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Piazza Brembana

A cura di Chiara Delfanti Il di

Posto all'incrocio dei due rami del Brembo, che scendono da e dalla Val Fondra, il Comune di Piazza Brembana ha sempre avuto un ruolo importante per tutta l'Alta Valle Brembana. Centro amministrativo durante la dominazione veneta, capoluogo del Mandamento di Piazza nell'800, resta il punto di riferimento dei piccoli Comuni circostanti soprattutto grazie al mercato settimanale, che ogni venerdì mattina attira i valligiani per acquisti di ogni genere. Particolarmente gradevole la passeggiata lungo il centro storico con le vie F.lli Calvi e San Bernardo nella loro nuova veste, dopo il rifacimento del fondo stradale. Qui, nei secoli scorsi si svolgeva la vita amministrativa e sociale del paese. Vi era la sede del Comune e la Caserma dei carabinieri (odierno albergo "Gigi"), vi si trovavano i locali della Pretura occupati dal Convento di Suore Canossiane, e la Chiesetta di San Bernardo con il suo Oratorio tuttora esistenti. Fino a pochi decenni fa lungo queste vie c'erano negozi di ogni genere. Oggi la via principale centro del traffico e dei commerci è la via Belotti, mentre la vita amministrativa del paese è spostata verso il "Dosso di San Martino" dove si trovano gli uffici comunali, la Caserma dei carabinieri, e la sede della Comunità Montana. Le prime notizie del nucleo di Piazza Brembana si trovano in un documento del 1194 che riporta un atto notarile di investitura di un appezzamento di terreno tra un cittadino di Olmo ed uno di Piazza (nel documento "La Plaza"). Ma il documento ufficiale in cui si trova il Comune di Piazza è datato 1331 e si tratta degli statuti della città di in cui si trova l'elenco dei Comuni della Valle Brembana. In questo elenco il comune e quello "De La Plazza". Nel 1456 venne steso un documento in cui si delineavano i confini del Comune di Piazza, confini che non ebbero mai grandi variazioni. Verso la fine del 1500 il Capitano Giovanni da Lezze relazionò al Collegio di Venezia una dettagliata descrizione di Bergamo e dei Comuni compresi nel territorio bergamasco. Di Piazza egli scriveva così: "Questa terra è posta in piano fra monti, a sera il monte grande della Forcella et Foghelini, mediante un ramo fiume Brembo che gli passa al piedi, a dimane il monte chiamato Colonghello, mediante l'altro rammo circonferendo la detta terra et anco la terra detta Piana et Lenna che se ben due terre è un solo comune. Nella qual terra di Piazza vi sono l'infrascritte contrade: Piazza, Casteler, Vachera, Prat della Piaza. Lontani da Bergomo milia 20 et alla sumità dei monti de Valtulina milia 9 per la strada nova. In tutto sono fochi 65, anime 275: utili 53, il resto vecchi, donne et putti. Soldati delle ordinanze: archibusieri n. 1, pichieri n. 2, moschetieri n. 5 et galeotti n. 4. Ha un monte chiamato Sole comunale goduto a uso di pascolo et in oltre il comune ha de entrada d'affitti intorno £.500… Qui non sono richezze se non due o tre che hanno al più de entrada circa 300 scudi per uno; gl'altri attendono alli traffichi già detti della ferarezza, de borre et animali; molti habitano fuori del paese in negocii di mercantia, perché essendo sterile né raccogliendosi grani per due mesi l'anno, sono le persone necessitate habitar altrove et tuttavia le terre però le megliori vagliono scudi 25 la pertica. Questo comun a benefitio della povertà mantiene una caneva o magazeno di vino per vender a poveri a manco pretio del solito et al calmeraio che dà il Viccario. In questo luogo ressiede il Vicario et habita per il più in vicina. Chiesa parocchial S.to Martino, il curato della quale ha entrada propria per l'importanza de £. 400 in circa… Sopra i doi rami di Brembo vi sono gl'infrascritti edifitii: Una fusina grossa, una rasega da legnammi, doi molini da grani."

Un'altra descrizione del territorio di Piazza la si trova nel "Dizionario Odeporico della Provincia di Bergamo" di Giovanno Maironi da Ponte nei primi anni del 1800. Del paese si legge: " piccolo villaggio signorile, capo-luogo del distretto VIII, e sede della Pretura di tutta la Valbrembana oltre la Goggia. Resta sulla strada provinciale, che da Bergamo conduce al passo di confine tuttora chiamato la casa di S.Marco. Ha avanti a sé un buon tratto di pianura ben coltivato, comechè elevato dal piano della vallata; ed è a pochi passi dalla chiesa parrocchiale di S.Martino detto d'oltre la Goggia. Il fabbricato della villetta di Piazza, è quasi tutto signorile; ha il palazzo di residenza dell'Amministrazione; ed ha avuto sino al 1798 un convento di monache terziarie Francescane. La chiesa annessa a questo piccolo monastero è sotto la invocazione di S.Bernardo, e sussiste tuttora a comodo della contrada. Le fondatrici del convento erano state suor Serafina Capello, suor Cherubina Panigoni, suor Delfina, Teresa, e felice Orlandini Genovesi, e suor Maria Felicita Camozzi da Bordogna, tratte dal convento del medesimo ordine in Alzano. Contrade del villaggio della Piazza sono Castello, ove tuttora esistono le vestigia d'un fortilizio munito di una gran torre, Vacchera e Cavrengo. Poco sotto poi il suo caseggiato lungo l'alveo del ramo del Brembo chiamato la Valle esiste un forno di fusione del ferro di proprietà del negozio Ferrarezza di Lenna, ora non adoperato."

Un secolo dopo (1944) Luigi Traini, Segretario comunale di Piazza Brembana tra il 1913 ed il 1928, di San Martino de' Calvi dal 1929 al 1932 e sindaco di Piazza Brembana dal giugno 1957 al marzo 1958, descrive Piazza Brembana come all'incirca appare attualmente: "Piazza, ora San Martino de' Calvi nord, ha, sebbene povera di industrie, bellezze forti e austere, che la rendono cara ai turisti e al forestiero, per la sua aria balsamica, fragrante dei mille profumi delle sue pinete e dei suoi prati. Essa è un delizioso soggiorno estivo a 556 m. s.m. ricco di sole e di frescura: conta 660 abitanti. Chi sale in ferrovia sino a S.Martino de' Calvi, dopo aver oltrepassata la piccola e graziosa stazione di Lenna, rimane sorpreso di trovarsi, impensatamente, sopra un altopiano tutto punteggiato di case, sulle quali troneggia la gotica parrocchiale. Tutto, intorno è un signoreggiare di verde smeraldino. Questo ridente paese è centro dell'Alta Valle Brembana distante da Bergamo 37 Km. Con atto 30 ottobre 1919, il Ministero dei Lavori Pubblici, concedeva alla Provincia di Bergamo, di costruire la ferrovia S.Giovanni Bianco- Piazza Brembana, con la determinazione del sussidio chilometrico governativo. Da allora il piccolo centro se ne avvantaggiò di molto. La linea ferroviaria risolse il gravissimo problema del miglioramento della strada, più rispondente alle nuove esigenze. La Provincia e i Comuni limitrofi, contribuirono all'esecuzione dell'opera, perché il nuovo mezzo di comunicazione aumentava notevolmente il traffico. … … a Piazza prevale la piccola sulla grande proprietà. I proprietari sono tutti "casalini": non possiedono che pochi capi, quindi non vanno a svernare alla pianura. Il bestiame bovino appartiene alla razza bruna delle Alpi, apprezzata anche fuori di provincia; il centro d'origine di questa razza è la Svizzera. Da pochi anni però l'allevamento bovino è fatto in modo razionale e con eccellenti risultati, qui e in tutta la zona come dimostra la bella fiera del bestiame che si tiene a Piazza il mese di Aprile di ogni anno. Esiguo l'allevamento dei suini, numeroso e razionale l'allevamento dei polli per uso familiare, ma anche per il consumo del forestiero nella stagione estiva. … Piazza è centro di un mercato mensile, ha numerosi negozi, alcuni di lusso, di generi vari; due segherie elettriche. Anticamente invece, aveva importanti fucine, che lavoravano il ferro proveniente dalla val di . Esse erano situate sulla sinistra del Brembo, oggi i Fondi, dove presentemente si trova la fabbrica cannucce per scrivere, della Ditta Dentella. Lungo la sponda destra del fiume si scava una durissima pietra che si presta alle opere di costruzione. E' una roccia arenaria di color grigio cinereo, a strati disgregabili, che presenta una curiosa fauna di molluschi. Ferve il commercio del legname. L'industria alberghiera è pure fiorente. Essa ha poco da invidiare al lusso e alle comodità dei grossi centri. Rinomati per buona cucina gli alberghi: Posta, Piazza Brembana, Alpini, Orobico (ora Bar Stazione n.d.r.), Stazione (ora Casa Orlandini n.d.r.). San Martino de' calvi conta quattro Banche: Banca Piccolo Credito Bergamasco, Banca cassa di Risparmio, Banca delle Provincie Lombarde, Banca popolare Bergamasca. … nel 1903, a Piazza, si costituì una società di tiro a segno nazionale, che ebbe tosto ben 170 soci. Il luogo scelto è piano e adatto allo scopo. Se ne ottennero presto grandi vantaggi. La Società domandò un sussidio di £. 100 a tutti i Comuni del Mandamento, i quali diedero, quasi al completo, la loro adesione. Oggi però (1944 n.d.r.) il tiro a segno è chiuso e dimenticato. … il vivaio forestale "Ai Piani" poco discosto dal Tiro a Segno, è stato importato or sono ventiquattro anni. Lo scopo è di coltivare piantine principalmente di larice e di abete rosso, il più vicino possibile ai perimetri da rimboschire nell'Alta Valle Brembana. Tuttavia, molte migliaia di queste piantine vengono spedite anche in altre valli, e , spesso, fuori Provincia… Piazza conta circa due centinaia di emigranti, costretti a trovare pane e lavoro altrove. Applicati in prevalenza al taglio dei boschi, alla cottura del carbone, vivendo isolati senza confronti morali, hanno sempre desiderato il ritorno in patria. Nessuno emigrò col pensiero di stabilirsi definitivamente all'estero; ma speciali circostanze di famiglia, o la buona fortuna, o il vincolo matrimoniale, decise spesso la massa emigrata allo stanziamento perenne in terra straniera. Così famiglie intere esularono in Francia, e alcune in Svizzera. Si può affermare che il valligiano emigrante è onesto, laborioso, risparmiatore, apprezzato dal padrone. Il movimento migratorio a Piazza non data dall'800. Una relazione ufficiale del governo veneto del 1516 nota come operai del nostro paese, si recassero a tessere drappi di seta a Firenze e a Genova…"

