1 Michelangelo Russo a cura di Napoli verso oriente guarda il Vesuvio. La vasta , le antiche Paludi fuori le mura, sono oggi un luogo di attesa, una parte di città da tempo in una condizione di sospensione, in cui le fasi di evoluzione novecentesca (industriale, di residenza operaia, commerciale, terziaria…) - e i loro progetti - si sono Napoli verso oriente

succedute esaurendosi l’una nell’altra, si sono interrotte sovrapponendosi, sono state abbandonate senza mai giungere al compimento di una figura urbana definita. Rejana Lucci In questo libro, da diversi punti di vista e con approfondimenti differenziati, si è mirato a ricomporre lo specifico carattere del luogo con letture orientate, svolte per strati tematici, e con l’elaborazione di a cura di progetti urbani di diversa natura che indicano i modi possibili della trasformazione, individuando questioni Rejana Lucci e prefigurando assetti. Progetti che delineano futuri urbani restituendo riconoscibilità all’area e un ruolo alle sue varie parti, rimettendo in tensione punti ed elementi esistenti, innovando la connessione e il Michelangelo Russo significato degli spazi tra le cose, in funzione di una nuova possibile configurazione complessiva. Napoli verso oriente

euro 15,00

1 / Urbana Studi per la città contemporanea

Collana Urbana Studi per la città contemporanea

Copyright © 2012 CLEAN Collana Urbana via Diodato Lioy 19, Studi per la città contemporanea 80134 Napoli telefax 0815524419-5514309 Comitato scientifico www.cleanedizioni.it Pepe Barbieri Università di Chieti-Pescara [email protected] Jordi Bellmunt ETSAB, Barcellona Alberto Ferlenga Iuav, Venezia Tutti i diritti riservati Carlo Gasparrini Università di Napoli Federico II È vietata ogni riproduzione Rejana Lucci Università di Napoli Federico II ISBN 978-88-8497-274-3 Responsabile scientifico Manuel Aires Mateus USI Università Svizzera Italiana di Mendrisio Editing Pasquale Miano Università di Napoli Federico II Anna Maria Cafiero Cosenza F. Domenico Moccia Università di Napoli Federico II Carmine Piscopo Università di Napoli Federico II Grafica Mosè Ricci Università di Genova Costanzo Marciano Michelangelo Russo Università di Napoli Federico II Responsabile scientifico

La collana vuole selezionare testi e studi che portino un contributo originale e innovativo sui temi della città contemporanea e della centralità del progetto nelle trasformazioni urbane e territoriali. Ciò significa porre particolare attenzione alle forme del territorio che cambia, ai fenomeni che nel contemporaneo caratterizzano gli insediamenti urbani, con particolare riferimento alla multi- scalarità delle reti infrastrutturali, ecologiche e di paesaggio, e ai nessi tra le forme plurali degli spazi e i modi di abitare la città. Ciò comporta ampliare il significato di progetto, inteso come pratica in grado di modificare la città e la sua forma, capace di affrontare una molteplicità di problemi e di questioni che vedono coinvolti soggetti plurali; di costruire un’adeguata conoscenza e rappresentazione dei fenomeni, attraverso saperi e tecniche, capacità analitiche e valutative, modalità interpretative e descrittive, artefatti comunicativi; di tenere insieme tradizioni disciplinari e provenienze.

Questo volume è stato realizzato con il contributo parziale del fondo “Ricerca dipartimentale Abitare il futuro” del Dipartimento di Progettazione Urbana e di Urbanistica dell’Università di Napoli Federico II. Indice

6 Introduzione

9 Napoli verso oriente Rejana Lucci 13 L’area orientale e il “paesaggio assemblato” 41 La costa orientale e “l’attraversamento critico” 65 Connettere mare e città: progetto per la costa di Portici e il Granatello Enrico Carafa

77 L’area orientale di Napoli e le variazioni del progetto urbano Pasquale Miano 118 La ri-scrittura dello spazio come attraversamento urbano: il caso dell’ex Macello Eugenio Certosino 127 “Fare centro” nella città contemporanea. Il caso del Gasometro Marina Di Iorio

143 L’esperienza come progetto: conoscere l’area est di Napoli Michelangelo Russo 144 Napoli verso oriente: un laboratorio di futuro 164 Napoli Est: un campo di norme senza progetto Enrico Formato 180 Frammenti di città: spazi liminali e latenti come luoghi della creatività confinata Danilo Capasso 185 Interpretazioni dello spazio pubblico: temi del laboratorio di urbanistica Bruna Vendemmia 198 Appendice. Conoscere con creatività: l’esperienza di N.EST Danilo Capasso

213 Riciclo, bonifica e progetto di suolo nell’area orientale di Napoli Carlo Gasparrini

235 Aree dismesse e architettura Carmine Piscopo

254 Note biografiche autori Introduzione

Napoli verso oriente guarda il Vesuvio. Le pendici del vulcano, fin dalle epoche più remote, hanno attratto le mire insediative delle popolazioni che abitavano questa regione e che trovavano tra il vulcano e la costa terreni fertilissimi e agevoli approdi in una piattaforma naturale protesa verso il golfo di Napoli. Sulla fascia costiera sono sorte importanti città del mondo antico come Ercolano, Oplonti e Stabia. Lungo la strada delle Calabrie, nel tratto del Miglio d’oro, si è costruito il nucleo più importante del com- plesso monumentale delle ville settecentesche e della Reggia di Portici. E qui si sono sviluppati gli insediamenti lineari costieri intorno alla prima ferrovia italiana, la Napoli-Portici. Una direttrice su cui si è sviluppata la cre- scita di una città caotica, dove la densità abitativa ha raggiunto valori ine- guagliati in ogni altro comune italiano. Verso oriente le paludi, la pianura subito fuori le mura solcata da una trama di fiumi e canali che ne hanno segnato a lungo le giaciture e gli orienta- menti, ricevevano l’acqua proveniente dal complesso vulcanico Somma Vesuvio, e alimentavano il sistema idrografico del fiume Sebeto che se- gnava il limite est della città.

Napoli verso oriente oggi è una parte di città estremamente rappresenta- tiva dei caratteri tipici della città contemporanea, uno spazio emblematico delle patologie urbane attuali. È l’area pianeggiante ai bordi della città con- solidata, di facile accessibilità che, dal periodo dell’espansione industriale di fine Ottocento ad oggi, ha rappresentato la stratificazione dei caratteri complessi dell’evoluzione moderna. Qui la città ha progettato la sua espansione industriale e i quartieri di edilizia operaia, con piani diversi e in tempi lunghi: ogni progetto ha depositato su quest’area parti parziali del proprio programma che si sono via via accostate, contraddette, sovrap- poste, intersecate, senza mai completare un assetto integrato, e una figura urbana conclusa ed equilibrata. A partire dal progetto del Risanamento, passando per le previsioni degli ampliamenti industriali del Piano Piccinato del 1939, per il progetto del 1980 del Centro Direzionale di Kenzo Tange, fino all’attuale disegno del Piano Urbanistico per l’ampliamento del Cen- tro Direzionale, in fase di realizzazione con il project financing di Agorà 6. A questo, si è sovrapposta la fitta trama delle infrastrutture: dalle linee fer- roviarie, alle autostrade, agli oleodotti. Fin dai primi tracciati, infatti, la rete ferroviaria nazionale, regionale e locale ha gravato principalmente su que- sta zona, con tutte le differenti ipotesi di stazioni di testa che vi si sono succedute, con gli articolati rilevati che si sovrappongono all’area e con tutte le tracce di dismissione che i diversi sedimi hanno lasciato in tempi

6 differenti. E ancora, tutti i raccordi stradali con la grande viabilità esterna e interna, le rotatorie, le rampe e i viadotti, hanno in questa zona il loro punto di ingresso. La linea di costa è qui diventata una barriera tra città e mare, uno spessore bloccato dal porto mercantile, dalle aree per la logistica e dalle infrastrutture per il suo funzionamento. E, infine, con le progressive fasi di spostamento e di abbandono delle at- tività industriali e delle attività pubbliche che vi si erano sviluppate, sono comparsi i tipici fenomeni di dismissione, di degrado, di spopolamento e di uso spontaneo degli spazi rimasti liberi che caratterizzano le aree di tran- sizione o di bordo: aree interstiziali e marginali, spesso oggetto di atten- zione da parte di popolazioni immigrate. I pochi frammenti insediativi residui, sparsi come in un arcipelago, sono privi di collegamento e di at- trezzature pubbliche: dal trasporto collettivo ai servizi, dal verde urbano allo spazio pubblico, dalle attrezzature alle amenities per il tempo libero. Attualmente questa è ancora e soprattutto un’area di attesa, in una co- stante condizione di sospensione, con grandi vuoti e ampie distanze, re- cinti e silenzi, natura che si riappropria dei ritagli e attività precarie e temporanee che invadono gli spazi tra le cose. Ma Napoli verso oriente è anche un’area in cui ritrovare, con attente os- servazioni e letture mirate, tutte quelle memorie, quelle tracce, quei segni che vi sono stati depositati dalla storia della città e che appartengono alla sua natura originaria.

Questo libro nasce da qui: dall’interesse manifesto del luogo e dei suoi caratteri presenti, controversi e complessi, ma anche dalla suggestione di un’area ancora carica di significati da recuperare per riconnetterli alle ipo- tesi di trasformazione, nella ricerca dell’individualità e specificità degli in- terventi. E nasce accostando e mettendo a confronto diverse esperienze di conoscenza e di progetto di questo territorio provenienti dal lavoro che ognuno degli autori svolge nel campo della didattica e della ricerca pro- gettuale. È manifesta la provenienza di ciascuna delle esperienze presentate, che sviluppano in maniera delineata percorsi diversi ma tutti legati alla ricerca architettonica e urbana, con una costante attenzione alla metodologia e ai materiali che compongono i differenti quadri conoscitivi, generando le im- magini progettuali che emergono da ognuno dei contributi. Senza voler giungere a una interpretazione univoca dei problemi di que- st’area, e tantomeno proporre soluzioni onnicomprensive dal punto di vista degli assetti futuri, l’intento di questo lavoro è quello di far dialogare le di- verse provenienze culturali e disciplinari su un tema sentito collettivamente come fondamentale per lo sviluppo urbano della città. Ciò consente nello specifico di costruire un quadro interpretativo aperto e non scontato per guardare ai problemi di questa parte della città, per mettere in evidenza il nucleo tematico della conoscenza di Napoli verso oriente e i possibili per- corsi progettuali capaci di innovarne lo spazio. E, più in generale, vi è la vo- lontà di esporre affinità e differenze dei diversi punti di vista, che individuano

7 criticità, potenzialità, argomenti e tecniche proprie di visioni e di tradizioni culturali differenti per scala, strumenti, attenzioni e riferimenti. In conclusione, dal confronto delle varie posizioni raccontate nel libro emerge una evidente sensibilità contemporanea nel mettere in comune temi e questioni, sviluppando capacità di ascolto di posizioni anche par- ziali e laterali, sensibilità per gli aspetti tralasciati o negati, attenzione per elementi di indagine apparentemente secondari e meno importanti, capa- cità di esplorare le complessità della città attuale senza dare nulla per scon- tato, e senza mitizzazioni di alcun genere. E, non da ultimo, dal confronto di prospettive differenti emerge una fidu- cia comune - non cieca, ma critica - negli aspetti strutturali di una cono- scenza interpretativa come fondamento del progetto, come azione riflessiva - non assertiva - che consente di ripensare i principi di trasfor- mazione della città e dei suoi spazi.

