Letteratura per temi Letteratura, società e mondo del lavoro

Narrare i contesti e le relazioni 2

Paolo Volponi 3 T1 Albino Saluggia nella fabbrica, da Memoriale 4 Due giorni, una notte , di Jean-Pierre e Luc Dardenne 10

Mario Tobino e i romanzi del manicomio di Magliano 11 T2 Per rendere filosofo il malato di mente, da Per le antiche scale 11

Dacia Maraini: narrazione e femminismo 14 T3 La causa segreta del mutismo di Marianna, da La lunga vita di Marianna Ucrìa 15

Silvia Avallone 18 T4 La spiaggia e l’acciaieria abbandonata, da Acciaio 18 Oggetti e persone come icone del tempo 23 Letteratura Letteratura, società per temi e mondo del lavoro

Narrare i coNtesti e Le reLazioNi Vi sono opere nelle quali l’esistenza dei personaggi è profondamente condizionata e influenzata dalle relazioni con l’ambiente sociale in cui essi agiscono e vivono. In esse la narrazione si basa non tanto sulla psicologia dei protagonisti o sulla loro interazione con il ristretto contesto familiare, ma sul loro relazionarsi con il mondo esterno, con la società, con l’ambiente di lavoro o con il complesso dei valori, delle convenzioni, e tal - volta dei pregiudizi, con cui l’individuo, una volta divenuto adulto, si deve necessaria - mente confrontare e spesso anche scontrare. L’ambientazione Il rapporto con il mondo del lavoro, ad esempio, è centrale in Memoriale (1962) di nel contesto (1924-1994). L’autore fa tesoro della propria esperienza personale come lavorativo dirigente della azienda Olivetti di Ivrea e racconta la vicenda di un operaio, Albino Saluggia, il quale, nonostante il suo atteggiamento inizialmente positivo e fiducioso, non riesce ad adattarsi alla vita di fabbrica e vive una condizione di alienazione che sfo - cia nella malattia mentale. Memoriale si inserisce nel filone letterario chiamato “ lette - ratura e industria ”, che si è affermato in Italia fra gli anni Cinquanta e Sessanta e che ha visto fra i suoi autori più interessanti, oltre allo stesso Volponi, e Lucio Mastronardi . Nell’ultimo decennio c’è stata una ripresa di questa tendenza, rivolta più al mondo degli uffici e del terziario che a quello della fabbrica, con autori quali Giorgio Falco (1967) e (1972). Allo stesso modo (1910-1991) mette a frutto la propria esperienza pro - fessionale di psichiatra per comporre una trilogia romanzesca – comprendente Per le antiche scale (1972), di cui proponiamo un brano – che ha come ambiente il suo luogo di lavoro, in questo caso l’ospedale psichiatrico o, come si diceva più spesso ai suoi tempi, il manicomio. Tobino ha, quindi, uno sguardo autobiografico, psicologico e memoriale ma anche e soprattutto sociale, dal momento che suo principale intento è rappresentare i malati psichiatrici come “persone”, cioè come individui dotati di una profonda seppur a volte misteriosa umanità, che hanno il diritto di essere trattati con rispetto e sensibilità affinché possano aspirare a una vita di relazione, se non felice, almeno serena e dignitosa. L’interazione Un taglio diverso, con una spiccata tendenza femminista, è quello di con il contesto (1936) nel suo romanzo più noto e apprezzato, La lunga vita di Marianna Ucrìa (1990). sociale e familiare L’opera è ambientata nel Settecento, quindi per certi versi può essere considerata un romanzo storico, ma il suo aspetto più interessante è dato dalle modalità in cui la pro - tagonista interagisce con il contesto sociale in cui vive, un ambiente di tipo patriarcale e maschilista, con tutto il suo carico di convenzioni e pregiudizi di ceto e di morale. Il nucleo emotivo della vicenda, infatti, è la violenza sessuale che Marianna ha subito da ragazzina e che è stata messa a tacere mediante un matrimonio “riparatore” fra la vit - tima e il suo stesso stupratore. È evidente che la scrittrice vuole rappresentare una

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vicenda che, pur essendo collocata in un lontano passato, resta dolorosamente attua - t t

le, considerando i molti fenomeni di abuso e violenza di cui le donne sono ancora oggi e r

le principali vittime; lo dimostra la cronaca, assai fitta di tristi episodi del genere, senza a t contare i molti altri casi che non vengono neppure alla luce perché le vittime, per ver - u r gogna o per timore di ulteriori conseguenze, non osano denunciare i loro persecutori. a P

Il naturalismo di Interessante è anche l’ottica femminile con cui la giovane scrittrice Silvia Avallone e Silvia Avallone r (1984) nel suo romanzo d’esordio, Acciaio (2010), racconta la Livorno popolare, all’om - t e

bra del grande complesso siderurgico della città ora in gran parte dismesso, attraver - m so le vite di due inquiete adolescenti dei nostri giorni. La scrittrice applica sistematica - i mente, attualizzandolo, il canone tradizionale del Naturalismo , consistente in una nar - razione impersonale che intreccia strettamente le vicende dei personaggi al loro ambiente familiare e sociale, nel largo uso del discorso indiretto libero e di un linguag - gio che ricalchi il più possibile la lingua reale e viva dei personaggi. La scrittura è infat - ti caratterizzata da un linguaggio estremamente espressivo, a tinte forti, che rimanda alla lezione del romanzo sociale ottocentesco ma, al tempo stesso, è ricco di locuzioni odierne tipiche dei gerghi giovanili.

PaoLo VoLPoNi La vita e le opere Scrittore, poeta, manager e uomo politico, Paolo Volponi nasce a Urbino nel 1924. Dopo la laurea in legge, viene assunto come direttore del personale prima alla Olivetti di Ivrea e poi, nel 1972, alla Fiat di Torino; nel 1975 le sue idee marxiste lo mettono in conflitto con la dirigenza dell’azienda e per questo decide di abbandonarla. Nel 1983 viene eletto senatore nelle liste del Partito comunista italiano. Muore nel 1994 dopo una lunga malattia. Volponi esordisce nel mondo letterario con alcune raccolte poetiche : Il ramarro (1948), L’antica moneta (1955) e Le porte dell’Appennino (1960), insignito del Premio Viareggio. L’ esperienza nel mondo della fabbrica e il contatto quotidiano con gli ope - rai suscitano in lui l’interesse per il tema dell’alienazione e delle nevrosi dell’uomo con - temporaneo, stritolato dall’ invadenza della tecnologia . Tale tema è al centro del suo capolavoro, Memoriale (1962). Le novità del romanzo, oltre che sul piano tematico , sono sostanzialmente da ricercare nella scelta della voce narrante , quella di un operaio – Albino Saluggia – “diverso”, disadattato. La vita della fabbrica è filtrata dalla lente deformante della lucida follia del protagonista e rivissuta attraverso la sua ossessiva e maniacale analisi memoriale . Anche a livello stilistico, il tessuto del romanzo è forte - mente innovativo: oltre alle parti narrative, infatti, esso include testi di volantini sinda - cali , poesie in rima e altri materiali estranei alla tradizione del romanzo realista. Con Memoriale Volponi si inserisce nel dibattito culturale sul problema dei rapporti tra let - teratura e industria , che in quegli anni va acquistando grande rilievo in Italia. I temi di Memoriale vengono ripresi nelle opere successive e rielaborati, alla luce di prospettive che talora sconfinano nell’utopia e concezioni che spesso sono dibattute anche polemicamente, oltre che aperte a diverse interpretazioni. Ne La macchina mon - diale (1965) Volponi sogna una società più matura, capace di riscattare la tecnica e di debellare ogni forma di violenza sull’uomo. In Corporale (1974), in cui riprende il tema dell’ emarginazione del “diverso” , giunge a proporre come unico rapporto possibile con il mondo esterno quello carnale. Ne Il sipario ducale (1975), opera volta ad analiz - zare la crisi della società contemporanea, abbandona decisamente la forma narrativa unitaria a favore di testi fortemente slegati. Alla fine degli anni Settanta i romanzi di Volponi diventano sempre più pessimistici . Il pianeta irritabile (1978), opera di taglio fantascientifico, immagina una catastrofe uni - versale. Analoga concezione domina Il lanciatore di giavellotto (1981), che racconta l’e - ducazione di un ragazzo durante l’epoca fascista. Con l’ultimo romanzo, Le mosche del capitale (1989), Volponi torna infine alla descrizione del mondo industriale, raccontan - do come un dirigente dalle idee aperte di una grande azienda venga schiacciato dalla logica che governa la produzione.

LeTTerATUrA , SOCIeTà e MONDO DeL LAVOrO 3 i m e LA TRAMA t r e

P Memoriale a Il romanzo narra la storia dell’operaio Albino Saluggia . Tornato alla fine della guerra al suo paese in pro - r u vincia di Torino dal campo di concentramento, dove ha contratto la tubercolosi, Saluggia trova lavoro in t a

r una fabbrica e spera di realizzarsi come lavoratore e come uomo; a poco a poco, però, avverte che il suo e t rapporto con il mondo del lavoro è sempre più conflittuale e alienante . Dopo una serie di ricoveri, t e dovuti all’acuirsi della tubercolosi, e di declassamenti nella fabbrica, cade vittima della nevrosi e si con - L vince che la sua condizione sia il risultato di una congiura ordita ai suoi danni dai medici dell’azienda. Albino, infine, sarà licenziato per uno sciopero: la fabbrica, che pure aveva tollerato la sua “diversità”, lo rifiuta perché non può accettarne la ribellione.

Albino Saluggia nella fabbrica T1 da Memoriale Paolo Volponi

Paolo Volponi è un intellettuale immerso nel mondo della produzione, della tecnologia e nei problemi della società industrializzata e di massa. In Memoriale presenta il mondo della fabbrica dall’interno, nel - l’ottica dissociata di Albino Saluggia, un operaio malato nel corpo e nella mente. Nel brano qui presen - tato, tratto dalle prime pagine del romanzo, il protagonista parla del rapporto angosciante con la madre e racconta la sua storia in un flashback .

PISTE DI LETTURA Industrializzazione e sindromi sociali: la solitudine, l’emarginazione, l’alienazione Un sapiente intreccio descrittivo di ambienti e stati d’animo La forma del monologo interiore

Il monologo Ho ancora oggi un lavoro, pur dopo tante sventure e i cattivi disegni dei medi - dolente ci 1. Un lavoro che mi pesa molto ma che mi dà da mangiare. Certe sere, spe - dell’operaio cie d’inverno, esco solo dalla fabbrica già semispenta, dopo tutti gli altri. Mi illu - alienato do di essere contento di uscire, e immagino di sentire il caldo delle case di tutti e di essere aspettato nelle mille case della città o dei paesi vicini. A casa mia 5 sono anche più solo, perché mia madre ogni giorno si allontana di più da me ed aumenta le sue lunghe pause di silenzio.

