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LA FIAT IN BRASILE

di GIANPAOLO SALVINI

La stampa italiana ba dato recentemente notizia dell'accordo con­ cluso dalla FIAT in Brasile per la costruzione di una fabbrica di auto­ vetture. Dato che la FIAT possiede già all'estero 26 impianti analoghi, an­ che se, nella grande maggioranza, di dimensioni inferiori a quello pro­ gettato in Brasile, il pubblico italiano ba recepito la notizia semplice­ mente come una nuova conquista di un mercato estero particolarmen­ te promettente da parte della maggiore industria automobilistica ita­ liana, e la cosa non ba destato grande interesse. Ben diversa è stata invece l'eco che l'accordo ba avuto in Brasile, dove esso, accanto a reazioni favorevoli, ba provocato pure forti criti­ che, anche e soprattutto a causa del modo in cui sono state svolte le trattative. Un breve resoconto di questa vicenda potrà aiutare a com­ prendere a quali regole obbedisce spesso l'inserimento di una indu­ stria moderna in un Paese in via di sviluppo e quali gravi interrogativi può tuttora suscitare.

La FIAT e Il mercato brasiliano.

La FIAT è già presente in America Latina con vari impianti, il mag­ giore dei quali è quello argentino (FIAT-Concord, creato a Cordova nel 1954, capace di produrre 60.000 autovetture all'anno) che controlla una buona parte del mercato nazionale. In Brasile la FIAT possedeva finora solo una fabbrica di trattori, situata a Contagem, presso , nello Stato di . Dopo il « caso Sallustro "• cioè dopo il sequestro e l'assassinio (avvenuto il 10 aprile 1972) del presi­ dente della filiale argentina, Oberdan Sallustro, corse voce di un tra­ sferimento in Brasile degli impianti argentini della FIAT, voce che la direzione della società si affrettò a smentire; e infatti sarebbero occor- l -545- si motivi ben più gravi per abbandonare un mercato che la società già controllava e nel quale era solidamente installata. L'interesse per il Brasile, invece, andò aumentando, e il direttore della FIAT brasiliana, Franco Urani, non fece alcun mistero dei motivi soggiacenti a tale interesse: << Il Brasile è il campo più spettacolare per effettuare investimenti al di fuori dell'Europa; quello in cui le condi­ zioni sono più favorevoli; il Paese che ha il governo più illuminato >> (l). In un successivo discorso alla Federazione delle Industrie, lo stesso Urani sottolineò che << la disciplina, la dedizione al lavoro, l'en tusiasmo dei lavoratori brasiliani contrastano profondamente con le agitazioni e le convulsioni che affliggono attualmente tutti i popoli dell'area ca­ pitalista, con gravi problemi di assenteismo, di aumento continuo dei costi e di caduta verticale dei p rofitti >> (2). In effetti, solo forse la si­ tuazione italiana degli anni '50 è paragonabile a quella brasiliana at­ tuale. In Brasile non hanno luogo scioperi, il potere di contrattazione dei sindacati è praticamente nullo, i salari sono estremamente bassi e la situazione politica (a differenza di quella argentina) si presenta molto stabile, senza possibilità di elezioni << pericolose >>. A questo interesse della FIAT veniva incontro una vera fame di investimenti esteri da parte brasiliana. I singoli Stati della federazione fanno attualmente a gara per offrire i maggiori vantaggi alle industrie straniere mediante incentivi fiscali e altre agevolazioni. La FIAT, co­ munque, ha dimostrato di saper negoziare in modo eccellente. Mentre la quasi totalità delle 13 industrie automobilistiche già esi­ stenti nel Paese (la maggiore delle quali è la Volkswagen) si trova si­ tuata nella zona di Sao Paulo, la FIAT ha preferito rinunciare ai van­ taggi che questa zona già industrializzata poteva offrire e si è rivolta allo Stato di Minas Gerais, attualmente in rapido sviluppo benchè non disponga ancora di grandi complessi industriali. Dopo una serie di negoziazioni svoltesi a Torino e a Belo Horizonte (capitale delio Sta­ to di Minas Gerais) tra la FIAT e il governo di quello Stato ( i cui r appresentanti erano però assistiti da consulenti del Governo federale, troppo interessato a seguire direttamente le vicende della trattativa in un settore vitale dell'industria brasiliana), un <

(l) Citato nell'articolo Os italianos estdo chegando - Il numero uno, Giovan­ ni Agnelli, In Opinido, 12-19 marzo 1973, p . 9. (2) Ibidem.