Il carattere e le condizioni di vita nell’ottocento

La vita degli abitanti delle valli montane è sempre stata dura e piena di ristrettezze. Il terreno delle zone alpestri non lasciava grandi possibilità di coltivazioni, ed i prodotti che l'Alta Valle poteva offrire ai suoi abitanti erano ridotti a fieno e legna. In una relazione scritta al Ministro Cavour da Stefano Centurione, viene illustrata una situazione poco felice per gli abitanti della Provincia bergamasca. Dalle parole di Centurione emerge una povertà al limite della sopravvivenza. Non c'era possibilità di occuparsi sufficientemente dei lavori agricoli e la crisi dell'industria serica e ferriera aveva ridotto di molto lo smercio della legna, il maggior prodotto che quelle terre potevano produrre. Perciò molti valligiani partirono per cercare un lavoro che procurasse loro il minimo indispensabile per il sostentamento. Per i familiari che restavano in valle la vita proseguiva tra i lavori nei campi, il pascolo di poche bestie e, nei momenti di riposo, dovevano occuparsi della costruzione della casa. Si cominciava infatti dalla stalla, poi la prima stanza e man mano che la famiglia aumentava venivano aggiunte gli altri locali. Tutto il lavoro veniva svolto dalla famiglia, anche il materiale per la costruzione veniva procurato in proprio: si cercavano le pietre, la legna, si scavava la sabbia, si preparava la calce e persino i chiodi venivano battuti a mano. Una vita che costava tanti sacrifici aggiunta all'isolamento, che solitamente accompagna le zone montuose, costringevano l'uomo delle Valli ad acquisire un carattere burbero ed accompagnato dalla tendenza al bere. Nella relazione in questione Centurione avvisa che "… Nella parte più montuosa della Provincia, e come sempre si osserva nei luoghi alpestri, gli abitanti sono più vivaci, facili all'ira, alle risse, al litigio che trova un grandissimo alimento nella suddivisione della proprietà. Da ciò rancori personali, la divisione degli animi e dei partiti fomentati il più delle volte da privati interessi anziché da diversità di opinioni politiche. Purtroppo è a lamentarsi l'abuso del vino e di altre bevande alcoliche causa impellente e precipua di risse e ferimenti; ed ancor più una tendenza in generale ai furti campestri e segnatamente nelle località ove esistano fondi e boschi già appartenenti ai Comuni… né a questa popolazione manca una certa dose di ingegno, e le belle arti vi sono coltivate anche con un certo successo; ma è a deplorarsi in generale un minor grado di coltura, un minor desiderio di istruirsi nella Classe più agiata, mentre l'istruzione è limitatissima nella Classe media, e nulla affatto nella Classe povera… l'istruzione elementare poi è pressoché nulla.". L'analisi della popolazione della Provincia di Bergamo ci descrive l'uomo dei comuni montani povero all'inverosimile, con tendenza all'ira ed all'alcool, con un grado di istruzione pressoché assente e molto superstizioso per cui facilmente malleabile e controllabile da chi più istruito di lui. Secondo il relatore le genti montane si lasciavano molto condizionare dal Clero che aveva un ascendente particolare su di loro grazie al maggior grado di istruzione e al particolare ruolo di guida religiosa. Ma anche il Governo aveva tutta la convenienza a lasciare nell'ignoranza la popolazione per poterla meglio governare. Pertanto lo sviluppo dell'istruzione ed il miglioramento delle condizioni di vita dei paesi veniva da un lato favorito e dall'altro controllato. Per contro le difficoltà della vita e l'asperità del territorio hanno fatto della "gente bergamasca" un instancabile lavoratore, ancora oggi ricercato per la sua dedizione e capacità produttiva. Il progresso di questi ultimi decenni, l'arrivo della ferrovia a Piazza Brembana, la scoperta della Valle come meta turistica, hanno modificato il tenore di vita, la mentalità della popolazione e il grado di istruzione degli abitanti. Rimane comunque però, in sottofondo e mitigato, il carattere degli abitanti della Valle Brembana acquisito nei secoli e consolidato da mille vicissitudini, un carattere riservato ed un po' chiuso, ma pronto ad intervenire nel momento del bisogno con poche parole, ma tanta determinazione.

