Ripreso il processo sulla “trattativa”

Scritto da Alfio Musarra - 16 gennaio 2014 - 21:14

È ripreso questa mattina nell’aula bunker del carcere Ucciardone di , il processo sulla “trattativa” tra Stato e mafia. Sul banco dei testimoni, collegato in video conferenza con la Corte d’Assise presieduta dal giudice Alfredo Montalto, il Gaspare Mutolo, ex autista e braccio destro di Totò Riina. ”La mafia era preoccupata perché il dottor Falcone era riuscito a togliere il maxiprocesso al giudice Carnevale. Invece in Cosa nostra si sapeva che appena il processo arrivava al giudice Carnevale, lui lo buttava a terra. Era una sorta di assicurazione”. Ha detto il pentito Gaspare Mutolo, “Poi la mafia sapeva che il dottor Falcone avrebbe lasciato Palermo per andare a fare l’ambasciatore in America”. Mutolo, racconta ai giudici della Corte d’assise di Palermo la sua decisione di collaborare con i magistrato e i suoi contatti con . “Dissi al giudice Falcone che c’erano persone delle isitituzioni in contatto con i mafiosi”. La decisione di collaborare arriva alla fine del 1991, “quando chiesi di parlare con Giovanni Falcone”. ”Questa maturazione di collaborare stava nascendo mentre ero fuori e ne parlavo con un mio amico perché seguivo quello che stava combinando la mafia, si sono messi a uccidere anche le donne”. “La decisione l’ho presa quando uccisero le donne della famiglia Mannoia e la moglie di Bontade”. “Poi uccidono Condorelli perché non ha voluto fare un tranello combinato da Santapaola”.

L’incontro con avvenne il primo luglio. “Prima di verbalizzare – racconta ancora Mutolo – parlando solo con lui e prima che fossimo interrotti, ci appartammo e gli dissi che volevo smantellare sia la forza militare di cosa nostra che i contatti con le istituzioni e fare un po’ di pulizia anche nel suo ufficio, facendogli il nome di Signorino, di un alto funzionario delle forze dell’ordine e di altri magistrati”. Erano seduti uno di fronte all’altro – era presente anche Vittorio Aliquò, e Borsellino apparve contrariato: “Mi parve dispiaciuto di interrompere il colloquio – dice Mutolo – anche disturbato dalla telefonata mentre era ad un incontro segreto. Si scusò, mi disse: mi ha chiamato il ministro, devo andare”. In quella giornata infatti si insediava il neo ministro dell’Interno . Borsellino rientrò dopo circa un’ora e mezza. “Era molto arrabbiato, agitato. Tanto che gli feci notare che stava fumando due sigarette contemporaneamente. Mi disse che dal ministro incontrò Parisi e Contrada. Mi riferì che Contrada mi salutava e – ha aggiunto – nonostante la segretezza dell’incontro – Contrada disse a Borsellino che era disposizione per qualunque cosa avesse bisogno”.

“Borsellino sapeva che c’era qualcuno che voleva fare accordi con la mafia e che c’erano mafiosi disposti ad avere rapporti con certi personaggi”. Non nomina espressamente la trattativa ma parla di “accordi” il pentito Gaspare Mutolo. Il collaboratore di giustizia, ha anche raccontato di avere sentito la dura reazione del magistrato all’accenno circa la possibilità di una dissociazione dei mafiosi. “Lo sentii gridare ‘ma sono pazzi? Che vogliono fare? – ha detto – pensava fosse assurdo accettare queste cose”. “Si era sentito vociferare – ha proseguito – che c’erano personaggi delle istituzioni, carabinieri, servizi segreti, ma anche preti e politici, che stavano cercando di ampliare il discorso dei collaboratori. Da quello che capii c’erano mafiosi, ma anche camorristi, che erano disposti a dissociarsi dall’organizzazione per avere in cambio provvedimenti simili all’amnistia”. “Quando Borsellino urlò ‘sono pazzi’ – ha spiegato Mutolo – si riferiva ai personaggi delle istituzioni che avevano l’intenzione di accettare quell’idea”. Il pentito non ha saputo dire chi fossero i carabinieri coinvolti nel progetto, ha accennato al generale Mario Mori, tra gli imputati del processo, ma le sue dichiarazioni differiscono con quanto detto in altri interrogatori che gli sono stati contestati.

Intanto, nel giorno della deposizione di Mutolo, arriva la notizia del ritrovamento di una lettera nella cella di Alberto Lorusso, il boss della che nei mesi scorsi ha condiviso con Totò Riina l’ora d’aria nel carcere milanese di Opera. La lettera redatta con caratteri fenici, farebbe riferimento ad un “attentato”, al “appello” e a “Bagarella”. A scriverlo è il quotidiano La Repubblica, che spiega come lo scorso dicembre, a seguito delle intercettazioni tra Riina e Lorusso, con le minacce del padrino corleonese al pm Di Matteo, “i magistrati palermitani sono andati a interrogare Lorusso nel carcere milanese” ed in quella circostanza ordinarono una perquisizione nella cella del boss pugliese. Da qui la scoperta della lettera misteriosa con quegli inquietanti riferimenti. Ma non solo. Nei giorni scorsi, prosegue il quotidiano, anche la cella di Riina è stata perquisita. Un fatto che ha innescato le proteste del capo di cosa nostra che avrebbe rinnovato le sue minacce a Di Matteo: “Gli faccio vedere io a Di Matteo – avrebbe detto Riina -. Questa è la goccia che ha fatto traboccare il vaso”.