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1 termini dell'accordo di Belo Horlzonte.

L'accordo prevede la costruzione entro n 1978 di uno stabilimento a , presso Belo Horizonte, destinato a produrre, alla stessa data, 190.000 vetture all'anno, cioè circa un terzo dell'intera produzione au­ tomobilistica brasiliana attuale. La vettura prescelta è la « 127 », risul­ tata particolarmente indicata per il mercato brasiliano, dove la sua attuale concorrente più diretta, la « Volkswagen 1300 », costa circa un terzo in più del prezzo previsto per la « 127 » ( 16.000 cruzeiros contro gli 11.000 previsti per la « 127 ,, ) e ha un consumo assai superiore di benzina. Non è chiaro peraltro se nel 1975, quando la FIAT comincerà a produrre, il mercato brasiliano sarà rimasto immutato e altrettanto favorevole quanto lo è oggi. E' indubbio che il nuovo stabilimento avrà effetti dinamici sull'intera regione e che i prezzi annunciati indicano una politica di ribasso di cui potrebbe beneficiare l'intero Brasile. Ma diversi punti dell'accordo non potevano non suscitare allarmi nell'opinione pubblica, e di essi si fece eco la stessa stampa brasiliana, d'altronde severamente controllata anche negli argomenti economici. Il governatore Rondon Pacheco, infatti, sottopose l'accordo all'Assem­ blea Legislativa dello Stato, ma senza fornire mai una completa docu­ mentazione sul contratto. Alcuni dei documenti forniti arrivarono al­ l'Assemblea solo quattro ore prima della discussione finale (3) e in alcuni di essi, come nell'annesso 5 B ( « Contratto di trasferimento tec­ nologico e di assistenza durante la fase di impianto >>), a p. 15, figura­ vano addirittura in bianco sia le cifre relative alle spese già sostenute dalla FIAT che il Governo si impegnava a rifondere, sia quelle preven­ tivate per le spese ancora da sostenere nella fase di impianto e ugual­ mente da rifondere. Secondo quanto è stato reso noto, la nuova industria, denominata FIASA (FIAT-Automoveis S.A.), dovrebbe richiedere 290 milioni di dol­ lari di capitale. Di questi, la FIAT italiana dovrebbe fornire in tre anni 71,501 mHioni di dollari (24,6% del totale), il Governo di Minas Gerais 71,499 (24,6% del totale). Il resto dovrebbe essere fornito da banche brasiliane, specialmente locali, dalla vendita finanziata del terreno e di infrastrutture, ecc. La FIAT però, pur fornendo solamente n 24,6% del capitale necessario, assumerebbe il controllo assoluto della FIASA, de­ tenendo il 50,006% del capitale sottoscritto. E' previsto inoltre l'acquisto all'estero di macchinari e attrezzature per 95 milioni di dollari, i cui termini però saranno decisi esclusiva­ mente dalla FIAT, che potrebbe servirsi di tale facoltà per vendere mac­ chinario già usato e obsoleto, usufruendo a questo proposito di una

(3) Cfr. t; o caso eta FIAT mineira um escdnctalo?, In Opinido, 9-16 aprile 1973, p. 8.