Vie di comunicazione in Valle Brembana La Valle Brembana, in particolare la parte più a nord è rimasta una valle chiusa e poco frequentata per diversi secoli. L'Alta Valle Brembana acquistò un importanza strategica e commerciale verso la fine del 1500, nel momento in cui il Governo della Serenissima reputò importante avere un rapido collegamento con l'Europa sia per il trasporto di merce sia per il reclutamento delle milizie mercenarie dai Grigioni in caso di guerra. L'allora podestà veneto Alvise Priuli, da cui prese in seguito il nome la nuova via di comunicazione (strada "Priula"), tra il 1592 ed il 1593 presentò a Venezia il progetto di realizzazione di un nuovo tracciato per collegare Bergamo alla Valtellina attraverso la Valle Brembana. Prima di allora, infatti, per risalire la Valle dalla città era necessario percorrere la strada denominata "Mercatorum" o anche dei Trafficanti. Provenendo da Bergamo ci s'inerpicava sull'altopiano di , per giungere a Serina e di qui, superato un valico a , si scendeva verso il fiume dove un ponte permetteva di portarsi, risalendo la costa opposta, fino al Cornello, patria dei Tasso, in quel tempo paese attivissimo dove si teneva un mercato tra i più importanti della Valle. Cornello era dunque il capolinea della via "Mercatorum" e, nello stesso tempo, partenza della mulattiera che procedeva per Piazza, , fino al Passo di San Marco da dove si immetteva in Valtellina. L'economia dei transiti commerciali e dei mercati era così strutturata su un asse portante di notevole lunghezza, che spesso attraversava zone impervie ed aveva le caratteristiche di una mulattiera per gran parte del tracciato. Non era quindi adatta al passaggio di carri e di merci pesanti, né consona ai collegamenti veloci di diligenze o di cavalli. Sul suo percorso erano dislocate stazioni di tappa per dare ricetto e protezione alle carovane dei muli. Il suo nodo centrale era nel grande mercato di Serina. Su questa via erano tutti i raccordi con i mercati minori di , , , , Cornello, Olmo e Averara, e su questi centri convergevano, per tutte le necessità, le piccole e grandi plaghe contadine. Una simile struttura mercantile ostacolava gravemente ogni possibilità di sviluppo artigianale, come anche la possibilità di apertura di opifici e di officine, che avrebbero potuto contribuire alla ricchezza del territorio. E' evidente che il nuovo progetto di strada, oggi conosciuto come via "Priula", che prevedeva la partenza del tracciato dalla porta "San Lorenzo" (oggi chiamata "Garibaldi") salendo lungo il fiume Brembo e toccando paesi quali Zogno, San Pellegrino, San Giovanni e Piazza sino al Passo San Marco, sarebbe stato un passo in avanti per l'economia Veneta e, perché no anche per l'economia vallare, anche se a Venezia probabilmente poco importava lo sviluppo di una Valle povera come la Valle Brembana. Fu così che i lavori iniziarono ed alla fine del 1500 la strada era stata realizzata. Le attività produttive della Valle furono avvantaggiate, la trasformazione in pascoli dei terreni lungo le fasce fiancheggianti il tracciato della nuova strada favorì la zootecnia e facilitò il suo carattere transumante. Il tracciato doveva rispondere a scopi politici, commerciali e militari. Si prevedeva perfino che esso dovesse accogliere il traffico di mercanzie provenienti dalla Germania e dai Pesi Bassi. Questi ambiziosi programmi non trovarono corrispondenza nella realtà, tuttavia la strada rappresentò un fattore notevole di progresso per il territorio valligiano, costituendo la più diretta comunicazione dei suoi centri con Bergamo e attivando gli scambi con l'Alta Valle. I paesi come Serina, Dossena ed il Cornello subirono le conseguenze dell'isolamento e paesi come Piazza e Zogno raccolsero l'eredità di Serina, assumendo il ruolo amministrativo e commerciale della Valle. I problemi non erano però finiti, perché se una via di comunicazione ora era presente bisognava anche mantenerla efficiente. Ma il carico delle spese di manutenzione era tutto sulle spalle dei valligiani e le intemperie rendevano parecchie volte la strada impraticabile. Col trascorrere dei secoli il tracciato fu allargato, di poco spostato, adeguato alle esigenze, ma anch'oggi chi deve recarsi lungo la Valle Brembana percorre tratti di questa antica via. Nel 1906 venne inaugurato un nuovo tracciato per il trasporto in Valle Brembana: la linea ferroviaria Bergamo San Giovanni Bianco. Prima di allora l'unico mezzo di trasporto utilizzato per portare le merci ed i passeggeri era la diligenza trainata da cavalli. Essa percorreva strade in pessime condizioni ed il viaggio era disagevole ed interminabile. Si pensi che il tratto Piazza Brembana Bergamo veniva percorso in circa otto ore! Costretti a simili condizioni i Comuni della Valle accolsero con grande entusiasmo la decisione della Provincia di costruire un tracciato ferroviario che da Bergamo portasse a San Giovanni Bianco. Il progetto nato nel 1885 fu portato a termine nel 1906. La ferrovia elettrica fu una vera rivoluzione per i trasporti in Valle Brembana, ma l'Alta Valle restava ancora isolata. Per accedervi i fratelli Battista, Carlo e Angelo Donati diedero inizio ad un servizio pubblico di autotrasporti per l'Alta Valle Brembana. Il servizio iniziò nel 1912 con una Adler 509 per il tratto San Giovanni Bianco e si aggiunse nel 1913 il tratto San Giovanni Bianco Branzi. Dopo l'interruzione a causa della Grande Guerra, nel 1918 il servizio di autotrasporti ripartì più efficiente di prima. Il servizio autolinee per trasporti postali e passeggeri copriva tutti i rami della Valle giungendo a Mezzoldo, , e . La sede dell'Azienda era a Piazza Brembana presso la casa Donati in zona quadrivio. Nel frattempo venivano portati avanti i lavori per il prolungamento della ferrovia da San Giovanni Bianco a Piazza Brembana. Non fu poco lo sforzo dell'Onorevole Bortolo Belotti per ottenere le autorizzazioni per tale prolungamento. L'Onorevole Belotti, stimato in tutta la Valle per le sue doti umane e civili, fece parte del governo Nitti in qualità di sottosegretario al Tesoro. Grazie a quella carica egli poté intervenire in maniera determinata nella causa perorata dai cittadini dell'Alta Valle. A tal proposito la fiducia degli abitanti dell'Alta Valle per l'operato di Bortolo Belotti era tale, che durante il periodo elettorale del 1913 era stata diffusa una canzone che diceva: "quando Belotti alla Camera sarà la ferrovia a Piazza arriverà. dell'Alta Valle noi siamo i figli che dei consigli non ne vogliam. indipendenti, siam belottiani, - siam valligiani e vogliamo star, - vogliamo stare sempre uniti e mai sconfitti sarem. E sarà marcato nella storia e sarà la vittoria di noi Gogìs." La fiducia fu ben riposta, infatti, fu proprio lui che in rappresentanza del Tesoro firmò la concessione per il prolungamento del tracciato ferroviario nell'Ottobre del 1919. I lavori iniziarono e continuarono ininterrottamente, ma soltanto il 31 luglio 1926, dopo varie vicissitudini, venne inaugurato il nuovo tracciato San Giovanni Bianco San Martino de' Calvi Nord (nel frattempo il Comune di Piazza Brembana era stato accorpato con Lenna, Moio e Valnegra nel Comune di San Martino de' Calvi). Il percorso copriva la lunghezza di 10,6 chilometri. Da Lenna proseguiva poi verso Piazza Brembana con una lunga curva di circa due chilometri e, per recuperare quota, imboccava una galleria di 303 metri (tuttora esistente anche se in stato di abbandono), che immetteva direttamente sul piazzale della stazione capolinea. Finalmente Piazza Brembana era collegata con Bergamo e con Milano attraverso una rete ferroviaria di alta tecnologia, essendo una delle prime in Italia a trazione elettrica. La Ditta Autotrasporti Donati, trasferitasi presso la stazione ferroviaria, intanto si ingrandiva. Nonostante la morte del fratello Battista, Carlo Donati continuò l'impresa mantenendo i collegamenti con le valli laterali sia verso Mezzoldo sia verso Foppolo. Anzi, nel 1934 e 1935 istituì le nuove autolinee Milano Foppolo, Roncobello, Branzi e Carona, Piazzatorre, Santa Brigida, ed anche la linea Bergamo- Piazzatorre. Nel 1950 si aggiunse anche il collegamento Pavia Lodi Piazza Brembana Foppolo per il periodo estivo ed invernale. Nel 1956 le concessioni e tutta l'organizzazione vennero cedute alla Società Italcementi e nell'anno 1963 una parte dei convogli ferroviari per l'Alta Valle vennero soppressi e sostituiti con Torpedoni. La decisione non fu accolta benevolmente dalle amministrazioni della Valle. Effettivamente le condizioni di viabilità sulle strade non erano delle migliori. In una relazione scritta nel 1964 in merito alla soppressione di alcune linee ferroviarie si legge: " … il traffico è intenso specialmente nelle stagioni primavera, estate ed autunno, caratterizzato da un'alta percentuale di mezzi pesanti che ostacolano … il deflusso normale del traffico più leggero e veloce. Il sorpasso di questi mezzi non può avvenire che in determinati punti che lo consentono, sia pure con un margine di sicurezza limitato. Si calcola che non meno di 300 autotreni percorrono la strada di fondo Valle giornalmente prima in un senso e poi nell'altro e quasi per intero nelle ore diurne. In queste condizioni il massiccio trasferimento sulla strada del traffico ferroviario con oltre 50 corse, molte delle quali con due o più autobus, porterà sicuramente nelle stagioni considerate un aggravamento degli inconvenienti … ed un ulteriore rallentamento della circolazione dei mezzi [in valle]. Oltre agli incidenti stradali, che anche di minima entità, fermano comunque il traffico. … nella stagione invernale il traffico è intenso nei giorni festivi a causa delle attività sciistiche, ma al traffico stesso si sostituiscono le condizioni sfavorevoli della stagione, con neve, ghiaccio e nebbia …". Il problema del traffico lungo la Valle Brembana era già allora, come oggi, molto sentito. Ed in realtà il trasporto pubblico con autolinee arrivava a contare ritardi di 30 ed anche 45 minuti. Oltre a questo le fermate lungo la strada statale degli autobus causavano colonne di automobili impossibilitate al sorpasso dalle condizioni della strada stretta. Furono parecchi gli interventi a favore del ripristino delle corse ferroviarie. Ma più passava il tempo più le richieste della Società ferroviaria, che aveva in concessione le ferrovie di Valle Brembana e Seriana, si facevano drastiche. In proposito nel 1966 l'on. Biaggi Deputato al Parlamento scrisse al Ministro dei Trasporti un'interrogazione nella quale si chiedeva se fosse "a conoscenza della domanda inoltrata dalla Società delle Ferrovie delle Valli Brembana e Seriana, con sede a Bergamo, per l'immediata cessazione del servizio ferroviario … con conseguente disagio per le popolazioni delle vallate interessate, preoccupate per la ventilata sostituzione del servizio ferroviario con quello automobilistico, soprattutto, a causa delle difficili condizioni nelle quali versano le comunicazioni stradali con conseguenze … nei riguardi della durata delle percorrenze e di possibili incidenti…". La risposta fu la seguente: "La Concessionaria ha in effetti presentato … la domanda per la sostituzione mediante autoservizio delle ferrovie della Val Brembana e della Val Seriana. …[il Ministro dei Trasporti] non può farsi a meno di rilevare la grave situazione in cui si trova la gestione delle due ferrovie a causa della notevole diminuzione degli introiti, dovuta alla concorrenza della motorizzazione privata e dei servizi stradali, preferiti al pubblico …il problema dovrà essere pertanto accuratamente esaminato … tenendo presente che eventuali economie potrebbero essere utilizzate per altri investimenti più produttivi, fra cui la stessa sistemazione delle strade di cui si lamenta l'inadeguatezza. …". Il destino del trenino elettrico della Valle Brembana era segnato. Dal 1° settembre 1967 avveniva la trasformazione in autoservizi delle ferrovie Bergamo San Giovanni Bianco Piazza Brembana con conseguente chiusura della linea ferroviaria. Del trenino elettrico che attraversava la Valle Brembana rimane soltanto un ricordo che se ne va sfumando col tempo. Ed i problemi di traffico lungo la statale di Valle Brembana non sono ancora stati risolti !

Eugenio Goglio

L'artista fotografo e scultore Eugenio Goglio è una delle figure più illustri che Piazza Brembana può vantare. Egli nacque a Piazza il 14 Marzo 1865 da Isacco e Olimpia Martinelli. Nel 1879 su consiglio di don Angelo Tondini, Arciprete di Piazza Brembana, intraprese gli studi all'Accademia di Brera a Milano ove si diplomerà nel 1884. Tra il 1883 ed il 1888 frequentò i corsi serali della Scuola Superiore di Arte Applicata alle Industrie. Il suo interesse per la fotografia nacque attorno al 1885. Nell'ultimo decennio del secolo tornò a Piazza Brembana per aiutare la madre anziana nella gestione dell'ufficio postale da lei gestito. Nel 1895 sposò Anna Maria Losma da cui ebbe sette figli e si risposò nel 1905 dopo essere rimasto vedovo con Angela Losma dalla quale ebbe quattro figli. Nel 1898 iniziò la professione di fotografo che proseguirà fino alla sua morte, che avvenne il 31 Marzo 1926 a causa di una polmonite.

Viene qui di seguito riportato un articolo pubblicato su "Il Bergamasco" Novembre 1976- anno V n.8 in occasione della mostra organizzata dalla Biblioteca di Piazza Brembana nel 1976 per riscoprire il fotografo Eugenio Goglio.

