désormais « muré », il convenait qu’un spectacle s’emparât des imaginations et dirigeât les pensées de ces spectateurs régicides: Il fallait leur rappeler dans un thème toujours nouveau de contexture, toujours uniforme de résultats, cette grande leçon dans laquelle se résument toutes les philosophies, appuyées sur toutes les religions: que même ici-bas, la vertu n’est jamais sans récompense, le crime n’est jamais sans châtiment. Et qu’on n’aille pas s’y tromper! ce n’était pas peu de chose que le mé- lodrame! c’était la moralité de la révolution2.

L’invention du mélodrame fut non seulement le signe mais surtout le moyen de ce retour à l’ordre. Car il était placé sous la puissante autorité morale de son créateur, le dramaturge Pixerécourt, lui-même soumis au contrôle bienveillant du pouvoir napoléonien. Cette thèse s’appuie d’abord sur le phénomène exceptionnellement massif que fut, sur le plan quantitatif, la diffusion du mélodrame de Pixerécourt à partir de sa création autour de 1800. L’édition du Théâtre choisi en fournit la preuve chiffrée: le nombre de représentations cumulées à Paris et en province atteint 1476 pour Cœlina ou l’Enfant du mystère (joué entre 1800 et 1840 environ), 1346 pour La Femme à deux maris; 1158 pour Le Chien de Montargis. Si ces chiffres dessinent les contours de ce que fut la fortune de Pixerécourt, ils traduisent aussi la formidable emprise exercée sur les imaginations: le mélodrame annonce, certes à un degré encore modeste, ce que l’on nommera plus tard la «culture de masse». Mais le mélodrame est plus généralement relié par Nodier à une culture po- pulaire conçue par des autorités de tutelle – les auteurs issus des classes instruites – en termes d’utilité et d’action morales. Pixerécourt a ainsi répondu en son temps à l’interrogation formulée par Louis-Sébastien Mercier en 1773 dans son Essai sur l’art dramatique lorsque ce dernier engageait les dramaturges à composer pour le peuple: Si vous jugez le spectacle utile, de quel droit en privez-vous la partie la plus nombreuse de la nation? Pourquoi la renvoyez-vous sur les boulevards entendre des pièces licencieuses où

(1) R.-C. GUILBERT DE PIXERÉCOURT, Théâtre 1971, 4 tomes. Une passion commune pour la bi- choisi, «précédé d’une Introduction par Charles bliophilie rapproche Pixerécourt du bibliothécaire Nodier et illustré par des notices littéraires dues à de l’Arsenal, Nodier. ses amis, membres de l’Institut de l’Académie fran- (2) C. NODIER, Introduction au Théâtre choisi de çaise, et autres hommes de lettres», Nancy, chez Pixerécourt, cit., tome I, pp. VII-VIII. l’auteur, 1841-1843; Genève, Slatkine Reprints,

ultime 351 4-12-2006, 21:35:01 352 Olivier Bara

triomphent le vice et la grossièreté […]. Quel sera l’auteur qui songera à ce bon peuple, qui lui donnera une nourriture saine et agréable, qui présidera à ses plaisirs honnêtes et lui apprendra à les goûter?3.

Offrir un drame à ceux qui ne savent pas lire, mettre à leur portée un enseigne- ment simple et effi cace, imposer aux imaginations des représentations symboliques susceptibles d’apaiser tout élan de révolte: telle a été l’ambition esthétique et politi- que de Pixerécourt. Selon une relation d’autorité forcément verticale, la «nourriture» intellectuelle est donnée au peuple-enfant, «bon», naïf mais dangereux, par un auteur investi d’un triple pouvoir, politique, judiciaire et religieux. Si Pixerécourt hérite de la forme du drame pensé par les dramaturges des Lumières comme outil de trans- formation de la foule en peuple uni, il en pervertit toutefois le fonctionnement et la fonction, orientés dans un sens réactionnaire, répressif et populiste. Cette leçon politique, dégagée de l’édition du Théâtre choisi en 1840-1841, vaut autant – telle sera notre hypothèse – pour les premières années du XVIIIème siècle que pour la monarchie de Juillet. Historiquement, le mélodrame est bien contemporain de la reconstruction d’une puissante autorité politique dans la société post-révolutionnaire. Le mélodrame que l’on appelle «classique» naît en réaction contre la créativité théâtrale anarchique qui caractérisa la dernière décennie du XVIIIème siècle. En 1791, les décrets Le Chapelier avaient autorisé tout citoyen à «élever un théâtre public et [à] y faire représenter des pièces de tous les genres». Arraché au système des privilèges, le théâtre était soumis au régime commercial privé, tandis que la censure préalable était offi ciellement sup- primée4. La libéralisation de la vie théâtrale avait amplifi é un mouvement de dissé- mination des lieux et des formes de spectacle entamé avant la Révolution: les quatre salles privilégiées (Académie Royale de Musique, Théâtre Français, Opéra-Comique, Théâtre de Monsieur) étaient déjà débordées par les spectacles de la Foire et des bou- levards. Après 1791, les entreprises de spectacle s’étaient multipliées au point qu’on redoutait que chaque rue de Paris ne fi nisse par posséder son propre théâtre. Un nouveau public, élargi aux classes populaires, s’était mis à goûter aux multiples sous- genres inventés dans une joyeuse anarchie: pantomime dialoguée ou fait historique à grand spectacle, vaudeville grivois ou folie-vaudeville poissarde5. C’est dans ce cadre ouvert et décentré que naît le mélodrame régulier, sous la férule de Pixerécourt. En tête de l’édition de son Théâtre choisi est dressée une liste de 120 ouvrages composés par Pixerécourt entre 1793 et 1835. La moitié (59) d’en- tre eux relève de la catégorie dramatique du «mélodrame»6. Mais, par un tour de force révélateur, ce terme générique est employé rétrospectivement par Pixerécourt pour qualifi er ses pièces créées dès 1800: Rosa ou l’Ermitage du torrent et Cœlina ou l’Enfant du mystère portent le nom de «mélodrame» et succèdent, dans la liste, aux parodies, opéras-comiques, folies, comédies, tableaux lyriques, drames en prose ou drames lyriques composés auparavant par le jeune dramaturge. Pourtant, avant ce geste de re-collection et de re-nomination d’une œuvre entière, le premier ouvrage

(3) L.-S. MERCIER, Du Théâtre, ou Nouvel Essai nés de la Foire, voir H. SCHNEIDER, Problèmes de sur l’art dramatique [1773], Hildesheim, Reprint terminologie dramatique chez les frères Parfaict, Georg Olms Verlag, 1973. Sur la notion de «peu- dans La Scène bâtarde entre Lumières et roman- ple», voir P. FRANTZ, L’usage du peuple, dans Louis tisme, sous la dir. de P. Bourdin et G. Loubinoux, Sébastien Mercier, un hérétique en littérature, sous Clermont-Ferrand, Presses universitaires Blaise- la dir. de J.-C. Bonnet, Paris, Mercure de France, Pascal, 2004, pp. 113-130. 1995, pp. 55-79. (6) Les six autres catégories génériques sont: (4) Elle fut rétablie de facto en 1793, placée sous tragédies, comédies, drames, opéras-comiques et l’autorité du Comité d’Instruction publique. drames lyriques, pièces féeries et pantomimes, (5) Sur cette profusion générique des spectacles vaudevilles.

ultime 352 4-12-2006, 21:35:01 «La moralité de la révolution» 353

de Pixerécourt à s’être appelé «mélo-drame» fut La Femme à deux maris en 1802. Et Cœlina fut d’abord publiée chez l’éditeur Barba sous l’appellation «drame en trois actes, en prose, à grand spectacle». Ainsi, l’auteur, dans son regard en arrière, situe l’invention du mélodrame à l’exact tournant des XVIIIème et XIXème siècles et associe désormais ce genre aux théâtres de l’Ambigu-Comique, de la Porte-Saint-Martin puis de la Gaîté. Nodier appuie cette relecture: en 1800, Cœlina marque selon lui le passage des pantomimes dialoguées, «assemblage de scènes informe, abortif et mons- trueux», au mélodrame régulier, «tableau véritable du monde que la société nous a fait» et «seule tragédie populaire qui convienne à notre époque»7. Une nouvelle fois, l’interprétation mêle esthétique et politique: la pantomime dialoguée, informe, est rattachée à la fi n du Directoire; au Consulat est reliée l’invention par Pixerécourt du genre stable du mélodrame. La remise en ordre esthétique accompagne désormais la réorganisation de la société, quelques années avant la promulgation du nouveau Code civil (1804). La concomitance historique, posée a posteriori, entre l’invention du mélodrame régulier et le Coup d’état du 18 Brumaire an VIII (9 novembre 1799) est signifi ante: dans les deux cas, se jouerait le retour à un ordre politique et social, la réaffi rmation d’une Autorité. Le nouvel ordre mélodramatique repose d’abord sur l’observance de quelques règles classiques: unités d’action et de temps (la diversité des lieux est appelée par l’exigence du «grand spectacle»); nouveaux codes de bienséance. Telle est du moins la leçon imposée par l’édition du Théâtre choisi par le biais des extraits de presse, ha- bilement placés autour de chaque pièce. Dès la création de Cœlina, en 1800, Ducray- Duminil écrivait dans le «Journal des petites affi ches» un article louangeur à propos de ce mélodrame tiré de son propre roman. Il n’omettait pas de remarquer, comme gage d’une possible reconnaissance esthétique: «on remarque avec plaisir que l’unité de temps et celle d’action sont scrupuleusement observées dans cette pièce»8. Telle était aussi la position de Julien-Louis Geoffroy, critique offi ciel de la France impé- riale, véritable autorité de légitimation en matière de théâtre, installé au «Journal des Débats» depuis 1800. Ce dernier critiquait sévèrement le drame, forme non aristotéli- cienne née de la révolution des genres dramatiques au XVIIIème siècle; il s’attaquait aussi à la tragédie voltairienne responsable d’abuser du grand spectacle, réservé jusqu’alors à la tragédie lyrique, et de mettre la tragédie au service de la philosophie. En revan- che, Geoffroy intégrait volontiers le mélodrame dans son feuilleton dramatique du «Journal des Débats» et reconnaissait au nouveau genre «souvent autant de régularité et de vraisemblance, que dans beaucoup de pièces soi-disant régulières»9. Traduite en style tragique, une pièce comme La Femme à deux maris pourrait même être, selon lui, digne de la Comédie-Française10. La régularité du mélodrame était alors reliée par Geoffroy à ce qu’il appelle la première loi du code dramatique moderne: «réformer les mœurs», «inspirer la vertu», deux ambitions éthiques qui ne sauraient passer que par le respect d’un ordre esthétique11. La relecture de Nodier se trouve confi rmée par les témoignages d’époque qui ponctuent l’édition. Cette remise au pas de la société par les spectacles est passée par une réforme de la politique des théâtres entamée par Napoléon. Sous le Consulat, la surveillance ac-

(7) C. NODIER, Introduction au Théâtre choisi de (8) Cité dans le Théâtre choisi, cit., tome I, p. 6. Pixerécourt, cit., tome I, pp. I et II. On lira une (9) Cité dans le Théâtre choisi, cit., tome I, de ces «pantomimes dialoguées à grand spectacle» p. 243. inédites de Pixerécourt, présentée par F. Lévy, Le (10) Ivi, tome I, p. 248. Moine, ou la Victime de l’orgueil, dans «Orages». (11) J.-L. GEOFFROY, Cours de littérature dra- Littérature et culture 1760-1830, n. 4, Boulevard du matique, Paris, Blanchard, 1819, tome VI, p. 93, à Crime: le temps des spectacles oculaires, mars 2005, propos de La Femme à deux maris. pp. 119-152.

ultime 353 4-12-2006, 21:35:02 354 Olivier Bara

crue du répertoire est confi ée au ministre de l’Intérieur en 1800 (Lucien Bonaparte) et la censure préalable est rétablie. Surtout, les décrets napoléoniens de 1806-1807 marquent la reprise en main des spectacles par l’autorité politique et, symptomati- quement, ils intronisent le mélodrame, reconnu désormais comme genre dramatique à part entière. Le décret du 29 juillet 1807 limite l’offre parisienne à quatre grands théâtres et quatre théâtres secondaires. A côté des Variétés et du Vaudeville, voués à la comédie-vaudeville, la Gaîté et l’Ambigu-Comique obtiennent le privilège du spec- tacle mélodramatique. Le Théâtre de la Gaîté, grâce à la quasi suppression de toute concurrence, augmente ses recettes de près de 90 % entre 1806 et 181112. Le mélo- drame n’est aucunement perçu par le pouvoir comme une menace contre l’autorité: il est un outil de reconstruction nationale grâce à sa capacité à glorifi er les héros et les pères, et à opérer, sous le signe de la Providence, la partition entre Bons et Méchants. Le mélodrame est bien «le genre qui caractérise cette période» de l’Empire, dans «une adéquation quasi parfaite entre le genre et l’idéologie que cherchait à diffuser le pouvoir impérial […]»13. Cette fonction morale et politique du mélodrame classique est assumée expli- citement par son créateur dans le discours qui encadre la publication de son œuvre théâtrale sous la monarchie de Juillet. Comme l’Introduction de Nodier, ce texte dégage rétrospectivement le sens et la valeur d’un théâtre à visée pragmatique. La notice autobiographique, insérée au début de l’édition du Théâtre choisi et datée du 22 janvier 183614, peut en effet se lire comme un éloge de la toute puissante Paternité et de la bienfaisante autorité de ces frères chrétiens qui se chargèrent de l’éducation du jeune Pixerécourt dans la région de Nancy – en particulier un «ancien capitaine major qui avait été élevé chez les jésuites, et plus tard à l’école militaire des Cadets du roi de Pologne»15. Ce que Pixerécourt appelle «l’éducation brutale» est opposé aux éducations modernes, jugées responsables des parricides et autres «crimes inouïs». Ce discours profondément réactionnaire culmine dans cette étonnante déclaration, pour le créateur de tant de mélodrames à fi n heureuse: «Je ne crois point à ce que l’on nomme le bonheur». Seule la «volonté énergique, dirigée par un esprit juste et un cœur loyal» peut soutenir une existence16. La fi n de ces souvenirs, dans un ajout daté de 184117, rapporte la mort du père de Pixerécourt à qui la notice biographique était dédiée. L’essentiel de cet ajout est for- mé par la «prédiction d’un centenaire», insertion dans le texte de ce qui est présenté comme le dernier discours d’un mourant. Le discours, rapporté entre guillemets, Vérité révélée dans un dernier souffl e, fait retentir les mots «obéissance», «devoirs», «honneur», «subordination». Selon ce père et sa voix d’outre-tombe, deux vices se partagent la responsabilité des crimes en ces années 1830: la liberté de la presse, octroyée par le trop modéré Louis XVIII, et surtout le tutoiement dont l’habitude s’est répandue pendant la Révolution – «Il y a soixante ans, on ne tutoyait jamais les enfants, encore moins leur était-il permis de tutoyer leurs père et mère»18 –. De là le désordre, la violence, la dissolution évoqués en un discours apocalyptique: des maux si graves que même Napoléon, s’il revenait, ne pourrait guérir. C’est ce désordre que Pixerécourt fi ls, dans son théâtre, aurait cherché à endiguer: le but avoué était le réta- blissement du principe d’autorité incarné d’abord par la fi gure paternelle vénérée.

(12) D’après J.-P. PERCHELLET, Les spectacles (14) Souvenirs du jeune âge et détails sur ma vie, parisiens et leur public dans L’Empire des Muses. dans Théâtre choisi, cit., tome I, pp. XVII-XLIII. Napoléon, les Arts et les Lettres, sous la dir. de J.-C. (15) Ivi, p. XXIV. Bonnet, Paris, Belin, 2004, pp. 153-171. (16) Ibid. (13) P. FRANTZ, Le théâtre sous l’Empire: entre (17) Ivi, pp. XXXIII-XLIII. deux révolutions, dans L’Empire des Muses, cit., (18) Ivi, p. XXXV. p. 194.

ultime 354 4-12-2006, 21:35:02 «La moralité de la révolution» 355

Cette culture de Pixerécourt se rattache enfi n au souvenir laissé en Lorraine par le roi Stanislas. Le dramaturge rapporte avec fi erté comment l’obtention du prix d’excellence au collège de Nancy lui permit de prononcer un discours en public, devant les autorités civiles, militaires, ecclésiastiques, aristocratiques de la ville, selon la pratique instaurée par Stanislas en son temps. Ce mélange d’autoritarisme et de paternalisme incarné par le roi bienfaisant de Pologne caractérise la position de Pixe- récourt dans son œuvre et dans les théâtres qu’il dirigea. On relève d’ailleurs cette note de bas de page, dans les mêmes souvenirs de l’auteur, rappelant avec horreur la tache infâme jetée sur le nom de Stanislas pendant la Terreur, lorsque l’inscription sur la porte du collège de Nancy, «Stanislas roi bienfaisant», devint «Stanislas tyran bienfaisant»19. Tout le théâtre de Pixerécourt semble découler de cette note et de ce souvenir: l’entreprise mélodramatique a visé à réintégrer l’autorité protectrice et bienfaisante dans son droit et dans son honneur, et à évacuer les tyrans, sans-culottes, jacobins, régicides et autres athées20. Placés en tête de l’édition du Théâtre choisi de Pixerécourt, ces textes posté- rieurs à la composition des œuvres théâtrales se chargent une nouvelle fois d’en orienter la réception et la lecture. Le geste éditorial de Pixerécourt relève, jusque dans le détour biographique, de l’idéologie. L’ensemble des pièces rassemblées par l’auteur sont données à lire comme autant de réponses à la dissolution morale déplo- rée en ces pages liminaires: les mélodrames ont pour vocation de dire inlassablement les vertus de la sacro-sainte autorité face à un monde menacé par les idées de liberté et d’égalité instillées par les Lumières et par la Révolution française. Le mélodrame de Pixerécourt vaut réparation de l’Histoire, annulation du temps, révélation d’un Ordre pérenne derrière les désordres du siècle. Cette posture autoritaire de l’auteur Pixerécourt fut également celle du directeur et régisseur de scène du Théâtre de la Gaîté21 où il fut surnommé le «Tyran Ferocios Poignardini», par référence ironique à ses propres personnages mélodramatiques de tyrans italiens issus du roman noir. Le dramaturge se déclare fi er de déclarer dans ses souvenirs, à propos de son travail d’auteur et de directeur de théâtre: «j’ai régné pendant trente ans comme un roi absolu»22. Ce Louis XIV du Boulevard, ou Roi-so- leil des théâtres secondaires, explique par son souci de contrôler toute la production de ses ouvrages son refus de travailler pour les théâtres principaux de Paris, lesquels lui auraient apporté un prestige et une légitimité littéraires beaucoup plus grands. Ces théâtres, comme la Comédie-Française23, sont gérés par des acteurs-sociétaires, intéressés fi nancièrement aux recettes du théâtre et chargés de co-diriger l’entreprise: Pixerécourt n’aurait pas été maître de son œuvre, de l’écriture à la représentation, comme il a pu l’être dans son théâtre de la Gaîté pendant dix ans. L’expérience mal- heureuse de sa direction du Théâtre Royal de l’Opéra-Comique sous la Restauration le prouve: l’autorité directoriale et dictatoriale de Pixerécourt, à partir de 1822, fi t

(19) Ivi, p. XXVIII. fois qu’il mettait un ouvrage en scène, anticipant la (20) Les légitimistes Pixerécourt et Nodier profession de metteur en scène. D’après R. MARTIN, partagent des souvenirs communs de la guillotine. La féerie ‘mise en scène’ sous le Consulat, ou les pre- Rappelons que Guilbert de Pixerécourt a émigré et miers pas de Sénéis, «Orages», n. 4, cit., p. 80. servi dans l’armée de Condé à Coblence avant de (22) Théâtre choisi, cit., Souvenirs du jeune âge, revenir à Paris et d’y survivre grâce au théâtre. On tome I, p. XL. sait l’empreinte laissée par les images d’exécution (23) Lorsque sa comédie en vers Benserade ou capitale dans les récits de Nodier, dont le père était Madame de la Vallière fut reçue au Théâtre Fran- juge au tribunal révolutionnaire de Besançon sous çais en 1818, Pixerécourt refusa de laisser jouer sa la Convention jacobine. pièce «de peur que la représentation n’obtînt pas à (21) Pixerécourt fut directeur privilégié de la son gré un succès pareil à ceux qu’il avait coutume Gaîté du 5 juillet 1825 au 1er avril 1835. Il s’oc- d’obtenir depuis vingt ans». Théâtre choisi, Tableau troyait en outre un salaire complémentaire chaque chronologique, op. cit., tome I, p. LXXII.

ultime 355 4-12-2006, 21:35:02 356 Olivier Bara

fuir les acteurs-sociétaires en province, qui n’acceptèrent de revenir que moyennant le départ du directeur le 31 août 182724. Pixerécourt représente ainsi un cas de réus- site exceptionnelle au théâtre où il fi gure l’autorité absolue exercée par un auteur sur son propre répertoire, exemple rare d’artiste parvenant à maîtriser tous les paramè- tres de la création dans une industrie du spectacle reposant sur le partage des tâches et la co-création. Il est en cela un modèle de maîtrise auctoriale dans un domaine de production où l’auteur est souvent dépossédé de son pouvoir par les acteurs, les régisseurs ou les directeurs. Partout, Pixerécourt a voulu s’ériger en garant – auctor – de son œuvre, y compris dans les répétitions surveillées de main de maître: «La répétition, c’était, pour M. de Pixerécourt, l’éducation du comédien. La représen- tation, c’était, pour M. de Pixerécourt, l’éducation du parterre»25. Cette position est originale au sein de «l’entreprise mélodramatique»26. Dans sa défi nition du mélodrame comme «moralité de la révolution», Nodier insiste sur le mélange nécessaire de nouveauté et d’uniformité dans le mélodrame, pris dans une dialectique de standardisation et d’innovation, seule capable d’inté- resser les spectateurs à une morale nécessairement fi xe et redondante: «un thème toujours nouveau de contexture, toujours uniforme de résultats». Jean-Marie Tho- masseau est le premier à avoir, dans sa thèse27, décrit la grammaire et la syntaxe du mélodrame, la nature et les fonctions des signes dramatiques ainsi que leurs décli- naisons paradigmatiques. La bi-partition manichéenne du monde est l’apanage des œuvres mélodramatiques structurées selon des fonctions élémentaires réparties entre des personnages-types. La morphologie du mélodrame se décline en cinq fi gures: In- nocente persécutée, Tyran, Niais, Chevalier de l’Innocence ou Protecteur mysté- rieux, Père noble. A cette morphologie répond une typologie des actions: enlèvement et claustration de la victime, évasion ou libération différées, bannissement puis réintégration, perte d’identité puis retrouvailles familiales par le biais d’une scène de reconnaissance, punition fi nale du traître. Pour placer chacun dans sa fonction dramatique, l’épithète mélodramatique vise à l’évidence et à la transparence absolue. Dans Cœlina, on rencontre la «bonne Tiennette», le «bon M. Dufour», «l’honnête Michaud», opposés au «scélérat Truguelin». Dans Les Ruines de Babylone (1810), on croise l’«infâme Isouf», «traître maudit» et «méchant eunuque», opposé à la «chère Zaida», «innocente créature», «mère infortunée», «bonne femme», «pauvre femme dont les traits respirent la candeur et l’innocence». L’adjonction de l’épithète au nom fonctionne comme un prédicat donné comme présupposé, hors de toute situation temporelle. Cela fait du mélodrame un théâtre essentialiste, où l’on naît bon ou mé- chant – un théâtre sans devenir et sans reste. Le jeu des épithètes, par leur fi xité et leur redondance, fonde ce que l’on pourrait appeler l’ordre moral dans la langue28. Chaque intrigue, dans un temps resserré selon la prescription classique, organise le sauvetage de l’innocence persécutée et la punition du crime, de la tyrannie et de l’im- posture. L’enjeu est d’organiser les péripéties dramatiques grâce auxquelles la fatalité du mal se retourne en Providence protectrice des valeurs familiales et nationales. Après la rupture historique de la Révolution, l’épreuve de la violence et l’effondre-

(24) Je me permets ici de renvoyer à mon Adrets” (1823), Service de reproduction des thèses, ouvrage Le Théâtre de l’Opéra-Comique sous la Université de Lille III, 1974. Voir, du même auteur, Restauration. Enquête autour d’un genre moyen, Le Mélodrame, PUF, coll. «Que sais-je?», 1984. Hildesheim, Georg Olms Verlag, 2001, pp. 26-31. (28) J’ai développé cette analyse dans mon arti- (25) C. NODIER, Introduction au Théâtre choisi, cle Langue des drames de Hugo en prose et langue cit., tome I, p. XIV. du mélodrame, dans Hugo et la langue, Actes du (26) Voir J. PRZYBOS, L’Entreprise mélodramati- Colloque de Cerisy 2002, sous la dir. de F. Nau- que, Paris, José Corti, 1987. grette et G. Rosa, Rosny-sous-Bois, Bréal, 2005, (27) J.-M. THOMASSEAU, Le Mélodrame sur les scè- pp. 409-427. nes parisiennes de “Cœlina” (1800) à l’“Auberge des

ultime 356 4-12-2006, 21:35:02 «La moralité de la révolution» 357

ment des repères traditionnels dans la société qu’étaient le trône et l’autel, le mélo- drame jouerait bien un rôle régulateur et compensateur grâce aux images détournées de la violence politique et sociale, fi gurée métaphoriquement par les cataclysmes, incendies et autres explosions. Ce canevas demeure stable sous le Consulat et l’Empire. En revanche, sous la Restauration, les mélodrames perdent leur belle et rassurante régularité. Surtout, ils accueillent désormais des fi ns tragiques, signe d’un changement des sensibilités: la Fatalité remplace la Providence. Cette déstabilisation du mélodrame classique ira jusqu’à la rupture spectaculaire de l’unité de temps, expression d’une chute sociale, dans Trente ans ou la Vie d’un joueur de Victor Ducange, en 1827. Mais dès 1817, le rituel mélodramatique a été la cible d’un opuscule écrit par trois journalistes et publi- cistes: Jean-Joseph Ader, Armand Malitourne, Abel Hugo. Ce Traité du mélodrame29 élabore sur le mode parodique la poétique de ce soi-disant grand genre: le mélo. En dehors de l’entreprise de renversement des vieilles autorités littéraires de l’Empire, cet ouvrage satirique est le signe que la répétition du code a affaibli le genre, dont la trame laisse désormais percevoir la grossièreté de ses fi ls. Un autre signe d’affaiblisse- ment du mélodrame classique est bien connu: dans L’Auberge des Adrets joué à l’Am- bigu-Comique en 1823, mélodrame sans prétention particulière d’Antier, Lacoste et Chapponier, l’interprétation irrespectueuse de Frédérick Lemaître dans le rôle de Robert Macaire œuvre magistralement au détournement des codes. L’improvisation de l’acteur s’ingénie à héroïser les marginaux et les bandits ordinairement expulsés hors de la sphère sociale par le rituel mélodramatique. La fascination exercée par les marges, la contestation de l’ordre social, le plaisir de la fronde face à toute autorité remplacent les protocoles passés de la soumission terrifi ée. La pièce est certes inter- dite au bout de la 80ème représentation, mais en 1834, Frédérick Lemaître fait renaître son personnage dans le drame de Robert Macaire aux Folies-Dramatiques: le mythe littéraire de l’asocial cynique, à la tignasse hirsute et au bandeau sur l’œil, armé d’un gros gourdin, s’est installé. Le mélodrame, arraché à sa fonction morale primitive, porte désormais les ferments insurrectionnels d’une partie de la population. C’est dans ce contexte que prend forme et sens le projet éditorial de Pixeré- court, désireux de laisser son théâtre choisi à la postérité, et de graver ses mélodra- mes à grand spectacle, forcément éphémères, dans le marbre du texte. L’édition se lit d’abord comme la réaction de l’auteur-directeur-régisseur à l’incendie de son Théâtre de la Gaîté le 21 février 1835, pendant la générale du dernier mélodrame de Pixerécourt: Bijou ou l’Enfant de Paris. Ironie de l’histoire: en cette même année, l’Académie française admet le mot «mélodrame» dans son Dictionnaire avec pour défi nition: «sorte de drame où le dialogue est coupé par une musique instrumentale». On remarque la nuance péjorative contenue dans la «sorte de»: la bâtardise est ins- crite au cœur même du genre que Pixerécourt prétend anoblir. De façon moins conjoncturelle, le projet éditorial de Pixerécourt est manifeste- ment lié à la volonté d’être reconnu comme auteur, digne d’exercer une autorité lit- téraire aussi puissante que celle d’un directeur de théâtre et d’un régisseur. Déjà dans un opuscule de 1818, intitulé ironiquement Guerre au mélodrame!!!30, Pixerécourt avait répondu à ses détracteurs en reliant esthétiquement le mélodrame à la tragi- comédie et au Corneille d’avant Le Cid. Portée par cette quête de reconnaissance, l’édition du Théâtre choisi, publiée «chez l’auteur» à Nancy, se présente comme une étonnante et dérisoire entreprise d’auto-promotion de la part d’un auteur vieillissant,

(29) Traité du mélodrame par A!A!A!, Paris, (30) R.-C. GUILBERT DE PIXERÉCOURT, Guerre au Delaunay, Pélicier, Plancher, 1817. Repris, avec une mélodrame!!! (sous la signature «Le Bonhomme du présentation de J.-M. Thomasseau, dans «Orages», Marais»), Paris, Delaunay, 1818. n. 4, cit., pp. 153-190.

ultime 357 4-12-2006, 21:35:03 358 Olivier Bara

aigri par quelques succès récents du mélodrame moderne ou du drame romantique, et ruiné par la perte de son théâtre. On découvre ainsi au fi l des quatre tomes de l’édi- tion une notice pour chacune des pièces retenues, rédigée par un ami de Pixerécourt, généralement de l’Académie française; des extraits de journaux de l’époque, choisis pour leur caractère laudateur, préparent favorablement à la lecture de chaque pièce: autant de textes censés faire autorité et garantir la valeur de l’œuvre. Ce paratexte insiste une nouvelle fois sur la portée morale de ces œuvres, sur leur fonction péda- gogique exercée auprès des classes populaires, comme si les pièces n’avaient guère de valeur intrinsèque en dehors de l’effet exercé sur les spectateurs. Aussi l’ancrage de ce théâtre dans un moment de l’histoire dit-il implicitement la faiblesse d’une œuvre illisible et peut-être injouable hors de son contexte post-révolutionnaire. Tel est bien le sens imprimé au recueil par l’Introduction de Nodier. Ce dernier, en 1840, replace le mélodrame dans un passé révolu et fonde son analyse sur un texte écrit cinq ans avant dans la Revue de Paris (5 juillet 1835) et cité en premières pages31: Du mouvement intellectuel et littéraire sous le Directoire et le Consulat. S’exprime ici la nostalgie d’un ordre révolu: la classe populaire n’a alors jamais «été plus régulière dans ses mœurs, jamais les crimes n’ont été plus rares»32. Dans le contexte des grandes émeutes ouvrières et de leur répression sanglante par le pouvoir orléaniste, alors que Fieschi manque son attentat contre le roi, s’exprime, porté par le bon vieux mélodra- me impérial, le regret d’un ordre autoritaire perdu. Le drame romantique, parce qu’il a brouillé les polarités morales du mélo et promu avec Hugo quelque bossu régicide et autre empoisonneuse au rang de héros, est jugé responsable de cet affaiblissement de toute forme de pouvoir. Et Nodier de s’en prendre à cette «école excentrique» qui s’est appliquée «avec une sollicitude infernale à faire valoir les beautés poétiques du crime»33. La monarchie de Juillet a laissé l’homme sans valeurs ni principes: ce dernier sortira du théâtre moderne en arborant «fi èrement les haillons de Robert-Ma- caire»34 pour aller aiguiser son poignard… Partageant la grand’peur de Nodier face à un peuple bien différent des sages assemblées rêvées, Pixerécourt clôt son édition par ses Dernières réfl exions sur le mélodrame, protestation vigoureuse contre toute assimilation du mélodrame au drame romantique, pièces «mauvaises, dangereuses, immorales, dépourvues d’intérêt et de vérité»35. La relecture du mélodrame impérial par Nodier et Pixerécourt parie avec quel- que naïveté (ou avec le désir éperdu d’y croire) sur l’effi cacité immédiate, performa- tive, du discours moral ou politique au théâtre. Le mélodrame doit-il pour autant, à partir de l’Introduction de Nodier historiquement marquée, se penser en termes d’autorité et de contrôle exercés sur les masses populaires? A cela, on objectera que le code joue contre l’autorité. La codifi cation extrême des signes et des fonctions relève de la convention, laquelle confère au genre son autonomie. Or, la conscience des co- des autant que l’adhésion à ses protocoles dramatiques font tout le plaisir du théâtre: aussi les spectateurs ne sauraient-ils être assimilés à de simples consciences passives et réceptives. Le plaisir du mélodrame naît aussi de la différence entre l’ignorance des personnages englués dans une intrigue complexe et le savoir surplombant des spectateurs, maîtres des codes et capables de déchiffrer les signes dramatiques. Le public est moins sommé de croire ou d’obéir qu’invité à s’abandonner à l’impression de maîtriser le monde et l’histoire. Le roman populaire se souviendra de cette dialec- tique de l’opacité et de la clarté transformant la lecture comme le spectacle théâtral

(31) Théâtre choisi, cit., tome I, pp. I-IV. politique. (32) Rappelons que Nodier participa à la vie (33) Théâtre choisi, cit., tome I, pp. IV-V. politique sous le Directoire et complota contre (34) Ivi, p. VII. Napoléon avant de se placer en retrait de la vie (35) Ivi, tome IV, pp. 498-499.

ultime 358 4-12-2006, 21:35:03 «La moralité de la révolution» 359

en expérience ludique de la perte et de la reconnaissance. Relire le théâtre de Pixeré- court selon cet esprit d’enfance éclaire davantage son génie mélodramatique. Sur le plan idéologique, le mélodrame du Consulat et de l’Empire a assurément joué sur les imaginaires: il a drainé la violence née de la révolution, l’a transposée sur le plan de la représentation pour mieux la purger. Dans les théâtres de mélodrame s’est produit moins une soumission aux discours autoritaires, qu’une adhésion collective, fondée sur l’illusion volontaire, à des images d’ordre et à un monde de valeurs stables, venant compenser l’anomie de la société post-révolutionnaire. Le mélodrame classi- que a moins imposé un discours d’autorité qu’il n’a fi guré une autorité perdue pour une société en pleine recomposition. Aussi est-ce le caractère rituel du mélodrame, phénomène de masse, qui fait sens: ce dernier a rempli une fonction compensatrice, protectrice et surtout fédératrice. Le mélodrame s’est substitué à la «chaire muette» non pas pour faire résonner quelque discours moral ou politique immédiatement effi cace, mais pour réparer dans l’enceinte théâtrale un lien brisé. A l’Ambigu ou la Gaîté, la société révolutionnée a pu représenter, et ainsi recréer, une unité perdue.

OLIVIER BARA

ultime 359 4-12-2006, 21:35:03 360 Lionello Sozzi L’autorità del letterato

La conscience de chaque individu de la classe cultivée cons- titue un tribunal infl exible, qui juge les actes de l’autorité.

Benjamin Constant, Principes de politique.

Per Voltaire, il letterato somiglia al pesce volante: «L’homme de lettres, – si legge nel Dictionnaire philosophique, – est sans secours; il ressemble aux poissons volants: s’il s’élève un peu, les oiseaux le dévorent; s’il plonge, les poissons le mangent». Sul letterato, infatti, incombono due pericoli: se fa la corte ai potenti, ne è divorato nel senso che si pone al loro servizio e scende al rango di loro domestico, se dà ascolto alle voci che provengono dal basso perde ugualmente la sua autonomia di comporta- mento e di giudizio. È in bilico, insomma, tra servilismo e demagogia. Un favolista, Florian, sembra ricordarsi della similitudine voltairiana quando in una fable, senza alludere direttamente al paragone tra il pesce volante e il letterato, vede nella con- dizione del primo l’emblema del doppio rischio cui soggiace il secondo. Un poisson volant, nella favola, si lagna con la sua grand’mère: non sa, dice, come sfuggire a due pericoli mortali:

De nos aigles marins je redoute la serre Quand je m’élève dans les airs, Et les requins me font la guerre Quand je me plonge au fond des mers.

La vieille dà una risposta ispirata a prudente saggezza:

……………...... Mom enfant, dans ce monde, Quand on n’est pas aigle ou requin, Il faut tout doucement suivre un petit chemin, En nageant près de l’air et volant près de l’onde.

L’invito è quindi a una posizione mediana, che non sia né di contestazione né di piaggeria: non dimentichiamo che le Fables di Florian escono nel 1792, cioè nel pieno dell’evento rivoluzionario, in un momento in cui la disubbidienza all’autorità è rischiosa e la soggezione demagogica può divenire colpevole complicità. Florian invita dunque a barcamenarsi, alla scelta guardinga di un petit chemin. Ciò non toglie, per altro, che, se nel suo pesce volante vediamo l’homme de lettres di cui parla Voltaire, il destino del letterato appaia tutt’altro che allegro: da quanto detto, infatti, conseguono la sua infelicità, i mali e le sventure che lo affl iggono: tra Settecento ed età romantica diventa corrente l’allusione ai grandi letterati e fi losofi incompresi, perseguitati, incarcerati, esiliati, da Omero a Socrate, da Dante al Tasso, da Cartesio a Milton, l’allusione cioè a una infelicità che per altro diventa segno di altezza, emblema di ricchezza, che è insieme miseria e nobiltà. Miseria, povertà anche economica: Carmina non dant panem, diceva un vecchio adagio, e lo stesso Omero, dice Ovidio, «nulla reliquit opes»: la poesia non dà pane a meno che non ci si metta al servizio di un potente che nutre ma tarpa le ali. Di qui la posizione estrema del- l’Alfi eri, secondo il quale può coltivare la letteratura solo chi appartiene a un ceto privilegiato e dispone di adeguati mezzi per vivere, oppure, inversamente, quella di Rousseau, secondo il quale deve ispirarsi, il letterato, al più assoluto disinteresse,

ultime 360 4-12-2006, 21:35:03 L’autorità del letterato 361

poiché possono vendersi i prodotti delle proprie mani, ma non quelli dell’anima, che non hanno prezzo. Entrambe le posizioni si risolvono in una sorta di solitudine del letterato, mentre l’orientamento più corrente nella stagione dei Lumi è quello del legame dell’homme de lettres col suo contesto sociale e in particolare con gli ambienti legati al potere: l’idea di una produttiva collaborazione mecenatesca è infatti la più frequente in un’epoca in cui sia Voltaire con Le siècle de Louis XIV, sia d’Alembert, con l’Essai sur la société des gens de lettres et des grands, sono convinti in fondo dell’utilità di un rapporto che dia insieme sostegno al potere e garanzie esistenziali agli scrittori. Del vantaggio di una collaborazione col “principe” è, in fondo, convinto anche Diderot il quale, se è vero che conduce una me- ritoria battaglia in difesa dei “diritti d’autore” e, quindi, dell’indipendenza dello scrittore, è anche vero che, nell’Essai sur les règnes de Claude et de Néron, giustifi ca la presenza di Seneca accanto a Nerone, del fi losofo accanto al tiranno, come apprezzabile strategia di correzione o contenimento delle storture di chi detiene il potere. Parlavamo di indipendenza: è questa, per altro, la parola ricorrente nella stagio- ne della “metamorfosi dei Lumi”, a cominciare da quel trattato alfi eriano Del principe e delle lettere che, concepito sin dal 1778, scritto nel biennio 1785-86 e letto, almeno in parte, in un salotto parigino dinanzi a un pubblico di attenti ascoltatori, uscì a Kehl nel 1795, poi ebbe nuove edizioni nel 1800 e nel 1802. Non solo si afferma, in quel trattato, la tesi a cui prima accennavamo, ma si esalta la funzione del letterato che sa scegliere la via di una «maschia e fi era indipendenza» contro l’atteggiamento di quan- ti, «ciarlatani e buffoni», servi dei potenti, li adulano e assolvono. C’è, tra gli ascolta- tori parigini di Alfi eri, un giovane poeta, André Chénier, che quelle idee accendono ed esaltano e che, ispirandosi al trattato alfi eriano, non solo ne scriverà uno consimile, la République des lettres, centrato appunto sull’idea dell’indipendenza dell’homme de lettres, ma ne metterà in atto l’insegnamento fi no a giungere al sacrifi cio di sé in nome della libertà dello scrittore e della lotta contro ogni forma di sopruso. Il tema dell’in- dipendenza diverrà, così, centrale nel dibattito sulla funzione della letteratura, a tal punto che nel 1805 l’Institut lo metterà a concorso (De l’indépendance de l’homme de lettres), probabilmente con un intento nascostamente antinapoleonico anche se poi, di fatto, almeno in uno dei testi poetici inviati si leggono, nei confronti di Napoleone, le adulazioni più smaccate. La lettura dei manoscritti inviati e oggi giacenti nell’Ar- chivio dell’Accademia di Francia è interessante e signifi cativa: vi si parla, sì, della ne- cessaria indipendenza dello scrittore dal potere, vi si condanna la censura, ma quello proposto è, di fatto, un modello di vita ispirato al ritiro agreste e al disinteresse per la cosa pubblica. Interessante è notare che uno dei concorrenti sceglie come epigrafe il noto verso del Tasso: «Brama assai, poco spera e nulla chiede», quasi a sottolineare da un lato le alte mire di una creazione letteraria che difende valori ideali e modelli pur conoscendo la loro diffi cile attuazione, dall’altro rinunzia, in questo suo operare, alla richiesta di un qualsiasi compenso: l’opera del letterato deve ispirarsi, come già si è visto in Rousseau, al più assoluto disinteresse. Alle idee alfi eriane si ispirano anche gli autori di Coppet. Abbiamo varie prove della circolazione, in quel cenacolo, del trattato alfi eriano. Un memorialista del tem- po, Garat, dice di aver visto una volta manoscritti e opere di Alfi eri sulla scrivania di Suard, vecchio amico di Madame de Staël e di Constant: può trattarsi certo, in questo caso, solo dell’autore tragico, cioè dell’Alfi eri più noto. Ma c’è dell’altro. Petitot, che traduce quel trattato nel 1802, dice nell’introduzione che Madame de Staël se n’è ispirata specie quando ha svolto la tesi secondo cui la fi losofi a non può fi orire in età dispotiche, in epoche cioè in cui hanno successo solo opere di adulazione o di puro divertimento. Stendhal, più tardi, accuserà la scrittrice di aver plagiato Alfi eri nel bra- no del De la littérature in cui si cita Orazio in merito al tema del letterato che fugge,

ultime 361 4-12-2006, 21:35:03 362 Lionello Sozzi

sottraendosi ai suoi pubblici e anche bellici doveri: il «vile pensare», aveva scritto Al- fi eri, è il peggior frutto del dispotismo. Sismondi ammette, in una lettera alla contessa d’Albany, di essersi ispirato a pensieri e sentimenti di Alfi eri nella sua Histoire des républiques italiennes du Moyen Age. Se apriamo, infatti, il primo volume di quell’His- toire, notiamo che la sua introduzione è tutta un inno alle repubbliche comunali, a un’epoca cioè di libertà e di grandeur, in cui fi oriscono le virtù e si afferma l’energia del carattere, qualità che poi si spengono nell’età delle Signorie, avviando quel deca- dimento morale di cui parleranno, più tardi, Quinet e De Sanctis. Al «veleno cortigia- nesco» di cui aveva parlato l’Alfi eri fa pendant l’atteggiamento servile degli umanisti che sceglieranno non la via degli ideali etici ma quella della retorica celebrativa: «Leur fonction n’était pas d’analyser les actes des tyrans ou de les juger, mais de les déguiser par de belles phrases cicéroniennes». Si deduce, da queste parole, che funzione del letterato è esercitare la sua analisi critica e formulare il suo infl essibile giudizio. Ma torniamo ai principali esponenti del cenacolo di Coppet, e cioè a Mme de Staël e a Constant. Le analogie tra il trattato alfi eriano e il De la littérature non si limi- tano a quanto, abbiamo visto, è notato da Stendhal, sono numerose ed evidenti anche da altri punti di vista. Si riscontrano nelle due opere, innanzi tutto, indubbie analogie testuali. Se Alfi eri dice: «Il dire altamente le cose è un farle in gran parte», o aggiunge: «La penna in mano di un eccellente scrittore riesce per se stessa un’arme assai più possente e terribile e di assai più lungo effetto che non lo possa mai essere nessuno scettro né brando nelle mani d’un principe», Mme de Staël gli fa eco, utilizzando a sua volta, come anche Chénier aveva fatto nel suo ultimo “giambo”, la metafora della penna come arma: «L’art d’écrire, – dichiara, – seroit aussi une arme, la parole seroit aussi une action, si l’énergie de l’âme s’y peignoit tout entière». Alfi eri, per lei, «a voulu marcher par la littérature à un but politique». Di qui l’elogio del carattere fi ero e indomito, del «forte sentire», del «robusto pensare e sentire», delle «opinions fortes», dei «grands sentiments», e il rifi uto del mediocre, del tiepido, delle mezze let- tere, della semi-fi losofi a, o, come dice la Staël, delle demi-réfl exions, dei demi-aperçus. Di qui, anche, il rifi uto di ogni forma di protezione, sia essa augustea o luigiana, e la polemica alfi eriana contro i «prezzolati artefi ci», contro gli scrittori «pagati, incappati e protetti», cioè privati di ogni autonomia. Analogamente, la letteratura, anche per la Staël, è sempre fi glia di libertà: il Torquato Tasso di Goethe dimostra «le mal que fait la protection d’un prince à l’imagination délicate d’un écrivain». Un’altra analo- gia riguarda l’atteggiamento del principe nei confronti di una cultura non asservita ma indipendente, un atteggiamento che è sempre di sospetto se non di avversione: i despoti, per la Staël, detestano il libero pensiero, così come, per Alfi eri, ai tiranni fa comodo la totale cecità e ignoranza dei sudditi. Ma il ruolo del letterato non consiste solo nella difesa della libertà della cultura da ogni prevaricazione e da ogni abuso. Il suo ruolo è pubblico e attivo, egli deve interveni- re pubblicamente, giudicare, difendere i diritti di tutti. La sua dev’essere un’autorevole presenza, il suo ruolo si confi gura come auctoritas, lo scrittore dice con energia la verità, parla in nome dell’utilità generale, fa conoscere a tutti i loro «sacri diritti». La sua è una strenua e infl essibile vigilanza: «insegnando ai popoli i loro diritti, – scrive ancora l’Alfi eri, – [i letterati] amministrano loro gli opportuni mezzi di difenderli». Mme de Staël svolge la stessa tesi e anzi introduce la metafora del “tribunale” che avrà larga fortuna nel processo di “consacrazione” dello scrittore che avrà luogo in età romantica e a cui Paul Bénichou ha dato giustamente rilievo: «La seule puissance littéraire, – si legge, infatti, nel De la littérature, – qui fasse trembler toutes les autorités injustes, c’est l’éloquence généreuse, c’est la philosophie indépendante, qui juge au tribunal de la pensée toutes les institutions et toutes les opinions humaines». Si assiste, in queste righe, a un tipico capovolgimento,

ultime 362 4-12-2006, 21:35:04 L’autorità del letterato 363

vera “autorità” non è di chi gestisce il potere, ma di chi lo sottopone a giudizio, di un “tribunale” che giudica ed eventualmente condanna, in nome evidentemente della legge, non tanto quella che è scritta nei codici, quanto quella universale ed eterna che consiste nel rispetto dei «sacri diritti». Di contro all’arroganza del potere, il talento letterario «peut devenir l’une des puissances d’un état libre», la letteratura fi losofi ca costituisce «la vérita- ble garantie de la liberté». Benjamin Constant condivide le stesse opinioni, anche nei suoi scritti si scopre una sorta di matrice alfi eriana. Nel noto trattato De l’esprit de conquête et de l’usur- pation, il capitolo Des effets de l’arbitraire sur le progrès intellectuel svolge in termini categorici il tema della necessità assoluta dell’indipendenza del pensiero ed esprime, in termini che ricordano anche quel che si è letto in Sismondi, il rifi uto dei generi più volgari e più correnti: «la décoration ingénieuse des sujets frivoles, la louange adroite, la déclamation sonore sur des objets indifférents». In un altro saggio, De la littérature dans ses rapports avec la liberté, raccolto nei Mélanges de littérature et de politique, ritorna la condanna del potere dispotico come remora al progredire della cultura e si afferma un’altra idea cara ad Alfi eri e già svolta dagli umanisti del Quattrocento, secondo cui la letteratura latina avrebbe conosciuto i suoi frutti migliori non nell’età augustea ma in quella repubblicana. In un’altra grande opera di Constant, i Principes de politique, e in particolare nel libro XIV, De l’action de l’autorité sur les lumières e nel capitolo De la protection des lumières par l’autorité, si dichiara alfi erianamente che ogni protezione è asservimento: non può non notarsi, negli scrittori che operano al servizio dei potenti, che «toutes leurs facultés sont viciées par l’introduction de mo- tifs étrangers à la nature de leurs études, à l’amour du vrai, à la liberté de la pensée». A più riprese, poi, ritorna, nelle opere di Constant, l’immagine del “tribunale”: gli esponenti della cultura devono, a suo giudizio, assumere il compito di un «tribunal éternel, où tout s’analyse, où tout s’examine, où tout se juge en dernier ressort»; e ancora, come si è visto in epigrafe: «La conscience de chaque individu de la classe cultivée constitue un tribunal infl exible, qui juge les actes de l’autorité». Naturalmente, ci si può chiedere se davvero i nostri autori ritengano che possa essere riconosciuta ai letterati tale funzione pubblica e in qualche modo “giudiziaria”. Davvero non avvertono, i nostri scrittori, il rischio che, dinanzi all’arroganza del po- tere, alle larghe possibilità di cui esso dispone sia sul piano economico, sia su quello che oggi chiameremmo “mediatico”, la voce dell’uomo di lettere rimanga inascoltata, non abbia spazio in cui risuonare, sia in qualche modo una «vox clamantis in deser- to»? È qui, forse, che si coglie una divergenza tra Alfi eri e gli autori di Coppet. Per il tragico italiano, il letterato rimane, nella sua lotta contro il potere dispotico, uno spirito solitario, che si oppone al tiranno ma che spesso si rode in silenzio, o che po- chi, in ogni caso, ascoltano. La concezione liberale della vita politica spinge, invece, gli autori di Coppet a un ottimismo che si vorrebbe costruttivo. La cultura, secondo Mme de Staël, può anche assumere nei confronti del potere atteggiamenti non di rot- tura ma di sostegno: i letterati, a suo giudizio, hanno appunto il compito di formare l’opinione, sempre che, ovviamente, non di potere dispotico si tratti, ma di «institu- tions nouvelles», attorno alle quali occorre pur che si crei un «esprit nouveau». Gli scrittori, così, assumono una funzione intermediaria, che non consiste più (o non più soltanto) nel sottrarsi alla “protezione” e nel proporre un modello di indipendenza, bensì nella creazione del consenso. Se mai, di un altro dispotismo lo scrittore deve evitare il giogo e il sopruso, ed è il «despotisme d’opinion», l’abuso delle «phrases commandées»: la Staël avverte, cioè, il pericolo del cedimento demagogico, del trion- fo dei più opinabili luoghi comuni, di una tirannide che, questa volta, proviene dal basso anche se, ovviamente, fa spesso il gioco di chi detiene il potere e si serve a suo vantaggio del verbo demagogico affi dato agli strumenti d’informazione. Sarà anche

ultime 363 4-12-2006, 21:35:04 364 Lionello Sozzi

l’opinione di Constant: l’autorità, per lui, può anche essere collettiva, come traspare dal primo capitolo del secondo libro dei Principes, intitolato De la limitation de l’auto- rité sociale. Constant parte, in quelle pagine, dall’adesione al principio rousseauiano, secondo cui «toute autorité qui gouverne une nation doit être émanée de la volonté générale», e tuttavia contesta la tesi del Contrat social, secondo cui ogni associé cede totalmente i suoi diritti «à la communauté». A questo modo, osserva, la volontà ge- nerale ha sull’esistenza individuale un’autorità illimitata, acquista cioè nei confronti dei singoli un potere arbitrario e rischioso, quello che ha reso legittime «les horreurs de la Révolution», che ha reso possibile che un Robespierre assumesse le fattezze di un Caligola. La visione liberale del mondo fa sì che non solo il despota tirannico, ma neppure la collettività abbiano illimitati diritti sul singolo individuo: la coscienza indi- viduale ha barriere che non possono essere illecitamente varcate, purché, ovviamente, il comportamento del singolo non si risolva in danno per la collettività. Si torna, così, ma con più vaste implicazioni e connotazioni, all’idea voltairiana da cui siamo partiti, quella cioè della duplice “autorità” cui l’homme de lettres ha il dovere di sottrarsi, della duplice minaccia che su di lui incombe, quella di un potere dispotico che, dal- l’alto, lo “protegga” e di fatto lo opprima, e quello di una mentalità collettiva che, dal basso, gli imponga i suoi schemi di comodo, Flaubert direbbe le sue «idées reçues». L’homme de lettres, a sua volta, assume in qualche modo i caratteri di un terzo potere, l’unico valido perché ispirato ai valori e ai princìpi, quello cioè di chi valuta e giudica e propone poi alle coscienze il suo infl essibile giudizio. La cultura, in questo quadro, ha un’autorità e un potere che, nonostante ogni apparenza, sovrastano il potere della forza. Anche su questo punto la distanza da Alfi eri ci sembra indubbia. Il trattato Del principe e delle lettere inizia, com’è noto, con la frase: «La forza governa il mondo (purtroppo!) e non il sapere». In una delle Pensées détachées di Constant si legge invece: «Il y a dans l’univers deux principes, la force et la raison. Ils sont toujours en quantité inverse l’un de l’autre. Lorsque la raison a fait un pas, il faut nécessairement que la force recule; car la raison ne peut reculer». È qui la sostanziale distanza tra i due autori. Può darsi che nelle parole di Constant si colga l’eco di quel che Napoleone pare dicesse a Fontanes: «Savez-vous, – avrebbe detto l’empereur, – ce que j’admire le plus au monde? C’est l’impuissance de la force à fonder quelque chose. Il n’y a que deux puissances au monde, le sabre et l’esprit. A la longue le sabre est toujours vaincu par l’esprit». In ogni caso, si coglie nelle due frasi, di Alfi eri e di Constant, da un lato l’amarezza senza speranza di chi non vede conciliazione possibile tra una forza che non sente ragione e una ragione confi nata nel ruolo generoso ma poco effi cace della protesta e del grido, dall’altro il disincanto non meno amaro, e tuttavia più variegato e disponibile di chi, pur concependo i due princìpi come irrimediabilmente antitetici, crede in una lenta, non agevole ma presumibile vittoria della ragione sulla forza1.

LIONELLO SOZZI

(1) Questo saggio riprende, riassume e integra lettres” dall’Encyclopédie alla Rivoluzione, in Il quanto già abbiamo scritto nel saggio Alfi eri, Cop- principe e il fi losofo. Intellettuali e potere in Francia pet e l’indipendenza delle lettere, in Il gruppo di Cop- dai “philosophes” all’“affaire” Dreyfus, saggi raccolti pet e l’Italia, a cura di Mario Matucci, Pisa, Pacini, da Lionello Sozzi, presentazione di Paolo Alatri, 1988, pp. 317-338, e anche nei saggi: Da Chénier a Napoli, Guida, 1988, pp. 45-98; Un concorso del- Constant: presenza di Alfi eri in Francia, in Vittorio l’Institut su “L’indépendance de l’homme de lettres”, Alfi eri e la cultura piemontese fra illuminismo e in Napoleone e gli intellettuali, a cura di Daniela rivoluzione, a cura di Giovanna Ioli, San Salvatore Gallingani, Bologna, il Mulino, 1996, pp. 129-148. Monferrato [Torino, Bona], 1985, pp. 257-296; Il La frase di Napoleone è citata da Albert Camus. Principe e il Filosofo. Il dibattito sull’“homme de

ultime 364 4-12-2006, 21:35:04 Secoli medioevali 365

RASSEGNA BIBLIOGRAFICA

Secoli medioevali a cura di G. Matteo Roccati

Retour aux sources, Textes, études et documents et la Lorraine, en particulier à propos des sources de d’histoire médiévale offerts à Michel PARISSE, Paris, Plombières. Serge LUSIGNAN, «François est profi table et Picard, 2004, pp. 1024. latin est prejudiciable»: l’enjeu linguistique d’un confl it entre le village de Saint-Albain et le chapitre de Mâcon, Ce fort volume d’un millier de pages rassemble pp. 795-801: le procès a été porté devant le Parlement près d’une centaine de contributions de caractère de Paris dans les années 1380; on y dénonce l’usage historique, organisées en sept sections: I. Documents abusif du latin, ce qui permet de mieux cerner les rai- de la pratique, II. Pouvoirs et territoires: de l’Empire sons de la progression du français écrit, qui plus est au village, III. Nobles et chevaliers, IV. Femmes médié- dans une région de parler francoprovençal; la plaidoi- vales, V. Vie de l’Église: acteurs, institutions, rituels, rie (A.N., X1a 1471, ff. 481, 487-488) est transcrite en VI. Parler, enseigner, écrire, VII. Historiographie et annexe. Jean MEYERS, Les «versus de hirundine» de Ra- représentations du passé. L’ensemble est très riche et dbod et leurs sources, pp. 803-810: l’étude est accom- on retiendra ici seulement les contributions ayant un pagnée d’une traduction française du texte. Werner intérêt littéraire plus marqué. Bernadette MARTIN-HI- PARAVICINI, Streit an der Sprachgrenze: aus dem Brie- SARD et Jean-Marie MARTIN, Lettre d’outre-mer à un fwechsel zwischen den Herren von Vinstingen und von e archevêque d’Empire (début XIII siècle), pp. 281-292: Blâmont am Ende des 14. Jahrhunderts, pp. 811-827: réédition et traduction du texte latin de la lettre (ms. les lettres (au nombre de cinq, conservées à Nancy, BnF, lat. 5137), de la fi n de l’année 1211, sur la situa- Arch. dép. de Meurthe-et-Moselle, et à Paris, BnF, tion du Proche-Orient latin et la puissance militaire Coll. de Lorraine et P.O.) sont éditées en annexe, elles géorgienne. Dominique BARTHÉLEMY, Un jeu de sainte témoignent du partage linguistique dans la noblesse Foy de Conques: le miracle du faucon retrouvé (Bernard lorraine. Monique PAULMIER-FOUCART et Marie Chris- d’Angers, I.23), pp. 383-394: sur le sens des «miracles tine DUCHENNE, «Alii sunt qui…» Les écueils du savoir de second ordre et leurs côtés ludiques» dans le re- d’après Humbert de Romans, de l’Ordre des Prêcheurs cueil des Miracles de sainte Foy. Claude GAUVARD, Le (1248-1254), pp. 829-834: sur les chapitres (148-149, meurtre de l’épouse en France à la fi n du Moyen tige: le 151, donnés en traduction) de l’Expositio Regulae mari, la femme, l’amant et l’oison, pp. 485-495: à pro- beati Augustini concernant les règles auxquelles doi- pos de deux lettres de rémission de 1382 et 1385 nous vent être soumis le savoir et l’activité intellectuelle. éclairant sur la perception de la cellule familiale et sur Jacques VERGER, Thèmes majeurs, lieux communs et la condition des femmes. Jean-Philippe GENET, Lec- oublis dans le «Tractatus de laudibus Parisius» de Jean trices anglaises à la fi n du Moyen Âge, pp. 497-506: à de Jandun (1323), pp. 849-857: analyse du traité et de partir d’une base de données recensant les possesseurs l’image de Paris qui en ressort. Christiane VEYRARD- non-universitaires de livres, plusieurs tableaux font COSME, De l’éloge des défunts au panégyrique des vi- ressortir les différences dans la répartition sociale et vants: une lettre de consolation adressée à Charlemagne le contenu des bibliothèques, en particulier religieux par Alcuin, pp. 859-868: sur la topique de la lettre 198 et littéraire, entre hommes et femmes. Bruno JUDIC, et la stratégie d’écriture qui s’y révèle: laudatio funè- Savinella, correspondante de Grégoire le Grand, pp. bre et éloge du destinataire. Jean-Marie MOEGLIN, 515-524: sur les fi gures féminines dans la correspon- Saint-Bavon de Gand et l’identité fl amande à la fi n du dance. Joseph MORSEL, Dieu, l’homme, la femme et le Moyen Âge, pp. 927-941: l’article retrace les étapes à pouvoir: les fondements de l’ordre social d’après le «Jeu travers lesquelles le monastère de Saint-Bavon en est d’Adam», pp. 537-549: étude précise des 48 premiers venu à incarner l’identité de Gand et de la Flandre et vers montrant à l’œuvre la stratégie cléricale en faveur il éclaire l’enjeu idéologique dont il a été le cœur dans du mariage chrétien, la domination maritale étant ga- le confl it opposant les élites urbaines et le pouvoir rante de l’ordre social. Alain BOUREAU, Beauté des vier- princier. Jean-Daniel MOREROD, La base textuelle d’un ges et laideur des pauvres: présentation et édition d’un mythe historiographique: le Moyen Âge des humanistes sermon de Gérard de Mailly sur sainte Lucie, pp. 749- italiens, pp. 943-953: par la comparaison du nombre 757. Dietrich LOHRMANN, Lothringen, Paris und Aa- d’occurrences de l’expression media etas (et analo- chen in einer naturkundlichen Enzyklopädie aus Metz gues) et par l’étude fi ne de leur sens, l’A. montre que (ca. 1245-1250), pp. 787-793: sur Gossouin de Metz le concept de Moyen Age n’apparaît de manière in-

ultime 365 4-12-2006, 21:35:04 366 Rassegna bibliografi ca

discutable que chez l’humaniste italien Giovanni An- DRIEUX-REIX, Paris, Champion («Classiques français e drea Bussi en 1469 et il ne s’affi rme qu’au XVI siècle; du Moyen Âge», 145), 2003, 359 pp. avant, y compris chez Pétrarque, il s’agit seulement de la reprise d’une expression et d’une idée créées au Il Moniage Guillaume è la canzone di gesta che e XIII siècle par saint Bonaventure. Walter PREVENIER, conclude il «ciclo di Guglielmo» e narra della mona- Les multiples vérités dans les discours sur les offenses cazione del conte Guglielmo nel monastero benedet- criminelles envers les femmes dans les Pays-Bas méri- tino di Aniane e poi nell’eremitaggio che da lui pren- e e dionaux (XIV et XV siècles), pp. 955-964. Michel SOT, derà il nome di Saint-Guilhem-du-Désert. Dal suo Faut-il rééditer le «Livre des évêques de Metz» de Paul ritiro Guglielmo si allontanerà soltanto perché preso Diacre?, pp. 971-977: réexamen des témoins, dont le prigioniero dai saraceni e poi per correre in aiuto del plus ancien, inconnu de l’éd. Pertz, M.G.H., 1829; re assediato a Parigi; assolto questo suo ultimo do- malgré ses limites celle-ci reste satisfaisante. Jacques vere di vassallo, Guglielmo tornerà nel «deserto» e STIENNON, La «Vita sancti Philiberti» dans le Passion- là terminerà la sua vita. Delle due redazioni in cui è naire-légendaire de Saint-Trond, pp. 979-986 (ms. Bi- attestato il Moniage (una «breve», attestata in due ma- bliothèque générale de l’Université de Liège, 57E). Mi- noscritti, e una «lunga», in sette), in questa edizione è chèle GAILLARD, Monique GOULLET et Anne WAGNER, pubblicata quella «lunga», di circa 7.000 décasyllabes, e Traduction de la Chronique de Saint-Mihiel (XI siècle), secondo il ms. Paris, BnF, fr. 774 (con complementi pp. 987-1013: avec introduction et notes historiques dal ms. Milano, Bibl. Trivulziana, 1025 quando il te- et littéraires. stimone parigino è lacunoso). Il lavoro comprende, [G. MATTEO ROCCATI] oltre al testo della canzone, un’introduzione genera- le, con descrizione dei caratteri linguistici del mano- scritto base e di un gruppo unitario di testimoni della DANIELLE QUÉRUEL, Mécénat et littérature en versione «lunga»; un apparato critico delle varianti Champagne à l’époque médiévale, in Europa der Re- degli stessi manoscritti, seguito da un appendice con gionen - L’Europe des Régions, Euregio Maas-Rhein aggiunte e variazione dell’altro gruppo di testimoni - Région Champagne-Ardenne, Akten des Interdiszi- della versione «lunga»; infi ne, un indice dei nomi pro- plinären Kolloquiums der Universitäten Aachen und pri e un glossario. Reims (Aachen, Dezember 1997), Herausgegeben [WALTER MELIGA] von R. BAUM, B. DUMICHE und G. ROUET, Bonn, Ro-

manistischer Verlag, 2002, pp. 107-123. e Fierabras. Chanson de geste du XII siècle, Éditée Réfl exion sur les causes qui pourraient expliquer par MARC LE PERSON, Paris, Champion («Classiques la fl oraison de nombre de talents littéraires dans la français du Moyen Âge», 142), 2003, 694 pp. e e Champagne des XII et XIII siècles. Même s’il serait Il Fierabras è una chanson de geste in alessandrini del imprudent de parler de littérature ‘champenoise’ «ciclo del re» o «di Carlo Magno», databile verso la fi ne pour des œuvres comme les Quatre fi ls Aymon, ou del sec. XII (non dopo il 1195 secondo questa edizione), d’auteurs proprement ‘champenois’ pour des poètes che narra un episodio della conquista spagnola di Car- tels que Chrétien de Troyes ou Gace Brûlé, pourtant lo prima di Roncisvalle: l’imperatore giunge in Spagna, identifi és et annexés depuis longtemps à cette région, recupera le reliquie che il re pagano Balan ha sottratto il est sûr que les personnalités de Henri le Libéral et a Roma e le affi da a Saint Denis. All’interno di questa de Marie de Champagne ont marqué leur époque sur linea, la vicenda si svolge per circa 6500 versi intorno a le plan culturel, en faisant de leur cour et de leur ‘ré- due nuclei narrativi: il duello fra Olivieri e il saraceno gion’ un milieu particulièrement favorable aux ren- Fierabras, terminato con la vittoria miracolosa del pri- contres entre les écrivains ainsi qu’à la création et mo e la conversione del secondo, e l’amore fra Gui de diffusion d’œuvres de premier plan dans la littérature Bourgogne e la sorella di Fierabras, mentre i francesi française du Moyen Âge. assediano il castello di Balan. La canzone ha goduto di [MARIA COLOMBO TIMELLI] un lungo e grande successo, di cui fanno fede le deri- vazioni in prosa e le traduzioni in varie lingue, fra cui una importante in lingua d’oc, ed è nota in due versioni La Chanson de Guillaume (La Chançun de Wil- francesi, una «lunga», attestata in dodici manoscritti, e lame), Edited and translated by PHILIP E. BENNET, una «breve», trasmessa da un solo testimone. La pre- London, Grant & Cutler («Critical Guides to French sente edizione è sostanzialmente la prima della «versio- Texts», 121.II), 2000, 209 pp. ne lunga» che tiene conto dell’intera tradizione mano- scritta, dopo quelle di A. Kroeber e G. Servois (Paris, Edizione di impianto conservativo della canzone 1860) e di A. de Mandach sui materiali di A. Stimming (secondo l’unico ms. London, BL, Add. 38663), con e A. Hilka (Neuchâtel, 1981, ma pubblicata in modo pochissimi interventi sul testo tràdito, sostanzialmen- limitato); l’editore fonda il suo testo sul ms. M.III-21 te nella linea della storica edizione di Duncan Mc- della Biblioteca dell’Escorial, con integrazioni dal ms. Millan (Paris, Picard, 1949-50 [«Société des Anciens Paris, BnF, fr. 12603 (già pubblicato da Kroeber e Ser- Textes Français»]). Il testo è preceduto da una breve vois). Il lavoro è molto accurato e comprende, oltre al introduzione e accompagnato da una traduzione in- testo, un’ampia introduzione (con descrizione e classi- glese in prosa à piè di pagina; un breve corredo di fi cazione dei testimoni, analisi della lingua dei copisti, note – su punti chiave del racconto e perciò da non studio degli elementi storici della canzone e della sua trascurare – chiude il volume. struttura narrativa), l’apparato delle varianti del mano- [WALTER MELIGA] scritto escorialense di base e del parigino, un indice dei nomi propri e un ampio glossario dei termini diffi cili o interessanti dal punto di vista lessicografi co. e Le Moniage Guillaume. Chanson de geste du XII siècle, Édition de la rédaction longue par NELLY AN- [WALTER MELIGA]

ultime 366 4-12-2006, 21:35:05 Secoli medioevali 367

PHILIP E. BENNET, La Chanson de Guillaume and che per l’uso didattico: di stile agile e di piacevole let- La Prise d’Orange, London, Grant & Cutler («Critical tura, e nondimeno molto informato, esso permette al Guides to French Texts», 121.I), 2000, 134 pp. lettore di farsi un’idea sia dello sviluppo e delle artico- lazioni della storia sia delle caratteristiche delle singole Del ciclo epico imperniato sulla fi gura di Guillaume versioni. Al risultato contribuisce anche l’inserzione di d’Orange, il volume ha per oggetto i due testi più im- numerosi brani estratti dalle opere studiate, che mette portanti, che ne fondano in qualche modo la storia e i direttamente in contatto con i testi e produce un va e protagonisti. Il saggio, essenziale nello stile e privo di vieni critico molto effi cace fra gli autori e l’interprete ridondanze bibliografi che, si compone di quattro capi- moderno. Infi ne, una bibliografi a non sterminata ma toli. Nel primo, di carattere introduttivo, è affrontato adeguatamente ricca permette a chi vuole di avanzare il problema, cruciale nel caso delle chansons de geste, nella comprensione del mito tristaniano. della mutabilità dell’oggetto di studio, che si può mani- festare all’interno di un’ampia tradizione manoscritta, [WALTER MELIGA] come avviene per la Prise d’Orange, o in una rielabora- zione testuale a monte dell’unico testimone conserva- to, come per la Chanson de Guillaume. Nel secondo e Le roman d’Eustache le Moine. Nouvelle édition, terzo capitolo le due canzoni sono oggetto di indagine traduction, présentation et notes par A.J. HOLDEN et J. separata: nel secondo, dedicato al Guillaume, sono stu- MONFRIN †, Louvain-Paris, Peeters, 2005 («Ktemata», diate la caratterizzazione della fi gura dell’eroe e i tratti 18), 171 pp. distintivi delle due parti nelle quali il testo è diviso (la canzone della battaglia dell’Archamp e la cosiddetta Sans être un chef-d’œuvre, le Roman d’Eustache le «canzone di Rainouart»); nel terzo capitolo, sulla Prise, Moine constitue un témoignage intéressant de la litté- e sono analizzate le componenti epica e cortese dell’ope- rature du XIII siècle. Composé par un auteur anonyme ra e il suo stile accentuatamente formulare. Infi ne, il vraisemblablement entre 1227 et 1240, soit peu de capitolo conclusivo verte sulle modalità di presentazio- temps après la mort du personnage historique qui l’a ne e di azione dei personaggi e sulla presenza di aspetti inspiré (1217), ce poème de quelque 2300 octosyllabes umoristici e parodici in ambedue i testi. La connessio- se présente comme un ensemble assez décousu d’épi- ne fra le due canzoni consente all’autore osservazioni sodes grotesques, de tours que le protagoniste joue au nel complesso molto interessanti, che fanno di questo comte de Boulogne, son ennemi personnel. Ces farces pur non ampio lavoro un contributo non trascurabile grossières, placées dans un cadre géographique réel per la comprensione dei testi in questione e della lette- peuplé de seigneurs authentiques, occupent les trois ratura epica in generale. quarts du texte; par la suite, le poète parcourt rapide- [WALTER MELIGA] ment le passage d’Eustache au service du roi d’Angle- terre, puis du roi de France, jusqu’à sa mort au cours de la bataille de Sandwich. MARIE-SOPHIE MASSE, La description dans les récits e e L’Introduction résume les éléments essentiels pour d’Antiquité allemands. Fin du XII – début du XIII siècle. Aux origines de l’adaptation et du roman, Paris, Honoré situer le protagoniste (pp. 1-4), présente le poème et Champion Editeur («Nouvelle bibliothèque du Moyen l’auteur et propose une datation (pp. 5-7), décrit syn- Age», 68), 2004, 514 pp. thétiquement le manuscrit unique (p. 8). Les traits marquants de la langue de l’auteur (pp. 9-10) et du L’étude est consacrée à trois textes allemands: copiste (pp. 11-12) sont rapidement relevés. Est aussi Straßburger Alexander, version remaniée de l’original justifi ée cette nouvelle édition, due à la collaboration de Lamprecht, Eneit de Heinrich von Veldeke, Liet de A.J. Holden et du regretté J. Monfrin, qui suit celles von Troye de Herbort von Fritzlar; ces textes sont des procurées par F. Michel (1834), W. Foerster (1891) et adaptations de l’Eneas et des œuvres d’Alberic de Pi- D.J. Conlon (1972). La bibliographie couvre oppor- sançon et de Benoit de Sainte-Maure, auxquels il est tunément les deux domaines, historique et littéraire donc fait référence en tant que textes-source. On re- (pp. 15-17). tiendra ici les analyses que l’A. consacre aux arts poé- Le texte en ancien français occupe la page de e e tiques des XII et XIII siècles, par rapport auxquels est gauche, avec apparat critique en bas de page. La tra- menée l’étude des œuvres allemandes, celles relatives duction en prose, en français moderne, est publiée aux transferts culturels, où s’exprime une exigence de en regard et est accompagnée de notes contenant le légitimation et où est en jeu l’idéal courtois, enfi n, en commentaire philologique, quelques informations et annexe, le relevé comparatif des descriptions. la discussion de certaines solutions adoptées par W. Foerster. L’apparat critique est parfois imprécis (par [G. MATTEO ROCCATI] ex., le renvoi en bas de la p. 24 n’a pas de correspon- dance dans le texte); personnellement, j’aurais évité quelques interventions: au v. 2065, la forme lassailli ARIANNA PUNZI, Tristano. Storia di un mito, Roma, (= la ssailli) pouvait être conservée (cf. les réfl exions Carocci («Biblioteca Medievale. Saggi», 18), 2005, de Philippe Ménard in Mélanges A.J. Holden, 1990; et 194 pp. in Mélanges Di Stefano, 2004), de même que Ila mené (= I l’a m.) au v. 1252. Quelques erreurs se sont glis- Il saggio fa il punto sul «mito» di Tristano e Isot- sées dans la traduction, notamment aux pp. 21 («qui ta, considerando, oltre ai testi in lingua d’oïl (Thomas en savait long en fait de tours»), 27 («Monferrand»), e Béroul, le Folies, il Lai du chèvrefeuille di Maria di 41 («d’avoir brûlé»), 51 («Je vous l’avais bien dit»), 67 Francia, il Tristan en prose), anche i romanzi tedeschi («jamais, par Dieu, je ne m’accorderai avec vous»), 77 di Eilhart von Oberg e Gottfried von Strassburg), la («avec lequel il allait vendre son charbon»), 79 («Sei- saga norrena, il Sir Tristem inglese e i romanzi italiani gneurs», vocatif pluriel), 87 («plus de soixante person- (Tristano «panciatichiano» e «riccardiano», Tavola ri- nes se sont trouvées en prison»). tonda). Il libro è assolutamente da raccomandare, an- Le glossaire occupe les pp. 154-164, et est suivi

ultime 367 4-12-2006, 21:35:05 368 Rassegna bibliografi ca

d’une liste des noms de lieux (pp. 165-167) et de per- interventi d’autore, che giustifi cano una interpretazio- sonnes (pp. 168-170), avec renvois aux vers. ne se non proprio moraleggiante, almeno dialettica del Ajoutons en complément une petite liste d’expres- testo; gli interventi di ‘Nature’ e ‘Noreture’, a cui si è sions proverbiales, qui ne sont pas toutes signalées accennato, nonché le argomentazioni espresse da ‘Rai- dans les notes: «manechié vivent» (v. 249, repris au son’: personifi cazioni più consistenti di altre allegorie v. 2099), «de pecheour misericorde» (v. 480), «ja nus che appaiono in tante opere medievali, e che sembrano hom ne se garira | qui tant de mestiers enprendra» (v. rifl ettere l’importanza che l’autore evidentemente at- 1115), «il n’est mie fol | ki croit conseil de loussingol tribuisce al dibattito al centro della sua opera. Qualche [sic]» (vv. 1167-68), «tant grate kievre que mal gist» (v. riga di commento avrei anche dedicato alle numerose 1242), «de bien fait col frait» (v. 2079), et la conclusion espressioni proverbiali che, dalle più note e diffuse ad du poème: «nus ne puet vivre longhement | qui tos jors altre meno attestate, intervengono frequentemente nel- a mal faire entent» (vv. 2307-308). la scrittura di Heldris di Cornovaglia (solo per i primi 1000 versi si vedano i vv. 134-35, 138, 329-335, 409-12, [MARIA COLOMBO TIMELLI] 676, 739-42, 861-64, 946-47, 967-68). Apprezzabile la Nota informativa (pp. 40-42), che, pur nella sua sinteticità, presenta il testimone e la lin- HELDRIS DI CORNOVAGLIA, Il romanzo di Silence, a gua dell’opera, e soprattutto affronta talune questioni cura di Anna AIRÓ, Roma, Carocci, 2005 («Biblioteca essenziali legate alla traduzione italiana; Anna Airò Medievale», 97), 301 pp. tende a rendere il testo originale con la maggiore fe- deltà possibile, sia nella scansione dei versi, sia nel ri- Opera della seconda metà del XIII secolo, trasmessa spetto della struttura frastica e persino nelle alternanze da un solo manoscritto risalente forse al 1286, il Ro- nell’uso dei tempi verbali e dei pronomi personali allo- man de Silence (6706 ottosillabi a rima baciata) narra cutivi (tu/vous). Se la scelta di rendere ‘Noreture’ con le vicende della fi glia di un conte inglese, allevata co- ‘Norma’ al fi ne di mantenere almeno in parte l’allitte- me un ragazzo perché possa esserle garantita l’eredità razione del francese ‘Nature’/‘Noreture’ può apparire familiare. Dopo una serie di vicissitudini, tra le quali discutibile (forse la rima ‘Natura’/‘Cultura’ avrebbe la persecuzione procuratale dalla regina d’Inghilterra, meglio rispettato l’opposizione tra le due fi gure alle- che non è disposta ad accettare il rifi uto opposto al suo goriche), altre opzioni sono pienamente condivisibili amore, sarà Merlino a rivelare l’identità femminile di (ad esempio, la conservazione del nome francese per Silence e a consentire il lieto fi ne: la condanna della la protagonista, privo della connotazione nettamente regina malvagia e il matrimonio con il re. maschile che avrebbe avuto il corrispondente italiano Ennesima riscrittura del motivo del travestimento, ‘Silenzio’). che conobbe innumerevoli adattamenti letterari nel L’opera sembra edita con cura; l’apparato, che Medio Evo francese, il Roman de Silence conosce ora, per le lezioni respinte o discutibili rinvia per lo più grazie ad Anna Airò, la prima traduzione italiana, do- alle correzioni proposte da Lecoy, e qualche nota di po l’edizione critica procurata da Lewis Thorpe (1972; commento trovano posto a fi ne testo (pp. 297-301). su questa edizione, si vedano le Corrections proposte Viceversa, la traduzione italiana, a fronte, non è pri- da Félix Lecoy in Romania XCIX, 1978), la traduzione va di imprecisioni e di qualche errore più grave; solo spagnola di A. Benaim Lasry (1986), due traduzioni in qualche esempio: il discorso indiretto ai vv. 1301-308 inglese-americano rispettivamente di F. Regina Psaki è reso in italiano come una replica rivolta direttamen- (1991) e di Sarah Roche-Mahdi (1992) e quella in fran- te al re; «Li capelains […] Baptizié l’a en .i. hanap» cese di Florence Bouchet (in Récits d’amours et de che- (vv. 2121-22) non può signifi care «Il cappellano […] valerie, Bouquins, 2000). lo battezzò nelle sue fasce», bensì «in una coppa / un L’Introduzione (pp. 11-39) affronta il testo quasi vaso», quale che sia il senso del verso che segue («Dont esclusivamente nella prospettiva dei ‘gender studies’, ot envolepé ses rains»): l’intero passaggio dovrebbe reinterpretando i temi che attraversano il romanzo (ad probabilmente essere rivisto sul manoscritto; «Li sa- esempio, il continuo dibattito tra ‘Nature’ e ‘Noreture’ ges hom se rent plus fi er Sovent viers cho qu’il a plus o la scelta di Silence di divenire menestrello) soltanto chier. Et neporquant n’est pas fi ertés, Saciés de fi t, ains nell’ottica del travestimento perenne, della transses- est ciertés» (vv. 2809-12): gli ultimi due versi, tradot- sualità e del ‘transgenderismo’, lettura fondata su una ti da Anna Airò come «e nonostante ciò non si tratta bibliografi a critica ricca ma monocorde (per un utile di severità, sappiatelo, anzi siatene certi», andrebbero complemento bibliografi co, si veda l’introduzione al- piuttosto riscritti «non si tratta di severità, sappiatelo la traduzione di Florence Bouchet citata). Si può di di certo, anzi si tratta di affetto»; il detto proverbiale conseguenza deplorare la mancanza di una rifl essio- al v. 3818, «Mais jovenes sains est viés diäbles», non ne che contestualizzi il romanzo nella storia letteraria mi sembra affatto corrispondere a «un giovane santo del XIII secolo, e che metta in risalto palesi elementi di rende diavolo un vecchio», quanto piuttosto a «un gio- intertestualità: tra gli altri, appare evidente la biparti- vane santo si trasforma spesso in un vecchio demonio» zione dell’opera tra la storia dei genitori di Silence (vv. (cfr. i repertori ‘classici’ di Morawski, n. 509, Hassel A 107-1656) e quella della fi glia (vv. 1657-6706), con una 150; e la formulazione vicina registrata da Di Stefano transizione proverbiale che non può non riecheggiare s.v. Ange: «De jeune ange vieil diable»); o ancora la il Cligés di Chrétien de Troyes («Chi le lairons del mort traduzione proposta per i vv. 6079-80 «Dont l’enemis ester. N’i fait pas trop bon arester: Ki vis est o les vis Adan enbut Quant par la pome le deçut», «il nemico se tiegne. Deu, se lui plaist, des mors soviegne», vv. di Adamo così l’indottrinò quando l’ingannò con la 1651-54). Poche le pagine dedicate a temi estranei alla mela», andrebbe piuttosto corretta in «il diavolo così sessualità: ai diversi gradi di silenzio attribuiti alle tre indottrinò Adamo…». fi gure femminili (la protagonista, la madre, la regina) e In conclusione, una prima edizione/traduzione ita- alla risata di Merlino, che permetterà, come si è detto, liana da accostare con una certa prudenza sia sul piano il lieto fi ne della storia e del romanzo. Altri elementi dell’interpretazione del testo sia su quello della versio- strutturali e contenutistici avrebbero a parer mio meri- ne nella nostra lingua. tato qualche parola di commento: i lunghi e frequenti [MARIA COLOMBO TIMELLI]