-547- particolare norma doganale brasiliana (decreto n. 1219) che esenta que· sto tipo di importazione da ogni tassa. Solamente a titolo di trasferì· mento di tecnoiogia e di assistenza tecnica la ·FIAT riceverà annua!· mente il 5% del fatturato della FIASA (valutato in 300 milioni di dol­ lari), cioè circa )50 milioni di dollari in lO anni, esclusi evidentemente i profitti ulteriori. Giocando poi sulla rivalità tra i comuni di Contagem (dove già esiste la « FIAT trattori ») e quello di Betim, ambedue desiderosi di avere gli impianti, la FIAT ha ottenuto l'esenzione da tutte le tasse e imposte municipali, incluse quelle prediali e territoriali, fino al 1985. La FIAT beneficerà inoltre del 25,5% di esenzione dall'ICM (imposta di circolazione delle merci) per un periodo di 5 anni. In questo modo, del resto, la società italiana ha solamente cercato di inserirsi nel com· plicato gioco di incentivi fiscali che oggi vengono concessi da ogni Go­ verno desideroso di attirare nuove industrie nel proprio Paese. L'Assemblea Legislativa dello Stato, comunque, ha finito per ap­ provare all'unanimità l'accordo. Il partito ufficialmente all'opposizione si è limitato a una innocua dichiarazione di voto, radicalmente contra· ria, ma ha votato a favore.

La diga di S. Slmlo.

A parte l'accordo per la fabbrica di Betim, che ha indotto molti brasiliani a parlare di « svendita » delle proprie ricchezze nazionali al capitale straniero, uno spazio a~sai maggiore ha occupato sulla stam­ pa brasiliana un fatto svoltosi parallelamente e passato quasi del tut· to inosservato in Italia. Nello stesso Stato di Minas Gerais, infatti, era stato indetto un appalto pubblico per la costruzione di una diga idroelettrica a S. Simao, sul fiume Paranaiba, a 700 km. da Belo Horizonte, progettata dalla CEMIG (Centrali Elettriche di Minas Gerais). Il concorso riguardava il maggiore ~ppalto sinora assegnato nello Stato, per un valore di cir· ca 100 milioni di dollari, destinato a uno dei maggiOri impianti mon· diali nel suo genere, che sarà la terza tra le grandi dighe del Brasile. Il costo totale dell'opera da ultimare entro il 1978, centrale elettrica compresa, sarà di circa 500 milioni di dollari, in maggioranza capitale brasiliano. La Banca Mondiale contribuirà con 60 milioni di dollari. L'appalto, però, riguardava quasi solo la diga, alla cui costruzione la Banca Mondiale partecipa per il 50%. Dopo una prima selezione tra le imprese concorrenti, che ne ri· dusse il numero a sette, finirono per rimanere in gara solamente due, la Mendes Junior, interamente brasiliana e seconda tra le maggiori imprese di costruzioni civili del Paese, e il consorzio lmpresit · CR Al· meida. Questo consorzio è formato da una ditta del sud del Paese (ul·

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timamente oberata da notevoli difficoltà finanziarie) e dalla Impresit Girola Lodigiani, italiana (controllata dalla FIAT), che nel consorzio detiene il 70% del capitale e possiede tutte le attrezzature e tutto il personale direttivo. Il risultato della gara di appalto doveva venire pubblicato in gen­ naio (4), ma in marzo non era ancora stato reso noto. Cominciò a dif­ fondersi la voce che la FIAT avesse condizionato la costruzione della propria fabbrica automobilistica all'assegnazione all'lmpresit (da essa controllata) dell'appalto per la diga. Poichè era già noto il parere della commissione specializzata della CEMIG, favorevole all'impresa brasi­ liana, e quello, pure favorevole a tale impresa, di un consulente inter­ nazionale indipendente designato (quale condizione per contribuire al finanziamento) dalla Banca Mondiale, l'annuncio, dato il 27 aprile, della vittoria del consorzio italiano suscitò una violenta reazione negli am­ bienti interessati del Paese, alimentata con ogni mezzo dall'impresa sconfitta, inclusa la pubblicazione di un ampio dossier (più di cin­ quanta pagine) che avrebbe dovuto documentare le pressioni da parte della FIAT sulla CEMIG e sul Governo di Minas Gerais. La differenza nelle proposte presentate (678 milioni di cruzeiros preventivati dalla Mendes Junior contro i 670 della Almeida-Impresit) è in realtà mini­ ma (anche se la rivalutazione della moneta brasiliana rispetto al dol­ laro avvenuta in febbraio ha elevato la differenza da 8 a 16 milioni di cruzeiros); ma il fatto che la Impresit avrebbe reclutato tutto il personale direttivo all'estero ed esigeva che un terzo del capitale fosse collocato a sua disposizione in Italia, esente da qualunque imposta bra­ siliana, avrebbe in realtà elevato notevolmente il prezzo effettivo della proposta italiana. Le pressioni da parte della FIAT sono difficilmente dimostrabili, anche se la società torinese, che si era impegnata a consegnare i pro· getti esecutivi dello stabilimento di Betim entro il 31 marzo, ne ha ritardato la consegna fino alla metà di aprile, cioè forse sino a dopo che il risultato dell'appalto per la diga era stato definito. Poco chiara è anche la parte che la Banca Mondiale ha avuto nel­ l'appalto. In seno alla Commissione finanziaria di controllo dell'Assem­ blea Legislativa di Minas Gerais, il Direttore finanziario della Banca Mondiale è stato apertamente accusato di essere notoriamente legato alla FIAT e di aver quindi condizionato il finanziamento dell'opera al­ la vittoria dell'Impresit. La discussione in seno alla Commissione, du­ rante la quale il presidente della CEMIG ha difeso (con un intervento durato parecchie ore) la regolarità dello svolgimento della gara di ap-