"Retrospettiva alla Biblioteca civica di Piazza Brembana L'Alta Valle Brembana nelle fotografie di Eugenio Goglio di Pino Viscusi

Alla fine dell'Ottocento , i primi successi della fotografia produssero ovunque inattesi fermenti: decine e decine di studi fotografici si aprirono nelle grandi città; perfino in provincia, nelle valli più sperdute, questo nuovo mezzo espressivo si diffuse con crescente celerità. Il dagherrotipo è la macchina che riproduce perfettamente personaggi e immagini, e perfino il "villano" impara ad agghindarsi per divenire attore innanzi all'obiettivo, e tramandare ai posteri la sua immagine ufficiale. Il fotografo diventa un personaggio importante nella società dell'epoca, e la sua fama aumenta con le capacità che dimostra nel trasferire sulla carta impressionata la realtà quotidiana, imprimendole quel certo artificio, che la renda poetica, più suggestiva: logicamente questo artista del "ciak" prende a prestito dalla pittura la composizione dei piani a cui si ispira per lunghi anni. Si instaura così tra fotografi e pittori una certa analogia di interessi, anche perché la pittura stava vivendo dopo epoche fulgenti un periodo di stasi e di accademismo, nella ricerca di nuove forme compostive. Ai primi del Novecento la stampa preferiva ancora documentare gli avvenimenti di cronaca con il disegno, ritenuto assai più incisivo ed espressivo della fotografia, per cui i fotografi in Italia, al contrario che in Francia, non godettero subito di eguale notorietà, anzi si cercò di minimizzare l'importanza della stessa preferendo le istantanee e le documentaristiche, che non intaccavano le prerogative della pittura accademica. "La Domenica del Corriere", che ha fatto storia con le famose illustrazioni a tutta pagina di Beltrame, non poteva però ignorare l'estremo interesse suscitato dalla fotografia, e nel 1899 bandì tra i lettori un concorso per la migliore fotografia "istantanea" e non "in posa" rappresentante una "scena di vita popolare con carattere originale". Il premio venne attribuito al Conte Giovanni Sanvitale di Parma, per la fotografia "Donne del contado parmigiano che spiumano". In duplice panorama toccherà alla fotografia, come ultima nata delle Muse, di essere mediatrice, nel linguaggio delle immagini, tra tumulti culturali dell'epoca e le nuove esigenze iconiche e figurative dell'informazione, prima il fotografo "artista", poi quello documentario e poco più tardi il fotoreporter divengono i messaggeri della nuova informazione visiva. Uno dei primi e maggiormente degni fu senza dubbio Eugenio Goglio, un modesto scultore di Piazza Brembana, che nel 1890 preferì, all'esecuzione di statue e di elaboratissimi intagli di cornici e specchiere, aprire uno studio fotografico, per dedicarsi interamente a questa nuova attività, sino alla sua morte avvenuta nel 1926. Dall'imponente mole di un incessante quanto appassionato lavoro, è nata così una storia inedita di immagini e di avvenimenti che interessano per più di un quarto di secolo tutta la Valle Brembana. Inutile soffermarci sulla importanza di simili documenti, di cui ci serviremo in prossimi articoli per rilevare quel processo di degradazione ambientale che ha trasformato senza arricchirla la tradizione e l'economia di tutta una comunità, che ha creduto di risolvere col turismo i suoi problemi di sopravvivenza; quello che ci interessa ora sottolineare, sono le qualità artistiche di Eugenio Goglio, che, come afferma Domenico Lucchetti, fu quasi sicuramente il più grande fotografo che ebbe nell'Ottocento la provincia di Bergamo. A cinquant'anni dalla sua morte, il Comitato di Gestione della Biblioteca Civica di Piazza Brembana ha allestito una mostra retrospettiva delle fotografie del Goglio, in collaborazione con la signora Oldrati Goglio, nipote dell'artista, che ha custodito gelosamente sino ad oggi le lastre originali. Delle settemila lastre conservate, la maggior parte però riguardanti fotografie formato visita, la signora Dolores Goglio, ha cercato di scegliere le più rappresentative nei vari settori di interesse, dai gruppi di famiglia, a quelli di lavoro, dalle scene di ambiente a quelle paesaggistiche. La nitidezza di molti originali ha permesso di ingrandire in pannelli alcuni particolari che danno maggiormente la sensazione delle grandi qualità espressive del Goglio, che sapeva imprimere ai suoi personaggi la tipicità dei caratteri ambientali, in una eleganza dignitosa anche se povera dei costumi, dove ogni particolare riveste un ruolo essenziale. Mentre nelle composizioni dei gruppi familiari dei suoi compaesani conferiva al paesaggio un ruolo del tutto complementare, nel ritrarre i villeggianti li avviluppava quasi nel paesaggio stesso, fino a renderlo inscindibile dai personaggi, assolutamente impensabili in diverso sfondo. Nelle fotografie il Goglio si preoccupava di mettere in evidenza la condizione sia sociale che psicologica dei suoi personaggi, perciò ritraeva solitamente i gruppi di famiglia contadini sull'aia della loro abitazione; quando invece il gruppo di famiglia era il suo, elaborava una studiata composizione in cui l'ambiente borghese dell'interno si abbinasse con qualche particolare rustico dell'esterno. In alcune statiche inquadrature, il notevole risultato finale si può cogliere osservando il taglio dei piani, la distribuzione dei particolari, l'attenta scelta dei luoghi, e non sfugge la vivacità del gioco compositivo dovuta alla diversa direzione degli sguardi sapientemente indirizzati: nulla infatti è lasciato all'improvvisazione, tutto è accuratamente studiato come in una rappresentazione scenica; da perfetto regista, egli riusciva a infondere fiducia nei suoi attori, a renderli più che partecipi dell'importanza del loro ruolo espressivo; così dietro ogni volto recuperato e valorizzato nel momento magico della posa si nasconde una carica di così intensa comunicativa che scompare qualsiasi problema di fotogenia. Pure nella rigidità dei corpi, e specialmente nella quasi totale mancanza di una mimica plastica delle mani, il fotografo si distacca dalle convenzionale "routine" degli artisti di tradizione romantica, per avvicinarsi più alle esperienza di Courbet, contribuendo a ristabilire il gusto per la semplicità, come senso di profonda vitalità fisica.”

Francesco Albera

Viene riportato di seguito un articolo pubblicato su "Zogno notizie" n. 6 dicembre 1998. "Albera Francesco Antonio Leopoldo nasce ad Oleggio (No) il 13 novembre 1854 da Francesco (possidente) e da Maria Teresa Castini (contadina). Artista-scultore girovago incontra a Milano Eugenio Goglio, fotografo-scultore di Piazza Brembana, con il quale frequentò gli ambienti della scapigliatura milanese. Diventati amici, egli giunse in Valle Brembana al seguito di Goglio e si stabilì a Piazza Brembana, dove iniziò a frequentare un gruppo di artisti del luogo. Lo troviamo quindi a fianco dello stesso Eugenio Goglio, il fotografo che immortalò luoghi e personaggi della Valle a cavallo tra l'ottocento ed il novecento, Giacomo Calegari, pittore rinomato nella Valle Oltre la Goggia, Giacomo Mostacchi detto "Santiago", fabbro, conosciuto per aver costruito l'orologio del campanile della Parrocchia di San Martino Oltre la Goggia. Durante la sua vita d'artista egli si occupò in particolare di decorazioni religiose. Accanto ai lavori decorativi dei balconi e finestre in stile floreale e liberty, ancor'oggi visibili sulle facciate di parecchi edifici privati, non sono poche le chiese, parrocchiali e non, che vantano di averlo avuto come decoratore e stuccatore. La statua marmorea del Santo Patrono S.Giovanni Battista in Brembilla, come le statue dell'Immacolata, di San Giuseppe e S.Gio.Battista che campeggiano l'abside della parrocchiale sono opera di Francesco Albera ed anche la statua in rame di San Lorenzo martire, che dall'alto del campanile della chiesa parrocchiale di Zogno domina il paese. Nel 1892 quando fu posta la statua del Santo patrono di Zogno sulla cima del campanile, furono collocati anche quattro angeli poi rimossi. Ma l'operato di Albera nella chiesa di Zogno non si ferma qui. Egli progettò e realizzò, probabilmente incaricato da privati che vollero fare un dono alla Chiesa parrocchiale, le statue dei dodici Apostoli disposti lungo le pareti laterali della navata. Le prime sei statue furono realizzate in stile neoclassico, mentre le altre in uno stile più libero. Un attento osservatore può, infatti, notare le linee armoniose del corpo e la serenità del viso di San Pietro, San Paolo, San Giovanni, S.Andrea e S.Giacomo maggiore e la classicità delle loro vesti (tipici aspetti dell'arte neoclassica), mentre San Taddeo, S.Simone, San Bartolomeo, S.Giacomo minore ed i Santi Filippo e Matteo mostrano lineamenti più tormentati, nella muscolatura e nelle espressioni dei loro visi, quasi a cogliere in un'istantanea le passioni vissute dai personaggi nell'istante in cui sono raffigurate, in più le tuniche che li vestono presentano un taglio originale e dismesso. Prestò inoltre la sua opera per ornare la facciata della parrocchiale di Mezzoldo con statue, che furono poi asportate durante i restauri nel 1944 e lavorò come stuccatore a Valtorta. Molto conosciuto in Alta Valle, poiché là dimorava Francesco Albera è ritenuto un artista di gran prestigio soprattutto dai cultori d'arte del Comune di Piazza Brembana ove compì parecchi lavori. Tra questi è da segnalare il progetto di ristrutturazione ed innalzamento del campanile della chiesetta comunale di San Bernardo, ripreso per intero dall'Ing. Santo Calvi (tecnico comunale di Piazza Brembana), che ne seguì i lavori e affidò l'incarico all'Albera di eseguire le decorazioni; la Statua della Vergine Immacolata, posta sulla cima del campanile stesso come ancora oggi si può ammirare; collaborò anche al progetto per la realizzazione del nuovo cimitero di San Martino Oltre la Goggia in Piazza Brembana e Lenna. Egli scolpì il Vegliardo con falce e clessidra, (1910) posto nel nuovo cimitero di Piazza e Lenna nel 1912, ornò assieme al Goglio la cappella della famiglia Calvi raffigurando una fila di donne e uomini piangenti e effettuando una decorazione che rappresenta il simbolo egiziano del Sole. Queste furono le sculture che realizzò nei suoi ultimi anni di vita, pur non arrivando a vedere l'intera opera completata. Morì, infatti, a soli 56 anni il 29 gennaio 1911 nella casa in cui dimorava in via centrale 25 a Piazza Brembana ed il cimitero fu ultimato un anno dopo. Una diceria popolare racconta che a causa della sua vita dissoluta ed il suo dichiarato ateismo, l'arciprete di San Martino Oltre la Goggia si fosse rifiutato di seppellirlo in luogo consacrato, cosicché l'artista che dedicò una vita intera alla decorazione dei luoghi sacri della Valle fu sepolto in terra non benedetta."