ultime 368 4-12-2006, 21:35:06 Secoli medioevali 369

RICHARD TRACHSLER, Pour une nouvelle édition de Fondata sull’edizione Bédier («CFMA», 1938), la “Suite-Vulgate” du “Merlin”, «Vox romanica», 60, questa edizione/traduzione delle poesie di Colin Mu- 2001, pp. 128-148. set riduce il corpus a 16 pezzi di attribuzione sicura o ragionevolmente attendibile. L’Introduzione (pp. 9-27) La Suite-Vulgate est disponible actuellement uni- discute in primo luogo l’identità del poeta, nascosta quement dans l’éd. Sommer; elle est conservée dans dietro uno pseudonimo di matrice giullaresca, quindi deux versions (α et β, selon le classement des manus- la sua zona di attività, se non proprio di provenienza crits du Merlin établi par Micha (1958)) qui peuvent (situabile, sulla base di dati interni ai testi, tra i Dipar- varier sensiblement, la deuxième se présentant comme timenti della Meurthe-et-Moselle e della Haute-Mar- une rédaction abrégée. L’article expose les problèmes ne), e la collocazione cronologica della produzione, que posent les divergences entre les manuscrits, no- verosimilmente corrispondente ai decenni 1240-1270. tamment dans l’établissement de l’édition critique. Il Le pagine dedicate ai temi delle poesie mettono soprat- examine ensuite les variantes textuelles pouvant avoir tutto in rilievo, giustamente, la compresenza di soggetti un impact sur notre compréhension de l’œuvre, en legati al mondo personale/familiare del poeta, e quindi particulier celles concernant la mort de Pharien dans ascrivibili a una tradizione non propriamente cortese, l’épisode qui achève le texte. Celui-ci, selon le scénario quali la necessità di denaro e l’ideale di una ‘bonne vie’ imaginé par Frappier dès 1936 et qui a fi ni par s’im- fatta di amore, vino e buona cucina, e motivi che si poser, a été rédigé dans le but d’assurer la transition riallacciano invece a una lirica più raffi nata, come la entre le Merlin et le Lancelot-Graal. Or, Pharien, avec nascita di un amore nell’atmosfera tradizionale della d’autres chevaliers, est blessé à mort dans un ultime ‘reverdie’. M. Chiamenti non tralascia naturalmente combat qui semble bien achever les aventures dans les la dimensione musicale dell’opera di Colin Muset, manuscrits de la version α, la plus ancienne. L’épisode consustanziale alla poesia, come mostrano non solo i a été certes fabriqué en s’inspirant du Lancelot, mais numerosi giochi di parole (muse, muser, Muset), ma le cette mort crée un problème évident puisque le per- chiare allusioni interne al mestiere del musico e all’ac- sonnage joue un rôle majeur dans la suite du récit cy- compagnamento ai testi con gli strumenti del tempo (la clique (la mort est d’ailleurs gommée dans la version β, discografi a è indicata in nota 5, p. 27). qu’on trouve chez Sommer). La Nota informativa (pp. 28-30) segnala che il testo L’enquête a été menée pour l’instant sur 21 témoins seguito per l’edizione è quello di Bédier, al quale sono (il en existe 31, mais le passage manque pour des rai- stati portati alcuni piccoli ritocchi basati sul controllo sons matérielles dans 6 d’entre eux). Si l’étude sur della tradizione manoscritta (peraltro, dei codici sono l’ensemble de la tradition confi rme le résultat de cette date soltanto le sigle, non la collocazione) e segnalati première enquête, cela signifi e que la Suite a d’abord puntualmente in nota. Nulla è detto quanto alle moda- été conçue comme un tout achevé, liée uniquement lità di traduzione. La Bibliografi a (pp. 31-35) è ricca e au Merlin qui la précède et indépendante du Lancelot- aggiornata, ma non comprende le edizioni precedenti, Graal, auquel elle a donc été rattachée seulement dans per le quali ci si riporterà alla nota 1, p. 9. un deuxième temps. Il testo delle poesie è tradotto a fronte in italiano, in [G. MATTEO ROCCATI] una prosa scorrevole che non sempre può rispettare ri- gidamente la scansione in versi. Le Note (pp. 106-153) sono numerose e abbondanti: comprendono, oltre a GUIOT DE DIJON, Canzoni, Edizione critica a cura di una sintetica presentazione di ogni singolo poema (ma- MARIA SOFIA LANNUTTI, Firenze, SISMEL - Edizioni noscritto base, altri testimoni, notazione musicale, ana- del Galluzzo («La tradizione musicale», 3), 1999, lisi della metrica), un ricco e puntuale commento lette- 233 pp. rario e linguistico, di cui meritano di essere segnalati i rinvii interni, utili a mostrare la fi tta rete semantica che Nuova importante edizione critica del trovatore Colin Muset ha intessuto da una poesia all’altra. Me- borgognone Guiot de Dijon, dopo quella insoddi- glio sarebbe stato segnalare le note all’interno dei testi sfacente di Elisabeth Nissen (Paris, Champion, 1928 o collocarle a pié di pagina: il lettore è infatti costretto [«Classiques Français du Moyen Age», 59]). L’impor- a un continuo andirivieni dal testo all’apparato che non tanza – e soprattutto la novità – di questo lavoro non consente il pieno godimento delle liriche. consiste soltanto in un attento studio della tradizione Una piccola nota linguistica: l’editore, che insegna manoscritta e in un’edizione ecdoticamente ineccepi- presso New York University e California State Univer- bile dal punto di vista dei requisiti fi lologici richiesti sity a Firenze, cede ad alcuni anglicismi che stridono (discussione critica, apparato, traduzione, note espli- nel suo commento: nickname, performer a p. 11, ancora cative, glossario e rimario), ma nella parallela analisi performers a p. 24, cross-over a p. 25, tutti termini – mi della tradizione musicale, particolarmente importante sembra – per i quali non sarebbe stato impossibile tro- per questo troviero (11 testi su 15 sono infatti corredati vare un sostituto italiano. di melodia). Il confronto fra testo verbale e testo mu- [MARIA COLOMBO TIMELLI] sicale permette di meglio comprendere e apprezzare il valore formale della poesia di Guiot, a torto ritenuto poeta di fredda e monotona eleganza. La metodica Le Chant des Chanz, edited by Tony HUNT, London, applicata è peraltro pienamente conforme alla poetica Anglo-Norman Text Society («Anglo-Norman Texts», e all’estetica della lirica medievale, come alla fi ne del- LXI-LXII), 2004, 180 pp. la stagione del grande canto cortese ribadisce ancora Dante, opportunamente indicato dalla curatrice come Edition précise et soignée d’un commentaire du maestro ispiratore. Cantique des Cantiques en anglo-normand, dû peut- [WALTER MELIGA] être à un augustin de York, conservé dans le ms. Ox- ford, Bodleian Library, Rawlinson Poetry 234, de la e COLIN MUSET, Poesie, a cura di Massimiliano CHIA- deuxième moitié du XIII siècle. Le texte, commen- MENTI, Roma, Carocci, 2005 («Biblioteca Medievale», taire spirituel plutôt qu’exégétique, se révèle être ce- 99), 153 pp. lui qu’on lisait au réfectoire dans une communauté

ultime 369 4-12-2006, 21:35:06 370 Rassegna bibliografi ca

religieuse; il dépend du commentaire de William of CHARLOTTE DENOËL, Saint André. Culte et icono- e e Newburgh (1136-1201?), qui propose l’interprétation graphie en France (V -XV siècles), préface de MICHEL mariale. Il est constitué de 2879 alexandrins réunis en PASTOUREAU, Paris, École des Chartes (diffusion 180 laisses monorimes et il est le commentaire le plus Champion-Droz), 2004, 302 pp. complet survivant en ancien français: il comporte une seule lacune, due à la perte de quelques feuillets, cor- Primo tra gli apostoli a rispondere con il fratello respondant à VI,9-VII,10. Pietro alla chiamata di Cristo, sant’Andrea è consi- On trouvera dans l’introduction la description du derato l’evangelizzatore dell’Asia minore e dell’Acaia. manuscrit, la présentation des données qu’on peut éta- Secondo la tradizione venne crocifi sso a Patrasso nel blir au sujet de l’auteur et de l’œuvre – située dans la 60 d.C. e la devozione a lui tributata, che si iscrive nel tradition des commentaires du Cantique –, ainsi que quadro più generale della venerazione per gli apostoli l’étude du style et de la langue (rimes, orthographe, e i martiri, si diffuse in Occidente già nella tarda anti- morphologie, syntaxe, termes présentant un intérêt chità. Il presente volume, che riprende il testo di una particulier, versifi cation). L’édition (pp. 43-138; avec tesi dell’École des Chartes, offre un’analisi completa e en bas de page l’indication des interventions, des par- approfondita dei diversi aspetti del culto tributato al ticularités de la copie et de nombreux passages de santo nella Francia del medioevo; i risultati dell’indagi- l’Aurora de Pierre Riga accompagnant le texte) est sui- ne, caratterizzata da un effi cace utilizzo delle fonti e dei vie des notes (pp. 139-162), du glossaire (pp. 163-177) principali strumenti di ricerca relativi ai settori esplora- et de l’index des noms propres. ti, confermano, come ricorda Michel Pastoureau nella [G. MATTEO ROCCATI] prefazione, che «les saints sont pleinement des objets d’histoire transdocumentaire et transdisciplinaire, des objets d’histoire ‘totale’» (p. 10). GILBERT DAHAN, L’exégèse chrétienne de la Bible en Lo studio è organizzato in tre sezioni: le prime due e e Occident médiéval XII -XIV siècle, Paris, Les Editions du concernono il culto e l’iconografi a, la terza è invece Cerf (“Patrimoines-Christianisme”), 1999, 488 pp. interamente dedicata all’analisi di un elemento fonda- mentale della rappresentazione di Andrea nel medioe- L’ouvrage se veut “une tentative d’analyser les pro- vo: la croce a forma di X sulla quale subì il martirio. La cédures” (p. 30) de l’exégèse médiévale. Très riche en prima parte (Le culte de saint André, pp. 19-105) esplo- exemples souvent puisés directement dans les manus- ra il ricco dossier agiografi co dell’apostolo. Vengono crits, il est de lecture parfois diffi cile et qui demande presentati innanzitutto i documenti letterari: atti apo- réfl exion. Il constitue un guide inestimable pour crifi redatti in greco e versioni latine della leggenda; al- s’orienter dans la complexité du sujet traité. cune pagine sono dedicate alle testimonianze in antico Les premiers chapitres situent la présence de la Bi- e medio francese: una vita in ottosillabi della prima me- ble dans la culture cléricale et laïque, défi nissent les ca- tà del XIII secolo, una versione in prosa inedita (Paris, dres dans lesquels le corpus biblique est appréhendé et Ars. 3706, XV s.; ma si conoscono almeno altre tre ver- précisent les caractères des trois “genres” de l’exégèse sioni francesi conservate nei numerosi leggendari stu- médiévale: l’exégèse monastique, celle des écoles, enfi n diati da P. Meyer nel t. 33 dell’Histoire Littéraire de la universitaire. Suit l’étude des formes dans lesquelles se France e, più recentemente, da J.-P. Perrot, Le Passion- réalise l’examen de la Bible: glose, nota, quaestio, dis- naire français au Moyen Age, Genève 1992; senza con- tinctio, enchaînements des versets, formes complexes. tare le traduzioni francesi dell’Abbreviatio di Jean de Un chapitre est aussi consacré à la critique textuelle Mailly e della Legenda Aurea), un Mystère de Saint-An- biblique. L’A. en retrace l’historique et examine, à tra- dré rappresentato verso la metà del XV secolo e il My- vers de nombreux exemples, les matériaux utilisés (la- stère des Actes des Apôtres di Simon Gréban (1460-70), tins, hébraïques et grecs), la question de la connaissan- che comprende anche la narrazione dei miracoli e della ce des langues et les méthodes critiques appliquées. passione di Andrea. Un altro Mistero, questa volta in Vient ensuite l’étude des méthodes de l’exégèse lit- provenzale, venne rappresentato a Besançon nel 1512. térale et spirituelle. Dans la première sont traitées les Al corpus francese va aggiunta un’altra vita in versi différentes étapes affrontées dans la compréhension du composta in Inghilterra (forse per questo non citata), texte: de l’analyse textuelle (s’appuyant sur la grammaire, risalente all’inizio del 1200 e pervenutaci allo stato di la rhétorique, l’analyse littéraire) à l’analyse contextuelle, frammento (cfr. G.A BERTIN, A. FOULET, The ‘Acts of dont le but est de situer le passage étudié, et à l’analyse Andrew’ in Old French Verse, in «PMLA», 81, 1966, philosophique et théologique. Dans l’exégèse spirituelle pp. 451-454). Si passa quindi ai documenti liturgici: il s’agit de la signifi cation spirituelle des mots (à travers calendari (fi n dal secolo IV in Occidente il dies natalis l’étymologie et l’“interprétation”) et des réalités (“res”). di Andrea è celebrato il 30 novembre, data che segna Sont examinés les outils mis au point (listes et instru- l’inizio dell’Avvento), lezionari e sermoni. L’inchiesta ments spécialisés) ainsi que les mécanismes exégétiques si allarga poi ai settori dell’agiotoponimia (intitolazione pratiqués. Enfi n il est question d’une autre procédure sui- di chiese e località) e dell’antroponimia (presenza del vie dans l’interprétation spirituelle: l’exégèse par concor- nome André e delle sue varianti tra la popolazione) per dance (verbale, thématique, structurelle). delineare la diffusione geografi ca del culto dell’aposto- Les rapports entre exégèse juive et exégèse chrétienne lo in Francia. Uno spazio signifi cativo (pp. 79-105) è (revendication des différences, historique, présence des riservato infi ne all’analisi della devozione particolare di interprétations juives) font encore l’objet d’un chapitre cui sant’Andrea fu oggetto nel ducato di Borgogna alla et le dernier traite de la réfl exion herméneutique (textes fi ne del medioevo, devozione che si inserisce in una di- fondateurs, analyse du langage biblique: symbole et mé- mensione essenzialmente politica e ideologica. È Gio- taphore; le “saut herméneutique”: l’allégorie). Outre une vanni senza Paura ad adottare come emblema la croce bibliographie sommaire (pp. 449-454), le volume com- ad X per differenziare il proprio esercito dalle truppe porte les index des manuscrits cités, des citations scriptu- del re di Francia e dagli Armagnacchi, ma saranno Fi- raires, des auteurs anciens et médiévaux, des auteurs mo- lippo il Buono e Carlo il Temerario a fare dell’apostolo dernes et contemporains. il patrono del ducato e a instaurare un culto uffi ciale: [G. MATTEO ROCCATI] l’ordine della Toison d’Or viene posto sotto la prote-

ultime 370 4-12-2006, 21:35:07 Secoli medioevali 371

zione di sant’Andrea e la sua effi ge compare sulle mo- du lexique utilisé et la conscience qu’a le traducteur de nete e sulle bandiere dell’esercito ducale. la valeur de l’œuvre qu’il réalise. Nella seconda parte (L’iconographie de saint André, pp. 107-190), Ch.D. affronta lo studio delle raffi gura- [G. MATTEO ROCCATI] zioni di sant’Andrea nel medioevo basandosi essen- zialmente su di un corpus di miniature provenienti da manoscritti occidentali; le ragioni di questa scelta Information et société en Occident à la fi n du Moyen risiedono in primo luogo nell’abbondanza e nella qua- Age. Actes du colloque tenu à l’Université du Québec à lità di conservazione delle miniature rispetto ad altre Montréal et à l’Université d’Ottawa (9-11 mai 2002), fonti iconografi che, e inoltre nel fatto che la prossimità réunis par Claire BOUDREAU, Kouky FIANU, Claude tra testo e immagine consente di indagarne più agevol- GAUVARD et Michel HÉBERT, Paris, Publications de la mente i rapporti. Lo studio di queste relazioni non si Sorbonne («Histoire ancienne et médiévale», 78, Uni- limita a prendere in esame il caso di Andrea, ma è cor- versité Paris I Panthéon-Sorbonne), 2004, 464 pp. redato di numerose osservazioni di carattere generale sul lavoro e sulle scelte dei miniatori, oltre che sulle L’objet du colloque était «d’étudier les moyens, les modalità di inserimento delle immagini nel testo. Le méthodes et les stratégies de création, d’utilisation ou miniature sono quindi analizzate secondo un approc- de diffusion de l’information par les pouvoirs publics, cio tematico, al fi ne di evidenziare il processo di elabo- dans leur sens le plus large, dans l’Europe occidentale e e razione dell’iconografi a del santo e di identifi carne gli chrétienne des XIII -XV siècles» (p. 7). Les contribu- aspetti più originali. Vengono presi in considerazione: tions (plus d’une vingtaine), de caractère historique, la fi sionomia di Andrea e gli attributi identifi cativi che concernent une aire géographique assez large et sont e lo accompagnano; le rappresentazioni dei miracoli e surtout relatives au XV siècle. On en retiendra certai- del martirio, e infi ne le immagini di devozione privata nes qui se réfèrent à des textes littéraires ou qui pré- che mettono in scena uno o più personaggi in adorazio- sentent un intérêt général. Dans l’Introduction (pp. 11- ne davanti all’apostolo. 37) Claude GAUVARD défi nit la notion d’«information» La Terza e ultima sezione (La croix de saint André, – à l’époque le terme a seulement le sens judiciaire pp. 191-255) è dedicata a un aspetto particolare che, d’aujourd’hui – et, dans sa signifi cation usuelle, précise come sottolinea l’Autrice, si situa all’incrocio tra storia les moyens mis en œuvre pour l’assurer ainsi que son religiosa e iconografi a: la croce, a un tempo strumen- rapport à la vérité et à la gestion politique des nouvel- to del martirio del santo e simbolo identifi cativo. La les. Gilbert OUY, Feuilles d’information politique sau- tradizione testuale non fornisce dettagli sulle modalità vées de la destruction (pp. 69-83), montre l’intérêt de della crocifi ssione di Andrea; nelle raffi gurazioni fi no la récupération des papiers conservés dans les plats al XV secolo varie forme e posizioni si alternano: croce des reliures anciennes et édite un bref poème satirique, latina diritta o rovesciata, orizzontale o obliqua. Il mo- postérieur de peu à la mort de Louis XI (ms. BnF, n. tivo della croce a forma di X, diffusosi precocemente a. lat. 2617). Françoise PERROT, Un mode d’affi chage nelle regioni del Nord dell’Europa, è attestato in Fran- monumental: le vitrail (pp. 85-97), étudie le message e e cia a partire dal fi ne del XII secolo, ma si stabilizza solo véhiculé par deux vitraux des XII et XIII siècles: la Cru- negli ultimi secoli del medioevo fi no a soppiantare del cifi xion de la cathédrale de Poitiers, vitrail offert par tutto la croce latina. La sezione si conclude con una Henri II Plantagenêt et Aliénor d’Aquitaine, et le tes- discussione sui rapporti tra la croce di Sant’Andrea e il tament politique et religieux de Louis IX se préparant simbolo del Crisma. à la croisade, «affi ché» sur les verrières de la Sainte- Nelle pagine fi nali (Conclusion, pp. 257-261), dopo Chapelle de Paris. Virginie PORTES, Communiquer la e aver effi cacemente sintetizzato i risultati della ricer- mort: un rituel de séparation des lépreux du XV siècle ca, Ch.D. suggerisce alcune ulteriori piste (analisi dei (pp. 99-111), édite et commente un document relatif à sermoni, raffronto tra l’iconografi a francese e quella la province ecclésiastique de Sens, copié probablement europea e bizantina) i cui risultati permetterebbero autour de 1430 (ms. Berne 205, ff. 203v-204). Vero- di completare il quadro tracciato. Il suo lavoro costi- nika NOVÁK, La source du savoir. Publication offi cielle e tuisce comunque una ricca e convincente illustrazio- et communication informelle à Paris au début du XV ne dell’importanza rivestita dal culto di sant’Andrea siècle (pp. 151-163), enquête sur le rôle des différents nella Francia del medioevo. Il volume è completato canaux et relais par lesquels les nouvelles circulent et da alcune appendici documentarie (pp. 263-272), da sur la manière dont ces dernières sont reçues. Katia una bibliografi a organizzata in sezioni (pp. 273-289; WEIDENFELD, «Nul n’est censé ignorer la loi» devant la e e correggere il luogo di pubblicazione dell’edizione justice royale (XIV -XV siècles) (pp. 165-183), souligne la Maggioni della Legenda Aurea: non Città di Varazze souplesse dans l’application de l’adage – qui n’apparaît e ma Firenze) e da un ricco dossier iconografi co (20 pp. en droit français qu’au début du XIX siècle –, lui-même non numerate). révélateur des progrès du pouvoir législatif et judiciaire [BARBARA FERRARI] du roi de France. Serge LUSIGNAN, Le choix de la langue d’écriture des actes administratifs en France. Communi- quer et affi rmer son identité (pp. 187-201), examine TONY HUNT, Fécamp and vernacular historiography, la progression, pas linéaire du tout, de l’usage de la e «Medium Aevum», LXXII, 2003, 2, pp. 189-206. langue vernaculaire depuis le XIII siècle en s’arrêtant «pour l’essentiel aux cas de non-correspondance entre Après avoir retracé l’historique des recherches con- la langue d’écriture d’une autorité et celle des adminis- cernant l’Histoire de l’abbaye de Fécamp, chronique trés» (p. 200); il conclut: «l’essor de l’usage du français e en vers de la première moitié du XIII siècle (témoins, dans les actes témoigne non pas d’une adaptation de versions, sources, éditions), par un examen attentif la langue d’écriture à la langue parlée des gens, mais de nombreux passages, l’A. étudie la manière dont le plutôt de l’émergence d’une nouvelle culture écrite chroniqueur – qui intervient à la première personne – vernaculaire, et sous ce rapport d’un nouveau registre se situe par rapport à ses sources latines (et autres), son de la communication» (p. 201). Nicolas OFFENSTADT, travail et son public. La conclusion souligne la richesse Les crieurs publics à la fi n du Moyen Âge. Enjeux d’une

ultime 371 4-12-2006, 21:35:07 372 Rassegna bibliografi ca

e e recherche (pp. 203-217), présente l’intérêt de la fi gure tiques (XIV -XVI siècles) (pp. 233-245), trace, à travers du crieur, fi gure politique de l’espace public de la fi n l’étude des textes, le portrait idéalisé que les hérauts du Moyen Age, lieu de confl it et «d’ajustement des donnaient d’eux-mêmes. Kouky FIANU, «À tous ceux pouvoirs», autour de laquelle «se synthétisent les rap- qui ces lettres verront». La formalisation de la commu- ports de force locaux et les dimensions symboliques nication royale selon Odart Morchesne (1427) (pp. 427- du pouvoir médiéval» (p. 203). Torsten HILTMANN, 438), dans le but de «comprendre quelles étaient les Information et tradition textuelle. Les tournois et leur préoccupations de la Chancellerie royale en matière de e traitement dans les manuels des hérauts d’armes au XV communication et d’information» (p. 428), examine le siècle (pp. 219-231), brosse l’évolution des tournois formulaire de Morchesne, recueil d’exemples, en latin e e aux XIV -XV siècles et les conditions de compilation, et en français, et d’instructions à suivre dans la rédac- de transmission et de réception des manuels des hé- tion des actes. Le volume comporte aussi un index des rauts d’armes. Claire BOUDREAU, Messagers, rappor- notions (pp. 445-455). teurs, juges et «voir-disant». Les hérauts d’armes vus par eux-mêmes et par d’autres dans les sources didac- [G. MATTEO ROCCATI]

Quattrocento a cura di Maria Colombo Timelli e Paola Cifarelli

«Le moyen français», 54, 2004 tilingualism, pp. 87-93. Dans la scène 5 de la Farce, Pathelin utilise, outre le français parisien, six dialectes Numéro composite de la revue fondée et dirigée par (limousin, picard, fl amand, normand, breton, lorrain) Giuseppe Di Stefano. et le latin; Marc Trottier vérifi e ces emplois dans la tra- e DENYSE DELCOURT, Ironie, magie, théâtre: le mauvais duction latine de la pièce (début XVI siècle) et constate roi dans le «Roman de Perceforest», pp. 33-57. Dans que, si le traducteur conserve les mêmes ‘langues’ (à le personnage d’Aroès, roi magicien prétendant d’être l’exception du picard), l’ordre est différent: cela in- adoré comme Dieu, l’auteur de Perceforest établit le fi rme l’hypothèse d’une progression de l’idiome le plus lien entre magie, lascivité, théâtralisation; tous ces familier au moins connu. Les deux pièces constituent traits caractérisent à ses yeux le ‘mauvais roi’, qui méri- néanmoins un témoignage signifi catif du plurilinguis- te une punition exemplaire. Denyse Delcourt souligne me de la société parisienne à la fi n du Moyen Âge. les prises de position de l’auteur anonyme, condam- LUDMILLA EVDOKIMOVA, Commentaires des comédies nant entre autres tout excès dans l’emploi des images, de Térence dans l’édition de Vérard et leurs sources, pp. et le rapport entre le contenu du roman et certaines e 95-152. Antoine Vérard publia entre 1500 et 1503 six réalités de l’époque de rédaction (XIV siècle). comédies de Térence, traduites en prose et en vers ASTRID GUILLAUME, La représentation du ‘pouvoir’ français: ce long article de Ludmilla Evokimova est dans «Ponthus et la belle Sydoine», pp. 59-73. Ana- spécialement consacré au commentaire à la traduc- lyse narratologique de l’épisode (chapitre III) où Sy- tion en vers (de brèves remarques sur le commentaire doine parvient, par l’intermédiaire d’un sénéchal, à à la traduction en prose sont données en annexe). La rencontrer Ponthus, objet de son amour. Selon Astrid source première en est le texte de Donat, adapté par Guillaume, les mécanismes de parole et d’action mis Guido Juvenalis, dont le commentaire était destiné à en œuvre par la princesse et Herlandt sont révélateurs d’une conception du pouvoir caractéristique des der- des étudiants à leur début dans la grammaire latine, niers siècles du Moyen Âge et du roman en prose de et par Paulus Malleolus, dont le public était formé par cette époque. des étudiants plus avancés. L’analyse détaillée du com- mentaire français montre qu’une troisième source, non BERNARD RIBÉMONT, Les «Jeux à vendre» de Christine de Pizan et les «Cent Ballades d’amant et de dame», pp. identifi ée, a dû être utilisée par le ‘translateur’ ou par 75-85. Il s’agit d’une lecture très intéressante d’un re- Vérard, dont le but était sans doute d’éveiller l’intérêt cueil peu connu de Christine de Pizan. Les 70 pièces de Louis XII pour le théâtre antique. TANIA VAN HEMELRYCK (Les locutions dans «Hugues dénommées Jeux à vendre ne correspondent de fait pas e aux règles du jeu courtois de la vente d’amour; non Capet», chanson de geste du XIV siècle, pp. 154-181) re- seulement Christine varie et mélange les formes et uti- prend la question de l’expressivité langagière de Hu- lise uniquement l’octosyllabe à rimes plates: Bernard gues Capet, déjà soulignée par T. Matsumura (compte Ribémont montre que cet ensemble, hétéroclite et dis- rendu de l’édition de Noëlle Laborderie, «RLiR» 61, continu à l’apparence, constitue en réalité un dialogue 1997, pp. 598-600); Tania van Hemelryck rencense entre l’amant et la dame dont les thèmes se rappro- ici non moins de 380 expressions sous plus de 200 en- chent de ceux des Cent Ballades. De plus, la poétesse trées, en partie seulement enregistrées dans le DLMF s’inscrit pleinement dans son ‘jeu’ et le signe de sa mar- de Giuseppe Di Stefano, et ajoute une liste des expres- que et de son autorité. sions de valeur minimale (ne… allie / bouton / croie / MARC TROTTIER, La «Farce de maître Pierre Pathe- epy / esterlin etc.), variées en fonction de la rime. En lin»: ‘speaking in tongues’ or the hidden face of mul- conclusion, elle souligne à juste raison l’intérêt linguis-

ultime 372 4-12-2006, 21:35:08 Quattrocento 373

tique des chansons de geste tardives, peu étudiées jus- man de Fauvel», pp. 281-287). Les trois auteurs du Ro- e qu’ici de ce point de vue. man de Fauvel (premières décennies du XIV s.) font un usage très différent du symbolisme animal. Alors que la [MARIA COLOMBO TIMELLI] première partie insiste délibérément sur la symbolique négative du cheval, animal souverain qui domine les hommes, dans les deux autres cette présence animaliè- «Le moyen français», 55-56, 2004-2005 re tend à disparaître. C’est plutôt dans l’iconographie du ms. BnF fr. 146 que la nature bestiale de Fauvel Giuseppe Di Stefano et Rose M. Bidler publient ici s’affi rme entièrement, même au-delà des différences les actes du Colloque international sur «Le bestiaire, le entre les trois parties du roman. lapidaire, la fl ore» qui s’est déroulé à l’Université Mc- VOICHITA-MARIA SASU («Li Bestiaires d’amours» de Gill (Montréal) les 7-8-9 octobre 2002. Richard de Fournival, pp. 289-297). Œuvre originale e Le volet ‘bestiaire’ comprend neuf contributions. du XIII siècle, le Bestiaires d’amours illustre l’idéolo- CRAIG BAKER (De la Version courte à la Version lon- gie amoureuse courtoise en faisant appel entre autres gue du «Bestiaire» de Pierre de Beauvais: nature et rôle aux nombreuses caractéristiques des animaux, rappe- de la citation, pp. 7-22) souligne comment les deux lés non pas dans des articles individuels, mais tout au versions, l’une remaniement de l’autre, se distinguent long du texte en fonction des besoins de l’auteur. Les par l’emploi des citations. Si la Version courte utilise ‘exemples’ introduits au fur et à mesure en font une des citations du Physiologue, la Version longue (avant œuvre plus proche du grand chant courtois que de la 1260) renvoie plutôt à l’autorité biblique. Loin d’être littérature didactique ou allégorique. secondaires, ces deux procédés relèvent de la légitima- AN SMETS (Les traductions françaises médiévales des tion même du discours des deux auteurs. traités de fauconnerie latins: vue d’ensemble, pp. 299- GIOVANNA BELLATI (Les animaux dans le «Traité 318) offre un panoramique des traductions et compila- en forme d’Exhortation» de Jean Parmentier, pp. 23- tions de traités cynégétiques fondées sur des ouvrages e e 42) étudie le poème que Jean Parmentier a composé latins. Elaborées entre le XIII et le XV siècle, transmi- en 1529, pendant son expédition vers Sumatra. Elle y ses par un nombre restreint de manuscrits (15 codices analyse la terminologie générale adoptée pour désigner pour 16 traductions françaises, 8 pour 4 compilations), certains animaux (belues, bestes, bruts, éventuellement elles ne refl ètent pas toujours exactement le contenu accompagnés d’adjectifs), puis deux animaux en par- de leurs modèles, et ne nous renseignent que rarement ticulier: l’alouette et la baleine; si le symbolisme de quant à leur origine. Cependant, elles représentent des l’un est proche de celui de la tradition lyrique, la des- témoignages tout à fait signifi catifs pour l’histoire de la cription de l’autre est tirée de l’expérience directe de langue et pour les modalités de traduction de la langue l’auteur: dans les deux cas, c’est pourtant l’interpréta- classique vers le moyen français. tion morale qui prime. CLAUDE THIRY (L’éléphant, le léopard et le Phénix: LESLIE C. BROOK (L’homme et la bête: leçons de mo- notes sur le bestiaire de Jean Molinet, pp. 319-339). À rale dans un livre de chasse, pp. 57-67). «Curieux mé- partir du dépouillement des œuvres poétiques et des lange de manuel technique et de commentaire moral», Chroniques de Molinet, qui mettent en jeu un bestiaire selon la défi nition de L.Brook (p. 67), la première par- richissime, Cl. Thiry dresse une première typologie tie du Livres des Deduis du Roy Modus et de la Royne fondée sur les emplois des références aux animaux e Ratio (seconde moitié du XIV s.) traite des animaux à la qui mériterait – comme il l’indique – d’être vérifi ée sur manière des bestiaires, en comprenant une description un corpus plus étendu, en l’occurrence les œuvres des des caractéristiques des bêtes ainsi qu’une lecture mo- Grands Rhétoriqueurs. Cette typologie comprend: le rale de leur comportement. sens propre, le sens fi guré (comparaisons et métapho- LUDMILLA EVDOKIMOVA (La disposition des lettrines res, locutions et proverbes), le bestiaire héraldique, gé- dans le «Bestiaire» de Pierre de Beauvais et dans le nérateur à son tour d’imbrications métaphoriques, les «Bestiaire» de Guillaume le Clerc. La signifi cation de poèmes entièrement centrés sur des animaux. Quant la lettrine et la perception d’une œuvre, pp. 85-105) as- aux Chroniques, les animaux y sont moins nombreux, sume la valeur philologique des lettrines dans la trans- mais les emplois fi gurés tout aussi présents. mission des textes médiévaux et l’applique à un cas Trois études concernent la fl ore. exemplaire: les deux versions du Bestiaire de Pierre de MAUREEN BOULTON (Fleurs, Arbres et Vergier: le Bauvais (en prose) et le Bestiaire en vers de Guillaume symbolisme végétal d’Eustache Deschamps, pp. 43-56) le Clerc. L’usage des lettrines et des initiales y est en examine les images végétales dans les Ballades ‘amou- effet différent: signes de paragraphes ou de chapitres reuses’ et dans les poèmes politiques et satiriques: elle dans le texte en prose, structurant donc le récit, elles y reconnaît d’abord des écarts par rapports aux con- ne semblent pas avoir de fonction strictement défi nie ventions courtoises, mais surtout une connaissance dans le texte en vers. non superfi cielle des cultivations et de la botanique. STÉPHANIE LE BRIZ-ORGEUR (La truie, ses pour- Chez Deschamps un certain réalisme renouvelle ainsi ceaux… et le cochon dans la «Moralité de Bien Advisé les thèmes traditionnels tant dans la poésie amoureuse Mal Advisé», pp. 219-244). Transmise par un incuna- que dans la poésie ‘politique’. e ble de Vérard et par un manuscrit du début du XVI MICHÈLE GOYENS (Le lexique des plantes et la traduc- siècle, cette moralité met en jeu un groupe signifi catif tion des «Problèmes» d’Aristote par Evrart de Conty (c. d’animaux. L’allégorie Male Fin, qui tue Mal Advisé, 1380), pp. 145-165) étudie quelques procédés appli- est par exemple assimilée dans le texte, dans l’illustra- qués par Evrart de Conty dans sa traduction des Pro- tion du manuscrit et dans la didascalie de l’imprimé, blèmes d’Aristote, menée à partir d’une version latine à une truie; en revanche, le pécheur puni est rappro- et réalisée sur la demande de Charles V. Devant des ché du cochon dans le manuscrit, d’un bœuf (animal termes spécifi ques tels que apium (céléri, ache), cu- à la symbolique bien plus positive) dans l’incunable. cumer (concombre), ou encore cucurbita (courge), le L’étude du bestiare en vient ainsi à éclaircir le sens de traducteur a recours à des latinismes (ape, cucumere, l’œuvre et ses modifi cations successives. cucurbite), qu’il peut accompagner d’une glose ou du PETER NOBLE (Le symbolisme de la bête dans le «Ro- synonyme correspondant dans la langue courante. En-

ultime 373 4-12-2006, 21:35:08 374 Rassegna bibliografi ca

core une fois, le corpus des traductions de textes non re et du plantaire dans les textes de la fi n du Moyen littéraires s’avère du plus grand intérêt pour l’étude du Âge rapportés à la Paix, T. Van Hemelryck ne peut lexique en diachronie. que constater, sinon des absences, au moins le manque VIRGINIE MINET-MAHY (L’image du jardin mystique d’une symbolique univoque. L’olivier, le laurier, la pal- chez Deschamps: du paradis au prince idéal, pp. 259- me, la marguerite, d’une part, la colombe et l’agneau 280) analyse les images horticoles dans le Miroir de sur un autre plan, peuvent être rappelés, mais aucune Mariage, le Songe du Vergier et dans une partie de la pierre ne saurait servir les textes. La divinité implicite production poétique de Deschamps. Elle peut ainsi dans le sujet empêcherait de le réduire à une image montrer comment un tel imaginaire, de dérivation bi- – fl eur, animal, pierre – traditionnelle. blique, alimente la création poétique en associant par- PIERRE KUNSTMANN (Vertus et propriétés de la Vierge fois le rôle du roi et celui du poète. dans le Bestiaire, le Lapidaire et le Plantaire du «Ro- e Un troisième volet a pour objet le lapidaire. sarius» – BnF fr. 12483, ms. du XIV s., pp. 205-217). DENIS HÜE (Le «Jardin de Santé» de Jean de Cuba, Compilation tardive de textes divers à valeur édifi ante, dans la traduction faite pour A. Vérard autour de 1500: le Rosarius s’adresse à un auditoire de moines et de notes sur le lapidaire, pp. 187-203). Vaste compilation moniales. Il s’agit d’un recueil encyclopédique, en à visée encyclopédique, le Jardin de Cuba connut una partie perdu, contenant un lapidaire, un plantaire et grande diffusion dans ses versions allemande et latine; un bestiaire, centré sur la Vierge, dont P. Kunstmann elle eut aussi deux éditions en français, par Antoine présente ici quelques traits marquants. Vérard et par Philippe Le Noir. Comprenant une par- MARTINE THIRY-STASSINS (De l’absinthe à l’alouette. tie consacrée aux plantes, une deuxième consacrée aux Quelques aspects du plantaire et du bestiaire dans les animaux, un lapidaire illustré enfi n, où les pierres sont «Vies de sainte Colette de Corbie», pp. 341-351). Étu- présentées par ordre alphabétique, avec l’indication de centrée sur la Vie de Pierre de Reims (vers 1450), des pathologies qu’elles soignent, le Jardin de Cuba, transmise par 12 manuscrits et rapidement traduite en plutôt qu’un dernier témoignage du savoir médiéval, latin et en fl amand. L’emploi du plantaire, rapporté en est une synthèse qui laisse entrevoir un regard nou- essentiellement à des songes et visions, y est limité; veau, scientifi que et naturaliste, porté sur la Nature. en revanche, les allusions au monde animal sont plus Dieu domine toujours, mais le monde naturel n’est abondantes, l’auteur opposant un bestiaire céleste et plus ‘glosé’: il est désormais décrit et analysé en fonc- un bestiaire démoniaque, celui-ci fortement représenté tion de l’homme. dans l’iconographie du manuscrit le plus somptueux SOLANGE LEMAITRE-PROVOST (Le lapidaire alchimi- (ms. 8 des Pauvres Claires de Gand). que, pp. 245-258) propose une réfl exion sur les pro- priétés du langage dans les traités d’alchimie, langue [MARIA COLOMBO TIMELLI] éminemment fi gurée, symbolique, à la fois obscure et ludique, où le lapidaire occupe une place de première importance. DANIELLE ROCH, La structure des «Autres Balades de Quelques contributions enfi n abordent l’ensemble divers propos» de Christine de Pizan, ou la quête inache- des règnes de la nature. vée de l’harmonie du monde, «Romania», t. 123, 2005, DAVID COWLING (Le jardin, la carrière, le chantier: les métaphores de la création littéraire chez les «Rhé- pp. 222-235. toriqueurs», pp. 69-83) étudie l’emploi de quelques métaphores tirées du monde végétal, puis du monde La questione dell’apparente mancanza di unità che minéral chez les poètes des décennies 1450-1510. Tout caratterizza la raccolta delle cinquanta Autres Balades en se fondant sur un matériau linguistique traditionnel, cristiniane è stata spesso dibattuta dagli specialisti; l’A. ces auteurs (Chastelain, Lemaire, Crétin, Molinet) l’ap- espone in queste pagine la sua teoria al riguardo, sot- pliquent à leur statut et à leurs ouvrages, ce qui les rend tolineando innanzi tutto il carattere antologico della les anticipateurs de la poétique de la Pléiade. raccolta, che riunirebbe come un fl orilegio i compo- FRANÇOISE FÉRY-HÜE (Présences animales et végéta- nimenti che precedono l’Advision Christine, sorta di les dans les lapidaires en moyen français, pp. 107-128). punto di arrivo di un percorso artistico e fi losofi co di À partir d’un riche corpus de textes (liste aux pp. 127- cui le ballate rappresenterebbero una testimonianza 128), F. Féry-Hüe montre comment les lapidaires et importante e parziale. Ma sono soprattutto le osserva- e e encyclopédies des XIII et XIV siècles, Sidrac en particu- zioni sulla presenza di una strutturazione numerica dei lier, tendent à associer les trois règnes, minéral, végé- testi, legata alla Guematria di tradizione ebraica, a co- tal, animal. Si les animaux participent à la naissance de stituire l’apporto più originale di questo lavoro. Sorta nombreuses pierres, les végétaux et les éléments d’ori- di schema musicale «à lire comme l’image mentale de gine animale agissent dans l’élaboration des amulettes l’idéal vers lequel doit tendre le monde» (p. 227), que- et des remèdes. sta strutturazione che ruoterebbe intorno al rondeau DANIELLE FORGET et PIERRE KUNSTMANN (Le code centrale rappresenterebbe uno schema astrologico ri- fi gural de la nature dans les serventois couronnés lors conducibile alla concezione del mondo come sistema des représentations des «Miracles de Notre-Dame par strutturato da un ordine morale legittimato dalla tra- personnages», pp. 129-144). Les serventois des Mira- scendenza. Alla luce di questa griglia interpretativa i cles de Notre-Dame, poèmes savants qui mêlent consi- tre temi fondamentali trattati nelle cinquanta ballate dérations théologiques, images et prières, ont souvent verrebbero ricondotti a un unico principio, alla defi ni- recours aux métaphores pour interpeller et qualifi er la zione del quale contribuirebbe signifi cativamente an- Vierge: ce procédé, qui puise essentiellement au mon- che la struttura prosodica dei singoli componimenti. de de la Nature, fl ore et faune surtout, dérive des sour- ces bibliques, et doit être lu parallèlement à celui qui [PAOLA CIFARELLI] est utilisé pour le Christ. TANIA VAN HEMELRYCK (Le bestiaire, le lapidaire et le plantaire de Dame Paix, pp. 167-185). À la recherche ANNA SLERCA, Christine de Pizan et Pétrarque: l’in- d’une typologie des insertions du bestiaire, du lapidai- fl uence des «Rimes» sur les «Cent Balades d’Amant et

ultime 374 4-12-2006, 21:35:08 Quattrocento 375

de Dame», «Studi Petrarcheschi», Nuova serie, XVII di un’eloquenza curiale e anticipò per molti versi la (2004), pp. 161-179. poetica della Grande Rhétorique. Lo studio di E. Doudet focalizza l’attenzione sulla La critique reconnaît l’infl uence que Pétrarque a poetica che sottende la vasta produzione di Chaste- exercée sur la production lyrique de l’écrivaine de- lain orchestrandone la varietà dei temi e delle forme, puis longtemps déjà. Plus particulièrement, elle ad- e mostra che l’edifi cio retorico è l’elemento chiave per met l’existence d’un lien entre les Rime et les Cent l’interpretazione dell’opera; infatti, in questo saggio è balades de Christine de Pizan. Or, puisque les Cent costante il rinvio ai testi, analizzati con lucidità e ori- Balades d’Amant et de Dame ont de multiples élé- ginalità. La materia, strutturata con un’attenzione par- ments en commun avec les Cent balades, l’A. avance ticolare agli equilibri e alle simmetrie, è suddivisa in l’hypothèse que les Rime aient également infl uencé quattro parti dai titoli suggestivi (Les fondements de la les Cent Balades d’Amant et de Dame. Pour la prou- parole, Écrire le temps, Profondeur et ornement, Poéti- ver, elle cite toute une série d’occurrences, qui mon- que de l’interprétation), ciascuna ulteriormente scandi- trent de manière convaincante les analogies existant ta in quattro capitoli; ne risulta un’armoniosa coerenza entre les deux recueils. De même, elle signale une del percorso critico, che si addentra sempre più nei te- «similarité… frappante» (p. 178) – mais jusqu’à sti e nel loro signifi cato. ce moment méconnue – entre la ballade 213 de la Nella prima parte, dopo aver evidenziato l’impor- Louange des dames de Guillaume de Machaut, poète tanza che la nomina a storiografo e poeta uffi ciale di contemporain de Pétrarque, et le sonnet 61 des Ri- Philippe de Bourgogne riveste per la formazione della me. Le travail s’achève sur l’exhortation à «réviser le sua coscienza di scrittore e dell’immagine ‘fi ctionnelle’ lieu commun qui date l’infl uence des Rime en France di sé in quanto oratore, l’A. si sofferma sulla poetica e à partir de la deuxième moitié du XV siècle au plus legata al nome proprio del principe e alla scelta di un tôt, sinon à partir de la Renaissance» (p. 179). soprannome per designarlo, oltre che sul signifi cato profondo della fi rma in quanto segno, per il poeta, [GIORGIA PUTTERO] della costituzione di una personalità letteraria. Il poe- ta (‘georgos – il contadino’) è colui che, attraverso un paziente e umile lavoro sul reale attraverso la parola, DANIEL HOBBINS, The Schoolman as Public Intellec- forgia il senso profondo della storia estraendo dai fat- tual: Jean Gerson and the Late Medieval Tract, «The ti la quintessenza che rende la scrittura preziosa. No- American Historical Review», t. 108, n. 5, December nostante l’intensa rifl essione sulla funzione del poeta 2003, pp. 1308-1337. presente nella sua opera, Chastelain non partecipò al dibattito Arte-Natura, poiché per lui l’oratore agisce, Gerson est sans doute le théologien le plus repré- come il principe, su un piano che è politico prima che sentatif de son temps et on a souvent souligné son letterario. L’originalità di questo concetto e l’idea di importance; pourtant la perspective traditionnelle de un’ispirazione nata dal cuore, dal fervore e dal deside- l’histoire des idées ne réussit pas à en rendre la stature, rio, testimoniano, secondo l’A., la modernità di questo relevant chez lui une pensée sans grande originalité, si poeta, che tenta di realizzare una sintesi tra teorie me- ce n’est pour la mystique, dans une période elle-même dievali e concezione moderna dell’atto creativo. Anche marquée par l’épuisement de la scolastique dans le no- la scelta della lingua vernacolare costituisce un’impor- minalisme et les querelles d’école. tante innovazione, che permette di valorizzare il fran- À travers l’étude des caractères et de la diffusion de cese come lingua della cultura e del potere, esploran- sa production – et l’examen de quelques exemples par- do nel contempo le possibilità della prosa. Inoltre, la ticuliers – l’A. éclaire d’un jour nouveau l’évolution de rifl essione sulla scrittura dell’elogio come luogo per l’enseignement et du statut de l’universitaire. En effet, conciliare oggettività del discorso sul principe e co- l’évolution des genres – de la somme et du commen- struzione di una gloria duratura conduce a una serie di taire systématique au traité sur un objet spécifi que an- strategie che sfruttano le risorse dello stile deliberativo noncé par le titre, s’adressant à un public élargi et s’ap- e di quello epidittico per mettere in scena una sorta di puyant sur le prestige de l’institution – témoigne de la processo, in cui gloria e umiltà, universale e particola- dimension ‘publique’– au sens de Habermas – acquise re, possono affrontarsi dialetticamente. par l’intellectuel. Celui-ci intervient désormais dans un La seconda parte è incentrata sulla produzione espace qui dépasse les limites de l’université et atteste storiografi ca, a proposito della quale l’A. sottolinea la vitalité de cette dernière à la fi n du Moyen Âge: loin la forte unità tematica, rivalutando positivamente un d’être dans une période d’essouffl ement et de déca- giudizio critico che tende generalmente a mettere in dence, elle est capable de répondre à l’actualité et aux evidenza la ripetitività dell’orizzonte politico ed etico. exigences de la société de son temps. L’immagine dello specchio viene utilizzata dall’A. per visualizzare il rimbalzare dei temi da un’opera all’al- [G. MATTEO ROCCATI] tra. Ma per Chastelain, questo oggetto è soprattutto il simbolo di una rifl essione didattica sull’ideale del potere ereditata dalla tradizione dei Miroirs des Prin- ESTELLE DOUDET, Poétique de George Chaste- ces. L’Advertissement au duc Charles, in cui si affron- lain (1415-1475), Un cristal mucié en un coffre, Pa- ta la questione dalla distinzione tra principe buono e e ris, Champion, 2005 («Bibliothèque du XV siècle», tiranno, viene dunque collocato all’interno di questa LXVII), 881 pp. tradizione, come pure la Chronique, di cui è analiz- zato il disegno ideologico di base, incentrato su una Questa imponente monografi a sull’indiciaire bor- visione fondamentalmente pessimistica della storia gognone costituisce un contributo importante per la e su una continua messa in causa della possibilità di critica relativa a un poeta che, in un’epoca di transi- conciliare verità storica ed encomio. L’evoluzione su- zione tra autunno del Medioevo e alba del Rinasci- bita dai procedimenti retorici utilizzati in questo ‘mi- mento, contribuì in modo decisivo alla formazione roir des princes’ viene poi messa in rapporto con i tre

ultime 375 4-12-2006, 21:35:09 376 Rassegna bibliografi ca

momenti storici più forti: alla rappresentazione della 625). Nella pratica dell’allegoria come espressione di fi gura idealmente perfetta di Philippe le Bon, ‘prin- un’escatologia rassicurante, che interpreta le incertezze cipe e oratore’, succedono infatti il ‘miroir faillé’ del di un’epoca tormentata alla luce di una visione teologica duca Charles e il ‘miroir brisé’ di Louis XI; e poiché è della Storia, risiede secondo E. Doudet un altro degli sempre la retorica a strutturare la realtà, al ‘patto enco- elementi innovativi che Chastelain lascia in eredità ai miastico’ che sta alla base dell’elogio del principe per- Rhétoriqueurs. L’opera più signifi cativa in quest’ottica fetto si sostituiscono dapprima uno straordinario for- è il Traité pour forme d’allégorie mystique sur l’Entrée malismo che traduce un giudizio negativo e in seguito du Roy Louis en nouveau règne, di cui l’A. dà una let- una scrittura tormentata, che corrisponde al tormento tura penetrante, come pure delle opere classifi cate co- dei tempi. Inoltre, l’A. utilizza le moderne teorie della me “opuscules à personnifi cation”: l’Oultré d’Amour, letteratura per rifl ettere sull’effetto polifonico creato il Temple de Boccace, il Livre de Paix, l’Exposition sur da Chastelain orchestrando strategie testuali ereditate Vérité mal prise. Ma anche negli scritti più marcatamen- dai modelli del passato, e particolarmente dall’epica, il te storici, la funzione dell’allegoria risponde a una ne- teatro, il racconto, il romanzo d’avventure, il mito. In- cessità esegetica, soprattutto nei momenti in cui la crisi fi ne, nell’ultimo capitolo di questa seconda parte, viene dei valori è più acuta. Più generalmente, nella produ- preso in esame il rapporto tra la parola ‘circolare e ge- zione letteraria georgina l’allegoria è il luogo in cui «la neralizzante’ della digressione e il racconto lineare del- transparence de l’intention [se joint] à la profondeur du la contingenza. I contrasti e le apparenti incongruenze sens» (p. 640). L’esplorazione delle funzioni dell’allego- tra discorso e racconto, che la critica ha spesso sottoli- ria mette in luce anche la funzione di questa modalità neato nella scrittura di Chastelain, sono rivalutati come interpretativa come motore di una drammaturgia; l’A. «moteur de rythmes internes qui parcourent le texte» analizza quindi anche le quattro ‘pièces’ di Chastelain (p. 359), in cui il racconto dei fatti e la loro interpreta- giunte fi no a noi, tracciando in esse una profonda evo- zione s’intessono per «stabiliser en une généralité nar- luzione della poetica. rative les actions ‘soudaines’ de la Fortune» (p. 368). Il In quest’ultima sezione la prospettiva si apre anche progetto d’insieme dell’opera è l’elemento che deter- al contesto in cui Chastelain si inserisce e ai rapporti mina la funzione di ellissi, amplifi cazioni e racconti fat- che egli intrattiene con i contemporanei; un capitolo tuali, la cui alternanza è interpretata come espressione è dedicato alle fonti e al «refus du lignage littéraire», di un’unica volontà di verità. Lo stile di Chastelain è, atteggiamento caratteristico dell’indiciaire di cui l’A. secondo E. Doudet, particolarmente innovativo per- cerca di spiegare le ragioni. Quanto ai rapporti episto- ché innesta la retorica nella storiografi a attraverso un lari con i contemporanei, siano essi i principi e i grandi uso complesso della sintassi, che si caratterizza per «la della corte oppure gli scrittori come Jean Castel o Jean diversité des types de phrases, l’attention particulière Robertet, essi indicano chiaramente l’appartenenza portée à la phrase longue et les variations lexicales sur dello storiografo a un ambiente culturale e a un’epoca des termes importants» (p. 396). in cui la lettera è considerata il mezzo per eccellenza La terza parte, dal titolo Profondeur et ornement, si per intessere rapporti intellettuali. propone di mostrare che l’estetica di Chastelain si arti- Infi ne, la poetica dell’interpretazione di cui que- cola intorno a un’alternanza di trasparenza nel raccon- st’ultima sezione cerca di tracciare le direttrici princi- to della storia e profondità nell’interpretazione di essa; pali è applicata al concetto di pubblico, inteso qui in la domanda fondamentale di questa sezione è quindi senso molto lato; il signifi cato che l’opera di Chastelain la natura del rapporto tra ornamento e potere del lin- assume per le diverse tipologie di lettori contempora- guaggio nella scrittura dell’indiciaire. All’analisi delle nei è messo in rapporto con il tentativo di costruire, al- diverse voci narrative (narratore, narratori secondari l’interno dei testi, il profi lo del destinatario ideale. ma anche citazioni bibliche, proverbi e locuzioni pro- Questa ponderosa ricerca, che non perde mai di verbiali) segue uno studio della metafora, in cui viene vista i testi e non esita a servirsi delle teorie moderne sottolineata l’importanza dell’aptus, ma anche dell’ade- della letteratura per farli parlare, si confi gura dunque guatezza della metafora al discorso argomentativo e del come un contributo importante per una conoscenza signifi cato delle immagini ricorrenti. Emergono così le più approfondita del ruolo letterario assunto dallo sto- motivazioni poetiche che sempre giustifi cano il ricorso riografo e poeta uffi ciale dei duchi di Borgogna, in una a questa forma di ornato, in cui le immagini animali e diffi cile fase di transizione politica, sociale e artistica naturali si affi ancano alle fi gure dello scrigno e del cri- tra medioevo e modernità. La profondità dell’analisi, stallo, dal signifi cato complesso e molteplice. All’orna- fondata su un’ampia conoscenza del contesto culturale tus facilis è infi ne dedicato l’ultimo capitolo di questa e della bibliografi a critica fanno di questo saggio uno sezione, nel quale l’A. prende in esame la rima e la stro- strumento utile e un contributo signifi cativo allo studio fa nei componimenti poetici (pur con qualche restri- dell’alba del Rinascimento. zione rispetto al corpus) e nelle sezioni in versi inserite [PAOLA CIFARELLI] nelle opere in prosa. Viene evidenziato in particolare il paradosso per cui il primo dei Rhétoriqueurs mostra una fondamentale «réticence aux formes fi xes» (p. GEORGES CHASTELLAIN, Les Exposicions sur Verité 556) e una tiepida inclinazione per gli artifi ci ritmici, mal prise. Le Dit de Verité, Publiés par JEAN-CLAU- mentre si sottolineano il signifi cato poetico e le ragioni DE DELCLOS, Paris, Champion, 2005 («Textes de la tematiche delle scelte in ambito ritmico e sonoro. Renaissance», Série «Littérature des Rhétoriqueurs», L’ultima sezione è dedicata al tema della ricerca del 90), 271 pp. senso, attività che accomuna autore e lettore. La scrittu- ra è infatti considerata da Chastelain come espressione Transmises par un seul manuscrit (Bruxelles, B.R., di una ricerca del signifi cato simbolico ed eterno dei fat- 11101), les Exposicions constituent le commentaire en ti puntuali, che sfocia nel tentativo di esprimere questo prose du Dit de Vérité, poème de 70 huitains de déca- senso sotto forma di simbolo offerto al lettore per una syllabes composé au début de 1461. Intimement liés, nuova decifrazione. Il libro è quindi veicolo di verità e les deux ouvrages de Georges Chastellain furent rédi- l’allegoria, nella quale sono sintetizzati senso letterale e gés à peu de distance l’un de l’autre, au moment où senso ‘secondo’, è un «véritable système de lecture» (p. Philippe le Bon envoyait ses ambassadeurs à la cour

ultime 376 4-12-2006, 21:35:09 Quattrocento 377

de France pour savoir s’il aurait ou non à affronter la MARIE JENNEQUIN, L’Épisode biblique de la vendi- guerre. C’est à travers la mise en scène de quelques tion de Joseph, du mystère à la moralité, «Les Lettres fi gures allégoriques (Indignation, Reprobation, Accu- Romanes», t. LVIII, 2004, pp. 7-16. sacion, Vindicacion, Ame Raisonnable, Entendement Humain, Ymaginacion Françoise, Raison, Volonté, Pour illustrer la spécifi cité du ‘théâtre à deux fa- e Flaterie) que le chroniqueur bourguignon justifi e la ces’ du XV siècle, aux frontières fl oues entre les gen- composition du Dit au nom de l’honnêteté de ses in- res, l’A. examine la Moralité des frères de Maintenant tentions: il s’agissait en premier lieu de chanter la paix et l’épisode biblique de la vendition de Joseph tel à tout prix entre la couronne de France et le Duché qu’il est narré dans le Mistère du Viel Testament. En de Bourgogne, ce que confi rme la prière pressante que effet, malgré leurs divergences, ces deux drames ré- Chastellain adresse à Charles VII en conclusion de son vèlent plusieurs ressemblances (au niveau de l’intri- commentaire («Oracion au roy pour fi n de livre», pp. gue, du texte, des répliques, des personnages aussi). 180-192). Dans un langage lourd, sous un style enfl é et Ce rapport est partiellement expliqué par ce que redondant, on sent cependant la sincérité des propos l’A. nomme «l’imprimé G», communément appelé de Chastellain et son profond désir de poursuivre, avec la Moralité de la vendition de Joseph, qui représente les moyens de la «rhétorique», le seul but qui vaille: la une sorte de pièce de transition entre le mystère et paix entre les deux branches d’un même «troncq». la moralité. Puisant son inspiration dans la matière L’Introduction de Jean-Claude Delclos, spécialiste biblique et mettant en scène une allégorie (Envie), la de Chastellain dont il a publié en 1991 un long frag- version G confi rme les interactions, voire les trans- ment des Chroniques retrouvé à la British Library ferts, entre les différents ‘genres’ médiévaux. («TLF», 394: cf. SF 111, 1993, pp. 582), est synthé- tique mais éclairante (pp. 7-24). L’édition est sobre: [GIORGIA PUTTERO] fondée sur le manuscrit bruxellois qu’elle reproduit très fi dèlement, elle est accompagnée d’un apparat cri- tique réunissant les leçons rejetées et les variantes du ALAIN-JULIEN SURDEL, La peur de l’Autre dans les manuscrit fl orentin qui contient le texte du Dit lorsque récits de pèlerinage en Terre Sainte, «Travaux de Lit- celui-ci est directement cité, et un apparat de notes térature» , XVII, 2004, Les Grandes Peurs 2. L’Autre explicatives, tous les deux en bas de page. Le texte (Actes du Colloque de Nancy, 30 sept. - 3 oct. 2003), complet du Dit est reproduit par ailleurs en annexe, pp. 259-272. aux pp. 193-210. Suivent les appareils complémentai- res habituels: un Glossaire assez riche (pp. 211-265; Face au vaste corpus des récits de pèlerinage occi- on remarquera que les renvois aux pages de l’édition dentaux en Terre Sainte, rédigés sur plus de quinze e e rendent parfois diffi cile le repérage des mots concer- cents ans (IV -XIX siècles), l’A. tente une synthèse et nés), l’Index des noms propres (pp. 267-270), puis des articule son étude en deux parties. Personnages (p. 270). Premièrement, il se concentre sur l’organisation [MARIA COLOMBO TIMELLI] matérielle et spirituelle du voyage qu’accomplissaient les pèlerins médiévaux de l’espace francophone. Pour ce faire, il prend en considération trois récits, VÉRONIQUE DOMINGUEZ, La scène et l’enluminu- relativement peu connus, qui se répartissent sur l’en- e re. L’‘Apolline’ de Jean Fouquet dans le livre d’Heures semble du XV siècle: Le Saint Voyage de Jherusalem d’Étienne Chevalier, «Romania», t. 122, 2004, pp. 468- du seigneur d’Anglure; Le Voyage d’Outremer de Ber- 505. trandon de La Broquière, premier écuyer tranchant et conseiller de Philippe le Bon, duc de Bourgogne et le Le fait que Jean Fouquet ait enluminé le livre Voyage de Georges Lengherard, mayeur de Mons en d’Heures du trésorier de France Étienne Chevalier Haynaut à Venise, Rome, Jérusalem, Mont-Sinaï et Le en ayant recours au motif des supplices n’a en soi Kayre. Des trois moments constituant le pèlerinage en rien d’exceptionnel. Le fait qu’il ait situé l’action du Terre Sainte pour l’homme médiéval (séjour à Venise, martyre de sainte Apolline au beau milieu d’un théâ- voyage en Terre Sainte et retour à Venise, puis retour tre est au contraire plus surprenant. Pour compren- au pays d’origine), c’est surtout l’arrivée et la perma- dre les raisons qui ont poussé Fouquet à représenter nence sur les lieux saints qui intéressent l’A, qui met un échafaud théâtral dans une œuvre de dévotion et en évidence les éléments et les conditions qui géné- à préférer Apolline à tout autre martyr, l’A. replace raient la peur de l’Autre chez le croyant occidental. l’enluminure à l’intérieur du livre d’Heures tel qu’on Dans la deuxième partie de cet article, l’A. s’occu- a pu le reconstituer, et interroge les sources théâtra- pe de l’Itinéraire de Chateaubriand (1811), ouvrage les, iconographiques (italiennes surtout) et narratives qui s’inscrit dans le droit fi l de la tradition des récits concernant cette sainte. Elle analyse également tous les de voyage et de pèlerinage d’antan et qui est d’autant éléments iconographiques présents dans l’enluminure, plus intéressant que «le ‘génie’ de Chateaubriand en se concentrant sur le pélican. Ainsi, arrive-t-elle à s’est élevé lors de son voyage en Terre Sainte» (p. une explication fascinante: par une transposition que 271), réalisé de juillet 1806 à juin 1807. l’illusion théâtrale et l’emploi du pélican dans l’enlu- minure invitent à opérer, Apolline représenterait le [GIORGIA PUTTERO] Christ, et son supplice le martyre par excellence, celui de la Croix. [GIORGIA PUTTERO]

ultime 377 4-12-2006, 21:35:10 378 Rassegna bibliografi ca Cinquecento a cura di Dario Cecchetti e Michele Mastroianni

BÉATRICE PÉRIGOT, Dialectique et littérature. Les della disputatio, dimostra come, malgrado il rifi uto di avatars de la dispute entre Moyen Âge et Renaissance, questa struttura e di questa forma mentis e malgrado Paris, Champion («Bibliothèque Littéraire de la Re- la condanna di ciò che viene defi nito scolastique, l’esi- naissance», LVIII), 2005, pp. 736. stenza dell’Apologie de Raymond Sebond e del capito- lo De l’art de conférer (Essais, III, 8) induca a esami- Béatrice Périgot sfrutta le sue vaste conoscenze di nare più in profondo l’atteggiamento di Montaigne al letteratura medievale e umanistica, soprattutto per riguardo, concludendo che «questi, dal punto di vista quanto concerne i processi intellettuali e le tecniche formale, si allontana dai procedimenti della disputa- di discussione ideologica, per offrire un ricco e ap- tio, ma a causa del suo desiderio, sempre contrariato, profondito excursus sul confi gurarsi della disputatio di ricercare la verità e a causa della sua tendenza a ro- medievale come genere fondatore dei procedimenti vesciare costantemente tutte le affermazioni, prende epistemologici e sulla sua sopravvivenza nel Rinasci- a prestito dal metodo della disputatio il suo elemento mento come strumento di esposizione delle idee. Es- più fecondo: la contraddizione» (p. 673). sa ricostruisce anzitutto (Première partie: La dispute au Moyen Âge, pp. 13-111) una storia della disputatio [DARIO CECCHETTI] dalle origini classiche (Aritotele, Cicerone) ai Padri a san Tommaso fi no a Ockham, sottolineando come questa storia nella sua evoluzione secolare si attesti MICHÈLE CLÉMENT, Le cynisme à la Renaissan- nel XIV secolo su di «un’attenzione crescente rivolta ce d’Érasme à Montaigne, Genève, Droz («Cahiers alla logica e al funzionamento del linguaggio» (p. d’Humanisme et Renaissance», 72), 2005, pp. 284. 108). Illustra quindi (Deuxième partie: La dispute en question, pp. 113-412) l’uso umanistico della disputa- Grande studiosa della poesia spirituelle fra Manie- tio nel quadro della crisi umanistica della dialettica rismo e Barocco, fi lologa attenta alla pubblicazione di in quanto disciplina e gli elementi di riforma di que- testi cinquecenteschi, Michèle Clément prende ormai st’uso, studiando le reazioni degli umanisti alla tradi- posto fra i maggiori specialisti del Cinquecento fran- zione e metodologia scolastica, a partire da Petrarca cese e allarga sempre più il suo campo d’indagine. A passando attraverso i grandi quattrocentisti italiani lei dobbiamo ora una brillante e approfondita sintesi (Bruni, Valla, Pico della Mirandola) fi no a giungere su di un problema che mancava fi no a oggi di uno stu- a Vivès, autore considerato centrale nella riforma dio d’insieme: si tratta di una ricerca, molto ben do- del sapere dialettico, e a Erasmo e ai grandi umanisti cumentata, sulla fortuna del cinismo nel Rinascimen- francesi, quali Budé e Vovelles. E attraverso l’analisi to francese, del cinismo che, come forma mentis, ha delle critiche alla disputatio – e delle alternative che un ruolo rinascimentale – è questo l’assunto dell’A. tali critiche fanno nascere – permette di costatare co- – non meno signifi cativo di quello stoicismo su cui me il problema della dialettica sia uno di quelli che si sono appuntati con tanta frequenza e ricchezza di servono a defi nire l’Umanesimo, anche se «la disputa- esiti gli studiosi. Tanto più si deve rimpiangere questa tio sopravvive soltanto nella ‘letteratura’ del Cinque- trascuratezza per il fatto che, come viene sottolineato cento e non fa parte dell’ideologia umanistica vera e nel Prologue, il cinismo è stato nel Rinascimento, so- propria» (p. 412). Infi ne, B. Périgot studia (Troisième prattutto in quel ventennio (1530-1550) che vede l’af- e partie: Dispute et littérature au XVI siècle, pp. 413- fermazione del diogenismo e dell’evangelismo, uno 673) in che misura «la disputatio lascia tracce nella stimolo sia per il rinnovamento degli studi fi losofi ci letteratura, o meglio, in che misura essa contribuisce veri e proprî che per l’elaborazione di una letteratura a modellare i generi che emergono nel Cinquecento o connessa alla fi losofi a. Dopo avere passato in rasse- che si trasformano sotto l’infl uenza dell’Umanesimo» gna, in un primo capitolo, la dossografi a su Diogene (p. 415). Ritenendo che fra questi generi il romanzo e i cinici dai Padri della Chiesa fi no al Rinascimento, sia quello che avrà l’avvenire più fecondo, l’A. rivol- esaminando in particolare l’atteggiamento ambiguo ge una precisa attenzione a Rabelais – Pantagruel, della Chiesa nei confronti del cinismo, l’A. si soffer- Gargantua e Tiers Livre in particolare –, ritrovando ma sul corpus cinico (essenzialmente le lettere pseu- nell’abbondanza delle forme dialogiche che caratte- doepigrafe di Diogene e di Cratete), analizzandone rizzano questi romanzi l’infl usso delle strutture della l’impatto sia nell’Umanesimo italiano che in quello disputatio. Ma accanto a questi testi, vengono esami- francese. Per chiarire gli apporti del cinismo agli au- nate le opere di Jean Bodin, Bertrand d’Argentré ed tori su cui verte la ricerca – da Erasmo a Montaigne Étienne Pasquier, per dimostrare come «la disputatio – M. Clément disegna un rapido profi lo del pensie- sia fondamento del metodo razionale che rinnova la ro cinico quale fi losofi a della contraddizione e della storiografi a del Cinquecento» (p. 503); così pure, ven- libertà. In esso possono riconoscersi Erasmo, che si gono analizzati i Dialogues di Guy de Bruès, nell’in- ispira continuamente nei suoi Apophtegmata a più di tento di dimostrare come, «dal punto di vista formale, trecento cinquanta apoftegmi cinici in parte assimila- la disputatio sia ancora in funzione in questi dialoghi, ti, ma anche autori di rottura come Bonaventure Des ma più a titolo di conchiglia vuota che a quello di Périers, che nel Cymbalum mundi (le pagine consa- strumento intellettuale; di fatto, tutto ciò che faceva crate a questo testo apportano una documentazione l’interesse della disputatio è ormai assente: la verità da veramente originale) saccheggia fonti ciniche, come dimostrare esiste prima ancora che il dialogo cominci, Enomao di Gadara, Luciano e la lettera 28 di Dio- e questi falsi dibattiti sono in realtà un’apologia della gene. Interessante è lo studio del diogenismo in Ra- certezza» (p. 623). Un ultimo capitolo, consacrato al belais (soprattutto nei prologhi del Gargantua e del rapporto di Montaigne con la struttura e la mentalità Tiers Livre). In un capitolo consacrato al Discours sur

ultime 378 4-12-2006, 21:35:10 Cinquecento 379

la servitude volontaire di La Boétie, l’A. dimostra che L’incontro tra Petrarca e Marot, ‘suscité’da France- se in quest’opera «le socle philosophique est plutôt sco I, fu determinante per la poesia francese a cui ve- de nature stoïcienne» (p. 150), bisogna tuttavia ri- nivano offerti un nuovo modello lirico e delle forme conoscervi un metodo cinico. Così Montaigne, mal- inedite per la costituzione di un immaginario regale. grado eviti sistematicamente il termine «cynique» e Le traduzioni di Marot (Le chant des visions e i Six sembri provare un vero disagio di fronte all’ideologia sonnets) restituiscono la letteralità dei testi di Petrar- cinica, in realtà sotto il mantello dello stoicismo si ri- ca di cui si rispetta la forma, in particolare quella del fà spesso a questa ideologia, di cui l’A. repertoria e sonetto, e la si impone così in Francia. Myra ORTH, interpreta acutamente negli Essais le tracce contrad- Richard COOPER, Un manuscrit peint des «Visions de dittorie. Estremamente originale, infi ne, e debitore Pétrarque» traduites par Marot, pp. 53-71. Studiano i degli interessi di M. Clément per le poetiche – e la dodici acquerelli che ornano i due ms. de Le chant des parola poetica del Cinquecento –, è l’ultimo capitolo visions de Pétrarque risalente al 1560 e conservato a consacrato alla Poétique de la parole cynique, ove M. Glasgow, confrontandoli con quelli del ms. di Berlino Clément sottolinea la derivazione da una poetica del- e con le illustrazioni di tre diverse edizioni londinesi la parola, che essa riconduce ai cinici, la dimensione dello Chant che dal ms. di Glasgow deriverebbero. ludica (e libertaria) di tanti testi cinquecenteschi, in Romana BROVIA, Clément Marot e “l’umanesimo cri- particolare quelli degli autori da lei studiati, ma non stiano” del Petrarca, pp. 73-83. Mette in relazione le solo. Davvero, un bel libro, che apre piste di ricerca, e traduzioni petrarchesche di Marot e la sua traduzione offre strumenti ben documentati agli studiosi. dei Salmi il cui il momento di sintesi consiste nel- l’espressione lirica del sentimento religioso. Il petrar- [MICHELE MASTROIANNI] chismo lirico e la tradizione del Petrarca latino (che consente “la più esplicita autorizzazione all’applica- zione di un registro lirico per la trattazione di temi GÉRAUD POUMARÈDE, Le voyage de Tunis et d’Italie morali e persino penitenziali”, p. 81) sono due volti de Charles Quint ou l’exploitation politique du mythe complementari del progetto poetico di Marot. Paola de la croisade (1535-1536), «Bibliothèque d’Humani- CIFARELLI, Jean Maynier d’Oppède et Pétrarque, pp. sme et Renaissance», LXVII, 2 (2005), pp. 247-285. 85-104. Mettendo in parallelo le due traduzioni dei Trionfi per opera di Maynier, una manoscritta e una a La presa di Tunisi per opera di Carlo V e il duro stampa (entrambe de 1538), si osserva che i numerosi colpo inferto alle incursioni corsare di Barbarossa so- scarti lessicali e la diversa disposizione dei capitoli no al centro di un’imponente attività di propaganda rendono le due versioni nettamente distinte. Dal con- imperiale. Alla mistica della crociata si affi anca l’idea fronto con le traduzioni contemporanee si constata di un imperatore pio da contrapporre al roi Très che il ms. è pressoché indipendente mentre il testo a Chrétien François I, grande rivale di Carlo V, così stampa, rimaneggiato con l’inserimento di amplifi ca- come, nel corso dell’iter italicum dell’Asburgo di ri- zioni e glosse, è strettamente imparentato con la tra- torno dall’Africa, l’imperatore è oggetto di tributi ed duzione anonima del 1514. Marie Madeleine FONTAI- encomi tesi a istituire una continuità con il modello NE, Débats à la cour de France autour du «Canzoniere» scipionico. Lo studioso si sofferma in particolare su et de ses imitateurs dans les années 1533-1548, pp. carteggi e relazioni d’ambasciata, mostrando le rea- 105-135. Prende in esame l’opera di due poeti ope- zioni degli emissari degli stati italiani, quello ponti- ranti alla corte di Franceso I: Mellin de Saint Gelais e fi cio in particolare, e quelle del côté francese, fra cui Héroët. Del primo è la produzione antecedente al le lettere di Jean Du Bellay e François Rabelais allora 1540 che risente dell’infl uenza del Canzoniere (per la a Roma. lingua e la musicalità più che per i temi e i cliché). [FILIPPO FONIO] Negli anni successivi il petrarchismo regale che aveva trionfato negli anni 1533-1534 degrada. La posizione di Heroet è di critica e di attacco contro Petrarca, Les poètes français de la Renaissance et Pétrarque, condannato in quanto modello delle ‘moeurs italien- Études réunies par JEAN BALSAMO, Genève, Droz nes’. Nicole BINGEN, Les éditions lyonnaises de Pétrar- (Travaux d’Humanisme et Renaissance n° CCCXCIV que dues à Jean de Tournes et à Guillaume Rouillé, pp. - Textes et Travaux de la Fondation Barbier-Mueller 139-155. Fornisce una descrizione delle edizioni de Il pour l’Étude de la poésie italienne de la Renaissance Petrarca pubblicate a Lione tra il 1545 e il 1574. I N° 1), 2004, 520 pp. cambiamenti introdotti nell’ultima edizione di Tour- nes (1550) tendono a rivalutare il contenuto tematico: Questo volume è pubblicato dalla Fondation Bar- la sottolineatura di espressioni e proverbi trasforma bier-Mueller che, mettendo a disposizione degli stu- l’opera in un manuale, più prosaico e utilitario. Allo diosi il suo ricco fondo librario, comprendente rare stesso modo, le edizioni di Rouillé, annotate, confer- opere poetiche italiane del Quattrocento e del Cin- mano che Il Petrarca fu anche un manuale di lingua e quecento, offre un contributo prezioso alle ricerche di composizione poetica. Cécile ALDUY, Scève et che investigando le reti intertestuali della poesia fran- Pétrarque: «de mort à vie», pp. 157-170. In Délie cese della Renaissance ritengono si debbano sondare Scève rifi uta le categorie temporali di Petrarca e la anche le opere poetiche italiane del Quattrocento e conseguente struttura bipartita in vita/in morte. Man- del Cinquecento. Nell’introduzione dal titolo elo- ca l’orientamento teologico in due parti e la varietà quente, “Nous l’avons tous admiré, et imité, non sans formale del Canzoniere. La ‘discendenza’ da Petrarca cause”. Pétrarque en France à la Renaissance: un livre, riguarda quindi fondamentalmente la micro-struttura un modèle, un mythe, pp. 13-32, Jean Balsamo ritrac- (versi, rime, motivi). Daniel MAIRA, Les «erreurs cia e puntualizza le fasi successive della fortuna e del- rhétoriques» de Pétrarque et de Pontus de Tyard ou la l’infl uenza di Petrarca in Francia precisando il tema collection éditoriale des ‘Juvenilia’, pp. 171-183. Il del volume e contestualizzando così i vari studi qui Canzoniere e le Erreurs amoureuses di Pontus de er riuniti. Jean BALSAMO, François I , Marot et les origi- Tyard utilizzano entrambi il topos dell’exordium in nes du pétrarquisme français (1533-1539), pp. 35-51. cui si denunciano gli errori (retorici e non) di gioven-