(4) Cfr. la documentazione relativa negli articoli A briga pela Itaipu Minei­ ra - As explicaç6es ojiciais, In Opinido, 14-21 maggio 1973, pp. 6 s., e FIAT x Mendes Junior, In Opiniao, 23-29 aprile 1973, p. 9. Sull'argomento cfr. anche: JornaZ do Brasi!, 15 aprile 1973, O Globo, 16 aprile 1973, e Diario da Tar de, 16 aprile 1973.

-549- palto, non ha portato a una chiarificazione dell'intera vicenda, ripresa dalla stampa in toni che hanno minacciato di sollevare un'ondata di nazionalismo e di reazione contro la società torinese. Nel Brasile, d'al­ tronde, dal 1957 in poi, nessuna ditta straniera aveva mai vinto un appalto per la costruzione di una grande opera pubblica, data la pre­ senza di agguerrite ed efficienti società costruttrici nazionali.

Alcune conclusioni.

E' evidentemente difficile tirare conclusioni da avvenimenti che, nell'attuale contesto brasiliano, probabilmente non possono essere pie­ namente documentati. Si può comunque sottolineare come l'interesse che l'Italia ha di­ mostrato negli ultimi anni per i Paesi in via di sviluppo, difficilmente riesce a tradursi in atteggiamenti concreti e positivi nel mondo degli operatori 'economici. I motivi che attirano la FIAT in Brasile e lo stile che ha accompagnato l'intera operazione, insieme alle manovre relative all'appalto della diga, sembrano anzitutto rientrare nella più rigida lo­ gica del profitto, come del resto è stato ufficialmente dichiarato dagli stessi dirigenti della FIAT in Brasile. Certo, è da augurarsi che questo nuovo apporto all'industrializzazione del maggiore Paese sudamericano abbia anche benefici effetti sull'occupazione e sulla creazione di una società più giusta e più evoluta, ma non appaiono questi i moventi prioritari. Più ancora, sembra che il sistema di presenza, e alle volte di do­ minazione, che le società multinazionali stanno mettendo in opera nei Paesi in via di sviluppo sia già stato assimilato dalla nostra maggio­ re industria automobilistica. L'Italia, in passato, ha forse inaugurato un tipo di rapporti con i Paesi del Terzo Mondo diverso e per molti aspet­ ti innovatore, in particolare in termini di intuizione degli interessi ef­ fettivi dei Paesi ai quali offriva la sua cooperazione. Sarebbe ora pro­ fondamente avvilente se, prese nell'ingranaggio di un gioco capitalistico internazionale giudicato ineluttabile, le nostre più dinamiche industrie si adeguassero interamente alle regole di tale gioco, rinunciando a una forma di presenza nel cosiddetto Terzo Mondo che possa costituire una coraggiosa ed efficace risposta ai veri problemi del mondo di oggi.

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