Questo volume è il primo di una collana dedicata alla città e ai suoi studi, alla sua storia, alle sue forme e alle sue possibili innovazioni. Urbana è un termine al plurale: sono le cose, le culture, i saperi e le forme della città che riguardano un campo dove i sedimenti delle storie, gli strati e le concrezioni delle sovrapposizioni e dei processi, le complesse forme dell’esistente co- stituiscono un patrimonio di forme e di idee da cui apprendere e a cui fare riferimento come a un palinsesto. Tuttavia si tratta di un materiale che, di per sé, non è sufficiente a suggerirci indirizzi né certezze per il futuro, a meno di non interpretarne il senso con curiosità, senza pregiudizi, liberi dalle retoriche, evitando sguardi convenzionali: attraverso cioè un progetto che elabora la trasformazione anche aprendosi verso gli spazi di sovrap- posizione tra le diverse discipline, aperto al dialogo tra i saperi e all’inno- vazione. Il programma editoriale della collana “Urbana” presenterà quindi testi e studi che portino un contributo originale e innovativo sui temi della città contemporanea e della centralità del progetto nelle trasformazioni urbane e territoriali. Ciò significa porre particolare attenzione alle forme del territorio che cam- bia, ai fenomeni che nel contemporaneo caratterizzano gli insediamenti urbani, con particolare riferimento ai nessi tra le forme degli spazi e i modi di abitare la città, alla interscalarità delle reti infrastrutturali, ecologiche e paesaggistiche. Va quindi ampliato il significato di progetto, inteso come pratica in grado di modificare la città e la sua forma, capace di affrontare una molteplicità di problemi e di questioni che vedono coinvolti soggetti dif- ferenti. Un progetto che tiene insieme tradizioni disciplinari e provenienze, in grado di costruire un’adeguata conoscenza e rappresentazione dei fe- nomeni attraverso saperi e tecniche, capacità analitiche e valutative, mo- dalità interpretative e descrittive, artefatti comunicativi. (R.L., M.R.)

8 L’area orientale di Napoli e le variazioni del progetto urbano

Pasquale Miano

77 L’area orientale di Napoli e le variazioni del progetto urbano

Le ragioni della ricerca Una delle ragioni della perdurante volontà di approfondire le questioni progettuali relative all’area orientale di Napoli è da ricercare nelle situa- zioni di “sospensione” di questa parte della città: una condizione che si riconosce su diversi piani, ma che ha ragioni profonde nella morfologia e nella storia di questo territorio. L’area industriale orientale si posiziona tra mare e colline e interrompe la continuità tra le aree centrali urbane e i quartieri orientali di , Foto aerea dell’area , , dotati di una propria autonoma orientale di Napoli. struttura insediativa. È un luogo pianeggiante, ma influenzato da di-

Area orientale di Napoli nella Veduta Baratta.

78 verse condizioni geografiche e da diverse relazioni e giaciture urbane e territoriali. Nello stesso tempo è un’area dotata di caratteri propri, nella quale permangono tracce dell’antica condizione di palude e quindi per certi aspetti, di barriera, di interruzione rispetto alla naturale continuità della città, di forte senso di provvisorietà degli insediamenti, di etero- geneità e di frammentazione: un aspetto che ne ha profondamente condizionato la formazione e la crescita. All’opposto, la buona accessibilità di questo territorio pianeggiante ha favorito nel corso dei secoli la tendenza a una intensa occupazione delle aree disponibili, sulla base di “piani” e di progetti di utilizzazione della pa- lude secondo un disegno preordinato: gli interventi angioini e aragonesi di trasferimento dei fusari e di prosciugamento della piana mediante in- canalamento delle acque superficiali, i programmi settecenteschi bor- bonici di rafforzamento delle direttrici territoriali di attraversamento dell’area, gli interventi di Ferdinando II di costruzione di un sistema di col- legamenti stradali in direzione nord-sud, le proposte avanzate nel corso dell’Ottocento e nei primi anni del Novecento di definizione di tracciati ortogonali, funzionali all’organizzazione delle destinazioni industriali. Sulla base di questi progetti si sono realizzati e consolidati nel tempo i pochi elementi stabili dell’area, permanenze in qualche misura ancora oggi riconoscibili: le strade di attraversamento territoriale in senso est- ovest (la strada costiera e la strada di verso l’entroterra), e le reti dei corsi d’acqua, quali il Sebeto, dei fossi e dei canali, poi dive- nuti ancora strade (via Brin e via Argine). Si è in realtà consolidata nel tempo una trama, sufficientemente delineata, ma non compiuta, che ha rappresentato e per molti aspetti continua a rappresentare un fattore di identificazione e di riconoscibilità nell’ambito di una prevalente tendenza all’accentuata variabilità nel tempo della configurazione dell’area: un’area “sospesa”, in attesa di prossime “decisive” trasformazioni. L’area industriale orientale può essere considerata, in definitiva, come il risultato di una serie di sovrapposizioni, almeno parzialmente distrut- tive rispetto alle precedenti urbanizzazioni, di ondate insediative che non hanno determinato una crescita per addizioni, ma piuttosto un rias- sorbimento delle preesistenze entro un nuovo schema molto parziale, mai portato a compimento fino in fondo. Riguardando a questi processi insediativi nel loro complesso, anche sulla base delle letture urbane e delle ricostruzioni storiche che hanno affrontato il tema dell’area orientale di Napoli1 un fattore costante di specificità è rintracciabile nella presenza di luoghi di concentrazione, di polarità determinate da impianti produttivi di particolare rilevanza, che si sono localizzati in luoghi già insediati prima dell’industrializzazione vera e propria occupati da “molini” e altre strutture di produzione, a ser- vizio della città e del territorio. Queste polarità sono prevalentemente costituite da “cittadelle” produt- tive chiuse, porzioni urbane con proprie articolazioni e regole di funzio- namento interno, anche diverse, nelle quali il “recinto”, entro il quale si

7979 organizza la macchina della produzione, rappresenta uno dei principali fattori di identificazione. Solo in alcuni casi sono state insediate grandi architetture isolate, come l’edificio dei Granili, più aperte e relazionate al territorio circostante. La planimetria dell’area del 1906 consente di mettere in evidenza que- sti elementi primari nel sistema insediativo dell’area orientale: le Offi- cine Pattison su via Reggia di Portici, le Officine Sofia su via Brin, le Officine Napoletane su corso Malta, le Cotoniere Meridionali su via Pog- gioreale, volendo fare solo alcuni esempi significativi. Si tratta di un si- stema che progressivamente si complica con la localizzazione di nuovi insediamenti produttivi, come attesta la planimetria del 1936. Nell’area orientale inoltre alcuni grandi servizi a scala urbana, quali il carcere, il macello, il cimitero, il ortofrutticolo, localizzati in tempi diversi, tendono ad assumere i caratteri di “cittadelle”, macchine specializzate chiuse entro il loro recinto, formando una complicata e interessante trama di luoghi insediati, connessi parzialmente dalla maglia stradale principale prima descritta, una trama che è cambiata nel tempo e che ha già subito diverse crisi. Un ulteriore elemento caratterizzante, che si è formato progressiva- mente sin dai primi decenni dell’Ottocento, è costituito da un elevato numero di infrastrutture ferroviarie e stradali, alcune delle quali molto importanti nel sistema dei collegamenti metropolitani, veri e propri tagli nella continuità dell’area, che hanno determinato barriere e separazioni spesso insormontabili (i fasci dei binari verso le stazioni ferroviarie, i rac- cordi autostradali verso il centro della città e verso il porto, etc.): un processo che nell’Ottocento ha riguardato prevalentemente le ferrovie a partire dalla costruzione della Napoli-Portici e della stazione Bayard, e poi progressivamente nel corso del Novecento, sempre più le strade e i raccordi viari. Queste infrastrutture “rigide” si sono sovrapposte agli elementi che ave- vano caratterizzato nel tempo la formazione dell’area, quali le direttrici territoriali, i luoghi concentrati della produzione, i canali, i fossi e le “gri- Evoluzione del glie” parziali, derivanti da preesistenti suddivisioni del suolo, giocando rapporto ‘città civile’ un ruolo fondamentale nella definizione della morfologia del costruito industria. Situazione al 1906, 1936, 1956, che caratterizza l’area orientale. 2003. In realtà la particolare organizzazione per poli ha rappresentato una co-

80 stante significativa, con caratteri di resistenza molto forti, che in qual- che modo ha impedito la formazione di un vero e proprio tracciato re- golatore o “graticolato”. I progetti di Maiuri, Sabatini, Giura, Alvino, che tentavano di completare la maglia costituita dalle strade urbane nord- sud, parallele al vecchio alveo dell’Arenaccia (corso Malta, via Gian- turco, via Traccia), sono risultati in definitiva troppo schematici e incapaci di assorbire le “preesistenze” di diversa origine e natura2. Nello stesso tempo anche le ipotesi di arretramento della stazione ferrovia- ria a via Traccia si sono arenate di fronte alla molteplicità e all’eteroge- neità delle tensioni e delle resistenze storicamente presenti nell’area. In queste vicende di progetti attuati solo in misura molto parziale, si pos- sono citare, quali “più recenti” tentativi di riorganizzazione sistematica dell’area orientale, la proposta di arretramento della stazione di Picci- nato del Piano del 1939 e il nuovo reticolo del Piano Regolatore del 1946, di Luigi Cosenza. Il confronto tra le soluzioni avanzate dai piani regolatori del Novecento per l’area orientale di Napoli mette in evidenza le differenze tra le parti urbane più vicine al centro-città, molto articolate e strutturate e per le quali si ipotizzano meccanismi di crescita in continuità con il centro- città, e quelle a oriente di via Traccia, meno caratterizzate e dense e quindi potenzialmente regolamentabili sulla base di nuovi tracciati ur- bani, a maglia più o meno fitta. In realtà nell’area orientale nel suo complesso non è riuscita a incidere in maniera decisiva neanche la specifica legge del 1904, finalizzata al “Risorgimento economico della città di Napoli”, in base alla quale l’area orientale fu definita zona aperta, una zona franca da imposte per gli edifici industriali: nonostante i piani infrastrutturali del 1906 e del 1920, all’incremento di industrie non ha mai corrisposto un vero e proprio piano di assetto e di “riqualificazione”, con regole e norme definite, at- tuabili in tempi lunghi. Nonostante i molteplici tentativi di razionalizzazione, l’attuale impianto della orientale è in definitiva il risultato della progressiva delimitazione di “sacche edilizie”, perimetrate dai tracciati stradali e fer- roviari, che hanno finito per inglobare le preesistenti cittadelle, già a loro L’area orientale di Napoli nelle previsioni volta prevalentemente caratterizzate dalla logica del recinto: un vero e di Piano. Prg 1914- proprio insieme di macroisolati eterogenei per forma e per funzioni, che 1939-1946-1972.