ultime 379 4-12-2006, 21:35:11 380 Rassegna bibliografi ca

tù ma Petrarca, confessando la vanità della sua passio- spone infatti liberamente le rime], les accents théma- ne per Laura, si pone, ormai convertito, come model- tiques [propone per esempio un’apologia dell’incon- lo, mentre Pontus trova nella perfezione del suo amo- stanza] et le choix des images» (p 305). Michèle CLÉ- re noe-platonico la giustifi cazione alle sue ‘maladres- MENT, De Grévin à Pétrarque: «Non, je ne m’en re- ses’ stilistiche e alla necessità di pubblicare i suoi pen», pp. 313-327. L’analisi de l’Olimpe, La Géloda- versi. François RIGOLOT, Échos pétrarquiens dans la crye e Les vingt-quatre sonnets romains ribalta l’opi- poésie de Louise Labé: la nouvelle Laure lyonnaise et le nione diffusa fi nora secondo cui Grévin non avrebbe paradigme du “giovenile errore”, pp. 185-200. Dopo avuto un rapporto diretto con l’opera di Petrarca ma aver considerato il paradigma poetico del “giovenile solo attraverso i petrarchisti. Il poeta calvinista cono- errore” in Scève, Pernette du Guillet e Pontus de sce Petrarca, lo cita e lo riprende ma soprattutto per Tyard, se ne valuta la valenza nell’opera di Louise La- confutarlo e per emanciparsi dal modello in una sorta bé. Il modello petrarchesco permette alla poetessa, di sfi da estetica e ideologica. François ROUGET, Philip- vittima dell’irresponsabilità maschile, di discolparsi pe Desportes, médiateur du pétrarquisme français, pp. assumendo una «attitude à la fois implorante et fron- 331-351. Desportes transforma il lirismo amoroso in deuse» (p. 193). Giovanna BELLATI, La traduction du lirismo spirituale e fa del Petrarca un oggetto di imi- “Canzoniere” de Vasquin Philieul, pp. 203-228. L’ana- tazione letteraria e non un esempio di soggetto pas- lisi svolta a livello lessicale, sintattico e retorico della sionale. Trasfi gura, adatta e interiorizza i modelli pe- traduzione che Philieul pubblicò nel 1555 delle opere trarchisti italiani e francesi operando come mediatore volgari di Petrarca e l’esame degli “arguments” da lui piuttosto che come creatore. François LECERCLE, Un introdotti permettono di concludere che Philieul si pétrarquisme épistolaire: les «Lettres amoureuses» sforzò di rendere il testo originale rispettando sia il d’Étienne du Tronchet, pp. 353-362. Le Lettres amou- senso sia la forma. La sua fedeltà è assoluta poiché reuses, una delle prime raccolte francesi di lettere egli considera il testo come un insieme i cui vari aspet- d’amore, è in realtà un testo composito che contiene ti semantico, retorico e metrico non possono essere una traduzione parziale del Canzoniere, i Septante scissi. La traduzione cerca quindi di curarli tutti allo Sonnets de Pétrarque. Al di là dell’eterogeneità esiste stesso modo. André GENDRE, Pierre de Ronsard, pp. un vero ‘jumelage’ tra le lettere e i sonetti e la tradu- 229-251. Elencando puntualmente i topoi petrarchia- zione di Petrarca assume un ruolo di ‘parrainage’ del- ni presenti in tutta la produzione poetica di Ronsard, le lettere che, a loro volta, presentano, commentano e si evince che il Canzoniere è un’opera «viscéralement convertono in epistola i sonetti e li trasformano in assimilée» (p. 229). Un rapido accenno alla poetica “récit amoureux”. Rosanna GORRIS CAMOS, Traduire ronsardiana lascia intravedere i modi attraverso cui la Vierge: l’«Hymne à la Vierge Sacrée du toscan de questi temi subiscono una metamorfosi da parte di Pétrarque» traduit par Guy Le Fèvre de La Boderie, Ronsard. Olivier MILLET, Du Belley et Pétrarque, au- pp. 363-378. Nella traduzione del canto XXXIII del tour de «L’Olive», pp. 253-266. Dalla lettura dell’Oli- Paradiso dantesco e in quella della petrarchesca «Ver- ve traspare un Petrarca intertestuale il cui modello è gine bella che di sol vestita» (Canzoniere, CCCLXVI) imitato attraverso i petrarchisti italiani con i quali Du il discorso poetico di Le Fèvre de La Boderie trova la Belley vuole rivaleggiare. Di Petrarca «source des sua profonda unità: l’ispirazione teologica e quella sources» (p. 264) è adottata la forma del sonetto di poetica diventano indissociabili nell’itinerario verso cui Du Belley riprende sistematicamente gli incipit. l’Uno, l’infi nito che riunisce unità e molteplicità. Jean VIGNES, Appropriation et restitution du «Canzo- Dante e Petrarca sono legati in una translatio studii niere» de Pétrarque dans la poésie de Jean-Antoine de che è «une sorte de palinodie transformant Béatrice Baïf, pp. 267-280. Dopo alcune considerazioni sulla et Laure en Marie» (p. 367). Daniela COSTA, Les maniera in cui Baïf si appropria di Petrarca nelle Eu- poètes de Henri III e Pétrarque, pp. 379-393. Studia le vres en rime, spesso unendo al testo originale una fon- “variazioni” introdotte ai testi di Petrarca da alcuni te secondaria, si fornisce la trascrizione di quattro poeti della corte di Enrico III: Clovis Hesteau de delle Chansonettes mesurées (ms. autographe: BNF Nuysement, Flaminio de Birague, Amadis Jamyn, 19140) che dimostrano come un Baïf maturo si rifac- Isaac Habert e Jean de La Jessée. Queste variazioni cia alla dimensione lirica dei versi del Canzoniere per sono essenzialmente di tre tipi: parafrasi o commento, dei testi esclusivamente destinati al canto. Emmanuel universalizzazione e interpretazione libera dell’origi- BURON, Jodelle et Pétrarque, pp. 281-287. Indaga i nale. Esse dimostrano come l’emulazione della poesia rapporti esistenti tra la poesia amorosa di Jodelle e il di Petrarca possa contribuire a creare dei linguaggi Canzoniere. Jodelle rifi uta il discorso amoroso di Pe- poetici nuovi e perfezionare le possibilità espressive. trarca, troppo ‘doloristico’ e non accetta che i senti- Il modello, assimilato e superato, da fonte di ‘imita- menti debbano esprimersi attraverso un codice, di- tio’ si trasforma in fonte di ‘inventio’. Silvia D’AMICO, ventando freddi e impersonali. Egli quindi non imita Les «Essais» de Jérôme d’Avost, pp. 395-411. La tra- Petrarca bensì compone delle poesie per ‘risponder- duzione di d’Avost di trenta sonetti del Canzoniere, gli’. Concetta CAVALLINI, La Boétie et Pétrarque, pp. pubblicata in edizione bilingue, ambisce a chiarire il 289-301. Intende provare l’infl uenza della poesia del senso dell’originale italiano per renderlo più accessi- Petrarca sui 29 Sonnets e i Vers français indagando a bile. Il risultato è una certa banalizzazione del testo e due livelli: quello delle immagini topiche (concetti) e la perdita della dimensione spirituale della poesia. quello delle imitazioni testuali e delle trasposizioni. Si Gilles BANDERIER, Le triomphe des langues: Du Monin nota così che i 29 Sonnets, opera di gioventù, sono di et Pétrarque, pp. 413-426. Jean-Édouard du Monin contenuto più petrarchesco mentre i Vers Français, non fu un petrarchista e la presenza di Petrarca nelle opera della maturità, rivelano un’ispirazione netta- sue opere non si distingue in modo particolare. È tut- mente più legata all’esperienza personale. Yves GI- tavia signifi cativo che, oltre a tradurre Petrarca in la- RAUD, Un singulier pétrarquisant, pp. 303-312. Un’at- tino (tre sonetti nelle Miscellaneorum Poeticorum tenta lettura del Recueil des Rymes et Proses d’Estien- Adversaria) egli proponga una traduzione dei Trionfi ne Pasquier rivela un autore che, sebbene imiti inevi- in francese proprio poco dopo aver affermato nel suo tabilmente formule e immagini della tradizione pe- Avant discours de l’auteur sur son françois… che il trarchista, è originale per la «plasticité du sonnet [di- francese deve essere utilizzato per comporre opere di

ultime 380 4-12-2006, 21:35:11 Cinquecento 381

grande levatura. Ma Petrarca rimane una presenza tra Da segnalare, tra le iniziative patrocinate dal Comi- i tanti poeti suoi predecessori, che Du Monin vuole tato Nazionale per le celebrazioni del VII centenario superare. Alessandra PREDA, Tra Tasso e Montaigne: il della nascita di Francesco Petrarca, la pubblicazione petrarchismo di Claude Expilly, pp. 429-443. La con- di un numero di «In forma di parole» interamente de- sultazione de testi appartenuti a Expilly (conservati dicato alla ricezione dell’autore italiano oltralpe. Non alla Bibliothèque Municipale di Grenoble) rivela che una miscellanea di saggi critici, ma una raccolta di testi nell’esemplare delle Rime di Torquato Tasso egli sot- in lingua originale accompagnati dalla versione italia- tolineò soprattutto le terzine fi nali dei sonetti, mo- na, secondo la consuetudine della rivista, il cui mag- strandosi sensibile alla raffi natezza e al ritmo tassiani. giore impegno, da ormai più di due decenni, vuole es- In Montaigne egli ammirò il rigore e la fermezza, co- sere quello della traduzione letteraria: «una “antologia me appare dal sonetto autografo conservato nella sua possibile” del petrarchismo» la defi nisce Gianni Scalia, copia degli Essais. Sull’edizione del Canzoniere che autore del saggio introduttivo (Posterità del Petrarca, acquistò nel 1589 Expilly, maturato dalle prove della pp. IX-XIV), e curatore con Armando Nuzzo (con la vita, evidenzia invece i versi e le espressioni più auste- collaborazione di Paolo Budini e la realizzazione di ri, le meditazioni sul dolore e sulla morte. Véronique Massimo Roccati) dell’intero progetto Petrarca in Eu- FERRER, «Le Printemps» d’Agrippa d’Aubigné ou les ropa, che prevede la pubblicazione di altri tre numeri épreuves du pétrarquisme, pp. 445-457. D’Aubigné monografi ci, rispettivamente consacrati a Inghilterra condannerà decisamente il petrarchismo ne Les Tra- e Scozia (I/2); Spagna, Portogallo, Colonie Spagnole giques ma nella raccolta di poesia amorosa Le Prin- d’America, Romania, Dalmazia e Paesi Bassi (II/1); temps coesistono tensioni contrarie. La posizione del- Germania, Russia, Polonia e Ungheria (II/2). l’autore, triplice, si riassume così: «il assume l’hérita- Al curatore della raccolta francese, Paolo Budini, ge pétrarquiste, le renouvelle et le désavoue d’un si deve la traduzione delle cento composizioni, qua- même élan; il suit les consignes, les déjoue et se joue si tutte poetiche (fatta eccezione per i passi tratti d’elles tout à la fois». (p. 446). Nerina CLERICI BAL- dall’Art poétique françois di Georges de Scudéry e MAS, Pétrarque dans l’œuvre de Marc Papillon, pp. dalla Deffence di Du Bellay), quasi tutte del XVI se- 459-463. L’infl uenza della tradizione petrarchista nel- colo (se si escludono quelle di Georges de Scudéry e le opere di Marc Papillon si concretizza attraverso la Baudelaire), che danno vita al volume. Sua anche la presenza di alcuni topoi (la sofferenza amorosa per postfazione (L’illustre modello toscano, pp. 241-250), esempio) propri della lirica di Petrarca che Papillon volta per lo più a illustrare ai lettori non specialisti a conosce attraverso i poeti della Pléiade. Egli assimila cui la rivista anche si rivolge le fasi, i temi e i prota- il modello in modo personale inserendo accenti spes- gonisti della fortuna del Petrarca in terra di Francia. so maliziosi. Gilles BANDERIER, Un pétrarquisme fémi- Un’operazione culturale, quella del Budini, tutt’altro nin et dévot: Françoise Pautrard, pp. 465-470. Descri- che isolata ed estemporanea: all’interno della stessa ve il ms. 533 della Bibliothèque municipale di Be- rivista lo studioso aveva infatti precedentemente cu- sançon, il solo che rende testimonianza dell’esistenza rato un volume dedicato ai Poeti di Francia tra Cinque e dell’attività letteraria di Françoise Pautrard (morta e Seicento. Accompagnata anche in quell’occasione presumibilmente nel 1623). Esso contiene tra l’altro da una introduzione di Gianni Scalia (Un’antologia una traduzione del sonetto 365 (I vo piangendo) e di a titolo personale, pp. 15-18) e da una Introduzione alcuni estratti dei Trionfi . La poetessa, mossa da un dello stesso Budini (pp. 19-35), la raccolta propone- evidente interesse per la poesia gnomica, recupera so- va allora i testi di trenta autori «maggiori e minori prattutto la dimensione religiosa del Petrarca. Marzia o medî» da lui tradotti e organizzati in sette sezioni MALIVERNI, Bricard e Petrarca, pp. 471-490. Il borgo- tematiche: Poeti di Parigi e di Lione, L’antica Roma e gnone Bricard, studente all’Università di Padova tra il la Roma papale, Il mondo dilaniato dalla guerra, Versi 1587 e il 1597, compose n quella città la Floridea, rac- d’amore e giochi di parole, Realtà a sogno, satira e an- colta poetica di stampo petrarchesco scritto in italia- goscia, Luce di Dio e luci di ribalta, Morte del corpo e no ma pubblicato in Francia. Si riscontrano strette vita nell’Eterno. Si trattava, anche in quel caso, come relazioni sia sul piano tematico (la portata riguarda sintetizza felicemente Gianni Scalia, di «un tesoro di soprattutto la portata galante e alcuni esiti spirituali poesia francese, non ad usum scholasticorum, ma per di Petrarca) sia «nell’impianto formale del sonetto e desiderosi di istruzione e ricreazioni congiunte. Non della corrispondenza della terminologia in rima» (p. un progetto en érudit programmatico. Un dono, mica 490). Jean BALSAMO, Philippe de Maldeghem ou per “docteurs”; piuttosto per “lecteurs” che avranno Pétrarque en Flandre (1600), pp. 491-505. La tradu- il piacere di dargli luogo in una ideale biblioteca o zione integrale delle Rime, proposta nel 1600 in ambi- nell’archivio della memoria». Anche in quel caso una to fi ammingo, rappresentava una sfi da per l’autore opportuna risposta alla «proporzionalmente modesta che non era mai stato in Italia. Petrarca, modello pre- provvista di traduzioni», di cui, a fronte dell’«ormai stigioso che aveva contribuito allo sviluppo delle cul- assicurato interesse degli studiosi», il pubblico italia- ture nazionali e delle lingue volgari, doveva servire a no continua a poter disporre. illustrare alle Fiandre e fornire agli scrittori di quella [BRUNA CONCONI] regione lo strumento per accedere alla dignità di una letteratura moderna. [ANTONELLA AMATUZZI] DAVID LAGUARDIA, French Renaissance Literature and the Problem of Theory: Alcofribas’s Performance in the Prologue to Gargantua, «EMF: Studies in Ear- Petrarca in Europa. I/1 Petrarca in Francia, a cura ly Modern France», 10 (2005): Modern Perspectives on di PAOLO BUDINI, «In forma di parole», a. XXIV, s. IV, the Early Modern: Temps recherché, temps retrouvé n. III, t. I, luglio-settembre 2004, pp. XIV-256. (ANNE L. BIRBERICK, RUSSELL GANIM, a cura di), pp. Poeti di Francia tra Cinque e Seicento, a cura di 5-38. PAOLO BUDINI, «In forma di parole», a. XX, s. IV, n. IV, ottobre-dicembre 2000, pp. 340. LaGuardia propone un’interpretazione del Prolo- gue al Gargantua che a un approccio fi lologico tenta

ultime 381 4-12-2006, 21:35:12 382 Rassegna bibliografi ca

di coniugare una lettura poststrutturalista, riprenden- esenti da una componente precettistica o pedagogica do in parte la posizione di Regosin, del quale lo stu- più o meno accentuata, la scelta operata, con l’esclu- dioso attenua tuttavia il côté derridiano. Dopo aver sione di scritti propriamente trattatistici, tende a pri- passato in rassegna i principali contributi sul Prolo- vilegiare una lettura sociologica delle strategie testuali gue, partendo dal commento di Mireille Huchon e messe in evidenza. Così i Colloquia erasmiani unisco- dagli articoli di Duval, Defaux e Cave, Jeanneret, no elementi del dialogo platonico ‘a tesi’, di quello Rigolot, LaGuardia esprime alcune riserve su un’ese- ciceroniano tendenzialmente più libero e di quello gesi evangelica o paolino-erasmiana dell’apostrofe di lucianeo a contradditorio, per farsi portatori di un Alcofribas Nasier, senza per contro incorrere in una ethos borghese e cristiano-evangelico, aperto a una lettura bacchica tout court, sul modello di quella ba- prospettiva tutto sommato favorevole alla donna, e sata sull’idealismo platonico e proposta da Dagron. che alla verginità predilige un matrimonio casto, ri- Interpretando lo statuto performativo di Alcofribas cettacolo di serenità familiare e appagamento della Nasier anche alla luce dell’allegoresi di Nicholas de concupiscenza. La delineazione delle fi gure del corte- Lyra, LaGuardia, nell’interessante ed eclettico mo- giano e della donna di palazzo, oggetto del dialogo di dello di analisi proposto, richiama l’attenzione sul- Castiglione, prevede invece un ideale di amicizia fra l’importanza di adottare paradigmi intertestuali mol- i sessi più vicino alla philia che all’agape erasmiana. teplici e parametri di esegesi adatti all’individuazione Una certa importanza vi è accordata nonostante tutto del sussistere simultaneo di più strategie discorsive, al matrimonio, anche attraverso il ricorso a exempla tipico di Rabelais. misogini e non, inseriti con tecnica novellistica nel- la cornice urbinate del dialogo. Al centro del Tiers [FILIPPO FONIO] Livre rabelaisiano si trova il dilemma di Panurge, «me doibz je marier ou non?», e in merito alla problema- tica matrimoniale forniscono una propria opinione REINIER LEUSHUIS, Le mariage et l’‘amitié courtoise’ fra gli altri Gargantua, il misogino Rondibilis, Pan- dans le dialogue et le récit bref de la Renaissance, Fi- tagruel, Frère Jean, Hippothadée. L’eros e la fertilità renze, Olschki («Biblioteca dell’Archivium Romani- sono al centro del discorso di Rabelais nel Tiers Li- cum, Serie I: Storia, Letteratura, Paleografi a», 306), vre, sul piano dell’inventività linguistica improntata 2003, pp. XIII-285. alla copia come sull’immaginario più strettamente matrimoniale (tematiche sulle quali hanno già posto Lo studioso individua e approfondisce alcune fi - l’accento Terence Cave e Michael Screech), mentre a gure o momenti del dibattito pre-tridentino inerente un’agape caratterizzata dalla non fecondità e dal non l’istituto matrimoniale. Nell’introduzione, Leushuis matrimonio si rifà l’episodio evangelizzante di Thélè- presenta gli estremi di una questione in origine ap- me. Proprio per via della natura composita del novel- pannaggio del diritto romano, al quale subentra un liere, nell’Heptaméron sembrano infi ne compendiarsi diritto canonico che, non potendo prescindere in toto le diverse visioni su matrimonio e amicizia cortese di- dalle legislazioni barbariche, resta improntato a prin- battute nella prima metà del Cinquecento. La cornice cipi vetero- e neotestamentari. Dall’epistolario paoli- di ascendenza boccacciana, pur presentando punti di no ai canonisti, dalle quaestiones scolastiche an uxor vista differenti in base alla tipologia dei personaggi in- sit ducenda alla Querelle des femmes, a Lutero e Calvi- trodotti, può essere letta come una metafora in chia- no, in questo excursus fi no al tardo umanesimo emer- ve apologetica dei rapporti matrimoniali, nell’ambito gono una serie di problematiche e assunti metodolo- della quale, come nella maggior parte delle novelle gici sui quali si muove l’analisi. Le coordinate in base del resto, prevale nondimeno un’etica matrimoniale a cui lo studioso fi ltra i testi della prima metà del XVI aristocratica, fondata sulla philia e sull’agape a disca- secolo che sceglie di prendere in considerazione sono pito dell’eros, incline ad accordare il primato al ma- quelle di philia o amicizia ‘virile’, ripresa dalla tradi- trimonio fi nalizzato alla discendenza e non esente da zione classica, di eros come desiderio, che conduce una certa rivendicazione dell’autorità matriarcale. (neo)platonicamente l’amante dalla cupiditas del cor- po alla contemplazione dei gradi superiori dell’essere, [FILIPPO FONIO] e di agape o caritas, nozione di matrice cristiana. Per ciò che concerne il periodo preso in considerazione, a tali coordinate si affi anca il dibattito sull’amitié cour- MICHELE MASTROIANNI, L’«interpretatio» dei cori toise, espressione di una società di corte giunta ormai nei primi volgarizzamenti francesi di tragedie greche, all’apogeo… e oltre, e il tentativo di rappel à l’ordre in AA. VV., Le Scritture e le riscritture. Discorso reli- nella forma di un – unanime, almeno per le fi gure di gioso e discorso letterario in Europa nella prima età riferimento dell’analisi dello studioso – giudizio nega- moderna, a cura di DANIELE BORGOGNI e ROSANNA tivo circa i matrimoni clandestini, favoriti dal consen- CAMERLINGO, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, sualismo medievale di ascendenza ecclesiastica. 2004, pp. 37-79. Leushuis si sofferma in particolare sui colloqui matrimoniali di Erasmo (Proci et puellae, Virgo mi- Nel moltiplicarsi di traduzioni in versi francesi di sogamos, Virgo paenitens, Uxor mempsigamos sive tragedie classiche frai il 1537 (l’Electra di Sofocle a Coniugium), sul terzo libro del Cortegiano di Casti- opera di Lazare de Baïf) e il 1549 ( l’Iphigéne [en Au- glione, sul Tiers Livre di Rabelais e sull’Heptaméron lis] di Euripide a opera di Thomas Sébillet) uno dei di Marguerite de Navarre. La scelta di prendere in problemi che hanno maggiore risalto nelle discussioni esame opere di fi ction e riconducibili, nei primi due sulla traduzione dal greco – soprattutto sulla tradu- casi in maniera più evidente, al genere dialogico (ma zione di opere drammatiche – è senza dubbio quello è sui dialoghi che si concentra pure l’analisi del Tiers della resa delle parti corali, che già Erasmo nel 1504-6 Livre come dell’Heptaméron), si traduce nella disani- considerava impresa diffi cilissima a causa dell’oscuri- ma delle dinamiche discorsive dei testi, in cerca di tà degli originali. Michele Mastroianni, che da anni elementi per una “poetica matrimoniale” del primo ormai consacra ricerche alla interpretatio e alla riscrit- Rinascimento europeo. Pur se trattasi di opere non tura della tragedia classica nel Rinascimento francese

ultime 382 4-12-2006, 21:35:12 Cinquecento 383

(sono suoi fra l’altro l’esemplare edizione, con com- l’implicito tentativo di proporsi come rivale del pro- mento, dell’inedita Antigone de Sophoclés di Calvy de prio maestro. Se la fonte di ispirazione per la lirica di La Fontaine, Alessandria, Edizioni dell’Orso, 2000, entrambi resta Orazio, il ciceronianesimo di Dolet lo e il saggio su Le ‘Antigoni’ sofoclee del Cinquecento induce ad avvalersi di un canone assai circoscritto di francese, Firenze, Olschki, 2004), attraverso l’anali- autori da reputare degni di imitazione, mentre Ma- si di alcuni cori delle suddette Electra e Iphigéne e crin, seguace della linea quintilianea, allarga il novero dell’Antigone di Calvy (1542) ricostruisce le moda- dei boni auctores dai quali trarre spunti metrici, lessi- lità con cui i traduttori affrontano l’originale greco. cali e tematici. Egli dimostra come «al di là delle diffi coltà tecniche di traduzione – anzitutto la resa della versifi cazione [FILIPPO FONIO] – si tratti di problemi di comprensione del testo a dif- ferenti livelli, da quello linguistico-sintattico a quello della padronanza dei riferimenti d’ordine mitologico CHRISTOPHE GUTBUB, Du livre X de Quintilien à la ed erudito» (p. 44). Le prospettive dei traduttori sono Deffence de Du Bellay: le motif de la culture et l’imita- diverse: se «Lazare vuole essenzialmente fornire uno tion entre nature et art, «Bibliothèque d’Humanisme strumento che faciliti la lettura e la comprensione del et Renaissance», LXVII, 2 (2005), pp. 287-324. testo greco» e «Sébillet è mosso da intenzioni d’auto- re», Calvy, che si è servito di una versione in prosa in- Lo studioso mostra l’importanza dell’ipotesto termediaria fra la sua interpretatio e l’originale greco, quintilianeo per la dottrina dell’imitatio esposta nel «non intende offrire semplicemente, come Lazare, un primo libro della Deffence di Du Bellay. Le riprese aiuto al lettore nel suo approccio al greco e neppure, dall’Institutio oratoria, per ciò che riguarda in parti- come Sébillet, vuole fare esercizio di abilità persona- colare il rapporto fra imitatio e aemulatio, l’artifi cia- le, in funzione della propria fama e dell’arricchimen- lità e l’eteronomia della traduzione, una serie di me- to della letteratura francese; vuole piuttosto rendere tafore fi gurative e vegetali, si rivelano un’interessante giustizia alla grandezza poetica di Sofocle, più degna- pista di lettura del manifesto di Du Bellay, da affi an- mente servito da una traduzione in versi che da una care a quella che viene tradizionalmente considera- versione in prosa» (pp. 44-46). Mastroianni conclude ta la fonte della Deffence, il Dialogo delle lingue di che, comunque, «le traduzioni – o rielaborazioni – ri- Sperone Speroni. Gutbub evidenzia quindi l’impor- nascimentali dell’originale tragico antico attestano in tanza del discorso quintilianeo sull’imitatio, mediato primo luogo uno sforzo di penetrazione e ricostruzio- talora dai commenti all’Institutio oratoria o dallo stes- ne anzitutto a livello linguistico, e in questa direzione so Du Bellay, in alcuni trattati di retorica e poetica denotano un intervento fi lologico; ma là dove l’inter- del Rinascimento francese, dal Quintil Horatian di pretatio si fa ermeneutica riaffi ora, quale atteggiamen- Barthélemy Aneau, scritto in risposta alla Deffence, to di fondo, quello della reductio artium che, dopo all’Art Poëtique di Jacques Peletier, all’Abbregé di avere profondamente segnato la cultura medievale, si Ronsard. Alla precettistica dell’imitazione sono le- trasforma in ciò che noi oggi, a volte, indichiamo co- gate una serie di problematiche che trovano un cer- me sincretismo rinascimentale» (p. 79). to spazio nella trattatistica del tempo, come il ruolo dell’inventio e dell’elocutio, il primato da accordarsi [FILIPPO FASSINA] all’ars o alla natura, la teoria dell’optimus e quella dei boni auctores e il relativo dibattito sui generi. La tra- duzione e l’imitazione/emulazione sono spesso viste GILLES BANDERIER, Un témoignage français relatif à (da Dolet e da Du Bellay, per esempio) come vie non David Joris, «Bibliothèque d’Humanisme et Renais- complementari ma alternative all’illustration di una sance», LXVII, 2 (2005), pp. 399-406. lingua da farsi, com’era il volgare francese alla metà del XVI secolo. La nota riporta un ritratto dell’eretico olandese [FILIPPO FONIO] rifugiatosi a Bâle, contenuto nel quinto capitolo del quinto libro delle Diverses Leçons di Louis Guyon. Le notizie che Guyon fornisce in merito a Joris sono [THÉODORE DE BÈZE] Satyres chrestiennes de la cui- per la maggior parte riprese dalla cronaca di Surius, sine papale, édition critique par CHARLES-ANTOINE eccettuata la rievocazione di un incontro a Bâle fra i CHAMAY, Genève, Droz («Textes Littéraires Fran- due, che Banderier ritiene essere realmente avvenuto çais», 576), 2005, pp. XCII-222. e non invenzione di Guyon. [FILIPPO FONIO] Le otto composizioni in ottosillabi a rima baciata, dal titolo teologico-culinario, sono state pubblicate a Ginevra nel 1560, senza nome d’autore, per i tipi di CATHERINE LANGLOIS-PEZERET, Etienne Dolet, disci- Conrad Badius, fi glio di Josse Badius e cognato di ple ou rival de Jean Salmon Macrin?, «Bibliothèque Robert Estienne. Attribuite di volta in volta a Conrad d’Humanisme et Renaissance», LXVII, 2 (2005), pp. Badius stesso, a Pierre Viret, a Henri Estienne, a Joa- 225-342. chim de Cognac, vengono rivendicate da Ch.-A. Cha- may a Théodore de Bèze (cui già le attribuiva, perlo- La studiosa mostra come a un certo punto della meno come lavoro in collaborazione, Yves Giraud) carriera poetica di Etienne Dolet, appartenente a una con una disamina convincente. L’opera satirica è inte- generazione successiva rispetto a Jean Salmon Ma- ressante non solo per la ricostruzione delle polemiche crin, si possa individuare una piena presa di coscien- religiose del tempo, ma anche come testimonianza za del proprio valore letterario da parte dell’umanista linguistica di prim’ordine, soprattutto per l’originali- di Orléans. Da discepolo dell’Orazio francese quale tà di una lingua satirica, fortemente immaginifi ca, che si era sempre dichiarato, Dolet (che conosce Salmon può richiamare Rabelais. La densa introduzione stu- Macrin attraverso Clément Marot) intraprende nei dia la tradizione polemica e il contesto storico in cui Carmina una serie di scelte che possono far supporre si situano le Satyres, ne analizza la struttura, ne fi ssa,

ultime 383 4-12-2006, 21:35:13 384 Rassegna bibliografi ca

come si è detto, l’attribuzione. L’annotazione al testo delle Notices biographiques che sono delle piccole mo- è minuziosa. Il ricco glossario è un buon strumento di nografi e, estremamente dense di dati, sugli scrittori in ricerca linguistica. questione; ma sempre le schede librarie sono accom- [DARIO CECCHETTI] pagnate da notizie puntuali sui singoli autori, sulle loro opere e sugli avatars editoriali. Valga l’esempio Montchrestien, di cui nella presentazione delle edi- BERNARD CHEVIGNARD, L’énigme Chevigny/ zioni del 1601 e 1604 viene fornita una multitudine Chavigny: les pièces du dossier, «Bibliothèque d’Hu- di dati biografi ci e su cui viene offerta anche una serie manisme et Renaissance», LXVII, 2 (2005), pp. 353- di notizie utili per studiare i rapporti fra le edizioni, 371. l’evoluzione del testo e le fonti. [MICHELE MASTROIANNI] La tesi sostenuta dallo studioso sulla base di esau- rienti ricerche di archivio consiste nell’identifi care le tre fi gure di Jean de Chevigny, Jean-Aimé de Chavi- FERNAND HALLYN, Pour une poétique des idées: le gny e Jean Chevignard. De Chevigny deriverebbe in- Livre du monde, ou les ramifi cations d’une métapho- fatti da una lettura etimologica del patronimico per re, «Bibliothèque d’Humanisme et Renaissance», rivendicare il diritto a un’elevazione sociale, mentre LXVII, 2 (2005), pp. 225-245. Aimé da un tributo reso al defunto amico Antoine Fiancé. Lo studio in questione, applicando una se- Rifacendosi alla topica di Curtius, che in Europäi- rie di metodologie della ricerca genealogica, fornisce sche Literatur und lateinisches Mittelalter (1948) de- nuovi elementi utili a ricostruire la complessa perso- linea la storia del motivo del libro del mondo, e alla nalità dell’allievo di Jean Dorat, segretario ed esecu- metaforica di Blumenberg che ne segue le tracce, lo tore testamentario di Nostradamus, nonché copista, studioso si sofferma su una serie di avatars della me- editore e glossatore delle profezie in prosa e delle tafora libresca riscontrabili in varie forme di scrittura Centuries dell’astronomo savoiardo. scientifi ca rinascimentale. Hallyn mostra le impli- [FILIPPO FONIO] cazioni che il ricorso all’analogia fra mondo e libro comporta, a livello autoriale, lettoriale ed esegetico, dall’origine democritea alle riprese stoiche, dalla poe- JEAN-PAUL BARBIER MUELLER, Ma bibliothèque sia scientifi ca di Du Bartas alla cosmologia di Keplero poétique. Quatrième partie, tome IV: Contemporains e Galileo, fi no a Bruno, la cui visione di infi niti mondi et successeurs de Ronsard (de Marquets à Pasquier), porta la metafora al massimo delle proprie potenzia- Genève, Droz, 2005, pp. 702. lità e quasi all’esaurimento, prefi gurando, potremmo dire, la borgesiana biblioteca di Babele, dove la scrit- Continua la pubblicazione del catalogo ragionato tura non si limita più a fungere da metafora del mon- – vero monumento per gli studi di biblioteconomia do, dove il cosmo si fa libro. e ricca miniera di informazioni erudite sui poeti del Cinquecento francese – della collezione antiquaria [FILIPPO FONIO] dell’insigne bibliofi lo (e grande specialista, non solo della storia del libro, cinquecentista) Jean-Paul Bar- bier Mueller (volumi precedentemente pubblicati: FRANK LESTRINGANT, Entre Jonas et Robinson, le Première partie: De Guillaume de Lorris à Louise voyage contrarié de Jean de Léry au Brésil, «Etudes Labé; Deuxième partie: Ronsard; Troisième partie: Théologiques & Religieuses», LXXX, 3 (2005), pp. Ceux de la Pléiade; Quatrième partie, tomes I, III et 385-395. III: Contemporains et successeurs de Ronsard (d’Aubi- gné à Des Masures – de Desportes à La Boétie – de La Lo studioso parte da un excursus sulle paraetimo- Gessée à Malherbe, sempre presso Droz). Defi niamo logie di religio fi no all’epoca rinascimentale, indivi- monumento quest’opera, e lo è anzitutto sul piano duando due tradizioni, una riconducibile a religare, editoriale: l’appassionato bibliofi lo che ha voluto e una a relegare. Entrambe le tradizioni, in una certa redatto questa repertoriazione ha gareggiato in bel- misura divergenti in quanto una rinvia al concetto di lezza libraria con quei volumi da lui tanto amati e unione, l’altra di separazione, sono nondimeno ine- amorosamente raccolti, fornendo un gioiello tipogra- renti all’idea di spazio, di viaggio. Dal pellegrinag- fi co agli amatori dei beaux livres e dei livres précieux. gio all’esilio per ragioni confessionali, alla storia di Ma non solo. Per il periodo coperto dalla collezio- Giona, primo avatar assimilato poi al modello della ne, 1549-1615, abbiamo una bibliografi a pressochè conversione paolina, viaggio e religione sono carat- completa della produzione ‘poetica’ francese. Con terizzati da un rapporto molto stretto, ab origine. grande modestia Barbier Mueller limita così la por- Lestringant si sofferma sulle analogie riscontrabili tra tata e gli intenti del suo lavoro: «ce quatrième tome racconto di conversione e racconto di viaggio, nella de la quatrième partie de Ma Bibliothèque poétique ne formula particolare ripresa da Bernard Cottret del renferme aucune analyse aiguë, aucune dissection ef- “voyage contrarié”, individuando due modelli di que- fi cace des textes: chacun son métier; ce sont des des- sta conversione in via, l’Histoire d’un voyage faict en criptions, accompagnées de notes et de commentaires la terre du Bresil di Jean de Léry, del 1578 (ma già edi- plongeant leur racines dans l’histoire». In realtà, oltre to nel 1564 in forma anonima nell’Histoire des Mar- alla descrizione esemplare dei volumi repertoriati dal tyrs di Jean Crispin, e che verrà sottoposto ad alcune punto di vista biblioteconomico, perfetta riserva di modifi che in vista dell’edizione del 1578, come mo- materiali per costruire la storia del libro cinquecen- stra altrove lo stesso Lestringant), e il Robinson Cru- tesco, abbiamo dati eruditi – storici e biografi ci – di soe di Daniel Defoe (1719). Tali analogie sono tanto primaria importanza per lo studio degli autori recen- più signifi cative dal momento che si tratta, nel caso siti. In alcuni casi (Pierre Matthieu, Jean Édouard Du di Léry, di un resoconto di viaggio, nel caso di De- Monin, Nicolas de Montreux, Marc-Antoine Muret, foe di opera di fi ction. La tematica poi robinsoniana Antoine de Nervèze, Étienne Pasquier) l’A. premette dell’evangelizzazione dell’isola deserta ricorre fra l’al-

ultime 384 4-12-2006, 21:35:13 Cinquecento 385

tro in Pierre Du Moulin, De la vocation des pasteurs e Charles Nodier, e di archivisti come Gustave Bru- (1618), dove l’autore si serve del topos del naufragio net e Jules Delpit, accomunati dal fatto di essere fra ai fi ni di mostrare per adynata i doveri del pastore ri- gli artefi ci della (ri)scoperta ottocentesca di Montai- formato, in un’opera stavolta dotata di esplicita desti- gne. Un’attenzione particolare alle politiche culturali nazione pastorale. governative, in costante tensione con archivi e istitu- [FILIPPO FONIO] zioni provinciali, porta a emergere un quadro in cui gli Essais come monumentum facente parte a giusto titolo del patrimonio nazionale destano interesse ben JEAN-VINCENT BLANCHARD, The Cyber-Baroque: prima di quanto non avvenga con i materiali per la ri- Walter Ong, The History of Rethoric, and an Early costruzione della biografi a di Montaigne, fi gura il cui Modern Information Mode, «EMF: Studies in Early impegno civile è da sempre oggetto di discussione. Modern France», 10 (2005): Modern Perspectives on the Early Modern: Temps recherché, temps retrouvé [FILIPPO FONIO] (ANNE L. BIRBERICK, RUSSELL GANIM, a cura di), pp. 150-182. GILLES BANDERIER, Notes sur Béroalde de Vervil- Partendo da una lettura fortemente critica delle le, «Bibliothèque d’Humanisme et Renaissance», pagine che Walter Ong dedica alla retorica rinasci- LXVII, 2 (2005), pp. 395-398. mentale, in particolare in Ramus, Method, and the De- cay of Dialogue. From the Art of Discourse to the Art Lo studioso rinviene due documenti relativi a of Reason (1958), Blanchard individua alcuni elemen- Béroalde de Verville. Si tratta di una poesia fi rmata ti di continuità fra la pedagogia tardo-cinquecentesca BEROALDE, che si trova in limine alla seconda edizione e le attuali teorie dell’informazione. Nel segno di un della Trompette françois, ou fi dele François e del Mi- primato accordato alla visività, a una fruizione parte- roir des Alchimistes (1609), volume del quale Bande- cipativa dei contenuti traditi (con conseguente messa rier ha censito due soli esemplari, e di una lettera di in discussione dello statuto autoriale) e alla categoria Pierre Davity a Béroalde, presente nella sezione del- della dispositio, senza tralasciare quella della memoria le Lettres missives dei Travaux sans travail di Davity – che costituisce a parere dello studioso il principale (1599). trait d’union fra l’emblematica e il WWW – la sugge- stiva lettura di Blanchard va inserita in un tentativo di [FILIPPO FONIO] pensare il Moderno mediante categorie create ad hoc per il Postmoderno. [FILIPPO FONIO] PAOLO CARILE, a cura di (con la collaborazione di MARIA BORDINI, ANTONELLA CAGNOLATI, JEAN ROBAEY, ALEXANDRE TARRÊTE), La formazione del Principe in JEAN PAUL BARBIER-MUELLER, Pour une chronologie Europa dal Quattrocento al Seicento. Un tema al croce- des premières éditions de la Satyre Ménippée (1593- via di diverse storie. Atti del Convegno internazionale 1594), «Bibliothèque d’Humanisme et Renaissance», promosso dall’Associazione Italiques e dall’Università LXVII, 2 (2005), pp. 373-393. di Ferrara in collaborazione con l’Università di Paris IV-Sorbonne, Roma, Aracne («Pubblicazioni d’Itali- Il fortunato pamphlet lealista e antispagnolo cono- ques», 2), 2004, pp. 346. sce ben venti edizioni fra il 1594 e l’anno seguente. Lo studioso opera una (parziale) collazione di esemplari Il volume raccoglie contributi a carattere interdisci- di quelle che sono ritenute fra le prime stampe della plinare, un approccio che si presta particolarmente Menippée, adducendo argomenti circa la retrodata- all’argomento trattato, come chiarisce PAOLO CARILE zione (1593) dell’edizione di Tours. Barbier-Mueller nell’introduzione (Considerazioni liminari sulla ‘pai- raccoglie una serie di elementi, dalle ekphraseis come deia’ del sovrano nell’Europa rinascimentale e barocca, dalle harangues, che gli consentono di datare la prin- pp. 7-25, intervento corredato da un’ampia bibliogra- ceps almeno alla metà dell’aprile 1594. L’avvenuta fi a). L’institutio principis, che va defi nendosi in età ri- abiura di Henri IV non aveva fatto venir meno l’esi- nascimentale e barocca come un transgenere lettera- genza di portare avanti una campagna contro la Ligue rio, fi losofi co, storico-culturale, ha origini classiche, e e il rivale spagnolo. conosce una signifi cativa diffusione in area bizantina, [FILIPPO FONIO] alla quale è dedicato il contributo di PAOLO ODORICO (Gli ‘avatars’ degli ‘specula principis’: ideologia impe- riale tra Bisanzio e l’Occidente, pp. 27-37). Gli specula KATHERINE ALMQUIST, The Bibliophile and the Ar- principis bizantini sono strettamente imparentati con chivist on Montaigne, «EMF: Studies in Early Modern le esercitazioni di scuola e coi repertori di loci commu- France», 10 (2005): Modern Perspectives on the Early nes, e lo studioso mette in luce tale aspetto per quanto Modern: Temps recherché, temps retrouvé (ANNE L. concerne in particolare la Scheda Regia di Agapeto BIRBERICK, RUSSELL GANIM, a cura di), pp. 39-59. Diacono, di epoca giustinianea. Di marca dunque re- torica, la Scheda Regia contiene una serie di rifl essioni La studiosa individua alcuni momenti della fortuna presentate sotto forma di sententiae, e si fa veicolo di della biografi a e dell’opera di Montaigne nel XIX seco- una concezione fortemente sacralizzata della regalità, lo, scindendo in certo qual modo le due componenti, fondata sul senso del ruolo dell’impero bizantino nel sulla scorta di un metodo che molto deve alla nozione piano divino. Opera frutto dell’intenso dibattito cul- di champ introdotta da Pierre Bourdieu. Lo spoglio turale dell’epoca circa le origini e l’attualità dell’impe- degli indici del Bulletin du Bibliophile, delle Archives ro, la Scheda Regia conosce una notevole fortuna che historiques de la Gironde e degli Atti dell’Accademia va al di là del contesto dell’impero d’oriente, e destina- di Bordeaux consente di seguire le tracce dell’attività ta a durare fi no al Settecento attraverso numerose edi- di collezionisti ed eruditi quali Jean-François Payen zioni e traduzioni. In Francia in particolar modo, la

ultime 385 4-12-2006, 21:35:14 386 Rassegna bibliografi ca

diffusione dell’opera è strettamente connessa all’at- caso, una delle opere più importanti dell’epoca a livel- tualità politica dei primi decenni del XVII secolo. La lo di infl uenza, il Roman de la Rose, fautore della pre- traduzione di Agapeto viene peraltro realizzata da minenza della nobiltà d’animo su quella di nascita. Il Louis XIII in persona (da un testo latino con ogni pro- chierico medievale, già oggetto degli studi di Le Goff babilità) e fungerà da supporto per le rivendicazioni e Tabacco, fi gura totalizzante per ciò che concerne il da parte francese al regno di Costantinopoli. I trattati possesso e la trasmissione del sapere, sarà il protagoni- de regimine principum subiscono quindi nel corso del sta del discidium fra sacerdotium e studium che avviene Medioevo un notevole sviluppo, in particolare con il ai primi del Trecento (cfr. ad ex. Placides et Timéo ou Policraticus di Giovanni di Salisbury (1159), nel quale Li secrés as philosophes, il Chapel des fl eurs de lis di la componente idealizzante o retorica del genere lascia Philippe de Vitry, Le Songe du Vergier). Con De- il posto a un’irruzione della sfera dell’attualità, il De schamps in particolare, sarà messa in luce la valenza Regno di Tommaso (1267) e il De regimine principum pratica del sapere libresco, utile strumento per una di Egidio Colonna (1277-79), esemplare del nuovo migliore gestione del potere. Il cavaliere e il chierico corso aristotelizzante. Coi prodromi dell’Umanesimo paiono dunque legati all’epoca da un destino comune, (Salutati, Vergerio, Vittorino da Feltre), poi in manie- laddove al fi orire di una classe corrisponde quello del- ra più evidente agli inizi del XV secolo, si assiste a un l’altra. Ciò non toglie però che anche il principe debba progressivo emergere della fi gura dell’autore, a una ricevere un’istruzione assimilabile per alcuni versi a certa presa di coscienza che si traduce nella scelta del quella del chierico. Lo stesso vale per Christine de Pi- volgare, già con Christine de Pizan, poi con Machia- zan, fi gura chiave per quanto riguarda il genere del- velli (De principatibus, 1513) e Castiglione (Libro del l’institutio sotto il regno di Charles V, il re saggio per Cortegiano, 1528), senza dimenticare l’avatar del nuo- antonomasia, il quale si circonda di un gruppo di in- vo approccio alla materia tradizionale del de regimine tellettuali in grado di rendere fattiva la fi no ad allora principum, l’Institutio Principis christiani di Erasmo postulata translatio studii alla Francia e al volgare. Il (1516). Il machiavellismo e l’ideale della sprezzatura contributo di JEAN CÉARD (Conceptions de la royauté et e come virtù prima del buon cortigiano hanno suscitato institution du prince en France au XVI siècle, pp. 59-73) un intenso dibattito all’interno di un genere, quello verte sulla questione se gli specula principis costituisca- dell’institutio appunto, che andava articolandosi e ar- no un genere caratterizzato da un proprio statuto e da ricchendosi di nuove prospettive, come l’introduzione una serie di costanti, o non siano piuttosto da ritenersi di una componente utopistica infl uenzata dal neopla- opere strettamente connesse alle diverse modifi cazioni tonismo (l’idea del principe modello, il regale come del concetto di regalità. L’autonomia del genere de re- icona, il fondamento divino dell’autorità regia, la dot- gimine principum nei confronti della sfera del politico trina dei due corpi del re), gli scritti dei sovrani indi- viene indagata dallo studioso in relazione a due visioni rizzati agli eredi al trono, i trattati sull’importanza del- concorrenti della monarchia nella Francia del XVI se- la scelta di un entourage effi ciente. Il trionfo del tran- colo, ciascuna delle quali supportata da un approccio sgenere de regimine principum è nel Grand Siècle, lad- differente all’institutio. L’origine divina della regalità, dove si verifi ca che opere ad altra destinazione com- data per acquisita nella Francia Ancien Régime (cfr. ad prendano excursus dedicati all’institutio (ad ex. An- ex., per il periodo preso in considerazione da Céard, toine de Montchrestien, Traicté de l’oeconomie politi- Guillaume Budé, Institution du Prince, o Michel de que, 1615). L’Illuminismo e l’idea del contratto sociale l’Hospital, De sacra initiatione sermo), dà luogo a esiti mineranno le basi dell’esistenza di una peculiare diversi circa l’impostazione di una pedagogia regia. Le scienza principesca, attraverso un processo sistemati- virtù regali, che alcuni autori fra i quali l’Hospital, Du co di desacralizzazione del potere e dell’istituto regio. Bellay e Budé considerano doveri di un re, in quanto Seguendo momenti emblematici di tali percorsi, i con- costui è pur sempre parte del corpo sociale, anche tributi qui raccolti mettono in evidenza alcune costan- quando viene considerato una sorta di anima del mon- ti dell’evoluzione del genere. L’importanza della fi gu- do, fanno invece parte per altri, Ronsard ad esempio ra del clericus in alcuni miroirs des princes tre- e quat- (Institution pour l’adolescence du Roy Treschrestien trocenteschi è messa in luce da PATRIZIO TUCCI, il cui Charles neufviesme de ce nom), della natura o indole intervento, Instruction du prince, promotion du clerc del re. Per Ronsard tali virtù sarebbero dunque innate, e e (XIV -XV siècles), pp. 39-58, mostra alcuni sviluppi del pertanto non trasmissibili mediante una pedagogia. Il topos del rex illitteratus asinus coronatus (che viene al- che si presta a un’idea profondamente diversa dell’im- meno dal Policraticus), da Alain Chartier ed Eustache portanza dell’institutio, tanto che il secondo approc- Deschamps al Roman de la Rose. Chartier, nel Livre de cio viene a infi ciare l’autonomia del genere de regimine l’Espérance (ca. 1429), deplora per bocca della Fede principum, che risulterebbe in tutto dipendente dal- personifi cata la crisi del regno di Francia, riconoscen- l’opportunità e dalle circostanze, oltre che privato di done la causa principale nel generale disprezzo per la ogni valenza prescrittiva. La fi gura del precettore è og- cultura, dal quale gli stessi regnanti non sono esenti. getto di alcuni studi qui raccolti, fra cui SILVIA MAR- Lo studioso evidenzia come, all’autunno del Medioe- CUCCI, Il ritratto di un precettore del Principe: Guinifor- vo, il luogo comune dell’importanza dell’istruzione te Barzizza (1406-1463), pp. 75-83, ANNE FERRARI, del principe si laicizzi, parimenti all’ascesa della fi gura Bérulle, éducateur des Princes: leçon de ténèbres à l’usa- del chierico, mediatore fra il principe e un’idea di ge des grands, pp. 235-244, e CARLO PANCERA, Il precet- buon governo che viene dalla tradizione. Laddove con torato educativo dell’abate Fleury (1640-1723) presso la Vincent de Beauvais (Eruditio Filiorum Nobilium, ca. Corte di Francia, pp. 309-328. Pierre de Bérulle, non 1250, De morali principis institutione, 1260-63) preva- un precettore nel senso stretto del termine, si è nondi- le ancora una concezione etica della monarchia, a par- meno occupato dell’istruzione di Louis XIII, oltre a tire almeno da Egidio Colonna si afferma l’importanza essere l’autore della lettera di Maria de’ Medici a Hen- di un’educazione il più completa possibile per gli ere- riette all’atto della partenza della principessa per l’In- di al trono, non limitata alla sola fi des, e che vada di ghilterra, dove sarebbe andata in sposa a Charles I, nel pari passo con il perseguimento della fi nalità – aristo- 1625. Bérulle, anche attraverso le dediche a Louis telica – del bene comune. Controcorrente rispetto a XIII, è fautore di un’educazione permanente, ritenen- una concezione sacrale e dinastica del potere è non a do indispensabile una formazione cristiana del princi-

ultime 386 4-12-2006, 21:35:14 Cinquecento 387

pe incentrata sulla presa di coscienza dei doveri e sul- un uso regale della retorica che prevede un ricorso a l’importanza della continuità dinastica (cfr. a tal pro- grazia, capacità di provocare stupefazione nell’udito- posito anche GIOVANNI RICCI, Genealogia e psicologia rio e gravità nell’actus. Una costante legata alla centra- nella formazione di un principe crociato: l’esempio di lità della fi gura pubblica del principe, e che si traduce Alfonso II d’Este, pp. 205-216). Il re, strumento divi- spesso nella forma stessa dello speculum, è il rapporto no, deve distinguersi in primis per la propria abnega- fra la sfera politica e quella privata nella vita del sovra- zione. Pancera propone invece una prospettiva stori- no, come mostra MONICA FERRARI (Essere e dover esse- co-educativa sull’attività pedagogica dell’abate Fleury, re nell’educazione del principe in Francia e in Italia tra noto agli storici della disciplina in particolare per il ’400 e ’600: alcune categorie metastoriche, pp. 85-115). Traité du choix et de la méthode des estudes (1686). Gli La studiosa mette in evidenza il dispositivo speculare scritti precedenti di Fleury (Moeurs des Israélites, e panottico che la pedagogia rinascimentale e barocca 1681, Les Moeurs des Chrétiens, 1682, Grand Catéchi- è in grado di creare, avvalendosi degli strumenti di sme Historique, 1683), infl uenzati fra l’altro dalla let- analisi della storia dell’infanzia e riferendosi in parti- tura di La Boétie e Campanella, forse di Vivès e Come- colare all’attività del medico precettore Heroard (su nio, mostrano quale sia il metodo proposto dal precet- una tematica affi ne cfr. anche YVES HERSANT, Les tore di corte di Louis XIV per l’insegnamento della médecins du Roi-Soleil, pp. 339-346) per i Borbone (il storia sacra e profana, e di elementi di dottrina cristia- Journal e l’Institution du prince), e ai precettori degli na. I portorealisti e il predecessore Fénelon infl uenza- Sforza, fra cui Vergerio, Piccolomini, Filelfo, Trivia- no l’ideale dell’habile et honnête homme propugnato no, Bracciolini. Lo studio di ampio periodo si basa su da Fleury, le cui prese di posizione a favore del gallica- materiali eterogenei, in particolare inerenti la dimen- nesimo non mancarono di essere oggetto di censura da sione del quotidiano. Sempre il rapporto fra essere e parte della corte papale. La diffusione nella penisola dover essere è indagato, in un’accezione peculiare, iberica di un ideale umanistico dell’educazione, che connessa con l’evoluzione che il genere incontra nel integri doti militari e sapere libresco per dar vita a una XVII secolo, da ANTONELLA CAGNOLATI (Affetto di pa- fi gura di cavaliere istruito, è al centro del progetto pe- dre e consiglio di re: il «Basilikon Doron» di Giacomo I dagogico previsto per il fi glio unico di Ferdinando di Stuart, pp. 217-233). I consigli paterni di James I al fi - Aragona e Isabella di Castiglia, morto prematuramen- glio Henry mostrano quella che la studiosa defi nisce te: GIUSEPPE MAZZOCCHI, Il Principe don Juan (1478- “fi ligrana dell’autobiografi smo” (p. 228). Il Basilikon 1497) e la formazione di un erede al trono di Spagna, Doron conoscerà una grande diffusione anche attra- pp. 117-132. L’espansione coloniale e le sue ripercus- verso la traduzione francese di Jean Hotman. Il fi loso- sioni sulla pedagogia regale lusitana del Rinascimento fo come fi gura di precettore in area anglosassone è sono invece oggetto del contributo di VALERIA TOCCO, oggetto dei contributi di LUCIANA BELLATALLA, I chia- La formazione culturale del sovrano “daquém e dalém roscuri dell’educazione aristocratica: l’esempio di John mar”, nel Cinquecento portoghese (pp. 169-183). La Locke, pp. 263-275, e PAOLA ZANARDI, Shaftesbury e la prospettiva spaziale allargata richiesta dall’espansione metamorfosi di un precetto. Il soliloquio da pratica edu- degli orizzonti cosmografi ci offre proprio al cosmo- cativa a “regimen vitae” per lo scrittore (nuovo princi- grafo la possibilità di farsi istitutore e consigliere rega- pe), pp. 329-338. Shaftesbury, allievo di Locke, attri- le, come mostra FRANK LESTRINGANT (L’institution buisce un valore particolare alla metafora dello spec- géographique du Prince, pp. 185-196). Lo studioso chio intesa in accezione socratica, al sileno che per- prende in considerazione la implicazioni di un’incisio- mette di entrare nella sfera dell’io attraverso il rispec- ne realizzata per la Cosmographie universelle di André chiamento, a una dimensione intima che consente il Thevet (1575). Il ruolo dei consiglieri facenti parte “conosci te stesso” attraverso il soliloquio e il ricorso dell’entourage del principe, i criteri ottimali per la al sensus communis. Se il Grand Tour è stato a lungo al scelta dei collaboratori cui affi darsi e il monito a guar- centro dell’educazione aristocratica, esso non può non darsi dai difetti degli uomini di corte sono tematiche rientrare a pieno titolo nel novero delle tematiche co- centrali del genere dell’institutio: SIMONETTA SCANDEL- stitutive il genere dell’institutio (FRANÇOIS MOUREAU, LARI, Alcuni aspetti della letteratura politica spagnola Léçons de voyage: ‘Studienreisen’ de princes allemands del secolo XVI: il Consiglio e i consiglieri del principe, à l’Âge baroque et rococo, pp. 295-307). Il motivo odo- pp. 133-168, ALEXANDRE TARRÈTE, Le «Livre des Prin- porico nei suoi rapporti con l’educazione principesca ces» de Pierre de Lancre (1617), pp. 245-262. A Fadri- si presta anzi a una serie di ibridazioni fra il genere de que Furió Ceriol con il suo Consejo y Consejeros del regimine principum e un’altra fra le forme della lettera- Príncipe (1559) spetta il merito di aver approfondito il tura del periodo, quella dell’utopia, come mostra discorso machiavelliano sull’entourage da una pro- JEAN-MICHEL RACAULT (Pédagogie du voyage et forma- spettiva che pone il principe al centro, mentre il de- tion politique: l’apprentissage du législateur dans l’uto- monologo Pierre de Lancre invita Louis XIII a guar- pie classique de Veiras à Terrasson, pp. 277-294). Al darsi anzitutto dagli adulatori, il cui vizio egli, da buon centro dello studio di Racault è il problema di quale moralista del Grand Siècle, mette in relazione con l’in- possa essere la formazione di un principe ideale chia- costanza, una piaga che infetta le corti dell’epoca. Al- mato a farsi guida di un mondo ideale. Ciò mostra co- tra virtù principesca che non può essere tralasciata è me il genere dell’institutio tenda a infl uenzarne altri, l’eloquenza, della cui importanza è fautore fra gli altri seppure in teoria lontanissimi dalla precettistica peda- Jacques Amyot, precettore di Henri III (DOMINIQUE gogica, facendosi dunque transgenere prima di scom- LANNI, L’instruction de la parole princière: éducation, parire o comunque fortemente ridimensionarsi all’al- éloquence et pouvoir dans le «Projet d’éloquence ro- ba dei Lumi. yale» d’Amyot, pp. 197-204). Amyot intuisce lo stretto [FILIPPO FONIO] rapporto che lega eloquenza e potere, propugnando

ultime 387 4-12-2006, 21:35:15 388 Rassegna bibliografi ca Seicento a cura di Daniela Dalla Valle e Benedetta Papasogli

e e “XVII siècle”, gennaio 2005, 226. “XVII siècle”, giugno 2005, 228.

Quasi tutto questo fascicolo della rivista contiene le co- Questo fascicolo, che inizia con il ricordo di municazioni presentate in due giornate di studio: la prima W. Leiner, comprende una serie di Lectures, mentre parte è dedicata alla Journée d’étude de la Société. Chasse una seconda parte è dedicata a Trévoux, une singu- e et forêt au XVII siècle (Château de Compiègne, 26 avril lière capitale à l’âge classique. 2003), la seconda parte alle Journées d’étude du départe- Nella prima parte ricordiamo due testi che – in mo- ment de philosophie de l’Université Nancy 2 (2003). do diverso – cercano di attualizzare il senso del classi- Accanto a comunicazioni prevalentemente storiche, cismo: quello di A. VIALA, Lire les classiques au temps quelle di argomento letterario presenti nel primo grup- de la mondialisation, e quello di V. BOULHOL, Racine po concernono la seconda parte del secolo: I. TREVISA- dans le Lycée de La Harpe; C. CAZENAVE tenta poi una NI-MOREAU (Bois et forêts dans l’univers romanesque de messa a punto del genere dialogue; CH. BELIN ritorna e la seconde moitié du XVII siècle) si occupa di romanzi e sull’immaginario delle Pensées, mentre CL. NÉDÉLEC novelle di Donneau de Visé, di Mme de Villedieu, di s’interroga sul «champ de bataille des belles lettres», Mme de La Fayette, di Segrais, ecc., e SOPHIE TONOLO cercando di evidenziare il senso di modernità. (De la froideur de Diane au Palais de la Volupté: quel- La seconda parte comprende una serie di testi pre- ques aspects de la chasse dans la poésie de la seconde valentemente storici, anche se spesso orchestrati su e moitié du XVII siècle) analizza testi di poeti come Tri- opere letterarie: J. GARAPON percorre la visita della stan, Scudéy, Le Moyne, Saint-Amant, La Fontaine ... Grande Mademoiselle a Trévoux; ST. VAN DAMME si Nella seconda parte, interamente fi losofi ca, gli au- occupa della presse savante all’interno dei gesuiti lio- tori oggetto delle sei comunicazioni sono Hobbes, De- nesi; D. RHIBARD, occupandosi delle pratiche gesuite scartes, R. Cudworth, Malebranche, Leibnitz, Bayle. di scrittura, si sofferma sui Mémoires de Trévoux e In un’ultima sezione di Varia, S. PEREZ (La Républi- Fénelon; J.P. VITTU cerca di tracciare le linee di un que des Lettres menée à la baguette? L’affaire Jacques sistema europeo dei periodici “savants”, mentre S. Aymar) analizza un aspetto di superstizione e di magia VASSEUR si dedica alla storia e alla descrizione del ca- alla fi ne del XVII secolo. stello di Fléchères. [DANIELA DALLA VALLE] [DANIELA DALLA VALLE]

e “XVII siècle”, ottobre 2005, 229. e “XVII siècle”, maggio 2005, 227. Il fascicolo comprende gli atti della Journée d’étude Il fascicolo, che mescola Varia e Notes et Documents, dedicata allo studio di Réalités et représentation des e comprende alcuni articoli di argomento teatrale (H. TH. batailles dans les guerres du sud-est de l’Europe au XVII CAMPAGNE, De l’histoire tragique à la dramaturgie: Main- siècle (Vincennes, 18 février 2005). All’interno di un fray et Desfontaines lecteurs de Jacques Yver, che studia dibattito prevalentemente storico, la dimensione let- La Rhodienne di Mainfray e Perside ou la suite d’lbrahim teraria è particolarmente ridotta: ricordiamo qui la Bassa di Desfontaines tratte dalla prima novella del Prin- comunicazione di CH. ZONZA, Echo des guerres otto- temps; S. BERREGARD, Les didascalies dans le théâtre de manes dans les nouvelles historiques: de la représenta- Corneille; la nota di T. Kowzan, Molière comme personna- tion de l’Autre à la représentation de soi, che collabora e e ge de théâtre du XVII au XX siècle, che presenta le opere di alla defi nizione della rappresentazione dei Turchi nei Goldoni, Mercier, Georges Sand, fi no a testi contempo- testi letterari, costruendo un corpus di testi su cui svi- ranei, come quello di Macchia). luppare la ricerca. Un testo sulla cultura oratoria è quello di V. KAPP, Nella seconda parte del fascicolo (Varia) trovia- Le savoir livresque et/ou le style “naturel”. La métamor- mo un testo sul teatro (quello di C. BARBAFIERI, sull’ e e phose de la culture oratoire du XVI au XVII siècle, che Electre di Longepierre), un testo prevalentemente concerne in particolare i testi di J. Faye d’Espeisses (il politico (quello di B. TRIBOUT, sui racconti di con- Recueil des Remonstrances, del 1591) e di Ce. Fleury giura al tempo di Luigi XIV – congiure letterarie, (Si on doit citer dans les plaidoyers). naturalmente, come quella di Fiesque di Retz, una fra L’articolo di C. FRAIGNEAU, Les enjeux éthiques de le tante ricordate e analizzate) e due testi piuttosto l’imitation dans le Thélémaque, concerne un particola- orientati verso la fi losofi a (quello di H. BOTS e P. LE- re aspetto dell’imitazione virgiliana. J. LETROUIT, nella ROY, sui dubbi dei libertini, e quello di G. PAGANINI, sua nota Une lettre inédite de Malebranche à Madame su Mersenne e Campanella). de Maintenon con tre Fénelon (Paris, le 2 octobre 1697), [DANIELA DALLA VALLE] documenta un passaggio interessante nell’epistolografi a secentesca. Prevalentemente storici sono gli altri articoli: di J. “Papers on French Seventeenth Century Litera- ° JANCZUKIEWICZ (sulla prise du pouvoir di Luigi XIV), di ture”, vol. XXXII, n 63, 2005. M. TSIMBIDY e CH. BLANQUIE (su Retz), di J. P. GAY (sui gesuiti e in particolare sul P. de La Chaize). Il primo numero dei “Papers” diretto da RAINER ZAISER si apre con il suo «In memoriam Wolfgang [DANIELA DALLA VALLE] Leiner», dove, con affetto e nostalgia, è ripercorsa

ultime 388 4-12-2006, 21:35:15 Seicento 389

la brillante carriera dell’illustre dix-septiémiste (pp. Chevreau: heurts et conciliations des contraintes dans 347-349). l’ écriture d’une tragédie en 1637 », pp. 573-583). La sezione “Etudes” contiene sei contributi: di JOSEPH HARRIS, attraverso la critica metateatrale, Evemero, autore ateo dimenticato dell’Antichità, del- esamina il rapporto intertestuale che intercorre tra le la sua infl uenza sui pensatori del XVI e del XVII secolo due pièces di Montfl eury La Femme juge et partie e Le e su Gassendi in particolare si occupa SYLVIE TAUSSIG Procès de la Femme juge et partie (« Montfl eury’s Me- («Gassendi, lecteur d’Evhémèr », pp. 353-371). tatheatre : Le Procès de la Femme juge et partie (1669) Ai confi ni tra l’antropologia medica e la letteratura », pp. 585-595). si colloca la prospettiva aperta da PIERRE GIULIANI, il Infi ne JONATHAN CARSON rivela le diffi coltà che si cui studio prende in esame la forza evocatrice di una incontrano nello stabilire il testo defi nitivo di una pratica medica ancora agli albori nel XVII – la trasfu- pièce del XVII secolo (« The Text, the Whole Text and sione – e di quanto e come avesse colpito l’immagina- Nothing but the Text : Editing Paul Scarron’s Thea- rio dell’età classica francese («Médecine et imaginaire tre », pp. 597-616). littéraire : la transfusion en débat sous Louis XIV», [CHIARA ROLLA] pp. 373-397). L’Honnêteté è il modello sociale a cui La Roche- foucauld si richiama nel descrivere il proprio ritratto LUDIVINE GOUPILLAUD, De l’or de Virgile aux ors de (CATHERINE J. LEWIS THEOBALD, «The Many Fictions Versailles. Métamorphoses de l’épopée dans la seconde e of La Rochefoucauld: Searching for Sitter, Self, and moitié du XVII siècle en France, Genève, Droz, 2005, Society in Portrait de MR.D. and the Maximes », pp. pp. 394. 399-418). MICHAEL HAWCROFT analizza l’influsso di Racine su ll’ar- Questo ricco e appassionante volume è dedicato te teatrale e sulla poetica di Campistron (« The Stage- all’epopea francese secentesca, di cui conosciamo la craft of Campistron », pp. 419-440), mentre SABINE scarsa qualità artistica, anche se in anni recenti essa è CHAOUCHE affronta con sistematicità e scientificità lo stata rivisitata e in certo modo rivalutata da Gabriella studio della punteggiatura nelle due tragedie religiose Bosco, in numerosi studi ed articoli. In questo libro, di Racine –Esther e Athalie-, rivelandone l’uso ragio- l’Autrice sceglie un periodo particolare (la seconda nato e la specifi cità di alcuni segni, quali, ad esempio, metà del Seicento) e un punto di riferimento domi- i puntini di sospensione («Les tragédies religieuses nante (l’Eneide di Virgilio); e questa scelta determina de Racine: une ponctuation de l’émotion?», pp. 441- l’impostazione e l’analisi dello studio. Tutti i suoi ca- 465). PHILIPPE HOURCADE affronta la questione di pitoli, infatti, hanno come exergue un verso virgilia- una defi nizione lessicale dei termini livret d’opéra et no, e Virgilio è il punto di riferimento di tutte le parti de ballet, rivelando i problemi bibliografi ci ed edito- in cui esso è suddiviso. La prima parte, Les héritiers, riali che alla loro pubblicazione sono sottesi («Sur le analizza gli “eredi” diretti di Virgilio: in primo luogo i e e livret d’opéra et de ballet aux XVII et XVIII siècles», traduttori dell’Eneide, poi il modo in cui viene affron- pp. 467-480). tato il problema posto dall’eroe, la strutturazione del Il volume raccoglie anche gli atti del Convegno di poema virgiliano, il mistero e la magia della produzio- Salford (8-9 gennaio 2003) dal titolo: «Seventeenth- ne del mantovano, infi ne il rapporto con il Sublime. Century Drama: Texts, Pre-text, Para-Text, Intertext, Seguono Les fi ls prodigues, parte concentrata sul- Hypertext», di cui GUY SNAITH, nell’«Avant-propos», l’epopea francese, sui tentativi di rinnovamento del illustra le linee generali (pp.483-485). genere, sull’educazione del Grand Dauphin e sulla Il teatro in quanto testo spettacolare è al centro collezione Ad usum Delphini, infi ne sull’educazione dello studio di CHRISTIAN BIET (« L’unité de la séan- del nipote di Luigi· XIV – e quindi su Télémaque di ce de théâtre : point de vue historique, point de vue Fénelon. méthodologique : Pour un autre regard sur le théâtre La terza parte, Les Affranchis, analizza invece il «classique». De l’unité du livre à celle de la séance: naufragio dell’epopea: colloca Virgilio nella querel- Texte, performance, spectacle», pp. 487-504). le des Anciens et des Modemes, confronta l’epopea HENRY PHILLIPS riflette sulla teatralità del linguag- in crisi con il successo parallelo del romanzo, e si gio teatrale e sul ruolo dello spettatore, vero e proprio conclude su Versailles, luogo del nuovo “oro” che ponte tra la rappresentazione drammatica e il mondo risponde all’“oro” virgiliano. esteriore (« Text, Theatre, Theatricality in Seventeen- Il rapidissimo percorso che abbiamo suggerito th-Century French Tragedy », pp. 505-518). serve soltanto ad alludere alla ricchezza dei problemi L’articolo di C.E.J. CALDICOTT e un contributo in- che sono affrontati nel volume, il quale meriterebbe teressante a quella investigazione sistematica attorno un’assai più ampia recensione, capace di analizzare e alla produzione materiale dei testi di Molière (« Mo- commentare il modo in cui si articolano al suo interno lière’s Duodecimos: Phases of Publication and the uno studio della tradizione classica, il rinnovamento Status of the 1682 Edition », pp. 519-537). di questa tradizione, l’intrecciarsi di problemi, di ge- MARIE-CLAUDE CANOVA-GREEN esamina dei peri- neri, di atteggiamenti culturali, artistici e fi losofi ci. testi presenti nelle comédies-ballets di Molière per evidenziare quanto essi contribuiscano al dibattito re- [DANIELA DALLA VALLE] lativo allo studio delle relazioni tra intermezzi e com- medie (« La Comédie-ballet ou l’impossible fusion de la comédie et du ballet », pp. 539-551). ANTONY MCKENNA, Molière dramaturge liber- ELIZABETH TAYLOR-WOODROUGH mette in luce i tin, avec la collaboration de F. Vial-Bonacci, Paris, rapporti intertestuali tra Tartuffe e Dom Juan («A Champion, 2005. Fascinating Case of Intertextuality: Tartuffe and The Legend of Don Juan», pp. 553-572). Il saggio di Antony McKenna vuole sfatare due LISE MICHEL definisce i numerosi vincoli che un clichés, profondamente ancorati anche in coloro che drammaturgo degli anni 1630 doveva rispettare nella conoscono solo superfi cialmente le opere del grande redazione di un testo teatrale (« Le Coriolan d’Urbain drammaturgo secentesco: il primo si basa sull’asser-

ultime 389 4-12-2006, 21:35:16 390 Rassegna bibliografi ca

zione che Dom Juan sia l’incarnazione del libertinag- JEAN CHAPELAIN, Les lettres authentiques à Nicolas gio come lo concepiva il drammaturgo, il secondo Heinsius (1649-1672). Une amitié érudite entre France rintraccia nelle sue pièces un odio incontrollato verso et Hollande, éd.crit.Bernard Bray, Paris, Champion, la medicina e vede nella morte sulla scena del dram- 2005, pp. 580. maturgo un atto estremo di denuncia dell’impostura dei medici. Questa ricca e interessante edizione delle lettere Pur sfatando questi due chichés che impediscono, scritte da Chapelain a Heinsius completa e arricchi- a suo parere, di cogliere la vera portata rivoluzionaria sce un’edizione già pubblicata nel 1966, in cui era- del teatro di Molière, il saggio di McKenna sostiene no pubblicate le lettere scritte fra il 1649 e il 1658, la tesi del libertinaggio del drammaturgo. Il senso che ritrovate da Bernard Bray nella Biblioteca dell’Uni- il critico dà alla parola libertinaggio è però più spe- versità di Leyda e di cui non esiste nessun abbozzo cifi co: si tratta infatti di un libertinaggio fi losofi co, nel dossier conservato alla Bibliothèque Nationale de molto più profondo di quanto fi no ad oggi sostenuto France. Nella nostra edizione di Champion, le lettere dalla critica. pubblicate nel 1966 sono riprodotte (modernizzando Molière è libertino perché rifi uta la fede cristiana l’ortografi a, secondo una prassi ormai codifi cata), ma e propone nelle sue pièces una fi losofi a radicalmente ad esse si aggiungono le lettere successive, dal 1659 al opposta alla religione. Le sue grandi capacità gli per- 1672, di cui esistono i brouillons alla BnF. mettono, secondo McKenna, di mettere in scena idee L’Introduzione, ricca anche se relativamente breve, audaci, riuscendo a farIe passare inosservate agli oc- e l’annotazione precisa e puntuale delle lettere ci for- chi dei censori che gli rimproverarono alcune legge- niscono – come il titolo suggerisce – il documento di rezze nei confronti della dottrina cattolica, senza ac- un’amicizia erudita tra Francia e Olanda in un momen- corgersi della vera portata libertina delle sue opere. to di particolare interesse. Partendo dalle prime opere e soffermandosi in [DANIELA DALLA VALLE] particolare su quelle che maggiormente presentano il libertinaggio fi losofi co –vengono escluse volutamente dall’analisi pièces come L’avare e Le bourgeois genti- FRANÇOIS DE CHAPOTON, La déscente d’Orphée aux lhomme che nulla apportano, secondo il critico, alla enfers, Tragedie 1639, Établissement du texte, notes visione anticristiana – McKenna illustra come Mo- et postface par Hélène Visentin; Rennes, Presses Uni- lière sia un maestro dell’arte della dissimulazione che versitaires de Rennes, Collection Textes Rares, 2004. utilizza per mascherare un pensiero fortemente epi- cureo, conforme alla lezione di Lucrezio. Hélène Visentin presenta una tragedia di François Dalla nuova lettura del critico emerge con chiarez- de Chapoton, che godette di un discreto successo, za come il grande drammaturgo sia stato censurato essendo stata pubblicata per due volte, la prima nel per ragioni sbagliate e come il suo teatro non sia il 1640 e l’altra nel 1648, dopodiché è stata dimenticata frutto di una sottomissione passiva alle autorità civili per secoli. Per la sua edizione, Hélène Visentin si basa e religiose, alla quale il drammaturgo si sarebbe ras- sulla versione del 1648, che era stata rivista dallo stes- segnato, dopo la soppressione del Dom Juan. La criti- ca ha considerato infatti questo capolavoro come un so autore ed è formalmente più corretta. caso isolato nella produzione del drammaturgo, che L’edizione è arricchita da quattro annessi: il primo si sarebbe poi consacrato alla composizione di pièces è una tabella dove sono indicate tutte le versioni del comiche senza dimensione fi losofi ca e senza un ap- mito di Orfeo che sono state messe in scena e pubbli- porto critico nei confronti della religione. Il saggio di cate in Francia nel Seicento; il secondo riproduce un McKenna sfata questa visione superfi ciale e rintraccia brano estratto dalla prima opera drammatica francese nelle pièces di Molière i tratti di una fi losofi a libertina, nella quale compare Orfeo: L’Arimène, rappresentata nata e sviluppatasi alla scuola di Pierre Charron, La a Nantes, nel periodo di carnevale del 1597; il terzo Mothe Le Vayer e Gassendi. ripropone la recensione comparsa sulla “Gazette de Il drammaturgo lancia un attacco contro i gesuiti France” del famoso Orfeo, una comédie à machines rappresentati da Tartuffe e contro i giansenisti im- con le musiche di Luigi Rossi, che aveva incontrato personifi cati da Alceste, mentre la portata del Dom un grande successo di pubblico e di critica nel 1647; Juan viene notevolmente ridimensionata. Dom Juan nel quarto annesso possiamo leggere il “Dessin”, cioè è infatti un falso libertino, come Tartuffe è un falso il libretto che riassume lo spettacolo di Chapoton, devoto e Alceste un falso solitario, tre impostori dun- messo in scena nel 1648. que, rispondenti ad una identica funzione drammati- Nel primo capitolo della postfazione, la studiosa ca. Molière si diverte infatti a sviluppare una vera e racconta la vita di Chapoton e si sofferma sul gusto propria macchina da guerra contro il cristianesimo, del pubblico al quale l’autore ha dovuto adeguarsi, utilizzando un linguaggio codifi cato, che il saggio che modifi cando la prima versione della tragedia recita- presentiamo si propone di decodifi care, mettendo in ta nel 1639 all’ Hôtel de Bourgogne, facendone una evidenza la strategia retorica del drammaturgo, fon- pièce à machines, rappresentata nel 1648 al Théâtre data sull’ironia e sulla complicità fra autore e lettore. du Marais. Seguono un capitolo dedicato alla fortuna Per rendere più facile e chiara la nuova lettura del del mito di Orfeo nelle letterature italiana e francese teatro di Molière che ci viene presentata, l’autore al- nel Cinque/Seicento, un altro in cui viene descritta lega al volume un’appendice bibliografi ca curata da la messa in scena dell’opera con la spiegazione degli F. Vial-Bonacci su Epicuro e l’epicureismo in Fran- artifi ci usati per la scenografi a, e uno conclusivo sul- cia dal Rinascimento all’età classica. Una bibliografi a le modifi che più evidenti apportate dall’autore per la delle opere citate ed un indice dei nomi concludono versione del ‘48. il saggio. [EDY OLIVARI]

[MONICA PAVESIO] Avez-vous lu Dassoucy? Actes du colloque inter- national du CERHAC, Clermont-Ferrand, 25-26 juin

ultime 390 4-12-2006, 21:35:16 Seicento 391

2004, éd. DOMINIQUE BERTRAND, Clermont-Ferrand, piturales e comprende sei comunicazioni. Esse con- Presses Universitaires Blaise Pascal, 2005, pp. 411. cernono L’expression du sujet littéraire et religieux dans les tableaux de chevalet (di Christian Michel), il Il volume raccoglie le numerose comunicazioni confronto fra Estampe et poème: à propos de quelques presentate nel Convegno internazionale che nel 2004 paysages du Grand Siècle (di Véronique Adam), un al- si svolse a Clermont-Ferrand su Charles Coypeau tro saggio esplicitamente comparatista su La Roche- Dassoucy. Presentato e curato da D. Bertrand, le co- foucauld et le paradige pictural (di Bernard Roukho- municazioni sono ripartite in tre settori, che concer- movski), la presentazione della recente riscoperta di nono le opere poetiche e il burlesco (Portrait du poète un disegnatore secentesco, Remy Vuibert (di Nicolas en Protée, che comprende sette testi di Y. Giraud, Fr. Sainte Fare Garnot) e la descrizione di un quadro di Briot, M. Alcover, J. LecIerc, C. Nédélec, Ch. McCall Le Sueur, acquistato da poco dalla National Gallery Probes e G. Catusse) e i diversi aspetti della narra- di Londra: Alexandre et son médecin (di Humphrey zione autobiografi ca (Lecture plurielle des ‘Aventures’ Wine). che comprende dieci testi di D. Riou, Br. Hamon- Il Convegno e i suoi Atti si propongono dunque Porter, M.W. Meere, F. D’Angelo, B. Roche, L. Rau- come un esempio assai utile di una particolare forma line, R. W. Tobin, J. Royé, J.P. Cavaillé, E. Lesne-Jaf- di comparatismo interdisciplinare fra letteratura e ar- fro; e De la relecture à la réécriture des ‘Aventures’ che te, all’interno della storia della cultura secentesca. ne comprende due, di F. Sylvos e M.M. Mattioda). Segue un settore di Annexes, che puntualizzano alcu- [DANIELA DALLA VALLE] ni problemi biografi ci e bibliografi ci, e una bibliogra- fi a di Dassoucy e delle opere critiche citate. Il volume è particolarmente interessante e innova- JEAN DESMARETS DE SAINT-SORLIN, Théâtre complet tivo e si propone come un avvio alla rilettura di un (1636-1643), Textes établis, présentés et annotés par autore troppo a lungo dimenticato. Claire CHAINEAUX, Paris, Champion, 2005, pp. 1025.