1. Ho ancora... medici : al protagonista, a causa delle manifesta pensieri paranoici ed è convinto che i medici condizioni di salute, è stato affidato un nuovo lavoro, ben - agiscano contro di lui. ché sgradito: quello di custode o piantone; spesso egli

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So che un mio collega di lavoro ha a casa la madre pazza che deve chiudere t t

a chiave nella stanza da letto, dalla mattina alla sera, per poter venire a lavora - e r

re. Un altro si ubriaca, insieme alla madre. Lascia la moglie e raggiunge la 10 a t u

madre all’osteria; trascorrono la serata bevendo e abbracciandosi come due r ubriaconi. Spesso fuggono insieme, per mesi interi: prendono una sola stanza a P

in albergo, bevendo sempre come matti e andando a tutti i divertimenti. e r

Io ho questa sorte del silenzio. Mia madre mi guarda talvolta come se non mi t

La follia e della madre riconoscesse e invece di darmi aiuto e confortarmi, piange e si nasconde. Penso 15 m che non preghi nemmeno più per me, anche se sta intere notti seduta sul letto i a mormorare. Mi resta soltanto la lotta che ho intrapreso per la vittoria della giustizia, perché a questo punto non credo più che potrò vincere i miei mali. Desidero smascherare gli inganni, denunciare i colpevoli per amore di giusti - zia, sacrificandomi come un ribelle 3. 20 Qualche volta nella fabbrica mi sfogavo nel lavoro ed allora montavo il mio gruppo a una velocità incredibile e per ore intere compivo il mio lavoro dimo - strando di essere il più bravo 4. L’abilità mi confortava ed era una delle poche cose, se non l’unica, che mi dava il senso di un progresso. Sapevo fare bene un lavoro qualificato e avevo superato almeno la paura del lavoro meccanico; 25 ma tutto questo non servì a niente. L’inizio Ma riprendendo a narrare i fatti 5, debbo dire come la mia assunzione avvenne del racconto e come furono i primi tempi del mio lavoro, sino alla conoscenza fatale dei memoriale medici. Mi presentai dunque, la mattina del 26 giugno 1946, alla portineria della fabbri - 30 ca, dalle guardie che mi guidarono sino all’Ufficio Personale e Manodopera 6.

[Nella parte omessa Albino Saluggia rievoca episodi del proprio passato, soffermandosi in particola - re sulle dolorose esperienze avute nell’infanzia in Francia, nel campo di concentramento in Germania e durante un incontro con un medico, che constata le sue pessime condizioni di salute. In un certo senso, egli viene assunto nella fabbrica quasi per pietà e, infine, inizia a lavorare alla fresatrice, gui - dato dal caporeparto Michele Grosset. A differenza dei compagni, che non si affaticano perché riten - gono che non sia il caso, dato che si lavora per un padrone, Saluggia cerca di fare il proprio dovere nel migliore dei modi, felice di essere approdato alla grande fabbrica.]

Il rapporto Il giorno in cui cominciai a lavorare da solo alla fresatrice 7, più del padrone, allucinato con le odiavo tutti i compagni. Speravo che le loro macchine s’inceppassero e taglias - macchine sero malamente i pezzi 8. Questo odio m’aiutava a lavorare e mi dava l’ambizio - ne di riuscire a fare meglio degli altri. Prendevo il grezzo 9 dalla cassetta come 35

2. un mio collega... madre pazza : il tema della follia dell’io, chiuso nei suoi labirinti insondabili, ossessivamen - come sindrome sociale causata dall’industrializzazione te rivolto al proprio passato e tormentato dal vano tentati - viene introdotto anche attraverso il riferimento a inquie - vo di dare senso alla propria vita. tanti figure di madri: quella di Albino, sempre più tacitur - 6. Mi presentai... Manodopera : il ricordo torna al na e incapace di comunicare, e quella del suo collega, momento in cui, liberato in pessime condizioni di salute alcolizzata e pazza. L’abbrutimento della figura materna dal campo di concentramento tedesco, Albino Saluggia si allude simbolicamente al tema dello sradicamento dell’uo - era presentato all’ufficio competente della fabbrica ed era mo, strappato violentemente dalla civiltà contadina, cui stato assunto, evento che riveste per lui importanza capi - appartenevano i suoi avi e la madre stessa, e privato degli tale. Subito dopo, però, l’io narrante riprenderà a parlare abituali punti di riferimento culturali e morali. di un passato precedente quel fatto. 3. Mi resta... ribelle : Albino Saluggia è convinto di pote - 7. fresatrice : macchina che asporta trucioli metallici, pres - re ristabilire la giustizia nel mondo, avendo rinunciato alla so la quale lavora il protagonista, svolgendo una mansio - speranza di poter risolvere i propri mali. ne sempre identica, che però può essere compiuta con 4. Qualche volta... bravo : come si vedrà più oltre, il pro - maggiore o minore velocità. tagonista intende il lavoro come una gara con i suoi com - 8. Speravo... pezzi : Albino Saluggia odia i compagni di pagni per mostrare di essere più bravo di loro. lavoro perché, a differenza di lui, non cercano di lavorare 5. riprendendo... fatti : il dipanarsi contorto della narra - alla massima velocità possibile. zione sul filo confuso della memoria rivela la solitudine 9. il grezzo : il pezzo da lavorare.

LeTTerATUrA , SOCIeTà e MONDO DeL LAVOrO 5 i fosse un nemico da sgominare e lo riponevo finito che ormai gli ero affeziona - m e

t to come a una parte di me stesso. Il rumore della fresatrice mi tirava nella lotta r e più la sentivo mordere più m’infervoravo nel lavoro. Il suo rumore, i suoi e P tagli, mi convincevano aspramente di saper lavorare; davano alle mie mani una 40 a r forza che non avevano mai avuto, anche se mi ero accorto che le mie mani più u t che guidarla erano trascinate dalla macchina. Grosset 10 si avvicinava spesso al a r mio posto. Un giorno mi guardò per qualche secondo e poi passandomi una e t t mano sulla spalla, mi disse: – Vai calmo, Saluggia. – Lui capiva la condizione e L in cui mi trovavo. 45 – Non prendere il lavoro come un nemico, – soggiunse, – o non durerai a lungo. E non farne nemmeno l’unica ragione della tua vita. Siccome la sua benevolenza andava oltre la sua confidenza, per non sentirmi troppo in debito, dissi anch’io: – Si lavora per un padrone 11 . – Per più d’uno, – rispose Grosset, – ma siccome il lavoro è per forza una parte 50 della tua vita, cerca di non rovinartela 12 . – E se ne andò, senza guardare nella cassetta la qualità dei pezzi finiti. Lavoro e delirio Ancora non lavoravo a cottimo 13 ma certamente in quei giorni superavo il cento per cento. Ad un certo punto m’accorsi che il pezzo, cambiando sotto le frese 14 , un attimo prima d’essere finito, assumeva il colore opaco del lago di 55 Candia 15 . Questa fu una grossa rivelazione tanto che da allora per molto tempo, anche se non per tutta la giornata, svolgevo il mio lavoro per arrivare ogni volta al punto in cui compariva il colore del lago; la frazione di lavoro successiva, necessaria per finire il pezzo, era diventata per me come l’ultimo tratto di una strada, diversa da quella vera, tra il lago e casa mia: di una strada diversa e più 60 facile, dove sarebbe dovuto capitarmi qualcosa, la rivelazione, il segno del mio nuovo destino. Intanto la mia macchina funzionava bene, aveva solo il motore della tavola un poco più rumoroso del normale. Mentre i motori andavano, m’immaginavo qualche volta che si stesse effettuando una corsa automobilisti - ca, nella quale ero in gara con una macchina di mia costruzione. Immaginavo 65 sempre di essere in testa, con il numero 17 che mi era stato attribuito da Pinna 16 e che io mantenevo perché la mia corsa era proprio una sfida lanciata contro il destino avverso e contro la congiura ordita a mio danno da tutti gli altri concorrenti 17 . Nel culmine della corsa la mia macchina subiva un guasto e solo la mia abilità 70 le impediva di fermarsi. Continuavo la gara con il fiato sospeso per gli ultimi giri, guardando i miei compagni di lavoro come se veramente stessero per superarmi con le loro fresatrici e poi, con un ultimo sforzo di volontà, riuscivo a vincere. Un altro giro e la mia macchina si sarebbe incendiata. Seguendo que - sti pensieri potevo ugualmente controllare bene il mio lavoro e procedere 75 senza la noia di dover numerare uno ad uno i pezzi finiti. Passavo le ore, che gli orologi 18 nelle officine segnano a migliaia partendo dal - l’inizio delle diverse lavorazioni. Quando io sono entrato nella fabbrica, l’oro -

10. Grosset : Michele Grosset; è l’operaio che svolge la la fresatrice. mansione di caporeparto. 15. assumeva... Candia : la macchina fresatrice a cui 11. Si lavora... padrone : il protagonista ripete la frase Albino lavora è simbolo della civiltà delle macchine, men - con cui gli altri operai sono soliti troncare le discussioni tre il lago di Candia (la località in cui è ambientato il con lui. romanzo) è immagine della natura perduta, una natura per 12. Per più d’uno... rovinartela : la risposta di Grosset è cui l’ex contadino sente una forte nostalgia, seppure non amaramente ironica e allude al fatto che il proprietario del - del tutto consapevole. l’azienda non è l’unico padrone di cui occorre tener conto; 16. Pinna : è un operaio che lavora accanto ad Albino. lo è ogni individuo o gruppo che esercita un potere. Il 17. la mia corsa... concorrenti : ricorre nella mente del caporeparto consiglia poi ad Albino Saluggia di non tene - protagonista l’immagine del lavoro come gara da vincere re ritmi di lavoro tali da mettere a rischio la sua salute. producendo più pezzi lavorati degli altri operai. 13. a cottimo : modalità di lavoro che lega la retribuzione 18. gli orologi : l’orologio è metafora del nuovo rapporto al numero dei pezzi lavorati nell’unità di tempo, con un tra l’uomo e il tempo, che nel contesto della fabbrica – a obiettivo minimo stabilito. differenza di quanto accade nel lavoro dei campi – viene 14. cambiando... le frese : modificandosi a contatto con scandito dai meccanici ritmi di produzione.