8181 ha anticipato per molti aspetti tendenze insediative diffuse nel contesto metropolitano di Napoli, ma anche di tante altre città, con diversi ele- menti di specificità, che devono essere attentamente valutati. Nell’area orientale napoletana, sin dalle fasi di più intenso sviluppo indu- striale, si registra una tendenza alla commistione funzionale, con la pre- senza di piccoli quartieri residenziali3 e anche, in altri punti, di attività commerciali. Spesso queste compresenze funzionali risultano partico- larmente accentuate anche all’interno di una stessa “sacca”, che quasi mai corrisponde a un unico regime proprietario e che frequentemente si configura come sommatoria di elementi urbani di dimensioni completa- mente differenti. In alcune sacche si intersecano giaciture differenti della viabilità interna, con edifici che assumono forme articolate derivanti da lo- giche di occupazione di lotti molto irregolari. In diversi casi negli scarti tra le “cittadelle produttive” di maggiore esten- sione e le infrastrutture sono state inserite altre attività, realizzando un particolare processo di “densificazione” dei margini, che ha reso an- cora più estranei i grandi spazi aperti interni rispetto alle strade di bordo. All’opposto, nelle parti più interne delle “sacche”, proprio per le moda- lità e i caratteri di formazione dell’insediamento industriale, si rilevano densità basse, con spazi non costruiti che, connessi tra loro, determi- nano potenzialmente consistenti interruzioni della continuità, secondo meccanismi assolutamente propri di questa parte della città. Le mo- dalità di articolazione degli spazi all’interno dei recinti industriali e il par- ticolare rapporto di apertura e di chiusura del recinto lungo le strade, con fronti chiusi e strade prive di caratteri urbani, sono alla base di que- ste peculiarità spaziali del tessuto dell’area orientale. Mettere a sistema gli spazi aperti, anche in autonomia rispetto alle strade e reinterpretarli come elementi di connessione tra le aree più dense non è sicuramente una operazione semplice: “rompere” alcuni recinti e realizzare un in- sieme di grandi spazi aperti e verdi tra la città centrale e i quartieri resi- denziali orientali costituisce un obiettivo ancora completamente irrealizzato, al pari della riqualificazione dell’area, che può assumere ca- Piano dell’industria 1918-1922. ratteri urbani del tutto originali, esaltando proprio questa particolare Processo di spazialità che si è formata, nonché i fattori di multifunzionalità che, per formazione delle certi versi, ne hanno segnato lo sviluppo. sacche. Situazione al Alla fine degli anni Ottanta del secolo scorso ho iniziato a studiare l’area 1880-1906, 1906- 1936, 1936-1956, industriale orientale napoletana, nell’ambito di una convenzione uni- 1956-1993. versitaria, al fine di coglierne le specificità e le potenzialità trasformative,

82 in una fase problematica di dismissione dell’apparato industriale, cer- cando di comprenderne i meccanismi di costruzione avvenuti in tempi diversi e le peculiarità urbane di un insediamento molto articolato e stra- tificato4. D’altra parte, in quel periodo le parti industriali napoletane non erano state studiate a fondo sotto il profilo dei caratteri urbani e architettonici. Risultava quindi interessante ragionare su un metodo e su una tecnica di lettura, che consentisse di approfondire adeguatamente molteplici aspetti spesso sottovalutati. Proprio allo scopo di delineare una tecnica di lettura unitaria di questo insediamento che tenesse insieme i vari elementi si è ragionato sui ma- croisolati, definiti forse più propriamente “sacche”, studiate come l’unità di morfologia di base dell’area industriale orientale, al pari degli isolati della città antica, anche se prive di un disegno unitario. In questo modo si intendeva introdurre uno strumento conoscitivo attraverso il quale leggere sinteticamente i diversi aspetti costitutivi di questa particolare configurazione insediativa, che finivano per incidere in maniera peculiare anche sotto il profilo del processo di dismissione. Le “sacche” sono intese come unità di grandezza conforme, morfolo- gicamente riconoscibili, dotate di individualità, con alcuni caratteri ri- correnti e con significative analogie sotto il profilo dimensionale, anche se di diversa configurazione geometrica, da sottoporre a progetti uni- tari di riqualificazione e di riconfigurazione: unità nelle quali i recinti, i I ‘recinti’.

83 grandi piazzali e gli scheletri delle fabbriche abbandonate definiscono una particolare spazialità, tutta da descrivere e da interpretare attra- verso il progetto. Già in quegli anni risultava quindi del tutto evidente che la “resistenza” di alcuni elementi della città produttiva, divenuti in diversa misura fattori di riconoscibilità dei vari luoghi della zona orientale, anche se parzial- mente o totalmente dismessi, determinava la necessità di assumere un atteggiamento problematico, rispetto all’esigenza di trasformazione del- l’area, in opposizione alla logica della tabula rasa. L’obiettivo della ricerca era in definitiva di scomporre il quadro urbano, che si andava modificando anche a seguito dei processi di dismissione, in elementi, categorie e ambiti differenziati, evidenziando di ciascuno di esso i caratteri specifici e di relazione. Da questo lavoro derivava l’indivi- duazione di aree, edifici, complessi produttivi, che configuravano situa- zioni di diversa origine e ubicazione, nelle quali risultava possibile concentrare gli interventi trasformativi. Attraverso l’approfondimento pro- gettuale di questi luoghi della trasformazione si stabilivano nuove relazioni con gli elementi fissi, per i quali in quella fase non si rilevavano possibilità concrete di modificazione. Il grande fascio ferroviario centrale e i raccordi autostradali, il Centro Direzionale e i depositi petroliferi rappresentavano gli elementi immodificabili in una fase nella quale sembravano aprirsi spazi interessanti per il progetto urbano a una scala più limitata. Nelle maglie di questi grandi “blocchi”, in forme diverse e tenendo conto dei nuovi equilibri che si andavano determinando, si è lavorato alla co- struzione di una mappa di luoghi notevoli, una trama di capisaldi in grado di coinvolgere progressivamente significative parti della zona in- dustriale orientale, da ridisegnare e da rifunzionalizzare. A partire dal giudizio sui singoli gradi di trasformabilità, si procedeva a un riordinamento delle indicazioni relative alle “sacche”, in modo da ren- derle congruenti in una strategia generale, che continua a rappresen- tare l’obiettivo principale da perseguire per dare un ruolo e una configurazione all’intera area orientale, pur attraverso l’accentuazione di un meccanismo di differenze e attraverso interventi compiuti, ma specifici e circoscritti. Diverse considerazioni avanzate alcuni anni fa sono in larga misura ricon- fermabili nella situazione attuale: l’area industriale orientale si è configurata e continua a configurarsi come un pezzo di città a elementi separati; le in- frastrutture ferroviarie e stradali la attraversano e la frammentano, i princi- pali insediamenti produttivi, chiusi entro i propri recinti, hanno mantenuto caratteri di autonomia, anche allorché hanno perso le peculiarità industriali originarie e sono state immesse a più riprese nell’area funzioni eterogenee per cui i caratteri dominanti della configurazione urbana variano di volta in volta nelle singole situazioni, tra loro diverse. Nell’area orientale continua a dominare una logica di recinti, differenti per densità, usi e caratteri architettonici, nei quali continuano a coesi- stere diverse categorie funzionali-organizzative della “città civile”, della

84 Gradi di trasformabilità (in Tecnonapoli: nuove forme di sviluppo e ridisegno urbano).

città eterogenea e della città produttivo-industriale propriamente detta. Così come nelle fasi di formazione dell’area non si era prodotto un in- sediamento unitario (né sotto il profilo urbanistico né sotto quello eco- nomico), anche la dismissione non ha costituito in alcun modo un processo unitario. L’area industriale orientale non è mai stata un’area nel suo complesso dismessa, ma piuttosto un’area in cui la presenza di spazi non costruiti, di grandi aree interstiziali inutilizzate determinate dalla crisi di vari settori produttivi si presentano come potenzialità, che solo in pochissimi casi sono state effettivamente colte. Per queste ragioni negli ultimi venti anni continua a proporsi pressan- temente l’interrogativo su quali strategie progettuali adottare per dare all’area industriale orientale napoletana una configurazione e una or- ganizzazione adeguate.

Dalla strategia delle “occasioni” alla formazione di nuovi spazi urbani Sulla base del lavoro di “Tecnonapoli”, ho sviluppato una proposta pro- gettuale che riguarda la grande area a sud del fascio dei binari e a ovest di via Traccia e del raccordo autostradale, presupponendo che questi “durissimi” limiti continuassero a permanere per lungo tempo: il tutto partiva dalla sacca dell’Agip incendiata nel 1986 e ormai definitivamente dismessa, ma coinvolgeva la Manifattura Tabacchi, un’architettura pro-