[DANIELA DALLA VALLE] Il volume raccoglie tutta la produzione teatrale di Desmarets de Saint-Sorlin, interamente prodot- ta nell’ambito culturale di Richelieu. Le sette opere Littérature et Peinture au temps de Le Sueur, Actes qui riprodotte – Aspasie (comédie), Les Visionnaires du Colloque organisé par le musée de Grenoble et (comédie), Scipion (tragi-comédie), Roxane (tragi- l’Université Stendhal, 12-13 mai 2000, Grenoble, Mu- comédie), Mirame (tragi-comédie), Erigone (tragi- sée de Grenoble (Diffusion Ellug), 2003, pp. 190. comédie), Europe (comédie héroïque) – erano state pubblicate tra il 1636 e il 1643, alcune ebbero due Particolarmente interessante per l’interdiscipli- o più edizioni, mentre soltanto due erano già state narietà dei lavori che contiene è questo ricco volu- ristampate in epoca più moderna (Les Visionnaires, me, pubblicato dal Museo di Grenoble in occasione spesse volte nel XVIII secolo e poi da G. Hall nel 1923 e della prima esposizione monografi ca consacrata a Le e nel Théâtre du XVII siècle curato da J.Truchet nel Sueur, e del colloquio che è qui documentato. 1986, e Mirame nel 1780). Pittore esaltato al suo tempo e poi a lungo eclissa- L’edizione che Champion ci presenta è fornita di to, Le Sueur è stato recentemente rivalutato dagli stu- un’introduzione d’insieme, che incomincia ad illu- di di Alain Mérot, che fornisce qui un’introduzione al strare la politica culturale di Richelieu, vi inserisce volume, il quale è presentato da Jean Serroy. Le co- Desmarets, cerca poi di elaborare e defi nire un’este- municazioni sono poi raggruppate in tre diversi setto- tica tipica dell’autore, soprattutto all’interno del di- ri, a cui seguono alcune pagine d’illustrazioni relative scorso galante, analizza poi il teatro di Desmarets e la ad alcune di esse. Il primo settore comprende cinque posterità (ricezione, infl uenze, il rapporto con i fra- comunicazioni su Théories littéraires et picturales. La telli Parfaict, per giungere fi no ai giorni nostri), e si prima è quella di Aurélia Gaillard su L’Iconologie de conclude su Desmarets editore. Ripa traduite par Baudoin, la seconda è di René De- Ogni opera è poi preceduta da un’introduzione moris, che si sofferma su Le Sueur et la théorie de son specifi ca, che illustra in primo luogo la creazione temps: Abraham Bosse et Hilaire Pader; sempre su A. dell’opera, poi la forma (genere, origine e fonti, ar- Bosse è la comunicazione di Marianne Le Blanc: Les gomento, talvolta l’uso della prosa), commenta poi i Sentimens d’Abraham Bosse sur la distinction des di- personaggi, qualche volta indugia sull’uso della galan- verses manières de peinture, dessein et gravure: stra- teria, oppure sulla scrittura, sull’allegoria, e quando tégie d’un discours sur l’art à la fi n des années 1640, esiste un manoscritto sulle sue caratteristiche, e si mentre Anne Elisabeth Spica si orienta verso il ro- conclude presentando il testo. manzo ed illustra: Ut pictura fi ctio: le parallèle des ar- In una serie di Annessi, è fornito un interessante ts dans le roman français au temps de Le Sueur. studio iconografi co delle opere teatrali di Desmarets Il secondo gruppo raccoglie quattro comunica- (di Catherine Guillot), una tavola di presenze dei per- zioni sotto il titolo Ecrits sur l’art, écrits d’artistes. sonaggi e la riproduzione del Ballet de la Prospérité Gérard Sabatier si sofferma su Félibien et la peintu- des armes de la France. Seguono un Lexique e una re parlante, Dominique Moncond’huy analizza inve- bibliografi a. ce Les Femmes illustres en leurs galeries (littéraires Questa edizione si propone come un elemento in- e et picturales) dans la première moitié du XVII siècle, dispensabile per gli studiosi del teatro secentesco, in Frédéric Cousinie si orienta sui Mémoires di Hen- particolare per chi si occupa del momento così inte- ri-Louis Loménie de Brienne in una comunicazione ressante – a livello teatrale, ma anche a livello politi- e intitolata Mémoires et peinture au XVII siècle, mentre co-culturale – degli anni Trenta. Boris Donne analizza i Cercles amicaux et artistiques autour de Le Sueur. [DANIELA DALLA VALLE] Infi ne il terzo settore, un po’ più eterogeneo rispet- to ai due precedenti, è dedicato a Formes littéraires et

ultime 391 4-12-2006, 21:35:17 392 Rassegna bibliografi ca

e Les libertins au XVII siècle, II, édition établie, pré- ed originale interpretazione del libertinage secentesco sentée et annotée par Jacques Prévot, avec, pour ce quale si è venuta delineando in oltre cinquant’anni di volume, la collaboration de Laure Jestaz et d’Hélène studi letterari e fi losofi ci, ma, soprattutto, sono il ri- Ostrowiecki-Bah, Paris, Gallimard, “Bibliothèque de sultato di una lunga e fruttuosa ricerca da parte dello la Pléiade”, 2004, pp. 1886. studioso che ha curato questa edizione e di un suo meditato e ben documentato giudizio critico. Questo secondo volume che esce a sei anni dalla Condotta con rigore metodologico e sicuro fon- stampa del primo (cfr. questi «Studi» n. 129, sett.-dic. damento critico, questa edizione ha inoltre il grande 1999, pp. 619-620), segue, com’è ovvio, gli stessi cri- pregio di proporre, anche a lettori non specialisti, teri di edizione: modernizzazione della grafi a, rilievi un’immagine della vita .culturale francese del XVII di carattere linguistico raccolti in un’apposita appen- secolo, più autentica e più articolata di quella che dice, traduzione dei testi latini. Di grande interesse una lunga tradizione storiografi ca ancora presente in anche qui le note relative ai singoli testi, utili a chia- recenti storie letterarie ha accreditato ed imposto so- rirne il signifi cato o le implicite allusioni e a situarli in prattutto in Francia. rapporto con le vicende storiche o con altri autori ed [CECILIA RIZZA] opere del tempo. Qualche osservazione merita la scelta dei testi; se la presenza di autori come La Mothe le Vayer, Saint- ALAIN MERCIER, Le Tombeau de la Mélancolie. Evremond, Bayle, Fontenelle appare del tutto giusti- Littérature et facétie sous Louis XIII, Paris, Honoré fi cata, anche se non sempre le opere riprodotte, per Champion, 2005, 2 volI. de 1553 pp. altro facilmente accessibili, sono tali da fornire una esaustiva lettura in chiave libertina dei loro autori, Particolarmente affascinante è il percorso di Alain ci sembra più discutibile, l’inserimento, in questo Mercier attraverso la letteratura facétieuse del primo ambito, dell’Histoire amoureuse des Gaules di Bus- Seicento francese, con un’enorme quantità di testi sy-Rabutin, nella misura in cui per essa si spostano i identifi cati e analizzati, nelle varie forme della lettera- confi ni del libertinage dal campo fi losofi co-ideologico tura facétieuse al tempo di Louis XIII. Il primo volu- a quello politico, morale e del costume. Analoga os- me (400 pagine) incomincia dallo studio della facétie servazione si potrebbe fare per le lettere di Patin qui in epoca medievale e rinascimentale (De la facétie riprodotte nelle quali l’atteggiamento critico nei con- gothique à la facétie renaissante) per passare poi al- fronti del Papa e di Mazzarino appare più un retaggio l’analisi del modo in cui si presenta il libro facétieux dell’antico anti-italianismo che caratterizzò i primi secentesco(Itinéraires du livre facétieux), analizza gli decenni del secolo, con la critica all’azione politica aspetti della letteratura facétieuse (La littérature dans di Maria de’ Medici e ai Concini, che non un esempio tous ses états) e dà spazio agli autori e agli attori della d’indipendenza intellettuale. facétie: i buffoni, i commedianti dell’Hôtel de Bour- L’ambiguità della nozione stessa di libertinage, o gogne, i farceurs del Pont Neuf e della Place Dauphi- meglio, secondo il convincimento di J. Prévot, la sua ne (Auteurs et acteurs de la facétie); infi ne si sofferma evoluzione nell’arco del secolo, appare evidente an- sul modo in cui la storia si rifl ette nella facétie (Une che nella scelta di poesie che chiude il volume. Loro société dans son miroir). denominatore comune è il rifi uto della tradizione, Il secondo volume (più di 1100 pagine) costituisce sia per quanto riguarda l’amore e la concezione del- invece una straordinaria bibliografi a critica di tutti i la donna, sia perchè denuncia la crisi di ogni valore testi facétieux reperiti da A. Mercier fra il 1610 e il religioso e politico; si tratta dunque di una poesia so- 1643 (più di 1500), a cui segue una breve conclu- stanzialmente contro che si esprime nel rifi uto di molti sione. luoghi comuni quando non nella volontà di rivolta. È inutile segnalare la straordinaria importanza di Molto utili, interessanti e approfondite risultano questo lavoro, e in particolare la ricca prospettiva di pertanto le Notices che introducono alla lettura dei lavoro che apre per gli studiosi. singoli testi e degli autori; esse meriterebbero di fi gu- rare in un’opera a sè in quanto offrono una coerente [DANIELA DALLA VALLE]

Settecento a cura di Franco Piva e Paola Sosso

Philosophes sans Dieu. Textes athées clandestins furono redatti testi rimasti per lo più manoscritti che du XVIIIe siècle, réunis par GIANLUCA MORI et ALAIN circolavano all’epoca in modo furtivo. Non si tratta MOTHU, Paris, Champion, («Libre pensée et littérature certo di una corrente omogenea: gli autori hanno in- clandestine»), 2005, pp. 400. fatti in comune un argomentato rifi uto dell’esistenza di un principio intelligente e libero, e costituiscono Molto prima del 1770 e del Système de la nature di per questo un interessante arrière-plan dell’ateismo d’Holbach, l’ateismo conosce in Francia una discreta militante di d’Holbach, ma si distinguono nettamente ma reale diffusione: fi n dall’inizio del secolo, come ci per le diverse fonti a cui attingono (Hobbes, Locke, mostrano gli échantillons pubblicati in questo volume, Spinoza, Bayle, Toland ...). I testi si collocano nei pri-

ultime 392 4-12-2006, 21:35:17 Settecento 393

mi trent’anni del secolo e mostrano, accanto a un evi- Recueil philosophique del 1770. Chiude il volume l’in- dente radicalismo fi losofi co, un tiepido interesse per dice dei nomi e delle opere. i problemi politici: questo è legato senza dubbio alla [PAOLA SOSSO] posizione sociale degli autori, tutti vicini agli ambien- ti aristocratici e poco inclini a turbare un ordre établi che, nell’insieme, era tollerante nei loro confronti. Per The Lisbon earthquake of 1755. Representations and quanto concerne la loro dottrina, e quindi la defi nizio- reactions, edited by THEODORE E. BRAUN and JOHN B. ne di un sistema che spieghi in modo coerente alcuni RADNER, Oxford, Voltaire Foundation («SVEC, 2005:02»), punti cardinali (la costituzione degli organismi viventi, pp. 342. l’anima, la morale), i philosophes sans Dieu appaiono spesso poco precisi ed incerti, ma cartesianamente Non molti eventi hanno avuto un infl usso evidente convinti dell’ affi dabilità della ragione, facoltà supre- sulla storia delle idee come il terremoto di Lisbona del ma che li allontana da qualsiasi forma di scetticismo. Il 1755: la discussione che seguì il sisma divenne infatti volume raggruppa, come si è detto, un insieme signifi - metafi sica e scientifi ca, ma anche estetica, perché in cativo di testi le cui edizioni moderne sono di diffi cile molti testi il terremoto simboleggiò la rivolta perso- accesso o disperse in varie pubblicazioni. Il primo te- nale o il desiderio di distruzione;(Casanova, Mercier, sto è Le philosophe (1716-1720) di Du Marsais, netto Sade), come ci ricorda nel suo breve Avant-Propos nel defi nire la società civile come «l’unique Dieu» del Michel DELON p. xi-xiv). Nell’Introduzione (pp. 1-6), fi losofo (p. 35), risolutamente ateo nello scrivere che i curatori ricordano innanzitutto l’enorme forza spri- «nul Etre suprême n’exige de culte des hommes» (p. gionata dal terremoto del 1755, il gran numero di per- 27), al punto che lo stesso Voltaire, nella sua edizione sone che persero la vita, non solo a Lisbona, ma anche del 1773, si sentì in dovere di abbreviare e convertire il nel resto del Portogallo, in Spagna e nel Nord Africa. testo secondo i dettami di un più cauto deismo. Il testo L’evento viene studiato in questo volume sotto i suoi presentato è quello pubblicato da Gianluca Mori nel diversi aspetti, con articoli inerenti l’ambito letterario, 2003. Segue la presentazione del corto frammento de storico, fi losofi co, sismico, sociologico, politico. Gli in- l’Origine des êtres et des espèces (1705-1710) di Henri terventi sono scritti da studiosi di varie parti del mon- de Boulainviller, rapida sintesi di un materialismo ateo do e organizzati seguendo l’evolversi del fenomeno dal di ispirazione cartesiana. L’edizione riproduce quella punto di vista fi sico e cronologico. I primi tre articoli di Gianluca Mori del 1994. Il terzo testo è costituito si occupano dell’evento in sé e degli effetti che ebbe dalla Lettre de Thrasybule à Leucippe (1720-1725) di sul Portogallo. Malcom JACK (Destruction and regene- Nicolas Fréret, ricca di documentazione storica, radi- ration. Lisbon, 1755, pp. 7-20) illustra i danni subiti cale nel suo engagement fi losofi co, fi ne nelle osserva- da edifi ci pubblici, collezioni, case private e descrive zioni sul signifi cato dell’ esperienza religiosa. Il testo la nuova Lisbona così come fu ricostruita sulle rovine grazie al despotismo illuminato del Marchese de Pom- seguito è quello di Sergio Landucci del 1986. Nel testo bal. Charles JAMES e Jan KOZAK (Representations of the successivo, Sur les preuves de l’existence de Dieu (1715- 1755 Lisbon earthquake, pp. 21-33) offrono una descri- 1720), André-Robert Perrelle segue in parte le orme di zione fi sica del fenomeno, delle cause e degli effetti. Boulainviller, ma è evidente la formazione cartesiana e Russell DYNES (The Lisbon earthquake of 1755: the fi rst l’infl uenza di Bayle e di Newton. L’Essai sur la recher- modern disaster, pp. 34 49) mostra come la risposta e le che de la vérité (ante 1728), il cui autore è fi n ad oggi reazioni che seguirono la scossa (aiuti, distribuzione di ignoto, coniuga fonti eterogenee, che vanno dal mate- cibo, costruzioni anti-sismiche) trasformarono il sisma rialismo meccanicistico alla fi sica di Newton fi no alle nel primo disastro “moderno”. La Spagna è oggetto tesi di Toland contenute nelle Letters to Serena (1704): degli studi di Diego TELLEZ -ALARCIA (Spanish inter- notevole il rigore dell’argomentazione e complessa la pretations of the Lisbon earthquake between 1755 and strategia discorsiva. L’edizione presentata è quella di the war of 1762, pp. 50-65) e di Carmen ESPSJO CALA Sergio Landucci del 1984. Le Réfl exions sur l’existence (Spanish news pamphlets on the 1755 earthquake: trade de l’âme et sur l’existence de Dieu (ante 1734) costi- strategies of the printers of Seville, pp. 66-80). tuiscono forse il primo testo stampato moderno in cui I tre articoli che seguono focalizzano invece la loro l’esistenza di Dio è esplicitamente negata: leggiamo a attenzione sulla reazione inglese al terremoto di Lisbo- p. 273 che si tratta di un «préjugé» di cui è meglio di- na e al precedente sisma di Londra, molto meno inten- sfarsi, così come per la credenza nell’immortalità del- so, avvenuto nel 1750. Matthias GEORGI (The Lisbon l’anima. Rimane incerta l’attribuzione, anche se alcuni earthquake and scientifi c knowledge in the British pu- elementi farebbero propendere per Du Marsais. Il te- blic sphere, pp. 81-96) mostra come in Inghilterra a me- sto riproduce l’edizione critica in preparazione a cura tà Settecento il terremoto fosse percepito innanzitutto di Gianluca Mori. Il Jordanus Brunus redivivus (ante come conseguenza delle leggi della natura, mentre 1771) fa riferimento a una triplice tradizione che inclu- Robert INGRAM (The trembling earth is God’s Herald: de Giordano Bruno, Pomponazzi (De incantationibus, earthquakes, religion and public life in Britain during 1556) e il Theophrastus redivivus (scritto verso il 1659). the 1750s, pp. 97-115) esamina vari documenti (lette- Il testo, in parte ancora enigmatico, è stato trasmesso re, memorie, giornali, sermoni), sottolineando il forte da un solo manoscritto datato “Dix-huitième siècle” peso della concezione religiosa nell’interpretazione da- e conservato in un Recueil de pièces diverses alla Bi- ta all’evento. Robert WEBSTER (The Lisbon earthquake: blioteca municipale di Rouen (M. 74) e in un’edizione John and Charles Weskey reconsidered, pp.l16-126) del 1771 che ebbe larga diffusione a livello europeo. spiega come il pensiero dei fratelli Webster scorgesse La presente edizione critica segue il manoscritto di nei terremoti di Londra e Lisbona un esempio utile a Rouen, collazionato con l’edizione del 1771. L’ultimo chiarire che i ricchi ed i poveri si trovano sullo stesso testo è De la raison (ante 1770) di d’Holbach, interes- piano, secondo i principi del movimento metodista. sante sintesi molto apprezzata da V oltaire e costituita La Francia trova spazio in sette interventi. Due di in gran parte da una traduzione di Christianity not My- essi affrontano il problema dal punto di vista scienti- sterious (1696) di Toland. Il testo, edito e presentato fi co: Grégory QUENET (Déconstruire l’événement. Un da Alain Sandrier, riproduce l’edizione princeps del séisme philosophique ou une catastrophe naturelle?, pp.

ultime 393 4-12-2006, 21:35:18 394 Rassegna bibliografi ca

127-144) spiega come il problema fondamentale fos- Ferney non considerò in modo adeguato il legame che se quello di capire come un fenomeno ben localizza- unisce ragione e inumanità. Monika GISLER (Optimism to avesse potuto diffondersi a chilometri di distanza: and theodicy: perceptions of the Lisbon earthquake in il dibattito uscì dalla stretta cerchia della comunità protestant; Switzerland, pp. 247-264) mostra la varietà scientifi ca interessando un pubblico piuttosto vasto. di reazioni che si ebbero in Svizzera in seguito al sisma Theodore Braun, in Voltaire and Le Franc de Pompi- e dopo la pubblicazione dell’opera di Voltaire, mentre gnan: poetic reactions to the Lisbon earhquake (pp. 145- lo studio di Luanne FRANK si concentra su Das Erdbe- 155), mette a confronto le tesi di Voltaire con quelle di ben in Chile di von Kleist, in gran parte ispirato alla Le Franc de Pompignan, che scrisse una serie di testi tragedia di Lisbona (No way out: Heinrich von Kleist‘s poetici pubblicati nel 1784 (all’interno delle Œuvres) Erdbeben in Chile, pp. 265-281). Chiude il volume il in cui in nome della fede e della Provvidenza venivano saggio di Estela VIEIRA, in cui viene messo in luce il criticate le posizioni del philosophe. Anne Sophie BAR- forte e durevole impatto che il terremoto del 1755 ROVECCHIO (A propos de Voltaire, de Maître André et ebbe sulla cultura letteraria portoghese (Coping and du «Tremblement de terre de Lisbonne»: histoire d’une creating after catastrophe: the signifi cance of the Lisbon supercherie tragique de l’avocat Jean-Henri Marchand, earthquake of 1755 on the literary culture of Portugal, pp. 156-172) esamina la tragedia burlesca dell’avvo- pp. 282-298). La bibliografi a a fi ne volume si presenta cato Jean-Henri Marchand, Le tremblement de terre copiosa e dettagliata. de Lisbonne del 1755, pubblicata sotto falso nome in [PAOLA SOSSO] risposta alla celebre opera di Voltaire. Oltre alla tragi- ca vicenda dei due protagonisti, signifi cativo appare il dialogo che si instaura all’interno del testo con l’opera The City in French Writing. The Eighteenth-Century di Voltaire. Catriona SETH (“Je ne pourrai pas en faire Experience. Ecrire la ville au dix-huitième siècle, édité le récit”: le tremblement de terre de Lisbonne vu par Le par SÍOFRA PIERSE, University College Dublin Press, Brun, Marchand et Genlis, pp. 173-190) analizza tre 2004, pp. xii + 196. diverse opere che si occupano del terremoto: due odi di Le Brun, la tragedia di Marchand, studiata in una Le but de cette collection d’articles est de saisir la prospettiva diversa rispetto a quella del precedente ar- représentation littéraire de la vie urbaine au dix-hui- ticolo, e il conte moral de Genlis Alphonse et Dalinde, tième siècle sous son aspect quotidien. Elle se divise scritto a fi ne secolo. Gli scritti di Le Brun appaiono en deux moitiés, dont la première, s’occupant de la fortemente infl uenzati dai salmi e costituiscono una première moitié du siècle, souligne le rôle de la ville risposta emotiva tesa a celebrare il potere della natura comme véhicule de mobilité sociale. Will MCMORRAN e di Dio. La tragedia di Marchand è qui percepita più (Descript and non-descript in «La Vie de Marianne» and come una risposta comica a Voltaire che come una rea- «Le paysan parvenu», pp. 11-25), soulignant les limites zione all’evento sismico, mentre nel racconto morale di de la description dans les romans de Marivaux, établit Mme de Genlis padre e fi glio apprendono il reale va- tout de même un contraste entre Jacob, pour qui l’ac- lore delle cose confrontandosi con la maestosità della tion dans la rue est d’une importance primordiale, et natura e l’amicizia dei loro simili. I tre testi mostrano Marianne, obligée de se protéger contre certaines réa- come il tremblement de terre ebbe echi letterari anche lités trop crues. John P. GREENE (‘Du fouet à la plume’: lontani, sintomo di un profondo infl usso sulla cultura Coaches and coachmen in «L’Histoire de Guillaume, settecentesca. cocher», pp. 26-46) montre l’importance métaphori- Seguono due studi dedicati alla diffusione della no- que des moyens de transport dans le roman de Caylus, tizia del terremoto su giornali, gazzette o altri periodici où l’ascension sociale du personnage principal qui se dell’epoca. Sul fronte scientifi co, Jeff LOVELAND (Gué- transforme en écrivain est indiquée par le rôle méto- neau de Montbeillard, the «Collection académique» and nymique joué par les outils de sa profession. Dans une the great Lisbon earthquake, pp. 191- 207) esamina la brève étude, Josephine GRIEDER (Le monde marginal Collection académique, di cui Guéneau de Montbeil- du chevalier Des Grieux et de Manon Lescaut, pp. 47- lard era editore, dove compare una teoria, seppur 55), fait le bilan de la vie parisienne des deux person- frammentaria, sulle origini dei terremoti. Anne SAADA nages prévostiens, soulignant l’instabilité de leur exis- e Jean SGARD, nel loro articolo dal titolo Tremblements tence dominée par des déplacements constants. Ioana dans la presse (pp. 208-224) esaminano la diffusione GALLERON MARASESCU (Paris, ou l’éducation du lecteur, graduale delle notizie sul terremoto e gli effetti che pp. 56-71) dévoile la complexité littéraire d’un texte questo ebbe sul linguaggio usato nei periodici: interes- peu connu de Mouhy, Paris ou le mentor à la mode, sante ricordare che ci volle più di un mese prima di riu- montrant comment son double rôle de guide quasi- scire a redigere e divulgare una precisa narrazione dei touristique et de Bildungsroman renferme aussi une fatti. Vengono analizzati in questo articolo lettere pub- initiation dans l’art de lire. bliche e private, bollettini uffi ciali e resoconti attendi- Dans la deuxième moitié du siècle, et de cette col- bili di testimoni diretti. Appare evidente come in tutti lection, le phénomène de la mobilité sociale révèle son questi documenti l’interrogativo religioso prevalga su coté inquiétant, s’associant à une certaine fragilité à la quello scientifi co. Per chiudere il capitolo francese, fois morale et sociale. Anne TAYLOR (Enforceable daily Gilbert LAROCHELLE nel suo studio intitolato Voltaire: life: regulating the ideaI city in the eighteenth-century du tremblement de terre de Lisbonne à la déportation French utopia, pp. 75-85), prend comme point de dé- des Acadiens (pp. 225-246) si chiede per quale moti- part les textes utopiques de Mercier, de Restif et de vo Voltaire, che vide nel terremoto il simbolo della Beaurieu, modelés selon les maux réels de la société disfatta della trascendenza, non si occupò per nulla qu’ils veulent corriger, mais qui s’y prennent en im- del male causato dagli uomini che, proprio nel 1755, posant un style de vie dont les règlements excessifs in America, deportarono 10000 abitanti dell’odier- deviennent presque comiques. Dans l’étude la plus no Massachusetts. Se il culto dell’uomo come essere substantielle du volume, Síofra PIERSE (Restif de la Bre- ragionevole non pare compatibile, per Voltaire, con tonne’s «Les Nuits de Paris» a very urban ‘promenade l’intolleranza, la cui causa è da imputare alla religio- solitaire’, pp. 86-121), sonde les affi liations entre le ‘hi- ne, rimane il fatto, ipotizza l’autore, che il patriarca di bou-spectateur’ de Restif et le promeneur solitaire de

ultime 394 4-12-2006, 21:35:18 Settecento 395

Rousseau, tout en insistant sur la solidarité que ressent fondatore del periodico, Jean Lanteires e la presenta- le personnage restivien, malgré ses origines paysannes, zione della struttura e dei contenuti del Journal, rical- avec la société parisienne, et son désir d’intervenir pour cato in gran parte sul Journal de Paris e sul Mercure de y faire valoir ses notions assez excentriques de l’ordre France. Alcune defi nizioni presenti nell’Encyclopédie et de la moralité. Lana ASFOUR (Representing morals: d’Yverdon permettono di chiarire meglio il rapporto the Palais-Royal, capital of vice, pp. 122-135) examine tra sensibilità e bienfaisance, temperate in ambito sviz- les différentes manières de représenter ce quartier dans zero-francofono dal costante intervento della ragione: les textes de Diderot, de Mercier, de Restif et de Ros- un’eco di questo dibattito si ritrova anche nel Journal ny. Echappant à la police normale et exploité comme de Lausanne, laddove i lettori erano invitati a essere une zone de commerce et de vice, ce domaine du duc compassionevoli e caritatevoli, ma in modo oculato. d’Orléans exerce un attrait réel sur ces quatre écrivains Quando Lanteires lasciò la direzione del periodico, nel qui tous, à leur manière, mettent en valeur les abus qui 1792, gli subentrò Mme de Polier: la sensibilità perse, in s’y abritent. Finalement, l’étude de Graham GARGETT questo nuovo frangente storico, il suo signifi cato uma- (Genève au dix-huitième siècle: de la cité de Calvin au nitario per essere messa al servizio di un programma foyer des Lumières, pp. 136-161) nous rappelle que Pa- ideologico legato al mito nazionale svizzero. Si apre ris n’est pas la seule ville qui compte à cette époque. al rapporto tra Svizzera e Inghilterra il contributo di La dynamique genevoise se révèle dans le personnage Valérie COSSY (An English touch: Laurence Sterne, Ja- représentatif de Jacob Vernet, pasteur assez libéral à ne Austen et le roman sentimental en Suisse romande ses débuts, lié avec Montesquieu, Voltaire et Rousseau, pp. 135-166), mentre Maud DUBOIS si occupa de Le qui essaie d’infl échir le calvinisme dans un sens éclairé roman sentimental en Suisse romande, 1780-1830 (pp. tout en imposant son protestantisme aux textes philo- 167-256). Questo studio, ampio e articolato, analizza il sophiques qu’il édite. Les querelles qui suivent l’article fenomeno che indusse molte donne dell’ aristocrazia ‘Genève’ dans l’Encyclopédie montrent l’impossibilité di Losanna verso la fi ne del Settecento a scrivere ro- de l’exercice, et Vernet se trouve obligé de se rabattre manzi. Poco considerate sul piano intellettuale, ogget- sur des prises de position traditionnelles et une poli- to del sarcasmo di molti contemporanei, queste opere tique anti-démocratique qui vont à l’encontre de ses furono solo in parte pubblicate. Le autrici, che spesso meilleurs principes. Cette étude magistrale est une di- avevano lavorato anche come traduttrici, tessevano le gne conclusion à un volume qui nous fait lire des tex- loro trame su episodi storici o sulle tradizioni popolari tes connus d’un œil nouveau et qui montre la valeur del loro paese, proponendo nelle loro opere un idillio de certains textes moins connus, tout en établissant de il cui lieto fi ne si allontana dal modello offerto dalla nouvelles perspectives synthétiques. Nouvelle Héloïse per abbracciare una visione patriar- cale e conservatrice in cui il ruolo femminile è sotto- [RICHARD A. FRANCIS] messo al volere paterno e si conforma alla tradizione. I romanzi dell’école de Lausanne sembrano divenire la culla dell’idillio sensibile, il cui fi ne evidente è quello di La sensibilité dans la Suisse des Lumières. Entre phy- commuovere il lettore: questo conduce come è imma- siologie et morale, une qualité opportuniste. Etudes diri- ginabile a una reazione, incarnata principalmente da gées et réunies par CLAIRE JAQUIER Genève, Slatkine, Mme de Charrière e da Mme Morel-Gélieu, che nelle 2005, pp. 371. loro opere, aperte ed ambigue, invitavano a ripensare i rapporti sociali e amorosi. Il grande merito di questo volume è quello di am- Sul fronte medico, lo studio di Nathalie VUILLEMIN pliare il dibattito sulla sensibilité, spostando il baricen- si concentra su La rhétorique scientifi que entre patho- tro dalla Francia alla Svizzera e includendo non solo il logie et ambitions morales. L’exemple du «Rapport sur discorso letterario, ma anche opere mediche, fi losofi - un somnambule naturel» par trois savants romands (pp. che, testi poco noti e un signifi cativo spaccato di quella 257-296). Partendo dalle due grandi teorie mediche “littérature romanesque féminine” che caratterizzò la sulla sensibilità, quella cartesiana (Albrecht von Hal- Svizzera nel periodo della metamorfosi dei Lumi. A ler) e quella vitalista (Théophile Bordeu), l’autrice rico- partire dai testi fondatori dedicati a questo tema, e in struisce lo stretto rapporto tra medicina e fi losofi a nel particolare fi n dalle opere di Rousseau, la sensibilità trattare il tema del sonnambulismo, legato alla sensibi- appare nella sua veste ambigua e nella sua poliedrici- lità dell’individuo e alla sua irritabilité. Il Rapport sur tà: essa tocca infatti l’ambito fi losofi co, morale, sociale, un somnambule, pubblicato nel 1788, appare in questo scientifi co ed estetico, come ci ricorda Michel DELON ambito come un testo di rilievo per il coraggio che mo- nell’Avant-propos (pp. 7-10). Il volume si basa su un stra nell’affrontare in modo diretto il problema. I tre corpus ricco che permette di cogliere in modo più arti- scienziati di Losanna che curarono l’inchiesta studiaro- colato alcuni aspetti del problema: in ambito svizzero, no infatti in modo preciso il comportamento di un ado- infatti, il dibattito sulla sensibilité ebbe un impatto an- lescente sonnambulo per risalire alle radici del male e che sulla società, contribuendo a mettere sotto nuova trarre le dovute conseguenze fi losofi che dalla loro ana- luce norme e tradizioni fi no ad allora intoccabili (si ve- lisi. Le conclusioni del rapporto appaiono a tratti mol- da l’Introduction, pp. 11-20, dove vengono citati a tal to moderne nel defi nire il sonnambulismo, nato da una proposito i testi di Jeanne Pollier, Isabelle de Charrière predisposizione nervosa, come un automatismo basato e David Levade). Il mito della sensibilité e della vir- su una dissociazione tra lo stato cosciente e uno stato tù poggiava in Svizzera su un altro mito, quello di un inconscio (identifi cato all’epoca con il termine poliva- paese lontano dalla civiltà urbana: questo generò una lente di imagination), libero da inibizioni. serie di imitazioni più o meno servili, come ben illustra L’ultima parte del volume, Automates et statues ani- Claire JAQUIER nel suo saggio Les marionnettes du sen- mées ou quand la sensibilité vient au corps-machine (pp. timent (pp. 21-49). Laura SAGGIORATO focalizza invece 297-340) è stata redatta da Claire JAQUIER: gli studiosi la sua attenzione su un aspetto particolare, Le «Journal svizzeri condivisero in tempi molto brevi l’avanzamen- de Lausanne»: la sensibilité au quotidien, 1786-1798 to scientifi co del Secolo dei Lumi, come illustra, tra gli (pp. 51-134): lo studio si apre con l’analisi del conte- altri, l’Essai de psychologie (1754) di Charles Bonnet (vi- sto socio-culturale, cui seguono la rapida biografi a del cino alle tematiche cui si dedicava, negli stessi anni, sul

ultime 395 4-12-2006, 21:35:19 396 Rassegna bibliografi ca

versante francese, Condillac), che riprende la fi nzione forma di arte del persuadere che talvolta rasenta la mi- cartesiana di una statue animée, cioè di un corpo or- stifi cazione (Lumières et sophistique, pp. 19-44). Come ganizzato e determinato in ogni suo movimento, con il conciliare, quindi, la presenza di una retorica capzio- fi ne di valutare l’infl uenza dei sensi sulle facoltà umane. sa e la volontà di accedere alla verità logicamente? La Il problema della coesistenza di azioni meccaniche de- verità può essere intesa anche come «performance», terminate e di una volontà libera è affrontato a fi ne Set- risponde Gisèle BERKMAN: se la Philosophie de Mon- tecento soprattutto all’interno dei romanzi: ancora una sieur Nicolas di Rétif de la Bretonne «laisse entrevoir volta emerge la fi gura di Rousseau, che con Pygmalion une descendance des Lumières, brouillonne, éclatée, e soprattutto con la Julie apre il dibattito sulla libertà impure» (p. 55), l’opera presenta, come la metafi sica dell’individuo e sulla possibilità di agire sulle proprie di dom Deschamps, un’idea della Totalità e dell’essere passioni, mentre sul fronte francese, con esiti diversi, che preesiste al linguaggio, opponendosi al nominali- lo stesso tema è affrontato da molti philosophes. Forte- smo di Buffon, di Diderot e di d’Alembert (Énoncia- mente dibattuta è la questione dell’ origine delle azioni, tions de la vérité aux marges des Lumières: la «Physique cui si tentò di dare diverse risposte ricorrendo a model- de monsieur Nicolas» et la «métaphysique» de dom De- li artifi ciali, a sonnambuli o a uomini selvaggi privi di schamps, pp. 45-56). Non sorprende che un processo educazione: questi ultimi furono studiati anche in am- venga intentato al concetto stesso di educazione e di ef- bito svizzero, e fu proprio tale studio che mise in luce fi cacia del discorso morale, come appare nel Neveu de l’errore di base di un approccio – quello di Bonnet e di Rameau di Diderot (Geneviève CAMMAGRE «Le Neveu Condillac, e di gran parte della scienza dell’Illuminismo de Rameau» de Diderot et les limites du discours moral, – eccessivamente analitico nella sua visione meccanici- pp. 57-70) o nel viaggio fi losofi co del Compère Mathieu stica, quasi anatomico nel suo voler separare le diverse di Dulaurens (Michèle BOKOBZA KAHAN, Marginalité et parti di un organismo per studiarle con l’illusione di po- Lumières dans «Le Compère Mathieu» de Dulaurens, ter giungere a una visione globale, senza tener conto del pp. 71-87). fatto che la reazione sensoriale non è solo la risposta a Quanto alle zone di interferenza, il successo del les- uno stimolo, ma è associata all’identità affettiva del sog- sico fi losofi co è tale che persino le Nouvelles Écclésia- getto. Chiudono il volume una rapida bibliografi a, l’in- stiques, periodico giansenista clandestino aspramente dice dei nomi di persona, l’indice dei titoli, dei giornali, ostile ai Gesuiti, accusati di favorire il «fi losofi smo», se dei periodici e delle riviste. ne impossessano, secondo Marie Hélène FROESCHLÉ- [PAOLA SOSSO] CHOPARD, per accusare la Chiesa ufficiale (L’évolution d’un périodique ennemi des philosophes: les «Nouvelles Écclésiastiques» entre 1750-1780, pp. 91-110). Pecca- Les Marges des Lumières Françaises (1750-1789), to che questa evoluzione sia avvertibile a Rivoluzione sous la direction de DIDIER MASSEAU, Genève, Droz, avvenuta, e superi la cronologia rigorosamente fi ssata 2004, pp. 286. dal Convegno: 1750-1789! Nondimeno nel movimen- to giansenista di rifi uto duro e puro della prima ora si Il volume nasce dal Convegno omonimo, organiz- fa luce una corrente liberale che tenta di relazionar- zato dal gruppo di ricerca in «Histoire des représen- si al mondo, difendendo, perché no, le misure di un tations» dell’Università di Tours dal 6 al 7 settembre L’Averdy o di un Turgot, afferma Monique COTTRET 2001. Il tono dell’iniziativa risultava sin dall’inizio ma- (Pour une déontologie du provisoire: les jansénistes et gniloquente. Pensare i Lumi con una luce d’ombra l’économie des Lumières, pp. 111-121). L’opportu- era quasi scontato, immaginarne i limiti, le frontiere, i nismo è lecito, constata Didier MASSEAU nelle inter- margini, una scommessa. Didier Masseau ha puntato pretazioni di Rousseau alla vigilia della Rivoluzione alto, irridendo i futuri recensori. Ma ora il prodotto (Images et interprétations contradictoires de Rousseau à è sul mercato, tangibile e sfogliabile, e discorrerne è la veille de la Révolution, pp. 123-139). Tema di attua- quasi d’obbligo. lità sconvolgente, trattato con brio da Patrick BRASART Alla lettura si prova una sensazione di vertigine, di quando affronta il caso dell’ Abbé Maury («Sanctifi er la soffocamento, tale è il turbinio di immagini, di parole philosophie» ou «sanctifi er la religion»? Le cas de l’abbé note o meno note che travolgono come un fi ume in pie- Maury, pp. 139-152). Partendo dalla volontà di arriva- na. Con il suo «foisonnement», l’opera presenta i pregi re e compiacere spesso si sposano le cause avverse, da e i difetti delle miscellanee alla moda negli ambienti qui le contraddizioni di un Bernardin de Saint-Pierre, accademici: composta di articoli brevi e giustapposti, messe a fuoco da Michel RACAULT (Philosophie et an- non propone una vera sintesi d’insieme, rischiando, tiphilosophie dans la crise des Lumières: le cas de Ber- a seconda degli interventi, di tralasciare un elemento nardin de Saint-Pierre, pp. 153-177) e da Jean-Jacques importante malgrado la sua esplicita volontà totaliz- TATIN-GOURIER (Une référence ambiguë aux Lumières: zante. D’altro canto, però, la frammentazione si ad- les «Etudes de la Nature» de Bernardin de Saint-Pierre, dice perfettamente all’argomento (si parla di margini pp. 177-182). non di margine), lasciando intuire al lettore le linee di Sinora non si riscontrano sorprese, ma solo «redi- un’evoluzione che percorre tutta la seconda metà del tes». Più interessante si rivela la sezione riguardante XVIII secolo. «les pratiques culturelles», fatta eccezione dell’articolo Il libro è suddiviso in quattro parti, che corrispon- di Claudine POULOIN (Les érudits de l’Académie des In- dono ad altrettanti assi di studio: «Les limites du di- scriptions et Belles-Lettres, marginaux des Lumières, pp. scours des Lumières», «Les zones d’incertitude et 185-199) che non sembra minimamente considerare il d’interférence», «Les pratiques culturelles», «Marges fatto che i grandi esponenti del pensiero fi losofi co sia- problématiques et incertaines». no più che eruditi. Nei luoghi di riunone e nei salotti Si trattava anzitutto di esaminare come i Lumi arri- alla moda è normale non solo tendere a rifare il mondo, vino a pensare i limiti della validità del loro discorso. ma a prendere in derisione i generi alla moda. La paro- Il sofi sta introduce un elemento di disturbo quando dia dei generi letterari resi al burlesco è quasi un atto cerca di disorientare l’esercizio legittimo del pensie- dovuto, afferma Jean-Marie GOULEMOT, affrontando ro. All’interno del discorso illuministico, come mostra con estrema fi nezza il tema della parodia (De la paro- Georges BENKERASSA, esistono tracce di sofi stica, sotto die et de ses marges, pp. 201-213). Oggetto riprodotto,

ultime 396 4-12-2006, 21:35:19 Settecento 397

senza garbo, nell’intervento di Benoît MELANÇON (Ora- di Raynal, dei collaboratori e delle fonti gli permette, lité, brièveté, spontanéité: le cas du marquis de Bièvre, attraverso l’analisi di alcuni passi del testo, di appor- pp. 215-224). Ma anche il giornalismo, alla stregua del tare dati inediti allo studio del pensiero francese set- «calembour» insegna Jacques WAGNER, accolto come tecentesco sulla schiavitù. In appendice al saggio due prodotto di circostanza (Marginalité et journalisme en- importanti “Annexes”, in cui si confrontano passi de- tre 1756 et 1786, pp. 225-247). gli intellettuali scozzesi Millar e Robertson, e un testo L’ultima sezione rinvia il quesito di partenza al inedito del barone Bessner con passi analoghi de l’Hi- mittente: il margine applicato a Caraccioli può essere stoire des deux Indes. Nel suo insieme, il “dossier” è pertinente solo consultadone incessantemente l’opera, un buon contributo allo studio di temi cruciali per la sostiene Martine JACQUES (L’œuvre de L. A. Caraccioli, conoscenza del Settecento francese. ou les anamorphoses de la littérature apologétique face aux Lumières. Un parcours de la norme à la marge, pp. [CARMINELLA BIONDI] 263-278); mentre Yves CITTON parlando di fi siocrazia si interroga sul signifi cato di Lumi (L’ école physiocra- tique au coeur ou dans les marges des Lumières?, pp. Scrivere la storia. Atti del convegno di Macerata, 251-262). 28 maggio 2003, a cura di STEFANIA VALERI, con in- Ci voleva un volume per spiegare che il margine troduzione di Patrizia OPPICI. Firenze, Le Monnier equivale a ciascuna delle parti periferiche, spesso de- 2004, pp. 187. limitate, di una superfi cie individuata, quando l’illumi- nismo è ancora nebulosa? Dei tredici saggi contenuti in questo volume si ren- [MARISA FERRARINI] derà conto esclusivamente di quelli inerenti alla storio- grafi a ed alla cultura francese. Nell’intervento Louis- Sébastien Mercier, le «Tableau de l’histoire» (pp. 37- “Lumières”, Dossier L’esclavage et la traite sous le 48), Stefania VALERI sottolinea che tra la fi ne del Sei- regard des Lumières, n. 3, 1° semestre 2004, pp. 158 cento e i primi decenni del Settecento nasce il concetto moderno di storiografi a, intesa come disciplina volta Come sottolinea Jean Mondot nell’Avant-propos, ad attestare scientifi camente la realtà dei fatti, distin- questo dossier, che riunisce i contributi di quattro guendosi dal romanzo. Nella prassi si avverte tuttavia autori, non si propone – e non potrebbe essere diver- il perdurare della celebrazione delle gesta dei sovrani e samente – di «apporter des réponses à l’ensemble des la sopravvivenza della visione provvidenzialistica della questions soulevées par cet intitulé, mais seulement storia. Esempio signifi cativo del prevalere della tradi- d’en étudier quelques aspects» (p. 7). E sugli argomen- zione sul rinnovamento sono le Storie di Francia scritte ti specifi ci prescelti, i saggi, oltre ad apportare nuove alla vigilia della Rivoluzione, in particolare i Portraits conoscenze, hanno il grande merito di suscitare inter- des Rois de France di Mercier. Di quest’opera esistono rogativi e quindi di stimolare la rifl essione e il dibattito. tre edizioni, dal cui confronto emergono l’evoluzione Apre il volume uno studio piuttosto ampio sulla teo- del pensiero di Mercier, le contraddizioni insite nel suo ria della schiavitù nel libro XV dell’ Esprit des lois di approccio alla storiografi a ed i ripensamenti nei quali Montesquieu (Montesquieu et l’esclavage, pp. 11-52), si rifl ettono i dibattiti del momento. Nonostante sia un in cui Céline SPECTOR fa il punto delle ricerche, nume- intellettuale engagé, convinto del ruolo attivo degli rose, sull’argomento e propone nuove piste di lettura, scrittori nel rinnovamento della società, Mercier sce- riattulizzando il pensiero montesquiviano in quello che glie di tacere sui regni di Louis XIV e Louis XV, cioè di ha di concettualmente fondante: «Montesquieu aide non affrontare vicende prossime al suo tempo. Questa à penser les constructions conceptuelles qui ont pu reticenza da parte dello scrittore si spiega con il timo- réussir à légitimer l’illégitimable […]. A ce titre, son re di incorrere nelle rimostranze della censura e con la oeuvre peut servir d’instrument critique face aux nou- volontà di affrontare questi temi in testi di carattere velles formes de domination» (p. 51). Gli ultimi due più informale, come l’An 2440. In quest’opera l’auto- saggi, per certi versi complementari, sono focalizzati su re immagina di svegliarsi nel 2440 in una Parigi in cui di un argomento: la tratta negriera nel Settecento, e su regnano giustizia ed uguaglianza, in contrasto con la di un luogo importante di tratta: il porto di Bordeaux. società di Ancien Régime, la quale rappresenta il bersa- Sono rispettivamente Bordeaux, la traite négrière, glio polemico di tale testo. È tuttavia con il Tableau de l’esclavage: le point sur la question (pp. 95-106) di Sil- Paris, pubblicato ad Amsterdam nel 1782, che Mercier via MARZAGALLI e Le “Musée” négrier (pp. 109-125) di inaugura un nuovo e felice approccio storiografi co. In Maïté BOUYSSY. Il primo fa un’opportuna sintesi delle questo vasto affresco della Francia prerivoluzionaria importanti ricerche compiute negli ultimi anni che per- l’autore dà voce anche alla gente del popolo, da sem- mettono di avere un’idea più precisa delle dimensioni e pre esclusa dalla storiografi a tradizionale. È qui che dei contorni della tratta negriera (in particolare quella Mercier descrive la società in cui egli vive ed esprime bordolese) e del dibattito locale su tratta e schiavitù. fi nalmente la sua preferenza per la storia del suo tem- Il secondo studia una società letteraria denominata po, l’unica che a suo awiso possa dare agli uomini stru- “Musée de Bordeaux”, creata nel 1783, di cui facevano menti per rifl ettere e cambiare. Lungi dunque dal non parte i notabili della città: uomini di cultura, avvocati, provare interesse per la storia contemporanea, Mercier ricchi commercianti, anche commercianti implicati nel ritiene che essa sia la sola dotata di utilità pratica. Il commercio negriero. Nel ricostruire la fi sionomia di grande contributo di questo scrittore alla storiografi a questa Società di provincia, lo studioso coglie una sor- consiste proprio nell’approccio con il presente, mentre ta di discrasia tra gli argomenti leggeri, se non frivoli, la trattazione che egli fa del passato non si allontana che si affrontavano nelle riunioni (non vi si parlò mai di dagli schemi della histoire rhétorique. tratta) e il fatto che dal suo seno siano usciti·molti dei Carole DORNIER, nell’intervento Analyser la terreur futuri Girondini. Il saggio più importante del volume par l’ironie (les Mémoires de l’abbé Morellet) (pp. 49- è quello che Gianluigi GOGGI dedica a Diderot, Raynal 60), mette in evidenza la differenza di approccio alla et les lumières écossaises (pp. 53-93). La sua ben nota disciplina da parte degli storici e dei memorialisti nel- conoscenza dell’Histoire philosophique des deux Indes l’Ancien Régime. I primi, per lo più alle dipendenze

ultime 397 4-12-2006, 21:35:20 398 Rassegna bibliografi ca

dei sovrani, privilegiano la qualità letteraria delle loro tien, par l’utilisation de la prose, ainsi que par la leçon opere, mentre i secondi, spesso aristocratici caduti in politique et morale. Selon le Groupe de Coppet – et en disgrazia, danno maggior importanza all’autenticità dei particulier selon Mme de Staël et Benjamin Constant fatti riportati, senza curarsi troppo della forma. L’aba- – 1’épopée pourrait exprimer l’esprit de la liberté par te Morellet è un protagonista della scena intellettuale le choix d’un sujet pris dans le Moyen Age et par l’évo- e politica del Settecento e vede negli ultimi anni del- cation des vertus poétiques chevaleresques (IVe partie la monarchia un periodo felice, di grande prosperità «Epopée de l’Empereur et croisades pour la liberté»). culturale, contrapposto all’età rivoluzionaria, foriera L’auteur démontre par une logique claire que la di catastrofi sociali e politiche. Nella prima parte delle conception de Voltaire représente un point de repère sue memorie Morellet racconta la sua ascesa in società, dans l’histoire de l’épopée européenne au siècle des mentre nella seconda, corrispondente al periodo rivo- Lumières, suscitant des débats successifs autour de luzionario, riferisce le diffi coltà ed i problemi incontra- trois concepts fondamentaux: poésie, histoire et po- ti sulla sua strada. Emblematico, a questo proposito, litique. Les lignes d’opposition à Voltaire conduiront è l’episodio in cui egli narra la sua richiesta: di un do- théoriciens et poètes à l’épopée romantique au siècle cumento necessario per ottenere una pensione ed una suivant. Ce nouveau genre cherche à retrouver l’in- rendita sotto il regime del Terrore. Ricorrendo alle ar- telligence poétique, le mythe des origines et la vision mi dell’ironia, della parodia ed anche della commedia, transhistorique de la nation et procède par la fragmen- Morellet descrive dettagliatamente l’iter seguito nella tation du projet épique et par une rupture défi nitive speranza di ottenere tale certifi cato, il quale gli fu pur- entre l’épopée et le roman. troppo negato. Lo scrittore ha modo, nel suo peregri- [OLGA PENKE] nare, di assistere alle assemblee della Comune, che egli paragona ad un quadro di Hogart per il carattere grot- tesco di chi la popola. Egli si sofferma poi a descrive- VOLTAIRE, Voltaire éditeur. Œuvres de 1769-1770, re la volgarità e la mancanza di eloquenza della nuova (II), Oxford, Voltaire Foundation («Les Œuvres com- classe dirigente. La sua opera memorialistica è dunque plètes de Voltaire», 71B), 2005, pp. XIX + 480. una condanna della Rivoluzione ed una sorta di inter- pretazione burlesca del Terrore, modello di fallimento Il testo più importante compreso in questo volume dell’autorità esercitata dal popolo. delle Œuvres complètes de Voltaire è rappresentato [WILMA PROGLIO] senza alcun dubbio dal Discours de l’empereiur Julien contre les Chrétiens, che occupa anche la maggior par- te di esso (pp. 139-457). Presentata come una «nou- JEAN MARIE ROULIN L’Epopée de Voltaire à Chateau- velle édition» della Défense du paganisme par l’empe- briand: poésie, histoire et politique, Oxford, Voltaire reur Julien pubblicata per la prima volta dal marchese Foundation, 2005 («SVEC 2005:03»), pp. 277. d’Argens nel 1764, l’edizione di Voltaire era in realtà tutt’altra cosa rispetto alla precedente, intrattenendo Cette monographie comble une véritable lacune con la Défense, col primo editore di essa e con lo stes- présentant un domaine mal connu et peu étudié: l’his- so autore delle relazioni molto complesse che il cura- toire du poème épique ou de la poésie philosophique tore della presente edizione, Jean-Michel Moureaux, et narrative du XVIIIe et du début du XIXe siècle. Le ricostruisce nella lunga (pp. 143-224) e dotta «Intro- chemin parcouru dans le livre va de l’épopée antique, duction» che precede il testo propriamente detto. Co- référence et modèle pour les écrivains modernes, jus- me è noto, era stato il marchese d’Argens che, per pri- qu’à Chateaubriand et le Groupe de Coppet, à travers mo, aveva estratto dall’opera che Cirillo aveva com- la Renaissance et le siècle classique. C’est Voltaire qui posto a confutazione del trattato (andato perduto) domine la première période de cette histoire avec l’ Es- che l’imperatore romano aveva scritto contro la setta sai sur la poésie épique et La Henriade, période carac- dei Cristiani o, per riprendere la sua stessa dizione, térisée par l’historisation et la politisation du genre. Le dei Galilei, e aveva messo in ordine i diversi brani. Li livre offre une analyse pertinente du programme histo- aveva fatti precedere da un «Discours préliminaire» rique de Voltaire réalisé dans l’épopée. (Ie partie «De e da delle «Réfl exions sur l’ empereur Julien» nelle l’épopée classique tardive» et IIe partie «Le poème épi- quali aveva offerto di Giuliano un’immagine sostan- que comme roman de formation du souverain»). zialmente compatibile con le idee dell’epoca, un’im- L’apparition de deux sous-genres (le poème de la magine peraltro suffragata dalle numerose note, di nature et le poème didactique) et une redéfi nition de cui alcune molto lunghe, che accompagnavano il te- l’épopée par Marmontel dans l’Encyclopédie ainsi que sto, proposto in una traduzione non sempre fedele ma la publication de ses romans didactiques apportent des tale da far entrare il testo di Giuliano nei canoni di un changements au milieu du siècle. La transformation deismo tutto sommato accettabile. Di fronte a que- fondamentale interviendra avec l’épopée ‘primitive’ sto testo Voltaire assume una posizione strana, anche dont les théoriciens les plus importants seront Sulzer, se, per altro verso, comprensibile: lungi dal limitarsi Bodrner et Breitinger. Les Eddas de Mallet, les Poé- ad agire come «éditeur» (non ce ne sarebbe peraltro sies d’Ossian de Macpherson et le pastoral-épique de stato bisogno, visto che proprio in quegli stessi mesi Bitaubé traduisent la nostalgie des origines (IIIe partie il marchese d’Argens stava preparando la terza edi- «De l’Encyclopédie à la Révolution: épopée républicai- zione della Défense), Voltaire ne approfi tta per fare ne ou épopée nationale?»). un’operazione di riscrittura (messa peraltro sul conto L’inspiration nationale et historique, le poème épi- di un’équipe di autori diversi) fi nalizzata a servire alla que ‘primitif’ et l’épopée biblique (avec la redécouver- battaglia che sta conducendo da anni contro l’Infâ- te de Milton) coexistent à la fi n du siècle. La romanisa- me. Inizia con il sostituire i due testi introduttivi del tion et l’historisation parallèle de l’épopée permettent marchese d’Argens con un «Portrait de l’empereur de présenter l’individu en tant que sujet et victime de Julien» e con un «Examen du Discours de l’empe- l’Histoire. Le Génie du Christianisme, Les Natchez et reur Julien contre la secte des Galiléens» destinati en- Les Martyrs de Chateaubriand renouvellent le genre trambi ad offrire dell’imperatore romano, e della sua par la valorisation de l’héritage gréco-romain et chré- opera, una lettura assai più funzionale alla sua stessa

ultime 398 4-12-2006, 21:35:20 Settecento 399

battaglia, e fa seguire il Discours propriamente detto et réception. Études présentées par JONATHAN MAL- da un «Supplément» nel quale, in maniera ancora più LINSON, Oxford, Voltaire Foundation, 2004 («SVEC, scoperta, prende le distanze non solo dal marchese 2004: 12»), pp. 419. d’Argens ma anche dallo stesso Giuliano, rinviando, per una critica della religione cristiana assai più effi - L’ouvrage réunit les études présentées lors d’un col- cace dell’opera dell’imperatore, ad una sua propria loque sur Mme de Graffi gny qui s’est tenu à Oxford opera, quell’Examen important de milord Bolingbro- en 2002. Il se divise en deux parties dans le cadre des- ke, nel quale, riprendendo, ma in pratica rifacendo quelles les articles sont groupés en unités thématiques. alcuni scritti del pensatore inglese, aveva sferrato il En présentant le volume, J. Mallinson pose la question suo primo, terribile attacco contro la religione cri- qui préside à l’ensemble des approches: «Qui est Fran- stiana, o per essere più esatti contro l’interpretazione çoise de Graffi gny que nous croyons connaìtre?» (p. che ne avevano dato le chiese storiche. La stessa cosa xv). Pour essayer d’y répondre, les auteurs abordent fa con l’abbondante annotazione che accompagnava divers aspects de la vie, de la personnalité et de l’œuvre l’edizione del marchese: elimina le note meramente de l’écrivaine. erudite (salvando solo quelle strettamente necessa- La première partie («Écriture») s’ouvre sur le pro- rie), interviene nelle altre tagliando e modifi cando in blème de la «diversité et originalité». Catriona SETH funzione del senso che vuole dare al testo dell’impe- (‘Je ne suis pas bien aise d’être connuë comme auteur’: ratore Giuliano, ne aggiunge altre nelle quali non solo la «Nouvelle espagnole» de Mme de Graffi gny, pp. ristabilisce il vero senso delle parole dell’imperatore 5-15) examine la nouvelle qui révèle une débutante (edulcorato dall’editore precedente), ma lo interpreta s’essayant à vérifi er les frontières du genre. La nou- spesso nel senso richiesto dai suoi propri interessi o velle suivante témoigne d’une maîtrise progressive della sua propria visione; talché, alla fi ne, quella che de l’art de conter: parodique et allusive, elle montre idealmente doveva essere una semplice “riedizione”, les possibilités diverses du style de ollme de Graf- diventa un’opera in qualche modo autonoma, come fi gny (Anne DEFRANCE, «La Princesse Azerolle, ou sottolinea peraltro anche il nuovo titolo, Discours de l’Excès de la constance» de Mme de Graffi gny: conte l’empereur Julien contre les chrétiens, assai più esplici- parodique, conte d’auteur?, pp. 16-25). À partir de la me to e chiaro sulle vere intenzioni di Voltaire. pièce Cénie de M de Graffi gny, Russell GOULBOURNE L’altro testo compreso nel presente volume dovreb- (Genre littéraire, sexe féminin: les enjeux esthétiques de be essere la riedizione, ancorché corretta e riveduta, «Cénie», pp. 26-40) étudie le problème de la position della Sophonisbe di Mairet. Il titolo dell’opera è infatti: des femmes-auteur dans la société de l’époque. Perry Sophonisbe, Tragédie de Mairet, Réparée à neuf. In real- GETHNER (Les «pièces nouvelles» de Graffi gny: de la tà, si tratta piuttosto di un rifacimento al quale Voltaire comédie sentimentale au drame, pp. 41-49) démontre lavorò a partire probabilmente dal 1768, che apparve a la nouveauté de Cénie et de La Fille d’Aristide de qui stampa nella primavera del 1770 e che fu rappresentata servent de transition entre la comédie larmoyante et le per la prima volta a Parigi all’inizio del 1774. Se l’acco- drame bourgeois. English SHOWALTER (Mme de Graffi - glienza fatta all’edizione del 1770 era stata abbastanza gny en 1752, pp. 50-59) présente une année de la vie de favorevole, assai meno lo fu quella riservata alla rap- l’écrivaine au sommet de son œuvre et de sa gloire. Le presentazione del 1774, che deluse profondamente gli second groupement d’études («Écrire la vie») touche à spettatori, i quali, assai più dei lettori. colsero, come fa la problématique de l’écriture de soi chez Mme de Graf- notare Christopher Todd nella sua «Introduction» al- fi gny. Rotraud von KULESSA (Françoise de Graffi gny et la presente edizione, «La faiblesse des quatre premiers la genèse des «Lettres d’une Péruvienne»: l’écriture com- actes, qu’il trouva froids et languissants». Voltaire ave- me auto-réfl exion, pp. 63-73) s’intéresse aux étapes de va in effetti cercato di correggere i difetti della pièce di la rédaction du roman, processus où se refl ètent la ré- Mairet, di cui pure aveva sottolineato e riconosciuto i fl exion sur l’écriture et le dialogue avec soi-même. Re- meriti storici, alla luce della sua visione del poema tra- nate KROLL (La réécriture de soi-même, ou «exister par gico e delle regole che, nel frattempo, si erano imposte écrire»: fi ction et authenticité fi ctive chez Françoise de in Francia a seguito del perfezionamento del gusto. Ne Graffi gny, pp. 74-83) propose de lire les Lettres d’une era venuta fuori un’opera certamente più regolare, or- Peruvienne comme une œvre autobiographique en dé- dinata ed elegante di quella di Mairet (e ancor più di gageant la stratégie littéraire dont se sert la romancière quella di Corneille, nei riguardi della quale Voltaire afi n de «s’écrire elle-même, de se projeter dans sa pro- non aveva nascosto le sue riserve) ma anche più banale, pre image». Aux yeux de Béatrice DIDIER (Épistolarité e non scevra di luoghi comuni. Dopo quella prima rap- et journal intime: les lettres de jeunesse de Mme de Graf- presentazione, Voltaire intervenne sul testo, così come fi gny, pp. 84-91), les lettres de la jeune femme ont cer- vi intervenne Lekain. La pièce ebbe una seconda rap- tains traits communs avec le journal intime; elles sont presentazione accolta meglio della prima ma che non aussi un exercice d’ écriture précieux. Selon Renaud sollevò l’entusiasmo del pubblico, di modo che non fu REDIEN-COLLOT (Le statut d’auteur dans la correspon- ripresa che molto raramente, come era successo per al- dance privée de Mme de Graffi gny: assomption et renon- tri tentativi simili. Non solo le forze, ma anche lo stile, ciation, pp. 92-106), Graffi gny se joue, dans les lettres, ormai troppo fi gé, impedivano a Voltaire di produrre de la tension entre le «pacte affectif» et le «pacte de più opere teatrali veramente valide. Il teatro francese l’écriture». La troisième réunion d’articles («Graffi gny aveva ormai decisamente bisogno di imboccare altre lectrice») concerne les diverses lectures, et leur impact, strade, di tentare altre soluzioni, diverse da quelle della qu’attestent les mentions et réfl exions dans la corres- me tragedia classica. pondance de M de Graffi gny (Aurora WOLFGANG, Completano questo bel volume, stampato con la so- “Notre vieille amie”: Mme de Sévigné dans la corres- lita cura dalla Voltaire Foundation, il Catalogo delle pondance de Mme de Graffi gny et Devaux, pp. 109-117; opere citate e l’Indice dei nomi. Jonathan MALLINSON, “Cela ne vaud pas Zaïde”: Graffi - [FRANCO PIVA] gny lectrice de Mme de La Fayette, pp. 118-128; Suzan van DIJK, Les femmes se lisaient-elles? Importance des collègues pour la venue à l’écriture, pp. 129-145). Le Françoise de Graffi gny, femme de lettres. Écriture quatrième groupe d’analyses («Graffi gny et ses con-

ultime 399 4-12-2006, 21:35:20 400 Rassegna bibliografi ca

temprains») présente divers aspects des rapports en- 356-366), est de savoir si le roman de Graffi gny légi- tre Mme de Graffi gny et certains écrivains de son épo- time une double approche, rhétorique (sur le discours) que, qui ne manquent pas de réserves (Rousseau) ou et herméneutique (sur le texte). L’examen attentif du de sentiments ambivalents (Nivelle de La Chaussée): dénouement, des deux incipit (les lettres l et 18) et de me Laure CHALLANDES, M de Graffi gny et Rousseau, pp. la composition du roman mènent à la conclusion que 149-158; Catherine VOLPILHAC-AUGER, Montesquieu et « Le récit est un quipo, c’est-à-dire un nœud, qui n’a ni Mme de Graffi gny: regards croisés, regards obliques, ou début ni fi n, mais qui n’existe que grâce à l’inscription Histoire d’un Persan et d’une Péruvienne, pp. 159-168; du sentiment amoureux dans le geste même de la com- Catherine FRANÇOIS-GIAPPICONI, Une géante et… un position». L’analyse d’Ann LEWIS (La sensibilité dans myrmidon? Graffi gny et Nivelle de La Chaussée, à pro- les «Lettres d’une Péruvienne»: expérience esthétique, pos de «Cénie» et de «La Gouvernante», pp. 169-178; modèle de la communication, pp. 367-379) éclaircit Melissa PERCIVAL, Graffi gny et La Font de Saint Yenne, les diverses signifi cations du terme ‘sensibilité’, et les pp. 179-190. met en relation «avec les modèles de la communica- La deuxième partie du recueil («Réception») com- tion des sentiments et de l’expérience esthétique». mence par l’ensemble d’études sur les «Images de Sharon Diane NELL (“Un grand nombre de bagatelles me Graffi gny». Colin HARRISON (Les portraits de M de agréables”: Zilia vis-à-vis des divertissements du ‘ro- Graffi gny, pp. 195-211) passe en revue les portraits de coco’, pp. 380-388) situe les Lettres d’une Péruvienne l’écrivaine et en dresse un catalogue avec des rensei- vis-à-vis de l’idéologie ‘rococo’. Zilia, il est vrai, rejette gnements qui rectifi ent les identifi cations erronées ou la frivolité et le langage ‘rococo’ des Français,mais elle douteuses. Joan HINDE STEWART (“Still life”: la vieille jouit des ‘bagatelles’ lorsqu’elle prend possession de dame et la mort, pp. 212-228) retrace le récit émouvant son « château». Marie-Pascale PIERETTI (D’un ‘échange des dernières années et de la mort de la romancière à unilatéral’ à un autre: variations sur un choix stylisti- qui l’hémorragie cérébrale a enlevé la parole, ce que que dans les «Lettres d’une Péruvienne» et les «Lettres l’A. considère comme symbolique. Christina IONESCU de Mistriss Fanni Butlerd», pp. 389-397) compare ces (La série illustrative dessinée par Le Barbier l’aîné pour deux romans de femmes par le biais des préfaces et de les «Lettres d’une Péruvienne» de Mme de Graffi gny, pp. la présence des narrataires et des lecteurs. À la fi n du 229-245) fait une présentation des six gravures jointes volume se trouve la «Bibliographie: Mme de Graffi gny, au texte des Lettres d’une Péruvienne dans l’édition sa vie et ses œuvres» (pp. 399-414) rédigée par Chris- Mignet de 1797. Jean SGARD (La lettre sur «Cénie», tina IONESCU – liste fort riche des livres, articles et étu- pp. 246-257) considère les comptes rendus de Cénie, des, indispensable pour tout chercheur qui s’intéresse que les meilleurs critiques de l’époque ont fait paraître à Mme de Graffi gny. dans la presse. La série suivante d’études porte sur les Les articles contenus dans ce volume permettent de traductions des œuvres de Mme de Graffi gny: de ses faire un long parcours de l’ensemble de l’œuvre, con- pièces (Charlotte SIMONIN, Des sœurs d’outre-Manche, nue et inconnue, de Mme de Graffi gny. Ils font aussi ou les versions anglaises de «Cénie» de Mme de Graffi gny, état des recherches actuelles sur la vie et l’œuvre de cel- 261-271) et des Lettres d’une Péruvienne, en anglais et le qui fut «une femme de lettres aussi différente d’elle- en russe (Annie RIVARA, Les «Lettres d’une Péruvienne» même que des autres» (J. Mallinson, p. xv). traduites en Angleterre et en Russie, pp. 272-287 ; An- drew KAHN, Les «Lettres d’une Péruvienne» et la cul- [REGINA BOCHENEK-FRANCZAKOWA] ture du livre en Russie au dix-huitième siècle, pp. 288- 296). «Graffi gny, féministe» est le titre de la troisième section d’articles. Robin HOWELLS (Le féminisme de la ABBÈ PREVOST, Mémoires pour servir à l ‘histoire de «Péruvienne», pp. 299-310) analyse en particulier les Malte ou Histoire de la jeunesse du commandeur de ***. lettres 33 et 34 de l’édition 1752 pour prouver que l’on Présentation, notes, annexes, chronologie et bibliogra- a affaire à trois ‘féminismes’ : le nouveau modèle de la phie par RENÉ DEMORIS et ERIK LEBORGNE, Paris, Edi- femme ; la critique des mœurs et de la mondanité; le tions Flammarion, 2005 («GF», 1196), pp. 307. mythe personnel de la romancière. Dans l’étude de Na- dine BÉRENGUIER (Zilia, une adolescente hors du com- Un recente convegno celebrato all’Università di Paris mun, pp. 311-318), la référence aux ‘livres de condui- III - La Sorbonne Nouvelle, e dei cui Atti «Studi France- te’ de l’époque permet de saisir ce que l’autonomie de si» ha dato conto nel n. 145, ha evidenziato l’importan- l’héroïne a de provoquant et d’original. Laura J. BURCH za che le opere che l’autore di Manon Lescaut compose (La nouvelle république des lettres: Graffi gny et l’amitié attorno agli anni Quaranta rivestono, dal punto di vista philosophique, pp. 319-327) présente les aspirations de dell’ideologia e della forma, tanto nell’economia dell’ope- Mme de Graffi gny à l’esprit philosophique et à une ra prévostiana quanto nella più ampia storia del romanzo nouvelle république des lettres d’où les femmes ne se- francese settecentesco. La riprova sta nella Jeunesse du raient pas exclues. Janie VANPÉE (Etre(s) sans papier et Commandeur ora opportunamente riproposta in un’edi- sans domicile fi xe: la femme comme fi gure de l’étranger zione tascabile, quindi alla portata di un pubblico vasto e chez Graffi gny, pp. 328-336) propose d’interpréter Zi- non necessariamente specializzato. lia et Cénie «comme l’incarnation fi ctive, mais toute- Per troppo tempo trascurata dalla critica oltre che fois, concrète, de cette notion abstraite de l’ étranger dai lettori, la Jeunesse du Commandeur si rivela alla let- esquissé dans l’Encyclopédie». Heidi BOSTIC (“Que tura opera, non solo di una sorprendente freschezza e faire pour être raisonnable?”: «La Réunion du bon sens modernità, ma anche di grande importanza per com- et de l’esprit» de Françoise de Graffi gny, pp. 337-344) prendere l’evoluzione del pensiero e, più in generale, présente une pièce en un acte, inédite. Sous le titre: della visione che Prévost venne facendosi dell’uomo «Lire les Lettres d’une Péruvienne» sont réunies di- e del mondo in quegli anni Quaranta che, se furono verses interprétations de ce roman. David SMITH (Vers per lui diffi cili dal punto di vista materiale, furono pe- une édition critique des «Lettres d’une Péruvienne», pp. rò anche fondamentali dal punto di vista ideologico e, 347- 355) présente les multiples problèmes d’édition per certi versi, anche formale. Prévost, osservano con du roman. La question que se pose Jan HERMAN (Les grande acutezza gli editori, «a réussi le tour de force «Lettres d’une Péruvienne»: nœuds et dénouements, pp. d’écrire un roman d’aventures – tempêtes, corsaires,

ultime 400 4-12-2006, 21:35:21 Settecento 401

enlèvements sont au rendez-vous – et d’en faire, sans Denis Diderot. Textes réunis et présentés par RAY- pathétique, le témoignage d’un désespoir éminemment MOND TROUSSON, Paris, Presses de l’Université Paris- moderne, sur l’absurdité de l’univers et l’inhumanité Sorbonne, 2005 («Mémoire de la critique»), pp. 598. des humains, à travers la voix d’un narrateur qui n’en veut rien savoir». «Roman critique – osservano ancora Se oggi Diderot è considerato da tutti come uno R. Démoris e E. Leborgne – le Commandeur navigue dei rappresentanti più signifi cativi ed innovativi del au vent de la folie». In queste puntuali osservazioni sta XVIII secolo, non si deve credere che altrettanto egli sia tutta la straordinaria novità di questo romanzo che, per stato per i suoi contemporanei, i quali faticarono anzi molti versi, può essere accostato alla contemporanea, molto a distinguerlo dal sottobosco letterario sorto al- ed altrettanto bella, Histoire d’une Grecque moderne. l’ombra delle Lumières, e non videro in lui molto più Nella lunga «Introduction» che apre il volume gli del direttore, peraltro in comproprietà col più celebre editori ricostruiscono non solo il contesto storico-bio- d’Alembert, dell’Encyclopédie; un uomo quindi capace grafi co all’interno del quale la trilogia degli anni Qua- di coordinare il pensiero altrui piuttosto che di produr- ranta – e la Jeunesse du Commandeur in particolare – è ne uno proprio, in ogni caso non in grado di dare ad nata, ma anche le grandi innovazioni che Prévost ap- esso una forma compiuta e, tanto meno, artisticamente portò alla sua scrittura sia dal punto di vista della for- valida. Da questo punto di vista, il loro giudizio fu anzi ma che dell’ideologia che la sottende. Dopo le grandi molto severo. Vero è che della produzione di Diderot illusioni e le speranze che avevano animato i romanzi gli uomini del Settecento non conobbero che una parte degli anni Trenta – i Mémoires et aventures dell’hom- molto ridotta: l’opera teatrale, peraltro poco capita ed me de qualité, l’Histoire du Philosophe anglais, il Doyen apprezzata, alcuni testi giovanili, come le Pensées phi- de Killerine – il mondo si è fatto sempre più ambiguo, losophiques e i Bijoux indiscrets, che i più consideraro- i rapporti tra le persone più incerti ed opachi, le am- no poco originali (le prime) o inutilmente «obscènes» bizioni che spingono, o sembrano spingere gli uomini (i secondi) ed altri, come la Lettre sur les aveugles o la ad agire, prive di senso, e comunque destinate al fal- Lettre sur les sourds et muets, le cui idee erano troppo limento; un fallimento causato peraltro meno dagli nuove, e sopratutto espresse in uno stile troppo poco eventi esterni, o dal destino maligno col quale si era- organico per essere capite ed apprezzate nel loro giusto no scontrati i personaggi dei primi romanzi, che dall’ valore. Messi da parte alcuni suoi «amici», la maggior ambiguità degli individui, di cui la realtà si incarica di parte dei contemporanei considerarono in altri termi- smascherare inesorabilmente gli egoismi senza fi ne, e ni Diderot uno scrittore «brouillon», incapace di dare talvolta addirittura senza ragione, protagonisti di storie al suo pensiero una forma compiuta, per di più poco che non portano da nessuna parte, se non per l’appun- originale. to verso il buco nero di una follia la quale, se non ha Il giudizio, nella sostanza, non cambiò neppure il coraggio di dire il suo nome, non è per questo meno quando, tra la fi ne del Settecento e gli inizi dell’Ot- perfi damente presente in quasi tutte le «histoires» di tocento, videro progressivamente la luce le sue opere questo periodo, e nella Jeunesse du Commandeur in maggiori, quelle che la prudenza aveva consigliato a particolare. Altrettanto problematico è l’atteggiamen- Diderot di tenere nel cassetto o di far conoscere, al più, to del narratore: se in teoria ripercorre la sua esistenza ad una ristretta cerchia di lettori fi dati: dalla Religieuse – o una parte di essa – per ricostruirla, non si capisce a Jacques le fataliste, dal Neveu de Rameau alla Vie de più bene perché lo faccia, visto che l’obiettivo che ave- Sénèque e ai Salons. I tempi non erano peraltro favore- va condotto i protagonisti dei primi romanzi – capire voli. Diderot fu vittima, come osserva Trousson, della cosa era realmente successo nella loro vita per trarne, violenta campagna di denigrazione scatenata contro le o tentare di trarne una lezione, per sé e/o per gli altri Lumières «et plus particulièrement contre les athées – non solo è alla fi ne invariabilmente mancato ma esso et les matérialistes» (p. 18) dalla Controrivoluzione non sembra addirittura interessare più di tanto al nar- prima e dal Consolato e dall’Impero poi che di quelle rateur, forse per l’inconscia consapevolezza che egli ha dottrine videro in Diderot l’antesignano ed uno dei più dell’inanità di ogni sua azione, e di ogni suo tentativo ferventi e convinti assertori. Il livore ideologico che ca- di dare ad essa un senso. Il racconto si fa non solo più ratterizzò quegli anni impedì di vedere e di apprezzare breve – la Jeunesse è poco più lunga di Manon che, non solo l’acutezza del pensatore ma anche la novità come è noto, non costituiva che il settimo tomo dei e l’originalità dello scrittore, che pure le opere di Di- Mémoires et aventures – ma anche, almeno apparen- derot fatte via via conoscere in quegli anni avrebbero temente più disorganico. La composizione en orche- quantomeno dovuto lasciar intravvedere. stre, evocata da Jean Sgard a proposito soprattutto Fu solo alla fi ne della Restaurazione, quando gli dei primi grandi romanzi che proprio grazie a questo animi cominciarono a placarsi, che, nonostante la per- tipo di composizione erano riusciti a superare il disor- sistente opposizione di coloro – i più – che erano inten- dine tipico del romanzo barocco, lascia il campo ad un zionati a distruggere l’infl uenza da loro giudicata nefa- susseguirsi di episodi che il caso, assai più della logica sta delle Lumières, qualcuno iniziò a vedere in Diderot e interna della narrazione (o del suo autore), sembrano «un des plus grands penseurs du XVIII siècle»; a questo accomunare ed accostare. La forma rispecchia il con- si arrivò da un lato mettendo la sordina alle supposte tenuto, si fa specchio di un disordine che investe tutto «hardiesses» del philosophe, dall’altro rivalutando lo il mondo. scrittore. Fu, per esempio, il caso di Charles Nodier Espressione di un periodo di crisi profonda – nella che in un celebre articolo del 1830 indicò in Diderot lo vita dell’autore certo ma più ampiamente della società scrittore che, rompendo «avec la rhétorique du passé», dell’ epoca, e della quale Prévost si fa in questi roman- si fece il «créateur de la prose moderne», dando vita ad zi attento lettore – la Jeunesse du Commandeur appare uno stile del tutto nuovo: «un style spontanée comme un’opera di una grande modernità, che dovrebbe pro- l’imagination, indépendant et infi ni comme l’âme, un prio per questo interessare e piacere a lettori che han- style qui vit de lui-même, et où la pensée s’est incarnée no attraversato l’ère du soupçon, e conosciuto, e magari dans le verbe» (p. 370). L’edizione Paulin, che costituì condiviso, la crisi del personaggio. una tappa miliare nella rivalutazione di Diderot, diede [FRANCO PIVA] subìto dopo a Sainte-Beuve l’occasione non solo di at- tirare l’attenzione dei lettori sull’appassionato autore

ultime 401 4-12-2006, 21:35:21 402 Rassegna bibliografi ca

delle lettere a Mlle Volland, ma soprattutto di indivi- e le ragioni che impedirono per così tanto tempo di duare nel «culte de la nature» e nel «vitalisme confus, comprenderlo ed apprezzarlo nella giusta misura. Una fécond et puissant» che pervadono l’opera fi losofi ca lettura quindi, quella di questa antologia critica, che si di Diderot una sorta di «substitut de la religion» (p. tradurrà anche in un utile, e sempre benefi co, esercizio 384) capace da distinguere nettamente il philosophe di igiene mentale. di Langres dall’arido materialismo di un La Mettrie [FRANCO PIVA] o di un d’Holbach, ai quali Diderot era stato fi no ad allora accomunato. Successivamente fu sull’inventore della critica d’arte che s’appuntò l’attenzione di alcu- LING-LING SHEU, Voltaire et Rousseau dans le théâ- ni esponenti della nuova corrente artistica che si sta- tre de la Révolution française (1789-1799), préface de va allora delineando in Francia: Delacroix dapprima, Roland MORTIER, Editions de l’Université de Bruxelles, e Baudelaire, in forma più compiuta, subito dopo videro («Études sur le XVIII siècle», hors série) 2005, pp. 232. in Diderot un predecessore ed un maestro; altrettanto fece Champfl eury che nel Diderot, «possédé par le dé- Può apparire temeraria l’idea di aprire un nuovo ca- mon de la réalité» (p. 420), soprattutto nell’autore di pitolo sull’infl uenza di Rousseau e Voltaire, ma in que- opere come Ceci n’est pas un conte, vide il precursore sto caso occorre subito precisare che non vi erano ad del «réalisme». L’opera di riabilitazione parve trovare oggi studi dedicati al loro infl usso sul teatro degli anni il suo compimento nei venti volumi delle Œuvers com- della Rivoluzione per mancanza di dati precisi sulle plètes che Jules Assézat e Maurice Tourneux pubblica- rappresentazioni di questo periodo. Lo studio di Henri rono dal 1875 al 1877 e nel giudizio di Pierre Larousse Welschinger (1881) appare a tal proposito incompleto, e che nel Grand Dictionnaire universel du XIX siècle indi- mentre le ricerche di André Tissier (I vol. del 1992, II cò in Diderot «l’homme complet par excellence» ed il del 2002, III di prossima uscita), sulle quali si è basa- «véritable précurseur» dei tempi moderni (p. 463). to questo volume, hanno permesso di avere un quadro In realtà, le reazioni provocate dall’edizione Assé- preciso della situazione dei teatri a Parigi tra il 1789 e zat- Tourneux furono contrastate ed il giudizio espres- il 1795. Inutile sottolineare il ruolo centrale della scena so da Pierre Larousse lungi dall’essere condiviso da per la diffusione delle idee in un periodo storico così tutti; le riserve manifestate nei riguardi della perso- particolare, in cui le opere e le fi gure di Rousseau e di nalità e dell’ opera di Diderot tornarono anzi a farsi Voltaire continuarono ad esser un punto di riferimen- più consistenti negli ultimi decenni del secolo. A nulla to. Tra il 1778 e il 1788, nel decennio che seguì la loro valsero neppure le celebrazioni, peraltro abbastanza in morte, le loro pièces continuarono ad essere messe in sordina, del primo centenario della morte; esse servi- scena con una certa frequenza (cap. I, pp. 13-14). Tra rono semmai a ravvivare le reazioni dei tradizionalisti, l’inizio della Rivoluzione e la fi ne del Direttorio, tra il tanto più che, come osserva Trousson, «l’essor scien- 1789 e il 1799 (cap. II, pp. 15-28), il loro successo tea- tiste et positiviste», che era stato all’origine dell’entu- trale continuò, anche se dal punto di vista quantitativo, siasmo di cui si era fatto portavoce Pierre Larousse, Rousseau, che scrisse un minor numero di testi teatrali, cominciava «à se heurter à un renouveau sensible de fu superato da Voltaire, le cui opere ebbero un numero l’idéalisme et du spiritualisme» (p. 29). L’Ottocento elevatissimo di rappresentazioni, preceduto solamente fi nissant manifestò quindi, nei riguardi di Diderot, le da Molière. Interessante notare che i giornali dell’epoca stesse perplessità e le stesse riserve che aveva espres- davano poco spazio a questi eventi, preferendo occu- so il secolo precedente; e per ragioni sostanzialmente parsi delle nuove opere. La studiosa offre un reperto- simili: l’esprit de parti avendo avuto ancora una volta rio preciso del titolo dell’opera rappresentata, del nu- il sopravvento sul giudizio critico. Né sotto migliori mero di volte che fu rappresentata nell’arco di tempo auspici parve aprirsi il XX secolo: testimone l’aspro di- indicato e del luogo delle rappresentazioni. Il capitolo battito scatenato nel 1912 dal progetto, fi nalmente ab- III (pp. 29-45) presenta una lista in ordine cronologico bandonato, di una celebrazione nazionale del secondo delle pièces su Voltaire e Rousseau, opere per lo più di centenario della sua nascita. circostanza, in cui i due fi losofi divenivano protagoni- La vera svolta ebbe luogo l’anno successivo, con la sti della scena: interessante la tabella riassuntiva di fi ne pubblicazione di un articolo (La pensée de Diderot) capitolo, che permette di avere un signifi cativo quadro nel quale Bernard Groethuysen invitava a scoprire in d’insieme degli anni compresi tra il 1789 e il 1799. Al- Diderot «le métaphysicien de l’esprit de fi nesse» nel la fi ne del XVIII secolo si diffuse la moda di porre sulla quale «l’esprit imaginatif» si era unito all’«esprit scien- scena il busto di un celebre autore (capitolo IV, pp. tifi que» e faceva notare come, per capire a fondo Dide- 47-52): dapprima comparvero i busti di Voltaire, poi, a rot, fosse necessario «s’attacher à l’écriture pour mieux partire dal 1793, la statua di Rousseau venne affi ancata comprendre une pensée qui se meut et se cherche»; a quella del patriarca di Ferney. Questa moda durò pe- come fosse in altri termini necessario operare «une rò poco, e, dal 1795, i busti ritornarono nei magazzini réfl exion heuristique qui doit se comprendre dans le dei teatri parigini. Diffuso anche, nell’arco del periodo moment de sa démarche et non comme un ensemble rivoluzionario, il genere drammatico in cui i due grandi dogmatique de certitudes acquises» (p. 545 e segg.). Fu philosophes tornavano sulle scene come “ombre” (cap. da questo articolo che, secondo Raymond Trousson, V, pp. 53-62): la scena si svolgeva nell’aldilà, e la loro presero avvio la vera riabilitazione di Diderot e quella presenza, effettiva o rievocata attraverso la citazione di rifl essione critica che doveva rimetterlo progressiva- brani delle loro opere, permetteva di diffondere le lo- mente al posto che nell’economia del XVIII secolo giu- ro idee senza tradirne il messaggio. L’ultimo capitolo stamente gli spettava. È, d’altra parte, quanto emerge del libro si concentra poi sull’infl uenza che le opere di dalla bella antologia che lo studioso belga ha raccolto Rousseau e Voltaire ebbero sugli autori drammatici del e messo opportunamente a disposizione di quanti ad periodo rivoluzionario: l’argomento è certamente va- essa vorranno accostarsi: vi troveranno non solo i do- sto, e l’autrice offre alcuni signifi cativi esempi di come cumenti attraverso i quali ricostruire l’itinerario della alcuni tra i testi più noti dei due fi losofi trovarono eco contrastata fortuna critica di Diderot ma anche tutta nelle pièces scritte tra il 1789 e il 1799. In conclusione una serie di testimonianze utili a capire meglio i due (cap. VII, pp. 73-79), furono soprattutto il periodo ini- secoli che seguirono la nascita del fi losofo di Langres ziale della Rivoluzione e la Convenzione a decretare il