I Fratelli Calvi

La Grande Guerra, che coinvolse l'Italia tra il 1915 ed il 1918 venne vissuta in valle con grande patriottismo. Tanti giovani partirono per il fronte e di questi molti non tornarono. Tra questi i quattro fratelli Calvi. Essi nacquero a Piazza Brembana nella casa posta nell'odierna via F.lli Calvi a loro dedicata proprio di fronte al monumento dei caduti. Li vi abitava Gerolamo Calvi, Sindaco di Piazza dal 1893 al 1914 e presidente del Mandamento di Piazza, uomo infaticabile e costantemente impegnato a portare miglioramento nella vita dell'Alta Valle Brembana, con la moglie Clelia Pizzigoni originaria di . Lì nacquero i figli che moriranno da eroi in giovane età: Natale, Attilio, Santino e Giannino. Attilio nacque il 20 novembre 1889, si laureò in legge e da poco iniziata la sua carriera di avvocato nel 1911 si arruolò per la Guerra di Libia ove ottenne una medaglia di bronzo al valor militare. Ritornò con grande a Piazza Brembana nel 1913, ma la Grande Guerra lo vide ripartire nel 1915 per la zona del Tonale ove conquistò una medaglia di bronzo e una d'argento al valor militare. Morì in battaglia ai piedi della vetta dell'Adamello il 1 maggio del 1916. Fu promosso Capitano sul campo e gli furono assegnate altre due medaglie d'argento. Natale nacque il 26 febbraio 1887. Intraprese gli studi classici e nel 1913 partì arruolato per la Guerra di Libia. Tornò nel 1914 e nel 1915 ripartì per il Tonale. Nell'ottobre 1915 fu promosso Capitano e durante diverse battaglie riceve due medaglie d'argento ed una di bronzo al valor militare. Il 23 ottobre 1918 restò ferito in battaglia ove perse un piede. Mutilato ritornò a Piazza Brembana nel 1919 dopo la morte degli altri fratelli. Nel 1920, il 16 dicembre morì nel tentativo di scalare l'Adamello. Santino nacque il 3 maggio 1895. Intraprese gli studi classici come il fratello Natale. Nel 1914 studente in giurisprudenza lasciò l'università per arruolarsi volontario. Ottenne subito una medaglia d'argento. Il 12 dicembre 1915 fu ferito da una pallottola nemica, che gli perforò la mandibola. Nel 1916 si guadagnò la medaglia di bronzo. Il 10 giugno 1917 all'Ortigara morì eroicamente in battaglia ottenendo una medaglia d'argento al valor militare. Giannino nacque il 6 maggio 1899. Partì per la Guerra nel 1917 dopo la morte di Santino e fu mandato nella Compagnia del fratello Natale. Sopravvissuto alla battaglia del Grappa morì di "spagnola" l'11 gennaio 1919. I funerali solenni si tennero a Piazza Brembana il 30 ottobre 1921, quando le quattro salme furono processionalmente portate nella cappella Calvi al cimitero di Piazza. Nel 1922 fu inaugurato il Monumento ai caduti di Piazza Brembana. Sul lato rivolto verso la via F.lli Calvi si legge: " Natale Attilio Sante Giannino. Fiore dell'italica gioventù orgoglio della natia Piazza Brembana i quattro fratelli Calvi con impeto d'aquila difesero in guerra le vette della patria morte li spense gloria li cinse d'alloro immortale". La madre degli eroici fratelli visse con il suo dolore sino al 2 marzo del 1953 quando raggiunse il marito ed i figli. In suo ricordo nel 1955 venne costituita la "Fondazione Mamma Calvi" su iniziativa del Generale Giovan Battista Calegari. Lo scopo della nascita della Fondazione lo si può trarre leggendo il primo articolo del suo statuto: "Ad iniziativa del Generale Dott. G.Battista Calegari Presidente del Comitato all'uopo costituitosi per la raccolta dei fondi necessari, e perché l'esempio duri nel tempo, viene istituita la "Fondazione Mamma Calvi" Madre degli Eroi Natale, Attilio, Santino, Giannino, da tutti ammirati e da Lei preparati alle glorie d'Italia. Scopo della Fondazione è quello di erogare, ogni anno, uno o più premi a quegli alunni delle Scuole elementari di Piazza Brembana, che, nel corso dell'anno, si siano particolarmente distinti per sentire e per studio. In tal modo l'opera commuovente di Mamma Calvi e le Gesta Eroiche dei Quattro Fratelli Calvi, verranno ogni anno rievocate sicché, alla luce di tanto esempio, le generazioni venienti, non potranno non sentirsi sospinte a imitare per l'orgoglio delle loro terra e per la grandezza della loro Patria.". La cerimonia di premiazione degli alunni avviene ogni anno il 4 Novembre in occasione dell'anniversario della Vittoria. Il comune di S.Martino de’ Calvi