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logio della nostra officina segnava l’ora 1227. Anche il tempo, come gli uomi - e t

ni, è diverso nella fabbrica; perde il suo giro per seguire la vita dei pezzi. t e r

Trascorrevano le ore, anche con qualche sigaretta che fumavo, le visite di 80 a t

Grosset e ogni tanto un discorso di Pinna che borbottava quasi sempre, anche u r

da solo. a P

Il rumore mi rapiva; il sentire andare tutta la fabbrica come un solo motore mi e trascinava e mi obbligava a tenere con il mio lavoro il ritmo che tutta la fabbri - r t e

ca aveva. Non potevo trattenermi, come una foglia di un grande albero scosso 85 m in tutti i suoi rami dal vento. La gente non esisteva più ed io pensavo che per i quanto nella fabbrica si lavori tutt’insieme, stretti nei reparti, con le fresatrici su tre file ad intervalli regolari, e così i torni e le presse, o tutt’in fila nelle catene di montaggio o nei controlli, o si mangi in tanti alla mensa e si viaggi tutti sulle corriere, è difficile poter avere delle compagnie e degli aiuti dagli altri. Io non 90 Il sindacalista potevo mischiarmi, come faceva Pinna, ai gruppi che parlavano in quel tempo Pinna di un aumento di venti lire orarie, perché se io avessi parlato dei poveri con - tadini o dei disoccupati mi avrebbero voltato le spalle 19 . Pinna entrava in quei gruppi, non so bene perché; non parlava quasi mai o si limitava a ripetere le parole degli altri. Pinna si cacciava dappertutto ed io non capisco perché lo 95 sopportassi come amico, con quel suo testone nero e quello sputarello sempre tra le labbra. Continuava a farsi ammirare per il suo coraggio di partigiano e per la sua fuga dal terzo piano di un albergo di Torino dove i tedeschi lo tene - vano prigioniero in attesa di fucilarlo. Pinna mi aveva addirittura proposto di iscrivermi al Partito Socialista e ai sindacati della Cgil 20 ; sempre ridendo natu - 100 ralmente e aggiungendo: – Vedrai poi, vedrai poi... – Io vedo chiaro ora, caro Pinna, – gli avevo detto, – e non mi iscrivo a niente. Io non ho niente da spartire con nessuno. Ma Pinna aveva riso, facendo saltare la sua gamba più del solito: – Vedrai che aiuto ti daranno i preti... 21 105 La fabbrica come Tutto sommato, compresa la mia solitudine o meglio la mia differenza dagli rifugio altri, i primi giorni di lavoro non furono brutti giorni; anzi molte cose mi pia - dalle angosce cevano e mi confortavano: così la mensa, gli spogliatoi, le docce, i grandi cor - interiori ridoi, le luci al neon dentro e fuori, il veder passare alti e silenziosi tanti inge - gneri e dirigenti che mi facevano sentire al sicuro, in una fabbrica ben gover - 110 nata. Pensavo con piacere, anche se con il timore di non esserne degno, di far parte di un’industria così forte e bella e che la sua forza e la sua bellezza fos - sero in parte mie e pronte ad aiutarmi, così come la fabbrica mi scaldava e mi dava luce. Amavo a poco a poco la fabbrica, sempre di più man mano che m’interessava 115 meno la gente che vi lavorava. Mi sembrava che tutti gli operai avessero poco a che fare con la fabbrica, che fossero o degli abusivi o dei nemici, che non si rendessero conto della sua sovrumana bellezza e che proprio per questo, lavo - rando con più fracasso del necessario, parlando e ridendo, la offendessero deli - beratamente. Mi sembrava che si divertissero a guastarla e a sporcarla, a voltar - 120 le le spalle ogni momento. La fabbrica mi appariva sempre più bella e mi sem - brava che si rivolgesse direttamente a me, come se fossi l’unico o uno dei pochi in grado e ben disposto a capirla.

19. perché... spalle : l’esperienza di Albino Saluggia tica, si trasformò in un sindacato legato principalmente ai riguarda le condizioni dei contadini e dei disoccupati; egli partiti comunista e socialista. si sente perciò isolato anche dai suoi stessi compagni di 21. Vedrai... preti... : Pinna, che è evidentemente anticle - lavoro, abituati a vivere fra gli operai. ricale, con il gesto della gamba vuole mimare un calcio per 20. Cgil : Confederazione Generale Italiana del Lavoro; far intendere a Saluggia che secondo lui, in caso di neces - ricostituita nel 1944 dopo lo scioglimento per opera del sità, la Chiesa, a differenza del sindacato, non gli avrebbe regime fascista. In seguito alla scissione della Cisl, di ispi - dato nessun aiuto. razione cattolica, e della Uil, di ispirazione socialdemocra -

LeTTerATUrA , SOCIeTà e MONDO DeL LAVOrO 7 i Il lavoro andava avanti bene, dico il mio e anche quello degli altri, pur se irri - 125 m e

t guardosi; in certi momenti di maggior lena sentivo il lavoro andare e mordere r nel ferro della fabbrica come un trattore che ara in un campo o come una auto - e P mobile che corre sull’autostrada. E mi sembrava di essere io ad arare o a gui - a r dare; che la forza del rumore e del rendimento dipendesse da un acceleratore u t legato al mio lavoro: quando io aumentavo, aumentava tutta la fabbrica e quan - 130 a r do rallentavo sentivo qualcosa cadere dall’unisono del lavoro di tutti, qualcosa e t t come aprirsi una porta, nascere una voce, una finestra aperta richiamare atten - e

L zione. Questo lavoro, figlio della fabbrica, mi piaceva e mi dava soddisfazione tanto che andando a mezzogiorno verso la mensa allungavo il giro per passa - re al reparto imballaggio, dove le macchine nuove, miracolosamente lucide e 135 complete dopo essere passate per tante mani e catene, aspettavano in fila di essere custodite nelle casse e spedite, con la loro faccia piena di denti, in tutto il mondo 22 . Perché tutti non amavano questo lavoro, e molti addirittura lavoravano e vive - vano nella fabbrica dimenticando questo frutto del loro lavoro, dimenticando 140 l’esistenza dell’ultima porta della fabbrica? Se avessi una risposta a questa domanda potrei sapere anche perché alcuni malvagi hanno sempre agito con - tro di me, ribelli ad ogni legge morale, colpendo me forse per colpire la legge ordinata della fabbrica, dove prosperavano; proprio come le malattie si rivolta - no contro il corpo che le ha nutrite 23 . 145 La disillusione Passati quasi due mesi di lavoro nella fabbrica mi accorsi però di non aver gua - sulla possibile dagnato o perduto niente. Voglio dire che m’accorsi di essere la stessa persona guarigione di cinquanta giorni prima, la stessa da tanto tempo, e che niente era cambiato dentro o fuori di me nelle cose importanti della mia vita, che cioè la mia vita era rimasta uguale, senza nemmeno mostrare i segni di una prossima trasfor - 150 mazione. Lasciavo ogni giorno casa mia, viaggiavo, lavoravo, andavo alla mensa, incontravo migliaia di persone, imparavo a lavorare, tornavo a casa; ma dentro di me dopo due mesi non era cambiato niente 24 . da Memoriale , Einaudi, Torino, 1981

22. Il lavoro andava avanti... tutto il mondo : il passo è luogo di ordine e pace che viene distrutta da imprecisati un tipico esempio, sul piano dello stile, dell’alternarsi e del malvagi ritorna frequentemente nella mente del protago - sovrapporsi di due tonalità diverse. La seconda, che qui si nista. manifesta, è lirica ed emotiva, e lascia trasparire la parte - 24. Lasciavo... niente : la prima constatazione negativa di cipazione dell’autore, che in tal caso sostituisce il narrato - Albino Saluggia riguarda il fatto che l’ossessionante ripeti - re, alla dolorosa esperienza umana. tività del lavoro in fabbrica non gli permette di migliorare 23. Se avessi... nutrite : il sogno della fabbrica come e maturare, come egli aveva sognato.

PER LO SVILUPPO DELLE COMPETENZE L inee di analisi testuale Il conflitto interiore e la fabbrica Il passo, situato all’inizio del romanzo, ha come io narrante Albino Saluggia, degradato nella fabbrica in cui precedentemente era stato assunto, e dove da tempo veniva considerato un peso per le sue malat - tie fisiche e psichiche. Dopo tale fatto, nel brano qui riportato il protagonista rievoca in flashback , come in un memoriale, la propria storia; nel finale, riallacciandosi al filo iniziale interrotto del tempo, l’io nar - rante racconta la propria adesione a uno sciopero e il licenziamento, cui fa seguito il ritorno in campa - gna che conclude ambiguamente il romanzo.

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Il primo dei due stralci si colloca, a livello di fabula , nel momento in cui il protagonista, malato sia psi - t e r

chicamente sia fisicamente (Saluggia soffre di tisi), viene degradato da fresatore a custode, ma non licen - a t

ziato. Egli ha già perduto le speranze che nutriva nella fabbrica e a tale disillusione si accompagna l’an - u r

goscia del ritorno a casa, dove lo attende la madre, che traduce in mutismo e in pianto il proprio disa - a

gio mentale. Il filo conduttore dell’intreccio si sviluppa in un’ampia serie di flashback , che si collocano P e su diversi piani temporali. Il secondo stralcio è uno di questi. Nel ricordo, predomina il momento del - r t

l’assunzione in fabbrica, accompagnato da grandi speranze e subito contrassegnato dalla solitudine per e m

l’incomunicabilità fra il protagonista e i compagni di lavoro. Già presente è la scissione nella mente di i Saluggia: da un lato egli vive l’alienante lavoro come una gara per produrre sempre più, al punto da essere invitato alla calma perfino dal caporeparto Michele Grosset; dall’altro vede i pezzi prodotti del colore del lago, immagina di essere su una macchina da corsa in gara, si fa trascinare dal rumore, sente la fabbrica come un nido protettivo dall’angoscia interiore.

La duplicità della scrittura di Volponi La duplicità è l’elemento che emerge dal testo: si alternano una nota dominante, asciutta e nervosa, e un tono lirico ed emotivo. La prima, costellata di ossessivi ritorni lessicali, richiama con la ripetitività dei movimenti le fissazioni mentali del protagonista. La seconda è costituita dal raro affiorare di espressioni da cui traspare la partecipazione dell’autore all’esperienza del protagonista, che spera di trasformare la fabbrica in una sorta di nido protettivo. Il lessico, caratterizzato da un livello medio e colloquiale, rispecchia la mentalità e la realtà della vita operaia, anche se alcune espressioni letterarie (da lena a sovrumana , per citare due esempi) sono spie della cultura dell’autore.