ultime 402 4-12-2006, 21:35:22 Settecento 403

successo dei due pensatori: i due autori, spesso riuni- guaggio che permetta di conoscere attraverso la ridu- ti sulla scena, mantenevano tuttavia le loro peculiarità. zione quasi algebrica del complesso al semplice, dello Voltaire rappresentava la promessa di una libertà a ve- sconosciuto al conosciuto, assicurando la permanenza nire, mentre Rousseau simboleggiava la fi gura del fi lo- del pensiero attraverso i cambiamenti progressivi del- sofo vicino al popolo, al punto da essere chiamato sem- le parole. plicemente “Jean-Jacques”. Il volume offre ancora una [VALENTINA PONZETTO] scelta di tre testi in cui Rousseau o Voltaire compaiono come personaggi: si tratta di La veuve Calas à Paris, ou le triomphe de Voltaire (1791); Voltaire, ou une journée CAROLINE WEBER, On the Hardness of Virtue, or Feti- de Ferney (1799); La Vallée de Montmorency, ou Jean- shizing Disinterest in Beaumarchais Les Deux amis, Jacques Rousseau dans son ermitage (1798): l’ortografi a «Modern Language Notes», French issue, vol. 119, è stata modernizzata, e i testi corredati di alcune note number 4, 2004, pp. 800-818. esplicative. Chiudono il volume l’Indice dei nomi di persona, l’Indice delle opere e la bibliografi a. Les Deux amis di Beaumarchais è un buon esempio di drame bourgeois così come esso è defi nito da Dide- [PAOLA SOSSO] rot nei suoi Entretiens sur “Le fi ls naturel”. Personaggi principali della pièce sono infatti il ricco mercante lio- nese Aurelly e il suo amico Mélac, esattore delle impo- LUC MONNIN, Condillac: le rêve d’un réductionniste, ste, membri di un’intraprendente borghesia mercantile «Modern Language Notes», French issue, voI. 119, e meritocratica, rappresentata come salutare alternati- number 4, 2004, pp. 819-844. va all’ozio di una noblesse d’épée ineffi cace ed egoista. Su uno sfondo di vecchia terminologia marxista, e fa- Luc Monnin presenta in questo articolo come, alla cendo costante riferimento a concetti psicananlitici quali base del sistema di pensiero di Condillac, vi sia il so- il feticismo come sospensione della conoscenza trauma- gno, peraltro condiviso da molti pensatori del XVIII se- tica, o le teorie di André Green sulla repressione, la ne- colo, da De Brosses a d’Alembert e agli enciclopedisti gazione, e tutta la sfera del négatif in generale, Caroline in generale, di poter ridurre per via analitica tutte le co- Weber si propone di mostrare le ambiguità etiche della noscenze umane, per quanto complesse, alla loro ori- «vertu dure» incarnata dall’eroe mercantile di Beaumar- gine comune, cercando il semplice dietro il complesso, chais. Tale etica si presenta come fondamentalmente non il noto dietro l’incognito, unifi cando e fondendo cono- egoistica, perché fa del profi tto, inteso in senso lato come scenze sparse e contingenti paradossalmente proprio a prosperità dell’impresa e, per estensione, della Nazione, misura che esse si complicano. una priorità fondamentale, da perseguirsi al di sopra an- Per spiegare questo sogno, l’autore procede dappri- che delle più forti inclinazioni personali. Il mercante deve ma ad un breve richiamo delle teorie empiriste abbrac- allora disinteressatamente negare sentimenti come l’amo- ciate da Condillac, secondo cui il mondo dei fenomeni re o la pietà in qualsiasi momento sembrino opporsi al è insieme la fonte e l’oggetto delle sensazioni, e in que- successo fi nanziario. L’autrice suggerisce però che questa ste va cercata la semplicità originaria, il punto da cui si enfasi sul valore non egoistico largamente patriottico del- sviluppa tutto il sistema di conoscenza analitica. Quin- le attività del mercante nasconda in realtà grandi iniquità di, seguendo la via già tracciata da Jacques Derrida in socio-economiche, e serva di copertura autogiustifi cativa L’Archéologie du frivole, egli passa a mettere in luce e alle storture di un sistema che non fa che contribuire a sciogliere le articolazioni problematiche e le apparenti mantenere. aporie del sistema di Condillac. A questo proposito la Weber istituisce un parallelo Per l’abate, l’analisi, processo di scomposizione originale, anche se discutibile, fra il comportamento e ricomposizione ordinata delle diverse parti di una degli eroi del dramma borghese settecentesco e la logi- sensazione, è una facoltà della sensazione stessa. D’al- ca dei praticanti occidentali delle dottrine yogico-bud- tra parte, siccome non abbiamo accesso al mondo che diste così come essi vengono descritti da Slavojiek: un tramite le sensazioni, dobbiamo necessariamente con- atteggiamento distaccato e disinteressato, apparente cludere che la sensazione è insieme soggetto e oggetto garanzia di elevazione morale e di non implicazione nel dell’analisi. Dunque, paradossalmente, ciò che svilup- sistema capitalistico imperante, non sarebbe in realtà, pa, riprende e trasforma la sensazione in intelligibile è per gli uni come per gli altri, che un comodo modo per ancora la sensazione stessa. Le idee sono ancora per- chiudere gli occhi di fronte alle ingiustizie e al rapace cezioni più o meno astratte ed elaborate, dunque della consumismo che essi stessi contribuiscono ad alimen- stessa natura delle sensazioni, e possono, proprio come tare. Il paradosso del drame bourgeois sarebbe così che queste, essere analizzate e ricombinate. E siccome l’in- nel suo stesso tentativo di dipingere le virtù esemplari telletto umano compie questa operazione di scomposi- della classe mercantile esso rivela i perversi meccanismi zione del pensiero tramite il linguaggio, per Condillac di rimozione e autogiustifi cazione su cui queste virtù non vi è arte di pensare senza di esso, cosicché la gram- sono fondate, e le dure realtà economiche che la retori- matica può essere considerata «comme la première ca dell’etica non riesce a nascondere. partie de l’art de penser ». Radicalizzando questa concezione del linguaggio [VALENTINA PONZETTO] come metodo analitico, egli vi applica metodi matema- tici. Come nell’algebra, «la meilleure des langues», si possono risolvere equazioni attraverso un susseguirsi ÉTHEL GROFFIER, Le stratège des Lumières. Le comte di proposizioni identiche che portano ad individuare de Guibert (1743-1790), Paris, Champion («Les Dix- le incognite, così, sebbene in maniera più imperfetta, huitièmes siècles», 89), 2005, pp. 413. l’ignoto è sempre parte del conosciuto, ed anche nelle lingue naturali, attraverso riformulazioni successive e Il volume analizza la fi gura del conte di Guibert, tautologiche dei medesimi concetti, si dovrebbe poter esemplare testimone di un periodo di mutazioni e arrivare a isolare e spiegare ciò che è sconosciuto per confronti culturali, «grand seigneur de l’intelligence», semplifi cazioni successive. Condillac sogna così un lin- conosciuto più come amico e destinatario epistolare

ultime 403 4-12-2006, 21:35:22 404 Rassegna bibliografi ca

di Mademoiselle de Lespinasse che come “fi losofo to interdisciplinare, nonché della diffi coltà di reperirne militare” e storico, innovativo pensatore politico, an- i principali scritti. L’autrice colma questa lacuna con nunciatore moderato dei fermenti rivoluzionari. Nel una ricca appendice bibliografi ca che individua, racco- ricostruire l’arco esistenziale dell’uomo è indagata la glie e suddivide i documenti d’archivio, i manoscritti e diffusione dell’ opera per ottenere il plauso letterario; tutte le edizioni delle opere schiudendo ulteriori e fu- come dimostra l’autrice, lo scrittore è stato frainteso turi spunti di approfondimento. se non vilipeso a causa della breve, poco conosciuta, [PAOLA SALERNI] talvolta travagliata vicenda personale e letteraria che si concluse prima della Rivoluzione. Nella prima del- le tre parti di cui si compone il saggio, Éthel Groffi er Le Grand Concours. “Dissertation sur les causes de individua le idee cardini attraverso le quali un giovane l’universalité de la langue françoise et la durée vraisem- e brillante Guibert, con il suo audace Essai général de blable de son empire” par Johann Christoph Schwab. tactique pubblicato anonimo all’ estero, muovendo dal- Traduction de Denis Robelot. Étude et présentation la disastrata situazione della Francia alla fi ne del regno des textes par FREEMAN G. HENRY, Amsterdam - New- di Luigi XV si propone di rigenerare lo Stato, attraver- York, Rodopi, 2005, pp. 243. so il modello del “grande uomo” capace di governare. Entrato al servizio del ministro della guerra, inizia a Antoine de Rivaral et Johann Christoph Schwab frequentare i salons (lemma il cui uso e signifi cato sono remportèrent ex-aequo le prix du Grand Concours ricostruiti e puntualizzati), in particolare quello di Mlle de l’Académie des Sciences et Belles-Lettres de Berlin de Lespinasse, circolo intellettuale dei più importanti de 1782-1784. Seul l’ouvrage de Rivarol jouit aussitôt della seconda metà del Settecento, frequentazione pa- d’une grande renommée alors que la Dissertation de rigina che favorisce la maturazione ideologica del gio- Schwab tomba dans l’oubli. Afi n de combler ce vide vane autore alla ricerca del successo e gli incontri mon- de plus de deux siècles, Freeman G. Henry nous pro- dani d’obbligo. Viaggiando attraverso l’Europa da solo pose le texte de Schwab dans la traduction française, o con il suo reggimento ha occasione di conoscere e qu’en fi t Denis Robelot en 1803. Le texte est précédé confrontarsi con i più illustri personaggi e pensatori tra d’un avant-propos et d’une étude («Schwab/Robelot/ cui Montesquieu, Voltaire, Federico di Prussia, il co- Rivarol: une étude») visant à réhabiliter le travail mé- lonnello de Warnery, il compositore Gluck, l’impera- connu de Schwab. trice Maria-Teresa. Il diario di viaggio, frutto di queste Études précédentes à l’appui (René Piedmont, Hans esperienze, è scarno nello stile, ma – come la studiosa Helmut Christmann, Gerda Hassler et Jürgen Storost), fa rilevare attraverso l’interessante dialogo citazionale et s’aidant de l’Histoire de la langue française des origi- dei lettori dell’epoca – vivace e ricco di osservazioni. nes à nos jours de Brunot, Henry parvient à conférer à Fra queste molteplici attività Guibert, legato tutta la l’ouvrage de Schwab une dignité qui lui permet de dé- vita da una complicata vicenda affettiva a Julie de Le- passer de beaucoup celui de son concurrent. spinasse, già musa di d’Alembert, soddisfa le pressioni Après avoir retracé l’histoire et les vicissitudes de familiari con un matrimonio economicamente vantag- l’Académie de Berlin, depuis sa naissance en 1700 gioso, che si rivela comunque un rapporto felice e tale sous Frédéric, jusqu’à Frédéric II – grâce à qui le da assicurargli la prosecuzione di tutti i suoi interessi in concours annuel vit le jour – en passant par Frédéric campo militare e letterario. Guillaume Ier, Henry relate les causes qui amenèrent Il libro si sofferma a buona ragione sugli avvenimen- au grand concours de 1782-1784 et au choix du sujet: ti politici e sulla situazione sociale che, nel decennio il s’agissait surtout de l’admiration de Frédéric II pour prima della Rivoluzione, rendono il pensiero guiber- la langue française que l’on retrouve dans son essai De tiano più realistico e pragmatico: durante il confl itto la littérature allemande. Le sujet choisi, on établit qu’il tra Francia e Inghilterra provocato dalla guerra d’Indi- devait s’articuler en trois parties: Qu’est-ce qui a fait de pendenza americana, se il militare sogna di distinguersi la langue Françoise la langue universelle de l’Europe?; sui campi di battaglia, il teorico raffi na la teoria bellica En quoi mérite-t-elle cette prérogative?; Peut-on présu- ne La défense du système de guerre moderne. L’amicizia mer qu’elle la conserve? con il banchiere Jacques Necker gli permette di cono- L’attentive comparaison que Henry a établie entre scere dall’interno i complessi meccanismi del potere e les deux textes met clairement en relief la supériorité maturare la convinzione della responsabilità dei go- de la Dissertation de Schwab. Si, en effet, l’ouvrage vernanti, servitori della nazione, sottoposti anch’es- de Rivarol se compose «d’une première division, une si alle leggi e al giudizio dell’opinione pubblica. La deuxième division, une troisième division et une con- convocazione degli Stati generali nel 1787 è accolta da clusion» (p. 38), l’auteur ne se conforme qu’imparfai- Guibert come il raggiungimento tanto sperato di una tement à ce paradigme, son analyse s’avérant défec- rigenerazione dello Stato. Nominato “rapporteur” del tueuse surtout dans la troisième division et présentant Consiglio di guerra, non solo diviene l’uffi ciale più in une conclusion très faible. De plus, tout en recourant vista dell’esercito francese, ma l’occasione gli permet- souvent à l’histoire, Rivarol «ne cite explicitement te di lasciare annotazioni sull’ organizzazione militare, aucune étude, aucune autorité vérifi able, et il néglige tuttora osservate. In questa accuratissima ricostruzione en général la datation» (p. 44). bio-bibliografi ca, Éthel Groffi er non manca di sottoli- L’ouvrage de Schwab – au contraire – respecte soi- neare l’interesse di Guibert per il continente america- gneusement la structure imposée par l’Académie: la no, come pure, data la costante preoccupazione socia- réponse à la première question inclut trois sections le, il suo piano di riforma fi scale. Éthel Greffi er riesce (Développement des causes principales de la propagation dunque con questo ottimo volume a narrare la vita di d’une langue; Application de ces principes aux langues un protagonista illuminato del secondo Settecento, italienne et espagnole; Application des mêmes principes fornendo degli spaccati della società letteraria e dei à la langue françoise), alors que les deux autres ne pré- suoi maggiori protagonisti: imprescindibile genio mi- sentent manifestement aucune subdivision typographi- litare per alcuni e mediocre autore letterario per altri, que. A la différence de Rivarol, Schwab cite méticuleu- il personaggio e la sua produzione soffrono ancora di sement ses sources, «selon des principes ‘scientifi ques’ una scarsa conoscenza e di un diffi coltoso collegamen- qui vont d’un bout à l’autre» (p. 43). Il fait en outre

ultime 404 4-12-2006, 21:35:23 Settecento 405

preuve d’érudition en nous dispensant un grand nom- naux et affi rme décidément que «la langue françoise bre de textes d’une grande variété de langues qui se […] a été la plus universellement répandue au moyen retrouvent dans la section Preuves et éclaircissements, âge» (p. 53). d’une soixantaine de pages, suivant immédiatement la Arrachée à la poussière des Archives de l’Académie dissertation. de Berlin grâce à la publication par Freeman G. Henry Les Observations du Traducteur: sur l’universalité de la traduction de Robelot, la Dissertation de Schwab de la langue françoise au moyen âge de Robelot clôtu- est aujourd’hui pour le monde francophone un «do- rent la Dissertation. Si l’auteur avait été très prudent cument historico-culturel qui aide à comprendre et à à l’égard de la propagation de la langue française au apprécier, à une étape cruciale, l’évolution politique et moyen âge (dans la note 35 il refuse de dire catégo- intellectuelle de deux pays voisins dont les relations fu- riquement que la langue française était la plus répan- tures seraient décisives pour l’Europe» (p. 53). due de l’Europe de cette époque), Robelot abandon- ne l’objectivité de Schwab pour chercher à soulager et [PAOLO FRASSI] à ranimer le sens de la dignité et de l’honneur natio-

Ottocento a) dal 1800 al 1850 a cura di Annarosa Poli e Lise Sabourin

AA. VV. , Versailles dans la littérature. Mémoire et VERLET (pp. 41-51), rassemble l’imagerie gothique des e e imaginaire aux XIX et XX siècles, sous la direction de ruines, le souvenir de Combourg, la condamnation de VÉRONIQUE LÉONARD-ROQUES, Clermont-Ferrand, Louis XIV, coupable d’une démesure qui perdit la Presses Universitaires Blaise Pascal, «Littératures», royauté. «La pompe de Versailles est […] marquée 2005, pp. 436. du sceau de la vanité» (p. 48). Le regard de Hugo sur Versailles (Françoise CHENET-FAUGERAS, pp. 53-65) Ce volume contient les actes du colloque interna- offre, sous les variations liées à l’histoire personnelle tional organisé par le Centre de Recherches sur les du poète, des constantes: contestation de l’esthétique Littératures Modernes et Contemporaines (CRLMC) de classique, désacralisation de l’art au profi t de la nature, l’Université Blaise Pascal et par l’Établissement public mais aussi démythifi cation (plutôt que démystifi cation, du Musée et du domaine national de Versailles, qui p. 58) du Grand Siècle et de ce Roi-Soleil, que Hugo s’est tenu au château, les 27-29 mars 2003. L’éditrice aurait sans doute moins honni s’il n’avait pensé à Na- a pris soin d’en indiquer la problématique et le dérou- poléon III. Un Versailles noir et, si l’auteur est dans le lement dans un avant-propos qui est un bon guide de vrai, relevant largement du mythe personnel. lecture, et de les clore par une postface soulignant la L’idèe de Françoise COURT-PÉREZ (pp. 67-82) de tendance récente au «réenchantement». réunir Musset et Gautier dans une commune «alliance La question posée, étant entendu que le Versailles de l’ironie et de la nostalgie, elle-même incluse dans d’Ancien Régime a fait l’objet de nombreux travaux une méditatlon sur le temps» (p. 69) se révèle très fé- (voir Emmanuel BURY, pp. 25-37), est celle de la place conde: esprits libres, tant en matière d’esthétique que du domaine dans les littératures postérieures à la Révo- de politique, ils pouvaient «choisir Versailles» sans lution, ou plus exactement de ses résonances littérai- trahir le romantisme, jouer avec les époques, railler les res, en France et à l’étranger, du romantisme à la post- courtisans tout en éreintant la bourgeoisie du XIXe siè- modernité. C’est dire que les sujets abordés, comme cle, fi ger le château et ses jardins hors du temps, dans le sous-titre du recueil le laissait espérer, débordent un passage «entre l’antiquité trop mythique et le pré- souvent du champ des études littéraires pour s’ouvrir sent trop inscrit dans l’historique» (p. 81), lieu privilé- aux beaux-arts, à l’histoire, à la politique. Rassemblés, gié de la poésie: « Mais vous souvient-il mon ami | De ils permettent de dégager les composantes de ce qui ces marches de marbre rose…» (p. 78). Quelques très aurait pu devenir simplement un musée et qui n’a belles pages! cessé, au fi l des siècles, d’être perçu comme un «lieu Conservateur au Château de Versailles, Valérie BA- de mémoire», voire comme un mythe. L’ensemble (24 JOU est présente dans cette section («Versailles ancien contributions) se répartit en 5 sections: «Tombeaux ou moderne», pp. 83-104) et dans la suivante, où il est romantiques?», «Versailles musée», «Aspects de la question du domaine comme musée. Elle est frappée versaillomanie autour de 1900», «Au carrefour des par le «va-et-vient incessant entre les époques» (p 83), lettres et des arts», «Versailles politique». Seule la pre- dans des évocations très souvent marquées par l’émo- mière section et une partie de la seconde rencontrent tion: ville endormie chez Nerval, jardins sans fêtes, où les intérêts de Studi francesi. Jules Janin trouve désormais la présence de la foule L’expression «Tombeaux romantiques» est pluri- déplacée, palais des souvenirs chez Michelet…: une voque: hommage poétique? ou mise au tombeau d’un revue suggestive. La seconde étude, «Versailles en ensemble appurtenant à un passé révolu, voire rejeté? 1837: entre la “galerie des gloires” et le “Panthéon de «Le Versailles de Chateaubriand», étudié par Agnès la pacotille”» (pp. 117-138), présente le Musée conçu

ultime 405 4-12-2006, 21:35:23 406 Rassegna bibliografi ca

par Louis-Philippe, destiné à faire du château royal molto noto in Francia, connotato per il suo estro biz- un monument national, et donc à tourner une page de zarro, per le sue capacità di paesaggista e per la tecnica l’Histoire: l’inauguration du 10 juin 1837 et ses rela- verista nel dipingere marine e scene di guerra. I suoi tions littéraires; les leçons proposées par les œuvres ex- quadri sono spesso confrontati con quelli di Claude posées, «théâtre des batailles», «portrait de l’ancêtre» Lorrain perché entrambi affascinano attraverso l’evo- – et, là encore, les réactions des écrivains, étrangers cazione di scene naturali, apparentemente calme, ma, comme Henri Moulin (signalons aussi (pp. 107-116) in effetti cariche di suspense. Sono questi i paesaggi l’article de Claudine GIACCHETTI: «France [Fanny] prediletti da Corinne: luoghi dove la fi gura umana è Trollope: une touriste à Versailles en 1835», sur son bandita e dove solo la natura regna sovrana: “c’est la livre Paris and the Parisians, publié à Paris en 1836, manière de Salvator Rosa, qui représente, comme vous traduit en français la même année à Bruxelles et Leip- le voyez dans ce tableau, un rocher, des torrens et des zig) ou français, comme les Goncourt, qui vont le plus arbres sans un seul être vivant, sans que seulement le souvent de l’anecdotique au symbolique. De longues vol d’un oiseau rappelle l’idée de la vie” (p. 60). Diver- citations meublent cet article, qui tendent à montrer samente da M.me De Staël, Stendhal non fa mistero que les voyageurs avaient des dispositions de pèlerins, della sua parzialità per la pittura dei grandi geni del mais… des talents de plumes limités. Il faudrait sans Rinascimento, soprattutto del Correggio, però, nella doute y regarder de plus près avant de laisser le lecteur sua opera, ogni tanto appare anche il pittore napo- sur ce type de jugement. letano. Stendhal è l’unico a sottolineare la differenza Un volume riche, bien composé, à lire par tous ceux tra Lorrain e Rosa: il primo è “charmant”, il secondo qui aiment Versailles et sa littérature. “enfl ammé” (p. 62) e, in uno scritto per il Salon 1824, a includere la pittura del napoletano nel grande dibattito [MADELEINE BERTAUD] sul romanticismo. Il 1824 è l’anno cruciale nella fortuna di Salvator Rosa in Francia. L’irlandese Sydney Owenson, meglio JAMES S. PATTY, Salvator Rosa in French Literature. nota come Lady Morgan (1776 ?- 1859) pubblicò con- From the Bizarre to the Sublime, Lexington, Kentucky, temporaneamente, in inglese e francese, un volume de- The University Press of Kentucky, 2005, pp. 270. dicato alla vita e ai tempi di Salvator Rosa che collocò il pittore tra Michelangelo, artista-patriota e Filicaia, Nel 1999 una grande sala del Louvre, denomina- poeta della libertà. Per Lady Morgan, Rosa, che aveva ta “Salle Van Dyck”, cambiò nome e divenne “Salle partecipato all’insurrezione di Masaniello, divenne il Salvator Rosa” in onore del pittore nato a Napoli nel più affascinante pittore di paesaggi malinconici, come 1615 e morto a Roma nel 1673. Alla fi ne del ventesimo se contemplandoli e riproducendoli, ottenesse la quie- secolo, proprio nel momento in cui la fama di Salvator te dello spirito dopo la tempesta dell’energia vitale. Rosa sembrava in declino in Francia – infatti nessuna Ella lo descrisse come un rivoluzionario, non molto mostra o celebrazione lo ricordò nel terzo centenario dissimile dai patrioti irlandesi O’Connell e O’Connor della morte – il tributo da parte di uno dei massimi o dai Carbonari italiani. Ne fece, insomma, un’icona templi dell’arte fu un chiaro segnale della vitalità del- della libertà. Si dilungò pure sui viaggi del pittore la sua arte in Francia. Fu anche una delle ragioni che nei luoghi più solitari dell’Abruzzo, dove i banditi lo indussero l’A. ad esplorare le alterne vicende della for- accolsero come uno di loro, assimilandolo a quelle fi - tuna di Rosa nell’immaginario letterario francese. Rosa gure che popolavano le leggende pre-romantiche dei divenne celebre e riverito mentre era ancora in vita. nobili selvaggi e dei banditi buoni. Nella sua biografi a, I francesi ne fecero una prima conoscenza attraverso Lady Morgan narrò una serie di aneddoti che rappre- gli scritti di Pierre Guillebaud nel 1647 e attraverso le sentavano il pittore selvaggio e fi ero fi no al punto da opere che egli dipinse su commissione per Luigi XIV disprezzare il potere costituito e declinare tutti gli invi- e per il cardinale Mazzarino. Fu André Fèlibien che ti che provenivano dalle corti europee. Ella enfatizzò, per primo stilò un profi lo critico del pittore, mettendo senza riserve, il patriottismo di Salvator Rosa e la sua in luce soprattutto la sua abilità tecnica nel dipinge- convinta o meglio “feroce” fede repubblicana. L’abile re battaglie, porti di mare e paesaggi “d’une maniere penna di Lady Morgan tratteggiò la fi era personalità di bizarre & extraordinaire”. Sul suo carattere aggiunse un pittore romantico prima del Romanticismo, dedito ch’era affabile, dotato di grande immaginazione e di al culto della natura. della libertà, della passione e del- doti poetiche. Queste scarne informazioni costituirono la malinconia (p.82). I contemporanei appresero dalla il profi lo essenziale del pittore e verranno tramandate biografi a di Lady Morgan che Salvator Rosa era un ar- nel tempo, com’è possibile appurare dai saggi di De- tista completo: pittore, improvvisatore in versi, autore zallier D’Argenville nel 1727, il quale nel suo apprezza- di satire, musico e uomo eccezionale, un vero rivolu- mento del pittore, alle linee bizzarre aggiunge le quali- zionario. Infatti Salvator Rosa non è più paragonato a tà di “barbaro”, “selvaggio”, “orgoglioso, sublime” Lorrain da Lady Morgan, ma a Michelangelo, a Shake- “terrifi cante” e “sorprendente” (p. 18), Mariette, che, speare, a Milton, all’Alfi eri e a Byron. nel 17 41, redasse il catalogo della favolosa raccolta dei Lady Morgan fu criticata per la libertà che si era disegni di Rosa di Pierre Crozat e Diderot, che nel Sa- presa rispetto alla realtà storica del personaggio, però, lon de 1761, si soffermò sui suoi “petits tableaux de in Francia, la sua biografi a su Salvator Rosa è diventata paysages”. Già in questo periodo Rosa fu paragonato un testo classico e l’unico, importante studio d’ampio preferibilmente con Claude Lorrain e Poussin. Molti respiro a tutt’oggi (p. 99). Poeti minori come Henri La- viaggiatori francesi, tra i quali, naturalmente, Cochin, touche, Auguste Barbier, Aloysius Bertrand, Arthur de poi Lalande, Blanc, durante il Grand Tour, non man- Gobineau (poco noto come poeta), e altri si ispirarono carono di fare tappa a Firenze e Roma, spesso anche al suo libro per rievocare in versi la fi gura del grande solo per vedere i quadri di Rosa che nel diciottesimo artista. Gli scrittori in prosa, Alexandre Dumas père, secolo furono oggetto di acquisti e scambi tra collezio- Adelphe Nouville, Charles Didier si ricordarono delle nisti, come ben evidenziano i cataloghi delle vendite leggende che rappresentavano Rosa rivoluzionario al all’asta del tempo (p. 35). seguito di Masaniello e artista selvaggio tra i banditi Alla fi ne del Settecento Salvator Rosa è un pittore abruzzesi. Questo aspetto pittoresco fu ripreso dal

ultime 406 4-12-2006, 21:35:23 Ottocento 407

teatro e dal melodramma fi nché Rosa stesso diven- car il apporte une contribution nouvelle à la connais- ne il soggetto di alcuni quadri di pittura romantica. sance de Chateaubriand. Furono poi i grandi scrittori romantici ad esaltarne [LAURENCE RICHER] ulteriormente la fama: Lamartine, Vigny, Hugo, Gau- tier, il quale, trova una sintonia di vedute tra Rosa e Rembrandt, Balzac e George Sand. Fu Annarosa Poli a JUAN RIGOLI, Le Voyageur à l’envers. Montagnes de suggerire, alcuni anni fa, come le suggestioni della pit- Chateaubriand, suivi de l’édition du Voyage au Mont- tura di Salvator Rosa infl uirono sull’opera della fervida Blanc et du Voyage au Mont-Vésuve, Genève, Droz, narratrice nel momento in cui fu introdotta alla cultura 2005, pp. 160. italiana dagli scritti di Henri Latouche (151-152). Fu, infi ne, George Sand a rivedere l’olimpo artistico italia- Juan Rigoli reprend en l’augmentant une édition no, partendo da Raffaello, il pittore classico per giun- critique donnée en italien en 1997, ce qui est d’emblée gere a Rosa, il romantico. l’occasion de souligner une des forces de l’ouvrage: il Il Parry, nel suo perspicace ed esauriente studio, ne se limite pas au domaine français, comme on l’a trop propone anche una panoramica della critica letteraria souvent fait pour Chateaubriand jusqu’à ces dernières ed artistica ed una rassegna della stampa che si è occu- annèes. La littérature de voyage est présentée dans pata del pittore e termina con un breve capitolo sull’at- son indispensable dimension internationale, et Cha- tuale accoglienza del pittore in Francia, visto come “a teaubriand est situé face à la topique du voyage dans fading beacon” (“un faro affi evolito”), eppure con una les Alpes, qu’il refuse au nom de la liberté du goût in- stanza tutta per sé al Louvre. dividuel, au nom de la tradition classique aussi. Le fa- Il volume, di scorrevole lettura, è corredato da un ce-à-face entre René et le Mont-Blanc tourne court: ni fi tto apparato di note, dalla bibliografi a fi nale e da un réminiscences d’un moi passé, ni présence de l’histoire ottimo indice dei nomi. vers 1es sommets. La saleté de la Savoie n’est pas celle [RITA SEVERI] de Combourg, naguère signalée par Young: hors de toute tradition humaine, le Mont-Blanc se dresse com- me une fi gure de l’absence, à laquelle Chateaubriand dénie le droit à une rhétorique du sublime. MARIE-ÉLISABETH BOUGEARD-VETÖ, Chateaubriand traducteur. De l’exil au Paradis perdu, Paris, Champion, L’avant-propos justifi e le parti pris de présenter les 2005, pp. 824 deux voyages ensemble, en avançant en particulier la proximité – intentionnelle? – de leur publication, mais Vaste et beau projet: étudier précisément les traduc- aussi en considérant que le Vésuve répond au Mont- tions de Chateaubriand à partir de l’anglais, montrer Blanc. Sa localisation au coeur de la tradition antique, comment elles contribuent à construire un auteur. l’inscription des éruptions dans l’histoire depuis Pline, font du «désert» du Vésuve un lieu habité pour notre Sujet ambitieux aussi par l’étendue des savoirs mis en voyageur (p. 76). On voit avec cette analyse un autre oeuvre: le questionnement de la traductologie recoupe point fort de l’ouvrage. Certes on peut se réjouir de ici l’histoire littéraire et la littérature comparée; le texte lire deux textes peu connus publiés sous une forme ac- source et sa traduction sont étudiés dans leurs struc- cessible, ce qui n’est pas encore le cas pour toutes les tures linguistiques. L’auteur adopte une saisie chrono- oeuvres de Chateaubriand, malgré quelques éditions logique rigoureuse, en particulier pour les différents récentes. Mais surtout la présentation qui les accom- moments des rapports avec Milton, puisque l’étude se pagne est l’occasion d’un point de vue privilégié sur centre sur la traduction du Paradis perdu. Mme Bou- toute l’oeuvre. Dans un mouvement mimétique propre geard-Vetö situe Chateaubriand dans l’histoire de la à la vraie critique, les Mémoires d’Outre-Tombe appa- traduction, en utilisant des données précises et inter- raissent comme un de ces sommets que Chateaubriand roge ses théories. Une dernière partie confronte l’origi- n’aime qu’autant qu’ils prennent place dans l’horizon, nal et le texte français. L’infl uence du vocabulaire, des et des perspectives nouvelles se dévoilent sur eux. images et de la syntaxe de Milton est plus claire après Les notes, nombreuses, complètent la présentation. cette étude approfondie. Ce travail vient utilement appuyer, dans son domaine, En outre, plusieurs points importants pour toute les travaux de base de Philippe Antoine sur Cha- l’œuvre sont en jeu. Chateaubriand a choisi la prose teaubriand voyageur et propose une approche précise, pour traduire des vers. Cela permet d’aborder le lien fondée sur un corpus diversifi é et une connaissance toujours intéressant chez lui entre prose et poésie. Son très actuelle des acquis de la critique. rapport à l’épopée est impliqué. Enfi n, même si le tra- vail ne veut pas traiter seulement des rapports entre les [LAURENCE RICHER] deux auteurs, mais surtout du «fait traductif», le sujet permet d’en dire plus sur le sujet central et controversé de la spiritualité de Chateaubriand en précisant sa rela- MARILIA MARCHETTI, «Une contrée sensibilisée de tion avec un autre écrivain chrétien. l’âme»: da «Lord Ruthwen» al «Vampire» di Charles L’auteur a le souci d’expliquer sa méthode et de souli- Nodier, in AA. VV. , Il romanzo a teatro, Atti del Con- gner sa progression, voire même les désillusions du cher- vegno Internazionale della Società Universitaria per gli cheur; et la rigueur est privilégiée au détriment de l’agré- Studi di Lingua e Letteratura Francese (S.U.S.L.L.F.), ment de lecture. Elle précise les théories sur lesquelles elle Verona, l1-13 novembre 2004, a c. di F. Piva, Fasano, travaille, y compris lorsqu’il s’agit d’approches critiques Schena Editore, 2005, pp. 81-91. courantes. Les choix bibliographiques étonnent parfois (pourquoi, par exemple, les travaux de Mourot sont-ils L’argomento del convegno veronese del 2004, la cités d’après sa thèse de doctorat, et non d’après le livre trasposizione o l’adattamento di un testo narrativo a paru chez Colin en 1960?). teatro, non è mai stato esplorato in tutta la sua com- L’ouvrage, au regard du sujet, déçoit un peu et l’on plessità, almeno per quanto riguarda la letteratura aimerait de plus vastes ouvertures vers les Mémoires francese, in cui questo fenomeno risulta «estremamen- d’Outre- Tombe. Il reste néanmoins recommandable, te importante» – sono parole della quarta di copertina

ultime 407 4-12-2006, 21:35:24 408 Rassegna bibliografi ca

degli atti – per quantità e qualità dei testi coinvolti. L’esempio più signifi cativo è probabilmente quello E fra i tanti esempi che sono proposti all’attenzione dell’evoluzione della fi gura del vampiro, da Polidori del lettore nel bel volume curato da Franco Piva, uno al romanzo di Nodier, per arrivare al melodramma. Se dei più emblematici è forse proprio quello di Nodier. Polidori aveva innovato rispetto al folclore, eliminan- Quest’ultimo ha conosciuto e sta conoscendo, da die- do le «connotazioni popolari che caratterizzavano la ci-quindici anni a questa parte, un rinnovato interes- tradizione slava» e trasformando il non-morto «in un se critico, su cui chi scrive ha già avuto l’occasione di giovane aristocratico, misterioso e pieno di fascino» soffermarsi (se è lecito rinviare a un mio intervento (p. 83), già in Lord Ruthwen Nodier fa morire, alla precedente: Stefano Lazzarin, Qualche osservazione a fi ne della vicenda, non l’eroe bensì il vampiro (pp. 89- proposito della recente fortuna critica di Charles Nodier, 90), e nel Vampire, addirittura, trasfi gura quest’ultimo «Quaderni del C.R.I.E.R» [Moncalieri, C.I.R.V.I.], da carnefi ce a ‘vittima’! Progressivamente nobilitatosi, n. 3, 1998, pp. 21-38). In questa riscoperta di vari set- sempre meno oggetto d’orrore e riprovazione e sem- tori della produzione nodieriana, a lungo oscurati dalla pre più d’ammirazione, di vagheggiamento, perfi no più nota attività del narratore fantastico sono stati via di compassione, il vampiro ritorna nondimeno, nel via recuperati i saggi del teorico del sonno e del sogno, melodramma nodieriano, verso quelle sue radici po- gli scritti dell’impenitente bibliofi lo, le opere critiche, i polari che parevano tagliate defi nitivamente. Eccolo trattati di linguistica e lessicografi a. Ma appunto, mal- assumere nel Vampire, mediante la più inaspettata del- grado il volume di Ginette Picat-Guinoiseau su Nodier le metamorfosi, un signifi cato simbolico; dietro la sua et le théâtre (Paris, Champion, 1990) e l’edizione delle morte si intravede, infatti, una trasposizione dell’ancor Œuvres dramatiques in due volumi a cura della stessa recente violenza rivoluzionaria: «assistiamo ad una (Genève, Droz, 1992), le pièces teatrali erano rimaste sorta di rituale che consente al mito del vampiro […] complessivamente nell’ombra. Il saggio che Marilia di rappresentare la coesione sociale ed il sacrifi cio del Marchetti ha presentato al convegno sul Romanzo a principio d’onnipotenza, di monarchica memoria. Un teatro è perciò perfettamente rappresentativo dell’in- rito purifi catore che non può non ricordare al pubblico tento degli studiosi convenuti a Verona, e diretti da F. contemporaneo la storia terribile degli anni rivoluzio- Piva: indagare su un campo di ricerca fi nora troppo nari» (p. 91). Ancora una volta insomma, l’aristocra- trascurato, e assai promettente. tico fi nisce sulla ghigliottina: la parabola del vampiro M. Marchetti si dedica, nella fattispecie, a studiare i diventa – paradosso dell’arte popolare – quella dell’ rapporti che esistono fra il romanzo Lord Ruthwen ou Ancien Régime spirante per mano del Terzo Stato. E les vampires e il melodramma Le Vampire (entrambi questo spiega, conclude l’autrice, perché il pubblico, pubblicati da Nodier nel 1820 sotto pseudonimo), sen- «perfettamente a conoscenza della trama della pièce za dimenticare il cordone ombelicale che lega queste che si appresta a vedere, partecipi con tanto ardore ed due riscritture al famoso racconto di John William Po- emozione» (Ivi). lidori The Vampyre (1819), a lungo attribuito a Byron [STEFANO LAZZARIN] e che godette di una straordinaria fortuna per tutto l’Ottocento (il testo di Polidori era stato tradotto in francese fi n dal 1819, e Nodier lo recensì sul “Drapeau STENDHAL, Œuvres romanesques complètes I, préface Blanc” il primo luglio di quell’anno). La questione fon- de PHILIPPE BERTHIER. édition établie par YVES ANSEL damentale che pongono Lord Ruthwen e Le Vampire è et PHILIPPE BERTHIER, Paris, Gallimard, 2005 («Bi- quella del melodramma genere popolare e spesso scre- bliothèque de la Pléiade») 2005, pp. LXXXVI-1160. ditato, nei confronti del quale Nodier assume un atteg- giamento ambiguo, da fautore e avversario al tempo Stendhal dans la Pléiade, c’est une longue histoire. stesso. Da un lato, infatti, le qualità ‘morali’ del melo- Le volume qui vient de paraïtre dans la prestigieuse dramma lo rendono necessario, come illustra una signi- collection porte le n° 4 alors que le catalogue a large- fi cativa presa di posizione del 1841: «ce n’était pas peu ment dépassé les 500 numéros. Il est de tradition dans de chose, que le mélodrame! c’était la moralité de la cette collection de conserver le numéro d’origine de la Révolution!» (C. Nodier, Introduction, in Prospectlus première publication, quel que soit le nombre d’édi- du théâtre choisi de Pixérécourt, Nancy, Chez l’auteur, tions ultérieures. Ainsi, les romans et nouvelles de 1841, p. 3, citato qui a p. 85). Ed è necessario perfi no Stendhal sont entrés dans la collection dès la création lo stile enfatico, magniloquente del genere, perché la de ce panthéon des lettres universelles, au début des pedagogia che esso presuppone non può dispiegarsi se années 30. Établie par Henri Martineau, le chef de fi le non attraverso una «forme sententieuse […] quelque peu solennelle» (Chefs-d’œuvres des mélodrames joués incontestable des spécialistes de l’époque, renouvelée à différens théâtres, Paris, Veuve Dabo, 1824, p. XIV, une vingtaine d’années plus tard avec un appareil cri- cit. qui a p. 86). D’altro canto, però, Nodier conserva tique amélioré, constamment réimprimée par la suite, una certa diffi denza nei confronti di un genere che non l’édition n’avait pas bougé depuis plus d’un demi-siè- ha suffi cienti patenti di ‘serietà’ perciò non fi rma le sue cle. C’est dire que le temps était venu de la repenser de pièces, e l’ambivalenza del suo atteggiamento verso il fond en comble. teatro popolare è fotografata dall’aneddoto dumasia- De Romain Colomb (Michel Lévy) à Victor Del no – vero o falso che sia non importa – che lo ritrae Litto (Cercle du Bibliophile) en passant par Paul Ar- nell’atto di fi schiare sonoramente il suo Vampire alla belet (Champion) et Henri Martineau (Le Divan), les Porte Saint-Martin, fìno al punto di essere espulso dal- éditeurs des ceuvres de Stendhal en particulier de son la sala (p. 87). œuvre romanesque, ont publié les différents textes à M. Marchetti analizza in dettaglio la genesi di Lord leur fantaisie, sans que l’ordre de la publication répon- Ruthwen da The Vampyre, e poi la trasposizione del- de à la moindre logique (un concept pourtant cher, on lo stesso Lord Ruthwen nel Vampire: gli interventi di le sait, à Stendhal). Stendhal lui-même, au contraire de riscrittura e adattamento praticati da Nodier, oltre ad ses contemporains (Balzac, George Sand) ne s’est ja- apparirci legati alla diversa logica dei due generi ro- mais soucié d’élaborer un plan pour ses œuvres, com- manzesco e teatrale, sono sintomatici dell’ambivalen- plètes ou non. De là, la pagaille la plus joyeuse dans za fondamentale che abbiamo cercato di descrivere toutes les éditions existantes: pour ne s’en tenir qu’à

ultime 408 4-12-2006, 21:35:24 Ottocento 409

la fi ction, l’un commence par La Chartreuse de Parme, FRANÇOIS MICHEL, Cher Monsieur ... Corrisponden- l’autre par Le Rouge et le Noir, un troisième par Ar- za stendhaliana con Bruno Pincherle. A cura di LUCA mance; quant aux nouvelles, n’en parlons pas: les re- GERONUTTI. Traduzione di TATIANA TESTONI, Milano, cueils successifs sont faits de bric et de broc, sans aucu- Libri Scheiwiller, 2003 («Biblioteca Stendhaliana n. ne exception. Aussi Philippe Berthier et Yves Ansel, 5»), pp. 130, ill. raisonnant à l’instar de Christophe Colomb face à son oeuf, en sont-ils arrivés, tout simplement, tout natu- Nella Presentazione di questo suggestivo volume rellement, à la conclusion qui aurait dû, de tout temps (pp. 7-10), Anna Maria Rossato, Direttore della Bi- s’imposer: le seul ordre qui vaille pour une édition des blioteca Comunale di Milano, evidenzia quanto mol- œuvres de fi ction de «l’animal» est celui chronologi- te iniziative della biblioteca siano rivolte ad un’attività que de composition, le seul en tout cas qui permette de atta a far conoscere la consistenza del Fondo Stendha- suivre le cheminement de la création romanesque chez liano in essa depositato, per altro già atte stata grazie Stendhal depuis les débuts laborieux et souvent avor- alla pubblicazione del due volumi del Catalogo del tés (Berthier, parlant de ses vaines tentatives théâtrales, Fondo Stendhaliano Bucci, uscito il primo nel 1980 a appelle cela drôlement «ses fausses couches») jusqu’à cura di Glan Franco Grechi, con la presentazione di la maîtrise absolue de son art par un romancier assuré Victor Del Litto e il secondo, edito nel 2001, curato dallo stesso Grechi, da Giulia Chiesa e Luca Geronut- de passer à la postérité, avant l’amorce du déclin (com- ti, con la presentazione di Anna Maria Rossato e la pre- ment créer encore quelque chose d’achevé, de parfait, fazione di Massimo Colesanti. È per altro oltremodo après la Chartreuse?). essenziale richiamarsi al fatto che a Palazzo Sormani Ce premier volume (deux autres sont à venir) con- sono confl uiti ben due fondi di enorme importanza: Il tient tout ce que Stendhal a laissé en matière de fi ction, Fondo Stendhaliano Bucci, donato da Raffele Mattioli, allant de l’adolescence (un texte écrit en collaboration Presidente della Banca Commerciale Italiana nel 1970 avec des camarades de collège à 14 ans, en 1797) jus- e la Raccolta Stendhaliana Pincherle, donata sempre qu’au chef-d’œuvre romanesque publié en novembre negli anni Settanta alla Biblioteca Sormani, dal fratel- 1830. L’ensemble se compose de onze textes dont lo di Bruno Pincherle, Gino, poco dopo la morte del les deux premiers romans (Armance et Le Rouge et le grande amateur di Stendhal, scomparso nell’aprile del Noir) et, parmi les nouvelles achevées de 1829-1830, 1968. Il medico triestino, nato in una città che fu la quatre qui sont d’authentiques chefsd’oeuvre du prima sede consolare di Henri Beyle, fu grande estima- genre: Vanina Vanini, Le Coffre et le revenant, Mina tore dello scrittore francese e durante l’esistenza riuscì de Vanghel, Le Philtre. En donnant les nouvelles, non ad arricchire la sua biblioteca, con tenacia e passione, pas regroupées arbitrairement comme on l’a toujours di circa tremila volumi inerenti la vita e l’opera dell’au- fait (en particulier les Chroniques dites italiennes, tra- tore prediletto. ditionnel fourre-tout) mais dans l’ordre des dates de Ora, in Cher Monsieur… vengono proposte le lette- composition, cette présentation révèle un Stendhal jus- re inviate da un altro studioso del «Milanese», François qu’ici méconnu dans ce genre où on l’aurait imaginé Michel, a Bruno Pincherle, moins à l’aise que dans les amples dimensions. Un epistolario questo anche a testimonianza di quel- Les deux responsables se sont partagé le travail, Ansel le lente, preziose percezioni che porteranno alla forma- se chargeant de l’introduction générale et du Le Rouge et zione dell’esemplare raccolta stendhaliana di Pincher- le Noir, tandis qu’à Berthier revient de présenter et d’an- le Esso è altresì corredato da testimonianze utilissime, noter Armance et tous les autres textes. Coiffant l’ensem- inserite dal curatore in Bruno Pincherle e la sua Rac- ble, une brillante préface du même Berthier montre, sur colta Stendhaliana (pp. 11-18) che sono occasione di moins de vingt pages, comment et pourquoi Stendhal est svelamento di intense complicità tra i due intellettuali, devenu romancier et en quoi, écrivant pour le plaisir plus che scaturiscono da un connubio ideologico e affettivo que par on ne sait quelle impérieuse nécessité (Visse, ne comuni verso l’oggetto sempre ritrovato: Henri Beyle l’oublions pas, vient avant Scrisse), il se différencie des for- nom de plume Stendhal. Necessario quindi il plauso ai çats du roman (Balzac, Flaubert, Zola, Proust). Ce n’est vari collaboratori, tra cui la Dott. Giulìa Chiesa, «emu- d’ailleurs pas le moindre mérite de cette édition que de la di Gian Franco Grechi per volontà, determinazio- rompre avec la tendance à l’obésité à laquelle naguère ne e preparazione» (p. 17), che comunicano al letto- se laissait aller la Pléiade, l’essentiel, c’est-à-dire l’auteur, re la via da seguire per meglio gravitare nell’esprit di François Michel. étant littéralement étouffé sous le poids asphyxiant de la D’altra parte non va certo tralasciato un comune glose et de l’appareil critique. Rien de tel ici. Tout ce qui percorso di dolorose affi nità vissute da entrambi gli devait être dit l’est – mais avec une économie de moyens studiosi in periodo bellico e post-bellico. François Mi- qui, s’agissant de Stendhal l’elliptique, s’imposait comme chel (1889-1956) fu ingegnere militare e da maquisard la moindre des choses. On n’ose imaginer le pavé que cela, venne arrestato dalla Gestapo, sottoposto a prigionia traité par l’autre grand stendhalien de notre temps, aurait e segnato dalle torture subite, di cui portò per il resto donné; tant il est vrai qu’il ne suffi t pas d’être un spécia- della vita indelebile traccia, al punto di non poter più liste de renom pour faire court. Connaissez-vous beaucoup proseguire le proprie funzioni; in effetti a guerra fi nita d’érudits capables de vous proposer l’entièreté de l’œuvre si dedicò interamente agli studi stendhaliani, i cui ri- fi ctionnelle de Stendhal jusqu’à Le Rouge et le Noir inclus, sultati vennero poi riuniti a cura di Henri Martineau avec préface, introduction, chronologie, notices sur cha- e Jean Fabre con il titolo di Etudes Stendhaliennes e que œuvre, notes et variantes, choix bibliographique, en pubblicati nel 1957. moins de 1250 pages? Voilà une cure d’amaigrissement Bruno Pincherle (1903-1968), pediatra triestino, nel qui, décidément, sied à ce Stendhal “empléiadé” de frais. suo alto ruolo di strenuo antifascista, soffrì la deten- À s’offrir d’urgence et à ne pas oublier d’emporter (la zione in campo di concentramento. Militò nel Partito compacité du volume s’y prête) s’il vous vient la fantaisie d’Azione e dopo la Liberazione fondò a Roma il quoti- de partir pour une ïle déserte. diano «L’italia libera». Rientrato a Trieste svolse nuo- [JACQUES HOUBERT] vamente la sua professione, dedicandosi sempre più agli studi stendhaliani. È anche l’autore della bella tra-

ultime 409 4-12-2006, 21:35:25 410 Rassegna bibliografi ca

duzione annotata, redatta con Bruno Maffi nel 1943 di d’autant que l’auteur récuse une approche linguistique Rome, Naples et Florence, in cui si fi rma Ferrante Palla, ou de pure métrique. On tend donc parfois vers une alla quale allude lo stesso Michel in più di una lettera. enquête générale sur la poétique lamartinienne, ce qui Sono qui edite, con la direzione scientifi ca dell’at- ne manque ni d’intérêt ni d’utilité dans le panorama tuale conservatrice del Centro, Giulia Chiesa, ventun critique actuel. lettere con testo francese a fronte accuratamente anno- L’effort de défi nition est pourtant certain. L’auteur tate, scritte da François Michel all’intellettuale triesti- veut étudier la notion d’harmonie dans son histori- no tra il 1950 e il 1956. Si è optato per una trascrizione cité, et au regard de la réception, en insistant sur le e conservativa che corregge solo gli errori ortografi ci e XVIII siècle. L’oeuvre lamartinienne est elle aussi linguistici, evitando, con indiscusso rigore fi lologico, interrogée selon une saisie chronologique, qui reste ogni intromissione al testo. La prima missiva, è datata toutefois souple. Les deux première parties, con- 6 febbraio 1950, in risposta ad un biglietto di tre gior- sacrées à la naissance de l’harmonie lamartinienne, ni precedente di Pincherle: è l’avvio di uno scambio sont l’occasion d’une vaste synthèse sur la forma- epistolare di rara importanza letteraria che evidenzia tion de l’écrivain. Le moment de «l’hégémonie du altresì le alte doti umane dell’ingegnere francese. Si politique» étudié ensuite prend le mot politique au leggono pareri, scelte, nuovi apporti, frutto di letture sens large, incluant dans l’harmonie sociale les liens e contatti, notizie di novità concernenti Stendhal uomo amoureux et familiaux, et montrant la recherche de e artista, che è l’indiscusso protagonista dell’epistola- l’universel à laquelle, dans ce domaine aussi, se li- rio, al punto di apparire a tratti non materia da trattare vre Lamartine. Réaliser l’harmonie dans ses poèmes bensì fruìtore egli stesso. È un excursus tra i nuovi ap- comme dans son temps: le but relève de l’utopie. Le porti della critica stendhaliana degli anni Cinquanta; moment où l’espoir de l’unité transcendante vole en sono citati i convegni, i luoghi di incontro, le discus- éclats marque une longue fi n de vie: Aurélie Loiseleur sioni, i progressi, le scoperte, gli studiosi da Cordie’ cherche néanmoins à privilégier les rares moments où a Trompeo, a Martineau a Del Litto a Luigi Foscolo l’auteur tente de briser le silence poétique. Ce travail Benedetto defi nito «savantissime» (p. 46), le notizie sui est enfi n un essai pour revoir certaines notions plus volumi appartenuti a Stendhal e da lui citati. Si fanno ou moins héritées de Marcel Raymond, et pour faire incursioni tra i personaggi stendhaliani e i loro presunti remonter une origine de la poésie moderne aux pre- e modelli, si leggono scambi di pareri e opinioni, ipote- mières oeuvres de Lamartine, comme le pensait le XIX si e conclusioni. Un fi lo diretto, dunque, che lega due siècle lui-même. spiriti imbevuti dello stesso credo. E accanto al lavoro Même si les oeuvres critiques ne sont pas toujours del critico e del ricercatore attento si assiste, commossi, interrogées sur leurs points forts, ce livre, qui se lit alla nascita di una profonda amicizia stendhaliana. avec plaisir, nous propose une lecture cohérente et Al Centro stendhaliano va dunque il grande meri- empathique de Lamartine. to di aver portato alla luce un materiale di indubbio [LAURENCE RICHER] valore storico-critico, che evidenzia la maniera, ormai desueta, di un porgere raffi nato ed elegante a volte persino umile e pudico, in un’atmosfera che riporta il PIER MASSIMO PROSIO, Balzac, in Stendhal e altri lettore a tracce mnestiche inconfutabili e quasi in seno viaggiatori a Torino, Moncalieri, Centro Interuniver- a Stendhal. Ciò che da stendhaliana mi auguro, è che sitario di Ricerche sul Viaggio in Italia, 2004 («Biblio- il Centro milanese operi ancora nella diffusione di sto- teca del Viaggio in Italia», 69), pp. 145-157. rici reperti, per far sì che voci stendhaliane circolino sempre più ampiamente con un messaggio culturale In questo variopinto e intenso mosaico di ritratti che possa essere di monito al ripristino di una Weltan- e di esperienze di viaggio compiute a Torino da illu- schauung, aperta al più ampio spirito di libertà, di cui stri rappresentanti della cultura europea (da Tasso a Henri Beyle fu supremo interprete. Rousseau, a Sterne, Xavier de Maistre, Stendhal, La- martine, Champollion, Flaubert, Nietzsche), trova la [ANNALISA BOTTACIN] sua collocazione più adatta e appropriata anche l’au- tore della Comédie humaine, protagonista del suo pri- mo viaggio in Italia proprio a Torino nel 1836. AURÉLIE LOISELEUR, L’Harmonie selon Lamartine, In questo saggio, pubblicato originariamente nella Utopie d’un lieu commun, Paris, Champion, 2005, miscellanea intitolata: Civiltà del Piemonte nel 1975, pp. 753. ma riveduto e riscritto per l’occasione, si analizzano i momenti salienti che hanno caratterizzato il soggior- L’ ouvrage repose sur une défìnition de l’harmonie no di Balzac a Torino dal 31 luglio al 12 agosto 1836, comme lieu du lyrisme lamartinien, et tension vers ospite della piccola e dignitosa Pensione Europa. un paradis perdu. Selon cette conception, l’harmonie Contrariamente alle altre città italiane visitate negli s’expérimente comme nostalgie et a pour antonyme anni a venire, Torino, scrive Prosio, «non ebbe mol- le chaos. Elle n’est pas pour autant confi née au passé; ti riscontri nella successiva produzione letteraria del retour vers la langue de l’Eden, la lyrique lamartinien- francese, ed essa non appare, se non in modo insigni- ne suppose aussi que l’on cherche à faire advenir cet fi cante ed anodino, nelle sue opere» (p. 147). Certo Eden. En cela le projet du livre s’ouvre vers la politique comunque è che l’accoglienza riservata a Balzac dagli de Lamartine, mais reste volontairement limite, nean- intellettuali e dalla stampa torinesi fu tutt’altro che moins, à l’oeuvre de poésie lyrique et épique. disinteressata: basti pensare alla vasta eco che l’arrivo Le livre cherche à défi nir une catégorie qui rejoigne del romanziere suscitò presso tutti gli ambienti del- e le XIX siècle dans sa volonté de syncrétisme, tendant l’alta piemontese. Quello di Balzac in Italia, non fu vers un espace unifi é où hommes et idées se rencon- tuttavia un viaggio di piacere o di istruzione: delegato trent. Toutefois la limite de la réfl exion théorique est dai Guidoboni-Visconti a difendere una causa lega- posée avec élégance. Entre littérature et musique, le che li riguardava, Balzac, che poco o nulla sapeva l’harmonie se développe là où «les mots manquent» (p. di diritto e soprattutto di lingua italiana, si avvalse, 40). À la limite de l’ineffable, le projet dit sa diffl culté, su consiglio di Federico Sclopis, del prezioso aiuto di

ultime 410 4-12-2006, 21:35:25 Ottocento 411

uno fra i più autorevoli avvocati del tempo, Luigi Col- Rodin e gli scrittori/et les écrivains. Dante, Balzac, la (rinomato anche per la sua passione in tema di bo- Hugo, Baudelaire, a cura di/par les soins de ALBERTO tanica), che sarà nominato, seppure di passaggio, in FIZ, in collaborazione con/en collaboration avec Mu- Modeste Mignon. Il soggiorno torinese di Balzac ebbe sée Rodin, Paris, Milano, De Agostini-Rizzoli Arte & un’apprezzabile risonanza anche grazie alle circostan- cultura, 2004, pp. 183 ; ill. ze che gli fecero da sfondo: ad accompagnare lo scrit- tore in questa trasferta d’oltralpe, v’era infatti un’av- Un sorprendente fascino e un grande interesse rive- venente ma mediocre letterata, Caroline Marbouty, la ste questo Catalogo della mostra su Rodin e gli scrittori quale, per evitare pettegolezzi e malignità, decise di curata da Alberto Fiz in collaborazione con il Musée seguire Balzac celandosi dietro abiti maschili, con il Rodin di Parigi, che il Centro Saint-Bénin di Aosta ha nome di Marcel e nel ruolo di suo segretario persona- ospitato dal 18 dicembre 2004 al 3 aprile 2005. le. Ben presto, però, ci si accorse, della vera natura del La prestigiosa rassegna, dal taglio inedito, analizza compagno balzachiano e si arrivò persino ad ipotizza- la ricerca di Auguste Rodin sottolineando la stretta re- re che sotto quelle mentite spoglie maschili vi fosse lazione della sua opera plastica con il mondo poetico e addirittura George Sand, abituata, come sappiamo, letterario. Suddiviso in quattro sezioni: Rodin e Dan- a stravaganze di quel genere. A Torino, Balzac ebbe te (pp. 86-107); Rodin e Balzac (pp. 108-131); Rodin modo di entrare in contatto con autorevoli personali- e Hugo (pp. 132-143) e Rodin e Baudelaire (pp. 144- tà del mondo politicoculturale piemontese dell’epoca 161), il catalogo presenta oltre sessanta opere dell’arti- attraverso soprattutto la mediazione dello Sclopis, di sta tra bronzi, marmi, gessi e tecniche miste. Tra que- Felice Carrone di San Tommaso e di Costanzo Gaz- ste, si ricordino: La Porte de l’Enfer e Fugit amor ispi- zera: saranno altresì da ricordare le fi gure della con- rate a Dante, i busti e il Monument in bronzo dedicati tessa Barolo (nella cui dimora Balzac incontrò Silvio a Victor Hugo e il celebre Portrait de Baudelaire. Ma il Pellico), di Carlo Boucheron e di Alessandro Paravìa, monumento di Rodin che ha suscitato più polemiche è questi ultimi non troppo entusiasti del loro incontro stato quello dedicato a Balzac: il Balzac che Émile Zola, con lo scrittore tanto che riferirono successivamente allora presidente della Société des Gens de Lettres, gli di quella serata del 2 agosto trascorsa con Balzac nel- commissionò, nel 1891, in vista delle celebrazioni del la «vigna» dello Sclopis con indifferenza e sostenuto primo centenario della nascita di Balzac rappresenta distacco. una delle più intense indagini sul signifi cato della rap- [MARCO STUPAZZONI] presentazione e sul ritratto che siano mai state realiz- zate. La straordinaria potenza del Monument à Balzac oltre che la sua indiscussa originalità provocarono uno RAFFAELE MORABITO, Situazioni e soluzioni da Bal- scandalo artistico di grande risonanza (l’opera fu in- zac a Pirandello, in AA. VV., Sylva. Studi in onore di fatti rifi utata nel 1898). Prima della versione defi nitiva Nino Borsellino, a cura di Giorgio PATRIZI, Roma, dell’opera, Rodin si era cimentato in numerose prove Bulzoni editore, 2002, pp. 707-715. tra cui: Étude de nu C del 1892 e Balzac en robe de moine del 1893. Per quanto distanti tra loro siano i principi e i per- Rodin, scrive Martine CONTENSOU (Un lettore ano- corsi letterari assunti e intrapresi da Balzac e da Pi- nimo: Auguste Rodin/Un lecteur anonime: Auguste randello, non è del tutto fuori luogo tentare di stabili- Rodin, pp. 51-54; 55-59), «ha voluto essere “lo scul- re (pur con tutta la prudenza del caso) alcune affi nità tore di Balzac” non in nome di un’intima conoscenza tematiche presenti nell’opera dei due scrittori, anche della Comédie humaine ma in nome di un’attenzione in considerazione del fatto che il nome di Balzac è costante rivolta al suo autore, sostenuta dall’ammira- presente in misura rilevante e signifi cativa nel catalo- zione che provava nei suoi confronti» (p. 51). In altri go della biblioteca pirandelliana. termini, precisa bene Éric HOPPENOT (Auguste Rodin e In questo studio, R. Morabito individua la coincidenza la letteratura francese dell’Ottocento/Auguste Rodin et di taluni temi di fondo riscontrabili negli autori esaminati: la littérature française du XIX siècle, pp. 61-64; 65-69) anzitutto, l’ossessione del rapporto arte-vita che ritrovia- nel Balzac di Rodin «tutto sembra provenire dall’in- mo espressa nel Chef-d’oeuvre inconnu balzachiano e in terno, nessuna respirazione, nessuno spazio vuoto, lo Diana e la Tuda di Pirandello. In entrambe le opere, scri- osserviamo, gli occhi inchiodati su questa massa, im- ve l’A., emerge la consapevolezza del fallimento di ogni penetrabile, che preserva il suo mistero e la sua stra- tentativo artistico di «fi ssare le forme della vita; e la con- nezza» (p. 64). clusione del processo, che nella pratica si rivela impossi- Oltre ai saggi segnalati precedentemente, il catalogo bile, è la morte dell’artista» (p. 710). La seconda coppia delle opere è preceduto dai seguenti contributi critici: di testi sui quali l’A. concentra la sua attenzione riguarda Alberto FIZ, Lo sguardo interiore di Rodin/Le regard in- un episodio narrato in Illusions perdues (dove è protago- térieur de Rodin, pp. 17-22; 23-29; Marco VALLORA, “E nista Lucien de Rubemprè nel ruolo di amante di Mme de Rodin ascoltò la folla che aveva creato”/Et Rodin écouta Bargeton) che, a suo giudizio, rimanderebbe ad una situa- la foule qu’il avait créée”, pp. 31-40; 41-49; Amelia VAL- zione analoga descritta da Pirandello (ma ancor prima da TOLINA, Il segreto dell’invisibile/Le secret de l’invisible, Verga in Eros) nel Giuoco delle parti e nel suo palinsesto pp. 71-76; 77-82. narrativo: la novella Quando si è capito il giuoco. Nella fi - [MARCO STUPAZZONI] gura di Leone Gala, Pirandello arriva a capovolgere «una situazione che era entrata a far parte di quelle codifi cate dalla narrativa ottocentesca: il marito che sfi da a duello COLLECTIF, Balzac et la nouvelle (III), «L’École des per difendere l’onore offeso d’una moglie la quale lo tra- lettres-second cycle», n. 13, Juillet 2003, pp. 3-163. disce» (p. 714). In questo senso, puntualizza l’A., Piran- dello ci pone di fronte ad «un’immagine capovolta della L’insieme degli interventi compresi in questo terzo realtà , rovesciando le convenzioni della tradizione lette- dossier di studi dedicato alla novella balzachiana si raria nel cui solco si colloca» (p. 715). apre con il saggio di Antonia FONYI (La nouvelle selon les théories allemandes du XIX siècle, pp. 5-20), in cui [MARCO STUPAZZONI] l’A. propone un interessante quadro d’insieme delle

ultime 411 4-12-2006, 21:35:26 412 Rassegna bibliografi ca

teorie estetiche elaborate dai romantici tedeschi sulla Owen HEATHCOTE («Les Marana», ou la femme- novella, vale a dire su un genere letterario concepito écran, pp. 139-152) sottolinea la ricchezza e la moder- come “l’espace d’une dialectique qui régit la représen- nità di un testo come Les Marana dal punto di vista del- tation» (p. 7). la caratterizzazione sessuale dei rapporti uomo-donna Lucienne FRAPPIER-MAZUR (Le double drame du «Bal che, nel racconto balzachiano, si caricano di valenze de Sceaux». Idéologie et modèles greimassiens, pp. 21- simboliche ibride, a volte ambigue e contraddittorie, 33) rifl ette con acume sul sistema di valenze struttura- sotto il segno di una violenza di fondo che si trasmette li, funzionali e fi gurative presenti nel duplice ‘drame’, al lettore attraverso il ruolo biologico e lo status socio- politico e privato, narrato da Balzac nel Bal de Sceaux: politico dei personaggi. un racconto «dont la brièveté a pour effet de faire en- Veronica BONANNI (Boccace dans les «Contes drola- core ressortir les motifs persuasifs de la narration» (p. tiques», pp. 153-163) offre un interessante contributo 22). Alex Lascar («La Grenadière», ou le poème de la circa le infl uenze esercitate dal Decameron su alcuni dei création, pp. 35-54) offre un minuzioso studio dei mo- più celebri Contes drolatiques. tivi e delle atmosfere che pervadono la dimora della Se le fonti letterarie di ispirazione balzachiana ri- Grenadière, luogo in cui si esaltano «la perfection d’un mandano al ricco e variegato fi lone della novellistica paysage prodigieux d’unité et de diversité» (p. 39), la tradizionale, la «lecture du Décaméron a été plus im- sublime armonia degli elementi elementi costitutivi del portante qu’on ne pense pour la rédaction des Contes mondo e le voci interiori dell’animo umano. La Grena- drolatiques. Boccace, puntualizza bene l’A., aurait été dière. osserva l’A., è «vraiment un ‘ici’ et un ‘ailleurs’, pour Balzac non seulement un modale idéal, un repré- proche et lointain», un santuario dell’intimità per Mme sentant des ‘vieux conteurs’ transformé en prestigieux Willemsens e per i suoi fi gli: in questo senso, la Grena- devancier, mais aussi un trésor à exploiter: un trésor de dière «est pareille à l’oeuvre d’art, elle est poème. /.../ thèmes, de situations et de personnages à adapter selon Ici le regard se démultiplie, se diversifi e, s’approfondit, sa ‘manière’ propre» (p. 163). s’enrichit. Cette modeste closerie est terre d’élection Il dossier è integrato, nella sua parte fi nale, dalla se- pour le voyant, le créateur» (pp. 53-54). zione dei ‘Comptes-rendus’ e da un intervento di Mi- Takayasu OYA («Gobseck», ou le femme après la fau- chel TICHIT (Relire Balzac grâce au site Louvre.edu, pp. te, pp. 55-61) concentra la sua attenzione sulla fi gura e 169-173) in cui l’A. rifl ette sulle concezioni estetiche di sul destino di Mme de Restaud per condurre alcune ri- Balzac sulla pittura riferendosi in modo particolare a fl essioni sulle interferenze testuali presenti tra Gobseck illusions perdues. e Le Père Goriot e per affrontare la delicata «question [MARCO STUPAZZONI] du mal causé par le mariage» particolarmente viva, in Balzac, a partire dal 1831. Andrew OLIVIER (Opacité et transparence: «La Fil- GAIA SERVADIO, Balzac e l’intelletto, in Rossini, Pa- le aux yeux d’or», pp. 63-81) rifl ette sul signifi cato del lermo, Dario Flaccovio editore, 2004, pp. 149-198. titolo del racconto balzachiano e propone uno studio sistematico della «manière dont le lexème ‘yeux’ est Segnaliamo, per mero dovere di cronaca, questo utilisé dans la nouvelle» (p. 70). capitolo che forma il “Terzo atto” della biografi a che Anne-Marie BARON («Jésus-Christ en Flandre», ou Gaia Servadio dedica a Rossini: a dispetto del titolo al- l’Évangile selon Honoré, pp. 95-107) coglie i signifi cati quanto promettente, l’A. descrive, in questa sezione, i simbolici che informano il testo fi losofi co di Balzac la diversi soggiorni parigini del compositore pesarese tra cui unità estetica e fi losofi ca si fonda proprio sulla con- il 1823 e il 1836, riportando alcune notazioni sugli in- vergenza di motivi (evangelici, politici, fi losofi ci e fan- contri tra Rossini e Balzac e sulle relazioni sentimentali tasmatici) solo in apparenza lontani tra loro. In Jésus- che videro protagonisti lo scrittore francese e Olympe Christ en Flandre, puntualizza bene l’A., Balzac «offre Pélissier. Vengono altresì citate, ‘en passant’, alcune se- trois images différentes d’une société en décomposi- quenze testuali tratte dai cosiddetti romanzi ‘musicali’ tion» (p. 105) e intende per queste ragioni «composer della Comédie humaine (Gambara, Massimilla Doni), in un nouvel Évangile», in cui tutto sia mito e fi gura, «car cui l’eco dell’opera e il rifl esso della fi gura rossiniane pour lui, le sublime nait en particulier des relations de sembrano particolarmente evidenti e signifi cativi. l’écriture avec le divin» (p. 107), in una sorta di combi- Vistoso e grossolano è l’errore tipografi co presente a nazione armonica tra estetica e teologia. p. 191 dove, riferendosi ad uno dei capolavori più noti André LORANT (Une lecture de «Melmoth réconci- di Balzac (Eugénie Grandet), l’A. ne trasforma il titolo lié»), pp. 109-125) indaga in profondità sulla presen- in Eugène Grandet /sic/. za e sulle modalità di trasfi gurazione letteraria della [MARCO STUPAZZONI] diabolica fi gura di Melmoth nell’opera balzachiana a partire dai ‘romans de jeunesse’ e in relazione alle te- matiche del patto e dell’erranza. ELENA DEL PANTA, Balzac e la poetica del romanzo Olivier GOT («Massimilla Doni» et la musique, pp. drammatico, «Rivista di Letterature Moderne e Com- 127-137) mette in luce l’importanza dei riferimenti parate», Vol. LVII nuova serie, Fasc. 4, ottobre-dicem- musicali e pittorici in Massimilla Doni che «fonction- bre 2004, pp. 451-476. nent comme éléments d’une rhétorique de l’hyperbole concernant la beauté» (p. 129). Nella parte fi nale del Le forme e le tecniche riconducibili all’arte dram- suo studio, l’A. rifl ette sulla lunga analisi del Mosé di matica e, più in generale, al genere teatrale investono Rossini da parte di Balzac: a suo giudizio, «il y a une profondamente e connotano in maniera costante e sor- structure semblable, mais comme inverse, qui anime la prendentemente feconda le strutture e i ritmi della nar- nouvelle et l’opéra: dans Mosé l’amour échoue, sacrifi é razione balzachiana. A partire grosso modo dal 1830, à la liberté du peuple hébreu, tandis que dans l’Italie Balzac affi anca ai suoi scritti di aperta polemica contro romantique la liberté est confi squée, mais la passion se il moderno dramma romantico (ricordiamo, su tutti, gli donne libre cours; la musique permet d’unir les deux strali contro Hugo e i suoi seguaci nella stroncatura di thèmes, en réunissant «la Forme et l’Idée» ennemies, et Hernani) una rifl essione attenta e sempre più sistema- en sublimant la douleur par l’art» (p. 136). tica e precisa sulle nuove e, in un certo senso, rivolu-

ultime 412 4-12-2006, 21:35:26 Ottocento 413

zionarie potenzialità incarnate dal romanzo, il genere sono compatibili soprattutto perché […] il lettore di letterario più consono ad esprimere sinteticamente e romanzo preferisce essere ingannato da qualcosa che è a valorizzare a tutto tondo le forme visibili e invisibili frutto dell’immaginazione piuttosto che ascoltare una del reale accogliendo e incorporando in sé tutti i gene- verità che lo costringa a rinunciare al proprio illusorio ri, tra cui il dramma stesso. Le rifl essioni di Balzac sui piacere» (p. 433). generi conduce lo scrittore, osserva bene E. Del Panta in questo suo lucido e convincente lavoro, a «confron- [MARCO STUPAZZONI] tarsi dialetticamente con le teorizzazioni dei romantici e ad enunciare, fi n dal 1830, appunto, le regole di ba- se di una sintassi drammaturgia del racconto destinata ANNIE BRUDO, Les pièces inachevées du «Théâtre» de ad arricchirsi nel corso degli anni ma i cui tratti fon- Balzac, in AA. VV. , Lingua, cultura e testo. Miscellanea damentali resteranno sostanzialmente immutati» (p. di studi francesi in onore di Sergio Cigada, a cura di En- 456). La lettura balzachiana della realtà così come essa rica GALAZZI e Giuseppe BERNARDELLI. Volume II - To- emerge dai romanzi della Comédie humaine è una let- mo 1, Milano, Vita e Pensiero, 2003, pp. 139-152. tura «teatrale» dal «potenziale complesso e quasi illimi- tato» in grado di cogliere ogni minima sfaccettatura del Nell’ambito della frenetica attività di scrittura bal- visibile e dell’invisibile. È il caso, ad esempio, de La Peau zachiana, il ricco e variegato mosaico delle “oeuvres de chagrin, di Sarrasine (un testo narrativo «che si fa avortées” costituisce una testimonianza esemplare luogo teatrale accogliendo dei micro-saggi di dramma- della intensità progettuale e della fecondità artistica turgia», p. 463), della Maison Nucingen, dei Comédiens del romanziere francese. Accanto alle opere narrative sans le savoir o di Adieu, fi no a giungere a Splendeurs et in cantiere, più volte annunciate e mai portate a defi - misères des courtisanes in cui il versante melodramma- nitivo compimento, merita senza dubbio una attenzio- tico balzachiano, inteso come «una sorta di micro-ge- ne particolare l’insieme delle cosiddette “pièces avor- nere nel genere» (p. 468), rivela al massimo grado tutte tées”, vale a dire quelle opere teatrali progettate e mai le risorse del romanzo-dramma attraverso soprattutto concluse che attraversano l’intero percorso letterario le poliedriche capacità di simulazione e di dissimula- di Balzac dal 1820 al 1848. Queste «pièces inachevées zione incarnate da Vautrin, vera e propria proiezione et quasiment ignorées, osserva A. Brudo, […] témoi- metaforica del suo creatore. gnent non seulement de la prodigieuse fécondité et de l’intérèt permanent que Balzac cultiva pour le théâtre, [MARCO STUPAZZONI] mais elles nous renseignent surtout sur la création et sur l’élaboration de son œuvre colossale dont le théâtre constitue […] une étape fondamentale, voire la source DANIELA SCHENARDI, «La folle de la maison»: l’im- même de son inspiration» (p. 140). In queste opere, maginazione in alcune prefazioni giovanili di Balzac, «Il Balzac non disdegna alcun genere e sviluppa una va- Confronto letterario», 42, Anno XXI - Nuova serie, rietà di tematiche che risentono certo dell’infl uenza di 2004-II, pp. 415-433. autori stranieri quali Shakespeare, Machiavelli, Byron, Scott o Cooper, ma che già assumono una peculiari- Come il fondamentale Avant-propos del 1842 e le tà storico-letteraria propria. Balzac, puntualizza bene altrettanto note Introductions e Préfaces alle Scènes e l’A., intende fermamente contribuire «au renouvelle- ai romanzi della Comédie humaine, anche le prefazioni ment du théâtre comme il avait contribué à celui du dei romanzi giovanili balzachiani «costituiscono una roman» (p. 149): la fi liazione tra teatro e romanzo si parte importante della rifl essione teorica del roman- pone quindi come un principio-cardine della poetica ziere sul proprio lavoro» (p. 415). Scritte tra il 1822 letteraria balzachiana e, da questo punto di vista, è e il 1829, esse si collocano agli esordi della carriera di possibile condividere con l’A. l’assunto secondo cui Balzac e consentono di valutare in maniera precisa (ma «l’inachèvement, chez Balzac, est rarement l’indice tutt’altro che defi nitiva) alcuni nodi centrali del suo d’un échec, d’un ratage; il s’inscrit plutôt dans le pro- pensiero sul romanzo. cessus créatif, dans la question de la génétique de l’oe- In questo interessante studio, Daniela Schenardi uvre» (p. 151). considera da vicino alcune delle prefazioni di romanzi [MARCO STUPAZZONI] di Lord R’Hoone: Clotilde de Lusignan, ou le Beau Juif e di Horace de Saint-Aubin: Le Centenaire, ou les Deux Béringheld e Le Vicaire des Ardennes, nelle quali si con- Le «Livre de ménage» de 1836-1837, «Le Courrier centra in modo signifi cativo la rifl essione del futuro au- balzacien», Nelle Série, N° 91-92, 2 et 3 trimestre tore della Comédie sul ruolo dell’immaginazione nella 2003, pp. 95. descrizione del vero e sulle potenzialità incarnate dal romanzo nella rappresentazione della realtà. Se nel In questo fascicolo doppio del «Courrier balza- prologo di Clotilde de Lusignan, Balzac, contraddicen- cien», Hervé YON cura la pubblicazione di un inte- do in parte quanto egli aveva dichiarato in alcuni scritti ressante documento inedito conservato nel Fondo fi losofi ci giovanili a proposito dell’immaginazione, lan- Lovenjoul della Bibliothèque de l’Institut sotto la se- cia un duro attacco contro le opere di pura immagi- gnatura: A. 334. Si tratta di un registro intitolato “Livre nazione, nell’Avertissement del Centenaire, lo scrittore de ménage” redatto da Auguste, il domestico di Balzac «avvalora l’assoluta imparzialità del suo operato facen- nel corso degli anni 1836-1837. Questo fascicolo, con- do ricorso a un paragone con la fi gura dello storico» (p. tenente 83 fogli di cui solamente i primi quaranta sono 426) e ribadendo in tal modo – ironicamente – «la pro- stati utilizzati, era considerato da Balzac come “le livre pria sfi ducia nella possibilità del romanzo di racconta- des dépenses générales” che si completava con il “Li- re la verità» (p. 431). È, infi ne, scrivendo la prefazione vre des dépenses extraordinaires” stilato nello stesso narrativa al Vicaire des Ardennes che Balzac, pensando periodo,ma che risulta ancora introvabile. all’immagine del cimitero come metafora del romanzo, Nella trascrizione del testo, il curatore ha «opté «accetta il suo ruolo di artefi ce ma non rinuncia […] a pour le respect de l’orthographe d’Auguste qui ne ribadire che – osserva bene l’A. – romanzo e verità non semble pas avoir été ‘contrariée’ par son maïtre» (p. 3).