85 duttiva di grande qualità e, attraverso via Brin, il borgo Loreto e S. Anna alle Paludi e quindi ancora i grandi spazi aperti verso il mare dal molo Carmine alla calata Pollena. Per le aree portuali, che si erano nel tempo strutturate come un grande recinto autonomo rispetto alla città, si proponeva un discorso di ade- guamento parziale e di apertura di nuove correlazioni con la città, anche nella parte orientale. Individuare un meccanismo di trasformazione urbana, a partire dall’area dell’incendio dei depositi dell’Agip, ossia dalla forzata interruzione di un’attività pericolosa e rendere quest’area bonificata un luogo di riferi- mento dell’area orientale assumeva un preciso significato: si trattava di dimostrare che gli interventi, conseguenza di un evento occasionale e tragico, potevano configurare nuovi spazi urbani, intesi come consi- stenti elementi di inizio di una nuova processualità. Su questo tema un sondaggio progettuale era stato sviluppato nel 3° Seminario Internazionale di Progettazione di “Napoli Architettura e città”, ai fini della localizzazione di un parco scientifico e tecnologico nelle aree dell’Agip della Manifattura Tabacchi5. Questa proposta progettuale prendeva in considerazione la fascia urbana disposta a ovest del grande raccordo autostradale di immissione su via Marina e la connet- teva alle aree portuali orientali. Presupposto essenziale di questa soluzione era il cambiamento del si- stema infrastrutturale e in particolare l’interramento di via Marina, un tema che ha progressivamente perso di significato negli anni successivi, anche se continua a essere completamente irrisolto il problema della riorganiz- zazione di questa fondamentale strada territoriale e urbana. All’interno dell’area di progetto individuata si sviluppava, su un asse “virtuale” parallelo a via Gianturco, un vero e proprio nuovo insedia- mento con quattro torri direzionali disposte all’interno di un grande parco. Anche nell’area portuale il progetto si incentrava su un sistema di torri, disposte sui moli, collegate da un insieme di spazi aperti, fon- damentalmente la continuazione del parco verso il mare. Nella soluzione adottata in “Tecniche di intervento per le aree dismesse”, un lavoro di ricerca universitaria, il progetto viene completamente reim- postato, rinunciando a intervenire sulle grandi infrastrutture e lavorando su un’ipotesi di trasformabilità dell’area6 che si misurasse con le effettive possibilità definite peraltro attraverso lo studio “Tecnonapoli”. In questa ottica si è molto lavorato alla perimetrazione di un’area-pro- getto, in grado di dare ruolo urbano al complesso intervento di bonifica e di riutilizzazione delle aree inquinate dell’Agip. Si trattava, in altri termini, di individuare un insieme urbano morfologi- camente riconoscibile, da sottoporre a una strategia progettuale unita- ria in grado di esaltarne i contenuti formali e funzionali, realizzando le premesse per più ampie e compiute trasformazioni. Nell’ambito della grande parte urbana a oriente, ma più vicina al cen- tro-città, articolata in più sacche, che comprendeva questo insieme ur-

86 Schizzi e planivolumetrico del parco scientifico e tecnologico nelle aree dell’Agip e della Manifattura Tabacchi. (Napoli Architettura e città. 3° Seminario Internazionale di progettazione, 1991, p. 110).

bano emblematico, simbolo di una crisi evidente, si individuava infatti un’area-progetto, costituita da un complesso di aree trasformabili, pari a circa 200 ettari (1/10 circa dell’intera superficie della zona industriale orientale), nella quale si ricollocavano aree industriali e portuali abban- donate o utilizzate in modo improprio, grandi aree interne ed esterne al porto, aree di deposito di varia natura e di stoccaggio delle merci. In questa macro area sud-ovest, la multifunzionalità e la vocazione al consolidamento urbano apparivano in grado di delineare un processo differente rispetto alla grande area a nord del fascio dei binari, occupata principalmente dall’intervento del Centro Direzionale, peraltro ancora in- compiuto, ma anche rispetto alle due grandi aree a est di via Traccia, di-

87 Schizzo di partenza, vise da via Argine, di più lontana prospettiva di trasformazione, anche in Tecniche di per la presenza dei depositi petroliferi, in quella fase ancora attivi. intervento per le aree L’ipotesi continuava a essere quella di localizzare un parco scientifico e dismesse (copertina). tecnologico, un luogo di innovazione in grado di favorire lo sviluppo di una produzione compatibile, diffusa, differenziata e intrecciata con altre funzioni e attività, attraverso la quale superare definitivamente la condi- zione di monofunzionalità, che almeno sul piano normativo continuava a caratterizzare la zona industriale. Attraverso queste considerazioni si de- lineava l’idea di riferimento posta alla base del progetto: una città aperta attraversabile e molteplice, nella quale si consolidavano precedenti con- nessioni, ma soprattutto si stabilivano nuove relazioni esterne e interne tra situazioni ed elementi urbani separati. Il parco scientifico e tecnologico costituiva il motore di una trasforma- zione, che si sviluppava nelle maglie di una struttura urbana parzial- mente consolidata, innestando entro l’articolata morfologia delle preesistenze, nuove trame parziali e controllate, che nel loro com- plesso, dal Molo Carmine alla Manifattura Tabacchi, tendevano a con- nettere porto, città e ferrovia, un fondamentale obiettivo per Napoli, ancora oggi non conseguito. In questa particolare situazione napoletana si stabiliva un parallelismo con i temi del progetto Bicocca, pur considerando le differenze consi- stenti tra le due aree. Le diverse soluzioni presentate al Concorso Bi- cocca7, peraltro riprese in altri progetti relativi a casi urbani analoghi, rappresentavano in quel momento un riferimento molto preciso sotto molteplici aspetti, dalla definizione dei contenuti architettonici, tipologici e morfologici del polo scentifico e tecnologico, al rapporto con le tracce e i segni preesistenti all’ondata insediativa industriale, con varie implica- zioni di natura normativa e regolamentare e relative allo studio delle mo- dalità e dei tempi di realizzazione degli interventi. A Napoli si trattava di una operazione ambiziosa e difficile, più articolata ed eterogenea per

88 Vedute del plastico, in Tecniche di intervento per le aree dismesse.

molteplici aspetti, dalla frammentazione dei regimi proprietari alla diver- sità delle morfologie urbane e delle architetture preesistenti coinvolte. Nella proposta progettuale per l’area orientale napoletana l’articolazione complessiva degli elementi preesistenti e dei nuovi innesti, tendeva a scandire per grandi settori unitari il passaggio dal centro-città all’entro- terra: l’area residenziale e terziaria del borgo Loreto e di S. Anna alle Pa- ludi, dotata di grandi spazi aperti verso il mare; l’area industriale,

89 strutturata su via Brin, dai caratteri eterogenei, completata intorno ad al- cune importanti preesistenze (Caserma Bianchini, Mercato Ittico) e l’area del parco scientifico e tecnologico vero e proprio, nelle quali veniva in- globata la Manifattura Tabacchi, in un nuovo disegno urbano. Il progetto si basava su tre differenti strategie formali: l’introduzione di elementi architettonici isolati tesi a realizzare nuove polarità urbane, la localizzazione di un insieme articolato e pluridirezionato di elementi in corrispondenza di nodi fondamentali della città preesistente, la prefi- gurazione di un “microimpianto urbano”, con l’introduzione di regole tipo-morfologiche precisamente definite per organizzare i nuovi territori della produttività. Questo lavoro progettuale partiva dalla consapevolezza che non tutto risultava trasformabile contemporaneamente e che quindi bisognava agire con senso della misura e secondo un meccanismo graduale. L’idea era quella di dare una configurazione compiuta a una parte ur- bana, ritagliata nel sistema infrastrutturale e morfologico dell’area orien- tale, autonoma e nello stesso tempo relazionata alle altre parti, sulle quali intervenire successivamente: un primo brano di un potenziale tes- suto, attraverso il quale reinterpretare la logica dei recinti industriali, che caratterizza l’area orientale8. Ciò avveniva in una città priva di un piano urbanistico aggiornato, nella quale la ricerca di una nuova configurazione rispondeva nello stesso tempo a esigenze specifiche del progetto urbano, ma anche alla que- stione della costruzione di una strategia di piano. In realtà queste scelte si originavano anche dall’esigenza di invertire la tendenza dell’area metropolitana di Napoli, per cui all’atto della localiz- zazione di un’attività produttiva, si preferiva un lotto in un’area di nuovo insediamento (in qualsiasi luogo ove ciò poteva essere facilmente pos- sibile nell’area napoletana), piuttosto che un’area da trasformare in una zona già destinata a quello scopo, come l’area orientale di Napoli. Si tendeva in questo modo a distruggere completamente il patrimonio di esperienze, di realizzazioni, di architetture di questi luoghi, che invece poteva rappresentare un riferimento e un valore importante. In definitiva questi luoghi produttivi dell’area orientale apparivano densi di esperienze con cui fare i conti, anche in una logica di superamento della configurazione e degli assetti funzionali preesistenti. Ogni luogo industriale preesistente è, in realtà, come dice Banham, “un luogo comune e straordinariamente unico”9 e probabilmente questa molteplicità di luoghi unici continuava a costituire la ricchezza più im- portante dell’area orientale di Napoli. Nello stesso tempo ragionare su queste preesistenze da riconfigurare, costituiva un’alternativa alla “monoliticità” e alla rigidità di alcuni grandi progetti urbani di quegli anni e alle logiche di occupazione intensiva delle aree disponibili, sulla base di indici e di norme di contenuto quasi esclusivamente quantitativo. La proposta avanzata per una parte dell’area industriale orientale acqui-

90 Proposta progettuale per l’area orientale, in “Bollettino del Dipartimento di Progettazione Urbana”, Università di Napoli Federico II, Argomenti, 2, 1996.

siva in definitiva un preciso significato in una Napoli che, dopo aver spe- rimentato il grande progetto del Centro Direzionale, poteva lavorare su una processualità differente, più misurata e nello stesso tempo coerente con gli ordinari processi di trasformazione urbana. D’altra parte questa proposta progettuale, almeno entro determinati limiti, risultava sufficien- temente flessibile e tale da poter essere riesaminata e per certi versi an- cora ridimensionata, anche alla luce di alcuni cambiamenti del quadro Proposte per la zona programmatico e delle decisioni che la città andava assumendo. orientale di Napoli: In particolare, in una rielaborazione del 1996 si circoscriveva il campo area incrocio via degli interventi a tre aree-progetto principali: l’area del varco e del molo Volta/via Marina, area Parco del Carmine, a chiusura del sistema portuale orientale e in connessione con Carmine, in una nuova possibile utilizzazione delle aree portuali centrali; l’area del “Bollettino del Ponte della Maddalena e di via Brin, interpretata come nuovo centro am- Dipartimento di ministrativo, residenziale e terziario, connesso alle strutture produttive; Progettazione Urbana”, Università di l’area dell’incrocio via Ferraris-via Gianturco e le aree dismesse dell’Agip Napoli Federico II, a esso connesse, destinate a parco scientifico e tecnologico10. Argomenti, 2, 1996.

91 Al centro di queste proposte vi era la costruzione di grandi spazi aperti della città, ragionando su luoghi preesistenti molto significativi, ade- guatamente riconfigurati, su cui rafforzare gli elementi di identità e di specificità della città orientale. Più volte, con differenti perimetrazioni, si è ritornato a ragionare su que- sti temi, nei quali la storia dell’area orientale e le sue prospettive di tra- sformazione si intrecciano inevitabilmente11. La necessità di circoscrivere gli interventi in maniera molto precisa ri- portava a quella logica con cui Daniele Vitale aveva chiuso con un in- tervento molto interessante e significativo il convegno nel quale avevo avanzato quest’ultima proposta: “c’è anche il problema di partire dalla realtà costruita, cioè da questa che io credo davvero potremmo chia- mare le pietre d’attesa della città futura, perché le aree dell’industria sono anche questo: sono qualche volta semplicemente rovine, ma qualche volta “pietre di attesa”12.