L avoro sul testo

Comprensione 1. In quali termini Albino Saluggia parla di sua madre e della madre di un compagno di lavoro? 2. Quale rapporto esiste fra il protagonista e i compagni di lavoro e per quale motivo? Analisi e interpretazione 3. Quale rapporto esiste fra fabula e intreccio, nel brano? Vi è presente qualche flashback ? Motiva le risposte con precisi riferimenti al testo. 4. La voce narrante alterna al tono asciutto dominante un tono più lirico ed emotivo: in quali passi del testo proposto si manifestano in modo esemplare le due diverse modalità espressive? Motiva la rispo - sta. 5. La narrazione in prima persona evidenzia l’intento dell’autore di calarsi all’interno del protagonista, per riproporne la vicenda attraverso l’ottica deformata della sua nevrosi. Evidenzia i punti del passo dove prevale in modo più evidente l’ottica del narratore-operaio, motivando le tue scelte. 6. Elenca i sentimenti che si agitano nell’animo di Albino Saluggia, citando i passi da cui si possono dedurre. Approfondimenti 7. Il brano è una straordinaria sintesi di temi volti a denunciare la vita dell’operaio costretto a lavorare alla catena di montaggio. Essa è segnata da solitudine, spersonalizzazione, incomunicabilità, emargi - nazione, perdita dei valori della civiltà contadina, tecnicismo esasperato. Per ciascuno degli elemen - ti indicati, segnala i passi in cui ti sembra che essi si manifestino con maggiore chiarezza e motiva la tua scelta.

LeTTerATUrA , SOCIeTà e MONDO DeL LAVOrO 9 Letteratura e CINEMA

DUE GIORNI, UNA NOTTE

Regia : Jean-Pierre e Luc Dardenne Anno : 2014 Genere : Drammatico

L’argomento Sandra ha due figli e lavora in una piccola azienda che produce pannelli sola - ri. Ha sofferto di depressione ed è stata a lungo assente. Ora sta meglio ma sta per essere licenziata. Se voteranno per il suo licenziamento, gli altri quin - dici dipendenti otterranno un bonus di 1000 euro. La proposta viene accolta favorevolmente, ma Juliette, collega di Sandra, riesce a imporre una nuova votazione senza la presenza incombente del capo della fabbrica. Nel fine settimana, Sandra ha tempo due giorni e una notte per convin - cere i colleghi a cambiare idea e salvare così il proprio posto di lavoro. Trovati gli indirizzi, la giovane madre va a visitarli a uno a uno per sottoporre a ciascuno la stessa domanda: “Vuoi rifiutare il premio e farmi tor - nare a lavorare?”. C’è chi si nega, chi ha paura, chi fa notare che ha davvero bisogno di quei soldi, chi si irri - gidisce, chi si intenerisce. Alla fine, nella nuova votazione del lunedì, il bonus viene rifiutato e Sandra può tornare in fabbrica. Ne emerge un affresco di microcosmi individuali e familiari del tempo della crisi, in cui la solidarietà ope - raia si scontra con tanti piccoli egoismi ma anche con la necessità di far quadrare i conti per sopravvivere dignitosamente. il significato e il linguaggio Sandra, con le sue paure e incertezze e al tempo stesso con il suo coraggio e la sua determinazione, è mira - bilmente interpretata da Marion Cotillard, una delle migliori attrici francesi, vincitrice nel 2008 del Premio Oscar per La vie en rose . I fratelli Dardenne, già premiati per due volte con la Palma d’oro al Festival di Cannes con Rosetta (1999) e con L’Enfant. Una storia d’amore (2005), indagano una porzione di realtà, quella di chi fatica ad arrivare alla fine del mese, con il loro stile asciutto, senza fronzoli o effetti melodrammatici, riuscendo a variare, in base ai diversi interlocutori, il medesimo schema di dialogo, che si ripete per ben quattordici volte. e ogni volta lo spettatore si chie - de chi si troverà davanti Sandra e come reagirà alla sua richiesta. Come ha scritto il critico Paolo Mereghetti, non si può non apprezzare la bravura dei fratelli Dardenne, “il loro cinema realisti - co eppure nuovo e inventivo, la loro abilità nel trovare la forma più semplice per raccontare la cosa più complessa che esista, la vita vera”.

Una scena del film Due giorni, una notte.

10 LeTTerATUrA , SOCIeTà e MONDO DeL LAVOrO L e t

mario tobiNo e i romaNzi t e r

deL maNicomio di magLiaNo a t La vita u Mario Tobino nasce a Viareggio nel 1910. Studia medicina a Pisa e a Bologna, dove si r e le opere laurea nel 1936 e poi si specializza in psichiatria e medicina legale, e inizia a lavorare nel a P e

manicomio di Ancona. Parallelamente coltiva i suoi interessi per la letteratura e scrive r

raccolte di versi e racconti. Dopo aver partecipato alla resistenza, trascorre gran parte t e della sua vita esercitando la professione di medico psichiatra. Il tema della follia e l’am - m bientazione nell’ospedale psichiatrico attraversano fin dall’inizio alcune opere di i Tobino, come l’autobiografico Il figlio del farmacista , pubblicato per le edizioni di “Corrente” nel 1942 e poi edito in volume nel 1963, dove nel capitolo Del perché del manicomio sono presenti due ritratti di malati emblemi del dolore umano. Anche tre rac - conti della raccolta La gelosia del marinaio (1942) sono incentrati sul tema della follia. Ma il ciclo di romanzi in cui Tobino tratta direttamente i temi della follia e del mani - comio ha inizio con Le libere donne di Magliano (1953), ambientato nell’ospedale psi - chiatrico femminile di Lucca, in cui lo scrittore lavora. La motivazione della stesura del - l’opera è precisata dall’autore nella premessa, intitolata Dieci anni dopo , anteposta all’opera nella edizione del 1963: “Scrissi questo libro per dimostrare che anche i matti sono creature degne d’amore, il mio scopo fu di ottenere che i malati fossero trattati meglio, meglio nutriti, meglio vestiti, si avesse maggiore sollecitudine per la loro vita spirituale, per la loro libertà.” Tobino, pur non essendo contrario all’uso degli psicofarmaci, definisce la follia una delle misteriose e divine manifestazioni dell’uomo la quale chiama in causa soprattutto la solidarietà , in particolare dei terapeuti. Ciò induce l’autore, nel secondo e soprattut - to nel terzo romanzo della sua trilogia sulla follia, Per le antiche scale (1971) e Gli ultimi giorni di Magliano (1982), a prendere posizione contro l’abolizione dei manicomi sta - bilita dalla legge 180, ispirata dalla cosiddetta antipsichiatria di Franco Basaglia (1924- 1980). In assenza di strutture intermedie (in quegli anni quasi inesistenti), Tobino è convinto che la nuova norma rappresenti una soluzione utopica che, di fatto, abban - dona a se stessi e alle famiglie, senza alcun sostegno, migliaia di creature spesso fragi - lissime e indifese, a volte pericolose, privandole del necessario supporto offerto dalle strutture manicomiali, almeno di quelle gestite con spirito di solidarietà. Tale tesi pone lo scrittore al centro di aspre polemiche e contribuisce a orientare ulteriormente la sua ultima produzione verso tematiche intimistiche e sentimentali. Sul piano specificamente letterario, i romanzi di Tobino sono caratterizzati da una gran - de varietà di registri che si intrecciano e si potenziano a vicenda: memoria lirica e osser - vazione realistica, trattazione “scientifica” e riflessione morale, racconto e ritratto.

Per rendere filosofo il malato T2 di mente da Per le antiche scale Mario Tobino

Proponiamo un breve passo tratto da Per le antiche scale (1971), il secondo romanzo della trilogia dedi - cata alla follia, in cui sono delineate le figure di alcuni malati di mente impegnati in una partita di carte al bar. Nel finale si accenna anche all’utilizzo degli psicofarmaci, in grado di aiutare i pazienti a “farsi filosofi”, cioè a controllare meglio i propri comportamenti e a riacquistare l’autonomia e il rispetto pro - pri di una condizione umana “normale”.

LeTTerATUrA , SOCIeTà e MONDO DeL LAVOrO 11 i m e ISTE DI LETTURA t P r e La dignità e il rispetto dei malati psichiatrici P

a L’essenzialità di una scrittura “fotografica” r u t a r e Le carte da gioco erano già sul tavolo. t t e “Dottore, siamo pronti.” L Di solito prima c’era la sfida a briscola e poi la rivincita a scopa. Il dottor Anselmo Il dottor Anselmo non medico, non psichiatra, solo un amico, un usuale fre - quentatore del bar. Mai si era informato da medici del reparto maschile, mai 5 aveva ricercato le loro cartelle cliniche. Non sapeva pressoché nulla dei loro passati delirii. Mentre le carte della briscola o della scopa calavano – unico commento al pas - sato, alle guerre fatte – avevano preso il vezzo di reciprocamente chiamarsi con i nomi dei generali che erano stati capi nelle loro campagne, sia nel proprio 10 campo che in quello opposto, e quindi correvano i nomi di Rommel, Timoscenko, Alexander, Baistrocchi 1. Distribuite le carte, tutti e quattro si concentravano sul gioco, che nessuno vole - va perdere e per nulla affatto il dottor Anselmo, che sapeva quanto erano sot - tili i suoi avversari. 15 A volte zampillava un vivace commento su una carta giocata invece che l’altra oppure ci si stizziva contro la sfortuna e la si accusava della sconfitta, ma mai nulla che si allontanasse dalla consuetudine umana. Alfonsine Soltanto una volta Alfonsine dimostrò la sua efficacia verbale, la capacità all’in - sulto, l’odio che albergava nel suo petto contro la moglie, per la quale nutriva 20 un delirio di gelosia. Accadde che Bedetti, quello della macchina degli espres - si, gli aveva domandato: “C’era tua moglie oggi al parlatorio?” Allora d’improvviso, come avesse toccato un reticolato percorso dalla elettricità, scoccarono parole efficacissime nel designare una donna infedele. 25 Il Bedetti Un’altra volta il Bedetti, che era rimasto solo col dottor Anselmo, ne approfittò per confessare la sua “sindrome depressiva”; si era dipinto il suo volto di gen - tile umiltà, di una inesprimibile dolcezza! “Mi ero avvilito di fronte agli altri uomini, mi ero scoraggiato, mi sembrava di essere incapace di tutto.” 30 Il maresciallo Il maresciallo invece mai disse parola; era alto, membruto, le mani da strozza - tore; seduto sulla sedia, le carte in mano, era una statua romana. Nessuna paro - la, alcuna confessione. Soltanto – o era la suggestione del luogo – pareva a volte al dottor Anselmo di vedere passare sul suo viso delle nubi nere che pre - sto si allontanavano, come succede d’estate che il cielo annuncia burrasche che 35 invece si disperdono con un lontano brontolio. L’accenno E certo gli psicofarmaci stendono questa cortina, stemperano l’emozione, dilui - agli psicofarmaci scono gli affetti, rendono filosofo il malato di mente. da Per le antiche scale , Mondadori, Milano, 1971

1. Rommel... Baistrocchi : celebri generali; il tedesco Rommel, il russo Timoscenko e l’inglese Alexander furono attivi nella Seconda guerra mondiale; l’italiano Baistrocchi operò nelle guerre coloniali tra Otto e Novecento e nella Prima guer - ra mondiale, diventando poi sottosegretario di Stato alla guerra in epoca fascista.