ultime 413 4-12-2006, 21:35:27 414 Rassegna bibliografi ca

In questa sorta di libro contabile, si conservano altresì prefi gura, anche in ottica sociale, «il motivo prometei- le tracce delle numerose assenze dello scrittore dovute, co di una rifondazione che metta fi ne alle macerie del nella maggior parte dei casi, ai soggiorni a Tours e a passato» (p. XVI). Saché o ad esperienze di viaggio oltre i confi ni francesi, Oltre all’Introduzione già segnalata, il volume si come nel caso della lunga permanenza su suolo italiano completa con l’equilibrata e utile Nota al testo redatta dal 14 febbraio al 30 aprile 1837. sempre dalla curatrice (pp. XIX-XXXII), dalla Crono- Nel Livre des dépenses ordinaires, sono registrate le logia della vita e delle opere di Balzac (pp. XXXIII- più comuni categorie di spese domestiche: l’illumina- XL) e dalla Bibliografi a (pp. XLI-XLIX). zione, il riscaldamento, le spese postali e quelle per l’approvvigionamento dell’acqua, per l’abbigliamento, [MARCO STUPAZZONI] per i trasporti, a cui si affi anca il ricco arsenale delle spese alimentari: pane, uova, carne, latte, formaggi, frutta – che costituisce «une dépense importante dans HONORÉ DE BALZAC, Il medico di campagna. Intro- l’ordinaire balzacien» (p. 10) –, vino, zucchero, ecc. duzione di Ferdinando CAMON. Traduzione di Andrea Tra queste rubriche, manca una categoria rilevante ZANZOTTO, Milano, Garzanti, 2004 («I grandi libri», dello stile di vita balzachiano: il caffè, che Balzac ave- 534), pp. XXII-229. va la consuetudine di acquistare direttamente presso i suoi fornitori di fi ducia. Registriamo questa terza edizione della versione [MARCO STUPAZZONI] italiana del Médecin de campagne curata da Andrea Zanzotto per l’editore Garzanti (prima edizione: aprile 1994) e introdotta da Ferdinando Camon secondo cui HONORÉ DE BALZAC, con AUGUSTE LE POITEVIN DE il romanzo balzachiano rappresenta un «romanzo di L’ÉGREVILLE, L’Anonimo ovvero senza padre né ma- allontanamento dalla società, di ricerca di un mondo dre. A cura di Paola DÈCINA LOMBARDI, Milano, Oscar a parte, da trovare o da costruire, […] un’opera “con- Mondatori, 2004 («Oscar classici»), pp. XLIX-301. solatoria” come tutti gli elogi della solitudine e i saggi sull’applicazione delle virtù che sono tipici di ogni let- Il fi tto alone di mistero che fi no ad oggi avvolgeva teratura nelle fasi storiche che seguono al crollo delle la questione della presunta (se non assoluta, almeno grandi illusioni collettive» (p. XVIII). diffusa) paternità balzachiana del romanzo in tre to- Datata e inadeguata è la sommaria “Guida biblio- mi L’Anonyme ou Ni père ni mère pare essersi dissol- grafi ca” presente alle pp. XXI-XXII. to grazie (e non solo) alle ricerche di M.-B. Diethelm negli archivi della Bibliothèque Nationale de France. [MARCO STUPAZZONI] L’edizione integrale dell’opera, pubblicata nel 2003 (Le Passage), è corredata infatti da una documentata prefazione e da un ricco apparato di note al testo che HONORÉ DE BALZAC, La ragazza dagli occhi d’oro. In- contribuiscono, probabilmente in misura determinan- troduzione di Lanfranco BINNI. Traduzione di Attilio te, a chiarire uno dei tanti ‘misteri’ che, a torto o a ra- BERTOLUCCI, Milano, Garzanti, 2004 («I grandi libri», gione, aleggiano intorno alla produzione letteraria del 650), pp. LX-69. giovane Balzac. Su L’Anonyme, avevano già avuto modo di rifl ette- Nell’oramai classica traduzione del poeta Attilio re anche critici balzachiani di notevole spessore: da A. Bertolucci, è pubblicata questa nuova edizione italiana Prioult a B. Guyon (piuttosto scettico circa la paternità de La Fille aux yeux d’or, l’ultimo dei tre segmenti nar- balzachiana del romanzo); da M. Bardèche a P. Bar- rativi che formano l’ Histoire des Treize. béris fi no a R. Chollet. Il testo balzachiano è preceduto da un denso e pun- L’autore uffi ciale dell’opera in questione, registrata tuale studio introduttivo di Lanfranco Binni, già pre- nella «Bibliographie de France» il 24 maggio 1823, è sente in altre passate edizioni di romanzi della Comédie A. de Viellerglé Saint-Alme, pseudonimo anagramma- humaine edite da Garzanti: in esso, l’A. ricostruisce le tico di Auguste Lepoitevin detto Le Poitevin, autore tappe fondamentali della vita di Balzac e ricompone di opere letterarie oggi giustamente dimenticate, che si l’ampio e variegato mosaico delle opere che hanno legò a Balzac a partire dal 1820. Redatto tra il settem- segnato la sua attività di scrittore e la sua specifi ca bre 1821 e l’agosto 1822, L’Anonyme è contemporaneo poetica letteraria, dalla prime Notes philosophiques del ad altre oeuvres de jeunesse balzachiane: Jean-Louis, Le 1817-1818 e dai ‘romans de jeunesse’ fi no al proget- Vicaire des Ardennes e Le Centenaire, e rivela forme e to-Comédie humaine attraverso l’analisi dei romanzo e caratteri eminentemente balzachiani, ben lontani dai degli scritti maggiormente signifi cativi sotto la prospet- ‘clichés’ narrativi sviluppati da Viellerglé. Oltre al- tiva estetica e ideologica. l’infl uenza delle opere di Sterne e di Pigault-Lebrun, Come Ferragus e La Duchesse de Langeais, anche La Fil- preponderante risulta essere, nell’Anonyme, la presen- le aux yeux d’or deve molto ai romanzi giovanili di Balzac; za di temi e di colori propri del romanzo nero, a cui si ma il racconto, scrive Binni, rivela allo stesso tempo «un aggiunge, però, scrive P. Dècina Lombardi nel saggio dominio maturo della tecnica narrativa» (p. XXXVIII): introduttivo (L’anonimato di un grand’uomo, pp. V- inoltre, la «visione spietata del funzionamento della so- XVIII) che inaugura questa prima edizione italiana cietà borghese» (p. XXXIX) teorizzata nel prologo segna del romanzo, l’eco di un periodo «di formazione e di «un ulteriore importante progresso nello scavo delle ‘vite passaggio, di presa di distanza dalla famiglia e di atti- private’, ormai pienamente inserite nel più ampio contesto vismo frenetico, di speranze e progetti continuamen- sociale» (p. XXXVIII). Segnaliamo, infi ne, l’utile quadro te messi alla prova» (p. VIII). Nell’Anonimo, Balzac, critico-bibliografi co presente alle pp. LV-LX del volume giovane anticonformista che può contare solo su se per il quale ci sentiamo tuttavia di esprimere qualche riser- stesso, dà corpo a «fantasmi e proiezioni, traducen- va visto che il repertorio degli studi segnalati dal curatore do metaforicamente il processo della sua costruzione sembra completamente trascurare i contributi critici pro- dell’io» (Ibid.). Signifi cativo, da questo punto di vista, dotti negli ultimi decenni. è l’identifi cazione dell’anonimo con Enea, il cui mito [ARCO STUPAZZONI]

ultime 414 4-12-2006, 21:35:27 Ottocento 415

PATRIZIO COLLINI, Iconolatria e iconoclastia: “Le «contesto genetico» entro cui si colloca il messaggio chef-d’oeuvre inconnu” e il romanticismo tedesco, in Ico- ideologico proprio delle due opere, Luzzatto rivaluta nolatria e iconoclastia nella letteratura romantica, Pisa, anzitutto il valore culturale dei Mémoires e precisa la Pacini editore, 2004 («Saggi critici», 46), pp. 163-172. loro infl uenza sull’«evoluzione intellettuale di Balzac rispetto al problema storico della Rivoluzione france- Il tragico e sublime calvario artistico di Frenhofer se» (p. 112). Se la fi gura di Vidocq consente a Balzac nel Chef-d’oeuvre inconnu di Balzac esemplifi ca l’inten- di censurare «sia il potenziale romanzesco del mondo sa poetica dell’infi nito propria del romanticismo: una del crimine, sia l’ambiguità di statuto di una polizia poetica che, paradossalmente, si può «costituire solo operante al confi ne tra interesse pubblico e vizi pri- in assenza dell’oggetto» (p. 163) e che può realizzarsi vati» (p. 107), Sanson, espressione di una condizione attraverso una scrittura iconoclasta in cui l’opera può esistenziale ai limiti della sopravvivenza, incarna, an- soltanto «divenire senza poter essere» (p. 164). Questa che dal punto di vista sociale, «la necessità dell’espia- «estrema drammatizzazione del processo creativo» (p. zione» (p. 95). Nei Mémoires de Sanson, osserva l’A., lo 165) che ritroviamo nella novella d’artista romantica scrittore restituisce «un’aura al carnefi ce» nel tentativo tedesca (come, ad esempio, in Wachenroder, in Tieck di «scongiurare quel principio di impersonalità e neu- e soprattutto in Hoffmann, quest’ultimo ben noto a tralità» della macchina per uccidere (la ghigliottina), Balzac) si accompagna al tentativo di sottrarre all’uni- «vagamente intuendo, forse, il futuro primato dell’at- versale mercifi cazione e prostituzione l’opera d’arte: trezzo sull’uomo» (p. 97). nella parabola di Frenhofer, si determina il «punto [MARCO STUPAZZONI] di non ritorno della pittura» (p. 169), l’assoluta astra- zione di un’immagine che, in quanto metaforicamente invisibile, fi nisce per non essere più consumabile. Da «Le Courrier balzacien», Nelle Série, N° 97, 4e trime- questo punto di vista, osserva con acume l’A., nel stre 2004, pp. 47. Chef-d’oeuvre inconnu balzachiano «si riassume, come in una sorta di raptus orgasmico, la parabola stessa del- In attesa del fascicolo triplo (nn. 94-96) interamente l’arte moderna nei cui epicedî il momento aniconico e dedicato alle Lettres sur Kiev, esce ora il quarto nu- iconoclasta si accompagna sempre più a uno sconfi na- mero dell’annata 2004 che si apre con l’interessante mento della pittura nella sfera della musica» (p. 168), contributo di Michael TILBY (Sur Balzac et la peinture di cui Gambara e Massimilla Doni costituiscono una espagnole, pp. 3-17). In questo studio, l’A. ricompo- testimonianza esemplare. ne il quadro delle citazioni e delle allusioni ai pittori [MARCO STUPAZZONI] spagnoli della generazione di Velazquez nei racconti e nei romanzi della Comédie humaine, soffermandosi, in particolare, sui riferimenti predominanti ai dipinti MAURIZIO QUILICI, Il grido di papà Goriot, «ISP no- di Murillo (tra cui l’Immaculée Conception des Vénéra- tizie. Notiziario dell’ISP-lstituto di studi sulla pater- bles) che Balzac ebbe senza alcun dubbio modo di am- nità», Anno XIV, n. 4, ottobre-novembre-dicembre mirare tra le opere presenti nella collezione del mare- 2004, p. 1. sciallo Soult a Parigi in rue de l’Université. Thierry BO- DIN (Une importante lettre inédite à Zulma Carraud, pp. In questo intervento, Maurizio Quilici, presidente 18-27) cura la pubblicazione di una suggestiva lettera dell’Istituto di studi sulla paternità, rifl ette sul ruolo inedita dello scrittore francese all’amica Zulma Car- del padre nella società contemporanea facendo pro- raud (4 gennaio 1831), nella quale Balzac intrattiene la prio il terribile e profetico grido del père Goriot, il sua corrispondente confessandole le diffi coltà della sua quale, prossimo a morire nella solitudine, denuncia a vita di romanziere, ma allo stesso tempo il suo entusia- se stesso e al mondo l’ormai calpestata dignità della smo per le future e ambiziose imprese letterarie che lo fi gura paterna intesa come fondamento e garante del vedranno protagonista negli anni a venire. vivere sociale e civile. Alla breve nota di Candice BRUNERIE (Ordre balza- [MARCO STUPAZZONI] cien du ‘Cheval rouge’, pp. 28-29), segue la riproduzio- ne del resoconto apparso, con il titolo di: Les Champs de bataille de l’Empire, in «Paris élégant» il 20 agosto SERGIO LUZZATTO, Balzac tra il poliziotto e il boia, in 1843: in esso, l’anonimo compilatore riferisce del viag- Ombre rosse. Il romanzo della Rivoluzione francese nel- gio di Balzac a San Pietroburgo e delle sue ispezioni ai l’Ottocento, Bologna, il Mulino, 2004 («Saggi», 607), campi di battaglia che videro protagonista l’armata im- pp. 81-115. periale francese in vista della scrittura delle Scènes de la vie militare (Un écho de ‘Paris élégant’, pp 3032). Lo studio (fi no ad ora inedito) che forma il secon- Le consuete rubriche critiche e informative chiudo- do capitolo di questo brillante ed opportuno volume no le pagine del fascicolo. di Sergio Luzzatto che tratta dei rifl essi e delle riper- [MARCO STUPAZZONI] cussioni (quasi invasive) della Rivoluzione francese sulle ideologie storiche, politiche ed estetiche del- l’Ottocento, coglie nelle trasformazioni narrative di ARLETTE MICHEL, Balzac: la musique, la mort et la re- due fi gure emblematiche del contesto rivoluzionario ligion, «Revue d’Histoire Littéraire de la France», 104e (e postrivoluzionario), quali il boia Sanson e l’ex-ga- année, n. 3, juillet-septembre 2004, pp. 527-534. leotto Vidocq, un segno particolarmente signifi cativo della rifl essione di Balzac intorno alla questione della La musica rappresenta, per Balzac, una forma di Rivoluzione. L’esercizio di lettura svolto dall’A. sui te- comunicazione privilegiata la cui energia emozionale e sti balzachiani ha come opere principali di riferimento contagiosa riesce a trasmettersi e a penetrare nelle zone proprio i Mémoires de Sanson e i Mémoires de Vidocq, più profonde e intime dello spirito umano. due testi pubblicati entrambi intorno al 1830, di cui In quattro opere della Comédie humaine: La Mai- soltanto il primo è attribuibile (benché parzialmente) son Nucingen, Massimilla Doni, Melmoth réconcilié e al futuro autore della Comédie. Attraverso l’analisi del Ferragus, Balzac illustra in forme diverse, attraverso

ultime 415 4-12-2006, 21:35:27 416 Rassegna bibliografi ca

l’esempio del Dies irae, gli «effets physiologiques et grandit sous son infl uence (son père est froid et dis- spirituels» della musica sacra la cui potenza comuni- tant), mais s’émancipe progressivement en affi rmant cativa consente all’individuo di «sortir du temps, du sa personnalité. «[La] nécessité de transparence à soi monde relatif qui est le sien pour appréhender l’ab- et à l’autre» (p 30) qui caractérise la relation initiale à solu” (p. 531). Il caso di Ferragus, che Balzac dedicò la mère est remise en question lorsque Quinet rencon- a Berlioz, è, da questo punto di vista, esemplare: nel tre la vie intellectuelle de Paris et s’y fait de nouveaux romanzo balzachiano, infatti, il Dies irae «n’est pas amis. Avec le départ pour l’Allemagne en 1825 et la reçu par des consciences accessibles au repentir» (p. rencontre de celle qui deviendra sa première femme, 529), ma da uomini lacerati dal dolore e dalla dispe- le Quinet de 1830 découvre l’équilibre de l’adulte et razione, in perenne rivolta contro Dio e contro i loro laisse derrière lui l’adolescence, surmontant les symp- simili. Il Dies irae di Ferragus, scrive con acume Arlet- tômes du mal du siècle et se libérant d’un sentiment te Michel in questo suo penetrante studio, manifesta de dépendance excessive envers sa mère. Laurence un «Dieu-abîme», un Dio «de transcendance absolue RICHER étudie la correspondance d’une période très qui terrasse la conscience mais aussi l’exalte: en effet différente et relève les nombreuses coupures et mo- la musique religieuse dit à la fois, en face du sublime, difi cations opérées par la seconde Mme Quinet dans le la terreur sacrée qu’inspire l’abandon et le désir d’en texte des lettres d’exil qu’elle a publiées après la mort approcher par les efforts d’une âme extatique dans son de son mari. Cependant elle ne fait pas d’Hermione élan» (p. 534). Quinet une veuve abusive, préférant lui témoigner un [MARCO STUPAZZONI] sentiment de compréhension: « l’édition donnée par Mme Quinet, si peu scientifi que qu’elle soit, ne trahit pas fondamentalement les intentions de Quinet dans GUY LAVOREL et LAURENCE RICHER, Quinet en que- sa correspondance d’exil» (p. 42). L. Richer évoque stion. Actes du colloque de Bourg-en-Bresse pour la com- les relations épistolaires entre Quinet et les autres mémoration du bicentenaire de la naissance d’EDGAR exilés, s’attarde aussi sur les lettres échangées avec QUINET. Lyon, C.E.D.I.C. - Université Jean Moulin ses éditeurs et des journalistes restés en France. Elle Lyon 3, 2004, pp. 125. souligne l’importance de la correspondance pour une appréciation juste des idées de Quinet sur la politique, e Quinet est une grande fi gure du XIX siècle fran- l’histoire et la création littéraire. Elle soulève aussi une çais, mais son œuvre n’attire pas l’attention qu’elle question fort intéressante: pourquoi Hermione Qui- mérite. Récemment cependant nous avons assisté à un net, une Roumaine, a-t-elle exclu de son édition des véritable regain d’intérêt pour sa pensée et ses écrits. lettres d’exil presque toute trace des correspondants Simone Bernard-Griffi ths a publié son étude du my- roumains de son mari? Espérons que ce volume sus- the de Merlin l’Enchanteur chez Quinet et Laurence citera de nouvelles vocations. Beaucoup d’aspects de Richer sa biographie intellectuelle du penseur. Sur- l’œuvre de Quinet sont encore inexplorés. prennent chez Quinet ses multiples centres d’intérêt et sa curiosité universelle. Au cours d’une longue vie, [CERI CROSSLEY] il se consacre à la poésie, à l’histoire, à l’histoire natu- relle, à la philosophie, à la critique d’art, au récit de voyage, à l’autobiographie... En 1989, au moment du AA. VV. , «Les Amis de George Sand» , n° 27, 2005, bicentenaire de la Révolution française, la critique s’est pp. (175). souvenue du grand livre sur la Révolution que Quinet a publié sous le Second Empire, ce qui lui attire les L’année 2005 voit une autre commémoration, celle foudres de certains de ses amis républicains. Les par- du trentenaire de l’Association des Amis de George ticipants au colloque de 2003 se penchent sur la vie de Sand., célébrée à la Fondation Thiers, le 1er octobre Quinet et examinent ses idées politiques et religieuses. dernier devant une assistance nombreuse. Aussi ce nu- Sa production littéraire – qui a occupé une bonne pla- mèro 27 n’est pas moins fourni que le precedent. ce lors du précédent colloque, tenu en 1975 pour célé- A la suite de l’editorial de notre rédactrice en chef, brer le bicentenaire de sa mort – est largement laissée Michèle HECQUET qui en présente le contenu (3-4) de côté ici. Jacqueline LALOUETTE (pp. 79-96) propose Thierry BODIN (5-8) qui édita, en 2004, le vingt-sep- une excellente mise au point des rapports de Quinet tième volume de la Correspondance sous le titre Let- avec la libre-pensée en insistant sur son concept-clé tres retrouvées (Gallimard), met en évidence, avec un de révolution religieuse. Henri BONNET (pp. 97-108) fac-similé de l’autographe, une lettre que George Sand et Roger GORINI (pp. 109-20) abordent divers aspects écrivit le 16 février 1849 à Eugène Sue et qui précède de sa pensée religieuse. Mihaï Ungurean (pp. 69-75) celle du 16 mars 1849, inédite, qu’il publia dans ce nous rappelle son infl uence considérable sur les intel- volume. lectuels roumains. Michel LEROY (pp. 11-20) traite de C’est précisément cette dernière que Bernard HA- ses idées sur l’enseignement. Bernard BOURGEOIS (pp. MON (11-22) analyse dans Propos sur une «lettre retrou- 57-63) évoque les rapports entre Quinet et la pensée al- vée», George Sand à Eugène Sue, Nohant 16 mars 1849. lemande: son engouement de jeunesse pour Herder et Il nous montre le désarroi de ces deux républicains l’idéalisme allemand est bien connu, mais est souligné au lendemain d’élections qui ont désigné une cham- un fait capital: «[Quinet] n’a pas l’idée d’une logique bre conservatrice, où leurs amis sont très minoritai- de l’histoire faisant de la négation du négatif quelque res. L’universalité du suffrage a modifi é la donnée en chose de positif. Il a l’idée d’une logique négative du donnant aux masses rurales, encadrées par leurs élites négatif, non d’une logique positive du négatif» (p. 61). traditionnelles, un poids déterminant. Comment les Les connaissances les plus nouvelles sont celles appor- convertir aux idées républicaines sinon par une pro- tées par Gérard PEYLET (pp. 25-38) et Laurence RICHER pagande soutenue par l’écrit, entretenue par des relais (pp. 39-53) qui éclairent la vie et les sentiments de Qui- locaux? Ah si nous avions cent mille francs! soupire net en se penchant sur sa correspondence. G. Peylet Sand, consciente toutefois qu’il faudra attendre la gé- examine les lettres envoyées à sa mère Eugénie entre nération suivante pour obtenir un résultat. 1808 et 1830, possessive, ambitieuse pour son fi ls qui Françoise GENEVRAY (23-37), à son tour, met en lu-

ultime 416 4-12-2006, 21:35:28 Ottocento 417

mière au sein du recueil lyrique moderne que sont les réalisée par Jean-Baptiste Clésinger, son gendre pour- Lettres d’un voyageur, la permanence et la solidité de tant exécré. L’œuvre, après une longue errance, vient la culture classique de Sand, qui se nourrit des anciens de trouver sa place à Nohant en septembre 2004. comme des modernes. Comme le conclut l’auteur de Viennent ensuite trois études dictées par les com- l’article: «l’art et la pensée n’ont que faire pour elle des mémorations de 2004. Vanessa MARTIN (91-105) tout étiquettes, l’œuvre géniale échappe à son auteur et à d’abord, caractérise les six anniversaires, 1901, 1904, son temps». 1926, 1954, 1976, et 2004, célébrés depuis la manifes- Les d.eux articles suivants sont consacrés à la fi lle de tation initiale de 1884 à La Châtre, en les inscrivant George Sand. Christine CHAMBAZ-MONTOUX (39-51), dans une réfl exion générale sur le phénomène com- lectrice des romans d’après 1852, nous montre, dans mémoratif. Son analyse, qui distingue les différentes Nosographie des jeunes fi lles, l’implication involontalre George Sand commémorées, montre que la compré- de Solange dans la création littéraire de sa mère. Nous hension d’un anniversaire refl ète l’état d’esprit et la sommes loin désormais des femmes fortes des romans mentalité de la société qui le célèbre. précédents car, le plus souvent, la romancière met en Mireillè VÉDRINE (106-119), à propos des deux scène un type de jeune fi lle « névrosée » – dont la mé- expositions réalisées par les musées de Chambery en decine commence alors l’étude – type qui semble bien 2004, Sand et Rousseau au Musee des Charmettes et être une pure création sandienne. George Sand, ses editeurs et illustrateurs au Musée Sa- Aline ALQUIER (53-62) dans Solange, ou l’incertaine voisien, rend compte des principes et des intentions paternité, s’interroge sur l’identité du géniteur de So- qui l’ont guidé dans la conception et la réalisation de lange Dudevant que beaucoup, Maurois, Lubin et ces événements. Ce fut un franc succès, tant sur les si- d’autres, ont reconnu en Stéphane Ajasson de Grand- tes que sur Internet, montrant ainsi que l’objectif qui sagne, mais en soulignant que cette attribution ne re- visait le grand public avait été pleinement atteint. pose que sur le témoignage de Paul, le fi ls de Stéphane. Puis Luc PASSION (120-127), Conservateur en chef Mais comment admettre, sans autres témoignages, l’af- fi rmation de ce personnage peu fi able, qui prétendit à la Bibliothèque historique de la Ville de Paris, nous avoir des lettres révélatrices sans jamais les montrer? présente l’histoire et le contenu de la très riche “Bi- Et si Solange était tout bonnement le fruit d’un rap- bliothèque George Sand”, constituée autour du legs prochement ponctuel des époux, comme le suggère d’Aurore, la petite-fi lle de Sand, inaugurée le 15 juin Michelle Tricot dans son livre, Solange, fi lle de George 1954, à l’occasion du cent cinquantième anniversaire Sand, dont la critique de Christine CHAMBAZ-BERTRAND de la naissance de l’écrivain. Son bicentenaire y fut (157-161) est donnée dans cette revue? naturellement célébré par une très brillante exposi- Autre étude biographique, celle de Françoise VAYS- tion, très fréquentée, qui, sur la trame d’Histoire de ma SE (63-81), qui nous intéresse au dernier compagnon Vie, menait le récit de la vie intérieure et publique de de George Sand, le peintre Charles Marchal, d’ordinai- l’auteur et de sa famille et faisait apparaître la façon de re trop légèrement traité, en faisant apparaître un per- travailler de la femme de lettres. sonnage qui touche au grotesque et au tragique, mais Enfi n Michèle HECQUET (128-139) procède à une qui savait la distraire: «Marchal me maintient gaie» confrontation entre Sand et Colette, séparées par confi era-t-elle. C’était un peintre mineur qui ne vivait soixante-dix ans, mais plus encore par les turbulences cependant que pour la peinture. Sentant sa vue baisser engendrées par des événements souvent tragiques et il se suicidera, un an après la mort de George Sand. une évolution rapide des mentalités. Elle montre com- Dans le domaine iconographique, Thierry BODIN bien, dans ces conditions, il est dangereux de porter (82-84) présente un dessin de George Sand crayonné un jugement rapide, comme on le fait trop souvent, en sur le vif par Pauline Viardot che après-midi de sep- mettant l’accent sur leurs affi nités, réelles, sans tenir tembre 1872. Puis George BUISSON (85-89), conserva- compte de leurs différences, souvent marquées. teur de la maison de Nohant, retrace l’histoire de la statue de Sand fi gurée en “Allégorie de la littérature”, [BERNARD HAMON]

Ottocento b) dal 1850 al 1900, a cura di Mario Richter e Ida Merello

CHARLES BAUDELAIRE, I fi ori del male, traduzione con lo studioso intende collocare l’impresa di Muscetta nel testo a fronte a cura di Carlo Muscetta, presentazione contesto della sua opera di critico e di poeta. Quanto di Giuseppe Savoca, Firenze, Olschki, 2005, 409 pp. alla valutazione d’insieme, «… è da osservare, – scrive Savoca, – che questa traduzione vive della vita propria Segnaliamo questa nuova edizione della traduzione delle opere nate da intelligenza, sensibilità e cultura, e che Muscetta pubblicò presso Laterza nel 1984 e che che in essa è possibile leggere una idea e una immagine può essere senz’altro annoverata fra le più convincenti dell’autore tradotto ma anche, in fi ligrana, una sintesi e coraggiose fi nora tentate. L’ha curata Giuseppe Sa- dei problemi storico-letterari e tecnico-linguistici af- voca con una sua convinta Presentazione, nella quale frontati dal traduttore per ‘appropriarsi’ di un testo ca-

ultime 417 4-12-2006, 21:35:28 418 Rassegna bibliografi ca

pitale della poesia europea». Utili le Note, che offrono Fantaisies à la manière de Rembrandt et de Callot). Il informazioni essenziali e spunti per una lettura dei sin- poème en prose, ibrido che raccoglie l’ossimoro non goli componimenti. Spiace tuttavia che la Bibliografi a solo di prosa e poesia (Todorov), ma anche quello di non sia stata aggiornata. letteratura e arti visive, sarebbe pertanto un paradigma [MARIO RICHTER] già soggiacente alla prosa dei Salons e dei Paradis Arti- fi ciels, per l’attività prevalentemente visiva del fl âneur cittadino e per le metafore visive o pittoriche adottate GIOVANNI CACCIAVILLANI, “Questo libro atroce”. per descrivere i processi mentali. Commenti ai «Fiori del male», Napoli, Liguori, 2005, Su qualche punto, Ruskin è detto un anticipatore 191 pp. di Benjamin. Sostanzialmente convinto della natura visiva del pensiero, nei Modern Painters Ruskin non Essenzialmente concepito per un uso didattico, distingue tra visione fi sica e visione mentale, poiché questo libro si autopresenta come «un caso eccezio- ogni grande pittore vede quello che dipinge prima nale», nel quale: «per la prima volta il lettore potrà di dipingerlo. Quest’opera monumentale, probabile affrontare il testo poetico di Baudelaire con l’ausilio serbatoio di alcune immagini di tipo ottico che Proust di una pluralità di voci critiche fra le più recenti e in- farà sue nella Recherche, era considerata digressiva da novative». Molto spesso i commenti dei singoli compo- Laforgue per il suo stile nel tempo sempre più associa- nimenti risultano affi dati alle osservazioni di Massimo tivo e suggestivo. Colesanti e di John E. Jackson e in parte adattati a una In conclusione, viene convincentemente sostenuto: visione psicoanalitica dell’A. Bibliografi a. se l’autore vede tutto in immagine, poi traduce in pa- rola, la prosa che meglio riproduce questo processo [MARIO RICHTER] mentale sarà la più riuscita e la più fervida di succes- sivi sviluppi. Ci chiediamo solo: perché la prosa e non la poesia, dato che è lì che, notoriamente, la parola si ALEXANDRA K. WETTLAUFER, In the Mind’s Eye. The esprime per immagini? Visual Impulse in Diderot, Baudelaire and Ruskin, Am- [ALESSANDRA MARAGONI] sterdam-New York, Rodopi, «Faux Titre» 236, 2003, pp. 310. LORENZO BOCCA, Lo “spiano della spezieria”: farma- Questo studio, che si pone domande sull’interdi- cisti nella narrativa italiana e francese del secondo Otto- sciplinarietà, mira a cogliere il legame che si instaura cento, in «Giornale Storico della Letteratura Italiana», tra letteratura e arti visive nella prosa di Diderot, Bau- t. CLXXXII, fasc. 598, 2005, pp. 217-228. delaire e Ruskin, e non solo nella loro critica d’arte, nuovo genere in via di sviluppo tra Sette e Ottocen- Attraverso un vigile esame di alcuni romanzi del to. Siamo insomma nell’ambito della tradizione delle secondo Ottocento (I Malavoglia di Verga, Madame “arti sorelle” e del precetto oraziano ut pictura poesis: Bovary di Flaubert, Madonna di fuoco e madonna di due campi, secondo alcuni (non minori: Leonardo, neve di Faldella, Tartarin de Tarascon di Daudet), l’A. Lessing, Foucault…), fondamentalmente diversi e, mette in luce con interessanti rilievi il signifi cato che per ciò stesso, incommensurabili. L’Autrice raccoglie in essi assumono le farmacie e i farmacisti. Soprattutto questa sfi da ed esplora il viaggio della parola nel regno nei romanzi di Flaubert e di Verga la satira che investe dell’immagine. I tre autori prescelti, seppur lontani i farmacisti è rivolta, conclude l’A., «a una classe di cui nel tempo o nello spazio, sarebbero accomunati dal lo speziale diventa quasi un rappresentante prototipi- desiderio di incorporare effetti visivi nella loro prosa co, un soggetto perfetto per uno studio sulla psicologia («visual prose»), una prosa da recepire – alla stregua sociale di un particolare tipo di borghesia, quella della di un quadro – in modo sintetico e simultaneo e non professioni» (p. 227). progressivo e lineare, come avviene con un comune di- [MARIO RICHTER] scorso prosaico. Questa prosa che possa essere vista oltre che letta (secondo un «reading as viewing») tro- verebbe una ragion d’essere, già nel Settecento, nella MICHEL BRIX, Premiers crayons. Sur les romans de crescente insoddisfazione inerente al linguaggio e un jeunesse de Flaubert, in Flaubert et la théorie littéraire – radicamento nella fi losofi a della percezione di Locke Hommage à Claudine Gothot-Mersch, Bruxelles, Publi- e Condillac, nonché nelle nuove teorie associazionisti- cations des Facultés Universitaires Saint-Louis, 2005 che, passate in rassegna nella documentata parte intro- duttiva. La nuova defi nizione della memoria e dell’im- L’A. si propone di riverifi care il processo di crea- maginazione in termini eidetici incontra in tal modo la zione, di maturazione e di sviluppo dei capolavori di nozione classica di enargeia («language that makes one Flaubert attraverso l’analisi dei manoscritti dei roman- see»), nella quale l’A. fa entrare anche la nozione di zi di giovinezza, sottolineando come Passion et vertu, ekphrasis (rappresentazione verbale di una rappresen- Mémoires d’un fou, Novembre e la prima versione tazione visiva). La prosa dei tre grandi autori prescelti dell’Education Sentimentale, tutti scritti tra il 1837 e il attiverebbe infatti la partecipazione visiva del lettore: 1845, siano legati a fi lo doppio ai grandi romanzi della lettura come esperienza di tipo “scopico” per ovviare maturità, sia sul piano tematico che su quello teorico. al defi cit della comunicazione per verba. La continuità d’ispirazione si manifesta in modo più Diderot, che crede nel legame tra suoni e colori evidente soprattutto in ciò che riguarda l’approccio a («clavecin oculaire» del père Castel), che crede nel lin- tematiche quali l’amore e il delirio amoroso. Quest’ul- guaggio dei gesti e nei geroglifi ci, nei Salons evoca più timo, si sostiene, è indotto dal sentimento del Bello che che descrivere e mette così in moto l’occhio mentale quindi lo eleva a dono divino, proprio come è dono ce- («Mind’s Eye») del lettore. lestiale l’ispirazione poetica. Questa concezione quasi Per Baudelaire il poème en prose viene indicato qua- “religiosa” dell’amore come sentimento nobile, plato- le nuova forma espressamente legata all’arte visiva fi n nico, che eleva l’animo di chi lo vive, è di conseguenza dal dichiarato modello Gaspard de la nuit (sottotitolo: riscontrabile nei quattro romanzi in analisi.

ultime 418 4-12-2006, 21:35:29 Ottocento 419

I personaggi dei primi romanzi di F. sono infatti propriamente politico, che fu senz’altro di natura re- assetati d’assoluto e tutti cercano affannosamente di pubblicana, sebbene il poeta non amasse i repubbli- accedere all’Ideale attraverso l’Amore. Così succede in cani reali della sua epoca e ne disprezzasse anche gli Passion et vertu, in cui Mazza, che ricorda chiaramente artisti (come, ad es., Courbet), facendosi piuttosto Emma Bovary, vuole conoscere un amore che superi i difensore dell’utopia furierista. Leconte detestava il limiti della natura e le faccia provare ciò che la passio- Romanticismo in quanto da lui considerato il movi- ne ha di più frenetico, di più sublime. Riconosciuti in mento letterario della monarchia e del cattolicesimo. questo romanzo gli accenti di quella che viene defi nita L’A. sostiene, contrariamente a quanto si pensa co- una “religion sentimentale” (religione del contro-senso munemente, che le convinzioni politiche di Leconte che porta la protagonista perfi no a detestare il proprio de Lisle furono essenziali per la realizzazione della sua consorte e i propri fi gli fi no a ucciderli senza scrupolo opera e per motivare la sua avversione nei riguardi di perché ostacolo al coronamento della storia d’amore ogni forma di romanticismo, espressione di un ordine che la lega all’amante) si sottolinea come F., seppur politico contrario ai valori repubblicani, alla scienza e scrivendo questo romanzo a soli sedici anni, sembrasse alla ragione. Ed è anche accertabile che, con l’avanzare già cosciente dei pericoli dell’idealismo amoroso; tanto degli anni, l’ideologia repubblicana, antimonarchica e da ritornar ben presto sulla stessa tematica. anticlericale del poeta si fece sempre più scoperta. In Nei Mémoires d’un fou, di un F. diciassettenne, si particolare ciò è dimostrato dall’A. tramite il rapporto ritrovano le stesse preoccupazioni per l’Assoluto che fra i Poèmes barbares e i tardivi Poèmes tragiques. Il avevano portato alla rovina Mazza. La fi gura del pro- libro è utilmente corredato di un’ampia bibliografi a tagonista, in cui si può rintracciare il giovane Gustave, e di indici. presenta dei sintomi che possono essere facilmente [MARIO RICHTER] assimilati a quelli che consumavano anche l’animo di un’altra vittima della religione dell’infi nito, cioè Louis Lambert. Questi rapporti sono ancora più signifi cativi ALAN ENGLISH, Verlaine poète de l’indécidable. Étu- se si pensa che, anche se Louis Lambert è uscito pri- de de la versifi cation verlainienne, Amsterdam - New ma della stesura dei Mémoires, F. non lo lesse che nel York, Rodopi, 2005, 345 pp. 1852, come è emerso dalla fi tta corrispondenza tra il nostro romanziere con Louise Colet, in cui lo stesso Alan English si avvale delle teorie di Jauss, di Bar- Flaubert traccia un confronto tra il suo Alfred e Lam- thes e soprattutto di Derrida (dal quale trae il termine bert. Se Passion et vertu preludeva a Madame Bovary, indécidable) e della Kristeva per studiare con attenzio- in Mémoires d’un fou ci si trova quasi di fronte a una ne nei suoi più diversi aspetti la prosodia di Verlaine copia dell’intrigo amoroso che caratterizzerà l’Educa- anche in opere solitamente trascurate dalla critica. «Les tion Sentimentale. L’A. nota inoltre che il personaggio infractions verlainiennes aux conventions, – scrive l’A. di Louise offre un buon punto di partenza per la crea- nei termini freudiani adottati da Derrida, – seraient zione di alcune delle fi gure più emblematiche della let- […] à envisager comme des remises en compte de la teratura francese degli anni a seguire, tra cui la Cathe- Loi du pair et du père, des subversions de la binarité et rine di La dernière fée di Balzac, la povera Pauline di de la poétique hugolienne, sans jamais constituer néan- La peau de chagrin, Amélie, la fi danzatina d’Amaury in moins une libération complète des exigences tradition- Volupté de Sainte-Beuve o ancora la Silvia di Nerval. nelles» (p. 307). L’articolata e minuziosa analisi della Anche Novembre è un racconto autobiografi co in metrica di Verlaine porta l’A. a sottolineare nel poeta cui il protagonista sogna di possedere (anche in senso una valorizzazione dell’aspetto viscerale del linguaggio carnale) un’amante che si faccia intermediaria tra lui e e un particolare rilievo conferito al signifi cante a spese l’infi nito a cui tende continuamente la sua mente tra- del signifi cato. Sulla base di ciò, Verlaine sarebbe dun- sognante. Questa e altre manifestazioni di “bovarismo que da riconoscere come uno dei precursori più dotati ipnotico”, come li defi nisce l’A., non possono che con- della poesia moderna e forse ancor più come uno fra durre il giovane alla sofferenza e al disgusto nel mo- gli scrittori dell’Ottocento capaci di proporre ancor mento in cui egli si scopre semplice uomo sulla terra oggi materia di rifl essione alla critica letteraria. Il libro e non mitico esploratore, armato soprattutto della sua risulta corredato di un’ampia bibliografi a. arte concepita come espressione della propria unicità, alla ricerca dell’assoluto. [MARIO RICHTER] L’analisi dell’A. sui manoscritti si chiude con lo studio della versione dell’Educazione sentimentale del 1845, segnata anch’essa dalla denuncia dei pericoli del- VERLAINE, Hombres, Édition établie, présentée et l’idealismo chimerico. annotée par Steve Murphy, Béziers, H&O éditions, [MARCO GARRONE] 2005, 127 pp.

Quest’opera poetica di Verlaine, dedicata all’omo- CAROLINE DE MULDER, Leconte de Lisle, entre uto- sessualità maschile, fu pubblicata per la prima volta pie et république, Amsterdam - New York, Rodopi, postuma “sous le manteau” dall’editore Messein (la 2005, 466 pp. data verosimile è il 1903 o 1904). Pur essendo per vari aspetti difettosa, questa edizione servì da modello per Facendo ricorso al concetto di chronotope intro- le successive. Occorre aspettare il 1949 per disporre di dotto da Baktine per studiare il genere del romanzo, un’edizione più corretta (detta di “Jissey”) e soprattut- l’A. si è impegnata a riconsiderare l’opera di Leconte to quelle più recenti di Jacques Borel e dei compianti de Lisle alla luce di «un espace-temps emblématique Jean-Paul Corsetti e Pierre Giusto (1990). Forte di un d’une idéologie politique et religieuse et, de ce fait, suo procedimento critico ormai solidamente collauda- propre à faire fonction d’âge d’or – ou d’âge de fer». to e riconosciuto, Steve Murphy offre alla lettura que- Lo scopo fondamentale dell’A. consiste infatti nel di- sta nuova edizione, allestita con criteri severamente mostrare che il progetto poetico di Leconte de Lisle si critici a partire dall’attento esame della raccolta auto- defi nisce in gran parte nel rapporto col suo impegno grafa. Grazie a questa edizione gli studiosi di Verlaine

ultime 419 4-12-2006, 21:35:29 420 Rassegna bibliografi ca

dispongono fi nalmente del testo corretto di una rac- AA. VV. , J.K.Huysmans, Villiers de l’Isle Adam, Lit- colta che resterà, come sostiene il curatore, «l’un des térature latine de l’antiquité tardive. «Europe», Août- monuments marquants dans l’histoire des sensibilités Septembre 2005, n° 916-917, 379 pp. homosexuelles» (p. 67). [MARIO RICHTER] Il volume raccoglie undici contributi su Huysmans, dieci su Villiers de l’Isle-Adam, e un articolo cerniera di Alain Raitt. Nell’esaminare due grandi autori della MIREILLE RUPPLI, SYLVIE THOREL-CAILLETEAU, Mal- fi ne del XIX secolo, esso si propone di approfondire larmé. La grammaire & le grimore, Genève, Droz, alcuni degli aspetti più signifi cativi della loro opera 2005, 229 pp. evidenziandone le caratteristiche in comune: in pri- mo luogo, mette in risalto il fatto che sia Huysmans Mallarmé appare alle autrici l’inventore del rappor- sia Villiers de l’Isle-Adam siano due “maestri della to che lega intimamente la poesia alla linguistica. Dopo prosa” che si distaccano dalla tradizione letteraria le prove di Poe e di Baudelaire, dopo la constatazione della loro epoca, condividendo un certo gusto per il che il verso classico non è più in grado di creare canto grottesco e per il “bello”, e disprezzando la mentalità in un secolo miscredente, dopo aver preso atto dello positivista e materialista. stato silenzioso della poesia stampata nelle pagine di Così, iniziando ad analizzare per primo Huysmans, un libro, Mallarmé, convinto della “divinité de l’Intelli- vediamo come Eléonore REVERZY, in La modernité gence”, ha fondato una defi nizione della poesia, intesa dans les premiers romans de Huysmans (pp. 15-26), come grimoire (libro sacro e oscuro), sullo studio delle prenda in considerazione tre storie: Marthe (1876), risorse della lingua e precisamente della scrittura. Non Les Soeurs Vatard (1879), e En Ménage (1881), nelle esiste qualcosa che precede la poesia, ma questa si fon- quali il tema principale è la “città” che l’autore desi- da nel suo farsi concreto e in ciò fonda il mondo, fonda dera far parlare raccontandola e decantandola. La RE- Dio e l’anima. Lo scopo di questo libro interessante VERZY spiega che per raggiungere quest’intento egli ri- consiste nell’illustrare alcuni aspetti fondamentali del- corre a una scrittura “manierista”, ossia intende porre l’opera poetica di Mallarmé (Hérodiade, Igitur ecc.) al- l’attenzione del lettore sulla bellezza del reale attra- la luce degli studi di linguistica a cui il poeta si dedicò verso numerosi frammenti e insignifi canti descrizioni, dopo il 1870 per ritrovare l’uso fi siologico della parola evitando l’accumularsi di frasi. Invece, Alain TROUVÉ, e rendere possibile un nuovo accesso alla poesia. in Le naturalisme expérimental (pp. 27-45), nota, at- traverso la lettura di En Rade (1887), l’alternanza di [MARIO RICHTER] scene realiste e di stacchi onirici, frutto dell’originali- tà del pensiero di Huysmans; quest’ultimo si ritrova a sperimentare sia le idee di Zola e della corrente reali- GIOVANNI DOTOLI, Rimbaud, l’Italie, les Italiens. Le sta, sia quelle di Baudelaire, ma con un risultato che si géographe visionnaire, Fasano-Paris, Schena Editore- avvicina già molto ai concetti surrealisti, soprattutto Presse de l’Université Paris-Sorbonne, 2004, 249 pp. per l’uso di sequenze lunghe consacrate a visioni in- quietanti o a racconti di sogni. «Les témoignages des Italiens nous disent que Rim- Per comprendere ancor meglio lo spirito “contro- baud est allé plonger au fond de l’inconnu, avec la corrente” huysmansiano, è molto interessante leggere plus grande cohérence, sur la trajectoire d’une œuvre l’articolo di Jean-Marie SEILLAN, Huysmans lecteur et d’une vie qui ne font qu’un». Questa la tesi sostan- d’Á rebours, Les pièges du discours préfaciel (pp.46- ziale del presente libro, che raccoglie e riconsidera do- 59), in cui si rileva il fatto che l’autore non abbia mai cumenti e dati già da tempo noti e ampiamente studiati creduto importante defi nire i principi della sua ope- (specie da Mario Matucci) e il cui apporto più interes- ra. Tuttavia, è solo nella celebre préface di Á rebours, sante sembra consistere nelle settantanove illustrazioni scritta venti anni dopo il romanzo, che comincia a ri- che lo concludono. fl ettere su questo punto. Infatti, Huysmans decide di [MARIO RICHTER] scriverla postuma in modo che si possa interpretare ciò che aveva scritto in passato. SEILLAN ci fa notare come egli sottolinei ripetutamente l’inesistenza di un GIOVANNI DOTOLI, Rimbaud ingénieur, Préface de progetto letterario cosciente, e sia invece convinto del Alain Tourneux, Fasano-Paris, Schena Editore-Presse carattere impenetrabile del suo concepimento pro- de l’Université Paris-Sorbonne, 2005, 318 pp. fondo, dovuto all’azione di Dio in lui. Jérôme SOLAL, nel suo Le vers pornographique et In questo libro l’A. riesamina gli aspetti della vita e la prose obscène de J.K.Huysmans (pp. 70-85), spiega dell’opera di Rimbaud concernenti gli interessi scienti- come l’autore preferisca la prosa alla poesia, tuttavia fi ci del poeta.: «Rimbaud ‘ingénieur sans chantier’ (Vel- prende in esame due sonetti: le Sonnet saignant e le ter) est toujours ailleurs. Son espace est absent. Son je Sonnet masculin; lo studioso afferma che queste due est un autre, dans la masse de ses projets. Rimbaud est composizioni ostentano una sessualità libera da ogni un rêveur actif, un ingénieur de l’Idéal» (p. 228). Così la pudore, e rifl ettono lo spirito brutale dello scrittore, conclusione: «L’ingénieur garde encore des secrets. Les che comunque sembra voler mostrare un’attività po- gardera-t-il à jamais? Est-ce son véritable silence? Nous sitiva e non un affronto alla morale; Huysmans con- devons toujours savoir que sa ‘littérature nouvelle’ ‘sera sidera certe relazioni sessuali come puro soddisfaci- en avant’. C’est dans cet espace d’avant, en avant, que mento del desiderio, per esempio un capriccio del nous devons la chercher, pour en goûter les bribes que celibe che non vuole conformarsi alle ritualità della nous sommes à peine capables d’entrevoir, entre terre et coppia borghese, non intendendo prendere moglie, ciel, vers l’éternité qu’Arthur Rimbaud a tant chantée» fare fi gli, ecc. (p. 264). Utile l’elenco della «Bibliothèque technique de Françoise COURT-PÉREZ, in Le chant et la voix chez Rimbaud». Abbondante apparato iconografi co e biblio- Huysmans (pp. 86-98), esamina invece l’importanza grafi a selettiva. del plain-chant, sostenendo che il canto gregoriano di- [MARIO RICHTER] venta rilevante per lo scrittore perché si colloca all’in-

ultime 420 4-12-2006, 21:35:30 Ottocento 421

terno di una riscoperta del Medioevo durante il XIX in cui si parla di Robert du Pontavice de Heussay, secolo, e poi perché è immune dalla pesantezza della primo a consacrare una biografi a sull’autore in que- parola e partecipa alla rifl essione sulla voce, incorpo- stione. rando una meditazione più generale sul linguaggio e WALBECQ rivolge la sua attenzione sulla corrispon- sul silenzio. denza epistolare tra Pontavice e Huysmans, interes- Proseguendo con Michel LAMART, che dedica uno sante da notare per lo scambio d’informazioni sulle studio a Huysmans chiamato Eclipses de lune, J.-K. vicende accadute a Villiers de l’Isle-Adam prima della Huysmans/ Jules Verne (pp. 99-123), si ritorna alla sua morte. tematica del sogno presente nel pensiero dell’autore, [ERICA TACCHINO] comparandola in questo caso con quella di Jules Ver- ne. Il critico ci fa notare come anche in questa circo- stanza Huysmans si riveli singolare per aver pensato TREVOR HARRIS, Maupassant, Quinze conte, London, al contenuto del sogno interrogandosi sulla sua fun- Grand & Cutler Ltd 2005, 80 pp. zione a partire dal romanzo naturalista, per confron- tarne il corpo (materialità) e l’anima (spiritualità), a L’agile libretto si propone come guida alla lettura differenza di Verne che fa sognare il suo lettore a par- dell’edizione di quindici racconti di Maupassant, riuni- tire da uno studio più scientifi co. ti da F.C. Green per la Cambridge University press del Gli ultimi articoli su Huysmans di questo volume 1943. Attraverso il percorso dei testi selezionati, l’A. sono invece rivolti al tema dell’arte, costantemen- mette in evidenza i temi principali (contrapposizione te presente nella sua opera: il primo è di Jacqueline città/campagna, politica, scienza), i caratteri dei perso- LICHTENSTEIN, Huysmans, Critique d’art, Entretien naggi (divisi per sesso e per classi sociali), le idee (au- avec Jacqueline Lichtenstein (pp. 124-134), nel quale tonomia rispetto a Balzac o Zola, distanza da Flaubert, l’autrice mostra come il luogo comune dell’inferiorità interesse metafi sico) e, fi nalmente, il linguaggio (appa- della scultura rispetto alla pittura sia particolarmen- rente semplicità, ritmo ternario e binario della frase) te condiviso da Huysmans; egli è grande sostenitore indicando anche una bibliografi a essenziale. dell’arte moderna, trovandola soprattutto in pittura (in Degas), e non nella scultura, che a causa del suo [IDA MERELLO] immobilismo, pensa sia completamente inconciliabile con i modelli della modernità (effi mero, fugace, ecc). Gilles BONNET, in Poétique du Pétard (pp. 135- ROSA M. PALERMO DI STEFANO, «Thérèse Raquin»: 149), mette in risalto le idee huysmansiane sull’arte mutazioni genetiche/generiche, in Il romanzo a teatro, evocate nell’opera L’Art Moderne (1883), nella quale Fasano, Atti del Convegno internazionale della Socie- l’autore spiega di sentirsi portavoce “des Indépen- tà Universitaria per gli Studi di Lingua e Letteratura dants” e “des révoltés de l’art”, perché all’interno dei Francese, a cura di Franco Piva, Schena, 2005, pp. “Salon” questi ultimi si trovano sopraffatti dai pitto- 115-127. ri uffi ciali usciti dall’École des Beaux-Arts, valutati e favoriti dal jury; quindi, BONNET conclude che l’origi- Pur manifestando preliminarmente la convinzio- nalità di Huysmans sta nel deridere questa situazione ne che «lo spettacolo teatrale varia di volta in volta per dimostrare il divario esistente fra un’onesta opi- ed è quindi inafferrabile in un discorso a posteriori» nione su un’opera d’arte e sui metodi di valutazione e pur sottolineando che «alcuni segni propri del tea- utilizzati da una giuria. tro (visuale, cinesico…) non appartengono […] alla Passando a Villiers de l’Isle-Adam, notiamo un “scrittura” e comportano dunque le diffi coltà di una interesse ancora più marcato verso il tema del fanta- valutazione del ‘non verbale’ effettuata tramite il segno stico-meraviglioso, come in Qui lira «Véra» l’aimera verbale», l’A. si è impegnata in questo contributo ad di Bernard MEZZADRI (pp. 184-195), in cui si parla analizzare «soltanto i cambiamenti afferenti al dramma, principalmente della pièce Véra (1874), e della fi lo- cioè al passaggio dal romanzo al testo drammatico di sofi a mistica dell’autore, cioè della sua convinzione Thérèse Raquin». Tenendo anche conto delle Préfaces di supremazia dello spirito sulla materia, della forma (1873 e 1878) apposte da Zola alla pubblicazione della e dell’idea sul contenuto. Infatti, lo studioso ci dice pièce, con pertinenti e perspicaci rilievi l’A. arriva alla che viene considerato un racconto fantastico-meravi- problematica conclusione che «questo testo dramma- glioso perché il dubbio sorto fi n dall’inizio si risolve tico (o il testo drammatico?) appare creatura ibrida, infi ne affi dandosi al sovrannaturale, e non alla spiega- servitore di due padroni, novello Giano bifronte che zione razionale. si offre allo spettacolo e ammicca alla scrittura, che Ancora, in D’Amour et de Mort, L’Absolu littérai- cerca il plauso dello spettatore attraverso il silenzio re selon Villiers de l’Isle-Adam proposto da Bertrand del lettore». VIBERT (pp. 196-214), si vuole sottolineare il “mythe [MARIO RICHTER] personnel” di Villiers reso dall’amore e dalla morte, in quanto leitmotiv della sua opera. L’autore sostiene che l’amore si trova vicino all’assoluto e alla morte, Dossier Alphonse Allais, «Histoires littéraires», e la morte d’amore porterà alla felicità assoluta; per n°20, oct-déc. 2004, 7-60 pp. esempio in Véra, il conte innamorato troverà la sua contentezza solo morendo e raggiungendo la sua ama- Il dossier, organizzato da François CARADEC, racco- ta. VIBERT segnala come sia curioso vedere il modo in glie le preziose testimonianze su Allais di Vital Hoc- cui si accostano tra di loro Amour et Mort. quet, soprannominato Narcisse Lebeau, tra le cui carte Danielle CHAPERON, in Regards Obliques et Ana- si sono trovate relazioni di episodi divertenti, fram- morphoses Narratives (pp. 215-228) si sofferma inve- menti di carteggi, testimonianze dei suoi bons mots. ce sul ruolo di narratore di Tribulat Bonhomet. Una parte del dossier Lebeau è dedicata a Debussy e Uno degli ultimi articoli che propone il testo ri- Satie, al momento della loro frequentazione del caba- guarda invece la morte di Villiers, Sur la mort de Vil- ret dello Chat noir insieme ad Allais, con particolari liers de l’Isle-Adam, di Éric WALBECQ (pp. 248-258), curiosi (lo “zézayer” di Satie, la mancanza di gratitudi-

ultime 421 4-12-2006, 21:35:30 422 Rassegna bibliografi ca

ne di Debussy per il sarto che l’aveva rimpannucciato JACQUES MIGOZZI, Sociocritique, rhétorique, pragma- gratuitamente come un fi gurino). Ma al di là di queste tique: le cas Vallès, «Littérature», n. 140, Décembre amenità il dossier si raccomanda per la ricchezza di do- 2005, pp.72-82 cumentazione inedita, per il numero di lettere che ven- gono riproposte, insieme ad alcuni componimenti poe- L’articolo analizza la scrittura di Jules Vallès par- tici, tra cui quello di Franc Nohain, interessante anche tendo da uno studio sociocritico, e vi unisce di seguito perché mostra come nell’ambiente dello Chat noir la una rifl essione sulle strategie enunciative e retoriche di compositrice e poetessa polacca Marie Krysinska fos- autori cosiddetti impegnati. se sicuramente apprezzata (c’est le talent de Dickens Infatti, MIGOZZI, riferendosi alla trilogia L’Enfant, qu’a/ la surprenante Krysinska). Se vengono riprese Le Bachelier, L’Insurgé (1832-1885), parla di “scrittura anche canzoni già presenti nell’edizione a stampa del- in tensione”: prima di tutto in tensione sociale, politi- lo Chat noir, altri preziosi documenti provengono da ca, e infi ne culturale. collezioni private. Inoltre, mostra come Vallès, impossibilitato a causa Samuel LAIR si interessa invece alle préfaces di Al- della censura, sia spinto a pensare ancora di più a una lais, e il rapporto di non sense tra titolo e testo.Infi ne scrittura impegnata, e a utilizzare fi gure stilistiche ori- Philippe CHAUVELOT propone alcune lettere che lo ginali al fi ne di conquistare un pubblico astioso attra- scrittore aveva mandato alla moglie, poco prima di verso le armi della persuasione e della seduzione. morire. [IDA MERELLO] [ERICA TACCHINO]

FERNANDO CIPRIANI, Villiers de L’Isle-Adam e la cul- SILVIA DISEGNI, Les adaptations théâtrales des ro- tura del suo tempo. Il poeta, la donna e lo scienziato, mans naturalistes à l’épreuve de la censure, in Il roman- Prefazione di G.-A. Bertozzi, Napoli, Edizioni Scienti- zo a teatro, Atti del Convegno internazionale della So- fi che Italiane, 2004, 268 pp. cietà Universitaria per gli Studi di Lingua e Letteratura Francese, a cura di Franco Piva, Fasano, Schena, 2005, Questo libro si presenta come una nuova edizio- pp. 93-113. ne aggiornata e arricchita del volume che l’A. aveva pubblicato nel 1991 sullo stesso argomento. Villiers, In questo interessante contributo, articolato in capi- un “révolté inadapté”, ‘scienziato’ e ‘mago’, negatore toli, sono esposte con ordine le condizioni generali del di ogni forma di positivismo borghese, non vi è visto problema inerente alla censura e sono prese in esame le soltanto come un anticipatore delle teorie simboliste, diverse diffi coltà che, specialmente sotto la Terza Re- ma anche come un effi cace precursore del surrealismo. pubblica, incontrarono di fronte a essa gli adattamenti Così l’A. lo studia inserendone l’opera nel contesto del teatrali di alcuni romanzi naturalisti. A questo scopo suo tempo, ma soprattutto osservandolo in rapporto l’A. presenta con effi cacia numerosi esempi e circo- alle personalità (Baudelaire, Rimbaud, Huysmans, stanze concrete, utili a mostrare nelle loro diverse tipo- D’Annunzio, Mirbeau) che maggiore infl uenza eserci- logie le riduzioni o modifi che imposte. Un’attenzione tarono nella defi nizione della sensibilità novecentesca. particolare è rivolta al caso di Zola e specialmente al Il volume è corredato di un’ampia bibliografi a. suo Germinal. [MARIO RICHTER] [MARIO RICHTER]

Novecento a) dal 1900 al 1950, a cura di Emanuele Kanceff

AA. VV., «Léon Bloy», 6. Bloy critique. Textes réu- sicché gli studi, fi no a tempi recenti, li hanno trascura- nis et présentés par Pierre GLAUDES, Paris-Caen, Let- ti a vantaggio del Journal o dei saggi storici. In realtà tres Modernes Minard, 2005 («La Revue des Lettres ciò ha signifi cato trascurare ingiustamente le espres- Modernes»), 275 pp. sioni dell’idea di letteratura che Bloy difendeva, sia pure attraverso contraddizioni o incertezze e lasciare Questo sesto numero della serie dedicata a Léon nel vago i rapporti di Bloy con l’ambiente letterario e Bloy si propone di fare il punto sullo stato della critica giornalistico del suo tempo, i suoi moti di attrazione e dedicata all’originale scrittore e in particolare a testi di repulsione, la sacralità delle sue visioni letterarie e meno studiati, che non appartengono all’insieme della delle interpretazioni che il “Pellegrino dell’Assoluto” sua produzione romanzesca. In effetti tali testi hanno offre dei testi e delle sacre scritture. Le nuove edizio- meno di altri attirato l’interesse dei critici, poiché mol- ni apparse negli ultimi anni di alcune opere quali Je to spesso si presentano come un seguito di veementi m’accuse, Les Funérailles du Naturalisme, Les Dernières imprecazioni e di affermazioni a dir poco impertinenti, colonnes de l’Église, hanno dato nuovo impulso a stu-

ultime 422 4-12-2006, 21:35:30 Novecento 423

di critici che languivano mentre hanno offerto ad un la rievocazione di altre esperienze del “fervore” nelle largo pubblico scritti trascurati anche per la diffi coltà quali il parametro odeporico è essenziale, i “viaggi” al di procurarseli. Contemporaneamente, studi fi nalmen- Vaticano con i falsari, il paradossale viaggio di nozze, te esaustivi come la thèse di Gilles Negrello, Léon Bloy le grandi peregrinazioni africane… Tutti o quasi i temi critique, o il volume di Michèle Fontana, Léon Bloy, odeporici che sono stati essenziali per il nostro scritto- journalisme et subversion, hanno rilanciato le ricerche re e il suo “viaggio” esistenziale, su ciascuno dei quali e portato frutti decisivi. ci si vorrebbe lungamente soffermare a rifl ettere. Queste edizioni e questi studi, insieme ad altri, ven- gono recensiti nel carnet critique che conclude il pre- [EMANUELE KANCEFF] sente volume, mentre nel corpo della interessante sillo- ge si parla di critica storica (Joseph ROYER, Le Prophète et l’enfant mort), di Bloy critico degli scrittori cattolici AA. VV., The Cambridge Companion to Proust, edi- (Dominique MILLET-GÉRARD, “Littérature guenilleu- ted by Richard BALES, Cambridge, Cambridge Univer- se” et “éclairs magnifi ques”), dell’elogio retorico e del sity Press, 2004, 241 pp. doppio (Jérôme SOLAL, Bloy et Daudet), della visione critica di Villier de L’Isle-Adam (Gilles NEGRELLO, Le désir d’être un autre), delle letture di Gourmont (Gaël- Questo companion proustiano è il frutto della colla- le GUYOT, “Le Latin mystique” et ses masques), della borazione di una ventina di autori, che insieme rifl etto- critica al giornalismo (Michèle FONTANA, Bloy critique no sul periodo storico che ha visto la formazione della des journaux), dell’autoritratto di Bloy in due testi mi- Recherche, sui rifl essi che di questa storia si leggono nori (Émile VAN BALBERGHE, Léon Bloy dans «Portraits nell’opera di Proust, sugli aspetti e problemi che ne du prochain siècle»). sono connessi. Si sa che la “Belle Époque” non fu poi In una sezione di “Varia” altri tre articoli completa- così bella e che fu un periodo di rapidi cambiamenti, no il volume, di Nicolas BERDIAEV su La Tragédie latine di accelerazione per quei tempi incredibile, che si ac- de Léon Bloy, di Lydie PARISSE su Le modèle mystique à compagnò ad instabilità sociale, a dilacerazioni impor- l’épreuve du roman et de l’autobiographie, di Theodor tanti quali l’Affaire Dreyfus e il divorzio senza ritorno PALEOLOGU su Carl Schmitt e Léon Bloy. tra stato e Chiesa, a guerre che per la prima volta era- no “mondiali”. Questo è il terreno di partenza della [EMANUELE KANCEFF] rifl essione che non possiamo qui analizzare nei parti- colari: ci limitiamo a darne il quadro per informazione del lettore. PAUL CLAUDEL, Tête d’Or. Deuxième version. Sul panorama sociale tra Belle Époque e Prima Édition présentée, établie et annotée par Michel Guerra mondiale rifl ette Cymthia GAMBLE, mentre LIOURE, Paris, Gallimard, 2005 («Folio théâtre», William C. CARTER, in un altro articolo fondante, il- 96), 325 pp. lustra la vasta struttura del passaggio dalla vita alla letteratura. Diane R. LEONARD si occupa di Ruskin e Segnaliamo l’ingresso di quest’opera nella collezio- della sua infl uenza, mentre Marion SCHMID analizza la ne «Folio théâtre», che già comprende, di Claudel, nascita e lo sviluppo delle idee che sono alla base della a opera dello stesso curatore Le Livre de Christophe Recherche, e Roger SHATTUCK ne analizza le strutture. Colomb, Le Soulier de satin e L’Annonce faite à Marie Anche Brian ROGERS, Jack JORDAN e Joshua LANDY a cura di Michel Autrand, Partage de Midi a cura di rifl ettono su Proust narratore e sul tessuto narrativo. Gérard Antoine. Questa edizione si raccomanda per Seguono una serie di temi più puntuali: la “commedia la densa e chiara introduzione e per una serie di appa- umana”di Hollie MARKLAND HARDER, gli spazi sociali rati ed allegati: una cronologia, una notizia che illustra di Edward J. HUGHES, l’amore, la sessualità e l’amicizia la storia delle tre versioni, un’analisi delle realizzazio- di Alison FINCH, l’attenzione verso le arti fi gurative del ni sceniche e dell’accoglienza ricevuta, un’appendice curatore Richard Bales, il problema della “posterità” che comporta una lettera di Claudel ad Albert Moc- di David ELLISON, quello della “brevità” di Malcolm kel, un’altra lettera a Byvanck, delle note di Claudel BOWIE. Tutti i contributi vengono da proustiani di lun- sull’opera e una sua prefazione all’edizione illustrata ga data e comprovata esperienza e, sia pure in una gri- del 1949, oltre alla bibliografi a di manoscritti, edizioni glia non estremamente innovativa, offrono frutti degni e lavori critici. di grande attenzione. [EMANUELE KANCEFF] [EMANUELE KANCEFF]

AA. VV., «Bulletin des Amis d’André Gide», n. 138. AA. VV., «Raymond Roussel», 2. Formes, images et Le Colloque de Fès. XXXVIe année, vol. XXXI, avril fi gures du texte roussellien, Tex tes réunis par Anne- 2003, 141-292 pp. Marie AMIOT et Christelle REGGIANI, présentés par Christelle Reggiani, Paris-Caen, Lettres Modernes Nelle segnalazioni che ormai da tanti anni consue- Minard, 2004 («La Revue des lettres modernes», série tamente dedichiamo alla vitalissima e utilissima rivista Raymond Roussel), 229 pp. degli “Amici d’André Gide” ci è forse sfuggito questo numero un po’ particolare per l’argomento monografi - L’immaginazione rousseliana, assicura Christelle co cui è dedicato. Tema di grande interesse nell’opera Reggiani, sulla scorta di un’affermazione del poeta, gidiana, di grande peso in una stagione affascinante del appare di fatto come un’istanza produttrice di im- suo cammino poetico, il viaggio – inteso soprattutto magini, immagini che stanno al centro della fi nzione, come fattore di liberazione ma anche come itinerario poiché determinano in modo nodale l’elaborazione della mente – è qui al centro del volume e delle rifl es- narrativa, ma anche perché costituiscono buone for- sioni che presenta. Vi troviamo il Maghreb e il suo me cognitive che rimangono nella memoria del letto- signifi cato di libertà e/o di esilio, le matrici di quel re. Le immagini viventi, le immagini attive, formano gioiello narrativo che porta il titolo de L’Immoraliste, l’oggetto del presente volume, che intende indagare

ultime 423 4-12-2006, 21:35:31 424 Rassegna bibliografi ca

l’importanza dell’immagine nell’opera dello scrittore. Nella prima parte del volume vengono pubbicati, a Sjef HOUPPERMANS dà inizio alle rifl essioni tracciando cura di Bernard DUCHATELET, lettere ed estratti di let- una veduta globale del problema in una prospettiva tere inediti concernenti Le Pénitencier, una sceneggia- ermeneutica (La fabrication des images dans «Impres- tura di 298 fogli dattiloscritti rimasta tra le sue carte del sions d’Afrique»), mentre Christelle REGGIANI (Des li- fondo della Bibliothèque nationale de France. vres d’images: statuts textuels de l’image roussellienne) Segue una seconda parte del volume dedicata alle riprende la questione dal punto di vista dei rapporti riduzioni sceniche e fi lmiche dei Thibault. Questi studi immagine-testo. Segue un trittico di saggi che costi- sono seguiti da un trittico su «La Gonfl e au théâtre», in tuiscono esplorazioni più particolari di aspetti del- cui si esaminano messe in scena e si raccolgono testi- l’immagine rousselliana: l’immobilità degli esseri e monianze su quest’opera di Roger Martin du Gard. delle cose che, nelle rappresentazioni descrittive, de- Il volume è completato da una sezione di “varia” nota un legame con la fotografi a (Masachika TANI, La con rievocazioni e recensioni. tentation du ralenti: l’image comme laboratoire de la [EMANUELE KANCEFF] mémoire roussellienne), il problema della deformazio- ne delle immagini a causa della “prospettiva depra- vata” (Erik LEBORGNE, Le Procédé de l’anamorphose MARCEL BATAILLON, Lettres de Marcel Bataillon à dans «Les Noces»), lo studio dei colori nella raccolta Jean Baruzi, 1921-1952. Autour de l’Ispanisme, Texte La Vue (Alain CHEVRIER, Une Contrainte visuelle et établi et annoté par Simona MUNARI, avec une préface textuelle: sur l’usage des couleurs dans les poèmes des- de Claude BATALLION, Paris-Torino, Collège de Fran- criptifs de Roussel). ce - Nino Aragno Editore, 2005 («Europa restituta»), Un terzo gruppo di studi tenta di risalire dall’imma- XLIII -319 pp. gine plastica all’archetipo culturale. Bernadette GRO- MER mette in relazione l’opera di Roussel con alcune È un’autentica emozione, per chi ha conosciuto delle icone culturali del suo tempo (Raymond Rous- Marcel Bataillon, ma credo anche per chi non ha avu- sel et les fi gures de la Décadence); Anne-Marie BASSET to questa fortuna, leggere una corrispondenza che si propone uno studio della genesi del mito sul fi lo dei estende per un trentennio e che sembra volta a volta rapporti tra violenza e sacralità («Impressions d’Afri- un diario, un itinerario di viaggio par lettres, un roman- que»: la forme ambivalente de la genèse mythique dans zo epistolare. les avant-textes); Hermes SALCEDA passa dagli archetipi Si tratta di un complesso di 148 lettere, che vedono alle fi gure linguistiche, mostrandone i principi di eco- la luce per la prima volta, e corrispondono alle circa nomia (Le Style-Roussel); Éric LAVALLADE, infi ne, pro- 560 conosciute di Baruzi, più vecchio di un quindicen- pone una lettura genetica della scrittura al limite tra il nio del suo collega al Collège de France. Nella sequen- poliziesco e la letteratura popolare. za si trovano anche lettere della moglie Lucy, inviate Un interessante carnet critique, a conclusione del vo- a Baruzi e corrispondenti al periodo di detenzione di lume, disegna un orizzonte internazionale di studi che Marcel à Compiègne. Evidentemente, le lettere pubbli- va dalla Francia al Giappone passando per l’Inghilterra cate, al di là del loro valore di testimonianza, ci dicono e per la Spagna. molto su Bataillon ma ci lasciano nella nostra sete di [EMANUELE KANCEFF] saperne di più su Baruzi, sicché ci domandiamo se una pubblicazione fronte a fronte delle due corrisponden- ze non fosse preferibile. Ma questo non toglie nulla ai ROGER MARTIN DU GARD, Le Gonfl e. Farce paysanne meriti della curatrice Simona Munari, che ha appron- fort facétieuse, sur le sujet d’une vieille femme hydropi- tato un’edizione luminosa e puntigliosa, in cui non ha que, d’un sacristain, d’un vétérinaire et d’une pompe à lesinato il lavoro che ha certamente comportato il ricco bestiaux, [a cura di Claude SICARD], Paris, Gallimard apparato di note NRF, 2005 («Les Cahiers de la NRF»), 103 pp. [EMANUELE KANCEFF]

Segnaliamo questa riedizione di un’opera tanto ori- ginale quanto poco nota di Roger Martin du Gard, già SEÁN HAND, Alter Ego. The Critical Writings of Mi- pubblicata nel 1928. Oltre ad aver colmato una grande chel Leiris, Oxford, University of Oxford, The Euro- lacuna per i lettori, ci sembra di poter dire che il cura- pean Humanities Research Centre, 2004 («Research tore, che appare peraltro molto discretamente e non Monographs in French Studies», 17), 143 pp. nel frontespizio, ha fatto cosa molto utile con la sua puntuale prefazione, in cui ricostruisce la lenta genesi Si tratta, come dice l’autore, della prima monogra- dell’opera e offre gli elementi necessari a darne fi nal- fi a in inglese sugli scritti critici di Leiris, dominio non mente una migliore valutazione, così come a far ben indifferente che comprende saggi su argomenti artisti- capire quanto Martin du Gard sia stato anche Ando- ci, musicali e letterari, poi raccolti in numerosi volumi che du Gard. sotto vari titoli. La messe non è poca e Seán Hand la [EMANUELE KANCEFF] sa dominare molto bene, a partire dalla suddetta ripar- tizione e seguendo il fi lo rispettivo dello sviluppo del pensiero critico di Leiris e la successione delle reazioni AA. VV., «Cahiers Roger Martin du Gard», 7. che lo scrittore ha mostrato di fronte ad avvenimenti e Théâtre et cinéma, Paris, Gallimard NRF, 2005 («Les dibattiti importanti e ad opere capitali del suo tempo. Cahiers de la NRF»), 200 pp. Se abbastanza unitario e sintetico si mostra il discor- so sulle arti visive, molto più articolato è quello sulla Questo volume, frutto della collaborzione di nume- musica, che si arricchisce di rifl essioni sul jazz, sulla rosi specialisti, pur presentando la struttur varia e fl es- musica etnica, sull’opera, su numerose singole fi gure sibile di un periodico ricco di rubriche, si concentra su di musicisti contemporanei. Quanto alla letteratura, aspetti meno noti di Roger Martin du Gard: il suo amo- altrettanto numerosi capitoli illustrano le sue posizio- re per il palcoscenico e per lo schermo e i frutti letterari ni sul Surrealismo, sui dibattiti con Bataille, Breton, che ne sono derivati. Sartre, sull’Esistenzialismo, sui rapporti con Roussel.

ultime 424 4-12-2006, 21:35:31 Novecento 425

Ne emerge il ritratto di un pensiero emblematico per da una bibliografi a essenziale di opere di e sull’autore. la vita culturale del Novecento e un modello della sua Si tratta, in effetti, di una lettura suggestiva e sensibile identità critica. che, senza pretendere di sconvolgere nulla, sa avvicina- Più che dalla puntuale bibliografi a, l’impegno di re in modo originale il lettore ai due noti capolavori. questo saggio ci sembra che si legga bene in quel ric- chissimo indice tematico e analitico che lo conclude. [EMANUELE KANCEFF]

[EMANUELE KANCEFF] AA. VV., «Marguerite Duras» 1. Les récits des dif- férences sexuelles. Textes réunis et présentés par Ber- DIANE LÜSCHER-MORATA, La souffrance portée au nard ALAZET et Mireille CALLE-GRUBER, Paris-Caen, langage dans la prose de Samuel Beckett, Amster- Lettres Modernes Minard, 2005, 274 pp. dam - New York, Rodopi, 2005 («Faux titre», 266), 312 pp. Questa nuova serie de «La Revue des Lettres Mo- dernes», diretta da Bernard Alazet, si apre all’insegna Un riorienamento radicale interviene nel linguaggio del rinnovamento delle idee e dei metodi, in forza del- di Samuel Beckett nel dopoguerra. Questa nuova dire- le scelte che la motivano: se è vero che l’opera di Mar- zione della sua prosa è legata soprattutto alla sofferen- guerite Duras postula questi sconvolgimenti critici e za, che contamna tutti gli aspetti dell’esistenza umana. sovverte le abitudini, la ragione – dice il curatore – è Lo scrittore sembra privilegiare sempre di più un’idea dovuta al fatto che i suoi testi sono la testimonianza di di storia che scavalca gli eventi capitali del Novecento: un pensiero e di una scrittura che scuotono le nostre la storia anonima e silenziosa di una umanità torturata conoscenze e ci impongono di superarle; e la nuova da tempo immemoriale e votata ad un destino incom- serie vuole esserne una occasione e una promessa. Al- prensibile. meno per il contenuto, effettivamente, questa prima In questa lettura critica dell’opera di Beckett fan- raccolta di studi mantiene le promesse. no capolino gli studi di Paul Ricœur sull’identità e L’insieme di questa raccolta è formato da due par- sulla memoria e la prosa dello scrittore è colta come ti, nella prima delle quali trovano posto otto studi, espressione della memoria, come opera non nella già presentati in un convegno tenutosi all’Università storia ma parallela alla storia. La lettura che ne de- di Paris VIII nell’aprile 2004, il cui tema era appunto riva rifugge dal particolare biografi co per dedicarsi le differenze sessuali che l’opera della Duras racconta alla sensazione, all’emozione e reazione di Beckett o mette in scena, testi preceduti da un’introduzione di fronte alla guerra, nell’intento di cogliere in tale di Mireille Calle-Gruber che ne sintetizza il signifi - opera l’eco primaria ed essenziale di una situazione cato. Nella seconda parte della raccolta sono invece dell’uomo davanti alla sofferenza. L’ipotesi da veri- raggruppati sei saggi differenti, intesi soprattutto al- fi care è che ci sia, prima della guerra, una sofferenza lo studio della scrittura di Marguerite Duras, e, per individuale, singola o interpersonale; dopo la guerra, quanto riguarda gli ultimi tre, alla scrittura e alle ri- invece, la sofferenza diviene collettiva e fondamental- cerche tunisine della scrittrice. mente extrapersonale. Questa ipotesi colloca la sof- Per venire ad un discorso più analitico, dopo la sua ferenza umana in situazione interlocutoria attraverso densa introduzione Mireille CALLE-GRUBER ci intrat- tutti i tempi della storia ed evidenzia la miseria nella tiene con un altro scritto su La dérobée du récit chez scrittura beckettiana come immagine sempre più im- Marguerite Duras, lettura di quei luoghi senza luogo mediata e nuda. né logica né verosimiglianza che ne popolano la scrit- Il primo capitolo del libro esamina romanzi e novel- tura, una scrittura che continua a non scrivere il libro. le anteriori alla guerra, e studia l’evoluzione della sof- Bernard ALAZET, da parte sua, studia La phrase, le ferenza personale in questi scritti. Nel secondo, tutto neutre: l’androgyne chez Marguerite Duras, frase dove dedicato a Watt, si mostra che quest’opera, iniziata a ciò che conta non è il racconto ma il modo di raccon- Parigi ma composta in gran parte durante l’esilio del- tare, frase che avanza veicolando voci e forme in un l’autore a Roussillon tra il 1942 e il 1945, costituisce il luogo in cui l’androgino gioca con l’utopia di una lin- centro del suo universo poetico, che segna nello stesso gua degenerata. Chloé CHOUIN OLLIER esplora «l’écri- tempo la fi ne di un modo di scrittura e l’emergere di un ture admirable putain» e considera attentamente i concetto nuovo e originale di sofferenza che non è più dispositivi trasgressivi del testo, mentre Johan FAER- scrittura sulla sofferenza, ma scrittura della sofferenza, BER evoca i Souvenirs du Triangle d’or ou du troisième inevitabile, intollerabile e ingiusta, che non ha confi ni sexe au troisième texte dans «L’Amant de la Chine du nel tempo e nello spazio, che schiccia gli esseri ma non Nord», che approdano alla favolosa avventura del ses- è la somma di esperienze individuali né una costellazio- so non incontrato e non raccontato. Sylvie LOIGNON, a ne di situazioni singole, è piuttosto condizione eterna sua volta, enumera e analizza in La Retombée des mots della vita per tutta la specie umana, in «ce grand réel le fi gure dello smarrimento che è caratteristico del- intérieur où fantômes morts et vivants, nature et vide, l’amore e della scrittura: indefi nitezza, essere neutro, tout ce qui n’a de cesse et tout ce qui ne sera jamais, incolorazione, porosità… Christiane BLOT-LABAR- s’intègrent en une seule évidence et pour une seule RÈRE, sulla base anche della consultazione dei mano- déposition». scritti esistenti, vuole offrire una nuova visione de Le [EMANUELE KANCEFF] Vice-consul, eroe della non sopportazione del mondo, mentre Midori OGAWA rivolge la sua attenzione a La voix (des)incarnée du «Navire Night» e alla sua voce MICHAEL HOLLAND, Ionesco. «La Cantatrice Chau- in cui si dispiega la scansione negativa dell’altro. Lau- ve» and «Les Chaises», London, Grant and Cutler, rent CAMERINI, infi ne, illustra in Eau-nanisme ou plai- 2004 («Critical Guides to French Texts», 133), 86 pp. sir du dédoublement narcissique le fi gure dell’amore narcisistico che creano un erotismo della lettura. Segnaliamo questa agile ma precisa e puntuale pre- La seconda parte del volume comprende studi va- sentazione di due celebri opere di Ionesco, corredata ri di Emmanuelle TOUATI (Marguerite Duras: délivrer

ultime 425 4-12-2006, 21:35:32 426 Rassegna bibliografi ca

l’écrit de l’écriture même), Pauline SELLIER (Théâtre et in Savannah Bay, e Samia KASSAB-CHARFI, che ritorna polyphonie dans «Le Square» de Marguerite Duras et su Le Vice-consul per mostrarne la poetica del diso- «Pour un oui ou pour un non» de Nathalie Sarraute), rientamento. Sabine DOLIGÉ (Questions de voix) che paragona L.-R. Segue un nutrito “carnet critique”. des Forêts alla Duras, Najet LIMAM-TNANI, che studia Le Jeu spéculaire de l’autobiographie in Duras» e in Ge- [EMANUELE KANCEFF] net, Sélila MEJRI, che si occupa di epico e drammatico

Novecento b) dal 1950 a cura di Elisa Bricco e Rosa Galli Pellegrini

e L’histoire littéraire à l’aube du XXI siècle : controver- un’operazione voluta e diretta dagli stessi autori, che ses et consensus, sous la direction de LUC FRAISSE, Paris, così “manovrano” il lettore, orientandone la lettura PUF, 2005, 742 pp. (Pour une histoire littéraire du contemporain: les “entre- tiens” d’auteurs, pp. 669-678). Il volume, raccolta degli Atti del Convegno tenu- [CHIARA ROLLA] tosi a Strasburgo nel maggio 2003, è un interessante contributo al dibattito sempre aperto e sempre attuale intorno alla storia letteraria e alla costituzione dei suoi CHARLES DUPOUY, La Question du lieu en poésie du principi. Dei numerosissimi contributi che vi trovano surréalisme jusqu’à nos jours, Amsterdam - New York, spazio segnaliamo in questa rassegna solo quelli riguar- Rodopi, 2006, 306 pp. danti la seconda metà del XX secolo. Tre importanti critici del Novecento sono l’oggetto L’ambizioso progetto dell’A. affronta un argomen- di altrettanti studi: Daniel BERGEZ studia le ragioni e i to molto importante per la comprensione della poesia meccanismi delle perplessità da sempre manifestate da contemporanea, il “luogo” in poesia, studiato sotto il Jean-Pierre Richard nei confronti della storia letteraria, suo aspetto fi losofi co ed esistenziale. Dal Surrealismo riserve che molto spesso si sono tradotte, fi n nei lavori ai giorni nostri, la poesia francese si interroga sul va- critici più recenti, in un vero e proprio atteggiamento lore e sull’esistenza di questo concetto, soggetto a di rimozione (Critique thématique et histoire littéraire: interrogazione, nella nostra epoca, come ogni altro l’exemple de Jean-Pierre Richard, pp. 398-408). argomento fi losofi co. L’A. parte dai poeti surrealisti, Jacques BERCHTOLD affronta alcuni aspetti del rap- Breton e Aragon, per indagare su una rosa da lei scelta porto che Jean Starobinski ha nei confronti della sto- e considerata come la più rappresentativa di una rifl es- ricità implicita all’atto dell’esegesi letteraria. Una delle sione sullo spazio geografi co in poesia: il pensiero di caratteristiche che defi niscono la ricostruzione della Char, Jaccottet, Frénaud, Bonnefoy, Réda. Il discorso storia dei topoï intrapresa da Starobinski è infatti la ca- si articola affrontando vari aspetti concettuali di questa pacità dell’esegeta di restituire al lettore un ambiente tematica critica, distribuendoli nei numerosi capitoli e storico-culturale nel quale collocarli, evitando contro- paragrafi del saggio, struttura che avrebbe benefi ciato sensi e anacronismi (Jean Starobinski et l’histoire des di una organizzazione forse più razionale oltre che ca- «topoï», pp. 409-416). pillare, senza con questo lieve appunto, nulla togliere Eric MARTY ripercorre il momento storico – 1950- alla serietà e all’interesse del lavoro. 1980 – contrassegnato, a livello universitario, dalla messa in discussione della storia letteraria e dei suoi [ROSA GALLI PELLEGRINI] metodi e di cui Barthes è stato senza dubbio uno dei principali protagonisti (Roland Barthes et la question de l’histoire littéraire, pp. 419-424). «Cahiers Claude Simon», n°1, 2005, Presses Uni- La precarietà, la mobilità, la contraddittorietà assie- versitaires de Perpignan, 163 pp. me alla sua apparenza democratica fanno della Rete, senza dubbio strumento innovativo nelle mani dei mo- I «Cahiers Claude Simon» vogliono essere uno spa- derni ricercatori in letteratura, una vera e propria arma zio di lettura, di rifl essione e di informazione rivolto a a doppio taglio. Rosa GALLI PELLEGRINI, ponendo l’at- tutti i lettori simoniani e particolarmente agli aderenti tenzione sulla narrativa dell’«extrême contemporain», all’Association des Lecteurs de Claude Simon, fondata prende in esame un corpus di entretiens d’auteurs nel 2003 da Dominique Viart e da Didier Alexandre. presenti in alcuni siti autorevoli di autori o di riviste Il primo numero contiene Essai de mise en ordre de che si occupano della produzione letteraria odierna. notes prises au cours d’un voyage en Zeeland (1962) et Dalla sua analisi emergono delle linee che apparenta- complétées, testo poco conosciuto e pubblicato da Si- no questi epitesti: le strategie editoriali, i temi comuni, mon nel 1973 nella rivista «Minuit» (pp.17-34). un’organizzazione ricorrente sono caratteristiche che La rubrica Dossier critique raccoglie quattro con- rivelano quanto le interviste spesso facciano parte di tributi dedicati alla relazione che l’opera simoniana

ultime 426 4-12-2006, 21:35:32 Novecento 427

intrattiene con uno dei suoi principali interlocutori media, in particolare i quotidiani, gli inserti letterari e immaginari: il romanziere inglese Joseph Conrad (Jo- i settimanali francesi. siane PACCAUD-HUGUET, Conrad et Simon: une question Una semplice constatazione fi nale illustra l’intrica- de poét(h)ique, pp. 37-45; Pierre SCHOENTJES, Conrad, ta strada percorsa da questo scrittore, intellettuale e Simon et l’esthétique du “faire voir”, pp. 47-57; Sté- uomo di cultura francese: il “détour” è stato sempre phane BIKIALO, «“J’ai plus de souvenirs que si j’avais presente e ne ha segnato i passaggi fondamentali. Un mille ans”: Claude Simon, La Corde raide et Joseph Con- percorso netto, ma non lineare, costellato di risvolti: il rad, Souvenirs personnels», pp. 59-77; Elzbieta GRO- giovane promettente salutato dalla critica unanime si DEK, Confrontation de la pensée de la révolte chez Simon è trasformato in scrittore sperimentale d’avanguardia et Conrad: l’homme face à l’événement, pp. 79-98). con «Tel Quel»; negli anni Ottanta si è convertito alla “Lectures étrangères” è une sezione dedicata alla leggibilità e ha diretto «L’Infi ni»; negli anni Novanta la traduzione di studi importanti su Simon pubblicati critica lo percepisce come personaggio scrittore che re- fuori dalla Francia: in questo numero Laurent Cas- sterà nella storia letteraria francese; nel nuovo secolo, il sagnau ha tradotto Les espaces de mémoire de Claude fenomeno Sollers non suscita più stupore e pare essere Simon: «La Route des Flandres» del romanista tedesco stato ‘assorbito’ dal campo delle lettere: ne fa parte, co- Rainer WARNING (pp. 103-133). munque. La traiettoria è costellata da un attento con- I “Cahiers” nella rubrica Paroles d’écrivains racco- trollo della scena mediatica, dalla frequente pubblica- glieranno testi o entretiens con autori contemporanei zione di interviste volte a illustrare la propria concezio- nelle cui opere l’infl uenza di Simon risulti evidente: ne della letteratura e la sua posizione in seno al campo questo primo numero contiene l’entretien di Jean-Yves letterario. Sollers ha costruito il proprio personaggio e Laurichesse con Richard Millet (Entretien avec Richard al tempo stesso è stato, ed è tutt’ora, uno dei protago- Millet, pp. 139-147). nisti più importanti della vita letteraria francese.