Dalle infrastrutture lineari al progetto urbano variabile per definizione e per geometria Agli inizi del nuovo millennio, allorché si sviluppa decisamente la fase di formazione del nuovo piano urbanistico per Napoli, approvato nel 2004, l’idea dell’immodificabilità del sistema infrastrutturale è messa pro- gressivamente in discussione: si aprono nuove prospettive di trasfor- mazione urbana, nelle quali si considera l’infrastruttura da riconfigurare come una potenzialità da cogliere, soprattutto in senso urbano. In realtà, in quegli anni cade definitivamente la proposta dell’arretra- mento della stazione centrale a via Traccia, con tutte le ipotesi di tra- sformazione urbana conseguenti, a seguito delle decisioni definitive in materia di Alta Velocità. Alcuni nuovi assetti ferroviari, prefigurati in modo discontinuo negli anni Ottanta (ad esempio, l’interramento della ferrovia Circumvesuviana nella zona di Poggioreale) poi sviluppati in più organici e complessivi progetti successivamente (Alta Velocità, Nuova rete metropolitana, Piano delle 100 Stazioni), consentivano di aprire una riflessione completamente di- versa sull’accessibilità, che coinvolgeva in maniera significativa l’area orientale. Alcune infrastrutture da barriere insormontabili potevano co- stituire un elemento importante per garantire nuove connessioni ur- bane, ma anche per ridisegnare interi ambiti, al di là delle stesse questioni dell’accessibilità. In questo quadro ho effettuato un approfondimento sul rapporto infra- strutture-tessuto che ha riguardato l’area orientale di Napoli, nell’ambito di una ricerca Prin del 200413 sulle “Forme del movimento”. Nel caso di Napoli la ricerca Prin partiva dalla constatazione di un pa- radosso: a circa quindici anni dall’entrata in esercizio della nuova linea ferroviaria della Circumvesuviana Napoli-Nola, il binario preesistente, completamente abbandonato, era stato riutilizzato solo per tratti limi- tati dai singoli comuni attraversati dalla linea, con interventi del tutto di-

9292 somogenei, al punto che la stessa memoria dell’infrastruttura si era an- data cancellando insieme alle sue tracce fisiche. Eppure gli effetti di quella traccia perduta erano e sono ancora riconoscibili in modo del tutto evidente nei brani urbani un tempo attraversati dalla linea. Si è al- lora ragionato sul progetto di questa nuova infrastruttura lineare inse- rita in un contesto storico e ambientale di rilievo, partendo dalla constatazione della perdita della traccia fisica. A Poggioreale si registrava quindi una situazione analoga a quella di al- cuni decenni prima con la dismissione della ferrovia Napoli-Portici, pa- rallela a sud della Napoli-Nola nella zona orientale, di cui erano rimaste poche tracce e la stazione Bayard abbandonata. Si imponeva quindi la costruzione di una strategia che consentisse di costruire un ulteriore strumento di trasformazione urbana, non rincor- rendo né l’ordine totale, né l’episodicità del singolo intervento, ma che mettesse in qualche modo in campo le potenzialità di quel segno li- neare, disposto parallelamente alla strada di Poggioreale e quindi “pro- tagonista” della genesi di questa parte della città. Attraverso questa strategia risultava possibile rompere definitivamente la logica del progetto urbano strutturato per recinti e “lavorare su un’al- tra famiglia di progetti urbani, a contenuto soprattutto ambientale [...], sistemi lineari ramificati che raccolgono città, aree industriali e grandi at- trezzature, e soprattutto, reti di trasporto”14. D’altra parte, riguardando all’area orientale nel suo complesso, risul- tava ormai evidente la necessità di lavorare su più fronti attraverso di- verse tecniche e scale del progetto urbano: alla logica introdotta nella parte sud-occidentale basata sulla perimetrazione di aree di innesto trasformativo tra loro concatenate lungo la direzione trasversale alla linea di costa, si poteva aggiungere, per certi versi in direzione oppo- sta, un intervento sulla linea, in grado di caratterizzare la parte nord- occidentale della zona orientale. La necessità di adottare una diversa strategia a sud e a nord del fascio dei binari dipendeva anche dal fatto che a nord il Centro Direzionale aveva in qualche modo condizionato l’assetto dell’area e gli interventi possibili potevano essere localizzati inevitabilmente lungo i bordi di que- sto nucleo rigido, mentre a sud continuava a permanere una situazione più aperta e articolata. In questo modo, mentre gli imprenditori privati elaboravano nuove ipo- tesi di completamento del Centro Direzionale, in sostanziale continuità con il progetto originario, risultava estremamente interessante ragio- nare sulle ulteriori incompiutezze che si erano determinate in questo settore urbano, dopo la dismissione del binario ferroviario. Nel nuovo scenario, che si è sinteticamente delineato, la ferrovia di- smessa Napoli-Nola-Baiano rappresentava e continua a rappresentare una duplice occasione di interpretazione e di progetto: da un lato come “serbatoio” di aree inedificate resesi improvvisamente disponibili, al fine di favorire l’inserimento all’interno dei tessuti compatti di una serie di at-

9393 La ferrovia dismessa Napoli-Nola-Baiano occasione di rigenerazione urbana.

trezzature, di attività, di spazi aperti pubblici; dall’altro come segno da rafforzare, avendo rappresentato, insieme con la strada delle Puglie e la via Poggioreale, ai piedi dell’omonima collina, un elemento essen- ziale per la definizione della morfologia urbana, un’alternativa alla lo- Le linee SFSM nel gica dell’appropriazione per pezzi da parte di enti pubblici e di privati 1948. delle aree divenute “libere”. Questi temi specifici dell’area orientale si riproponevano in forme e mo- dalità diverse lungo tutta la linea, al punto da poter ragionare in termini di ripensamento complessivo delle aree ferroviarie dismesse, che po- tevano costituire nel loro insieme, il fulcro di una strategia progettuale di livello territoriale, pur nella frammentazione del paesaggio urbano, che si era formato in questa parte dell’area napoletana. Nello stesso tempo ciò consentiva di aprire un’interessante e utile riflessione sulla formazione di alcuni nuovi spazi della città contemporanea, a partire dalla constatazione delle analogie e delle differenze che si erano deter- minate lungo la linea ferroviaria dismessa. In questa prospettiva un primo approfondimento ha riguardato l’indivi- duazione degli elementi che compongono gli insediamenti attraversati dalla linea e lo studio delle relazioni che questi stabiliscono con la linea stessa. Inglobando di volta in volta, in una lettura progettuale unitaria, gli ele-

94 La dinamica urbana lungo la linea.

menti in stretto rapporto con la linea dismessa e lavorando alla ridefi- nizione delle relazioni tra i vari elementi, risultava possibile ragionare su un “ispessimento” della linea, definita, nelle sue numerose declinazioni, come fascia, intesa, al pari delle sacche della parte meridionale del- l’area orientale, come un insieme di aree in grado di inglobare e con- nettere preesistenze significative, ma anche di favorire il radicamento di nuovi contenuti. La fascia si configura come un’unità variabile nelle dimensioni che at- traversa paesaggi e insediamenti distinti, che si deforma adattandosi alle diverse situazioni contestuali e che si compone di ambiti diversa- mente configurati, in parte “sacche”, in parte elementi morfologica- mente più articolati, che traggono la loro origine dalle peculiarità legate al posizionamento lungo la linea. D’altra parte proprio all’interno della fascia, vale a dire all’interno della linea allargata attraverso l’inserimento

95 di elementi e materiali urbani connessi, assume un preciso significato il tema della ricorrenza a distanza di situazioni urbane, con marcati li- velli di analogia, che rappresenta un carattere dominante di una linea ferroviaria. Così come le stazioni definiscono in una linea in funzione una serie, i luoghi delle stazioni abbandonati si ripropongono come ele- menti correlati e di riferimento nelle diverse situazioni urbane, descri- vendo una sorta di sequenza nella quale la ripetizione e la variabilità determinano un particolarissimo meccanismo di continuità. Nel caso della ferrovia Napoli-Nola-Baiano, ricostruita in parte lungo la linea preesistente, in parte interrata e in parte in viadotto, la situazione è più complessa, in quanto alle stazioni abbandonate si aggiungono le nuove stazioni, collocate in viadotto, spesso ancora in posizioni margi- nali e in luoghi connotati solo da una logica infrastrutturale. Si è allora costruita una casistica di possibili nuove “sezioni della linea”, a partire dalle diverse condizioni di “ispessimento”, che si determinano lungo di essa. Nella fascia si collocano indubbiamente situazioni nelle quali l’elemento su cui ragionare è l’area di sedime del binario, con l’immediato allarga- mento alle aree di stazione, che godono del particolare privilegio di es- sere state spesso luoghi centrali nei relativi contesti urbani e che si prestano quindi ad accogliere elementi di nuova concezione di parti- colare prestigio. In questi casi il tema ricorrente è quello della riconfi- gurazione dei limiti di uno spazio che è fondamentalmente un non costruito tra gli oggetti. I materiali prevalenti del progetto sono le retro- cortine, i piccoli spazi aperti e i manufatti ferroviari dismessi, da riordi- nare, dilatando originari spazi pubblici più limitati. È il caso di Poggioreale, dove il lavoro è stato svolto lungo il tratto di- smesso dell’antica linea sul quale nei programmi comunali si prevedeva di collocare tre stazioni della nuova rete metropolitana, nell’ambito del Centro Direzionale, in corrispondenza della preesistente stazione di Poggioreale e in posizione intermedia tra queste due. Il semplice lavoro progettuale di correlazione delle stazioni lungo la linea assumeva una grande rilevanza urbana, ma in realtà la trasformazione dell’infrastruttura lineare investiva una porzione di territorio più ampia, un’area di giuntura tra la consolidata cortina edilizia di via Nuova Pog- gioreale e il grande ambito di completamento del Centro Direzionale, da decenni in abbandono, ma anche ricco di potenzialità e di presenze storiche significative. Attraverso il discorso della linea-fascia risultava possibile mettere in relazione aree completamente separate, luoghi completamente estranei, studiandone le possibili interrelazioni. Si è lavorato allora sull’idea della costruzione di un parco, non inteso in termini tradizionali e non concepito come un recinto chiuso, ma come pensando a un’attrezzatura di quartiere in grado di assumere un pre- ciso ruolo alla scala territoriale. Nel lavoro progettuale del Prin il parco segue la traccia del binario e si rapporta con il viadotto e con via Nuova Poggioreale, penetrando negli

96 spazi retrostanti le cortine consolidate e inglobando luoghi completa- La formazione di nuovi mente abbandonati. Nello stesso tempo la nuova attrezzatura urbana spazi urbani lungo la si configura come un elemento di connessione tra la stazione esistente linea della Circumvesuviana e le nuove. Napoli-Nola-Baiano. Il disegno del parco, nella sua trama essenziale, diventa una sorta di grande ossatura, un elemento di stabilità in grado di reggere anche ri- spetto a consistenti modifiche dell’organizzazione funzionale dell’in- torno. La sovrapposizione dei percorsi del parco al tracciato in disuso, fissa una nuova condizione, un nuovo rapporto tra struttura e infra- struttura, in grado di rompere antiche separazioni, di aggregare nel tempo altri spazi, ridando identità e funzioni a luoghi abbandonati di di- versa natura. Su questo tema, anche in campo didattico nell’ambito del laboratorio di sintesi15, si sono studiate diverse alternative: alcune imperniate sul- l’esaltazione del segno lineare, altre sull’individuazione di innesti tra- sversali significativi, in grado di penetrare nelle maglie del sistema infrastrutturale molto rigido, che era stato posto alla base del comple- tamento del Centro Direzionale. Il parco lineare inoltre è concepito come un luogo collettivo che ingloba brani di città adeguatamente ridisegnati, configurandosi come un sistema di elementi anche autonomi, connessi dai sistemi lineari molteplici che attraversano l’area. La linea-fascia si configura in definitiva come un grande attraversamento urbano che, con soluzioni differenziate, definisce una sequenza di luoghi diversi, ma col-

97 Il parco lineare lungo il legati, assumendo il ruolo di elemento portante in un più ampio progetto tracciato dismesso urbano. della La nuova figura del parco lineare stabilisce infine un legame di continuità Circumvesuviana. alla grande scala tra gli spazi aperti di margine del Centro Direzionale e la piazza storica, disposta all’ingresso del cimitero monumentale di

Giuseppe Ruocco, laboratorio di sintesi del quinto anno, a.a. 2005-2006, P. Miano (Composizione architettonica) e Carmine Piscopo (Lettura morfologica).