12 LeTTerATUrA , SOCIeTà e MONDO DeL LAVOrO L e

PER LO SVILUPPO DELLE COMPETENZE t t e r a t u

inee di analisi testuale r L a P e

Una scrittura “fotografica” r

Nel breve passo di Per le antiche scale qui proposto va subito notata la rappresentazione “fotografica”, t e puntuale, quasi da analisi clinica, ottenuta grazie all’essenzialità assoluta dell’espressione. Le frasi, brevi, m mirano direttamente al fine denotativo: si vedano l’iniziale descrizione della scena del gioco, quasi in i forma di didascalia teatrale o la presentazione del dottor Anselmo, introdotta da una frase nominale o l’attenta registrazione dello svolgimento del gioco ( Distribuite le carte… ). Anche le espressioni figurate – ad esempio, la metafora zampillava un vivace commento o le similitudini come… un reticolato percor - so dalla elettricità e come succede d’estate che il cielo annuncia burrasche – sono finalizzate a una più netta e profonda definizione dei contenuti. Soltanto nelle righe finali si passa da un taglio descrittivo- analitico a un taglio valutativo, con l’esplicito giudizio (che è in sostanza una diagnosi) sulla funzione degli psicofarmaci.

Malati come persone normali La tensione morale di Tobino si può cogliere soprattutto nella volontà di trattare i malati come persone normali, in un momento in cui è ancora di là da venire la legge Basaglia che imporrà la chiusura dei manicomi ( Per le antiche scale è pubblicato nel 1971, la legge Basaglia è del 1978). I malati giocano a carte come normali avventori di un bar, si concentrano sul gioco, commentano fortuna o sfortuna senza mai allontanarsi dalla consuetudine umana. La malattia, semmai, sembra liberare – almeno in qualcuno – le capacità verbali: si veda lo sfogo di Alfonsine, che può finalmente dimostrare la sua efficacia verba - le ed esprimere il delirio di gelosia che nutre per la moglie.

Lo stile essenziale Sulla scrittura di Tobino vale la pena di riportare un efficace commento del critico , secon - do il quale l’esperienza di psichiatra ha condotto l’autore “a ricreare la dura vita delle case di cura per malattie mentali, a parlarne con una verità e una spregiudicatezza che non conosce obbligazioni dema - gogiche e ideologiche. Potremmo dirlo, a suo modo, narratore dall’acuta sensibilità etica e sociale. C’è, difatti, in Tobino una virulenza contenutistica e morale di rara intensità. Ma c’è in lui anche un istintua - le stilismo espressivo, che rifugge da umanistici indugi e punta a scarnificare le immagini, a renderle aereo traliccio d’ossa.” ( Racconti italiani del Novecento , 1983).

L avoro sul testo

Comprensione 1. Chi sono i protagonisti del passo riportato? Analisi e interpretazione 2. I ricoverati che giocano a carte con il dottor Anselmo possono essere considerati guariti? Motiva la risposta. 3. Qual è la posizione del dottor Anselmo nei confronti dei malati? Che cosa lo spinge a giocare a carte in loro compagnia? 4. Spiega, mediante opportuni riscontri nel testo, che cosa afferma Enzo Siciliano sull’opera di Tobino. Approfondimenti 5. In Italia i manicomi sono stati chiusi con l’approvazione della “Legge Basaglia”. Rileggi il brano di Tobino e le Linee di analisi testuale , documentati adeguatamente sulla situazione precedente e su quella successiva all’entrata in vigore della legge. Quindi stendi una relazione sull’argomento.

LeTTerATUrA , SOCIeTà e MONDO DeL LAVOrO 13 i m e dacia maraiNi: NarrazioNe e femmiNismo t r

e La vita Nata a Firenze nel 1936, Dacia Maraini è narratrice ma anche poetessa, autrice teatra - P e le opere le e saggista. A lungo compagna di , esordisce con il romanzo La a r vacanza (1962) e ottiene notorietà con L’età del malessere (1963), sul tema della sessua - u t

a lità adolescenziale . Nella prima raccolta poetica, Crudeltà all’aria aperta (1966), si rico - r e noscono tracce dei legami con la Neoavanguardia , che influenza anche, negli stessi t t

e primi anni di attività, il suo interesse per il teatro, intrecciandosi con l’ adesione al fem - L minismo militante . Negli anni successivi, attraverso la pubblicazione di romanzi come Memorie di una ladra (1972), Lettere a Marina (1981), Isolina (1985), l’autrice approda a una narrazione realistica , attenta tanto agli aspetti esistenziali quanto alle relazioni sociali. Nel frat - tempo collabora attivamente con diverse testate, fra cui il “”. Nel 1990 pubblica la sua opera più famosa, il romanzo La lunga vita di Marianna Ucrìa , ambientato nella Sicilia della prima metà del Settecento, che narra la storia della figlia sordomuta del duca Ucrìa di Fontanasalsa. Dopo i romanzi autobiografici Bagheria (1993) e Dolce per sé (1997), la Maraini pub - blica Buio (1999), raccolta di storie la cui protagonista è una donna-commissario, Adele Sòfia, che indaga su casi di violenza perpetrata a danno di bambini da parte di adulti, spesso emarginati quanto le loro vittime. Se già ne Il bambino Alberto (1986), intervi - sta al compagno Alberto Moravia, la scrittrice metteva in luce il ruolo determinante dell’ infanzia nella formazione degli scrittori e degli esseri umani in generale, nel libro Il gioco dell’universo (2007), sottotitolato Dialoghi immaginari fra un padre e una figlia , la Maraini analizza gli scritti lasciati dal padre Fosco, ricostruendo il suo percorso intellet - tuale ed esistenziale e giungendo alla tematica dei rapporti con le persone che segna - no più profondamente la vita. Negli anni successivi dà alle stampe Il treno dell’ultima notte (2008) – che lega la tragedia dello sterminio degli ebrei a quella della repressio - ne sovietica della rivolta ungherese del 1956 –, La ragazza di via Maqueda (2009) e La seduzione dell’altrove (2010).

LA TRAMA La lunga vita di Marianna Ucrìa Marianna , figlia sordomuta del duca Ucrìa di Fontanasalsa, è intelligente, colta, sensibile e bella, curiosa del mondo che le sta intorno e attenta al suo mondo interiore. Dei suoi tre fratelli, il primo è destinato a continuare la dinastia del casato, il secondo a diventare abate, il terzo ufficiale nell’esercito; le due sorel - le diventano la prima monaca e la seconda moglie di un ricco nobile. Quando Marianna compie tredici anni, il padre la dà in moglie al proprio fratello, Pietro Ucrìa di Campo Spagnolo , che si prende cura di lei con l’intenzione di farla erede di tutte le terre. Da lui Marianna avrà tre femmine e due maschi. Più tardi, quando i genitori e il marito sono morti e i suoi cinque fratelli cresciuti e sistemati onorevolmente, Marianna, rimasta regina della piccola corte domestica della villa, viene fatta segno di attenzioni da parte di un giovane servo, Saro . Per evitare la tentazione, la donna decide di trovargli una moglie e per que - sto si rivolge al fratello, l’abate Carlo, che le propone la domestica Peppinedda. In quell’occasione Marianna gli chiede, attraverso la scrittura, il mezzo con cui comunica con le persone, se sia sempre stata sordomuta; Carlo ricorda che da piccina è stata brutalmente assalita da Pietro, il futuro marito, ma non vuole rivelarglielo. In seguito Saro sposa Peppinedda, che gli dà un figlio. La sorella di Saro impazzisce di gelosia e tenta di uccidere a coltellate tutti e tre. Il bimbo muore, Peppinedda si salva e Saro resta gravemente ferito. Mentre si prende cura di Saro, Marianna si sente nuovamente attratta da lui. Il romanzo si conclude quando il pre - tore di Palermo, Giacomo Camalèo, uomo colto e sensibile, le chiede di sposarlo. Marianna cerca in sé la forza per continuare a vivere nella sua sofferta diversità .

14 LeTTerATUrA , SOCIeTà e MONDO DeL LAVOrO L e t t

T3 e r

La causa segreta del mutismo a t u r di Marianna a P e

da La lunga vita di Marianna Ucrìa Dacia Maraini r t e m i Le frequentazioni di Dacia Maraini – la Neoavanguardia e, soprattutto, la scrittura di Alberto Moravia e il femminismo militante – trovano eco nella sua produzione, che si caratterizza per un realismo piuttosto crudo ma attento alla problematica interiore dei personaggi femminili, negli aspetti più profondamente esistenziali e intimi: la sessualità, la maternità, la famiglia. La scrittrice esprime una visione del mondo non classista o sessista, ma volta alla denuncia dell’emarginazione, alla protezione dei più deboli, alla difesa delle vittime della ferocia dell’essere umano, bambini e donne in primo luogo. Tappa importante in questo percorso è La lunga vita di Marianna Ucrìa (1990). Nel brano qui riportato si svela la ragione dell’ handicap della protagonista.

PISTE DI LETTURA La condizione delle donne e degli indifesi in una società patriarcale e maschilista Narrazione e pathos Uno stile realistico che esprime il punto di vista dei personaggi

Marianna Non le rimane che ringraziarlo e andarsene 1. Eppure qualcosa la trattiene, una sa di non essere domanda che le stuzzica la mano. Prende la penna, ne mordicchia la punta, poi sordomuta scrive 2 rapida al suo solito. da sempre “Carlo, ditemi, voi ricordate che io abbia mai parlato?” “No, Marianna.” 5 Nessuna esitazione. Un no che chiude il discorso. Un punto esclamativo, uno svolazzo. “Eppure io ricordo di avere udito con queste orecchie dei suoni che poi ho per - duto.” “Non ne so niente sorella.” 10 E con questo il colloquio è concluso. Lui fa per alzarsi e congedarla ma lei non accenna a muoversi. Le dita tormentano ancora la penna, si macchiano di inchiostro. “C’è altro?” scrive lui chinandosi sul taccuino della sorella. “La signora madre una volta mi disse che non sempre sono stata mutola 3 e 15 priva di udito.” Adesso che le prende? non le è bastato venire a disturbarlo per un famiglio 4,

1. Non le rimane... andarsene : rimasta ormai vedova, chi non riesce ad articolare la parola. Il mutismo può deri - Marianna Ucrìa, da Palermo, è andata in visita al fratello, vare da malformazioni congenite o da paralisi dell’appara - l’abate Carlo, per avere indicazioni circa una brava ragaz - to vocale ed in genere è associato alla sordità; può anche za da dare in moglie a Saro, che manifesta troppo affetto essere dovuto a un violento trauma. verso di lei. 4. un famiglio : un domestico, un servo. Il fratello coglie 2. scrive : il consueto modo di comunicare di Marianna, nel segno. Si tratta di Saro, il contadino spontaneo, irruen - che è muta, si basa su biglietti scritti che si scambia con i te e in qualche modo innocente, che le dimostra da tempo familiari, i quali usano lo stesso mezzo con lei. devozione e desiderio con gesti, occhiate e biglietti espli - 3. mutola : muta, dal diminutivo latino mutulus . Il termi - citi. Marianna sente nei suoi riguardi, oltre che uno spon - ne è di origine onomatopeica ed imita il suono mu mu di taneo affetto materno, i primi autentici impulsi sessuali.