[CHIARA ROLLA] [ELISA BRICCO]

JACCOTTET - GUSTAVE ROUD. Correspondance 1942- 1976, epistolario scelto e curato da José-Flore Tappy, CHRISTINE JÉRUSALEM, Jean Echenoz, Ministère des Paris, Gallimard, 2002, 553 pp. Affaires Étrangères adpf, 2006, pp. 77+20.

Il volume, voluto e approvato dallo stesso Jaccottet Nell’ambito dell’opera di diffusione del romanzo dopo la morte di Roud e curato da José-Flore TAPPY, francese effettuata dal Ministero degli affari esteri rappresenta un capitolo fondamentale all’interno del- francese appare questa presentazione del romanzo di la bibliografi a dei due poeti svizzeri, ma soprattutto Jean Echenoz, proposto dalla maggiore studiosa del fornisce un prezioso strumento a tutti gli studiosi di romanziere, CHRISTINE JÉRUSALEM. Corredato da una Philippe Jaccottet. La scelta delle lettere tra questi e il interessante documentazione fotografi ca, lo studio suo maestro-amico-collega Gustave Roud getta nuova mette in evidenza le caratteristiche più salienti della e importante luce sull’attività saggistica e di traduzione scrittura del romanziere, che l’A. colloca in una cate- di Jaccottet, e mostra con quale intensità egli abbia me- goria della fi ction contemporanea che lei stessa identi- ditato e discusso su ogni progetto eseguito. fi ca come “romans du territoire”, per distinguerla dai Dopo le undici lettere giovanili dei due poeti, scrit- romanzi del “terroir” e quelli del “terrain”. Gli esordi, te tra il 1943 e il 1947 e apparse nell’autunno 1992 la poetica dello scrittore, le strutture delle opere e i lo- nella rivista Écriture 40, e dopo le tre del 1965 uscite ro contenuti sono brillantemente sintetizzati in questo a Meaux, nel 1997, sulla rivista Conférence, la Corre- agile lavoro critico, che offre l’essenziale alla conoscen- spondance disegna il più esaurientemente possibile sia za di un autore che rappresenta, a oggi, una “vedette” il Jaccottet studioso, sia il Jaccottet uomo (capace di in- del romanzo francese contemporaneo. cantarsi durante una passeggiata notturna; felice per la nascita dei suoi fi gli; preoccupato per la mole di lavoro [ROSA GALLI PELLEGRINI] affi datagli; e vero amico di uno scrittore, quale è stato Roud, attraversato qua e là da crisi lavorative). Ma la Correspondance non è solo questo: atten- ROSA GALLI PELLEGRINI, Un voyage au centre de tamente studiata e ben prefazionata, ci dona lettere l’écriture, l’écriture au centre du voyage. Les romans capitali per ricostruire una certa letteratura svizzera d’Alain Nadaud, «Publifarum», Studi, 2, 2006, http: contemporanea forse troppo dimenticata, ma che in //www.publifarum.farum.it. queste pagine – non direttamente, ma di rifl esso – la- scia intravedere il proprio non trascurabile ruolo al- Con questa pubblicazione in rete, per la prima volta l’interno di una cultura novecentesca europea in fase in Italia appare una monografi a critica concernente i di crescita. romanzi di Alain Nadaud, uno scrittore contempora- A completare il tutto, un testo di Jaccottet datato 14 neo che, peraltro, meriterebbe di essere meglio cono- novembre 1952 e restato inedito: Le Tournesol. sciuto anche in Francia e all’estero. La versatilità del- lo strumento mediatico permette all’A. di strutturare [MAURIZIO NASCIMBENE] con molta agilità il suo discorso, facendo premettere alla parte critica un rimando ipertestuale che rinvia ai riassunti e alle strutture narrative di ogni romanzo, MURIEL LOUPÂTRE, Devenir Sollers. Étude de récep- preceduto dall’indicazione bibliografi ca. Operazione tion, 1958-2001, «Histoires littéraires», 23, 2005, pp. importante per la conoscenza di un’opera ancora agli 81-100. esordi della sua diffusione in Italia. Infatti, l’A. riadatta e amplifi ca, per questa monografi a, i risultati di alcune In maniera forse un po’ provocatoria, questo studio letture già da lei proposte in convegni, mentre aggiun- traccia il percorso letterario e umano di Philippe Sol- ge contributi originali e un’importante testo inedito, lers, alla luce dell’attenzione che gli è stata portata dai offerto per l’occasione dal romanziere: Architexture,

ultime 427 4-12-2006, 21:35:33 428 Rassegna bibliografi ca

dove Nadaud fa una panoramica delle proprie opere sofi a degli anni del Sessantotto. Partendo dall’assunto romanzesche. L’A. non tiene conto, in questo studio, indicato nel titolo, dove viene esplicitata la lettura dei delle novelle di Nadaud, che tempo fa, assieme a un romanzi di Nadaud come un viaggio nell’interno della interessante lettura dei romanzi apparsi fi no a quella scrittura, l’A. s’inoltra poi nell’indagine sulla riscrittura data, trovarono la loro diffusione critica per opera di della storia secondo il romanziere, per passare nei capi- un altro studioso italiano, Gianfranco Rubino (Alain toli successivi, alle forme e alle modalità della “quête” Nadaud, La remontée su sens in Écritures contemporai- fi losofi ca e romanzesca, e infi ne ai “luoghi” della stessa. nes 1. Mémoires du récit, «Revue des Lettres Moder- Un ultimo settore critico riguarda la presenza e il gioco nes», 1998, pp. 47-70). del l’io all’interno dell’opera. La partenza critica tiene conto del contesto in cui nascono i romanzi dello scrittore, e in particolar modo [ELISA BRICCO] il sommovimento dei valori culturali dovuto alla fi lo-

Letterature francofone extraeuropee a cura di Carminella Biondi e Elena Pessini

JEAN-JACQUES BOUTAUD (sous la direction de), L’ima- Fabienne Martin-Juchat si dedica ai riti della tavola ginaire de la table. Convivialité, commensalité et com- come sistemi privilegiati di manifestazione di fenome- munication, Paris, L’Harmattan, 2004, 281 pp. ni d’empatia; André Cognard crea un parallelo tra le regole della tavola e quelle delle arti marziali, entram- be votate alla condivisione di uno spazio e di un mo- Jean-Jacques Boutaud mette al centro del suo libro mento sacro; Jacques Araszkiewiez esplora le funzioni un soggetto davvero originale: la tavola e il suo imma- reali e simboliche delle immagini riguardanti il cibo ginario. Egli è convinto, infatti, che grazie alla capaci- nel cinema; Jacques Fontanille descrive il complesso tà di mettere in scena le pietanze, di “teatralizzare” i insieme di norme che regola la conversazione a tavo- comportamenti e amplifi care le emozioni, la tavola sia la attraverso alcuni esempi romanzeschi; nella terza in grado di condensare tutta la gamma delle interazio- Jean-Pierre Corbeau spiega il mutamento delle forme ni umane. Del resto «manger c’est d’abord manger du di convivialità che a partire dal XX secolo ha rivoluzio- symbolique» (p. 11) e, quando consuma il cibo, l’uomo nato completamente i ritmi e le preferenze alimentari incorpora senza saperlo tutta la cultura che lo genera, dell’Occidente, mentre Pascal Lardellier e Benoît Hei- con le sue tradizioni, le sue radici, i suoi desideri, ta- lbrunn compiono un’indagine fi nale sulla standardiz- bù, trasgressioni, etc. Poiché ci nutriamo di simboli, zazione del gusto e sul signifi cato dei fast-food nell’era dunque, il senso degli alimenti si lega inevitabilmente a contemporanea. quello delle relazioni sociali. Teatro di sapori e valori, Ricco di spunti insoliti ed estremamente stimolanti luogo simbolico di scambio e condivisione, la tavola sui quali rifl ettere, L’imaginaire de la table è un testo diventa così una chiara metafora della comunicazione, “tutto da gustare”. intesa come una relazione che prende forma. Al fi ne di mostrare tale simbiosi tra la tavola e la co- [SIMONA ROSSI] municazione, l’autore divide il suo testo in tre grandi sezioni: Inventer la table, s’inviter à table, che delinea un curioso percorso a ritroso verso le origini del genere SILVIA ALBERTAZZI, GABRIELLA IMPOSTI, DONATELLA umano tramite lo studio “dell’umanità” degli animali e POSSAMAI (a cura di), Post-Scripta. Incontri possibili e “dell’animalità” degli uomini; Le goût du partage, che impossibili tra culture, Atti del Convegno Internazio- mira a superare la dimensione fi siologica dell’atto nu- nale di Bologna, 13-15 novembre 2003, Padova, Il Po- tritivo per immergersi in quella, altrettanto vitale, della ligrafo, 2005, 214 pp. condivisione del cibo, la quale mette in scena ruoli e attori ben precisi; La table post-moderne, infi ne, che Il volume presenta gli atti del convegno sulle lette- considera le pratiche individualiste dell’alimentazione rature postcoloniali organizzato a Bologna nell’autun- contemporanea e la sua attenzione all’estetica. no 2003 dal Centro Studi sulle Letterature Omeoglotte Una serie di saggi contribuisce a sviluppare l’ar- dei Paesi Extraeuropei e ci offre un ottimo risultato, gomento principale di ogni sezione: nella prima, ad come afferma il convenor Matteo Baraldi, di quasi dieci esempio, Pascal Picq osserva i riti sociali legati all’ali- anni di lavoro di questo gruppo di docenti e collabo- mentazione presso le scimmie e li confronta con quelli ratori sulle letterature extraeuropee e sulle principali attestati presso gli uomini primitivi; Nicole Fick illu- questioni di ordine critico ed epistemologico da queste stra le caratteristiche culinarie dei festini greco-romani; aperte. L’ottica in cui il convegno è stato organizza- Alain Montandon rivisita il mito della tavola orgiastica to è quella di attivare un dialogo tra la narrativa e il nella letteratura del XIX secolo; Yves Jeanneret compie discorso critico occidentali e quelli provenienti dalle un’analisi etimologica di diverse etichette di vini nei ex- o post- colonie e dai post-imperi, defi nendo linee secoli XVIII e XIX; nella seconda Estelle Masson rifl et- di continuità, intersezioni e mappe di «una scrittura te sulla fi gura del mangiatore solitario in letteratura; che si colloca comunque e sempre dopo. Dopo l’era

ultime 428 4-12-2006, 21:35:33 Letterature francofone extraeuropee 429

coloniale, dopo quella moderna, dopo la fi ne del- Un altro aspetto del dibattito sul postcoloniale ver- l’“impero” sovietico». L’obbiettivo, peraltro perfetta- so il quale Moura ci indirizza è quello del rapporto, mente centrato, era quello di aprire una serie di nuovi peraltro non ancora pienamente sviluppato, tra que- e fecondi interrogativi attorno e dentro un ambito di st’ambito di analisi e il comparatismo, ed è proprio studi, i Postcolonial Studies, che ha riscosso negli ultimi a questo livello che si evidenziano alcuni limiti. Se anni un notevole successo e una crescente attenzione e infatti, afferma Moura, postcolonialismo e comparati- diffusione, nonché numerose critiche ed opposizioni. smo condividono un senso della necessità di superare Le tre giornate di incontri e conferenze, confl uiti nei le barriere disciplinari e di privilegiare un approccio saggi raccolti nel volume, hanno visto la partecipazio- transnazionale, questo non è ancora avvenuto piena- ne di grandi studiosi e scrittori quali Iain Chambers mente a causa dell’incapacità, sul piano dei metodi e e Timothy Brennan, Carlos Montemayor e Vladislav dei concetti, di formulare un linguaggio critico comu- Otrošenko, Gëzim Hajdari e, per l’area francofona, lo ne e di ampio valore euristico. Si tratta quindi di un studioso di critica e di letterature postcoloniali di for- compito che resta aperto e che, secondo Moura, dovrà mazione comparatista Jean-Marc Moura e la scrittrice, veder convergere questi due approcci critici, che han- originaria della Guadalupa, Maryse Condé. no in comune il rifi uto di abdicare al senso di “alterità” Jean-Marc Moura si è da tempo contraddistinto che attraversa il mondo contemporaneo, per rinnovar- per aver introdotto nell’ambito francofono le princi- ne le dinamiche integrando lo studio delle letterature pali tematiche critiche elaborate dagli studi postcolo- su un piano globale con la costruzione di intelligibilità niali, diffusi a partire dagli anni Ottanta nell’ambiente regionali delle poetiche e di una teoria critica degli svi- anglofono (dall’Inghilterra agli Stati Uniti, l’India e luppi letterari internazionali. l’Australia) e, per questo, guardati con ingiustifi ca- Di carattere e di tono alquanto differente, benché to sospetto dagli intellettuali esagonali, restii molto simile in alcune conclusioni, è l’intervento di Maryse spesso ad abbandonare l’ottica assimilazionista ed Condé intitolato Chronique d’une mort annoncée. Lit- universalista del giacobinismo francocentrico a favo- térature caribéenne et globalisation. La scrittrice esordi- re di linee teoriche maggiormente orientate ad un ap- sce sottolineando la drammatica alternativa in cui vede proccio interculturale, globale ed antiessenzialista che imprigionata la regione caraibica, e non solo, nel suo è proprio dei migliori critici postcoloniali. Pertanto, rapporto con la globalizzazione e la postmodernità: da afferma Moura nel suo saggio L’étude postcoloniale des una parte il drammatico e disperato assalto dei “dan- lettres francophones: problèmes et perspectives, il fatto nati della terra” alla ricchezza e ai modelli antropolo- coloniale si pone inevitabilmente come una delle rot- gici dello “Zio Sam”, dall’altro un rifi uto esasperato ture principali della modernità e, di conseguenza, le e rabbioso che cerca di sottrarsi ai meccanismi della tematiche affrontate da questa corrente di studi (dalla globalizzazione per rifugiarsi in una sorta di “eden” riscrittura della storia in una prospettiva transnaziona- di autenticità, lamentandone casomai la diluizione e le ed antidualistica all’ibridità culturale e letteraria che la perdita. Ed è proprio, paradossalmente, da queste caratterizza gran parte delle scritture extra-europee, regioni sconvolte che provengono alcune delle lette- dallo studio situato dell’ethos del discorso letterario e rature più “sontuose” prodotte negli ultimi decenni, delle situazioni di enunciazione che ne caratterizzano la cui complessità impone allo studioso di affrontare le molteplici poetiche ad una prospettiva metodologica problemi di non leggero calibro. Innanzitutto si rivela interdisciplinare ed “intermediale”) non possono non in modo eclatante il crollo, la “morte annunciata” di essere prese in considerazione, per quanto in modo talune opposizioni binarie ereditate dal colonialismo, critico e produttivo, anche in ambito francofono. Il che assicuravano il nostro pensiero su noi stessi e, ine- rischio che corre la francofonia nell’ignorare queste stricabilmente, sugli altri e che reggevano i nostri para- problematiche è appunto quello di separare netta- digmi epistemologici. mente le letterature dal loro contesto socio culturale La prima opposizione che dovrebbe venir meno privilegiando il medium linguistico e quindi, più o me- in questo nuovo paradigma che si sta generando dal- no direttamente, il rapporto di dipendenza culturale e la morte del precedente, è quella classica tra Pays du politica con l’ex-metropoli riproducendo la dialettica dedans e Pays du dehors, che contrapponeva la visione dualistica Centro/Periferia che era propria del colo- idillica e di stampo prettamente esotico delle isole di nialismo. La critica postcoloniale insiste invece sulle «luxe, calme et volupté» alla corruzione dell’altrove; determinazioni storiche, problematizzando le temati- una mistifi cazione ben presto disgregatasi sotto il pe- che relative all’affermazione di un’autonomia politica so della pauperizzazione, delle dittature e dell’emi- e culturale delle ex-colonie, nonché i cambiamenti cul- grazione, peraltro già denunciate da Césaire nel suo turali introdotti dalla globalizzazione in termini di de- Cahier d’un retour au pays natal. Così, a poco a poco, localizzazione e di rilocalizzazione di pratiche e signi- il “pays du dedans”, afferma Condé, diventa un peri- fi cati culturali, economici e politici. Ne consegue una metro sterile e pericoloso, in cui non è più possibile maggiore attenzione alla dimensione pragmatica della riconoscersi in quanto membri di una “nazione” (nel letteratura, ai dati situazionali che compongono l’uni- più ampio senso del termine) in quanto i suoi presunti verso di discorso delle opere. «La critique postcolonia- abitanti sono già tutti morti. Di fronte a questo crollo- le», afferma Moura, «développe un sens politique de la zombifi cazione non resta che andare alla ricerca di una pratique littéraire un peu perdu par les études littérai- «nazionalità intima e soggettiva», come hanno peraltro res françaises». Questa prospettiva si traduce nell’ana- già fatto molti scrittori caraibici che hanno smesso di lisi di quella che, prendendo in prestito un’espressio- richiamarsi ad un’unica ed ancestrale appartenenza: ne coniata da Daniel Maingueneau, l’autore defi nisce «[ils] peuvent sans complexes se déclarer écrivains ca- come scénographie, ossia la situazione di enunciazione nadiens et tendre leur imaginaire, leur cœur vers le lieu ibrida e composita in cui coesistono degli universi sim- qu’ils désirent». Anche l’opposizione tra francese – lin- bolici differenti e spesso confl ittuali e che caratterizza gua coloniale di dominazione/creolo – lingua materna gran parte delle poetiche postcoloniali: una “scenogra- di resistenza, che ha dominato per secoli il pensiero dei fi a della rottura”, insomma, a partire dalla quale si svi- popoli caraibici, ha ormai fatto il suo tempo, benché luppano nell’opera una serie di scelte formali che sarà sia ancora molto spesso sottesa ad alcune prese di posi- compito del critico analizzare. zione che volgono apparentemente in senso contrario,

ultime 429 4-12-2006, 21:35:34 430 Rassegna bibliografi ca

come il movimento della Créolité. Siamo ormai ben co- letterature contrappongono le istanze nuove del mol- scienti che quello della purezza della lingua e dei valori teplice alla fi ssità egemonizzante dell’Uno, avanzando che essa trasmette è solo un mito conservatore, mentre l’opportunità di una partecipazione aperta contro le ciò che caratterizza il linguaggio e, con esso, la crea- logiche elitarie dell’esclusione, «Perché l’esiguità signi- zione letteraria è proprio la sua ibridità e il suo potere fi ca apertura e intervento sul mondo; essa non è – non di adattamento a differenti contesti storici, culturali e deve mai essere […] – ripiegamento su di sé e chiusura soggettivi. Ed è proprio sul tema dell’autenticità che il rispetto alla diversità dell’Altro. Solo la frantumazione discorso di Maryse Condé sembra farsi più decisamen- del ripiegamento identitario può consentire alla piccole te promotore di una svolta radicale, non risparmiando culture, a dispetto delle defi nizioni troppo sfumate, di critiche a quanti, attraversando movimenti e tenden- accedere all’universalità del sapere» (p. 61). ze letterarie come Négritude, Spiralisme, Antillanité, Lo studio di Paré rivela come l’adozione di un lin- Noirisme, Créolité ecc. hanno riproposto, camuffan- guaggio improntato al mimetismo, da parte delle let- dolo sotto diversi discorsi ed ideologie, il mito del poe- terature dell’esiguità, sia sintomatico di un’identità in ta come portavoce del riscatto, della liberazione e dei bilico tra alienazione e liberazione, su un duplice fron- valori autentici del suo popolo, cadendo in una peri- te individuale e collettivo. Voci elette delle collettività colosa e spesso ambiguamente demagogica confusione minoritarie sono pertanto la poesia, il teatro, la canzo- tra letteratura e politica. Lo scrittore caraibico che de- ne, poiché assolvono ad altrettante pratiche di ritualiz- ve nascere, e che sta nascendo, dalla crisi di questi mo- zazione dell’identità e di sacralizzazione del margine, delli sarà dunque, come l’autrice ci indica a conclusio- che è nel contempo limite e superamento dello stesso. ne del suo intervento, uno scrittore cannibale, libero di Tali formule espressive scelgono spesso la via dell’ora- scegliere la propria lingua così come le proprie appar- lità, che offre maggior ricchezza di espedienti mimetici tenenze, recuperando quel senso profondo della lette- rispetto alla scrittura e meglio si adatta ad una realtà ratura indicatoci già da Maurice Blanchot: «L’essence caratterizzata dalla carenza di apparati istituzionali de la littérature, c’est d’échapper à toute affi rmation produttori e promotori di forme di cultura scritte. qui la stabilise ou même la réalise: elle n’est jamais déjà Paré sottolinea l’importanza del riconoscimento là, elle est toujours à retrouver ou à réinventer». della legittimità dell’esiguità, ponendosi in ascolto delle voci sommerse delle piccole letterature, la cui [ALESSANDRO CORIO] sopravvivenza è legata a condizioni di intelligibilità e di traducibilità, alla creazione di dispositivi ideologi- ci istituzionali (l’insegnamento accademico, le riviste, FRANÇOIS PARÉ, Letterature dell’esiguità, traduzione i circuiti editoriali, la critica letteraria, le storie della italiana di ANDREA CAVAZZINI, Macerata, Quodlibet, letteratura, i premi letterari), che ne promuovano e ne «Letterature omeoglotte», 2005, 208 pp. divulghino la specializzazione, in prospettiva di una memorializzazione aliena alla ristrettezza delle coor- Siamo a una congiuntura favorevole alle piccole let- dinate spazio-temporali, poiché le piccole letterature terature, data dal livellamento operato dai media sul appartengono all’amorfi smo, all’atopico, al nomadi- discorso culturale, che favorisce l’emergenza delle voci smo, che è sublimazione dell’esilio, quale somma del fuori campo, poiché il potenziale, talvolta inespresso, disagio spaziale. talvolta negletto, della piccole letterature costituisce È interessante notare come Paré disponga le sue os- la chiave di volta del processo di svecchiamento, di servazioni in piccoli quadri, frammenti irriducibili ed revisione e di rivitalizzazione della produzione lettera- autonomi di un discorso unitario complesso che sce- ria, in prospettiva di un più ampio sistema di dialogo glie la prospettiva della discontinuità e il dialogo sensi- e di scambio. È stato pertanto più che mai opportuno bile con il silenzio interstiziale dei bianchi tipografi ci, offrire agli studiosi italiani la possibilità di leggere il con un’alterità che è parte integrante di ogni processo testo del critico quebecchese François Paré, uscito in cognitivo. «Una cultura dell’identità nell’alterità, ecco edizione originale nel 2001, con il titolo Littératures de cosa sarà la coscienza di domani. Riconoscere l’altro l’exiguité. Paré individua quattro forme di marginalità nella sua singolarità, accettarlo nella sua estraneità, e ne analizza gli specifi ci meccanismi di sopravvivenza cercare di trovare un linguaggio comune che tenga e di espressione: letterature minoritarie, letterature co- conto della differenza» (p. 200). loniali, letterature insulari, piccole letterature nazionali, inferiorizzate dall’assenza o dalla debole presenza di un [MANUELA STACCHINI] impianto strumentale istituzionale in grado di operar- ne la diffusione e la rivalutazione, dalla schizofrenia di un’identità combattuta tra i retaggi della calcomania e «International Journal of Canadian Studies/Revue la sfi da dell’autonomia, da politiche di insularizzazione internationale d’études canadiennes», Security/Insecu- che generano atteggiamenti vicendevolmente impron- rity, Sécurité/Insécurité, 29, 2004, 192 pp. tati al servilismo e all’indipendenza. Le letterature del- l’esiguità affermano il loro diritto di esistere mediante L’ultimo numero della rivista semestrale «Inter- un’opera tenace di resistenza, nel segno della pluralità national Journal of Canadian Studies» non potrebbe e della differenza, sorrette tanto dall’emergenza della affrontare un argomento più attuale, ossia il profondo volontà quanto dal terrore di scomparire, da un orgo- senso d’insicurezza che ha invaso tutto l’Occidente do- glio dell’identità che è coraggio dell’alterità. po gli attentati dell’11 settembre, la data che ha cam- Il saggio di Paré è una fi duciosa e appassionata biato il mondo, che ha esasperato e reso inadeguati difesa e illustrazione delle piccole letterature, baluar- termini come paura, angoscia, diffi denza. Non solo. di dell’eterogeneità e della frammentazione contro la L’ossessione per la minaccia terroristica che può an- tendenza all’omogeneizzazione del discorso culturale, nidarsi ovunque ha gettato una sorta di velo sul senso voci marginali sospese tra ricerca vorticosa dell’auto- delle parole sicurezza/insicurezza che ispirano il titolo, nomia e ripiegamento sul ripudio di sé, promotrici spazzando via tutte le altre defi nizioni possibili. Se fi - del valore della specifi cità contro il potere consoli- no a qualche anno fa, infatti, l’espressione “sicurezza dato dell’universale. Tra coscienza e oblio, le piccole umana” indicava la situazione ideale per le popolazio-

ultime 430 4-12-2006, 21:35:34 Letterature francofone extraeuropee 431

ni del mondo, protette quotidianamente da ogni peri- «International Journal of Canadian Studies/Revue colo, come la fame, le malattie, i crimini, le catastrofi internationale d’études canadiennes», Languages/Lan- naturali, attualmente essa designa soprattutto lo stato gues et langages, 30, 2004, 214 pp. di perenne allerta e difesa nei confronti delle azioni terroristiche. Questo numero della rivista «International Journal I nove articoli che compongono la rivista (presenta- of Canadian Studies/Revue internationale d’études ca- ti in inglese, ma preceduti da un riassunto in francese) nadiennes» è in gran parte dedicato ad un tema che si occupano del doppio tema sicurezza/insicurezza, da sempre affascina gli studiosi di varie branche del mostrando al lettore le diverse interpretazioni che la sapere: il linguaggio umano, che unisce e divide, che politica, l’economia, l’arte e la letteratura canadesi muta nel tempo, che stabilisce legami e si fa portavoce forniscono di esso. Dopo la lunga e particolareggiata di valori ed ideali, che è in grado di evocare il passato, introduzione di Daiva Stasiulis, Yasmeen Abu-Laban ma anche di fare propria la mescolanza e la “contami- illustra come l’attacco al World Trade Center di New nazione” che contraddistinguono l’era moderna. Da York abbia incredibilmente favorito, in Canada, l’ap- sempre punto di riferimento basilare delle diverse cul- parizione di nuove gerarchie sociali basate sulla razza ture e al contempo prodotto diretto di queste ultime, e l’etnia: il governo americano, infatti, ha varato nuove le lingue permettono di esplorare le visioni individuali norme per regolare e contenere il fl usso migratorio tra del mondo, mantenendo, però, una percezione collet- Canada e Stati Uniti, le quali partono dal presupposto tiva della storia delle nazioni e dei popoli. Questo è che gli individui d’origine araba o musulmana sono da particolarmente vero per il Canada, la cui società mul- ritenersi sospetti, alimentando forti sentimenti d’insi- ticulturale uffi cialmente bilingue ma di fatto multilin- curezza e ansia collettiva. Anche l’articolo di Habiba gue, ha fondato la sua unità proprio sulla diversità, tra- Zaman si occupa dell’aumento della diffi denza nei sformandosi in una sorta di “laboratorio” effi ciente ed confronti degli immigrati, focalizzandosi sulla situa- operoso all’interno del quale la coabitazione linguistica zione delle numerose donne fi lippine che vengono e culturale è la parola d’ordine. E coabitare, beninteso, accolte in Canada come “immigrate temporanee” solo non signifi ca cancellare le differenze, bensì dar loro il se accettano di lavorare in qualità di infermiere e do- giusto valore e utilizzarle come collante, «comme un mestiche nelle case private. Elise Brière, Susan Kevra agent adhésif qui relie les diverses facettes de la cul- e Claire Omhovère, invece, esplorano l’ambito lettera- ture» (p. 11). rio, constatando che il tema della morte violenta ha un Gli autori degli articoli che compongono il volume ruolo di grande rilievo nelle produzioni romanzesche rifl ettono sulla realtà linguistica canadese e sulle sue moderne: in Un Ambassadeur macoute à Montréal del- peculiarità: Jane Koustas analizza il forte impatto, sul lo scrittore haitiano residente in Québec Gérard Étien- piano sociale e linguistico, del testo teatrale La trilo- ne, ad esempio, è chiaro che la violazione dei diritti gie des dragons di Robert Lepage, che mette in scena umani non è esclusivo appannaggio dell’universo post- mondializzazione, multiculturalismo e transcultura- coloniale, ma riguarda tutto il mondo, poiché la sete di lismo proprio tramite il linguaggio; Lynette Hunter potere e ricchezza dei paesi sviluppati li porta a soste- e Michelle Daveluy trasportano il lettore nel compli- nere regimi violenti e dittatoriali; in Le désert mauve di cato mondo orale del popolo Inuit, mostrando tutto Nicole Brossard i pericoli per la sicurezza materiale e il potenziale dell’oralità, che la politica linguistica in- gli spettri della morte non si contano, tra i quali tro- ternazionale tenta di difendere, nonostante le tensioni viamo soprattutto le esplosioni nucleari organizzate da esistenti tra la lingua inuit, l’inglese e il francese; Jesse scienziati che non si preoccupano minimamente delle Archibald-Barber considera l’infl uenza delle pratiche conseguenze ecologiche; in Les tentations de Grand coloniali del XIX secolo e della teoria strutturalista mo- Ours di Rudy Wiebe, infi ne, biografi a della pronipo- derna sull’attuale percezione linguistica e culturale de- te di un capo indiano, la violenza e l’incesto sono le gli autoctoni; Kathleen Buddle, infi ne, si concentra su protagoniste dall’inizio alla fi ne. Il rifl esso dell’insicu- alcune iniziative dei media autoctoni in Alberta, soste- rezza umana si può notare anche nel cinema: Michael nendo che la trasformazione della produzione scritta Grant presenta, infatti, una lucida analisi delle imma- è profondamente legata a fattori politici ed economici. gini inquietanti e cadaveriche del fi lm Crash di David Una particolare nota di apprezzamento va all’artico- Cronenberg, mostrando come esse siano lo specchio lo di Catherine Khordoc, che esamina in modo lucido delle paure odierne. Infi ne, per quanto riguarda l’er- e preciso quattro testi quebecchesi e franco-ontariani rata gestione delle risorse umane sia a livello politico in cui s’inserisce la presenza esplicita del mito di Babe- che economico, Delia Montero illustra il problema le come metafora delle preoccupazioni contemporanee della scarsità d’acqua nel mondo, mentre Steffen Sch- in merito alla coabitazione di lingue e culture. Ciò che neider, Thomas Klassen e Rodney Haddow lamentano l’autrice mette in evidenza è una nuova ed interessan- politiche nazionali troppo poco attente alla necessità di te sfaccettatura di questo mito così antico: il contatto decentralizzare i poteri governativi. quotidiano di linguaggi differenti, infatti, dà luogo Un saggio critico a cura di Faye Hamill chiude la inevitabilmente a forme di cultura indipendenti ed rivista: in esso l’autore affronta il tema dell’incertezza originali, dunque il mito di Babele non evoca soltanto nell’identità nazionale canadese e spiega che dal punto la molteplicità linguistica, poiché «la construction ina- di vista letterario si tenta di stabilizzare tale insicurezza chevée représente la culture qui est toujours en train tramite una certa catégorisation dei testi: canadesi in- de se former» (p. 19). Un saggio di Donna Patrick con- glesi, quebecchesi, autoctoni, d’immigrazione, etc. clude egregiamente “l’itinerario” linguistico compiuto Estremamente al passo coi tempi e sensibile alle dai vari articoli, ricordando che «la connaissance des problematiche contemporanee, di certo questo nume- dossiers linguistiques et des idéologies et des débats ro di «International Journal of Canadian Studies» sarà qui les entourent est essentielle à la compréhension de spunto per una profonda rifl essione su ciò che signifi - ce qui façonne et démarque le Canada en tant que na- ca, oggi, sentirsi sicuri o insicuri. tion dans un monde qui est en passe de devenir de plus [SIMONA ROSSI] en plus postnational» (p. 17). [SIMONA ROSSI]

ultime 431 4-12-2006, 21:35:34 432 Rassegna bibliografi ca

«Ethiopiques. Revue négro-africaine de littérature ma de la création actuelle dans le sud, mais parvient à et de philosophie», n° 73, 2ème semestre 2004, 254 pp. en faire ressortir quelques traits saillants. La plupart des écrivains qui ont répondu à l’appel Le questioni linguistiche così come la rifl essione su- de la revue sont des polygraphes qui, à travers les dif- gli apporti psicanalitici alla letteratura sembrano esse- férents genres qu’ils pratiquent, s’engagent contre la re al centro di questo numero di «Ethiopique», rivista violence de leur quotidien. Certes, les différences et «négro-africaine», fondata da Senghor. Il numero non les particularités qui les séparent sont nombreuses, et include solo articoli sull’opera del celebre poeta sene- la qualité de leurs œuvres, souligne Joubert, est déter- galese, come quello di Birahim Thioune, dedicato alle minée par le champ éditorial dans lequel chaque au- Elégies majeures, ma contiene anche altri studi che si teur opère. Heureusement, le Sud voit de plus en plus aprono verso diversi autori che hanno fatto grande la souvent la naissance de maisons d’édition locales. Il ne letteratura africana, da Ahmadou Kourouma a André nous reste qu’à souhaiter nos meilleurs vœux de réussi- Brink, passando per Cheikh Hamidou Khane. La que- te à ces plumes émergentes et prometteuses. stione identitaria e linguistica, così come il tressage tra lingua nazionale e dialetti, centrale nella rifl essione de- [PAOLA GHINELLI] gli autori sub-sahariani, sono affrontati nello studio di apertura di Ibrahima Wane, dedicato al passaggio dal francese al wolof nell’opera di Boubacar Boris Diop, MARGUERITE RIVOIRE ZAPPALÀ e ROSSANA CURRERI (a ma anche nell’articolo di Adama Coulibaly, incentra- cura di), Paroles dévoilées. Regards d’aujourd’hui sur la to sulla relazione tra onomastica e creazione lettera- femme maghrébine, Firenze, Olschki, 2003, 199 pp. ria nell’opera di Kourouma. Neanche la letteratura al femminile è trascurata, come testimonia lo studio di Il volume raccoglie gli atti del Convegno Internazio- Laura I. Pondea, che si incentra sulla complessa scrit- nale Paroles dévoilées, organizzato dall’Università degli tura dell’enfant terrible Werewere Liking, comparan- Studi di Catania, dalla città di Palermo e dal Centre done la profonda dimensione psicanalitica con quella Culturel français de Palerme et de Sicile in varie città di Hamidou Kane. La rivista ospita anche, come di siciliane – Catania, Ragusa, Palermo, Enna, Caltanis- consueto, uno spazio consacrato alla fi losofi a e alle sue setta, Trapani – dal 4 al 9 maggio 2000. Agli incontri implicazioni sul testo francofono, così come alla critica sono intervenuti scrittori nord africani e studiosi spe- d’arte, che si interessa in questo numero alle creazioni cialisti di letteratura maghrebina, provenienti dalle pittoriche di Abdoullay Ndoye e Chalys Lèye. Interes- due rive del Mediterraneo, che hanno dato vita ad un sante infi ne l’ultima sezione, dedicata a poesie inedite, dibattito a più voci, nel corso del quale si è riaffermata che offre testi di sorprendente valore, come nel caso di l’importanza per le donne maghrebine di conquistare il Racine Senghor, Meissa Maty Ndiaye e Papa Samba diritto alla libertà di parola e alla creazione artistica. Il saggio è diviso in tre parti. La prima parte, inti- Diop. Questo numero si conclude infi ne con le notes tolata La naissance ‘féminine’ au verbe ou pour en fi - de lecture di Lilyan Kesteloot e Babacar Ndiaye, che nir avec Shahrazad (pp. 13-37), raccoglie i contributi fanno il punto sullo stato attuale della letteratura fran- di Anouar Benmalek, Maïssa Bey, Souâd Guellouz cofona sub-sahariana, in particolare senegalese, lette- e Rachida Saïgh Bousta, i quali hanno testimoniato ratura viva, che sembra aver ancora molto da dire. la nascita di una scrittura femminile affrancata dalla pratica esclusiva dell’oralità. Le scrittrici maghrebine [ILARIA VITALI] contemporanee sono infatti, come afferma Guellouz, delle “anti-Shahrazad” (p. 6) che non intendono più stordire o ammaliare i compagni con i loro racconti, «Notre Librairie», n° 158, Plumes émergentes, avril- ma vogliono stabilire con loro una relazione paritaria juin 2005, 160 pp. di mutuo ascolto, sia nella pratica letteraria che nella vita quotidiana. Il percorso non è privo di diffi coltà, Dans la lignée de ce qu’elle avait fait il y a quatre poiché le donne nord africane hanno avuto, e hanno ans avec un numéro intitulé «Nouvelle génération», tuttora, a che fare con una società legata a un sistema la revue Notre Librairie présente maintenant des au- di tabù che spesso nega loro il diritto all’“expression teurs francophones contemporains. Leurs œuvres, de soi” (p. 13). Infi ne il contributo di Benmalek po- inédites ou publiées par des petites maisons d’édi- ne l’accento sulla ricchezza dei personaggi femminili tion, sont privilégiées dans ce numéro 158. Le choix nell’ambito della letteratura algerina. Nel suo romanzo des extraits est aussi intéressant que le plan de cette Les amants désunis le donne rivelano le condizioni e monographie. L’organisation par aires géographiques le contraddizioni di una società che fatica a superare i qui caractérise la revue est maintenue, mais la volonté limiti imposti dalla tradizione e in cui «l’homme vit sa de légitimation et de diffusion infl uence la structure souffrance d’homme, certainement; la femme vit égale- générale, qui prévoit des textes courts signés par des ment sa souffrance “d’homme”, mais y ajoute sa souf- écrivains connus en guise de présentation de chaque france de ‘femme’ écrasée par les traditions, la religion auteur émergent. et toutes les constructions idéologiques que l’homme Les écrivains qui n’appartiennent ni au groupe des […] a imposé à sa compagne d’humanité» (p. 36). très célèbres, ni tout à fait à celui des émergents, ayant La seconda parte, intitolata Le parti de la vérité publié chez un éditeur prestigieux, ont aussi un espa- ou pour en fi nir avec la ‘critique philantropique’ (pp. ce de visibilité. Sayouba Traoré, Alfred Alexandre, 41-134), ospita i contributi di Maria Teresa Puleio, Soumya Ammar Khodja et Vinod Rughoonundun Marguerite Rivoire Zappalà, Marta Segarra, Sabine ferment la section correspondante à chacune des aires Ceysson, Rosalia Bivona, Concettina Rizzo, Antonella géographiques dont ils sont originaires par un entre- Emina e Rossana Curreri. Ci soffermeremo brevemen- tien. Le résultat de cette articulation complexe est un te solo su due di questi. L’articolo che apre la sezione è portrait étonnamment riche de la «jeune» littérature «Moi, étrangère à l’étranger»: Assia Djebar lectrice d’Al- francophone. Jean-Louis Joubert remarque dans son bert Camus (pp. 41-52) a cura di Maria Teresa Puleio. introduction qu’il serait ardu de présenter un panora- La studiosa ripercorre l’itinerario che ha portato Assia

ultime 432 4-12-2006, 21:35:35 Letterature francofone extraeuropee 433

Djebar alla riscoperta di alcune opere camusiane; un intesa come costrizione. È dunque nella lingua france- percorso, questo, segnato da un’iniziale diffi denza e se che molti autori, come Kilito, trovano quella libertà mutatosi in seguito in fratellanza artistica. La lettura che permette di sviluppare le loro capacità critiche e del Premier homme ha suscitato nella scrittrice algeri- creative. Nel corso dello studio, l’autore sottolinea co- na l’«écho d’une angoisse secrète» (p. 43), per quella me, nonostante l’utilizzo comune della lingua francese, ricerca delle proprie radici, del padre e dell’infanzia la scrittura francofona magrebina continui tuttavia a che sono divenute per i due intellettuali i contenuti di distaccarsi dai canoni occidentali, rivelando, attraverso molte opere, nonché i miti e i cardini delle loro vicen- molteplici strumenti, la sua vocazione iniziale, la sua de personali. Nell’articolo Il segno culinario: alterità e predilezione per la calligrafi a e l’unicità della parola convivialità in «Un été à la Goulette» di Férid Boughe- coranica. dir e «Les Jardins du Nord» di Souâd Guellouz, Rosalia Docente di letteratura francese e comparata presso Bivona propone l’immagine di una Tunisia pluricultu- la Facoltà di Lettere di El Jadida, Abdelhaq Anoun ci rale e conviviale attraverso la metafora del cibo eviden- offre attraverso questo studio una brillante rifl essione, ziata nel fi lm Un été à la Goulette di Férid Boughedir non solo sull’opera di un singolo autore, ma sulla di- e nel romanzo Les Jardins du Nord di Souâd Guellouz. mensione del romanzo francofono maghrebino, sof- Il segno culinario, sostiene la studiosa, appartiene a un fermandosi sulla sua capacità di far convergere nello sistema di segni la cui espansione semantica produce stesso universo letterario, rifl essione e narrazione, un notevole arricchimento di senso. A tavola, le tre recupero della tradizione e ricerca di nuove forme comunità appartenenti alle tre religioni monoteiste espressive, creando quella singolare narrativa che ne – ebraismo, cattolicesimo, islamismo – dialogano e si rappresenta l’unicità. confrontano in uno spazio pacifi co in cui le differenze [ILARIA VITALI] non sono né uniformate, né annullate ma conservano la loro specifi ca identità, permettendo il contatto, lo scambio e talvolta la contaminazione dei sapori e delle ROSALIA BIVONA, La mensa in scena magrebina, ovve- abitudini. ro il cibo come pre-testo narrativo. Napoli, Lo specchio Nella terza e ultima parte, dal titolo Témoignages del Mediterraneo, Arte Tipografi ca Editrice, 2005, (pp. 137-199), gli scrittori e gli studiosi intervenuti al 288 pp. convegno si mettono in gioco in un dibattito corale sul ruolo della scrittura nel Maghreb e giungono a formu- Un titre aussi alléchant, dont les jeux de mots ont lare un bilancio molto positivo sugli esiti degli incontri. pour effet d’associer l’art de la parole à l’art culinaire, L’antica terra di Sicilia ha saputo dunque accogliere, nous convie d’emblée à la lecture du livre de Rosalia con il grande senso di generosità e tolleranza che da Bivona. Car c’est en fi n gourmet qu’elle nous invite à sempre la contraddistingue, questa prestigiosa tavola goûter “le plaisir du texte”, et, de surcroît, de la scène, rotonda che ha discusso intorno al velo – inteso come tout en nous offrant les plaisirs de la table maghrébine, metafora della creazione letteraria, velo dello pseudo- que ce soit dans sa simplicité la plus nue, présentant un nimo, velo dello sguardo dell’adulto rivolto ai ricordi simple plat de couscous, ou dans son apparat des jours dell’infanzia, velo opaco dell’oblio – e alla necessità di de grandes ripailles. svelare, di mettere a nudo le parole per mostrarne tutto Puisqu’elle alimente la conversation, la convivia- il peso e l’autenticità. lité revêt, on le sait, une fonction fondamentale dans [PAOLA MARTINI] l’approche et la connaissance de l’autre. Elle véhicule une valeur d’échange, de communion et de partage et assume ainsi une connotation spirituelle de tout temps ABDELHAQ ANOUN, Abdelfattah Kilito. Les origines largement exploitée par les artistes de toutes nationa- culturelles d’un roman maghrébin, Paris, L’Harmattan, lités, peintres, écrivains ou cinéastes. Qui dit convivia- 2004, 167 pp. lité dit hospitalité, ceci reste vrai dans les pays médi- terranéens, et peut-être plus particulièrement dans le Ecco un saggio interessante, non solo perché porta Maghreb où, à l’hôte, aujourd’hui encore, sont réser- l’attenzione su uno scrittore ancora non troppo studia- vés tous les égards. Spécialiste en littérature maghré- to nel panorama marocchino, come Abdelfattah Kili- bine, Rosalia Bivona, à bon escient, se consacre à une to, ma soprattutto perché, partendo dalla sua opera, étude sur la nourriture et les repas dans les langages l’autore traccia un vero e proprio ritratto del romanzo littéraire et cinématographique des pays maghrébins. francofono maghrebino. Soffermandosi sulla volontà À travers les neuf analyses constituant les différents di Kilito di recuperare una tradizione arcaica nella di- chapitres de son livre, elle nous conduit dans le temps mensione del ricordo, l’autore tocca tutti gli elementi et dans l’espace, du Maroc à la Tunisie en passant par che caratterizzano l’universo della letteratura maghre- l’Algérie. Les intitulés des différents chapitres suggè- bina, come la volontà di recupero della tradizione, rent à eux seuls la vaste gamme de signifi cations que l’importanza della calligrafi a, l’infl uenza dell’oralità peut assumer la présence de la nourriture dans une sul testo scritto. Interessante il capitolo «Coran et ro- œuvre artistique: man», che si propone di esplorare la complessa rete di 1. Per un piatto di cuscus: cibo e diegesi ne Le fi ls du relazioni tra islam e letteratura. Come spiega l’autore, pauvre di Mouloud Feraoun. la parola maghrebina è in origine indissolubilmente 2. L’anagramma conviviale: Le village des Aphodèles legata alla religione, al punto che il tentativo di nar- di Ali Boumadhi. rare attraverso rime, metafore, giochi di parole, divie- 3. Come in un quadro di Botero: percorsi pittorici ne tentazione, sottintendendo un «dérapage subversif e obesità ne Le désordre des choses di Rachid Boudje- engageant la responsabilité du propos aux prises avec dra. l’éthique islamique et son autorité liturgique et théolo- 4. Marcel Bénabou e le istanze golose dell’epopea gique» (p. 69). Confrontandosi con la tradizione araba, familiare. a differenza del suo omologo occidentale, il romanzo 5. Se dietro un paracadutista si nasconde un cuoco, maghrebino non può affrancarsi dalla missione iniziale ovvero l’analisi del personaggio in Méfi ez-vous des pa- di memorizzare e appropriarsi di quella Parola, spesso rachutistes di Fouad Laroui.

ultime 433 4-12-2006, 21:35:35 434 Rassegna bibliografi ca

6. Quando la storia si fa in cucina: Les silences du Med, il personaggio centrale, non viene descritto palais di Moufi da Tlatli. dettagliatamente dall’autore; una semplice mancia- 7. Dialettica della pluralità e della convivialità: Les ta di indizi basta per renderlo familiare al lettore, il jardins du Nord di Souad Guellouz e Un été à la Gou- quale lo vede progressivamente circondarsi di perso- lette di Férid Boughédir. naggi-comparse associati a una o più città. Med è in- 8. Fame e sazietà: saperi e sapori dell’immigrazione fatti protagonista di una “quête” attraverso il mondo, in Cannibales di Mahi Binebine. nell’intento di costruire un rapporto di solidarietà fra 9. Malek Alloula, ovvero trentatré irresistibili diva- i vivi, i sopravvissuti e i morti e di proteggere il corps gazioni gastronomiche. civilisé, la sensibilità, l’arte, e la pace. Il racconto as- Se prenant au jeu, Rosalia Bivona nous sert, en guise sume così le tinte della science-fi ction, senza tuttavia d’aperitivo, l’introduction aux œuvres prises en exa- conferire a quest’ultima l’egemonia di genere. Vi è in- men. Jonglant avec la langue italienne comme un vrai fatti una pericolosa società segreta di uomini robot, e chef qui touillerait dans une marmite, tout en sachant l’umanità sembra essere minacciata dall’alienazione doser sérieux, humour et ironie, elle montre comment delle mutazioni genetiche compiute dalle macchine; la synecdoque nutritionnelle est, dans les œuvres exa- l’uomo dell’“avenir extrême” è pertanto investito di minées, le véritable moteur du discours narratif et en inquietanti interrogativi: quale destino lo attende? dégage tour à tour les différentes signifi cations. La Sarà «Un métis? un homme épuré, fi ltré par la tech- nourriture peut s’exhiber en tant que telle, comme vé- nique? un sur-animal? une boîte à merveilles? un dou- ritable et unique objet du discours narratif, elle assure ble de l’homme?» (p. 48). Med, riuscirà a resistere al une description réaliste tout en ayant une fonction es- fascino seducente della donna cyborg che a più riprese sentielle dans la construction du texte. Elle peut être tenterà di conquistarlo per renderlo componente inte- indice d’une réalité socio-économique et connoter des grante della nuova comunità meccanizzata, e compirà valeurs affectives. Souvent elle est aussi révélatrice de al contrario una sua personale mutazione osservando la psychologie des personnages qui sont à l’image de ce segni, lettere e cifre, penetrando nell’essenza delle ci- qu’ils mangent. L’essayiste montre d’autre part com- viltà, attraversando le religioni del mondo, spoglian- ment le souvenir lui-même vient se cristalliser autour dosi del suo essere più profondo per ritrovarlo, subli- des persistantes saveurs et odeurs de l’enfance. Sou- mato e arricchito, in una sfera superiore, in una nuova vent aussi le rappel d’un plat traditionnel alimente la dimensione. mémoire de l’exilé en faisant naître la nostalgie du Khatibi sa spingersi in direzioni diametralmente pays: les souvenirs culinaires se chargent alors du sen- opposte, da un lato il saggio (Maghreb Pluriel, Rabat, timent de l’appartenance identitaire. Les références SMER, 1979 e L’Alternance et les Partis politiques, Ca- gastronomiques tissent la mémoire collective en même sablanca, Eddif, 1999, tra gli altri), dall’altro il raccon- temps que la trame du récit. La nourriture se charge to onirico in cui spazio e tempo non hanno confi ni, enfi n d’une connotation religieuse et métaphysique si confondono e si fondono, richiamando la parteci- pour tout fi dèle qui, lors des fêtes rituelles, recherche pazione attiva del lettore che dal complesso tessuto la communion avec Dieu. En se servant avec justesse simbolico del racconto saprà riconoscere i segni, le im- des différentes critiques de référence, Rosalia Bivona magini e le icone per comprendere la storia di questa dégage l’importance du rôle de la nourriture dans le vita transmigratoire. texte analysé sans oublier, par-ci par-là, de nous don- [PIER PAOLO GOBBO] ner en note quelques bonnes recettes ou de nous révé- ler les secrets de certains rituels comme par exemple celui du thé. Férue de littérature et fi n connaisseur de MALIKA MOKEDDEM, Mes hommes, Paris, Grasset, cuisine, elle ajoute à la critique une œuvre aussi origi- 2005, 293 pp. nale qui saura charmer les lecteurs. [JULIE MILÒ] «Ma vie est ma première œuvre. Et l’écriture, son souffl e sans cesse délivré» (p. 23). Malika (la scrittrice dà il suo nome alla protagonista ABDELKEBIR KHATIBI, Féerie d’un mutant, Monaco, del romanzo) scrive contro il silenzio, il silenzio violen- Édition du Rocher/Le Serpent à Plumes, 2005, 81 pp. to che la separa dal padre, nel tentativo di «lancer des lettres comme des étoiles fi lantes dans cette insondable Féerie d’un mutant è l’ultimo lavoro di Abdekebir opacité» (p. 21). Egli non ha mai incontrato alcuno de- Khatibi, saggista, poeta e romanziere marocchino, or- gli uomini che Malika ha amato; per lui la libertà di mai affermato come uno dei maggiori scrittori maghre- amare è strettamente associata alla vergogna, al pec- bini di lingua francese. Ogni nuova pubblicazione è cato, alla lussuria, ma lei quella vita, la sua vita, vuole una scoperta del tutto inattesa: Khatibi si muove infat- scriverla fi no in fondo, rifi utando ogni tabù imposto, ti con estrema facilità nei più diversi campi del sapere, colmando di parole quel baratro che divide le loro esi- dando prova di un’estrema apertura verso nuove espe- stenze. Malika narra i suoi amori per illustrare la liber- rienze di ricerca e di sperimentazione formale. Dopo tà di vivere, ogni distacco è la continuità del medesimo L’Art contemporain arabe (Paris, Al Manar, 2001), Le desiderio: per lei, rompere e lasciare signifi cano ritro- Corps oriental (Paris, Hazan, 2002), Pèlerinage d’un vare un sogno d’amore ignorato, farlo cantare e dan- artiste amoureux (Paris, Éditions du Rocher, 2003) e zare altrove. È il rifi uto della mediocrità, dell’oppres- Aimance (Paris, Al Manar, 2004), lo scrittore dà alle sione e della rassegnazione. L’onestà dei sentimenti di stampe nell’aprile del 2005 Féerie d’un mutant. Si trat- Malika nasce probabilmente dalla lunga attesa della li- ta di un “récit fantastique”, in cui si intersecano fatti bertà di vivere l’amore. La protagonista non ha cercato ed elementi fortuiti con altri, specifi camente elaborati il padre negli amanti incontrati sul proprio cammino, nell’intento di creare un intreccio/non-intreccio; il let- tutt’altro, li ha scelti diversi, distinti, per tenerlo lon- tore dovrà pertanto lasciarsi andare alla lettura, prepa- tano e per perpetuarne l’assenza. Ha scoperto cosa si- randosi ad accogliere il carattere bizzarro di personag- gnifi ca amare ed essere amata solo grazie a essi, mentre gi ed eventi, rinunciando a trovare nel testo linearità, lui con ostilità ha sempre ignorato persino i loro nomi, razionalità e coerenza. ragione per cui ora Malika ha deciso di collocarlo ac-

ultime 434 4-12-2006, 21:35:36 Letterature francofone extraeuropee 435

canto a loro nel suo libro. Benché egli non sappia leg- Michèle est une jeune fi lle qui fréquente le groupe mais gere e continui così a ignorare i fuochi che hanno ac- qui évolue dans un milieu social tout à fait différent: ceso il cuore di Malika, lei ha ormai deciso di scrivere; la grande bourgeoisie haïtienne. Son journal donne non si tratta più, come un tempo, di esistere attraverso l’occasion à l’auteur de décrire de manière plus com- gli scandali prodotti dalle sue ribellioni nei confronti plète une époque précise dans la vie d’une génération dell’autorità paterna; il suo è piuttosto un desiderio di d’haïtiens ainsi que d’enrichir sa représentation des af- raggiungere dentro di sé una libertà più autentica, che fres et des curiosités de chaque adolescent. solo la ricucitura delle ferite inferte dalle diffi coltà e L’aspect profondément innovateur de cette œuvre dai tormenti del suo primo rapporto d’amore, quello ne réside pas dans les éléments inédits, ni dans leur col proprio padre, può restituirle. interaction, pourtant fructueuse, avec l’ancienne intri- La scrittura di questo libro è probabilmente l’ultima gue. La publication de versions augmentées d’anciens tappa di un percorso, non privo di dolore, che permet- romans attire l’attention du lecteur sur un aspect méta- terà a Malika di confrontarsi con l’amore, indipenden- littéraire fondamental: la conception que Dany Lafer- temente dal fantasma paterno, vivo dentro di sé. Un rière a de son œuvre, voire de l’œuvre d’art en général. tempo la lettura ha avuto un forte potere di emancipa- Malgré l’importance des ajouts, ce volume est bel et zione sulla giovane algerina, ora la scrittura la salva dal- bien la réécriture d’un roman précédent et non une l’erranza di un’“estrema libertà”. Malika Mokeddem occasion pour en écrire un autre, ce qui permet d’envi- scrive la sua storia, la storia delle donne algerine, mere sager l’œuvre de Laferrière comme un tout organique ombre dell’uomo, e la storia di un percorso di cresci- constamment en mouvement. Les nouvelles éditions ta, di emancipazione e di indipendenza tout court. Mes de ses livres n’effacent pas les éditions originales, elles hommes è il suo ottavo romanzo. stimulent plutôt une approche ludique au texte, parce que la coprésence des deux versions n’impose pas d’en [PIER PAOLO GOBBO] choisir une. Parce que les deux textes sont là, c’est le travail stylistique et formel qui est mis en avant.

MARIELLE TROLET NDIAYE, Femme blanche, Afrique [PAOLA GHINELLI] noire, Paris, Grasset, 2005, 375 pp.

Marielle, voce narrante e protagonista di questo PATRICIA FLEMING, GILLES GALLICHAN, YVAN LA- romanzo è una donna francese apparentemente rea- MONDE (sous la direction de) Histoire du livre et de lizzata ma in realtà insoddisfatta, che decide di fare l’imprimé au Canada, vol. I, Des débuts à 1840, Mon- un viaggio in Senegal. Qui si sente inspiegabilmente tréal, Les Presses de l’Université de Montréal, 2004, subito a suo agio («Je me sentais comme un poisson 566 pp. dans l’eau au milieu de la foule des Dakarois. J’étais une des leurs, mais j’étais blanche», p. 14) tanto che poco a poco decide di trasferirsi a Popenguine, un vil- Si tratta di un’opera imponente, la cui realizzazione laggio di pescatori dove incontrerà Tamsir e se ne inna- bilingue (sia in inglese che in francese) ha riunito ben morerà. Più che una storia d’amore tra due individui, sei équipes di specialisti canadesi provenienti dagli an- fi lo conduttore del romanzo, si potrebbe parlare di un goli più disparati del paese: Vancouver, Toronto, Qué- progressivo innamoramento per una cultura e un po- bec, Montréal, Sherbrook, etc. La loro stretta collabo- polo a tal punto da giungere alla condivisione dei suoi razione ha dato vita ad un progetto che ha lo scopo di usi e costumi. Capitolo dopo capitolo, l’autrice trova ripercorrere l’evoluzione della stampa in Canada dalle un pretesto per svelare al lettore le caratteristiche della origini ai nostri giorni. Il periodo storico considerato civiltà che l’ha sedotta e il romanzo non è che il reso- è piuttosto lungo e denso di avvenimenti, tanto che a conto in prima persona di una iniziazione alla cultura questo primo volume ne seguiranno altri due: nel 2005 africana. Troviamo qui tutte le fasi tipiche dell’incon- è previsto quello che si occuperà degli anni compresi tro-scontro tra due culture in cui la protagonista, dap- tra il 1840 e il 1918 e nel 2006, invece, l’ultimo, che prima vista come una ricca toubab (in wolof, “uomo analizzerà i tempi moderni, dal 1918 al 1980. L’opera, bianco”) secondo il cliché Occidente = ricchezza, sarà che studia la storia della stampa a partire dall’arrivo vittima di una serie di episodi spiacevoli. Tuttavia Ma- dei primi coloni in terra canadese fi no al 1840, si pone rielle non si lascerà scoraggiare dalle diffi coltà e troverà l’obiettivo di dimostrare che la conoscenza dei fatti ri- la forza di affrontare gli ostacoli iniziali approdando a guardanti la stampa e il commercio del libro non è fi ne un vero e proprio mimetismo in seguito alla piena ac- a se stessa, ma permette di comprendere in profondità cettazione dei valori della società africana. la cultura di un paese e gli avvenimenti storici e poli- [ILARIA BRUNO] tici che lo riguardano. Prima strumento di evangeliz- zazione e colonizzazione, in seguito mezzo per l’inse- gnamento e la propaganda, politica e religiosa, la carta DANY LAFERRIÈRE, Le Goût des jeunes fi lles, Paris, stampata, infatti, ha contribuito enormemente, in Ca- Grasset, 2005, 397 pp. nada e in particolare in Québec, alla creazione di una storia nazionale e alla costruzione dell’identità dei vari La nouvelle édition augmentée du Goût des jeunes popoli che si sono mescolati sul suo territorio. fi lles de Dany Laferrière invite à la réfl exion. L’intrigue Ben sette parti compongono il volume, all’interno delle de cette version ne diffère pas substantiellement de la quali troviamo capitoli dallo stile minuzioso ed esaustivo première édition. Une série de circonstances mènent che prendono in considerazione la stampa sotto gli aspet- le protagoniste, un adolescent de Port-au-Prince, à se ti più diversi: dalla varietà delle sue forme, almanacchi, cacher dans une maison peuplée de jeunes fi lles exu- romanzi, volantini, giornali, libri religiosi, di cucina, agli bérantes pendant deux jours, et à quitter ainsi défi ni- artigiani che si occupavano dei compiti materiali, dalla tivement l’enfance. La nouvelle édition s’enrichit du proliferazione delle case editrici alla successiva distribu- journal de Marie-Michèle, dont les chapitres rythment zione. Inoltre le fotografi e di pagine e copertine di libri ceux de l’autre intrigue, qu’on connaissait déjà. Marie- antichi sono numerose e ogni sezione si chiude con l’analisi

ultime 435 4-12-2006, 21:35:36 436 Rassegna bibliografi ca

di un’opera specifi ca, letteraria o di altro tipo, di origine unilinguismo e alla nascita delle prime speculazioni inglese o francese, pubblicata tra il XVII e il XIX secolo. La sulla lingua, “utilizzata” da giornalisti e intellettuali prima parte, L’imprimé et le nouveau monde, narra l’incon- per dare forma e rilievo a diverse ideologie e fazioni tro delle popolazioni autoctone con la civiltà degli occiden- politiche; il secondo, invece, si occupa dell’apporto de- tali e le loro immagini stampate; la seconda, L’imprimerie gli scrittori ai dibattiti linguistici tra gli anni Sessanta e en Amérique du Nord britannique, illustra i primi passi dei Settanta e descrive le speculazioni specifi che di alcuni tipografi , i materiali e le tecniche utilizzati; la terza, La dif- romanzieri, tra i quali André Langevin, Jacques God- fusion du livre et de l’imprimé, si focalizza sulle modalità bout e soprattutto Jacques Ferron, l’inventore della di diffusione dei libri e sull’organizzazione delle bibliote- triade lingua-letteratura-politica che sarà trasmessa che; la quarta, Lecteurs et collectionneurs, rifl ette sul tasso alle successive generazioni di scrittori; il terzo capito- di alfabetismo della popolazione canadese nel periodo lo s’immerge nella delicata problematica delle origini considerato e sulle sue preferenze in materia di lettura, della teorizzazione del “francese quebecchese” e nel- nonché sull’esistenza di collezioni private di libri; la quin- l’avvento del joual, che scatenerà furiose querelles tra ta, Les usages de l’imprimé, descrive le diverse categorie di gli intellettuali dell’epoca, con conseguenze importanti opere stampate; la sesta, L’imprimé et l’autorité, mostra le sull’evoluzione della speculazione linguistica; il quarto svariate diffi coltà che dovette affrontare la stampa nel corso capitolo, infi ne, analizza minuziosamente alcuni testi del suo sviluppo, sia di ordine pratico che di censura, po- di Gaston Miron e Jacques Brault, mostrando come litica e religiosa; la settima, infi ne, Les auteurs et la culture entrambi i poeti mettano al centro della loro visione littéraire, sonda i rapporti che s’instaurarono tra gli editori della lingua l’alterità, fatto che rivoluziona completa- e il mercato dei libri nazionale e internazionale. Un’accura- mente il paradigma linguistico, fi no ad allora concepito ta bibliografi a, una legenda delle illustrazioni presentate e sulla chiusura e sulla difesa delle peculiarità nazionali. una sezione dedicata a brevi note biografi che sui numerosi Nonostante molti interrogativi restino ancora senza collaboratori, completano il volume. risposta, tale percorso permette di rifl ettere sull’im- L’Histoire du livre et de l’imprimé au Canada co- portanza, la diversità e l’originalità del fenomeno del- stituisce di certo una lettura impegnativa, ma anche la speculazione linguistica da parte degli intellettuali estremamente utile per approfondire la conoscenza di quebecchesi. aspetti meno noti della storia culturale del Canada. [SIMONA ROSSI]

[SIMONA ROSSI]

KARIM LAROSE, La langue de papier. Spéculations lin- JEAN SIMARD, Itinéraire d’un missionnaire du patri- guistiques au Québec (1957-1977), Montréal, Les Pres- moine religieux, Canada, Les Presses de l’université ses de l’Université de Montréal, 2004, 451 pp. Laval, 2004, 242 pp.