98 Poggioreale, con la nuova stazione della Circumvesuviana, connessa da un articolato insieme di elementi che dialogano con gli edifici esi- stenti, generando una connessione urbana completamente nuova e di grande rilevanza. Tre importanti temi di riconfigurazione urbana si le- gano al parco lineare disposto lungo l’antico tracciato ferroviario: la riar- ticolazione della retrocortina edilizia di via Nuova Poggioreale, la riqualificazione dell’area degradata al di sotto dello svincolo della s.s. 162 e la riorganizzazione e rifunzionalizzazione del Macello. Per ognuno di questi temi si è lavorato a diverse soluzioni alternative e anche in questo caso, come nella parte meridionale, si è definito un in- sieme di spazi aperti pubblici su cui fondare una più ampia riorganizza- zione di intere parti dell’area orientale. Questa tecnica del progetto urbano, che si è resa applicabile con l’avvenuto cambiamento strutturale di alcune infrastrutture, quali la ferrovia Circumvesuviana a Poggioreale, si prestava a essere estesa anche ad altri elementi infrastrutturali della zona orientale, ragionando in termini di superamento della logica della linea. In realtà anche altre infrastrutture lineari, determinanti nell’organiz- zazione dell’area, quali via Galileo Ferraris, via Gianturco ma anche via Traccia, per fare alcuni esempi, risultavano potenzialmente interpretabili come fasce in grado di rappresentare elementi di riferimento e nello stesso tempo di servizio diffusi, fondamentali occasioni per la reintrodu- zione di elementi naturalistici, attraverso la formazione di un sistema di parchi nella struttura urbana compatta. Via Gianturco, ad esempio, è stata studiata in una tesi di laurea come

Marina Di Iorio, laboratorio di sintesi del V anno, a.a. 2005-2006.

99 fascia, di dimensioni variabili, in grado di riavvicinare significativamente le due parti dell’area orientale tagliata dal fascio dei binari16. Questo allargamento della proposta di intervento ad altri elementi fon- damentali della morfologia della zona orientale si origina dalla necessità di indurre trasformazioni significative in grado di rompere la logica del progetto singolo, ma senza pensare di coinvolgere tutto, contempora- neamente. Non risultavano infatti sufficienti progetti lineari di semplice utilizzazione di binari o di altri tracciati, anche se di importanza fonda- mentale, completamente sottovalutata, ma si rendeva necessario un lavoro più articolato sui livelli di definizione delle condizioni di realizza- zione del progetto, in grado di incidere sulla forma urbana. Come ben sintetizza Nuno Portas17 “non è necessariamente migliore il progetto che definisce tutto allo stesso tempo e allo stesso livello [...] come non è migliore il suo opposto, che si limiterebbe a definire intenzioni programmatiche [...]. Così, il progetto urbano, variabile per definizione e geometria, risponde alla natura dell’attuazione e allo sviluppo temporale previsto, o in altre parole ai diversi gradi di certezza, approssimandosi di volta in volta, al progetto globale, o al contrario al meta-progetto”. In realtà, le evidenti grandi potenzialità della linea-fascia di Poggioreale, ov- vero della costruzione di un progetto urbano variabile per definizione e geometria, non sono state colte: ha prevalso ancora una volta una logica di separazione, per cui le stazioni sono state pensate in maniera auto- noma, così come il completamento del Centro Direzionale e altri inter- venti minori, ritagliati nell’ambito di una normativa di piano regolatore, che non ha previsto meccanismi di attuazione, in grado di favorire la forma- zione di progetti urbani più articolati e compiuti.

Da edifici dismessi ad architetture delle connessioni Nella situazione attuale si pone la necessità di riprendere la ricerca, in- troducendo altri punti di vista e di riguardare alle esperienze compiute in una logica diversa, tenendo anche in considerazione che è in atto una fase sicuramente nuova del lungo processo di dismissione che ha caratterizzato l’area orientale di Napoli. Le trasformazioni dell’area orientale effettivamente avvenute sono state molto limitate, anche se molteplici progetti sono stati sviluppati alcuni in forma concreta, altri semplicemente abbozzati. Solo in alcuni casi si è ormai delineato un quadro differente rispetto a quello su cui erano state costruite le ipotesi sviluppate precedentemente. In ogni caso come agli inizi del precedente secolo, anche all’inizio del secondo mil- lennio, certo con più lentezza e con più prudenza, gli interventi conti- nuano a essere pensati e realizzati in maniera del tutto scollegata. È da sottolineare soprattutto che molte potenzialità, derivanti proprio dalla particolarità di questa area urbana, non sono state colte e ciò per due ordini di motivazioni. La prima riguarda il Piano Urbanistico Comu- nale, che si è configurato tendenzialmente come uno strumento per al- cuni versi bloccato, non in grado di recepire le continue variazioni del

100100 quadro delle connessioni tra i diversi interventi che si sono andati de- terminando. La seconda riguarda le modalità di formazione dei progetti, che spesso sono stati costruiti su problemi settoriali, con obiettivi limitati e fisica- mente perimetrati entro recinti precostituiti spesso completamente sba- gliati. Per queste ragioni l’area orientale è oggi un’area che riflette questo doppio livello di rigidità del piano e dei progetti, un’area nella quale gli interventi realizzati non hanno modificato in modo sostanziale gli equi- libri e le condizioni di alcuni decenni fa. Ho ripreso recentemente a ragionare sull’area orientale, riguardandola da un ulteriore punto di osservazione, che, pur considerando le attuali condizioni di crisi come un dato ineliminabile di cui tener conto, prefi- gurasse rinnovamenti urbani possibili. In questa ottica si è avviata una ricerca sul ruolo di alcuni grandi “edifici- macchina”, che rappresentano la permanenza di un insieme di funzioni industriali, commerciali e di servizi urbani, che in un arco temporale molto lungo avevano caratterizzato la parte orientale della città: un sistema che è andato in crisi, lasciando parti di città incompiute, spazi dismessi e sot- toutilizzati, spesso compressi entro i progetti di trasformazione messi in campo. A illustrare in termini estremamente sintetici e chiari il ruolo di queste “permanenze” è l’edificio del Mercato Ittico di Luigi Cosenza del 1929- 1930. Oggetto isolato all’atto della sua realizzazione, quasi a segnare emblematicamente il fallimento di un’ipotesi di ordinato disegno della parte orientale della città, derivante dalla mancata attuazione dei piani industriali di inizio secolo. Oggetto isolato, oggi, confuso nel sistema della viabilità in una difficile posizione tra le aree portuali chiuse e le pro- paggini urbane e in una ambigua fase di dismissione della funzione ori- ginaria di mercato ittico. Ma, in ogni caso dal 1930 ad oggi, in modi diversi, con il suo volume puro, questo edificio si pone come immagine di riferimento per la co- struzione e lo sviluppo della città, nonostante le manomissioni subite18. Nel 1997 avevo avanzato questa considerazione nell’ambito di una ri- flessione sul Moderno a Napoli, tesa a individuare nuovi spazi centrali nella periferia. Oggi le condizioni urbane del Mercato Ittico non sono cambiate rispetto al 1997, ma forse ancora più profondo è il divario tra la permanenza di questa architettura e ciò che succede intorno. A Napoli orientale esistono altre architetture di altre fasi della storia ur- bana, disposte in diverse posizioni strategiche rispetto a precedenti or- ganizzazioni urbane, che continuano a sopravvivere, nonostante il loro oramai lungo abbandono. Questi edifici possono essere connotati con il termine macchina, per la preponderante valenza spiccatamente utilitari- stica, che ne ha determinato la costruzione e che non è più rintracciabile per le condizioni di abbandono nelle quali attualmente versano. Al pari di una sacca, o di una fascia, anche queste macchine pos-

101101 sono costituire temi del progetto urbano e di architettura. Esse continuano a rappresentare, almeno in una situazione transitoria, elementi fondamentali di identificazione e di riconoscibilità delle città proprio perché nel passato ne hanno determinato gli sviluppi e oggi ne segnano in parte, la struttura morfologica, in quanto posseggono un valore di posizione legato alla storia e all’orografia dei luoghi e nello stesso tempo un valore figurativo, legato alla loro forma, alla loro arti- colazione e ai materiali con cui sono stati costruiti. Ma essi non necessariamente rappresentano un elemento di stabilità, anzi la loro peculiarità è nella capacità evolutiva della loro configura- zione, risultato di una articolata vicenda architettonica, che può essere continuata, ripensata e ridefinita, innestando una forte dialettica tra ele- menti preesistenti e nuovi. Come ben precisa Daniele Vitale: “una strategia di riconversione pro- duttiva non può non fare i conti con quella che è un’eredità concreta, quella che siano gli edifici dell’industria ad avere appunto dei riferimenti, oltre a un loro valore d’arte in senso stretto. In questa impostazione le tecniche sono quelle di sempre quelle della trasformazione, ma anche dell’accostamento, della sovrapposizione, del mutare degli edifici così come si è sempre fatto con gli anfiteatri romani e le grandi basiliche che sono state mutate nel corso del tempo”19. Risulta allora di grande interesse lavorare su questi edifici-macchina at- traverso diversi livelli e scale di lettura progettuale e reinterpretarli come connessioni urbane, introducendo una nuova chiave di lettura e di in- tervento volta alla ridefinizione degli spazi nella città costruita, che non pretende di realizzare una forzata unità urbana globale, ma quanto meno di scoprire relazioni e potenzialità inespresse. In questa impo- stazione il primo approfondimento ritorna a essere quello sull’oggetto in sé20, la conoscenza e il rilievo della grande massa solitaria, abban- donata, ma ancora riconoscibile nella complessità della città contem- poranea, la permanenza in grado di “attingere a esperienze profonde, riconnettendo passato e presente”, come dice Daniele Vitale nella sua Introduzione al libro di Moneo La solitudine degli edifici 21. Passo successivo è lavorare sulla soglia interno-esterno e ragionare sul- l’intorno più prossimo all’edificio, con i suoi spazi aperti, con il suo pae- saggio. Tenendo insieme varie scale, è possibile innestare una nuova trama di relazioni tra le diverse tipologie di spazi, attraverso la ridefini- zione dei rapporti con il suolo, con il sito, con il contesto urbano e nello stesso tempo attraverso la verifica della possibilità dell’introduzione di nuove funzioni. Questi grandi oggetti, localizzati spesso in punti irrisolti della città, con- sentono di aprire quindi un gioco molto più articolato di relazioni tra le parti urbane, nell’ambito del quale essi acquistano un nuovo ruolo. Superata la soglia interno-esterno, si individua infatti un secondo livello, di più difficile indagine, che, a partire dalla dimensione architettonica, determina un allargamento del campo di intervento alla dimensione ur-