LeTTerATUrA , SOCIeTà e MONDO DeL LAVOrO 15 i di cui magari è innamorata... già, come non pensarci prima?... non sono fatti m e 5

t della stessa carne? lubrichi e indulgenti verso le proprie voglie, pronti a carpi - 20 r re, trattenere, pagare, perché tutto è loro permesso per diritto di nascita?... santo e P Signore perdono!... forse è solo un pensiero cattivo... gli Ucrìa sono stati dei a r buoni cacciatori, degli insaziabili accaparratori 6... anche se poi si fermavano u t sempre a mezzo, perché non avevano il coraggio degli eccessi come i a r Scebarràs... guardate la signora sorella Marianna con quel pallore da lattante, e 25 t t quella bocca morbida... qualcosa gli dice che è tutto da inventare in lei... un e

L bel gioco sorella alla vostra età... una ‘locura’ 7... e nessuno che le insegni i rudi - menti dell’amore... ci lascerà le penne come è facile prevedere... lui potrebbe insegnarle qualcosa ma non sono esperienze che si possono scambiare fra fra - telli... che leprotta era da piccola, tutta paura e allegria... ma è vero, parlava 30 quando aveva quattro, forse cinque anni... lo ricorda benissimo e ricorda quel sussurrare in famiglia, quel serrarsi di bocche atterrite... ma perché? cosa cavo - 8 Il fratello abate lo stava succedendo in quei labirinti di via Alloro ? una sera si erano sentiti dei ricorda l’episodio gridi da accapponare la pelle e Marianna [...] era stata portata via, sì trascinata che ha causato dal padre e da Raffaele Cuffa 9, strana l’assenza delle donne... il fatto è che sì, 35 il trauma ora lo ricorda, lo zio Pietro 10 , quel capraro maledetto, l’aveva assalita e lascia - ta mezza morta... sì lo zio Pietro, ora è chiarissimo, come aveva potuto dimen - ticarlo? per amore diceva lui per amore sacrosanto che lui l’adorava quella bam - bina e se n’era ‘nisciutu pazzu’ 11 ... com’è che aveva perduto la memoria della tragedia? 40 E dopo, sì dopo, quando Marianna era guarita, si era visto che non parlava più, come se, zac, le avessero tagliato la lingua... il signor padre con le sue ubbie 12 , il suo amore esasperato per quella figlia... cercando di fare meglio ha fatto peg - gio... una bambina al patibolo, come poteva venirgli in mente una simile bag - gianata!... per regalarla poi a tredici anni a quello stesso zio che l’aveva viola - 45 ta quando ne aveva cinque uno ‘scimunitazzu’ 13 il signor padre Signoretto... pensando che il mal fatto era pur suo, tanto valeva che gliela dava in sposa... La piccola testa ha cancellato ogni cosa... non sa... e forse è meglio così, lascia - mola nell’ignoranza, povera mutola... farebbe meglio a prendere un bicchiere di laudano 14 e mettersi a dormire... non ha pazienza lui con le persone sorde, 50 né con quelle che si legano con le proprie mani, né con quelle che si regala - no a Dio con tanta dabbenaggine... e non sarà lui a rinverdirle la memoria muti - lata... dopo tutto si tratta di un segreto di famiglia, un segreto che neanche la signora madre conosceva... un affare fra uomini, un delitto forse, ma ormai espiato, sepolto... a che serve infierire?” 55 La vana pietà L’abate Carlo, inseguendo i pensieri più reconditi 15 si è dimenticato della sorel - del fratello la che ormai si è allontanata, è quasi arrivata al cancello del giardino e da die - tro sembra che pianga, ma perché dovrebbe piangere? le ha forse scritto qual - cosa? come se avesse sentito i suoi pensieri, la babbasuna 16 , chissà che dietro quella sordità non ci sia un udito più fino, un orecchio diabolico capace di sve - 60 lare i segreti della mente... “Ora la raggiungerò”, si dice, “la prenderò per le spalle e la stringerò al petto, le darò un bacio sulla guancia, lo farò, cadesse il cielo...”

5. lubrichi : lussuriosi. 11. ‘nisciutu pazzu’ : in dialetto siciliano, “ne era uscito 6. accaparratori : accumulatori. pazzo”, cioè era impazzito per lei. 7. una ‘locura’ : termine dialettale siciliano – derivato 12. ubbie : fissazioni. dallo spagnolo loco (“folle”) – che significa “pazzia”. Il ter - 13. ‘scimunitazzu’ : imbecille; insulto in dialetto siciliano. mine allude alla follia amorosa della matura sorella 14. laudano : oppiaceo, usato nel Settecento come droga (Marianna ha già figli sposati e nipotini) per il servo Saro. calmante. 8. via Alloro : la via della casa paterna dell’infanzia. 15. reconditi : nascosti. 9. Raffaele Cuffa : il fattore del duca Signoretto, uomo di 16. babbasuna : termine dialettale dal significato simile a fiducia della famiglia. quello di “babbeo” in italiano; la parola deriva da una voce 10. lo zio Pietro : il fratello del padre di Marianna, al quale onomatopeica che imita il balbettare. poi a tredici anni la ragazza fu data in sposa.

16 LeTTerATUrA , SOCIeTà e MONDO DeL LAVOrO L

“Marianna!” grida avviandosi dietro alla sorella. Ma lei non può sentirlo. E men - e t

tre lui si tira su dalla poltroncina in cui era sprofondato, lei ha già varcato il t

65 e

17 r cancello, è salita sulla lettiga d’affitto e sta discendendo lungo la scarpata che a t

porta a Palermo. u r a da La lunga vita di Marianna Ucrìa , Rizzoli, Milano, 1997 P e r t

17. lettiga : carrozza. e m i

PER LO SVILUPPO DELLE COMPETENZE L inee di analisi testuale La rivelazione al lettore della causa del trauma Il romanzo La lunga vita di Marianna Ucrìa è narrato in terza persona da una voce esterna, che però conosce tutti i pensieri di Marianna e racconta la storia quasi sempre dal suo punto di vista e attraverso i suoi ricordi. Nell’episodio qui riportato, in cui viene svelato il trauma originario che Marianna non ricorda, il narratore cambia bruscamente la focalizzazione e rivela i pensieri del fratello abate, che ricor - da, e rievoca così il terribile episodio della violenza dello zio Pietro. L’abate giudica severamente il successivo operato del padre, che ha consegnato Marianna nelle mani del suo stupratore. Duro è il giudizio sulle condizioni della famiglia patriarcale dell’epoca, espresso sia nei riguardi del padre duca sia della stessa sorella, della quale sospetta l’interesse per il domestico Saro. Tuttavia l’abate deciderà di non rivelare alla sorella Marianna la causa della sua condizione per non ria - prire antiche ferite; anzi, ha paura che lei gli abbia letto nei pensieri e prova un improvviso, quanto inu - tile, moto di affetto per lei. Successivamente, la focalizzazione ritorna su Marianna, ma il lettore ormai può interpretare nella giusta luce i suoi comportamenti affettivi e il suo strano rapporto con la sessua - lità. La denuncia della realtà nascosta di abusi e di incesti, un tempo più diffusa di quanto si pensi, e non solo nel mondo contadino, si rivela come l’interesse precipuo dell’autrice, come il tratto femmini - le e, più ancora, femminista della sua narrativa. Il linguaggio Il linguaggio del brano è composto da frasi brevi e asciutte, pochi sono gli aggettivi e gli avverbi, la sin - tassi è molto semplice e prevalentemente paratattica: tutti elementi che danno grande incisività al testo. Non ci sono termini colti o parole d’epoca, mentre sono molto frequenti le espressioni popolaresche (cosa cavolo , righe 32-33, zac , riga 42, baggianata, righe 44-45) e termini che fanno parte del dialetto siciliano ( nisciutu pazzu ), anche crudi e bassi come gli insulti ( scimunitazzu, babbasuna ).

L avoro sul testo

Comprensione 1. Chi è il personaggio con cui comunica Marianna e che cosa gli domanda? 2. Dove è ambientata l’azione? Motiva la risposta anche con riferimenti al testo. 3. Come comunica Marianna e perché? Analisi e interpretazione 4. Di quale tipo è la voce narrante del testo, interno o esterno? Quali originali caratteristiche presenta la focalizzazione? 5. Lo stile e il linguaggio del testo imitano il linguaggio dell’epoca? Motiva la risposta. 6. Qual è il tema centrale che emerge nel passo e nel romanzo nel suo complesso? Motiva la tua risposta. Approfondimenti 7. Recupera il romanzo La lunga vita di Marianna Ucrìa o un altro testo narrativo di Dacia Maraini e leg - gilo, interamente o in parte secondo le indicazioni del tuo insegnante; quindi elabora una recensio - ne giornalistica, che immaginerai destinata alla pagina culturale di un periodico locale.

LeTTerATUrA , SOCIeTà e MONDO DeL LAVOrO 17 i m e siLVia aVaLLoNe t r

e La vita Silvia Avallone è nata a Biella nel 1984. Dopo aver esordito nel 2007 con la raccolta di P e le opere poesie Il libro dei vent’anni , nel 2010 pubblica Acciaio , romanzo che ha subito grande a r successo in Italia e all’estero (è tradotto in ventitré lingue e pubblicato in oltre venti u t

a Paesi) e che la impone come una delle narratrici più interessanti della sua generazione. r e Da Acciaio è tratto il film omonimo, per la regia di Stefano Mordini. t t

e La Avallone ha scritto per il “Corriere della Sera” e per “Vanity Fair”. L Nel 2012 si è laureata in lettere a Bologna, dove attualmente vive, e nel 2013 ha pub - blicato il suo nuovo romanzo, Marina Bellezza .

LA TRAMA Acciaio Le protagoniste di Acciaio sono due adolescenti inquiete, Anna e Francesca , che vivono in un agglome - rato di palazzoni popolari affacciati sul mare e costruiti negli anni Sessanta per ospitare le famiglie degli operai delle acciaierie di Piombino. Oltre il mare c’è l’isola d’Elba, miraggio di una vita migliore e più agia - ta. La loro educazione sentimentale, a tredici anni quasi quattordici , si muove in questo ambiente degra - dato , inquinato dal fumo degli altiforni e segnato dalla crisi che negli ultimi decenni ha fatto decadere sia l’industria siderurgica sia il tessuto sociale operaio di orientamento comunista a essa legato. Conflittuali e complessi sono i loro rapporti con gli amici, i fratelli e i genitori, a partire dalla madre di Anna, femmini - sta e militante politica fin troppo nostalgica, e quella di Francesca, casalinga di origini calabresi che mal sopporta un marito inconcludente e violento, morbosamente geloso della figlia. Il protagonista maschile è Alessio , fratello di Anna, che lavora all’altoforno e coltiva sogni di rivalsa sociale e di facile arricchi - mento (e che morirà travolto da un caterpillar). La frastagliata linea narrativa della storia vede poi la sof - ferta separazione delle due amiche, che prendono strade diverse, fino alla riappacificazione finale, quan - do decidono di andare insieme all’isola d’Elba.