Osservando l’incredibile quantità di opere critiche L’autore ha riunito in quest’opera davvero originale che, dagli anni Cinquanta ad oggi, gli autori dalla più articoli e testi inediti che lui stesso, nel corso della sua svariata formazione e provenienza hanno dedicato al vita, ha preparato per trasmissioni radiofoniche, do- tema della lingua in Québec, si potrebbe pensare che cumentari televisivi e mostre nei musei. L’obiettivo è non vi sia più nulla da dire in proposito. In realtà non è quello di ripercorrere l’itinerario di uno studioso che affatto così. È vero che siamo di fronte a una tradizione ha consacrato le sue ricerche a raccogliere e presentare di rifl essione linguistica di lunga data e che il territorio il patrimonio religioso popolare del Québec. Un pa- non può certo dirsi inesplorato, ma proprio per questo trimonio quasi sempre ignorato dagli studiosi, ma che motivo non bisogna lasciare che l’argomento si fossi- occupa, in realtà, un posto di rilievo nell’immaginario lizzi e che l’uso prolungato nel tempo d’idee e concet- collettivo quebecchese, sia passato che presente. ti divenuti ormai familiari impedisca al pensiero sulla Il testo è costituito da quattro parti, ognuna con fi - lingua di evolversi e guardare verso nuovi orizzonti: il nalità diverse, e da un inventario. La prima parte sco- testo che proponiamo ha esattamente questo obiettivo. pre ed evidenzia i legami esistenti tra l’appartenenza Senza negare l’interesse e la pertinenza di tutti quegli religiosa e i caratteri etnici del Québec e del Canada, approcci che in passato hanno prodotto notevoli risul- mostrando quanto le frontiere culturali francofone di tati, l’autore di La langue de papier si prefi gge, infatti, questi territori siano state in gran parte determinate di superare le frontiere tracciate fi nora e di stabilirne dalla condivisione o non-condivisione religiosa; la se- altre secondo una prospettiva inedita, ossia la “specu- conda, invece, prevede l’analisi delle differenze di or- lazione” linguistica. Poiché non esistono lavori speci- ganizzazione e costruzione, a livello territoriale, degli fi ci in questo senso, Karim Larose effettua una lettura spazi adibiti alle attività religiose, chiese, cattedrali, generale della storia della speculazione riguardante la sale parrocchiali, le quali si presentano agli antipodi lingua, concentrandosi sulle idee e sulle posizioni lin- a seconda che si tratti di credo cattolico o protestante; guistiche di gruppi di intellettuali, giornalisti, scrittori, la terza cerca di trovare una soluzione per trasmettere critici e politici nel burrascoso ventennio tra il 1957 e alle generazioni future un patrimonio religioso ormai il 1977. Si tratta di una rifl essione a trecentosessanta minacciato e punta soprattutto sull’arte, il cinema e la gradi, che tocca non solo l’evoluzione della lingua, ma televisione, mentre la quarta rifl ette sulla presenza del- anche della società, dell’orientamento politico e della l’arte religiosa in Québec e sulla possibilità delle sue cultura: l’autore mira a dimostrare, infatti, che tra esse elaborazioni future. L’inventario, infi ne, mostra le mo- esiste un legame preciso. dalità di reperimento del materiale religioso sul piano Il testo guida dunque il lettore in uno stimolante storico, sociale e artistico. Di certo siamo di fronte ad percorso caratterizzato da quattro tappe, le quali corri- un volume dai contenuti innovativi, il cui approfon- spondono a quattro capitoli aventi lo scopo comune di dimento contribuirà a far conoscere aspetti poco noti mettere in luce la trasformazione del paradigma lingui- della cultura quebecchese. stico cominciata in Québec negli anni Cinquanta, non- [SIMONA ROSSI] ché i fattori che hanno stimolato tale cambiamento: il primo capitolo è consacrato allo sviluppo dell’idea di

ultime 436 4-12-2006, 21:35:36 Letterature francofone extraeuropee 437

JEAN-FRANÇOIS BEAUCHEMIN, Le Jour des corneilles, che colpisce, però, non è solo l’originalità dei concetti, Montréal, Les éditions Les Allusifs, 2004, 153 pp. ma anche dello stile: una lingua cruda e primitiva, in- fatti, piena di arcaismi e neologismi, crea un’atmosfera Una foresta sinistra e oscura, che non prende mai talvolta lugubre, talvolta gioconda, ma sempre di gran- luce, due uomini, padre e fi glio, che vivono allo stato de intensità. Una storia decisamente fuori dal comune primitivo, votati a riti macabri completamente estranei e dai risvolti evanescenti, che otterrà di certo il consen- a qualsiasi forma di civiltà, un segreto inconfessabi- so sia di chi gradisce le sperimentazioni linguistiche, sia le, un barbaro omicidio, un processo: sono questi gli di chi apprezza particolarmente gli eroi tormentati. ingredienti che fanno di questo insolito, affascinante romanzo un’opera geniale, in grado di tenere il lettore [SIMONA ROSSI] col fi ato sospeso dall’inizio alla fi ne. Il narratore è le fi ls Courge in prima persona: accusato di un crimine X non menzionato fi no alla conclusione, egli racconta ai HÉDI BOURAOUI, Frammenti di Donna, Napoli, Arte giudici del tribunale la sua terribile esistenza. Allevato Tipografi ca Editrice, 2005 (ed. originale, Les Éditions da le père Courge, un eremita ignorante e violento che L’Interligne, 2001), traduzione e introduzione a cura non conosce altro linguaggio se non quello del basto- di NICOLA D’AMBROSIO, 102 pp. ne e che sottopone se stesso e il fi glio alle torture più abominevoli, quasi in cerca di un’assurda catarsi, le fi ls Nicola D’Ambrosio presenta e traduce, in modo in- Courge non ha mai frequentato nessuno a parte suo credibilmente sicuro e minuzioso, un romanzo che ha padre, né ha mai conosciuto un altro universo al di le sembianze di una matassa di fi li ingarbugliati. Ma si fuori di quello dell’angusta capanna gelida in cui vive. tratta di “fi li” eleganti e sinuosi, “d’oro e di seta”, che È cresciuto così, strisciando sulla terra umida, imitan- fanno sì che il caos diventi l’emblema della perfezione do il verso delle rane e cibandosi di vermi e bacche, di questo libro di Hédi Bouraoui, che porta il titolo di costretto a subire continue angherie e tormentato dal La Composée, Frammenti di Donna. fantasma della madre, morta nel dargli la vita. Una vita Mille frammenti destinati a rimanere tali, le tessere che è per lui la più lenta delle agonie. di un mosaico andato perduto che non trovano pace, Eppure, benché coperto di piaghe, perseguitato gli infi niti granelli di sabbia che il vento rincorre, divo- da spaventose allucinazioni e assalito dalla furia del ra, distrugge e ricrea: è diffi cile spiegare in quale modo padre, questo povero relitto umano riesce incredi- magistrale quest’opera sappia giocare con indizi e det- bilmente a trasformare il Dolore e la Solitudine più tagli, suscitando l’attesa di una verità che invece resterà neri in strumenti di rifl essione. Interrogandosi a suo celata e che forse nemmeno esiste. Il lettore è dapprima modo, infatti, le fi ls Courge scopre e sperimenta su di incuriosito, poi turbato, sconvolto, quasi innervosito, sé tutta la gamma dei sentimenti umani, dalla curiosi- dalla mancanza, dall’assenza di un fi nale che ha deside- tà alla rabbia, dall’entusiasmo all’angoscia, dalla paura rato ardentemente sin dalla prima pagina. alla malinconia. È proprio la capacità di provare delle La vicenda è tutto sommato semplice: Samir, amico emozioni che gli dà la forza di vivere e probabilmente del poeta Jean-Marc Léger, è affascinato dai racconti la sua vita sarebbe rimasta per sempre immutata se un che quest’ultimo gli propina ogni giorno a proposito giorno, dopo aver perso conoscenza a causa di un ten- della sua giovane amante tunisina, Héloïse. Quando tativo di affogamento da parte del padre, non avesse Jean-Marc muore, portandosi nella tomba i tentacolari aperto gli occhi sul viso angelico di un’infermiera. Sfi o- segreti della vita della donna, Samir è colto dall’irre- rando la sua mano, le fi ls Courge avverte un tremito frenabile desiderio di saperne di più e di conoscere sconosciuto e uno strano languore gli invade lo stoma- Héloïse. Parte allora per l’isola di Djerba, dove anche co, dopodiché niente sarà più come prima. Infatti le fi ls lui è nato e dove la misteriosa donna si reca ogni anno Courge farà di tutto per scoprire il signifi cato di ciò che per un lungo periodo, sempre nello stesso albergo dal prova e per poterne godere di nuovo, fi no ad arrivare nome arabo “Elmansiya”, che in francese signifi ca “la a perdere il senso della realtà. Non potendo accettare Dimenticata”. A questo punto sono la Ricerca e la Sco- che il padre non nutra per lui nessun sentimento d’af- perta a divenire le vere protagoniste del romanzo: dai fetto, lo uccide per cercare all’interno delle sue viscere meandri di Djerba ai bassifondi di Parigi, al cangiante il suo amore smarrito. «corsetto di colline» (p. 61) della costa di Marsiglia, in- È in un crescendo di tensione che il lettore giunge al fi nite piste si tracciano, si snodano, si autodistruggono, crimine e alla soluzione del quesito che si pone fi n dalle si riproducono e si ramifi cano. Héloïse è una pittrice e prime pagine: cosa si nasconde dietro alla rabbia cieca un architetto; vive in Francia da anni; è bella ma non e all’odio che sporca la muta esistenza di le père Cour- troppo; suo padre era ebreo; sua madre cristiana; sua ge? La verità è che nel passato di quest’uomo triste e madre tradiva suo padre; Jean-Marc Léger non è il suo inferocito c’è un orribile “Giorno delle cornacchie”, amante, ma forse il suo padre naturale; è il famoso un giorno in cui ha visto morire tra le fi amme i genitori, scrittore Ali Ben Mokhtar il suo amante, o forse no, in cui ha udito le loro grida strazianti senza poter fare forse è lui il suo vero padre, o forse è solo un amico; nulla. Quando poi la vita gli ha strappato anche la don- forse Héloïse torna ogni anno a Djerba per ritrovare na che amava, lasciandolo solo con un essere urlante e un’identità perduta, per riossigenare il suo presente totalmente dipendente da lui, le père Courge ha ormai con gli echi del passato, oppure per alimentare il suo prosciugato tutta la sua capacità di amare ed è in gra- rapporto con l’Islam; forse Héloïse rincorre i segreti do di dare al fi glio una sola arma: l’indipendenza, che della sua famiglia, per espiare colpe che altri hanno rende immuni da qualsiasi dolore. Le fi ls Courge non commesso. È una storia sospesa nel nulla, quella di troverà traccia d’amore nel corpo del padre, dunque, e questa donna taciturna e girovaga, è a forma di spirale, scoprirà un’amara realtà: tra il mondo dei vivi e quello è come un serpente che si morde la coda. E il roman- dei morti non può esservi alcun contatto. E suo padre zo non dà alcuna sicurezza, se non l’amore sconfi nato era già morto, morto dentro. per una terra generosa e tollerante, la Tunisia, che con Romanzo misterioso e toccante, Le Jour des corneil- i suoi spruzzi d’acqua salata, con le sue vanitose spiag- les riapre gli eterni dibattiti sul senso della vita e sul- ge rosso rame, con gli ammiccanti sguardi d’intesa tra l’esistenza o meno di una dimensione ultraterrena. Ciò il cielo e il mare, permette a Héloïse di ricomporre, a

ultime 437 4-12-2006, 21:35:37 438 Rassegna bibliografi ca

poco a poco, i frammenti di se stessa e degli avveni- tempo interiore e la scansione regolare dei giorni che si menti storici che hanno segnato il cammino del po- insinuano tra François, rassegnatosi alla morte, e Soria, polo arabo. destinata a sopravvivere all’assenza. Testimone della Samir e Héloïse s’incontreranno solo una volta, ma consonanza di amore e morte, il Dottor F. ne diverrà le loro anime non potranno mai essere vicine: lei pro- infi ne custode, quando Soria gli renderà dapprima se fondamente legata al suo paese d’origine, con la testa e stessa, nell’affanno di recuperare il rapporto esclusivo con il cuore; lui impegnato a diventare il più possibile tra il medico e il suo paziente, poi il diario, che è nel “francese”, per farsi accettare, per integrarsi nel mara- contempo decorso della sofferenza e liturgia dell’amo- sma della modernità che desidera sopra ogni cosa. Per re. La stessa triangolazione, insolita, tra i protagonisti questo Héloïse deciderà di scomparire per sempre, tra- della vicenda, avviene nel segno della resistenza al do- mutandosi nell’Assenza con la A maiuscola nella vita lore, nello spessore della memoria, dimensione intem- di lui. Questo vuoto verrà in parte colmato, alla fi ne, porale e apolide, la cui ritualizzazione esprime la conti- da una tela dipinta acquistata per caso ad una mostra nuità del sentimento. dalla madre di Samir. Essa porta la fi rma di Héla Ben Con pudore e sobrietà, quasi sottovoce, nel silenzio Mokhtar, il nome arabo di Héloïse: sarà la “scatola ne- necessario dei bianchi tipografi ci che accompagnano ra” che all’infi nito parlerà di lei a Samir. Romanzo del le parole di Soria, di François, del Dottor F., Suzanne tutto e del niente, Frammenti di Donna è una storia Lamy scandaglia la deriva sensibile della vita verso la emozionante, narrata con l’ausilio di uno stile impre- morte, affi dando la narrazione ai tre protagonisti, che ziosito da virtuosismi linguistici che ricordano un po’ si muovono su piani temporali e narrativi differenti: gli arabeschi arabi. Soria scrive un diario, che è anatomia dolorosa di un [SIMONA ROSSI] amore, di una storia di cui risale le anse, rivelandone le radici, gli abissi, infi ne le terminazioni, fi no al dispera- to, fugace erotismo con il medico; la stessa Soria allega SUZANNE LAMY, La convenzione, traduzione e cura al suo diario le lettere di François, spoglie innocenti di CARLA FRATTA Roma, Sinnos Editrice, “Laurenti- di un passato ridente di luce, pagine rese grigie dalla de”, 2005. patina insensibile della morte; infi ne le parole, poche, misurate, del Dottor F., cornice silenziosa di una sto- La convenzione è un accordo, che suggella l’amore ria che la memoria conserva, viva e intatta. Tre modi tra Soria e François nel suo passaggio dalla storia alla di raccontare il dolore e la passione, tre diverse pro- memoria, è un indirizzo, quello dello studio del Dottor spettive, tre ruoli specifi ci si delineano nell’opera della F., in cui i due coniugi si recano per scoprire il verdet- Lamy: se Soria è il fulcro della vicenda, oggetto della to di morte che si annida in forma di carcinoma nella protezione che i due uomini le devolvono in una sorta gola di François; infi ne è una direzione, quella della sa- di implicito accordo, François è l’elemento legante, co- cralizzazione del sentimento attraverso il meccanismo lui che determina le dinamiche relazionali, durante la della memoria, e un percorso, verso la morte e la sof- malattia fi n oltre la fi ne dei suoi giorni, mentre il Dot- ferenza, apici dell’amore. Nel trascolorare dell’estate, tor F. è il fi ltro della narrazione, custode della memoria quando la malattia irrompe nella serena intimità della e di un passato di cui distilla porzioni, quasi a dar quo- coppia, Soria intraprende la scrittura di un diario, an- ta alla propria quotidianità, al logorio impersonale dei tidoto al silenzio cui il cancro condanna il marito, un giorni, su cui l’assenza di Soria impone il carattere im- silenzio che è anticamera della morte e dell’oblio. Nel prescindibile della sua presenza. Ottima la traduzione. diario della donna rivivono stralci di vita, dialoghi, il chiarore vivido di un passato su cui l’insidia del presen- [MANUELA STACCHINI] te proietta la sua ombra, il dissidio tra l’amorfi smo del

Linguistica storica, teorica e applicata a cura di Hélène Giaufret Colombani e Paola Paissa

FRANÇOISE BAYLE, Lessico contrastivo del francese. italiens et les recueils spécialisés. Ces locutions ont été Streotipi della fauna e della fl ora. Prima parte, Fasano, regroupées par domaines sémantiques et classées dans Schena editore, 2005, pp.233. deux catégories selon qu’elles sont isomorphes ou non. L’aspect diachronique a été pris en compte afi n de res- Cette étude a pour objet les expressions et locutions tituer le contexte culturel dans lequel la locution est fi gurées françaises et italiennes fi gées ayant pour thème apparue et retracer l’éventuel changement de sens. Le le monde animal. Elle s’inscrit donc dans le sillage de recueil est structuré en chapitres où sont regroupées les la recherche inaugurée par Elena Ferrario avec son es- locutions afférentes à chacun des animaux représentés. sai sur La metafora zoomorfa nel francese e nell’italiano Pour chacun sont mentionnées les valeurs culturelles contemporaneo (Brescia, La Scuola,1990). ou interculturelles – lorsque l’on est en présence d’em- Le présent essai a pour corpus 10.000 locutions ou prunt – véhiculées dans une introduction qui met en expressions récoltées dans les dictionnaires français et lumière les parentés et les différences de l’imaginaire

ultime 438 4-12-2006, 21:35:37 Linguistica storica, teorica e applicata 439

collectif de la France et de l’Italie lesquelles en sont re- Marie-Sylvie POLI s’intéresse aux Commentaires de devables aux mythologies préexistantes et à l’histoire, photomontages au musée: des actes de discours d’opinion souvent histoire littéraire, mentionnée avec précision. avant tout (pp. 171-188) dans une optique de l’appren- Chaque locution de la liste est accompagnée d’une pa- tissage des langues en tant que pratiques sociales qui raphrase en langage non imagé, tirée d’un dictionnaire, requiert des choix transdisciplinaires où l’imbrication et pour chacune est signalé le champ sémantique d’ap- des langages, verbaux/non-verbaux, et le métissage sé- partenance dans une section postposée. Chaque chapi- miotique sont centraux, la recherche a pour objet une tre est clos par une conclusion qui présente la synthèse exposition ayant pour thème un alpiniste. Elle est dé- quantitative et idéologique. La macrostructure tient crite dans sa scénographie, ses objets et ses textes. L’A. compte de la fréquence d’apparition des différents suit l’élaboration du projet et sa réalisation (rédaction animaux dans les locutions répertoriées, fréquence qui du catalogue et des textes) avant d’aborder les opéra- relève à la fois de la familiarité de ces animaux et de tions de transcodage et de reformulation qui révèlent l’anthropomorphisation qui en résulte. Un riche appa- la visée persuasive du dispositif. Celle-ci transparaît du reil de notes, de nature historique ou culturelle pour discours qui relie les photos entre elles tandis que les la plupart mais aussi de références bibliographiques, panneaux fonctionnent selon le modèle bakhtinien du donne à cet ouvrage un prix supplémentaire. «chronotope». L’analyse met en lumière la richesse des formes syntaxiques et stylistiques mises en œuvre pour [HÉLÈNE GUAUFRET] donner aux images une portée discursive à valeur sym- bolique dans l’économie générale de l’exposition. Mariagrazia MARGARITO s’attache à l’analyse des En accompagnement d’images, «Etudes de Linguis- catalogues de vente par correspondance (La promo- tique Appliquée», n. 138 (avril-juin 2004), coordonné tion entre description et injonction dans les catalogues par Mariagrazia MARGARITO. de vente par correspondance, pp. 189-203) où le va-et- vient continuel entre image et texte scande la lecture Ce numéro explore textes verbo-iconiques et tex- de façon systématique. Analysant quatre catalogues, tes mixtes dont la présence se multiplie dans notre l’A. s’intéresse au double message (iconique et linguis- culture, textes que l’image tend à reléguer au second tique) qui «cherche à combler la distance entre le pro- plan, ce qui rend d’autant plus nécessaire un examen duit et l’acheteur» (p. 191). L’image dessine un envi- spécifi que de la part des chercheurs. Les auteurs sont ronnement généralement stéréotypé et euphorisant, Le tous d’origine étrangère et donc particulièrement at- texte d’accompagnement se décline selon la séquence tentifs aux problèmes de lecture et de déchiffrement dénomination, description, prix. La description con- de l’imaginaire collectif français par un public d’ap- tient des «amorces narratives» offertes au lecteur. La prenants de FLE. catégorisation se fait en utilisant le lexique de spécia- Anne PAUZET brosse un tableau des rapports qui lité mais aussi par le recours à la création néologique. s’établissent entre Représentations picturales et imagi- Quant à l’accroche promotionnelle, elle joue sur l’invi- naire collectif (pp. 137-151) en soulignant le fait que si tation à l’achat, plus ou moins injonctive. l’on peut accéder à l’imaginaire collectif d’une culture Patricia KOTTELAT s’intéresse à L’iconographie dans par le biais des représentations picturales, le décodage les manuels de littérature FLE: fonction et enjeux di- des images se construit systématiquement à travers la dactiques (pp. 205-221). Examinant cinq manuels très «bibliothèque visuelle» déposée dans la «mémoire ico- utilisés dans les lycées italiens, elle s’interroge sur la nique» de tout individu, mémoire façonnée par sa pro- notion de stéréotypie de la représentation et sur l’inter- pre culture d’origine. Le décodage doit donc expliciter prétation de la culture cultivée que proposent ces ma- les références implicites qui sous-tendent les réseaux nuels. L’analyse met en lumière la diversité des choix de renvois. L’apprentissage de la culture étrangère se opérés par les auteurs en ce qui concerne les œuvres fait donc par une prise de conscience interculturelle présentées (architecture, sculpture, peinture, photo- dont l’A. offre des exemples après avoir souligné que graphie, affi ches, schémas…) et la typologie fonction- peu de manuels exploitent les œuvres d’art dans cette nelle: représentation de l’historique, représentation optique. Elle propose comme activité de classe la créa- iconique des écrivains, interprétation des œuvres par tion de musées imaginaires thématiques permettant des représentations empruntées aux arts plastiques des comparaisons en synchronie et en diachronie qui ou au cinéma. L’iconographie se qualifi e comme illus- révèlent la sédimentation historique de l’imaginaire trative, analogique ou explicative du référent mais sa collectif d’une langue-culture. fonction didactique reste fl oue et il reste à exploiter Les textes expographiques, nouveaux objets lin- didactiquement le paratexte de l’image, sensibiliser les guistiques et culturels, accompagnement linguistique apprenants à la lecture de cette image et au transcoda- des musées et des expositions, font l’objet des deux ge, exploiter la métaphorisation de l’œuvre littéraire. contributions suivantes. Celui de Françoise RIGAT Il n’en reste pas moins que les choix iconographiques (Les textes expographiques: pour une approche de la sont effectivement dictés par la volonté de corroborer langue-culture dans les expositions d’art moderne, pp. le parti pris didactologique des auteurs de manuels. 153-170) analyse les textes proposés par les musées Dans En accompagnement d’images… D’autres ima- d’art moderne à leurs visiteurs. Après avoir décrit son ges parfois (notes sur des apartés de la BD), (pp. 243- corpus, elle s’attache à défi nir son objet: le texte expo- 255) Mariagrazia MARGARITO traque les éléments ico- graphique est hétérogène par le support, la dimension niques et linguistiques qui sont présents dans les mar- et la fonction; il vise en effet à valoriser les objets pré- ges de la diégèse de certaines bandes dessinées. Elle sentés et à fournir une aide didactique (aider le visiteur analyse cinq albums de la série Sœur Marie-Thérèse des dans son parcours) si bien qu’il constitue un objets Batignolles et relève ces insertions de fragments qui, ne «sémiolinguistique et culturel». Ces textes fournissent concourant pas à l’histoire, apparaissent comme des des informations factuelles, de nature encyclopédique, apartés de l’auteur qui dialogue par là avec son lecteu- et des informations auto-référentielles sur le musée lui- ret qu’elle considère comme appartenant au paratexte même et ses collections, les donateurs qui s’ouvrent à selon Genette. Ces éléments paratextuels peuvent être des pratiques de lecture complexes. iconiques ou linguistiques ou mixtes, le linguistique

ultime 439 4-12-2006, 21:35:38 440 Rassegna bibliografi ca

accompagnant ou justifi ant l’iconique (insertion d’affi - notables» (p. 35). L’analyse aborde le champ lexical de ches, de pancartes, d’étiquettes). Ils adoptent le mode l’élevage des bovins et utilise le relevé des cartes du parodique, pratiquent le jeu de mots, le calembour qui tome 3 de l’Atlas Linguistique de la Normandie (1997). trouvent leur élucidation dans la compétence cultu- L’auteur conclut que la cohésion lexicale semble ne pas relle du lecteur (réalité socio-économique, mythes…). avoir de relation avec les spécifi cités phonétiques des Autant de stratégies mises en œuvre par l’auteur pour parlers de la région, mais plutôt avec l’isolement de retenir son lecteur. certaines zones du territoire normand. Annie DESVAUX s’attache à identifi er les diffi cultés Brigitte HORIOT (Analyse lexicologique d’un roman les plus récurrentes des locuteurs d’origine étrangère de Pierre Senillou: L’Arantèle, pp. 51-57) présente une parlant français (L’asymptote du français avancé: les dif- analyse lexicale d’un roman régionaliste saintongeais fi cultés résistantes, p. 223-241) qu’elle étudie dans un paru en 1991, qui relate, à travers le journal d’un per- corpus tiré de l’émission télévisée Double je conduite sonnage féminin, «la vie quotidienne d’un petit village par B.Pivot. Laissant de côté l’aspect phonétique, l’A. où tout le monde se connaît et s’épie» (p. 52) dans les relève que les erreurs de lexique sont relativement ra- années de l’entre deux guerres. Le lexique du roman res tandis que les variantes syntaxiques non normées se constitue donc le témoignage d’une époque, avec ses concentrent autour des problèmes de formes verbales mots archaïques et sa richesse de régionalismes, que et de constructions prépositionnelles. Les techniques Horiot localise à l’aide de documents dialectologiques d’apprentissage d’une langue étrangère par les adultes dans l’Ouest de la France et dans les parlers français devraient donc prendre en compte les «mécanismes lo- du Canada, tout en proposant, en conclusion de son giques qui sous-tendent les systèmes syntaxiques». article, la rédaction de glossaires du français régional qui pourraient aider les romans régionalistes à sortir [HELENE GIAUFRET] de leur région. Dans la contribution suivante, Marie-Rose SIMONI- AUREMBOU expose Les apports du sud-ouest de la région LOUIS MERCIER, HÉLÈNE CAJOLET-LAGANIÈRE (ed.), parisienne aux régionalismes de la France (pp. 59-70), Français du Canada - Français de France VI, «Actes du en recherchant ces régionalismes dans le Dictionnaire Sixième colloque international d’Orford, du 26 au 29 des régionalismes du français de Pierre Rézeau: la ré- septembre 2000», («Canadiana Romanica», 18), Tü- gion retenue correspond au département des Yveli- bingen, Niemeyer, 2004, pp. 365. nes où plusieurs enquêtes de terrain ont été menées e e au XIX et au XX siècles et dont le français régional est représenté dans les œuvres de l’écrivain Pierre Lelong. D’après les propos du responsable du volume, Il ressort de cette étude la vitalité de ces formes, dont Louis Mercier, ce sixième colloque Français du Canada la plupart ont traversé l’Atlantique et sont attestées au – français de France regroupe des contributions ayant Québec. pour but de «mieux comprendre les liens linguistiques Claude VERREAULT et Thomas LAVOIE tentent de qui unissent la France et le Canada» (p. 1), proposés «mieux faire ressortir les principaux traits qui contri- par des spécialistes de dialectologie, de lexicologie et buent à caractériser les régions de l’Est et de l’Ouest de lexicographies françaises, travaillant en France, en québécois» (p. 75), dans Les parlers de l’Est et de Allemagne et au Canada. l’Ouest québécois: essai de caractérisation linguistique La première section du recueil («L’apport des en- (pp. 71-121). L’analyse est fondée sur 70 variantes re- quêtes linguistiques et corpus littéraires régionaux») pérées dans le corpus du Parler populaire du Québec et est ouverte par une présentation des questions, aussi de ses régions voisines (1980), dont l’aire de diffusion bien onomasiologiques que sémasiologiques, que est identifi ée, ainsi que l’origine. Les auteurs concluent soulèvent les dénominations normandes de deux co- que «La variation lexicale observée entre ces deux quillages, communément connus en français standard aires permet de penser qu’elles se sont développées de sous les noms de patelle et ormeau (René LEPELLEY, façon indépendante et à partir de fonds relativement Variation du français régional de Normandie dans la différents, mais seules des études plus approfondies dénomination de quelques coquillages, pp. 13-20). permettrons de mieux en cerner la personnalité lin- Catherine BOUGY, analyse, quant à elle, Le Français guistique» (p. 89). régional de jeunes Bas-Normands (pp. 21-34) par le Dans une étude abordant de nouveau les varian- biais d’une enquête qui lui a permis de «dégager une tes géolinguistiques, Caroline LAFLAMME enquête sur image actuelle du français régional de Basse-Norman- la Distribution de quelques variantes géolinguistiques die» (p. 21). L’auteure part de la défi nition de «mot dans les parlers populaires de l’Est du Canada: essai de régional» comme «mot connu par tout le monde et qui comparaison diachronique (pp. 123-149), en évaluant et est senti comme appartenant au français» (empruntée comparant «les aires géolinguistiques de quelques va- à Bruneau, Straka, Baldinger) pour tenter de décrire riantes relevées dans deux enquêtes effectuées à près e le français régional bas-normand d’aujourd’hui (essen- de 70 ans d’intervalle»: l’une au début du XX siècle par tiellement le lexique lié à la vie affective des locuteurs), la Société du parler français au Canada, l’autre dans les d’hier (mots en voie de disparitions et qui s’intègrent années Septante par Gaston Dulong. Les résultats de la diffi cilement à une série) et de demain (termes simples comparaison permettent de conclure que l’aire des ré- et pratiques, souvent à la mode). Les conclusions font gionalismes peut rester stable, s’élargir ou se restrein- état, d’une part, d’une régression de l’emploi du lexi- dre, alors que dans le cas des emplois généraux, leur que lié au monde rural et de la compétence des nou- aire d’emploi peut se restreindre, ce qui entraîne une velles générations, qui montrent toutefois souvent un régionalisation du mot en question. attachement à l’héritage familial régional. Liliane RODRIGUEZ, dans son Du corpus d’enquête La contribution de Patrice BRASSEUR (Représenta- de terrain au dictionnaire: le sort de poirette et zam- tion géolinguistique: la diffusion du lexique dans l’Atlas boni, ou les écarts de la représentation lexicographique linguistique de la Normandie, pp. 35-50) a pour but de des particularismes topolectaux (pp. 151-164) se pose, «mesurer la diffusion du lexique dans l’espace dialec- par le biais de cette comparaison entre un corpus issu tal normand et de repérer les solutions de continuité d’une enquête de terrain et la nomenclature de plu-

ultime 440 4-12-2006, 21:35:38 Linguistica storica, teorica e applicata 441

sieurs dictionnaires (la plupart publiés au Canada), L’article de Peter W. HALFORD, Trois siècles de fran- un double objectif: «mesurer le degré de correspon- cophonie: archaïsmes et régionalismes dans le parler du dance ou de disparité existant entre une série d’usages Détroit (pp. 187-197) trace un portrait de la situation attestés au Manitoba et leurs diverses représentations linguistique de cet «îlot francophone», en présentant lexicographiques» et «interpréter les résultats de cette d’abord un panorama de la documentation disponible e e e comparaison» (p. 151). L’analyse révèle tout d’abord (couvrant les XI , XVIII et XX siècles), puis les caracté- que l’inclusion ou l’exclusion dans la nomenclature ristiques lexicales de cette variété de français, dont la d’une lexie ne correspond pas à sa disponibilité chez plupart des archaïsmes et régionalismes font partie du les locuteurs, mais aussi que l’emploi de documenta- «fonds francophone pan-nord-américain» (p. 190) ou tion issue aussi bien d’enquêtes de terrain que de ban- du «vocabulaire de l’intérieur du continent» (p. 191), ques de données textuelles pour la constitution de la notamment à cause d’une fl ore et d’une faune sensi- nomenclature «contribuerait à un accroissement de la blement différentes de celles de l’Est du Canada. Le présence des mots disponibles» (p. 160). De plus, les français du Détroit possède également des termes spé- dictionnaires de type «intégré» (offrant une nomencla- cifi ques à la région, dus à l’isolement de la région qui ture générale qui incorpore les particularités topolecta- a entraîné une évolution linguistique particulière: ces les, s’opposant aux dictionnaires «différentiels») sem- termes sont issus «des mêmes procédés d’adaptation blent atteindre la meilleure représentativité. Rodriguez lexicale» utilisés par les autres communautés franco- ne manque pas de soulever la question idéologique, phones d’Amérique du Nord, notamment l’emprunt à à savoir le risque de réintroduire un centralisme qui une autre langue, souvent amérindienne, et l’adapta- autrefois proposait la France comme source du «bon tion d’un terme français déjà existant. usage» et qui aujourd’hui aurait simplement déplacé La deuxième partie du recueil se clôt sur la contri- la question en se recentrant sur le français québécois bution de Jean-Claude BOULANGER, qui, dans Les Pro- et marginalisant les autres emplois, comme le français prionymes dans trois dictionnaires de l’époque classique du Manitoba. (pp. 213-228), se demande «dans quelle(s) mesure(s) Pour leur part, Louise PERONNET, Rose-Mary BA- les lexicographes [Richelet, Furetière et les Académi- BITCH et Wladyslaw CICHOCKI tentent, dans La Pé- ciens] avaient l’entière liberté du choix des contenus riphrase comme stratégie lexicale dans l’Atlas linguis- de leur dictionnaire respectif» (p. 213) et cherche à re- tique du vocabulaire maritime acadien (pp. 165-172), trouver dans les noms propres présents dans les textes d’expliquer pourquoi les locuteurs interrogés ont d’introduction et dans les exemples l’idéologie propre parfois répondu à leur questionnaire par une pé- aux auteurs de chacun de ces ouvrages et à établir riphrase plutôt que par un terme. Après avoir défi ni l’éventuelle présence de réseaux qui établiraient une la périphrase comme une «expression» relevant de la fi liation entre les trois monuments de la lexicographie syntaxe, «composée de plusieurs mots qui peuvent française. De l’analyse des textes prédictionnariques, être utilisés en remplacement d’un seul» (p. 166), les il ressort que, alors que l’œuvre de Richelet fait état auteurs s’attachent à classer les périphrases identifi ées d’une langue présente et celle de Furetière est résolu- selon plusieurs critères (morphosyntaxique, régional, ment tournée vers l’avenir, la Préface de l’Académie est thématique), pour conclure que la périphrase, qui se «un discours clos, bouclé sur lui-même et passéiste» situerait hors du lexique, serait «une façon de répon- (p. 220). Pour ce qui est des proprionymes contenus dre à une question en la contournant» (p. 171) et donc dans les exemples, il est possible d’établir une forte une réponse intermédiaire entre la non-réponse et la intertextualité entre le Dictionnaire Universel et le réponse lexicale. Dictionnaire de l’Académie, car 8 des 16 toponymes La deuxième section («L’éclairage historique») du second sont déjà présents dans le premier, dont 7 à s’ouvre sur une question phonétique, celle de L’Accent l’intérieur des mêmes articles. e e dit provincial du français parlé au Canada aux XIX et XX La troisième section («L’apport des corpus infor- siècles: le témoignage des voyageurs (pp. 175-186) abor- matisés») est ouverte par l’article de Pierre CADINAL dée par Jean-Denis GENDRON. L’auteur y constate que et Christiane MELANÇON (Sortir des fardoches: les re- l’accent canadien commence à être stigmatisé à partir cherches prélexicographiques à l’ère informatique, pp. de 1810, alors que sous le Régime français (1608-1760) 231-236) où les auteurs illustrent les nouvelles possibi- les voyageurs ne faisaient état d’aucune différence de lités offertes par les corpus informatisés aussi bien du prononciation entre le français de France (plus préci- point de vue quantitatif (corpus très vastes) que quali- sément celle de la bonne société parisienne dont font tatif (par exemple, le repérage plus facile des varian- partie les voyageurs) et celui du Canada. L’accent ca- tes, d’acceptions d’un même lexème). Toutefois, ces nadien est décrit par les voyageurs comme vieillot, énormes bases de données (y compris Internet) posent provincial, lourd, paysan, monotone: cela semble être quelques problèmes méthodologiques aux chercheurs, dû à la prononciation particulière de certaines voyelles notamment ceux de la fi abilité et de la valeur de leurs (notamment le a postérieur) et à la tendance à conser- textes. De plus, un double mouvement semble être à ver longues des voyelles qui s’abrègent en français pari- l’œuvre aujourd’hui, à la fois centrifuge et centripète: sien. Ces caractéristiques sont toutefois indépendantes un éclatement polycentrique de la langue française et de la classe sociale du locuteur ainsi que de sa locali- une tendance à la standardisation, due à la communi- sation géographique. Quels sont donc les changements cation internationale. Tout cela est certainement ma- qui se sont produits dans la prononciation en France tière à réfl exion pour le lexicographe. entre 1760 et 1810? La centralisation de l’état français, Dans le texte suivant, Le Réseau des corpus lexi- à partir de la Révolution, aurait favorisé l’adoption caux québécois dans Internet (pp. 237-245), Nor- de la norme de la haute société parisienne, qui aurait mand MAILLET illustre le projet en cours, lancé par laissé les provincialismes aux campagnards et aux gens le Secrétariat à la politique linguistique du Gouver- peu instruits. Au contraire, au Canada, les locuteurs nement du Québec, visant à développer, de la part auraient conservé d’abord l’accent parisien de 1760, d’équipes d’universitaires, divers fonds québécois de peu à peu remplacé par une norme populaire, car les données linguistiques et textuelles avec un guichet paysans et les ouvriers formaient la masse de la popula- unique d’interrogation donnant accès à tout le Ré- tion, une fois les élites françaises parties. seau des corpus lexicaux québécois, accessible à partir

ultime 441 4-12-2006, 21:35:38 442 Rassegna bibliografi ca

du site www.spl.gouv.qc.ca/corpus/index.html. Une muns, les anglicismes employés seulement au Canada, description détaillée des différents corpus, rassem- les anglicismes employés seulement en France et les blés par cinq universités québécoises, est fournie en anglicismes employés en France mais dont l’utilisation conclusion. n’a pas encore été confi rmée au Canada. Deux de ces corpus sont présentés dans les in- Pamela GRANT, quant à elle, présente les résultats terventions suivantes. Frédéric GAGNÉ, Claude VER- d’une étude de l’infl uence du français québécois sur REAULT et Louis MERCIER illustrent La Base de données la composante lexicale de l’anglais en usage au Qué- textuelles ChroQué: un nouvel outil pour élargir la des- bec (Du français québécois vers l’anglais québécois: les cription du français en usage au Québec (pp. 247-261), emprunts lexicaux, pp. 333-342), étude menée sur un à savoir une «base de données textuelles de chroniques corpus de textes écrits de nature journalistique, tou- québécoises de langage […], textes qui ont joué un ristique et administrative, qui a produit plusieurs cen- rôle déterminant dans la construction de l’imaginaire taines de gallicismes d’emploi courant. Cette infl uence linguistique des Québécois ainsi que dans le rapport se serait accrue au cours des dernières décennies grâce que ces derniers entretiennent avec leur norme» (p. à l’augmentation du taux de bilinguisme parmi les an- 247). Le corpus se compose de 3586 chroniques rédi- glophones, au rôle de plus en plus minoritaire de l’an- gées par une vingtaine de chroniqueurs représentatifs, glais au Québec et à l’omniprésence de la nomencla- qui ont publié entre 1865 et 1996 et il est accessible à ture française désignant des réalités institutionnelles, partir du site du groupe de recherche LexiQué (www. administratives, sociales, géographiques et politiques. lexique.ulaval.ca). L’analyse des emprunts a aussi permis de les classer en De leur côté, Pierre MARTEL et Hélène AJOLET-LA- emprunts intégraux ou sémantiques ainsi que d’iden- GANIÈRE présentent L’Apport de la Banque de données tifi er des gallicismes de fréquence, des calques et des textuelles de Sherbrooke: des nomenclatures enrichies adaptations graphiques. (pp. 263-277), un corpus de vingt millions d’unités Dans le dernier article (La Description lexicographi- lexicales appartenant au niveau soigné du français qué- que de mots polycatégoriels dits adverbes: justement, bécois, constitué par des «textes représentatifs des dif- seulement, pp. 343-354), Jean-Marcel LÉARD et Denis férents usages du français québécois» (p. 264) par leur AMYOT illustrent une analyse de certaines unités lexica- variété (langue générale écrite et orale, langue littérai- les qui «ont souvent des valeurs grammaticales et prag- re, journalistique et plus spécialisée). La BDTS four- matiques à côté des emplois lexicaux» (p. 343) et qui nit des informations précieuses sur la fréquence et la sont souvent répertoriés dans les dictionnaires comme dispersion des unités lexicales dans différents types de «adverbes» sans tenir compte de leurs particularités. textes, sur la hiérarchisation des usages, ainsi qu’une L’analyse des caractéristiques sémantiques et syntaxi- grande quantité d’exemples et de contextes d’emploi ques de ces adverbes porte à l’identifi cation de trois (collocations, cooccurrents, phraséologismes). autres catégories à côté de celle de l’adverbe propre- Les Rectifi cations de l’orthographe du français en l’an ment dit: les marqueurs d’ajustement référentiel, les 2000: un premier bilan d’après les dictionnaires fran- marqueurs discursifs argumentatifs et les marqueurs çais et québécois sont illustrées d’abord par Liselotte discursifs illocutoires. BIEDERMANN-PASQUES qui, dans son bilan de la lettre [ANNA GIAUFRET] A (pp. 279-290), essaye de défi nir le taux de prise en compte des formes rectifi ées dans quatre dictionnai- res parus entre 1998 et 2000: les modifi cations les plus MICHEL BERRÉ (éd), Linguistique de la parole et ap- fréquemment attestées concernent les modifi cations prentissage des langues. Questions autour de la méthode de l’accent sur la lettre e ainsi que la francisation des verbo-tonale de P. Guberina, Actes de la journée d’étu- mots d’emprunt, rectifi cations qui faisaient déjà partie des organisée par la SHIFLES Université de Mons-Hai- de l’usage graphique. Fabrice JEJCIC fait état des ap- naut, juin 2004), Mons, éditions CIPA, 2005, pp. 139. ports de l’informatisation à la réforme de l’orthogra- phe (pp. 291-309), en présentant un bilan des graphies Cet ouvrage collectif consacré à Petar Guberina, dé- rectifi ées sous forme de base de données (Rectibase), cédé cette année, est le fruit d’une journée d’études à d’après laquelle il est possible d’analyser la politique laquelle le linguiste ne put assister. Il s’ouvre sur l’hom- des dictionnaires à l’égard des rectifi cations ainsi que mage posthume de Paul RIVENC (pp. 11-20). l’impact de ces dernières sur les dictionnaires analysés Enrica GALAZZI (La méthode verbo-tonale de correc- (Dictionnaire de l’Académie, Petit Robert, Petit Larous- tion phonétique: mise en perspective historique, pp. 21- se, Dictionnaire Hachette Encyclopédique, Dictionnaire 42) situe dans la diachronie l’œuvre du linguiste. Elle québécois d’aujourd’hui). retrace les cheminements de la phonétique corrective e La quatrième et dernière section («Contact des lan- de la fi n du XIX siècle à la Seconde Guerre Mondiale. gues et autres voies de recherche») se compose de trois L’intérêt pour la variation et aux composantes proso- contributions, dont la première, d’Henriette WALTER diques apparaît très tôt tandis que sont réalisées les (Variétés lexicales du français et anglicismes de part et premières grammaires du français parlé, attentives à la d’autre de l’Atlantique, pp. 313-331) fait état d’une re- syllabation et aux facilitations cependant que perdure cherche abordant la comparaison entre le Dictionnaire toutefois dans la didactique la prééminence de l’aspect historique du français québécois (1998) et le Dictionnai- articulatoire. Les découvertes de Rousselot et de ses re du français acadien (1999) afi n de tracer les limites élèves, dont le phonographe, amènent à la création de entre acadianismes et québécismes: malgré la diffi culté laboratoires de phonétique expérimentale et à une ap- de les établir, il est possible de tirer quelques conclu- proche didactique dépassant les sons isolés et prenant sions, notamment sur l’origine du vocabulaire acadien, en charge la prosodie de la langue tandis que la forma- où semble dominer l’oïl de l’Ouest, ainsi que, de façon tion des enseignants dans ce domaine devient l’objet inattendue, les parlers de Bourgogne. Walter s’attache d’une attention soutenue. L’A. signale les liens qui at- ensuite à comparer l’emploi des anglicismes en France tachent P. Guberina à A. Gemelli, fondateur de l’Uni- et au Canada, et à «repérer ceux qui sont usuels dans versité catholique de Milan où Guberina mène des re- chacun des deux pays» (p. 317). Le résultat de l’étude cherches sur le rapport entre la structure prosodique a permis d’établir quatre listes: les anglicismes com- et la structure syntaxico-sémantique de la phrase. A la

ultime 442 4-12-2006, 21:35:39 Linguistica storica, teorica e applicata 443

suite de la Grande Guerre et de la crise qui s’ensuivit (pré-requis, repérage de l’erreur et diagnostic étiologi- puis de l’avènement du structuralisme, le souvenir de que, thérapie). la tradition s’effaça et l’on vit prévaloir la langue sur [HÉLÈNE GIAUFRET] la parole. Mais grâce aux travaux sur le français fon- damental et à la rencontre entre l’Ecole Normale de Saint-Cloud et l’équipe de Zagreb on assista à une nou- WENDY AYRES-BENNETT, Sociolinguistic Variation in velle émergence du discours parlé. Seventeenth-Century France. Methodology and Case Paul RIVENC, dans La méthode verbo-tonale et la Studies, Cambridge, Cambridge University Press, problématique SGAV (pp. 43-54) évoque la longue 2004, pp. 267. collaboration qui, dès 1953, à l’époque de l’élabora- tion de l’enquête sur le Français Fondamental autour Cet ouvrage de W. Ayres-Bennett présente une ana- de G. Gougenheim, l’a lié à P. Guberina. Le vif intérêt lyse systématique de la variation linguistique au cours e de Guberina pour la constitution de corpus étendus du XVII siècle en France. À travers une série d’études d’échanges communicatifs authentiques le poussait à de cas qui prennent en compte des textes autres que les vouloir élargir le champ dans lequel se situait l’enquête textes littéraires, l’auteur révèle la grande variété lin- du FF. Ainsi Zagreb se consacra à jeter les bases du sys- guistique d’un siècle en revanche traditionnellement tème verbo-tonal tandis que Paris (ENS) établissait les considéré comme très standardisé et puriste. En effet, fondements de la problématique SGAV. L’A. s’inter- malgré les tentatives de marginalisation de la variation roge ensuite sur l’actualité des rapports entre SGAV et et de diffusion du «bon usage» opérées par l’Acadé- verbo-tonal et sur la prospective. Il souligne le fait que mie Française, l’usage linguistique s’avère non homo- tous deux se réfèrent à « une même méthodologie in- gène sous plusieurs points de vue. La variation est en tégrée et cohérente » où prend place le travail phoné- fait envisagée en termes de «construction préverbale» tique, à «une structuration progressive des contenus fondée sur le genre, l’âge et le statut socio-économi- et des acquis de l’apprentissage par approximations que, ainsi qu’en termes de registre employé. Dans le successives », enfi n que les parcours d’apprentissage premier chapitre, l’auteur explicite les fondements de la méthode SGAV intègrent les composantes de la méthodologiques qui sous-tendent sa recherche enra- méthode verbo-tonale. cinée dans un contexte socio-historique: d’abord, elle R. RENARD fait un tableau de la Réception et diffusion se questionne sur le choix des sources pertinentes pour des travaux de Petar Guberina en Belgique (1961-.2004) une approche élargie au français oral et à l’écrit non- (pp. 55-65), en particulier à l’Université de Mons. standardisé; ensuite elle propose un recensement de M. BILLIÉRES illustre Les pratiques du verbo-tonal- sources possibles en présentant les avantages et les dé- Retour aux sources (pp. 67-87). Il synthétise les éléments savantages qu’elles entraînent; enfi n elle décrit le trai- de base de la méthode: importance de l’intonation, de tement appliqué aux données collectées. Les chapitres l’écoute, pratiques facilitant la correction phonétique suivants portent sur des études de cas propres à mettre dans la répétition et la dramatisation. Il s’interroge sur en lumière les enjeux phonologiques, morphologiques, la présence aujourd’hui des propositions de Guberina lexicaux et syntaxiques de la variation sociolinguisti- dans les manuels et dans la formation des étudiants que concernant le français écrit et oral (chapitre 2), la avant d’appeler à une poursuite des recherches. variation sociale et stylistique (chapitre 3), le langage J. MURILLO-PUYAL (De la notion de «structure» à des femmes (chapitre 4) et la variation liée à l’âge et au celle de «structuration» en phonétique verbo-tonale, pp. changement (chapitre 5). 89-118) adopte une démarche de validation scientifi - [CHIARA PREITE] que de la théorie et de la méthodologie verbo-tonale à la lumière des avancées dans les domaines de l’ensei- gnement-apprentissage des langues et de la pathologie FRANCK NEVEU, Dictionnaire des sciences du langage, de l’audition. Il analyse les concepts de structure et de Paris, Armand Colin, 2004, pp. 317. structuration dans les écrits des verbo-tonalistes. Pour la structure il relève un emploi plutôt rare de structu- Le dictionnaire terminologique de F. Neveu re- re-ossature qui souligne la solidarité des phénomènes groupe un millier d’entrées concernant la discipline et de structure-système qui met l’accent sur l’interre- des sciences du langage, décrites selon un point de vue lation dynamique des éléments. Cette dernière fonde qui n’est pas celui de la terminologie: l’auteur n’opère les analyses verbo-tonales qui élargissent la notion aux aucune sélection stricte des entrées afi n de circonscri- relations établies entre le linguistique (le phonétique) re un champ de connaissances à partir d’une option d’une part et, d’autre part, l’expression corporelle, méthodologique. Neveu vise plutôt à témoigner de l’affectif et le cognitif. La structure peut être conçue l’état des sciences du langage observable à partir de comme forme (Gestalt) qui prend en compte l’entou- son vocabulaire, de ses «pratiques terminologiques ef- rage contextuel et situationnel de la communication. fectives». Ainsi, l’usager a accès à un univers culturel La notion de structure-structuration est inhérente à comprenant la philosophie, l’épistémologie, l’informa- la notion de structure-forme et c’est par elle que les tique, l’histoire, la grammaire, les sciences cognitives verbo-tonalistes se démarquent des structuralistes. Elle et linguistiques. Les entrées, étiquetées par l’identifi ca- renvoie au processus audio-phonatoire et elle est con- tion des champs d’application du terme bien que sans çue comme une démarche mobilisant les ressources souci d’exhaustivité, sont accompagnées – lorsque la personnelles de l’apprenant et donc antithétique des mention s’avère être pertinente – par des indications pratiques skinnériennes. historiques et étymologiques. La défi nition, tout en P. INTRAVAIA, s’intéresse à La formation verbo-tonale étant assez brève comme dans la tradition des glossai- des professeurs de langue (pp. 119-137). Il en décrit res, développe des citations d’auteur afi n de poser les les objectifs (savoir-être, savoir-faire), la formule de notions décrites dans leur contexte théorique. Enfi n, stages, les contenus de la formation dont il retrace le des indications bibliographiques et un système de cor- parcours structuré en cinq itinéraires: expérience psy- rélats et de renvois permettent à l’usager d’approfon- cholinguistique d’apprentissage d’une langue nouvel- dir aisément ses recherches. le, phonétique corrective par la méthode verbo-tonale [CHIARA PREITE]

ultime 443 4-12-2006, 21:35:39 444 Rassegna bibliografi ca

RUGGERO DRUETTA, Il linguaggio giovanile in Fran- tando delle tendenze comuni, in virtù della zona dove cia, in CATERINA DONATI - RUGGERO DRUETTA (ed.), la langue des jeunes è parlata, essa varia sensibilmente Cronache dalle terre di mezzo, Brindisi, Schena editore, dando luogo di fatto a diverse varietà linguistiche che 2005, pp. 13-34 rendono più complessa la descrizione del fenomeno linguistico. In tal senso, allora, la “langue des jeunes” Il saggio di Druetta si incentra sulla diffi coltà di de- si rivela essere un oggetto metalinguistico che, di fatto, scrivere ciò che in Francia è stata denominata “langue rinvia a una realtà molto variegata e irriducibile a delle des jeunes”, “langue de cités”… ovvero un «socioletto categorie omogenee. Per una reale descrizione occor- generazionale» (p. 13) caratterizzato da cambiamenti rerebbero dunque, secondo l’A., degli «strumenti teo- fonetici, lessicali e sintattici. Dall’utilizzo del verlan al- rici che consentano di prendere in conto tale eteroge- le forme argotiche, dalla glottalizzazione della “r” alla neità, sganciandosi dalla classifi cazione sommaria dei palatalizzazione delle occlusive, questo socioletto sem- giudizi normativi» (p. 34). bra contraddistinguere sempre più la parlata giovanile delle periferie delle grandi città francesi. Pur presen- [RACHELE RAUS]

Opere generali e comparatistica a cura di Gabriella Bosco

AA. VV. , Avatars littéraires de l’héroïsme: de la Re- zazione dell’eroe da parte dei personaggi femminili, fa naissance au Siècle des lumières. Sous la direction de di quest’opera un’epopea situata sotto il segno di una Philippe DE LAJARTE, Caen, Presses universitaires de femminilità dilagante. Caen, 2005, pp. 344. Bruno MÉNIEL (L’héroïsme dans La Savoysiade d’Honoré d’Urfé, pp. 31-48) affronta l’analisi del poe- Il modello eroico rappresenta una realtà piuttosto ma eroico La Savoysiade che Honoré d’Urfé dedicò al complessa che, secondo Philippe DE LAJARTE, coin- duca di Savoia. L’A. esamina in un primo tempo i limiti volge tre grandi campi: quello politico-sociale, quello che Honoré d’Urfé assegna all’eroismo guerriero per ideologico e quello più specifi catamente letterario. poi dimostrarci come lo scrittore arrivi non solo a defi - Tuttavia, il modello eroico non si limita a rispecchiare nirlo un eroismo dell’amore ma anche a superare l’ap- la realtà posta in essere da questi grandi ambiti, bensì parente opposizione tra le due tipologie di eroismi. esercita su di loro un’azione, in particolare sul primo e Jean-Claude ARNOULD (Figures masculines et fémini- sul terzo. Gli studi raccolti in questo volume mettono nes de l’héroïsme dans les histoires tragiques, de Pierre in luce proprio questa azione reciproca e una doppia Boaistuau à Vérité Habanc et Bénigne Poissenot, pp. determinazione. 49-62) traccia un percorso che prende in esame le fi - Tutti gli studi della raccolta ruotano attorno a tre gure maschili e soprattutto quelle femminili a partire assi fondamentali: la messa in discussione del modello dalle Histoires tragiques di Pierre Boaistuau sino al- eroico tradizionale (quello epico) e l’urgenza di nuo- l’opera di Bénigne Poissenot. Questo percorso vede la vi modelli eroici nella letteratura dei secoli XVI, XVII manifestazione di un immaginario eroico antico, che e XVIII; il problema dei generi, e in particolare quello si risolve in un eroismo mortale volontario identifi cato dei rapporti tra il genere epico e il genere pastorale; la con il martirio. « politica dell’eroismo », intesa non come politica che Franck BAUER (Sabine et le héros, ou Comment s’en rifl ette o può rifl ettere la scrittura eroica all’interno di débarasser, pp. 63-82). L’A. presenta un’analisi dei ver- un’opera, ma l’azione che questa scrittura esercita e si 619-662 della celebre sequenza della scena VI del se- che si propone di esercitare sul piano politico. condo atto dell’Horace di Corneille. Punto centrale del Tutti i lavori esposti sono suddivisi in due rubriche suo studio è rappresentato dalla teoria di René Girard distinte: nella prima sono raccolti gli studi che affron- relativa al sacrifi cio. tano problematiche di ordine generico, mentre nella Jean REY (Mythe arcadien et héroïsme racinien, pp. seconda sono raggruppati gli studi che sviluppano 83-116), dopo aver rilevato alcune tracce dell’eredità problematiche di ordine ideologico e/o socio-politico dell’Arcadia antica, straniera e francese dell’eroismo di e studi dedicati in modo più specifi co al rapporto che Racine, affronta diversi temi arcadici del teatro raci- intercorre, dal XVI al XVIII secolo, tra il modello eroico niano, per poi apprezzare la progressiva trasmutazio- e il modello pastorale. ne del pastore arcadico in Buon Pastore nelle ultime Chantal LIAROUTZOS (La Franciade: un singulier fé- pièces del drammaturgo. minin, pp. 15-30) apre questa raccolta mettendo subi- Marie-Gabrielle LALLEMAND (Du héros et du galant to in evidenza un intervento massiccio dell’elemento chez Mlle de Scudéry. Étude comparée des dénouements femminile ne La Franciade di Ronsard e dimostrando d’Artamène et de Clélie, pp. 117-136) rileva che più come questo rappresenti il segno di una radicale per- l’eroe diventa galante, più, nei romanzi del XVII seco- turbazione nell’universo epico. In effetti, la caratteriz- lo, questo codice diventa sensibile. Si può essere un

ultime 444 4-12-2006, 21:35:40 Opere generali e comparatistica 445

perfetto galantuomo senza essere un eroe e viceversa? di rendere compatibile il lirismo pastorale e le più alte L’A. sviluppa questi concetti mediante l’analisi di Arta- aspirazioni della poesia eroica (due forme che la teo- mène ou le Grand Cyrus e Clélie, due romanzi di M.lle ria oppone in termini stilistici), suppone uno sforzo di de Scudéry, in cui questa tensione tra eroismo e galan- adattamento di cui l’A. ricerca le tracce, anche median- teria è particolarmente viva. te un approccio grammaticale e retorico. Suzanne GUELLOUZ (L’héroïsme selon Madame de Laurence GIAVARINI (Vertus héroïques, politiques de La Fayette. De Zaïde à La Princesse de Clèves, pp. la pastorale autour de la fi gure du duc de Montmorency, 137-148) ritiene non vi sia differenza di natura tra pp. 249-274). Ciò che interessa l’A. sono lo statuto di Zaïde e La Princesse de Clèves, due testi che occupano grandezza e il gesto eroico del duca di Montmorency un posto rilevante nella rifl essione sull’eroismo. L’A. come appare nei testi presi in esame. Più precisamen- non nega la loro importanza sotto il profi lo della ricer- te intende verifi care la presenza del duca nei disposi- ca che conduce al ruolo dell’amore nel romanzo del tivi di pubblicazione di queste pastorali drammatiche. XVIII secolo. Obiettivo principale dell’A. è dimostrare Senza pregiudicare il senso dei testi, l’A. desidera mo- che nei testi citati si parla di eroismo senza che ci siano strare che gli eroi e i pastori appartengono a uno stesso riferimenti precisi a imprese guerriere. luogo e persino a uno stesso “momento”. Secondo Edwige KELLER-RABHÉ (Les avatars du Édouard GUITTON (Entre douceur et violence: modèle héroïque dans Dom Carlos, de Saint-Réal, pp. l’héroïsme dans les Bucoliques d’André Chénier, pp. 149-170), in linea con la maggior parte dei moralisti del 275-280). L’autore delle Bucoliques aveva l’intenzione suo tempo, Saint-Réal offre una percezione modifi cata di innalzare la sua poesia ai vertici di un eroismo adat- dell’ideale eroico, come veniva comunemente recepito tato alla sua epoca? Per rispondere a questa domanda, e veicolato dal teatro di Corneille e dai romanzi baroc- l’A. si ripropone, con il suo studio, di oltrepassare la chi di M.lle de Scudéry. Nel Dom Carlos, il personag- visione tassonomica di questa raccolta incompiuta. gio (Carlo V) viene delineato come eroe all’attenzione Jean-Noël PASCAL (Estelle ou l’héroïsme sublime de dei lettori, quando di fatto non lo è. Su questa base la vertu: sur Florian et le roman pastoral, pp. 281-300). l’A. si interroga, quindi, su quale potrebbe essere l’in- Mediante l’analisi, da un punto di vista estetico e clas- tenzione dello scrittore che sfuma l’aspetto ieratico del sico, dell’episodio eroico conclusivo dell’Estelle di Flo- personaggio, grazie all’inserimento di piccoli aneddoti rian, e dei principali aspetti del sublime virtuoso, da un che, sottolineando l’umiltà e la saggezza dell’imperato- punto di vista estetico moderno, l’A. intende spiegare re, contribuiscono a umanizzarlo. non solo il tipo di strategia utilizzata dallo scrittore, Carole DORNIER (Le maréchal de Richelieu en héros ma soprattutto in che modo la concezione dell’eroismo libertin: modèles romanesques et rhétorique révolution- che domina l’opera, l’ha resa, nel Settecento, un’opera naire, pp. 171-186). Dopo aver ricordato le caratteristi- viva ed estremamente attuale. che del tipo di eroe “incostante” in voga nel romanzo Jean-Louis HAQUETTE (Héroïque simplicité? Ré- della prima metà del XVIII secolo, l’A. presenta, nel suo fl exions sur les épopées pastorales bibliques et helvéti- ème lavoro, il riferimento che viene fatto a questo tipo di ques au XVIII siècle, pp. 301-328). Sebbene i testi presi eroe per raccontare la vita di Richelieu, fi gura emble- in esame, Franciade (1789) di François Vernes, Parthe- matica dell’aristocratico corrotto. naïs (1803) di Jens Baggesen, La mort d’Abel (1758) di Françoise LAVOCAT (Jeux et joutes de bergers. De Gessner e Joseph (1767) di Bitaubé, siano sprofondati l’Arcadia de Sannazar à l’Entretien des Illustres Ber- in un oblio quasi completo, essi testimoniano un mo- gers de Nicolas Frénicle, pp. 189-204) parte dall’ipotesi mento della storia della tradizione pastorale europea in secondo la quale un processo di eroizzazione della pa- cui si è pensato che la pastorale e l’epopea non fossero storale sarebbe stato fondatore del romanzo pastorale, antinomiche. Il lavoro dell’A. verte proprio sull’analisi per poi esaminare la questione da un altro punto di e sulla presentazione di questo momento. vista, quello dei giochi olimpici e delle competizioni Il volume si chiude, infi ne, con il lavoro di Antoinet- sportive direttamente improntati all’epopea, che, a te FÄY-HALLÉ (Céramique, estampe et littérature à tra- ème partire da Sannazaro, diventeranno un topos, un episo- vers un thème favori du XVII siècle: les raprésentations dio obbligato della pastorale narrativa. L’A. parte dalla pastorales peuplées de héros, pp. 329-340), direttrice tesi secondo cui i giochi, in alcuni romanzi della fi ne del Museo Nazionale della Ceramica di Sèvres, la qua- del XVI secolo, sono un modo di risoluzione provviso- le fornisce una serie di informazioni molto interessanti ria della contraddizione tra pastorale ed eroismo, per ed esaustive sulle trasformazioni del modello eroico- dimostrare poi che il gioco nel gioco permette di ipo- pastorale nell’ambito della stampa e della ceramica. tizzare la questione politica della regola e del potere. Tredici illustrazioni a colori chiudono il suo articolo Catherine DUMAS (Formes et fi gures de l’héroïsme e tutto il volume. dans L’Astrée, pp. 205-230) incentra il suo lavoro [LUIGI LUISON] sulla problematica dell’eroismo nell’opera di Honoré d’Urfé. Partendo dal presupposto che la presenza dei cavalieri rappresenta senza dubbio un terreno favore- AA. VV., La scène comme tableau, études réunies et vole per le manifestazioni di eroismo guerriero, l’A. si présentées par Jean-Louis HAQUETTE et Emmanuelle domanda se vi è contraddizione o quantomeno rischio HÉNIN, Poitiers, UFR Langues Littératures, 2004, pp. di discontinuità tra i codici pastorali e quelli cavalle- 125. reschi. Stéphane MACÉ (Le luth et la trompette: visages du Il volume s’interroga su un momento importante berger en héros dans la poésie pastorale baroque, pp. nell’evoluzione della scenografi a europea, la nascita 231-248) afferma che in epoca barocca i poeti bucolici della scena come quadro: il passaggio cioè da un mo- stessi sembrano affascinati dal modello epico e tentano dello architettonico a un modello pittorico. A partire un diffi cile matrimonio tra la pastorale e i valori virili dal XVI secolo e dall’Italia, la funzione della scena evol- della musa guerriera. Sovente, infatti, il pastore diven- ve dal simbolo all’illusione, la comunicazione tra la sce- ta vendicativo o sogna di essere un cavaliere. Questa na e la sala si riduce progressivamente, in altri termini alleanza paradossale, presente nella tradizione lettera- la scena “all’italiana” diventa il modello dominante. ria, pone alcune problematiche, poiché ogni tentativo Questa evoluzione, o rivoluzione, avviene in realtà in

ultime 445 4-12-2006, 21:35:40 446 Rassegna bibliografi ca

maniera graduale: a lungo le pratiche sceniche fanno Gli spazi sono simbolici, non più rappresentativi. La coabitare gli elementi della tradizione e le innovazio- loro presa di distanza nei confronti della scena come ni provenienti dall’Italia; e il teatro parlato non evolve quadro illusionistico inaugura le drammaturgie del XX allo stesso modo rispetto alla scena lirica. È vero però secolo instaurando un nuovo rapporto con l’immagi- che lo statuto dell’immagine teatrale risulta profonda- ne teatrale. mente trasformata. Come considerazione fi nale, si può dire che tutti gli I vari contributi passano in rassegna gli elementi studi raccolti nel volume insistono sull’attenzione agli che contribuiscono a fare della scena un quadro. Anne effetti prodotti dai dispositivi scenici; in altri termini, SURGERS affronta il tema del rapporto tra lo spazio sce- sul peso dello spettatore come partecipe nella produ- nico all’italiana e il posto dell’attore. Dimostra come la zione del senso. scena francese (prende a esempio quella dell’Hôtel de [GABRIELLA BOSCO] Bourgogne) mirasse a unifi care scena e recitazione. E vede in ciò la ragione della resistenza francese all’illu- sionismo italiano, resistenza che si traduce in una certa AA. VV. , Locus in fabula. La topique de l’espace dans concezione del luogo teatrale, visto come spazio di pa- les fi ctions françaises d’Ancien Régime, études réunies rola più che d’illusione. et présentées par Nathalie FERRAND, Paris, Éditions Emmanuelle HÉNIN si occupa della cornice della Peeters, 2004, pp. 716. scena mettendola in parallelo con la cornice del qua- dro. Ne sottolinea la necessità ai fi ni di un’illusione che Il testo a cura di Nathalie FERRAND è il risultato di crei la prospettiva, e al tempo stesso illustra la lentez- un convegno di quattro giornate tenutosi a Parigi nel za con cui viene adottata (in Italia a partire dal 1565, 2001, all’École normale supérieure, e al quale hanno in Francia nel 1641), e solo da quando viene accettata preso parte circa una cinquantina di specialisti del l’idea della separazione tra la sala e la scena. Rifl etten- romanzo. Oggetto del convegno e, di conseguenza di do sulla dialettica della cornice che in pittura deve va- questo volume, è quella che potrebbe essere defi nita la lorizzare senza attirare l’attenzione, l’A. individua una “fabbrica” dei lieux romanesques. tensione tra la tentazione dell’ornamentale e la logica Un primo aspetto messo in evidenza da molti dei della fi nzione, pittorica o teatrale che sia. saggi qui presentati è che questi luoghi si trovano Dominique MONCOND’HUY mette in evidenza le am- spesso situati in un punto preciso della narrazione e biguità della tragedia, nella Francia intorno al 1630, che, dal momento esatto in cui vengono menzionati, rispetto all’idea di scena come quadro, confrontando conducono attraverso una serie di percorsi obbligati, tragedia storica e tragedia mitologica, e poi tragedia sia per quanto riguarda la narrazione stessa che per i à machines. personaggi. Marc BAYARD affronta un caso limite dell’illusione Un secondo aspetto, non meno importante, è che teatrale: la rappresentazione della montagna, tra XVI e il romanziere gioca volutamente e liberamente con gli inizio del XVII secolo. L’italiano Bernardo Buontalenti elementi costuitutivi della creazione letteraria, utiliz- è stato un precursore in questo campo, fi ssando degli zando dei topoi: la narrazione diventa un’operazione schemi iconografi ci che puntavano più sull’evocazio- ludica di manipolazione degli spazi, che non sono sol- ne simbolica che sulla rappresentazione illusionistica. tanto un riferimento al mondo reale e fi sico, bensì di- La montagna è intesa maggiormente come fi gura che ventano veri e propri oggetti del testo, lieux référentiels come immagine, forma intermediaria tra il sensibile e e objets littéraires allo stesso tempo. l’intelligibile, fi gura della dismisura, che prende senso La tradizione letteraria dell’Ancien Régime ha uti- in virtù dell’azione drammatica che la anima. lizzato una serie di luoghi che, per l’impiego stesso Anne VERDIER studia l’effetto del costume dell’at- che ne era fatto o per i signifi cati di cui erano investiti tore sullo spettatore, nella Francia del XVII secolo, in un dato contesto storico-culturale, diventavano dei per mostrarne l’importanza dal punto di vista della programmi narrativi capaci di annunciare un preciso creazione dell’immagine teatrale. Il costume riprende terreno su cui si sarebbero mossi gli eroi e i personag- certo codici vestimentari dell’epoca, ma trasponen- gi. Questi luoghi non sono solamente quelli concreti e doli nell’universo scenico, perché risultino funzionali fi sici: i lieux romanesques sono anche quelli che l’uomo all’emozione drammatica. Il costume tragico, ad esem- rappresenta a se stesso e che gli forniscono una certa pio, invece di copiare semplicemente la sontuosità ari- illusione spaziale. stocratica, mira a vestire di luce l’eroe, in quanto colui Il volume è diviso in diverse sezioni: Ouvertures, che è segnato dal destino e che cammina smagliante dove emergono luoghi tra loro molto diversi, come i verso la morte. deserti e i saloni; Des lieux et des genres, dove si parla Del tentativo di unifi care scena, costume e gesto da di labirinti, luoghi di seduzione e seduzione dei luoghi; parte del celebre attore Talma, si occupa invece Pierre Dépaysements: espaces d’Europe et d’ailleurs, con alcu- FRANTZ, che ne approfitta per sottolineare la recipro- ne rappresentazioni di luoghi lontani, come l’Africa e cità di scambi tra pittura e teatro, tra David e Talma. la Polonia; Mobilités: lieux de passage, lieux en mouve- Il teatro cita i quadri, e le scene a loro volta ispirano ment, con fi umi, foreste, capanne e castelli; Espaces na- i pittori. turels, espaces urbains, espaces d’artifi ce, con la città co- Chiude il volume il contributo di Christopher BAU- me protagonista e il romanzo urbano; Quand les lieux GH, il cui interesse per l’immagine drammatica viene parlent, ove sono affrontati i luoghi narrativi, con i loro dalle scene del pittore Loutherbourg per il teatro di codici; Sociologie et techniques, sezione fi nale di questa David Garrick, nel XVIII secolo. La sua rifl essione si ampia raccolta di studi e saggi. spinge fi no agli inizi del XX secolo, mettendo in pro- A conclusione del volume, sono forniti al lettore un spettiva il concetto di scena come quadro. In partico- indice dei nomi degli autori e delle opere e un’interes- lare vengono evocate le esperienze di Edward Gordon sante lista dei luoghi, a sancire la diversità degli spazi Craig e di Josef Svoboda, il loro ritorno a una conce- evocati ma anche la ricorrenza di alcuni di loro nella zione architettonica della scena. La loro scena è un produzione di uno stesso autore. luogo astratto, fatto di luci e di forme che prendono [FATIMA PILONE] senso a partire dall’azione drammatica che vi si svolge.

ultime 446 4-12-2006, 21:35:41 Opere generali e comparatistica 447

SUSAN HARROW, The Material, the Real, and the Frac- un io schiavo della materialità moderna e “tentato” da tured Self: Subjectivity and Representation from Rim- una introspezione regressiva. baud to Réda, Toronto, University of Toronto Press Il terzo capitolo si apre con la tetra rifl essione di Inc., 2004, pp. 269. Francis Ponge sulla situazione umana, situazione che, secondo l’A., soggiace continuamente a una condizio- Da molto tempo ormai le diverse ricerche svolte ne di modernità rafforzata, soprattutto in Douze petits nell’ambito delle scienze umanistiche continuano a écrits del 1926. Le argomentazioni di Susan HARROW sondare la soggettività moderna e postmoderna sia ruotano attorno a una soggettività implicita nell’opera da un punto di vista storico che da quello sociologi- di Ponge, quanto più evidentemente risulta dispersa, co. Tuttavia, nuovi approcci, come quello etnografi - trasposta o spostata. Douze petits écrits, la prima rac- co e quello autobiografi co, hanno recuperato i reso- colta di poesie di Ponge, rivela la soggettività attraver- conti dispersi dell’io. La comparsa, nel linguaggio, di so codici sociali, pratiche culturali e strategie discorsi- un io costituito ha rivelato una fertile relazione tra il ve che danno un senso all’alienante e scombinato spa- pensiero contemporaneo e la narrativa letteraria. In zio urbano. L’A. prosegue nel mostrare come la poesia particolare negli studi francesi gli approcci alla sog- di Ponge e altri suoi scritti – critica letteraria, saggi, gettività sono stati condotti pressoché esclusivamente (auto)biografi a – riuniscano i costituenti di una più ric- in direzione del romanzo, mentre la poesia, in quanto ca soggettività contro un mondo in cui il clamore delle genere, è stata emarginata nelle applicazioni dell’ideo- dissertazioni soffoca la “voix du plus précieux”. logia contemporanea. Questo è il pensiero introduttivo Attraverso la poesia urbana e suburbana di Jacques del lavoro di Susan HARROW, il cui intento è quello di Réda, da Les Ruines de Paris del 1977 a Accidents de la focalizzarsi proprio su questa emarginazione poetica, circulation del 2001, il quarto capitolo esamina la ma- esplorando l’intrigante interrelazione tra soggettività e terialità appassionata di un poeta che mette in risalto la materialità nella lirica post baudelairiana, e nello spe- vita multiforme di tutti i giorni: scambi umani, rituali cifi co, nella poesia e nella scrittura di Arthur Rimbaud, economici e pratiche culturali, e gli oggetti fi sici che Guillaume Apollinaire, Francis Ponge e Jacques Réda. plasmano e sono plasmati da queste pratiche. Entram- Obiettivo principale dell’A. è far emergere il legame bi i testi sono una critica e un’esplorazione appassiona- tra la soggettività e il “reale” all’interno del linguaggio, ta della città; sono testi in cui Réda sonda la resistenza della cultura, dell’individualità, dell’arte, del desiderio, alle colonizzazioni della modernità che irrompe in una dell’ideologia e in tutti quei gruppi di segni in cui l’io cultura della disuguaglianza. Come poeta e cronista, diventa un essere. Réda propone una resistenza affettiva sotto forma di Come viene rappresentata questa relazione nelle mito, metafora, fantasia, nonché la ricerca di una realtà opere dei quattro scrittori? È possibile parlare di “fi n- urbana sublime. Come metonimia e come metafora, le zione di un io nel mondo?”. Se è così, in che modo “ruines” offrono un costante incitamento alla costru- zione immaginaria e a forme di creatività ibrida che sfi - resiste l’attività dell’io formativo, con i suoi percorsi di dano il livello di modernità avanzata. L’A., per meglio recupero e integrità narrativa, ai processi di frammen- illustrare questi punti di vista, si serve dei saggi di Cer- tazione strutturale e formale del modernismo? Consi- teau e Giard, che illuminano in maniera più dettaglia- derando la “materialità del linguaggio” come gli aspet- ta le idee esposte nel corso dell’ultimo capitolo. L’A. ti performativi del linguaggio poetico, Susan HARROW espone poi, nella parte fi nale del volume, l’espressività cerca le risposte a queste domande, non perdendo mai di Réda in termini di soggettività spersonalizzata, cat- di vista lo scivolamento del linguaggio materiale verso turata in momenti di violenta e affascinante intensità. la materialità del linguaggio stesso. Susan HARROW illustra il suo lavoro attraverso quat- [LUIGI LUISON] tro capitoli, ognuno dei quali è dedicato esclusivamen- te a un poeta. Nel primo capitolo l’A. propone una lettura integra- PASCAL BRISSETTE, La malédiction littéraire. Du poète le della poesia di Rimbaud, da Poésies a Une Saison en crotté au génie malheureux, Montréal, 2005, Les Pres- enfer e Illuminations. Attraverso questo percorso, l’A. ses de l’Université, pp 413 intende disegnare, a larghi termini, la traiettoria della poesia di Rimbaud e dimostrare come essa evolva dal Frutto di una tesi di dottorato, lo studio di Pascal linguaggio della materialità (Poésies) alla materialità BRISSETTE cerca di datare in maniera approssimativa del linguaggio (Illuminaitons). il sorgere del mito della maledizione letteraria intor- La poesia di Apollinaire è un chiaro esempio di no al 1760-1770, delineando la sua preistoria in epoca scrittura moderna che ingloba il mondo materiale ed medievale e passando attraverso fi gure come il Philo- esplora la propria responsabilità nel fl usso della sog- sophe persécuté, il Poète malheureux e quello maudit, gettività. Il secondo lavoro più importante di Apol- l’Intellectuel désintéressé fi no all’Écrivain prolétarien o linaire, Calligrammes, illustra in maniera evidente, révolutionnaire. secondo l’A., la tensione tra la materia e il soggetto. L’autore vede lo scrittore contemporaneo alle prese Questo è il tema del secondo capitolo, in cui l’A. si con la sofferenza che, non solo alimenta la produzione focalizza inizialmente sulle tensioni della scrittura di artistica, ma è anche la mise en scène dell’io scrivente. Apollinaire da Alcools a Calligrammes, per poi af- Il malheur viene visto come una condizione da espri- frontare una lettura concentrata sul modernismo pa- mere, un materiale che può servire alla legittimazione radossale delle sequenze di apertura di Calligrammes. del proprio personaggio pubblico, poiché la sofferenza Prendendo in esame il punto di vista offerto da Roland diventa via di accesso al génie. È un’analisi che si pone Barthes, l’A. dimostra come la persistenza dell’ordina- come obiettivo quello di rifl ettere in modo storiografi - rio e del marginale asserisca l’ibrido della vita di tutti co sulla funzione del malheur, nel processo appunto di i giorni, annunciando le speranze e i desideri, le abitu- legittimazione culturale, dove esso è visto come la pos- dini e le pratiche avviluppate negli oggetti familiari. La sibilità di accedere alla verità e alla creazione, trasfor- tesi dell’A. rivela come la prefazione di Calligrammes mando il fallimento in riuscita. proponga un irrimediabile e paradossale io fratturato, La cosiddetta malédiction littéraire è sì l’insieme

ultime 447 4-12-2006, 21:35:41 448 Rassegna bibliografi ca

delle diffi coltà materiali e concrete inerenti la pratica critica letteraria. Tra i vari autori affrontati, citiamo letteraria ma è anche, e prima ancora, espressione dello Alexis de Tocqueville, Petrarca, Rabelais e Voltaire. spirito mistico della sofferenza. Gli anni tra il 1760 e il Nel secondo capitolo l’A. espone gli argomenti che 1770 sono visti come un momento cruciale nell’affer- rappresentano da anni il centro dei suoi studi e delle marsi di questo mito: molti giovani entrano a far parte sue ricerche. Partendo dalla « Querelle des Anciens et della carriera delle Lettere ma il numero di impieghi des Modernes », passando per Montesquieu e Voltai- disponibili è sicuramente inferiore sia per quanto ri- re, l’A. presenta i punti più importanti nella traduzione guarda l’attività presso le corti che per quelle legate al tedesca dei racconti de Le mille e una notte, illustra il mercato editoriale. ruolo del personaggio di Milord Edouard della Nou- Il testo è diviso in due parti. La prima, intitolata Du velle Héloïse di Rousseau, e presenta in modo molto malheur des lettrés avant la malédiction littéraire: topi- accurato la fi gura del Faust nell’opera di M.me de Staël ques, affronta le tre categorie principali: malinconia, e Gérard de Nerval. povertà e persecuzione, tre concetti che l’autore lega a Nel terzo capitolo vengono messe a confronto alcu- quelli di verità, autenticità e genio poetico; la seconda ne traduzioni in lingua tedesca di poesie francesi, come parte, Des topiques au mythe, entra nello specifi co, for- Retour de l’enfant prodigue di Gide tradotta da Rilke, nendo una serie di esempi di letterati maudits. Gaspar Hauser chante di Verlaine tradotta da Stefan A livello storiografi co, l’A. parte dall’età medievale, George, Richard Dehmel e Richard Schaukal. epoca in cui i trovatori si indignavano di fronte a un saltimbanco che veniva pagato più di loro. Tuttavia, è [ LUIGI LUISON] dal XVIII secolo che il malheur diventa una vera e pro- pria strategia per legittimare la propria attività. Attra- verso il mito, si cerca di dare un senso alla sofferenza, AA. VV. , Oeuvres majeures, oeuvres mineures, sous in un meccanismo di compensazione. La malinconia la direction de Catherine VOLPILHAC-AUGER, Lyon, Ens può fare del male ma è anche à l’origine de tout ce qui Editions, 2004, pp. 238. est grand et hors norme, de tous les êtres d’exeption, atypiques par nature, supérieurs à la multitude. L’umore Gli undici contributi qui raccolti percorrono tre se- malinconico può conferire i doni più nobili, quelli del coli di letteratura francese, dal XVII al XIX, per indagare pensiero e della contemplazione, dove la mélancolie est la questione autoriale dal punto di vista delle cosiddet- propre des âmes sensibles et il faut être tel pour la sentir, te “opere minori”. Citando in esergo Artaud, la massi- la défi nir et l’apprécier proprement. ma che recita «En fi nir avec lec chefs-d’oeuvre», la cu- Jean-Jacques Rousseau è considerato il grande mar- ratrice Catherine VOLPILHAC-AUGER introduce il tema chiedendosi se le strategie degli editori di pubblicare tire laico della secoda metà del XVIII secolo e, dopo di lui, risulta davvero diffi cile pensare che si possa esse- volumi di opere complete – apparente superamento della gerarchizzazione tra “capolavori” e “altro” – non re homme de génie et heureux. Dopo la Rivoluzione, riproponga poi, all’interno delle raccolte, la stessa im- sorgono nuove fi gure, tra cui soprattutto il prigionie- postazione sai pure in maniera meno esplicita. L’inte- ro e l’esiliato. Anche dopo la rivoluzione del 1830, resse dei collaboratori va agli effetti sul giudizio critico il n’est pas d’inspiration plus belle que celle née de la che tali scelte editoriali implicano. Come se, mettendo souffrance. tutto sullo stesso piano, rifi utando di considerare certe Questa ampia analisi ci dimostra che i mali dell’ani- opere più importanti di altre, il critico avesse l’impres- ma e del corpo diventano nella produzione artistica sione di venir meno al suo ruolo. Più che invocare l’ab- simbolo di qualità e di un destino eccezionale, volto bandono dell’atteggiamento che gerarchizza, il volume nascosto del genio. s’interroga sul signifi cato di tale atteggiamento. Chiudono il volume 26 pagine di bibliografi a, un Va anche detto, questione parallela, che certe opere indice dei nomi e l’indice dei contenuti. “diventano” minori con il passare del tempo o vicever- sa cessano di esserlo: in altri termini la ricezione, l’evo- [FATIMA PILONE] luzione del gusto nel tempo, mescola le carte in ogni tipo di gerarchizzazione. Fatto che dovrebbe, scrive Catherine VOLPILHAC-AUGER, incitare alla relativizza- JÜRGEN VON STACKELBERG, Herbstblätter: Studien zione generale dei criteri di lettura. zur Literatur der Aufklärung, zur Übersetzungsgeschich- La rifl essione prende avvio dal punto di vista teori- te und zur Übersetzungskritik, Bonn, Romanistischer co con il saggio di Catherine LARRÈRE sulla posizione Verlag, 2002, pp. 178. di Foucault rispetto alle gerarchie letterarie, espressa nella conferenza ch’egli tenne il 22 febbraio 1969 al- L’A. utilizza come titolo per questo volume quello la Société française de philisophie intitolata Qu’est-ce che André Gide diede alla sua raccolta del 1949, Feuil- qu’un auteur? (rifl ettendo sul suo lavoro di edizione lets d’Automne. È un omaggio all’opera di Gide, scrit- delle opere complete di Nietzsche, Foucault argomen- tore che Jürgen VON STACKELBERG apprezza in modo tava sul paradosso di un principio secondo cui tutto particolare, sia per il coraggio delle sue opinioni, sia deve essere pubblicato arrivando alla proposta rivo- per averlo aiutato a forgiarsi come individuo anticon- luzionaria di scindere le nozioni di opera e autore a venzionale, guidato dalla « libre pensée ». vantaggio della prima: «La littérature est l’endroit où Il volume, che offre tutti lavori inediti, è suddiviso l’homme disparaît au profi t du langage». Così liberati in tre grandi capitoli corrispondenti ai tre grandi nuclei dalla loro appartenenza a un’opera, unitaria grazie al dell’attività di Jürgen VON STACKELBERG come lettore riferimento all’autore, gli enunciati possono dispie- professionista. Il primo presenta una serie di “Retro- garsi in tutta la loro estensione, e tutti a pari merito). spektiven” che rappresentano una particolarità degli Seguono interventi che storicizzano la questione: Clau- studi raccolti in questo volume; l’A., infatti, illustra le dine POULOIN e Michèle ROSSELLINI presentano i casi motivazioni che lo hanno spinto ad affrontare alcuni di Naudé e Sorel (commentando l’Advis pour dresser grandi scrittori del passato e spiega quali sono state le une bibliothèque del primo e La Science universelle del reazioni che il suo modo di pensare ha suscitato nella secondo) e il “fallimento” (dal punto di vista della sto-

ultime 448 4-12-2006, 21:35:42 Opere generali e comparatistica 449

ria letteraria) del progetto poligrafi co di Sorel; mentre Dominique HÖLZLE analizza le strategie di giustifi ca- Jean SERROY indaga l’atteggiamento generale del clas- zione morale e estetica dei Malheurs de l’inconstance sicismo rispetto alla distinzione tra opere maggiori e di Dorat. “Casi” macroscopici – Rousseau, Voltaire, opere minori, osservando in apertura come un secolo Balzac, Hugo – sono affrontati rispettivamente da Phi- defi nito “Grand” sia costituzionalmente strutturato su lip STEWART, Jean-Noël PASCAL, Raymond TROUSSON e differenziazioni di questo genere. Il discorso di Serroy Florence NAUGRETTE. Conclude il volume l’articolo di mette in luce l’importanza del sistema di valori vigente, Daniel BILOUS su Mallarmé, teorico della “scomparsa per l’instaurazione di gerarchie. locutoria del poeta”. Christophe MARTIN ripercorre la storia editoriale [GABRIELLA BOSCO] e la ricezione del Temple de Gnide di Montesquieu;

ultime 449 4-12-2006, 21:35:42 ultime 450 4-12-2006, 21:35:42 COSACOSA FFARAIARAI DADA GRANDE?GRANDE? Filiali.

S.p.A.

le

tutte

Previdenza

presso

di

tti per i quali è prevista. o disponibili

rnazionali e Int

ormativo f In

Assicurazioni

- Prospetto

il P

o AI

da

Informativo emessi

sono

Fascicolo

il

Banca PENSA OGGI A COME MANTENERE IL TUO TENORE dalla leggere

DI VITA, PER TUTTA LA VITA, ANCHE IN PENSIONE. distribuiti pensione

Parla con una persona come Francesca di previdenza e di pensione integrativa. fondi

ai

Scoprirai che per il tuo piano puoi scegliere tra molte alternative, anche con il assicurativi

e

rendimento minimo garantito. adesione

della

o

previdenziali

polizze

prodotti

delle I

pubblicitario. Francesca Deidda, Sanpaolo. sottoscrizione

Francesca Deidda, Sanpaolo.

della

Il contenuto e le modalità della garanzia di rendimento minimo sono integralmente riportati nel materiale informativo dei prod Prima Messaggio studifrancesi149 451 ultime 452 4-12-2006, 21:35:42