Il Comune di Piazza, divenuto Piazza Brembana con Regio Decreto nel 1863, tra gli anni 1927 e 1957 fu accorpato con i comuni di Lenna, Moio de' Calvi e Valnegra in un unico Comune denominato San Martino de' Calvi. Come tutte le cose non volute dal popolo, ma imposte dall'alto, la decisione di riunire i quattro Comuni in uno soltanto non fu accettata dai cittadini dei paesi interessati. Anzi, questo fomentò discordie campanilistiche, che già esistevano e creò malumori tra la popolazione. Fin da subito i capi famiglia dei già disciolti Comuni si riunirono per chiedere il ritorno all'autonomia nei limiti territoriali precedenti e le spinte in tal senso erano così pressanti, che il Sindaco Oberti fu costretto a chiedere al Prefetto un urgente intervento perché non accadessero manifestazioni di violenza. Ma la deputazione Provinciale non fu del parere di ricostituire i Comuni di Piazza Brembana, Lenna, Valnegra e Moio de' Calvi. La costituzione del Comune di San Martino de' Calvi pose il problema riguardante la collocazione dell'edificio comunale affinché si trovasse in un punto "equidistante" dalle Frazioni, che esso accorpava. Venne così deciso di costruire un nuovo edificio presso il "Dosso di San Martino" ove già sorgeva la Parrocchiale di Piazza e Lenna in posizione centrale rispetto agli ex-comuni. Il nuovo Municipio fu progettato dall'Ing. Luigi Angelini, che lo collocò in maniera di poter sfruttare una vecchia cava di pietre esistente come parte sotterranea per ricavarne un magazzino e garage. Il piano terra ed il primo piano erano riservati agli uffici ed il secondo piano era da adibirsi ad uso abitazione. I lavori vennero appaltati nel 1929 ed il nuovo Municipio venne inaugurato nel 1931. Nel 1957, dopo continue proteste e richieste, il Comune di San Martino de' Calvi venne sciolto ed i quattro Comuni poterono tornare ad avere l'autonomia amministrativa tanto agognata. L'edificio del Comune di San Martino essendo nel Comune di Piazza Brembana, restò di proprietà di quest'ultimo ed a tutt'oggi gli uffici comunali di Piazza Brembana si trovano nei locali di quel palazzo, che venne ristrutturato in due momenti, nel 1987 e nel 1995. Naturalmente anche gli stemmi comunali ebbero una mutazione con l'unione dei Comuni e la loro ricostituzione. Lo stemma adottato dal Comune di San Martino de' Calvi fu disegnato dall'Ing. Luigi Angelini e rappresentava l'aquila ghibellina nera in campo bianco nella parte sopra ed un albero verde su piazzola bianca in campo rosso nella parte sotto. Nel 1957 il ricostituito Comune di Piazza Brembana volle un nuovo stemma, che lo distinguesse dal precedente ed adottò uno stemma con Troncato nel I° di azzurro e nel II° di nero caricato da due spade di argento, manicate dello stesso, poste in Croce di Sant'Andrea e con le punte rivolte in alto a ricordo delle lotte sostenute da partiti Guelfi e Ghibellini. Dopo ricerche riguardanti gli emblemi che rappresentano gli Enti Locali, si è scoperto che lo stemma ed il gonfalone adottato dal Comune nel 1957 non aveva il riconoscimento della Consulta Araldica della Repubblica come richiesto dalla legge. Perciò l'Amministrazione Comunale nel 1998 decise di scegliere un nuovo stemma. Esso è molto simile a quello disegnato dall'Ing. Luigi Angelini: troncato nel primo d'argento racchiudente un'aquila nera, che indicava la parte Ghibellina durante il periodo delle lotte guelfe e ghibelline; nel secondo troncato di rosso il Platano, simbolo di sicurezza, posto su piazzola d'argento. Chiesa di S.Bernardo Percorrendo l'antica via Priula, ora via San Bernardo, si giunge al complesso costituito dall'Oratorio di San Bernardo. La chiesa dedicata al Santo e recante sull'estremità del campanile l'immagine dell'Immacolata è di proprietà comunale. Il campanile della chiesa di San Bernardo, che si erge sopra i tetti del più antico nucleo di Piazza, è molto diverso da come si presentava nel secolo XIX. Fu, infatti, ristrutturato ed innalzato tra il 1900 ed il 1901. Se ipoteticamente potessimo tornare alla seconda metà del 1800, ci troveremmo di fronte un campanile non molto più alto delle case che lo circondano di struttura romanica con la cuspide terminale ottagonale e la cella campanaria a bifore dagli archetti a tutto centro. Essendo in cattivo stato e pericolante, il Comune di Piazza Brembana, sollecitato dai cittadini, diede incarico all'Ing. Santo Calvi di compiere una perizia ed in seguito di stendere un progetto di ristrutturazione del campanile. Il primo progetto si limitava a ristrutturare la parte di campanile esistente e di porre all'altezza del cornicione una terrazzina, che lo riparasse. Ma a lavori iniziati le condizioni della struttura si rivelarono peggiori del previsto e ci si accorse che mantenendo l'altezza originaria il campanile sarebbe rimasto troppo incassato nelle case circostanti. Venne, perciò, deciso di demolire le parti troppo rovinate dall'acqua e ricostruirle innalzando la costruzione. In più venne dato incarico allo scultore Francesco Albera di eseguire la parte ornamentale e decorativa delle spalle ed arcate della nuova galleria, del parapetto, il piedistallo e la statua della Madonna Immacolata da porre sopra la torre campanaria. Il nuovo campanile fu ultimato nel 1901 come ancora oggi lo si può ammirare. Il Santo a cui la chiesa è dedicata è probabilmente San Bernardo di Mentone, fondatore di famosi ospizi sulle Alpi e protettore dei valichi alpini. E' infatti presumibile che i nostri antenati, che con tanta frequenza battevano i passi delle Orobie verso la Valtellina incappando spesso e volentieri nei briganti, rivolgessero le loro preghiere a questo Santo più che al grande Dottore della chiesa San Bernardo di Chiaravalle. Ad avvalorare questa ipotesi c'è anche la pala dell'altare maggiore e l'antica croce della chiesa sulle quali è raffigurato il Santo con il demonio incatenato ai suoi piedi, particolare che è proprio dell'iconografia di San Bernardo di Mentone. Non si ha una data precisa della costruzione della chiesa, ma si sa che era già esistente durante la visita apostolica di San Carlo Borromeo nel 1575. Però l'antica Croce che viene assegnata alla fine del '400 riporta già l'immagine di San Bernardo e la struttura della chiesa è romanica, stile che occupò tanta parte del Medioevo. Si presume quindi che esistesse già nel secolo XV. Nella parte sottostante la chiesa esistono ancora i segni delle grandi arcate, costituenti forse l'ingresso dell'antico Oratorio, demolito per innalzare forse quello cinquecentesco. Nel XVI secolo la chiesa di San Bernardo appariva diversa da come la si può osservare oggi: gli altari erano tre, come oggi, ma al posto delle attuali tele erano provvisti di pitture a fresco; due finestre ai lati della porta principale vennero fatte togliere perché troppo basse. Alla fine del 1600 l'Oratorio venne rifatto e adornato in stile Barocco con stucchi, paraste e capitelli e gli altari vennero abbelliti con tele e ancone ignee intagliate. Nel 1995 durante un restauro sul cartiglio dell'arco trionfale si è scoperta la frase "de forti egressa est dulcedo" ( "dal forte è uscita la dolcezza" Libro dei Giudici XIV) anno 1717. Da questa data l'Oratorio appare come lo vediamo noi oggi. Le opere che si possono contemplare durante la visita alla chiesa di San Bernardo sono:

- Croce astile processionale di rame dorato alta cm.85 dalle formelle terminali quadrilobate e con graziose sporgenze a bocche e spine. Giunse qui "mandata da Siena da alcuni uomini che operavano ivi" per motivi di lavoro, in dono alla loro chiesa di San Bernardo. Sul retto reca il crocefisso e ai lobi i simulacri dei quattro evangelisti. Sul verso S.Bernardo al centro e ai lobi la Vergine, San Martino, San Sebastiano e San Rocco. E' opera di squisita fattura a sbalzo e cesello della fine del '400 e spirante aria arcaica di sapere gotico-bizantino.

- Sopra l'altare maggiore domina la maestosa pala di San Bernardo, tela forte per modellato e ricca di chiaroscuro, opera di Andrea Michieli detto il Vicentino, allievo del Tintoretto come attesta la firma posta sulla predella di San Bernardo. Accanto a San Bernardo in trono, sono raffigurati San Francesco e San Carlo. S. Carlo fu canonizzato nel 1610 e Andrea Vicentino moriva nel 1614 perciò trattasi di un dipinto eseguito fra il 1610 e il 1614.

- Circa alla stessa epoca si può assegnare la pala di S.Stefano affiancato dai SS. Rocco e Sebastiano all'altare laterale di sinistra entro ancona centinata. L'opera è assai luminosa e di gran pregio: risente del Moroni quanto all'impasto delle tonalità, e del Palma il giovane quanto al modellato delle figure.

- All'altare laterale di destra entro una nicchia dorata, è posta la statua della Vergine Immacolata, centro devozionale più importante della chiesa. Ogni anno l'8 dicembre si celebra la Sua grande festa e l'effigie è portata in processione lungo le vie del paese. La statua qui portata dalle suore dell'Istituto Canossiano, è buona opera di scultura in legno della fine del '700, inizio '800.

- Alle pareti laterali a sinistra la pala di S.Carlo raffigurante la Vergine con il Bambino in gloria tra gli angeli e ai piedi in venerazione i SS. Giuseppe, Carlo e Antonio, opera di buona fattura e di maniera della bottega del pittore C.Ceresa (1609-1679) di cui certamente si riconosce la mano dell'impostazione generale e nei SS. Giuseppe e Antonio . La pala proviene dalla chiesetta di S.Carlo ed è qui riposta dopo i due recenti restauri visto il degrado dovuto ad umidità ed una infelice esposizione nel luogo originario. Fu donata dai fratelli Antonio e Francesco fu Guarisco Donazelli nel 1644.

- Alla parete di destra la pala settecentesca raffigurante la Vergine in gloria con due Sante (Santa Maria Maddalena con gli unguenti in mano e S. Caterina che poggia i piedi sopra la ruota dentata). L'opera per l'impostazione felice e il colorito di un impasto ben accentuato si può attribuire a Enea Talpino detto il Salmeggia morto nel 1626 o certamente da un suo seguace, forse la figlia Clara o il figlio Francesco, entrambi buoni pittori.

- Buone anche le due tele poste di qua e di là del presbiterio: Sant'Antonio con il Bambino e S. Francesco Saverio morente in vista delle coste cinesi. Sono opere attribuibili al pittore settecentesco Francesco Pollazzo.

- Buona per colorito ed impostazione la tela rappresentante la SS. Trinità posta sulla volta del presbiterio. E' opera settecentesca ricavata da quadro più ampio.

Il concerto delle campane era di tre: la maggiore venne requisita nel 1943 a scopo bellico, la media recava la data 1688 e la minore del 1828. Il 29 agosto 1954 nel centenario del dogma dell'Immacolata, venne consacrato dal vescovo Piazzi il nuovo concerto di cinque campane in la bemolle alto.

Il complesso dell'Oratorio di San Bernardo in Piazza Brembana fu gestito dalla Congregazione di monache terziarie francescane fino alla fine del diciottesimo secolo, quando, con l'inizio della dominazione napoleonica, furono soppressi tutti gli ordini religiosi esistenti sul territorio. Per non perdere la possibilità di poter usufruire dell'ex convento nel caso di una futura riapertura, le ex monache francescane Suor Maria Annunciata Fondrini e Suor Serafina Calvi decisero di acquistare i locali che costituivano il Convento. Col passare degli anni e sentendo vicina la morte Suor Maria Fondrini stese testamento nel quale lasciava l'incombenza alla compagna Serafina Calvi di usufruire della sua sostanza ed impiegarla se possibile nel mantenere nei locali predetti le monache o le persone che si fossero rese disponibili a fondare una scuola nel Comune di Piazza Brembana. Questo non tardò ad avverarsi. Suor Serafina lasciò come eredità la parte dei locali da lei posseduti al sig. Sebastiano Calvi di Valnegra, il quale morto a sua volta lasciò tutto alla moglie Francesca Gervasoni. Quest'ultima decise poi di fare donazione della sostanza ereditata all'Arciprete di San Martino Oltre la Goggia con la condizione che "l'arciprete donatario debba determinare gli oggetti donati a quell'uso pio, che fu sapientemente determinato dal … testamento della ex monaca Annunciata Fondrini". L'Arciprete si trovò proprietario di tutto l'ex Convento di San Bernardo, lo ristrutturò e lo donò al Pio Luogo Elemosiniero affinché lo gestisse nei modi prestabiliti. Era il 1843. Nel 1854 Don Angelo Tondini, Arciprete di San Martino, decise di dar vita al soppresso convento perché operasse per il bene del paese. Pensò perciò di fondare una casa religiosa e farla abitare dalla Comunità Canossiana, da poco nata. Nel 1856 si insediò a San Bernardo la nuova comunità religiosa e dal 1858 venivano aperte le prime tre classi elementari gratuite. Nello stesso periodo le stesse aprirono un asilo infantile; tra il 1870 e 1895 fu aperta anche una scuola delle maestre di campagna, che permetteva alle ragazze già adulte di raggiungere un certo grado di cultura. Nel 1909 la scuola elementare privata divenne statale ed alle suore subentrarono maestre laiche e nel 1915 venne aperto il nuovo asilo infantile, eretto a Ente Morale il 17 febbraio 1916 e gestito fino ai giorni nostri dalle monache Canossiane. La terra dei “Gogis”