102102 Enrico Russo, Tesi di laurea. La definizione della struttura urbana. Dettaglio della città dell’industria e della ricerca.

bana, attraverso la definizione di un nuovo sistema di connessioni: in- trospezioni dal sotto al sopra e viceversa, percorsi, movimenti di suolo, sovrapposizioni, che non solo attivano legami e ricostituiscono rela- zioni, ma innescano un processo più articolato, in grado di investire molteplici scale e livelli della città. Le aggiunte, le compenetrazioni e le sovrapposizioni architettoniche e le altre modalità di accostamento di nuovi elementi a un edificio-macchina preesistente definiscono un tema del progetto urbano di grande interesse. L’obiettivo della ricerca pro- gettuale è di innescare un processo trasformativo, in grado di coinvol-

103 Edifici-macchine: ex Macello, complesso del Gasometro, Silos Granari, Stazione Bayard, Magazzini Generali.

gere porzioni urbane estese, alle quali ridare senso nelle mutate esi- genze della città contemporanea, un senso che travalica il luogo spe- cifico, senza aspirare a una sintesi globale. Da questa ricerca possono derivare elementi urbani inediti, caratterizzati da una nuova identità, a vocazione ibrida e soprattutto nuove tipologie di spazi urbani, nei quali l’articolazione dei livelli e la concentrazione di elementi distinti attraverso

Immagine satellitare di Napoli con l’individuazione delle aree di approfondimento.

104 meccanismi di riunificazione consente di declinare in maniera del tutto innovativa il tema dell’interpretazione architettonica delle reti infrastrut- turali. In questo modo può essere costruita una vera e propria strategia pro- gettuale, volta a investire non solo le aree urbane marginali, che per loro natura favoriscono una più profonda modificazione dell’organizza- zione urbana esistente, ma anche le parti più consolidate, della quali si riscoprono “spazi dismessi” e “tempi superati”, che costituiscono il mondo degli edifici-macchina. Definire connessioni significa lavorare sulle distanze spaziali e tempo- rali, significa formare una trama, una nuova rete, un telaio vitale del pae- saggio urbano con le sue specifiche funzioni ed è questo appunto un contenuto che può qualificare e identificare il progetto urbano nella città costruita. In riferimento a questo tracciato di impostazione, si sono individuate spe- cifiche declinazioni del tema delle connessioni, attraverso l’individuazione di alcuni edifici-macchina, posizionati nelle aree centrali e orientali di Na- poli, comprese ancora una volta le aree portuali. Il Macello, il Gasome- tro, la Stazione ferroviaria Napoli-Portici, i Silos granari, i Magazzini Generali e il molo San Vincenzo rappresentano elementi emblematici, a partire dai quali reinterpretare i rapporti tra le parti di città e definire una strategia di trasformazione urbana. Questi edifici sono ormai inutilizzati e decontestualizzati rispetto alle lo-

Progetto delle connessioni urbane a partire dall’area del Gasometro.

105 Pellicier Nicolas, Il parco verticale nel Gasometro (Laboratorio IV anno, a.a. 2009-2010, P. Miano).

Casimiro Martucci, Attrazione verso il Gasometro.

giche di funzionamento che ne hanno determinato la costruzione, al pari di altri che potranno notevolmente ampliare questo primo elenco di situazioni interessanti. Ma in qualche modo essi, riletti insieme, consentono di avanzare una lettura originale della trama delle relazioni tra le parti urbane,

106 Angela Lorenza Picciano, Nuovo auditorium nell’ex Macello.

che entrano in connessione con il waterfront nella zona centrale e orientale di Napoli: dal centro antico all’area del Mercato, ai Quar- tieri Bassi, alle sacche che compongono la zona orientale di Napoli, al Centro Direzionale e anche altre, riguadagnando quella dimen- sione territoriale, che ritorna a essere estremamente significativa e

107 in queste pagine Filippo Celardo, Tesi di laurea 2012, la stazione Bayard.

determinante per la ridefinizione di un ruolo dell’area orientale. Su questi temi si è svolto un Laboratorio del IV anno22, nel quale si sono evidenziate alcune potenzialità di questi luoghi, valutando molteplici alter- native e richiedendo un’attenzione costante allo studio dei rapporti tra uso dei manufatti e perimetrazione dell’area-progetto. In altri lavori progettuali, ad esempio, in una tesi di laurea23, la stazione Bayard, della ferrovia Napoli-Portici, disposta su corso Garibaldi, dive- nuta negli anni Trenta del Novecento cinema-teatro Italia e da anni ab- bandonata, è stata studiata come uno degli snodi fondamentali per la ridefinizione dei rapporti tra aree centrali e orientali di Napoli, un luogo di grande rilevanza funzionale, aperto verso molteplici direzioni, dal bordo delle mura della città antica a piazza Garibaldi e verso le parti più dense dell’area orientale. Ciò risulta possibile, attraverso un progetto di rilettura dei valori spaziali dell’edificio, anche mantenendo alcune parti della mac- china allo stato di rudere. Attraverso questo edificio recuperato la città orientale riconosce un pezzo importante della sua vicenda storica, ma ritrova soprattutto una macchina funzionale articolata, di riferimento, un luogo di aggregazione assolutamente nuovo, lungo il bordo della città antica e già dentro la città orientale.

108 109109 Emilia Esposito, In una tesi di dottorato24 è stato affrontato questo tema attraverso un Tesi di Dottorato di lavoro sperimentale su corso Garibaldi, la strada di bordo tra la città an- ricerca in tica e gli sviluppi orientali, nella quale i resti archeologici delle mura ara- Progettazione Urbana, ciclo XXIV. gonesi e del primo tratto ferroviario Napoli-Portici con la stazione Bayard raccontano le stratificazioni di questo luogo, in una strategia tutta di- retta alla risoluzione di problematiche contemporanee e alla riqualifica- zione di una grande area “residua”, mai efficacemente valorizzata. Diventa allora chiara la portata del lavoro progettuale sui singoli temi: da un lato si tratta di approfondire un caso specifico, riportandolo a un tema “fondativo” del progetto urbano contemporaneo, lavorando sui nuovi luoghi di aggregazione e di riferimento; e dall’altro di avanzare considerazioni progettuali specifiche, perfezionando di volta in volta la tecnica progettuale imperniata su passaggi successivi che, muovendo dal singolo oggetto, coinvolge interi brani di città, attraverso la pro- gressiva precisazione di una rete di connessioni. Tra le macchine produttive individuate il gasometro e il macello rappresen- tano elementi chiave rispetto alle due grandi aree, che erano state prece- dentemente prese in considerazione, per cui si è ritenuto interessante rileggere queste aree, a partire da un’altra angolazione. Sui due edifici del gasometro e del macello sono stati compiuti appro- fondimenti specifici attraverso lo sviluppo delle ricerche di dottorato25. L’attribuzione a un edificio-macchina come il Gasometro, che peraltro

110 Schema Gasometro e Macello: la rete delle connessioni.

Schema assi di riconnessione con i tessuti.

111 Marina Di Iorio, Comparazione tra il caso studio londinese e quello napoletano, Tesi di Dottorato in Progettazione Urbana ciclo XXIII.

si posiziona lungo il corso del Sebeto-via Brin e quindi in uno dei luo- ghi fondativi della zona orientale di un nuovo ruolo e di una nuova fun- nella pagina accanto zione e di una nuova configurazione architettonico-spaziale attraverso Silvia Lacatena, Tesi di Laurea 2012, interventi circoscritti e calibrate aggiunte, ma con una vocazione ur- Social Housing a bana, può generare una particolare condizione di centralità e conse- Napoli Est. guentemente una rete di relazioni, per cui acquista significato il tema del

112 113 centro come connessione. In questo modo si ribalta completamente l’idea del centro come elemento di stabilità e di riferimento fisso per l’intorno urbano. Misurare il contesto a partire da un centro significa reinterpretare un tema canonico della contemporaneità, in un’ottica di formazione di nuove polarità urbane, che non si configurano come semplici elementi di riferimento gravitazionale, ma che corrispondono a spazi multidire- zionali, con una continua capacità di adattamento al mutare delle con- dizioni urbane. Al concetto di centralità assoluta si sostituisce in questo modo il concetto di rete di relazioni, del coesistere nello spazio urbano, sincronicamente di reti che allacciano oggetti diversi. Così è stato nel caso della trasformazione della Bankside Power Sta- tion nell’attuale Tate Modern (London), che ha favorito una più ampia trasformazione, nella quale la vecchia centrale elettrica ha assunto, su diversi piani, il ruolo di centro. Così potrebbe verificarsi anche a Napoli, dove gli esili scheletri metallici del Gasometro, visibili da tutta la piana, rotto il preesistente recinto, potrebbero configurarsi come un vero e proprio elemento di riconoscibilità di un’area nodale che si dispone in direzione est-ovest tra i quartieri residenziali lungo l’arco costiero e in di- rezione nord-sud tra il Centro Direzionale, l’area della stazione centrale, il porto e il mare. Quest’area, di nuova configurazione, è peraltro nella condizione di acco- gliere nuove funzioni residenziali, caratterizzandosi come un luogo con- temporaneo dell’abitare che si interpone peraltro tra i quartieri residenziali preesistenti del Risanamento e S. Erasmo ai Granili. In particolare in una tesi di laurea26 si è individuata su un’area un pro- getto che ingloba il Gasometro entro una nuova organizzazione urbana,

Eugenio Certosino, Attraversamenti e connessioni urbane nell’ex Macello, Tesi di Dottorato in Progettazione Urbana ciclo XXIII.