La spiaggia e l’acciaieria T4 abbandonata da Acciaio Silvia Avallone

Riportiamo due brani del romanzo. Il primo (tratto dal capitolo 1) è ambientato sulla spiaggia di fronte ai palazzoni dove abitano Anna, Francesca e altri personaggi; l’ambiente viene messo a confronto con il para - diso impossibile dell’isola d’Elba. Qui il contrasto non è solo fra due luoghi, ma anche fra due epoche, la presente e quella in cui gli operai si sentivano ancora parte di una classe sociale. Il secondo brano (tratto dal capitolo 8) ha come scenario il quartiere abbandonato di Cotone e un ramo dismesso della acciaieria Lucchini, una specie di terra di nessuno dove i ragazzi compiono liberamente le loro scorribande.

PISTE DI LETTURA Il valore e lo sfruttamento dell’aspetto fisico nella società contemporanea La tecnica descrittiva del contrasto Una scrittura che applica il canone tradizionale del Naturalismo

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Alle tre del pomeriggio, a giugno, gli anziani e i bambini si mettevano a letto. e t

Fuori la luce arroventava tutto. Le casalinghe, i pensionati in tuta acetata t e

1 2 r sopravvissuti all’altoforno , chinavano il capo asfissiati davanti al televisore. a t

Dopo pranzo la facciata di quei casermoni tutti uguali, uno attaccato all’altro, u r

assomigliava alla parete dei loculi impilati in un cimitero. Donne coi polpacci 5 a P

gonfi e le chiappe ballonzolanti sotto il grembiule scendevano in cortile e sede - e vano all’ombra intorno a tavoli di plastica. Giocavano a carte. Sventolavano i r t e

ventagli furiosamente e parlavano perlopiù di niente. m I mariti, se non erano al lavoro, non mettevano il naso fuori di casa. Se ne sta - i vano svaccati a petto nudo a grondare sudore, cambiavano canale con il tele - 10 Il narratore comando. Manco li ascoltavano, gli stronzi della televisione. Guardavano solo riporta la voce le veline, le sgualdrine che erano l’esatto contrario delle loro mogli. Il prossi - dei mariti davanti mo anno lo metto il condizionatore, almeno in salotto. Se domani non mi paga - al televisore no lo straordinario, giuro che mi incazzo. Arturo si radeva il mento e cantava una canzonetta della sua infanzia, quando 15 l’edilizia popolare aveva costruito i casermoni davanti alla spiaggia per gli ope - rai delle acciaierie. Anche i metalmeccanici, secondo le idee della giunta comu - nista, avevano diritto a una casa con vista. Vista mare, non vista fabbrica. Il contrasto Dopo quarant’anni tutto era cambiato: c’erano i prezzi in euro, la tv a pagamen - fra il presente to, i navigatori satellitari, e non c’erano più né la DC né il PCI 3. Era tutta un’al - 20 e il passato tra vita adesso, nel 2001. Ma restavano in piedi i casermoni, la fabbrica, e anche di Piombino il mare. La spiaggia di via Stalingrado, a quell’ora, era gremita fino all’orlo di ragazzini urlanti, borse frigo, ombrelloni accatastati uno sull’altro. Anna e Francesca pren - devano la rincorsa sulla riva, cadevano in acqua con un grido vittorioso schiz - 25 zando ovunque. Intorno, sciami di adolescenti si lanciavano con tutti i musco - li tesi verso un frisbee o una pallina da tennis. Molti dicevano che quella spiaggia era brutta perché non c’erano stabilimenti, la sabbia si mescolava alla ruggine e alle immondizie, in mezzo ci passavano gli scarichi, e ci andavano soltanto i delinquenti e i poveri cristi delle case 30 popolari. Cumuli e cumuli di alghe che nessuno dal Comune dava l’ordine di rimuovere. L’ambiente Di fronte, a quattro chilometri, le spiagge bianche dell’isola d’Elba rilucevano popolare come un paradiso impossibile. Il regno illibato 4 dei milanesi, dei tedeschi, i turi - di Piombino sti satinati in SUV nero e occhiali da sole. Ma per gli adolescenti che vivevano 35 e quello dell’Elba, nei casermoni, per i figli dei nessuno che colavano sudore e sangue alle idealizzato acciaierie, la spiaggia davanti casa era già il paradiso. L’unico veramente vero. come luogo del benessere Quando il sole scioglieva l’asfalto, l’afa ammorbava e le tossi espulse dalle cimi - e del consumismo niere della Lucchini 5 ristagnavano sopra la testa, quelli di via Stalingrado anda - vano al mare scalzi. C’era solo da attraversare la strada, e si gettavano in mare 40 di pancia. Anna e Francesca nessuno le aveva mai viste uscire dall’acqua. Faceva impres - sione guardarle, come nuotavano parallele fino all’ultima boa. Sarebbero arri - vate all’Elba un giorno – a nuoto, dicevano loro – e poi non sarebbero più tor - nate. 45 […] Il mondo doveva ancora venire. Il mondo arriva con i quattordici anni. Si fiondavano dentro la schiuma dell’onda, insieme, se un traghetto passava e la pelle del mare si increspava sul serio. Di loro si parlava già da un paio d’an - ni, al bar, intorno ai tavoli dei ragazzi più grandi: si diceva che non erano male per niente. Aspetta che crescano e vedrai. 50

1. sopravvissuti all’altoforno : in senso metaforico, signifi - stiana e il Partito comunista italiano, i due maggiori partiti ca mezzi morti di stanchezza dopo aver lavorato all’altoforno. italiani dal 1945 ai primi anni Novanta. 2. asfissiati : senza fiato, sfiniti. 4. illibato : cioè pulito, candido. 3. non c’erano più né la DC né il PCI : la Democrazia cri - 5. Lucchini : l’azienda siderurgica Lucchini S.p.A.

LeTTerATUrA , SOCIeTà e MONDO DeL LAVOrO 19 i Anna e Francesca, tredici anni quasi quattordici. La mora e la bionda. Laggiù, m e

t in mezzo a tutti quei maschi, quegli occhi, quei corpi, che nell’acqua retroce - r devano allo stato indifferenziato, di corpo muto ed entusiasta. Giocavano a e P rubare il pallone, proprio quando un ragazzo lo stava per calciare in porta. Una a r porta fatta con due pali di legno conficcati nel bagnasciuga. E una fiammata 55 u t che vuole affermare il gol. a r Correvano nella folla, si voltavano a guardarsi, si prendevano per mano. e t t Sapevano di avere la natura dalla loro parte, sapevano che era una forza. e L L’indiretto libero Perché in certi ambienti, per una ragazza, conta solo essere bella. E se sei una per rendere sfigata, non fai vita. Se i ragazzi non scrivono sui piloni del cortile il tuo nome 60 il punto di vista e non ti infilano bigliettini sotto la porta, non sei nessuno. delle due ragazze *** Francesca si volta indietro, grida ad Anna qualcosa che venne ingoiato dal fra - stuono delle marmitte. Qualcosa tipo: sono felice. Senza casco, i capelli le fini - vano in bocca. Rideva perché sentiva il solletico del vento sotto la canottiera, fra le gambe a cavalcioni sullo scooter. Si volta di nuovo, stretta al corpo di 65 Nino, e appoggia il viso sulla sua spalla strofinando la guancia. Massi dava gas come un forsennato per cercare di raggiungerli, ma l’SR di Nino volava a novanta all’ora e il suo Typhoon 6 non spingeva tanto. Anna, poco abi - tuata ad arrivare seconda, lo incitava con schiaffetti sulla nuca, pugni sulla schiena. Anziché abbracciarlo, lo picchiava. I quattro ragazzi sfrecciavano sulla 70 panoramica. Direzione: fuori Piombino. Nell’ora in cui le madri sono a casa, i padri al lavoro e i coetanei al mare. Anna e Francesca guardavano la strada per - dersi fra le colline dure di lecci e le ciminiere della Lucchini. La fabbrica asse - diava il cielo. Ma loro sorridevano in silenzio. Si sentivano potenti, abbracciate a due uomini bellissimi. 75 Quando furono all’incrocio della statale, il mare era già scomparso, come le case, le spiagge, i negozi chiusi. Adesso la fabbrica giganteggiava davanti ai loro occhi, esalava una vibrazione remota nelle tubature e nei gasdotti, tende - va i suoi bracci, i suoi Forni ricoperti di fuliggine. Nino svolta a sinistra, Massi lo seguì a ruota. La meta non era lontana. 80 Il pensiero Senza casco, chiavi, soldi, portafogli. Se restavi a casa, eri uno sfigato. Se uscivi, dei ragazzi il massimo era correre in sella a un motorino truccato verso un luogo segreto. Nino svolta ancora a sinistra, Massi gli stava dietro. E adesso erano dentro. Il Cotone, il quartiere dell’acciaio. Nudo come una tomba. Non una panetteria, un alimentari, un’edicola. Forse la serranda abbassata di un’officina. 85 Lo spolverino prodotto dal carbone te lo sentivi entrare nei polmoni, appicci - carsi addosso, annerire la pelle. I due scooter schizzavano senza rallentare fra le case fatte a pezzi dal tempo. Erano di inizio Novecento, quei ruderi spacca - ti, abitati ormai solo da extracomunitari. A un metro, il confine. 90 Due bambini di pelle scura, affacciati a un balcone con una palla in mano, erano le sole presenze umane. I gatti randagi erano ovunque invece, ti sbuca - vano dalle pareti marce e dai prati retrocessi a discariche, e tu dovevi stare Ancora a attento a schivarli. Un tempo sarà stato anche pieno di vita quel luogo, ma confronto il adesso era ridotto a una maceria. I pochi panni stesi alle finestre erano grigi. 95 presente e il Pesava, nelle strade, nei cortili, un silenzio di fantasmi. Una memoria muta. E passato topi e rovi ovunque, una preistoria. Nino e Massi rasentarono la rete della fabbrica per quattro chilometri. Non era più il mostro di trenta anni prima: ventimila dipendenti, una città. Avevano ridotto il personale, smantellato alcune ciminiere, e il mostro si era un po’ rin - 100