Segue un articolo, scritto da Bortolo Belotti, pubblicato su "L'eco di Bergamo" il 2 settembre 1935 in cui l'autore spiega il significato del termine "Gogis" soprannome degli abitanti dell'Alta Valle Brembana. "sono moltissimi gli atti coi quali si accerta in modo indiscutibile l'antichissimo uso della denominazione colla quale viene identificata l'Alta Valle Brembana: "Ultra Agugiam", "Ultra augugiam", "Oltre la Gocchia", "Oltre la Goggia", "Ultra iugum", "Oltre il giogo". I "Gogis", vale a dire gli abitanti dell'Alta Valle Brembana, se anche si caratterizzano per uno spirito singolarmente aperto, per un linguaggio che annuncia talora le vicinanze della Valtellina e per tradizioni diverse da altre località della Valle, sono pur sempre della stessa stirpe degli altri abitanti della Valle medesima: valbrembanini, quindi, purosangue! Ove si trova il punto che segna il limite dell'Alta Valle? E cioè la Goggia, la Gocchia, La Gogia? L'espressione si riferisce alle rocce acute, a forma appunto di guglie che spuntano, si può dire, dalla valle dopo Camerata allo sbocco della Parina sulla riva sinistra del Brembo. Sino dal trecento, l'Alta Valle si chiamava "oltre la Goggia" e la mente corre alle strane guglie o punte di roccia simili a gigantesche punte di ago (bergamasco: gogia) e in ilaliano anche "gucchia" "agocchia" sorgenti nella località in cui la Parina entra nel Brembo e corrispondenti poi alle espressioni plurali "Augugias", "Augugia" "Ultra Augugiam" ecc. Tali guglie rappresentano il punto d'inizio dell'Alta Valle Brembana e del territorio dei "Gogis"; esse esistevano quando la strada "Priula" per cui si sarebbero ricavate le altre presenti goggie, non esisteva ancora, mentre era usata la denominazione "Oltre Goggia" ".

La parrocchia di S.Martino

La Parrocchia di San Martino oltre la Goggia in Piazza Brembana e Lenna come la si può ammirare a tutt'oggi è il risultato di una serie di rifacimenti nei secoli. La Chiesa esisteva già nel Medioevo e fu rifatta poi nel '400 con vari cambiamenti sino alla seconda metà del 1800 quando, a causa del cattivo stato dell'edificio, fu strutturata all'incirca come oggi la possiamo ammirare. La nuova Chiesa fu consacrata nel 1883 dal Vescovo Mons. Guindani. Visitando la Chiesa, si può ammirare la struttura esterna con la facciata a tre arcate ogivali in stile Neogotico; la grande scalinata in granito serizzo da cui si accede, rinnovata nel 1999; il campanile con bifore, pinnacoli e statue telamoni, ristrutturato ed innalzato nel 1901 su progetto dell'Ing. Santo Calvi ed opera dell'impresa Andrea Mostacchi. Nelle fotografie antecedenti al 1900 si può osservare la struttura del vecchio campanile, più basso e con un piccolo tetto sopra il quale vi era una piccola croce. All'interno l'edificio è suddiviso in tre navate corrispondenti alle tre arcate ogivali del portico. Prima degli anni '60, la volta era decorata con motivi ornamentali goticheggianti, successivamente al 1964 l'interno venne completamente rifatto dal decoratore Rino Rubini. Tra le opere conservate nella Chiesa parrocchiale di San Martino oltre la Goggia non si può certo dimenticare il Polittico di Lattanzio da Rimini dipinto nel 1503. Inizialmente l'opera si trovava sull'altare maggiore fino all'inizio del 1900. Fu poi collocata sulla parete sinistra del presbiterio in occasione del suo restauro avvenuto nel 1948 ad opera di Arturo Cividini. Il polittico rappresenta nella pala centrale San Martino nell'atto di donare il mantello al povero, attorno le figure di Sant'Antonio da Padova e San Michele Arcangelo, San Pietro e San Paolo, San Giovanni Battista e San Bernardo da Chiaravalle, San Giacomo Maggiore e San Giovanni Evangelista. Altra opera da annoverare è il crocifisso ligneo del XV secolo. Nel 1988 durante il restauro furono tolti alcuni particolari, che nei secoli precedenti erano stati aggiunti alla statua, cosicché oggi la si può ammirare come era inizialmente. Il Cristo posto sulla croce esprime tutto il dolore e l'angoscia della sofferenza umana, quasi come se fosse reale. Si ricordano poi l'altare della Madonna del Rosario con statua lignea, il pulpito lungo la navata di sinistra entrambe attribuibili alla bottega del Fantoni (prima metà del '700); il banco dei parati con davanti posto l'inginocchiatoio, intagli attribuiti al Fantoni; la mostra dell'organo in legno intagliato dipinto e dorato e la statua del Cristo morto anch'esse attribuite al Fantoni; due tele del Ceresa (1609-1679) raffiguranti la prima San Matteo e San Marco, l'altra San Luca e San Giovanni. Vi è poi la Cripta ove si può ammirare l'altare ligneo intagliato poi dipinto e dorato, sopra il quale vi è una croce di legno; le pareti sono affrescate con sette scene della passione di Gesù identificate da un'iscrizione latina: "Gesù davanti ad Erode", "Gesù nel Sinedrio davanti a Caifa", "Gesù viene condotto davanti ad Anna", "Gesù flagellato", Gesù percosso e deriso", "Pilato dice alla folla: ecco l'uomo", "Pilato si lava le mani". Sulla volta si trovano tre medaglioni affrescati raffiguranti "I discepoli di Emmaus" il "Noli me tangere" e "La ressurrezione". Osservando le vecchie fotografie raffiguranti la parrocchiale di San Martino, si può osservare l'ubicazione del vecchio cimitero, costruito sull'appezzamento di terreno ora occupato in parte dalla Caserma dei Carabinieri. Il cimitero venne poi spostato di fronte alla parrocchiale ove si trova tutt'oggi. Venne però ampliato nel 1913 su progetto dell'Ing. Santo Calvi e con decorazioni in stile liberty di Francesco Albera ed Eugenio Goglio.

Il Ponte dei Fondi

Una delle mete preferite dagli abitanti di Piazza Brembana e dai turisti per passare una giornata all'aperto è la località "Fondi". I prati lungo la riva del Brembo offrono la possibilità di sostare per un pic-nic all'aperto e per giocare o rilassarsi al sole. In un appezzamento di terreno vicino al Brembo sorge anche una Cappelletta, detta dei "Fondi". Essa è dedicata a San Rocco ed è posta lì a ricordo dei morti per le varie epidemie di peste che nei secoli scorsi falcidiarono la popolazione ed anche per ricordare i morti annegati durante le molte alluvioni cui il fiume Brembo è soggetto. La presenza del fiume ha da sempre influenzato la vita delle genti che abitavano, ed abitano i paesi della Valle Brembana. Molte volte questa presenza per lo più positiva ha provocato paura, morte e distruzione. Già nei primi anni del secolo i "Fondi" erano un'attrazione e soprattutto il vecchio ponte in stile romanico era lo sfondo di parecchie fotografie di gruppi familiari. Costruito verso la fine del 1400, il "Ponte dei Fondi" resta solamente un immagine nelle cartoline. Infatti il ponte che possiamo vedere oggi non è più quello di un tempo, poiché l'alluvione del 1987 se l'è portato via lasciando solamente poche pietre della base.