114 composta da servizi e residenze inseriti in un parco, avamposto note- vole di un meccanismo di attraversamento dei recinti industriali, da svi- luppare attraverso passaggi e interventi successivi. Emblematicamente l’ex-deposito tramviario su via Lucci è stato riutiliz- zato, a partire dal disegno del percorso pubblico che conduce al parco, puntando sull’attraversabilità del manufatto: quest’altra macchina è ine- vitabilmente coinvolta nel gioco della trasformazione urbana. Gli edifici residenziali seguono le strade e le tracce dei recinti, costruendo nuovi bordi non più chiusi e indifferenziati, ma permeabili, che lasciano in- travedere e scoprire lo spazio vuoto che celano all’interno. Al Macello può collegarsi invece il tema dell’attraversamento in termini contemporanei, che rappresenta un fondamentale tema del progetto ur- bano, con una sua storia e una sua continuità. Superata l’accezione del passage ottocentesco, risulta possibile sperimentare una nuova decli- nazione di questo tema, non più semplicemente la galleria, ma un vero e proprio sistema multidirezionato di attraversamenti nel corpo della città costruita, che ribalta le relazioni consolidate tra l’interno e l’esterno. Il Macello, a Napoli, un servizio della città ottocentesca, sovrastato da un asse infrastrutturale, affiancato da una linea ferroviaria dismessa e a confine con una grande area non utilizzata nell’ambito del Centro Di- rezionale, da recinto può trasformarsi in una nuova “macchina” urbana, nella quale le architetture preesistenti conservate e riutilizzate dialogano con nuovi elementi architettonici, che si aprono verso l’esterno e che riordinano l’interno, attraverso un meccanismo di concatenazioni, in grado di esaltare le forme lineari e reinterpretarle come attraversamenti e connessioni urbane. Da tradizionale figura del recinto lo spazio aperto del Macello attraver- sato diventa un nuovo luogo contemporaneo. La forma e la configurazione degli spazi aperti nella città costruita di- sposti intorno a una grande macchina dismessa rappresentano quindi un tema del progetto urbano di fondamentale importanza, un altro tema di ricerca e di approfondimento profondamente radicato nell’area orien- tale di Napoli. In questa ottica è necessario studiare adeguatamente i meccanismi di concatenazione tra gli spazi aperti, valutando la possibilità di dilatazione e di ampliamento di questi spazi, in modo da coinvolgere altri edifici e altre aree che nella dinamica urbana tendono a perdere le funzioni e i si- gnificati consolidati. La dilatazione dello spazio aperto si configura come un processo che spesso si sviluppa per aggiunte di aree ed elementi eterogenei, la cui nuova articolazione diventa un formidabile meccani- smo di connessione tra parti di città separate. Ciò può essere ancora di più rafforzato, se si supera il preconcetto della separazione interno- esterno e si determina una stringente continuità tra spazi diversamente “graduati” rivedendo anche l’impostazione tradizionale imperniata su una separazione netta tra spazi pubblici e privati. L’idea di spazio pubblico-privato come “connessione urbana”, come

115 un continuum di relazioni tra i vari ambiti della città, anche attraverso tecniche di rimodellazione del suolo, è stata sperimentata in diversi con- testi, tra i quali, ancora una volta si può citare il caso londinese. Gli esempi del Gasometro e del Macello sono emblematici delle possibili declinazioni del tema delle “connessioni”, ma ne delineano anche una sostanziale unitarietà di fondo. Il singolo edificio-macchina assume un nuovo protagonismo urbano, che deriva dalla sua natura e dalla sua sto- ria e che si carica di valori aggiunti connessi al ruolo assunto nella com- posizione urbana, al valore di posizione rispetto al tutto, alle interrelazioni con altri elementi e parti urbane significative. Emergono in questo modo nuove chiavi di lettura e di intervento nella città costruita, punti di equilibrio anche molto complicati, sui quali in- nestare processi trasformativi e strutturanti e strategie formali caratte- rizzate da molteplici contenuti e significati, in grado di spostare in misura consistente gli equilibri precedenti. Ma il discorso è ancora più ampio, in quanto ragionare su questo sistema puntiforme di luoghi costruiti preesistenti, caratterizzati da particolari con- figurazioni architettoniche, significa individuare una trama di orientamento nel corpo disperso e vulnerabile della città contemporanea, che non è caratterizzato da molti elementi di riconoscibilità, non ricercando sempli- cemente contiguità fisiche, ma anche rapporti a notevole distanza. Risulta a questo punto possibile far “entrare” le ricerche precedenti nella nuova: da un lato i gasometri, i grandi serbatoi di accumulo del gas ot- tenuti dalla lavorazione del petrolio che chiamano in campo il vecchio lavoro sulla parte sud-occidentale della zona orientale, anche in con- nessione alle aree portuali, dall’altro il Macello, che è direttamente col- legato alla fascia di Poggioreale attraverso le aree dismesse del binario della Circumvesuviana. In questo modo i due lavori progettuali prece- denti è come se ritrovassero un caposaldo, un punto di partenza, ma anche una nuova capacità di coinvogimento di aree, attraversando o rompendo i recinti consolidati e interpretandoli in modo nuovo. Ancora una volta si apre la possibilità di un discorso unitario sull’area orientale, anche in proiezione territoriale.

Note 1. Tra i principali studi sull’area orientale cfr. G.C. Alisio, L’origine dei quartieri industriali, in AA.VV., Napoli, una storia per immagini, ivi 1985; G.C. Alisio, Insediamento indu- striale, in “Archeologia industriale”, 1983; ANIAI, Infrastrutture a Napoli, progetti dal 1860 al 1898, Napoli, 1978; A. Buccaro, Istituzioni e trasformazioni urbane nella Na- poli dell’800, ivi 1985; L. Savarese, Un’alternativa urbana per Napoli. L’area orientale, Ercolano, 1983. 2. Cfr. V. Pezza, La carta orientale di Napoli. Il progetto e la costruzione del disegno urbano, Napoli 2002. 3. Cfr. L. Pagano, Periferie di Napoli, Napoli 2001. 4. P. Miano (a cura di), Tecnonapoli: nuove forme di sviluppo e ridisegno urbano, Manduria 1991. 5. Cfr. P. Miano, Tecniche di intervento per le aree dismesse, Napoli 1994.

116 6. C. Bru, L. Mateo, P. Miano, Il parco scientifico e tecnologico nelle aree Agip e della Manifattura Tabacchi, pp. 1-108, in Napoli, Architettura e città. III Seminario Internazionale di progettazione, 1991, p. 110. 7. Cfr. AA.VV., Progetto Bicocca, Milano 1986. 8. Sulla questione si rinvia alla tesi di dottorato in Progettazione Urbana di M.L. Nobile, Recintare/delimitare, un nuovo ‘materiale’ della composizione urbana, (ciclo XXII, 2009, tutor R. Amirante) che affronta il tema del passaggio dal mosaico dei recinti al tessuto di recinti. 9. R. Banham, Bicocca ’86, in AA.VV., “Progetto Bicocca”, Milano 1986. 10. Cfr. P. Miano, Le aree dismesse e la questione del progetto: il caso della zona orientale di Napoli, in La trasformazione delle aree dismesse nell’esperienza europea, “Bollettino del Dip. Progettazione Urbana”, Università di Napoli Federico II, Argomenti, 2, 1996. 11. Cfr. Tesi di Dottorato in Progettazione Urbana di Giuseppe Parità, Aree di margine, “deliri” urbani della città contemporanea, (ciclo XXIV, 2011), tutor R. Amirante. 12. Cfr. D. Vitale, Le pietre d’attesa, in “Progettazione urbana”, Bollettino del Dip. Progettazione Urbana Università degli Studi di Napoli Federico II, 1996. 13. Cfr. P. Miano, Una infrastruttura lineare tra memoria e progetto: la ferrovia circumvesuviana Napoli-Nola-Baiano in L’architettura dei paesaggi urbani. Ricerche in area campana, R. Lucci (a cura di), Officina, Roma, 2007, pp. 71-81, P. Miano, Una infrastruttura lineare tra memoria e progetto: la Ferrovia Napoli-Nola-Baiano in “Forme del movimento, progetti per infrastrutture lineari nei contesti storici e ambientali di rilievo“, G. Fabbri (a cura di), Roma 2008, pp. 204-237. 14. Cfr. N. Portas, Interpretazione del progetto urbano. L’emergenza del progetto urbano, in “Urbanistica”, n. 110, 1998. 15. Laboratorio di Sintesi del V anno, Corso di laurea Magistrale (a.a. 2005-2006), tema progettuale: Una nuova stazione metropolitana e un parco lungo il tracciato dismesso della Circumvesuviana, proff. P. Miano e C. Piscopo. 16. Tesi di Laurea di E. Russo, Architettura, struttura, città: un progetto per l’area orientale di Napoli, 2006-2007, relatori P. Miano e F. Marotti de Sciarra. 17. Cfr. N. Portas, op.cit. 18. P. Miano, Il moderno a Napoli: nuovi spazi centrali nella periferia, in “Bollettino del Dipartimento di Progettazione Urbana”, Università Federico II, Napoli, n. 5/1997. 19. D. Vitale, op.cit. 20. P. Miano, E. Certosino, M. Di Iorio, F. Avitabile, E. Esposito, G. Aquilar, Una linea di ricerca del progetto urbano: l’architettura delle connessioni, in atti I Congresso Rete Vitruvio - “Il progetto di architettura fra didattica e ricerca”, Poliba Press, Bari 2011. 21. Cfr. D. Vitale, Introduzione, in R. Moneo, La solitudine degli edifici, Torino 1999, p. 11. 22. Laboratorio di Progettazione architettonica e urbana, Corso di Laurea magistrale del IV anno (a.a. 2009-2010), docenti P. Miano e C. Piscopo (Lettura morfologica). Tema progettuale: Trasformazione di grandi masse dismesse nell’area orientale di Napoli. 23. Tesi di Laurea di Filippo Celardo, Bayard (2012), relatori P. Miano e V. Russo. 24. Cfr. Tesi di Dottorato in Progettazione Urbana di E. Esposito, La sezione archeologica: il muro e il percorso. Architetture delle relazioni nella città stratificata (ciclo XXIV, 2011), tutor P. Miano. 25. Cfr. Tesi di Dottorato in Progettazione Urbana di M. Di Iorio, Misurare il contesto a partire da un centro. Moltiplicazioni delle soglie tra interno ed esterno (ciclo XIII 2010), tutor P. Miano e di E. Certosino, Le forme dell’attraversamento. Nuovi paesaggi urbani metropolitani (ciclo XXIII 2011), tutor P. Miano. 26. Cfr. Tesi di Laurea di Silvia Lacatena (2012), Social Housing a Napoli Est, relatore P. Miano.

117 Finito di stampare nel mese di ottobre 2012 per conto delle edizioni CLEAN dalle Officine Grafiche Francesco Giannini e figli s.p.a. / Napoli

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