6. SR … Typhoon : marche di scooter.

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secchito. Via della Resistenza numero due, l’ingresso principale. Qualcosa come e t

dieci milioni di metri quadrati. In stampatello: LUCCHINI S.p.A. t e r

Francesca e Anna allargarono gli occhi, perché due non bastavano a tenere a t

insieme il mare di bunker, escavatori, ciminiere, gole, binari morti, rulli auto - u r

trasportatori. Il corpo batteva forte insieme ai metalli nei Forni. Le barre, i 105 a

7 P blumi, le billette : insieme al cuore, le arterie, l’aorta. Era impossibile trovare e un ordine, un senso. E loro avevano solo tredici anni. r t e

Nino frenò in prossimità di uno squarcio nella rete. m Spensero i motori. Balzarono giù dagli scooter e rimasero tutti e quattro in i silenzio. Il lamento rauco, perenne delle acciaierie, te lo sentivi vibrare nelle 110 ossa. Provarono qualcosa fra il timore e la meraviglia per quel luogo ai margi - ni di tutto. Un luogo di terra arida e rossa, mutato, alle due del pomeriggio, in fornace. Dove neppure un filo d’erba poteva spuntare. Neppure un topo qui, solo ret - tili. Quel suolo prosciugato nel tempo assomigliava a un pavimento d’asfalto. Il 115 piombo, l’odore pesante del ferro bruciava i polmoni e le narici. Non volava una mosca. Nino si infilo per primo. Gli altri lo seguirono nello squarcio della rete arruggi - nita. Sarà stata la centesima volta. Ci andavano quando volevano stare soli, o quando facevano sale a scuola 8. Erano gli unici, in tutta Piombino, a spingersi 120 oltre la soglia. Gli unici che avevano le palle di farlo. Adesso, varcato il confine, erano dentro sul serio. Doppia metafora Quel ramo morto della fabbrica si era ridotto a una carcassa di ruggine. di impronta Restarono lì, tutti e quattro, impalati per un istante. Abbagliati dalla luce rifles - funerea sa dai metalli. La gola asciutta. Il corpo bagnato di sudore, il corpo piccolo e 125 vivo. Ansimanti contro i giganti di cemento. Era un po’ come stare dentro un acquario. La colata dell’altoforno laggiù infiam - mava il cielo, lo infettava di nebbie e veleni, e ti sentivi liquefare. Sudavi, il cuore pulsava all’impazzata. Di fronte, i resti di una ciminiera. Più in là, un capannone dismesso. E al cen - 130 tro un escavatore con il braccio torto e la pala rovesciata. Morti e roventi. Nino cacciò un urlo, così, per il gusto di farlo. E tutti e quattro si lanciarono nel cimitero industriale, presero a correre a più non posso in ogni direzione, come animali appena liberati. Tutto era permesso lì. 135 Schizzarono da una parte all’altra, salirono sulla benna dell’escavatore, sui bloc - chi crollati della ciminiera, e saltarono giù. Non avevano paura di ferirsi con la ruggine o di inciampare nei resti di rotaie e pneumatici. Gridavano sopra il ron - zio colossale della fabbrica e per un attimo erano più forti loro. da Acciaio , Rizzoli, Milano 2010

7. i blumi, le billette : rispettivamente lingotti e barre d’ac - 8. facevano sale a scuola : marinavano la scuola. ciaio semilavorate.

PER LO SVILUPPO DELLE COMPETENZE L inee di analisi testuale Il contrasto fra due epoche Il romanzo è segnato da una serie di opposizioni e contrasti. Uno di essi è quello, accennato fin dall’i - nizio di questo brano, fra due epoche dell’area industriale di Piombino: l’epoca in cui esistevano anco - ra il Partito comunista e la Democrazia cristiana, quando la giunta comunista realizzava progetti di edi -

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t lizia popolare per gli operai ( Anche i metalmeccanici, secondo le idee della giunta comunista, avevano

r diritto a una casa con vista ecc., righe 17-18); e l’epoca odierna, segnata dalla crisi di quei valori, dal e

P declino degli stabilimenti siderurgici e da una nuova morale individualistica e consumistica alimentata a

r dai miti della televisione ( le veline… la tv a pagamento, i navigatori satellitari ). C’è ancora la spiaggia, ma u t è brutta , piena di immondizie e di cumuli di alghe che nessuno dal Comune dava l’ordine di rimuovere a r (righe 28-32). Questi luoghi degradati sono messi a confronto, nella visione idealizzata di Anna e e t Francesca, non tanto con il passato di cui parlano gli adulti, ma con il paradiso impossibile dell’Elba (riga t e

L 34), terra promessa del benessere.

Degrado dei luoghi e bellezza dei corpi Un altro contrasto che sta alla base del romanzo è quello fra l’ambiente, brutto, sporco e degradato, e la bellezza e l’esuberanza adolescenziale di Anna e Francesca (e di altri ragazzi): Sapevano di avere la natura dalla loro parte, sapevano che era una forza. Perché (dice il narratore assumendo il punto di vista delle due ragazze), in certi ambienti, per una ragazza, conta solo essere bella (riga 59). Dunque la bel - lezza e freschezza dei corpi si configura qui, almeno nella visione dei protagonisti, come l’unica possi - bile via di riscatto e redenzione. Ma per ora l’unica via di fuga è la terra di nessuno del quartiere Cotone, abbandonato e semidistrutto, abitato solo da gatti randagi e topi e da qualche extracomunitario, e, poco più in là, del ramo morto della fabbrica Lucchini, dove neanche i topi resistono, solo i rettili. Soltanto lì, in quella zona franca lontano dal mondo degli adulti, i quattro ragazzi Anna, Francesca, Massi e Nino possono urlare a squarciagola e sentirsi, per un momento, potenti, liberi e forti.

Metafore, iperboli e indiretto libero Silvia Avallone preferisce i contrasti forti rispetto alle mezze tinte, alle sfumature: una opzione stilistica che è stata senz’altro alla base del successo del libro. Frequente è l’uso di iperboli (i mariti sopravvissu - ti all’altoforno e asfissiati , riga 3), di similitudini ( la facciata di quei casermoni… assomigliava alla parete dei loculi impilati in un cimitero , righe 4-5) e di metafore ( Quel ramo morto della fabbrica si era ridotto a una carcassa di ruggine , riga 123) che generano effetti di bruttezza mortuaria e persino cadaverica. Del resto molti sono, nel romanzo, i sintagmi che connotano sgradevolezza ( Donne coi polpacci gonfi e le chiappe ballonzolanti , righe 5-6) o sofferenza ( i figli dei nessuno che colavano sudore e sangue alle acciaierie , righe 36-37). Anche sul piano lessicale prevalgono i termini con accezioni negative, espressi - vi e volgari o comunque tipici del parlato: stronzi, sgualdrine, sfigato . Un elemento stilistico assai fre - quente nel romanzo è anche l’uso del discorso indiretto libero, cioè di parole e frasi che, pur essendo pronunciate dal narratore, esprimono pensieri e parole dei personaggi, ad esempio dei mariti davanti alla tivù ( Manco li ascoltavano, gli stronzi della televisione... ecc., riga 11) o delle due protagoniste (Perché in certi ambienti per una ragazza, ecc., riga 59).

L avoro sul testo

Comprensione 1. In quale momento del giorno e dell’anno e dove si svolge la prima scena? 2. Chi e in base a quale principio aveva costruito i casermoni davanti alla spiaggia ? 3. Che cosa pensano i ragazzi più grandi, al bar, vedendo Anna e Francesca? 4. Che cos’è il quartiere Cotone e quando fu costruito? 5. Che cosa rappresenta, per Anna e Francesca, l’isola d’Elba? Analisi e interpretazione 6. Spiega che cos’è il discorso indiretto libero e individua due o tre esempi nel testo di questa tecnica stilistica. 7. Individua nel testo le metafore e le immagini che appartengono all’area semantica della distruzione e della morte. Approfondimenti 8. Scrivi un testo narrativo (in prima o in terza persona) in cui il protagonista prova un senso di energia e di libertà che è inscindibile dal luogo o dallo scenario in cui si trova.

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oggetti e PersoNe come icoNe deL temPo In Inghilterra nel secondo dopoguerra nasce un movimento artistico che si pone l’obiettivo di fotografare il fenomeno del consumismo di massa, come nuovo volto della civiltà occidentale: la Pop Art , lonta - na da ogni intenzione di denuncia, rappresenta la realtà dei mass- media (pubblicità, fumetti, rotocalchi, televisione), esplora il gusto popolare, rappresenta i nuovi idoli della comunicazione di massa (i personaggi-culto del cinema, della musica pop, della politica, ecc.), deifica gli oggetti di produzione industriale e di uso comune . Nessuno meglio di Andy Warhol (1928-1987), pittore ed esponente della pop art americana, rappresentò tale spirito, dipingendo “ciò che vedeva ogni giorno”, secondo quanto egli stesso affermava, ma anche ciò che – persona o cosa – diventava oggetto di adorazione collettiva , così da trasformare in icone del tempo i Barattoli di Campbell’s e l’immagine di Marylin Monroe, immortalata in mille volti, moltiplicati con lo stesso processo di standar - dizzazione operato dai mezzi di comunicazione di massa. La sensibilità di Warhol Andy Warhol, Barattoli di Campbell’s soup , sembra precorrere i tempi, 1962. come dimostra la notissima parafrasi di una riga del catalogo per una sua mostra al Moderna Museet di Stoccolma (febbraio-marzo 1968): In the future everyone will be world-famous for 15 minutes (“Nel futuro ciascuno potrà avere i suoi 15 minuti di celebrità”), che suona come una profezia della società contemporanea, in cui social network e nuove tecnologie Duane Hanson, Al supermercato , 1971. appagano l’imperante esigenza di visibilità ed esibizionismo narcisi - stico delle nuove generazioni – e non solo. Altri artisti mirano direttamente alla rappresentazione dell’uomo nella civiltà di consumo. È il caso di George Segal (1924-2000), le cui sculture sono calchi in gesso di persone reali , rappresentate in momenti di vita quotidiana, spesso in solitudine. Le figure, poi, ven - gono inserite in contesti concreti , con vere panche, tavoli, sedie pareti o vetrate. I personaggi sembrano statue di sale, bloccate in un attimo di vita ordinaria e senza gloria; per questo motivo, rispetto alla gioiosa arti - ficiosità degli altri artisti pop , l’opera di Segal presenta un carattere più riflessivo, come se l’artista volesse mostrarci l’altra faccia del benessere e del consumismo, cioè la solitudine dei singoli individui. È una lezione ripresa dagli artisti dell’ Iperrealismo come Duane Hanson (1925-1996), che realizza figure a grandezza naturale, accu - ratissime nei dettagli come fossero persone vere, tratte dalla vita ordinaria.

George Segal, Il ristorante Window II , 1971. Gesso e oggetti, 129x138x103 cm. Collezione privata.

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