Il Liberty in Valle Brembana: la grande rivoluzione del costruire

Il 15 luglio 1901 a San Pellegrino si inaugurava lo stabilimento bagni e la sala bibite, moderne opere realizzate su progetto dell'Ing. Mazzocchi e che lanciarono definitivamente San Pellegrino e il territorio circostante di valle nel mondo del nuovo turismo, del benessere, del termalismo. Nel 1903 l'Ing. Mazzocchi visto il grande afflusso di turisti in San Pellegrino, inizia la costruzione di un enorme complesso alberghiero: il Grand Hotel, grande mole squadrata costruita sui bordi del fiume Brembo e che risultava fin troppo pesante in un ambiente a dimensione ancora umana e rispettosa. Per inserire tale complesso in modo più armonioso, decoroso ed elegante venne chiamato un giovane architetto milanese, Romolo Squadrelli (1871-1941), che era tornato da impegni progettuali a Bahia in Argentina. Questo giovane architetto aveva frequentato l'accademia di Brera respirando a pieno la cultura e vivendo il movimento della cosiddetta Scapigliatura milanese, movimento letterario ed artistico che si denotava per le posizioni antiborghesi, anticlassiciste, esaltando momenti di sregolatezza, di evasione, di contestazione, fino all'esaltazione dell'uso dell'alcool e della droga visti come momenti belli di evasione. E' in Italia la rivisitazione della cultura francese della Boheme e del naturalismo. Squadrelli dal 1890 al 1896 frequenta la Scuola di Architettura diretta da Camillo Boito e dimostra subito forte capacità nell'unire gli elementi dell'arte classica, il disegno, l'ornato con la tecnica progettuale. Nasce così un nuovo modo espressivo architettonico che è uno dei più chiari momenti di quell'art nouveau che da noi è meglio conosciuta con il nome di Liberty. Il movimento artistico Liberty prende il nome dal commerciante londinese Artur Lesemby Liberty che commerciava stoffe e oggetti ornati con decori floreali. La tendenza di questo gusto decorativo sull'oggetto d'uso viene sancita e presentata come cultura corrente nell'esposizione di Torino del 1902 che Squadrelli ammira e ben comprende nell'esaltazione artistica dell'oggetto d'uso, del mobile, della grafica e della decorazione che entreranno come parte espressiva della progettazione e delle realizzazioni architettoniche. Così Squadrelli, chiamato a San Pellegrino per rivedere e ricreare il Grand Hotel, riveste l'immensa mole dell'albergo di decori floreali nei riquadri delle parti, ridisegna le campiture delle grandi facciate con trabeazioni ricche di motivi floreali, ridisegna il corpo centrale con grandi portali, loggiati ed altane semplicemente decorativi, leggeri in ferro battuto, come balaustre naturali. Quest'innovazione del decoro in aggiunta alla struttura è anche possibile grazie all'uso di un nuovo e miracoloso materiale per l'edilizia: il cemento. Il cemento è un materiale artificiale legante, capace di agglomerare sostanze ricorrenti in presenza di acqua, tanto da ottenere un corpo solido e compatto quasi come una pietra. Si ottiene il cemento dalla cottura di calcare marnoso ed argilla. La scoperta del cemento è del secolo diciottesimo, con l'inglese Parker. Nel 1824 l'inglese Aspdin ottiene un cemento che indurito ha un colore analogo alle pietre dell'isola di Portland e che prenderà il nome di cemento Portland. E' questa una delle scoperte rivoluzionarie della cosiddetta seconda rivoluzione industriale. L'uso della pietra cemento o pietra artificiale rivoluzionerà il modo e il gusto di costruire come appunto attuò Squadrelli. Nel 1906 Squadrelli progetta e dirige la costruzione del suo capolavoro, il Casinò di San Pellegrino, accompagnato dall'arte di vari artisti: Croce e Vedani per le sculture e statue, Beltrami per le vetrate e la lavorazione del legno, Mazzucotelli per i decori creati in ferro battuto. Squadrelli viene poi chiamato dal direttore della Ferrovia di Valle Brembana, Ing. Gianfranceschi per progettare le stazioni ferroviarie da Bergamo a San Giovanni Bianco. In tutto questo fervore di costruzioni di grande rilievo trovarono senza dubbio lavoro parecchie imprese della valle ed operai ed artigiani, che seppero apprendere e poi applicare e interpretare nei vari paesi di valle questo nuovo gusto e modo di costruire. Così in valle l'arte liberty o l'innovazione costruttiva dell'uso della pietra-cemento o pietra artificiale si applicò nella costruzione delle abitazioni, ma in modo più appariscente e predominante nella costruzione delle centrali elettriche e delle nuove fabbriche (Manifattura a Zogno, Stabilimento di imbottigliamento a San Pellegrino, Sasa a San Pellegrino) dove l'elemento decoro, e di ornato dà un senso di imponenza architettonica e sono finalizzati a sottolineare la fabbrica come luogo di grande espressione della capacità umana. In Alta Valle, a Piazza Brembana, questo nuovo modo di costruire, questo nuovo gusto dell'abitazione fu subito recepito, rivissuto e riadattato soprattutto all'abitazione. La casa di montagna e dei nostri paesi era più pura dal punto di vista tradizionale perché sempre realizzata dallo stesso contadino e non influenzata dalla presenza del capitale cittadino. Il contadino non ha capitale e quindi nel costruire la casa si prepara e garantisce un capitale di gestione al piano terra: la stalla. I materiali usati sono quelli in loco: la pietra, generalmente calcare, per i muri e per la calce; il legname per le orditure del tetto e le "lobbie"; il ferro per i chiodi e le inferriate al piano terra. Per ottenere la calce si costruisce un cumulo di sassi di calcare con all'interno a forma di volta, che si riempie di legna. Si attizza il fuoco e la cottura dei sassi fornisce la calce viva in blocchi. La pietra viva è usata specie per gli angoli e gli archi e così il contadino si trasforma anche in cosiddetto "palciù". Necessità statiche portano a una forte sezione del muri a piano terra per preparare l'appoggio dei "silter", la volta che tiene legata in un sol blocco la parte inferiore della casa. I muri superiori sono di spessore più limitato e legati dalle travi di legno rivestite d'assito, le antiche solette, ricoperto a volte da una sottile caldana di malta di calce sovrapposta a sabbia. Erano curati la regolarità dei muri e il rispetto del filo a piombo perché l'interno doveva essere intonacato sprecando anche meno calce possibile e gli intonaci erano tirati a cazzuola in punta, così da diventare ben lucidi, anche per far scivolare o lastricati in pietra, non raramente in terra battuta con argilla. Le tramezze erano realizzate con pali e graticci ricoperti di malta. Alcuni muri più poveri erano a sacco; si costruivano due muretti laterali uniti da elementi sporgenti di legno e l'intercapedine veniva riempita con i resti del fieno, i "biecc" o i rifiuti del lavoro. Gli antoni e i portali erano chiodati per realizzare un corpo resistente e forte con assiti sovrapposti in direzione incrociata. Al piano terra le aperture erano difese da semplici inferriate composte da aste inchiodate o intersecantesi. La rivoluzione costruttiva di inizio secolo, il Liberty, rivissuto come da noi sull'esempio dei grandi monumenti di San Pellegrino e delle strutture civili della linea ferroviaria, fu veramente profonda. Il cemento venne usato per costruire blocchi e "prisme", elementi di tamponamento e di portanza costruttiva e con una faccia a finta bugna, anche elemento decorativo; per precostuire in modo ripetitivo portali, stipiti, marcapiani, balconi che daranno un senso di signorilità, di eleganza e di importanza ai nuovi palazzi. E' in questo periodo che nascono le nuove e capaci imprese edili, che si riforniranno delle nuove strutture cementizie predisposte da nuove figure di artigiani cementisti, che si riferivano per gli ornati e le sculture anche a valide figure d'artisti locali: Eugenio Goglio e Francesco Albera a Piazza Brembana, Bernardo Oberti a Lenna. Va ricordato il nome dell'artigiano cementista Guido Calegari di Valnegra, detto "Calca", per la capacità di predisporre calchi per approntare i manufatti in cemento. Importanti gli artisti sopra menzionati: Eugenio Goglio (oggi maggiormente ricordato come uno dei primi fotografi della bergamasca), Francesco Albera e Bernardo Oberti, che abbellirono le chiese della Valle e i cimiteri con le loro sculture riprodotte in pietra cemento. Giacomo Mostacchi, detto "Santiago", di Piazza Brembana fu un capace fabbro ferraio, che ben apprese l'arte di Mazzucotelli e che si specializzò anche nella costruzione di orologi da torre. Altro artista artigiano fu Giovanni Oberti, che da Valnegra si spostò a Lenna dove aprì una importante fabbrica, che per decenni produsse le piastrelle in cemento per i pavimenti con decori e ornati a colori naturali. A Piazza Brembana non vanno poi dimenticati i progettisti Ing. Santo Calvi, cui si devono i progetti del sopralzo dei campanili di San Martino e di San Bernardo e il nuovo cimitero consorziale di Piazza e Lenna, e l'Ing. Luigi Calegari (1864-1956) progettista dei palazzi Mocchi, Redondi (ora Milesi), Carlo Donati (ora Molinari), ove aveva sede il nuovo servizio trasporti pubblici automobilistici, della nuova sede delle scuole in via Belotti e della persa fontana nel Parco delle Rimembranze. In quegli anni via Umberto I°, ora via Belotti, a Piazza Brembana e la via Centrale a Valnegra diventano veramente dei moderni boulevards, ricchi di nuove decorate ed imponenti costruzioni in rivissuto stile liberty. Il centro più emblematico rimane poi la Piazza IV novembre di Lenna, dove come in un libro si può rivivere attraverso le abitazioni lo svolgersi delle nostre comunità dell'Alta Valle Brembana.

Bibliografia

C. Delfanti, G. Salaroli, S. Salaroli "Le radici ritrovate. Frammenti di vita de La Plaza”. Bergamo, Corponove, 1998 Traini Carlo "Musica e musicisti in Valle Brembana”. Bergamo, tipografia orfanotrofio maschile, 1948. Fotocopia rilegata. Centro Culturale Nicolò Rezzara - "San Martino Oltre la Goggia in Piazza Brembana e Lenna”. Gorle, litostampa istituto grafico, 1998 A cura di R.Boffelli, G. Bonetti, M.Calegari - " I fratelli Calvi”. , Ferrari, 1990 Giovanni Maironi da Ponte - "Dizionario odeporico o sia storico-politico-naturale della Provincia di Bergamo”. 3 vol., Bergamo, 1819-20. Bologna, ristampa anastatica, 1972 Giovanni Da Lezze "Descrizione di Bergamo e suo territorio 1596" a cura di V.Marchetti e L.Pagani. Bergamo, Provincia di Bergamo, 1988.

Fonti iconografiche Archivio Fotografico Comunale di Piazza Brembana Archivio Storico del Comune di Piazza Brembana Diapositive concorso fotografico di Piazza Brembana anno 1987 Fotografie Mappe catastali di Salaroli Stefania